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Teorie critiche del Novecento. Esame Sinopoli, Sintesi del corso di Critica Letteraria

Riassunto del Manuale Teorie critiche del Novecento, con analisi dei testi specifici.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 23/06/2019

PietrooB
PietrooB 🇮🇹

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Scarica Teorie critiche del Novecento. Esame Sinopoli e più Sintesi del corso in PDF di Critica Letteraria solo su Docsity! TEORIE CRITICHE DEL NOVECENTO 1. Formalismo, strutturalismo, semiologia e critica stilistica Il formalismo. Nei primi 30 anni del Novecento, la critica si poggia sulle riflessioni sul linguaggio della linguistica. I formalisti russi si concentrarono sull’indagine dell’organizzazione della lingua letteraria - il formalismo in generale mirava a creare una scienza letteraria basata sulle specifiche proprietà del materiale linguistico, puntando alla creazione di un metodo (dice Ejchenbaum). Il termine formalismo venne coniato dai detrattori, indicando un atteggiamento critico comune al Circolo di Mosca (Jakobson) e all’OPOJAZ (Sklovskij, Ejchenbaum, Tynjanov): il Circolo aveva interessi più linguistici, l’OPOJAZ più letterari. In generale, il critico formale ha come unico interesse l’opera in sè e i materiali che la costituiscono, che vengono analizzati tramite lo straniamento linguistico, a partire dalla riflessione su motivo e intreccio di fine Ottocento, poi ripresa da Sklovskij in Teoria della prosa (1925). Impossibile parlare di formalismo senza considerare poi le poetiche simboliste, come anche il futurismo, e in ultima analisi l’apporto di de Saussure e dei suoi discepoli, concentrati su problemi relativi alla langue (codice collettivo) e alla parole (attualizzazione individuale del codice). Per i formalisti non è tanto la parole ad essere importante, quanto la funzione, la modalità, il ritmo: il formalismo meccanicistico di Sklovskij indaga il linguaggio letterario cercando di comprendere la motivazione del cambiamento della percezione della letterarietà nel tempo - problema che lo straniamento linguistico non risolveva. Occorreva dunque impostare un asse diacronico: Tynjanov, con Il concetto di costruzione, intende l’opera come insieme dinamico in sviluppo, in scorrimento nel tempo; il fenomeno letterario dipende quindi dal tempo in cui viene pubblicato e dalla ricezione che se ne ha, contraddicendo in un certo senso l’autotelia dell’opera d’arte. Questo è il preludio dell’evoluzione verso lo strutturalismo, che verrà strutturato a partire dagli studi di Tynjanov e Jakobson riguardanti la storia letteraria come insieme di leggi strutturali. Nel ’29, in occasione del Congresso dei filologi slavi, vengono formulate le Tesi del Circolo di Praga (fondato nel ’26 da Mathesius), manifesto della nuova onda. Gli stessi formalisti riconobbero il superamento delle proprie posizioni; a loro va il merito di aver avviato il processo di avvicinamento fra linguistica e critica letteraria. La differenza fondamentale è che lo strutturalismo poggia più saldamente sulla linguistica, specialmente sull’assetto sistematico del linguaggio, su langue e parole, significato e significante (e il loro legame arbitrario ma necessario), l’arbitrarietà del segno, sincronia e diacronia - riflessioni saussuriane. De Saussure, però, non credeva fosse possibile razionalizzare l’arbitrarietà del segno al punto di individuare effettive leggi di struttura. Nelle Tesi, vengono riportate nuove intuizioni: recupero del tema della storicizzazione dei processi letterari, utilizzo specifico della linguistica, procedimento del parallelismo nel linguaggio poetico - che sarà oggetto fisso di studio per il Jakobson di Linguistica e poetica, punto di riferimento europeo, che riprende gli argomenti della Terza Tesi (la più importante). Importanti, nel saggio, le considerazioni sulle funzioni della lingua (ne trova 6), specialmente su quella poetica (“la funzione poetica proietta il principio d’equivalenza dall’asse della selezione a quello della combinazione. L’equivalenza diventa elemento costitutivo della sequenza”). La rima in particolare, sul piano fonico-ritmico, mostra con evidenza il “parallelismo” delle sequenze - Jakobson si concentrerà sulla poesia metrica e regolare. La critica stilistica. Nasce all’inizio del Novecento da una costola di de Saussure, ovvero Charles Bally. Se il suo maestro si occupava delle leggi costanti del sistema linguistico, Bally studia i rapporti fra mezzi espressivi e sistema, escludendo però lo stile individuale degli scrittori in funzione estetica, che verrà invece approfondito dalla Scuola idealistica tedesca di Karl Vossler - studio delle forme individuali in rapporto alle possibilità della lingua - ma soprattutto da Leo Spitzer: si parlò di un asse Vossler-Croce-Spitzer, con quest’ultimo che si concentra sul singolo autore, nucleo attorno al quale ruotano particolari forme semantiche. Tre sono i momenti della critica: lettura, individuazione dello scarto dalla norma e circolo filologico. Altro grandissimo fu Auerbach, tedesco emigrato prima in Turchia e poi negli USA per motivi raziali, autore di Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (1946, raccolta di studi letterari europei da Omero ai suoi contemporanei), con la mimesi intesa come copia della verità. Fra le linee guida, la mescolanza di stili (a partire dalla concezione di realtà del Medioevo, dove convivevano il sublime e il tragico). Celebri i suoi Studi su Dante, riflessione basata sull’interpretazione figurale della Bibbia desunta dalle Lettere di San Paolo, nell’ottica di smentire il giudizio crociano negativo riguardo la struttura del poema, dimostrando che anche la struttura è poesia. In Italia, Devoto riconosce una funzione fondamentale al sistema grammaticale, in un eccesso di teoresi che gli verrà criticato da Contini, grande filologo tout-court, da Dante ai suoi contemporanei, con un utilizzo scientifico del linguaggio e basandosi su struttura, sperimentalismo e forma. Fu più attento al lavoro individuale dello scrittore che ai movimenti in generale (si ricordano i suoi “bigliettini” con De Robertis riguardo le varianti di Leopardi, con Contini che le interpreta come interne al sistema linguistico leopardiano e De Robertis che le giudica in grado di illuminare il “crescere” di un’opera). Benvenuto Terracini: interessato alla tonalità dell’opera, determinata sia dalla lingua che dalla parola individuale, e in particolare al sotteso processo di stilizzazione. Negli anni Settanta, la febbre strutturalista distrusse la critica stilistica, basata su concetti troppo arbitrari. Lo strutturalismo e la semiologia. Lo strutturalismo esplose in Francia a partire dagli anni Sessanta. Figura fondamentale fu l’eclettico Barthes, come anche l’antropologo Levi-Strauss (studio delle invarianti che costituiscono ogni esistenza umana) e il gruppo Tel Quel, costituito attorno alla Kristeva e a Sollers, che aveva come punti di riferimento il formalismo e il marxismo. Ci si concentra, dunque, sulle leggi determinanti la struttura del linguaggio poetico e prosastico: nasce la narratologia in riferimento agli studi di Sklovskij, Tynjanov e Propp. Il disinteresse per il significato del segno linguistico, ripensamento riguardo le premesse iniziali dei primi movimenti, crea uno spazio per lo sviluppo della semiologia - Scuola di Tartu-Mosca di Lotman, concentrata sui testi artistici in cui si cercano sia le strutture ricorrenti che quelle nuove, realizzanti la trasmissione della cultura: Lotman cerca di definire il linguaggio della poesia, benchè esso conservi un alto margine di non-traducibilità, motivo della possibilità di un’esplosione di senso. In Italia, i primi saggi tradotti nel ’69 furono Semiotica della letteratura in URSS (a cura di Faccani ed Eco) e I formalisti russi di Todorov - Eco, nel frattempo, aveva già superato l’ideologia crociana in Opera aperta (1962), ponendo la possibilità di leggere il testo con strumenti eterogenei. Anche l’Italia, quindi, si lancia nel dibattito fra formalismo, strutturalismo e semiotica: nel ’66 viene fondata la rivista “Strumenti Critici” dal gruppo pavese di Corti, Segre, Avalle e Isella, provenienti da studi di filologia romanza e storia della letteratura, studi pratici e volti alla storicizzazione. In generale, i critici italiani concordano sul fatto che una struttura non ha valore in assoluto, ma aiutano a rendere analizzabili e a correlare oggetti altrimenti disgregati (esattamente ciò che dice Eco in La struttura assente del ’68). Le riflessioni degli anni Settanta stabiliscono anche le aree di competenza delle nuove discipline; i semiologi si premurano di trovare una strategia di analisi del segno che dipenda anche dal contesto culturale, e inoltre Avalle ritiene che la semiologia si debba occupare prevalentemente delle costanti di genere. Al gruppo pavese si aggiunge quello fiorentino di Pagnini e Serpieri, entrambi mescolanti strutturalismo e semiologia. TESTI. 1) SKLOVSKIJ - Da “Teoria della prosa”: necessità di stabilire il limite fra nozione di intreccio e di motivo. Motivo: la più semplice unità narrativa (il congedo, il ratto della sposa, come anche le origini delle cose). Intreccio: tema in cui vengono orditi i vari motivi. Quanto più la combinazione è che afferma che il passaggio da gradualità ad esplosione sia dovuto all’attenzione posta sulla semiotica dell’arte). I due percorsi si presuppongono a vicenda. 8) SEGRE - Da “Semiotica filologica”: la comunicazione letteraria ha caratteristiche proprie. Il testo può avere un destinario immediato, ma esiste anche un ricevente indiretto, che ignora l’autore del testo e deve dunque sforzarsi per collocare il testo in un consono contesto, a partire dall’assioma di inscindibilità di sintassi e semantica dalla pragmatica di un testo - peccato le opere ci giungono spesso deteriorate, a causa di una sovrapposizione di sistemi. Complicato anche interpretare un codice che il ricevente conosce parzialmente, specie quando ne utilizza normalmente uno diverso: ciò che importa è dunque trovare una sorta di via di mezzo, con un apporto da parte di entrambi i codici. 9)AUERBACH - Da “Mimesis”: riflessione sulla concezione dantesca del divenire e della storia, a partire dal fatto che il realismo dantesco appare proiettato nell’eternità, con l’individuo che viene classificato sulla base del giudizio divino. La storia non può essere dunque scissa dal continuo piano divino: a partire dalla creazione, è tutto un moto amoroso divino immortale: la monarchia universale di Roma, per esempio, viene presentata come apparizione fenomenica terrena riferita al piano divino di salvazione. La Commedia si basa dunque su una concezione figurale: i “personaggi” che abitano ancora la terra sono solo l’immagine di quella che poi è la loro effettiva essenza, collocata nell’aldilà, proprio perchè mediata dal giudizio divino. Dante, però, apre la strada all’autonomia dell’essenza terrena, con la figura che supera il compimento o meglio, il compimento che serve a dare ancora maggior rilievo alla figura - ovunque, infatti, si hanno esempi in cui l’effetto del personaggio terreno e della sorte terrena supera quello della condizione eterna: non si può tener solo conto di essi, però. 2. Critica psicanalitica e tematica L’interesse della critica per l’inconscio dipende principalmente dalla riflessione di Freud. Riflessioni sui testi letterari sono presenti in saggi specifici, ma anche nell’Interpretazione dei sogni: il suo è uno sguardo costantemente rivolto alla letteratura, motivato in parte in Delirio e sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen (1906): scrisse il commento al racconto turbato dal fatto che uno scrittore avesse intuito e raccontato i meccanismi della psiche sui quali lui stesso aveva condotto a lungo analisi scientifiche. In Il poeta e la fantasia (1907) indaga la matrice del materiale poetico, dicendo che il poeta trae godimento dalla fantasia come il bambino dal gioco, e pareggia il non appagato desiderio di gioco attuato nell’infanzia. Ne Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905) analizza il piacere che ogni motto determina nel fruitore, dovuto all’arguzia. In queste opere, l’interesse per la letteratura è manifestato in due modi: arte in funzione di un biografismo psicanalitico (saggio su Leonardo) e meccanismi per i quali i processi di simbolizzazione si traducono in forme linguistiche (Il motto...). I primi tentativi di applicazione della psicanalisi alla letteratura sono dovuti ad Otto Rank, allievo di Freud, che su “Imago” pubblica Il doppio, in cui cerca di dimostrare una stessa struttura psichica negli autori. Qualche anno dopo, Freud riprenderà l’allievo ne Il perturbante. Jung polemizzò contro un atteggiamento volto a desumere le patologie degli autori dalle loro opere: il mistero della creatività non può essere spiegato psicologicamente ma solo descritto, e allo stesso tempo l’analisi non puà spiegare l’essenza dell’opera in sè. A Jung interessa, più che l’autore, il processo creativo - irregolare, dispotico. Distingue poi fra inconscio collettivo e subconscio personale, costituito dagli avvenimenti psichici che potrebbero essere coscienti ma sono stati sublimati per la loro incompatibilità. Il tipo dell’opera ci permette di trarre conclusioni sull’orientamento spirituale dell’epoca: se Freud si concentrà sulla soggettività dell’Io, Jung sposta l’interesse verso l’archetipo sovrapersonale (inconscio collettivo). In Francia troviamo la prima critica psicanalitica, con Baudoin (che analizza i complessi sia personali che primitivi del creatore o suscitati nel lettore dall’opera d’arte, cercando di superare la riduzione poesia-nevrosi e patologia-arte), Marie Bonaparte (orientata verso un’analisi psico- biografica, autrice di un celebre saggio su Poe introdotto da Freud, con il quale aveva molto in comune riguardo l’analisi dell’autore; è convinta che le opere letterarie siano costruite come i sogni di chi le scrive, controcorrente rispetto agli altri francesi, che avevano respinto il concetto di inconscio). Fra gli amici di Freud, Ernest Jones (analizza la psicologia del personaggio nell’opera letteraria - Amleto e Edipo, complesso edipico di Amleto spiega i suoi comportamenti); in ambito francese, ancora Charles Mauron (psicocritica, reti fisse di associazioni che si ripetono e ci portano al “mito personale” di un determinato autore). Molti intellettuali si interessarono a quest’ambito della critica, fra cui Bachelard, interessato a Jung, che delinea una dottrina dell’immaginazione letteraria come immagine in ogni caso riflessa e controllata e che deve superare una iniziale censura. Famosi i suoi saggi legati all’immaginazione materiale dei quattro elementi, verso uno dei quali ciascun autore propende. Bachelard si può considerare punto di riferimento della critica tematica teorizzata da Poulet, Weber e Richard. Weber definisce la critica tematica “una disciplina oggettiva, rigorosa”, e in Neocritica e Paleocritica traccia il percorso che l’ha portato alla formulazione di questo nuovo modo di fare critica, rispondendo alle critiche che vedevano i suoi metodi come puramente immanenti. La critica tematica afferma quindi che l’atto creatore può essere interpretato come svolgimento ad infinitum di un singolo tema - come riconobbe Barthes in Racine. Anche Richard si sofferma su questo tratto, dedicando l’Univers immaginaire de Mallarmé a Poulet, suo punto di riferimento, il quale riconosceva in Proust il fondatore della critica tematica, dato che la sua opera appare come una retrospettiva che agisce unendo frammenti. Ancora in Francia: Lacan (reinterpretazione di Freud tramite strutturalismo e postrutturalismo; intuizione che l’inconscio si struttura come il linguaggio, e può essere studiato nelle sue componenti di significato e significante - sebbene non esista una langue del sogno), al quale si ispira molto la Kristeva. Intanto negli USA l’interesse per la critica psicanalitica nasce in opposizione al “close reading”, e vede cimentarvisi Bloom e Trilling. Grandi consensi in Europa vengono ottenuti da Frye che, ispirandosi a Jung, ricerca gli archetipi dei generi e dei temi dell’opera letteraria. In Anatomia della critica (1957, 4 saggi) analizza 4 modalità critiche (storica, etica, archetipica, retorica - teoria dei modi, dei simboli, dei miti, dei generi). Bloom utilizza Freud per reinterpretare la letteratura alla luce del complesso edipico, con L’angoscia dell’influenza (1973) che dice che il poeta forte vive nei confronti dei suoi predecessori una rivalità che cercherà di smantellare, cercando la propria voce - anche tramite mislettura e tradimento dell’originale. In Italia i pregiudizi di Croce agiscono spesso da censura, ma non per Debenedetti, che ritenne che l’opera di determinati autori non possa spiegarsi se non alla luce della loro situazione psicologica (Proust, Svevo, Saba). Dalla costola di Debenedetti esce Mario Lavagetto, che riprende le materie di studio del maestro. Dagli anni Settanta in poi, la critica psicanalitica appare sparsa un po’ dappertutto, e fornisce la costante rappresentata dalla coniugazione della psicanalisi con la linguistica. I meccanismi linguistici possono essere modificati in base alla loro similarità con i processi dell’inconscio. In questa direzione opera Francesco Orlando, mentre Agosti utilizza la coniugazione di semiologia e psicanalisi per lo stesso fine. Ancora Serpieri (innesto di psicanalisi su altre discipline), Gioanola (screzio con Orlando, secondo Gioanola vita dell’autore e opera inscindibili - Pascoli), Fornari e Ferrari. TESTI. 1) SIGMUND FREUD - Da “Il sogno”: il sogno mostra i desideri come già appagati, presenti. Parte dei contrasti fra contenuto manifesto e contenuto latente (che trattano argomenti completamente diversi fra loro) si può ricondurre a questo appagamento; più evidente, però, appare il lavoro onirico di condensazione, che fa concidere le varie componenti sovrapponendole, rendendo chiaro nel quadro generale l’elemento comune, mentre i dettagli si cancellano. Nel sogno, dove nell’analisi si utilizza in casi di indeterminatezza “o-o”, si sostituisce “e”. In generale, la via più comoda per ravvicinare due pensieri onirici ben separati è formulare uno dei due in modo diverso, procedimento analogo a quello della rima. Per quanto riguarda le persone presenti nel sogno, spesso vengono mischiate - accomunate da un tratto comune. Durante il lavoro onirico, spesso la fase narrativa centrale e prevalente ha molto meno importanza di quanto sembri, e nell’analisi finisce per risultare subordinata: è un processo, questo, che tende a celare il significato del sogno, e viene chiamato “spostamento onirico” - quanto più un sogno è confuso, tanto maggiore è il fattore attribuibile allo spostamento. D’altra parte, i contenuti del sogno vengono associati fra loro secondo schemi complicati; i materiali presi in considerazione vengono poi compressati fino a creare nuovi contenuti, dando luogo allo spostamento: questo insieme di procedure prende il nome di “regressione”. - Da “Dostoevskij e il parricidio”: in una scena dei “Fratelli Karamazov”, un uomo si inginocchia davanti a Dimitrij dopo aver capito che ha una predisposizione al parricidio. Non si tratta di ammirazione: l’uomo allontana da sè l’idea di disprezzare l’assassino, umiliandosi di conseguenza al suo cospetto. Grande è la simpatia dell’autore per il criminale, che prende la conformazione di un redentore - se non uccidesse lui, se non si prendesse lui la colpa, sarebbe un altro di noi a doverlo fare. Il processo è di identificazione nell’assassino - un narcisismo appena spostato -, che diventa la cifra dominante di partecipazione alla sorte degli altri uomini. 2) JUNG - Da “Psicologia analitica e arte poetica”: l’esercizio dell’arte è un’attività psicologica, e di conseguenza va analizzato - ovviamente solo in quanto esercizio; l’opera non può essere oggetto di analisi psicologica, solo estetico-artistica. Freud ha dato il via alla tendenza associativa fra vita dell’autore e processo creativo, dandoci mezzi nuovi per comprendere meglio le influenze che agiscono sugli autori: eppure le conclusioni che se ne ricavano sono dozzinali (“ogni artista è un narcisista”). Gli elementi coscienti che affiorano dall’inconscio vengono da Freud chiamati impropriamente “simboli”, quando si tratta di semplici indizi o sintomi di processi del subconscio. Ad ogni modo, l’opera d’arte non è una malattia e richiede dunque mezzi diversi; lo psicologo al massimo potrà cercare il senso dell’opera nell’opera stessa, dando per scontato che l’opera d’arte è una creazione che utilizza liberamente ogni condizione precedente presente nell’autore che la crea. Vi sono infatti opere in cui l’autore agisce cosciamente per indurre il lettore a determinati effetti: il poeta diventa un tutt’uno con il processo creativo. Altre, invece, si impongono sull’autore, portando con sè la propria forma, stupendolo: non può che obbedire al comando. Possiamo dire, dal punto di vista psicologico, che gli autori della prima categoria sono “introversi” e quelli della seconda “estroversi”. Poi: il processo creativo è un essere vivente impiantato nell’uomo, un “complesso autonomo”, dissociato e indipendente dalle gerarchie della coscienza. Si è parlato spesso, inoltre, di senso e significato dell’opera: probabilmente, però, essa è e non significa nulla, come la natura, realizzandosi unicamente nella bellezza. Quando però si mette in campo il rapporto fra arte e psicologia, bisogna attribuirle un senso: il complesso creativo è basato sulla presentazione al lettore di un’ “immagine”, che quando presenta implicazioni simboliche può essere intepretata - altrimenti significa solo se stessa. L’origine dell’opera d’arte, inoltre, va cercata nella mitologia collettiva inconscia (inconscio collettivo, una gli altri linguaggi proprio perchè solo attraverso la parola si può mediare l’inconscio. Interessante in questo senso l’attenzione rivolta da Freud al motto di spirito, che si basa unicamente su concetti legati alla parola e alla sua possibilità combinatrice. Paradossalmente, Freud finisce per occuparsi di linguistica più nelle sue analisi di motti, sogni e lapsus che quando intraprende opere letterarie. L’ultimo interrogativo, il rapporto fra linguaggio poetico e linguaggio inconscio, è così grande che Orlando dubita della possibilità di affrontarlo in forma teorica. 3. L’area marxista: teorici e critici La critica marxista parte dalle note sull’arte di Marx ed Engels, e dal loro intreccio fra stuttura e sovrastruttura della società: l’arte risulta quindi influenzata anche dai rapporti economico-sociali, e però prende forma come immagine mistificante in quanto determinata da una “falsa coscienza”. Si affronta quindi il tema dell’arte gnoseologica, e quindi realistica, con parallelo anatema contro ciò che è simbolista o avanguardista in generale. Sorge dunque anche il problema sui margini d’indipendenza dell’arte rispetto alla politica. Torna d’attualità il concetto di engagement del critico, specie in America (capitalismo) ed in Inghilterra (conservatrice). Addirittura il New Historicism (fine anni ’70) americano filtra Marx con Foucault, e si constata impotente davanti alla ragnatela del potere - pessimismo -, con la storia che si disgrega in una sorta di microstorie insignificanti. Più marxista il Cultural Materialism inglese, determinato dall’apertura a tale strada da parte dei Cultural Studies. Se gli americani constatano il legame fra potere e letteratura, gli inglesi auspicano anche una nuova coscienza politica formata nel presente sugli esempi del passato. Ovviamente non si tratta più, ai giorni nostri, di riscattare un fantomatico proletariato; il marxismo si frantuma in femminismo, postcolonialismo etc. Lukacs è strenuo difensore del realismo del romanzo ottocentesco, oppositore del naturalismo di Zola e del decadentismo: per lui l’arte rispecchia la realtà, e non deriva da un magico atto creativo, e dunque arte che interpreta una realtà nelle sue contraddizioni. La riproduzione della realtà nell’Occidente è anche tema, fra l’altro, di Mimesis. La teoria brechtiana si opporrà, volente o nolente, a Lukacs con lo straniamento, che troverà in Dario Fo un fedele seguace. Sempre in Italia Gramsci; il critico letterario perde la propria autonomia, trasformandosi in un intellettuale organico a una determinata classe sociale, che agisce sul piano sovrastrutturale prima che strutturale. Ci si batte quindi non per un’arte bella, ma per una politica culturale che controlli e trasformi sia la letteratura che la cultura in generale. In Gramsci, si enuncia la necessità di considerare l’intero ciclo di produzione artistica: non solo il creatore, ma anche il destinantario e i sistemi di produzione/ distribuzione. Il critico-intellettuale deve scendere dal suo piedistallo: militante. Il tema dei rapporti fra arte e società è centrale anche per la Scuola di Francoforte: Benjamin, ebreo tedesco trasferitosi a Parigi e suicida nel ’40, oltre che grande critico di Baudelaire, Kafka e altri, fu grande interprete del barocco e dell’allegoria moderna: il bello ci fa conoscere il vero, conoscibile solo da una prospettiva storica distaccata - allegorica - rispetto a quella dell’interprete; conformandosi come rovina, l’opera diventa quindi verità. Passato e presente si illuminano a vicenda. Più marxista il Benjamin interprete della cultura e dell’arte di massa (cinema), che vede nella riproducibilità dell’arte la perdita di quell’aura sacrale. Parte dai frammenti storici dell’opera, toglie loro i caratteri che la classe sociale dominante ha imposto e fa esplodere il senso. Adorno e Horkeimer accentueranno ancora di più il catastrofismo; la massificazione priva l’uomo di identità. Nella Teoria estetica di Adorno siamo all’opposto di Lukacs: l’unica arte, demistificatrice è quella moderna - nello specifico Beckett e Schonberg. La Scuola di Francoforte mischia il marxismo con metodologie differenti; Della Volpe segue questo processo, proponendo il Critica del gusto la fondazione di un’estetica materialistico-storica, che superi l’idealismo romantico, sulla base della contrapposizione fra concetto e intuizione fantastica. Nel marxismo inglese e americano il compromesso fra critiche sarà più accondiscendente. Il più importante inglese è Eagleton, influenzato da Lacan e Derrida, con un ritorno dell’interesse per il rapporto opera-ideologia: più che affermare nuovi principi fondanti, passa in rassegna lo sviluppo storico delle teorie letterarie e della critica. Sulla stessa scia etico-ideologica anche l’americano Jameson, per il quale il marxismo ormai è solo un metodo fra tanti; Jameson si basa, nella sua ipotesi di critica dialettica, sul prendere il testo (la forma) e storicizzarla nelle situazioni ideologico-culturali che lo comprendono. Riguardo poi il discorso postcoloniale, importante Said con Orientalismo e la sua concezione moderna della geopolitica del linguaggio e delle influenze. TESTI. 1) IL NEOSTORICISMO - Da Rosenberg, “Storicizzare il neostoricismo”: la letteratura riflette l’età in cui viene prodotta. Si era persa l’idea di letteratura come specchio, fondandosi più sul significato, e il neostoricismo ricolloca il testo nel suo contesto - rendendo il contesto il centro dell’analisi. Di fatto il neostoricismo fonde il vecchio storicismo e il post-strutturalismo, rivendicando la storia come “testo” il cui significato non è ben definito e costruito linguisticamente. La storia non viene scoperta, dunque, ma creata. I dialoghi col passato prendono spesso come soggetto i rapporti e gli effetti del potere: è una critica politica, influenzata dai concetti di Foucault di libido dominandi. 2) LUKACS - Da “Letteratura di tendenza o di partito?”: si respinge il dilemma fra arte pura e di tendenza. Nella rappresentazione della realtà non c’è alcun posto per un ideale morale o estetico. - Da “Lo scrittore e il critico”: la divisione capitalistica del lavoro ha trasformato lo scrittore e il critico in specialisti, cancellando gli interessi umani e artistici. Nel momento in cui lo scrittore fa della letteratura fine a se stessa, trascura i problemi di “rappresentazione” e “formazione”, necessari per una grande arte, che vengono sostituiti da questioni da laboratorio. - Da “Saggi sul realismo”: è Balzac o Flaubert il principe del realismo? Qui è solo questione di gusto. Prendiamo Balzac; se confrontiamo lui e il romanzo semi-recente, vediamo l’opposizione realismo-naturalismo. Centro del realismo è quella rappresentazione contemporanea di generico e individuale, che ritrae la società bene. Il punto di vista estetico, pensato fino in fondo, porta ad un’annullazione dello stesso. Ciò che è importante è l’immagine che l’opera ci dà del mondo. - Da “Il marxismo e la critica letteraria”: l’attività spirituale dell’uomo ha sempre una determinata autonomia relativa ma, nel capitalismo, arte e letteratura diventano feticizzate, reificate. Tesi fondamentale del materialismo dialettico è che ogni presa di coscienza del mondo esterno è un riflesso della realtà: di conseguenza, anche l’arte è specchio. 3) GRAMSCI - Da “Letteratura e vita nazionale”: due scrittori possono esprimere lo stesso momento storico- sociale, ma è fondamentale il modo in cui viene fatto. Il rapporto De Santis-Croce dipende proprio da questo: De Santis non parla solo di estetica, è anche militante, quindi la critica deve unirsi alla lotta per una nuova cultura - e non per una nuova arte, che significherebbe puntare sull’individualismo degli artisti. Fondamentale infatti la “letteratura popolare”, aiutata da cinema e giornale: non è necessario che la nuova cultura nasca dal ceto unicamente intellettuale. Non si può pensare l’individuo fuori dalla società, tantomeno l’arte: il carattere, per esempio, aristocratico di Manzoni appare dal suo compatimento ironico verso le figure del popolo, comportamento di casta. La letteratura popolare dovrà realizzarsi come contenuto che sia l’espressione delle aspirazioni del suo pubblico. Anche la letteratura commerciale è inserita in questo discorso: essa indica la “filosofia” di un periodo storico - esempio Conte di Montecristo di Dumas. 4) BARTHES - Da “Miti di oggi”: il mito è un furto del linguaggio. Niente è al riparo dal mito, che si presta alla storia sia per la forma che per il concetto. Per esempio, la borghesia come fatto economico è nominata senza problemi: come fatto politico, si fa malvolentieri: come fatto ideologico, sparisce, non parla di sè. Più la classe borghese propaga le sue rappresentazioni, più esse diventano natura. Il mito non nega le cose, anzi, la sua funzione è di parlarne purificandole, rendendole chiare. 5) BENJAMIN - Da “Il dramma barocco tedesco”: nel simbolo si rivela la natura come volto trasfigurato della redenzione, mentre nell’allegoria si propone una visione quasi medica, scientifica, non empatica della storia come un paesaggio pietrificato. La storia si configura nel teschio di un morto. Questo è il centro dell’esposizione barocca della storia come storia dei dolori del mondo: ogni cosa può significare qualcos’altro, e quindi non significare affatto - annientamento. Con l’allegoria del barocco, la storia viene ridotta a palcoscenico, sul quale si realizza un processo di decadimento. Si mortificano dunque le opere, all’interno delle quali si insedia il sapere, il vero. - Da “L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica”: si perde, con la riproducibilità, l’aura. La riproducibilità sottrae l’opera alla tradizione, la attualizza. L’agente più potente di questo fenomeno è il cinema: il suo significato sociale non è pensabile senza il suo aspetto, comunque, distruttivo. Le circostanze che portano a questo decadimento dell’aura sono la necessità di rendere più vicine le opere all’uomo e la volontà di superare l’unicità. L’arte, per assurdo, finisce per fondarsi sulla politica. - Da “Passages di Parigi”: riflessione sulla storia. Marx descrive il nesso causale fra economia e civiltà; lui vuole descrivere l’espressione di tale economia nella civiltà. Nella storia adotta il principio del montaggio, nello scoprire nel piccolo momento il cristallo dell’accadere totale. Passato e presente quasi si fondono: la verità è legata al periodo in cui la si cerca, a differenza di ciò che dice il marxismo, che la reputa “atemporale”. 6) HORKEIMER - Da “Teoria critica”: si sta perdendo il concetto di interiorità, e il soggetto urbano perde la capacità di dar vita ad altri mondi, come quello artistico, che sopravvive solo nelle opere che esprimono l’abisso che si apre fra individuo e ambiente barbarico - Guernica di Picasso. Non esiste più comunanza fra opera e uomo: il divertimento popolare, artificiale, e la sua industria hanno distrutto tutto. 7) ADORNO - Da “Teoria estetica”: le opere d’arte assumono una precisa posizione nei confronti della realtà empirica. Gli strati fondamentali dell’esperienza, motivatori dell’arte, sono legati al mondo oggettivo. Nonostante il concetto di utilità, l’arte ha dapprima qualche carattere utopico - raffigura l’ “Altro”, ciò che non è uniforme, e il contenuto di verità delle opere dipende dal grado di distacco dal sempre-uguale. L’arte mercificata, invece, è volgare in quanto accorcia questo distacco. 8) DELLA VOLPE - Da “ Critica del gusto”: la verità della poesia fa capo a immagini concetto e, di conseguenza, ci rinvia all’esperienza. Solo l’analisi della componente semantica può mostrarci quindi la peculiarità della poesia. Analizziamola, dunque: il discorso si divide in univoco (filosofia) e equivoco (parola comune, si può dire anche letterale-materiale). Per omnitestuale intendiamo la frase, che costituisce il testo. Per contestuale organico, invece, quella frase il cui valore espressivo dipende dalla sua capacità di costituire un suo contesto linguistico-formale. 9) EAGLETON lettore con nuovi termini, scostati dal repertorio, e lo spinge alla negazione; inoltre, la lettura - punto di vista vagante - non sarà mai esaustiva, resteranno sempre dei blanks, come per Ingarden) e Jauss (letteratura determinata dalla ricezione storica; non c’è riduzione teorica dell’arte, l’intepretazione dipende dalla storia, dagli effetti più che dai valori: più che storia della letteratura, storia della ricezione. Riprende l’identificazione, la gratificazione della lettura; come per Eco, l’opera è aperta, ma circoscrive i suoi significati limitando l’arbitrio del lettore). Barthes si libera da freni inibitori, propagando il “piacere del testo” in un periodo prossimo al ’68, cercando però di non farsi influenzare politicamente. Esprime fastidio viscerale per tutto ciò che è stereotipo: da una doxa cerca una paradoxa, che diventa a sua volta doxa spingendolo sempre più in là. In una lezione al College de France, concluderà che ogni lingua, in quanto codificata, è fascista. Articola la lettura su 3 piani: informativo, simbolico e “ottuso”, intendendo con ciò un sentimento che nasce per ciò che si ama e si vuole difendere - passione. Infine, la femminista Sontag spinge per un recupero dell’energia e dell’erotismo della percezione letteraria. TESTI. 1) ECO - Da “I limiti dell’interpretazione”: il lettore deve fare una congettura sull’intentio operis, proprio perchè il testo nasce in relazione ad un lettore modello che il lettore empirico dovrà postulare. Il codice segreto del testo è la sua volontà occulta di produrre questo lettore, libero di azzardare ma obbligato ad arrendersi quando il testo rifiuta i suoi tentativi meno ortodossi. 2) SARTRE - Da “Che cos’è la letteratura?”: lo scrittore decide di svelare il mondo all’uomo, non scrive per sè. Lo scrivere presume il leggere come correlativo dialettico, e la lettura diventa sintesi della percezione e della creazione. Il lettore serve sia per svelare l’oggetto che per far in modo che l’oggetto effettivamente sia. Il senso non risiede più nel linguaggio; si realizza mediante esso. L’autore si limita a guidare il lettore: l’attesa di Raskolnikov è l’attesa del lettore, che gliela presta. Ogni sensazione da lui provata esiste in quanto suscitata nel lettore. Ogni libro ha impliciti riferimenti a istituzioni, costumi - storia - e l’autore anima il mondo da lui così conosciuto in modo tale che il lettore lo faccia proprio. La letteratura, così, libera l’uomo dalla storia; lo rende libero. 3) ANCESCHI - Da “Fenomenologia della critica”: il critico-filosofo, o scienziato, o poeta, o scrittore... tende a porsi come assoluto. Per questo motivo è utile una metodologia non dogmatica, che promuova un’operazione di epochè (liberazione da riduzioni dogmatiche), intesa come sospensione di giudizio, riguardante il significato e le sue estensioni. Consiste quindi nel rendersi conto del processo di reificazione che ogni critica pericolosamente subisce, pericolosa per la vita dell’arte. La filosofia stessa non può che essere mera fenomenologia, operante sulla base di una sistematicità aperta: così la nozione di critica diventa plurisistematica, ricca di relazioni diverse, puntante alla comprensione effettiva e all’apertura dell’interpretazione. 4) HEIDEGGER - Da “In cammino verso il linguaggio”: il linguaggio codifica l’uomo, lo rende tale, e non può essere costretto entro idee prefissate. Ciò presume che una riflessione che lo riguardi significhi immergersi nel linguaggio in sè, non nel nostro. Il linguaggio parla in una parola già detta, in cui però rimane custodito: in questa ricerca delle sue caratteristiche, si seleziona una parola pura per scovarle - la poesia. Ne prende una di Trakl, benchè l’autore sia ininfluente. La descrive strofa per strofa, dicendo che il parlare chiama più vicino a sè ciò che nomina. Il contenuto della poesia si trova davanti a noi, eppure non ci sono. Le cose che la poesia nomina adunano a sè il cielo, la terra, i mortali e i divini: insieme, formano un’unità originaria, ovvero il mondo. 5) GADAMER - Da “Verità e metodo”: chi interpreta attua sempre un progetto, attorno al quale gira tutta la comprensione. Partendo da pre-supposizioni proprie, si esige solo un’apertura verso l’oggetto scelto e una coscienza delle proprie prevenzioni - l’Illuminismo aveve il pregiudizio contro i pregiudizi. Quando l’autorità prende il posto del nostro giudizio, si conforma con fonte di pregiudizio, ma non necessariamente sbaglia; essa ha a che fare, più che con l’obbedienza, con la conoscenza. La tradizione stessa si configura come autorità. La comprensione quindi risulta come immissione nel vivo di un processo di trasmissione storica - sintetizzazione passato- presente, in base all’epoca nella quale si opera, e quindi il senso del testo è legato a ciò, trascendendo sempre l’autore, dando carattere produttivo alla lettura. La “situazione” limita le possibilità di visione, ed è legata al concetto di orizzonte, che è in continuo movimento: la comprensione risulterà nella fusione di orizzonti presenti e passati. 6) BACHTIN - Da “L’autore e l’eroe”: la comprensione viene scomposta in singoli atti: percezione psicofisica del segno, riconoscimento dello stesso, comprensione del suo significato e comprensione dialogico-attiva. L’interpretazione svela l’esistente tramite la contemplazione e l’aggiunta creativa: il soggetto necessita di una struttura dialogica, in quanto non può rendersi muto ed essere studiato come una cosa. Ogni comprensione sarà correlazione fra testi e reinterpretazione in un nuovo contesto. Gli strutturalismi presuppongono un lettore immanente ideale, al quale deve corrispondere un astratto autore ideale: benchè fra i due non vi sia interazione, sono uno il doppio dell’altro. 7) ISER - Da “Atto della lettura”: nelle opere letterarie il messaggio viene trasmesso in due sensi. Il lettore lo riceve componendolo, secondo bilateralità. Il lettore può essere reale o ipotetico; ma entrambi i tipi implicano restrizioni. Cita quindi un lettore implicito, della cui presenza si può tener conto senza predeterminare le sue caratteristiche. E’ una struttura testuale che anticipa la presenza del ricevente. Convergendo, testo e lettore necessitano di convenzioni necessarie, chiamate “repertorio”, alle quali si associano le “strategie”. La realtà evocata nel repertorio non è confinata nella pagina, e soprattutto non assume il carattere di replica - trasformazione che porta a nuove connessioni, mantenendo anche alcune delle vecchie. I vari repertori possono sovrapporsi, come nell’Ulisse di Joyce, che mostra una forte densità di mescolamento (quasi amorfismo). Le strategie servono a connettere i legami fra gli elementi del repertorio: all’interno di questo contesto si trova ad operare il lettore per la creazione del senso. Il suo punto di vista, in quanto interno all’opera, è vagante, in un continuo succedersi di frasi che spostano l’orizzonte. Persistono dunque delle lacune, dei blanks, che nascono dallo squilibrio fra lettore e testo. 8) JAUSS - Da “Storia della letteratura come provocazione”: formalismo e marxismo vedono l’opera come circolo chiuso, e ne cancellano il fattore estetico, con il pubblico che viene escluso dall’analisi, quando invece è formatore della storia. Si esige l’abbattimento dei pregiudizi dell’oggettivismo storico. La concezione positivistica della storia come descrizione obiettiva di eventi esclude il carattere artistico. La storicità si può invece ottenere tramite il tentativo di oggettivazione dell’orizzonte d’attesa, costituito dall’esperienza dei lettori: anche un’opera nuova, quando presentata, si innesta in un sistema di ricezione ben definito, risveglia ricordi di letture previe. Il modo in cui l’opera si relaziona con le aspettative diventa criterio del suo valore estetico. La ricostruzione del suo orizzonte d’attesa interno aiuta a capire come l’opera possa essere stata interpretata in passato, e mette in dubbio l’atemporalità del testo. 9) BARTHES - Da “Il brusio della lingua”: la difficoltà di trovare un principio di pertinenza per l’analisi dipende forse dall’innata impertinenza della lettura. Ogni lettura è attraversata dal Desiderio, o dal Disgusto: è la prova di un erotismo della lettura, apologo del quale si trova in Ricerca del tempo perduto di Proust, in cui il Narratore si chiude nei suoi cabinets di Combray a leggere. Il soggetto lettore è dunque interamente trasportato nel registro dell’Immaginario, instaurando un rapporto dualistico con il libro. Inoltre, durante la lettura, nel corpo si mescolando tanti moti diversi che danno luogo a un corpo sconvolto, ma non frantumato. Se il lettore è il soggetto per eccellenza, il campo della lettura è il campo della soggettività assoluta: è un’emorragia permanente. Difficile ridurre questi concetti ad una scienza. 5. Il postrutturalismo, le teorie femministe e postfemministe. La critica genetica Il poststrutturalismo non è un fenomeno univoco: si configura come fase critica che storicizza il mutato orientamento di pratiche e teorie critiche, accostandosi al termine “decostruzionismo” sullo scenario postmoderno. E’ caratterizzato da un atteggiamento di sfiducia nei metodi dello strutturalismo, con il quale però non è in conflitto - è il momento storico che cambia: si critica la relazione significato-significante e il rapporto langue-parole, che si raddoppia in voce-scrittura. Si verifica uno spostamento dalle teorie logocentriche verso la distanza fra cose e parole, legandosi poi alla filosofia - Foucault, Lacan, Derrida, Kristeva, o concetti che evidenziano il carattere decostruito del racconto, come la parodia, la carnevalizzazione di Bachtin. E’ una messa in crisi della conoscenza. Barthes mostra l’evoluzione fra le due fasi della critica in S/Z, riscrittura critica del Sarrazine di Balzac, in modo paradigmatico. Il decostruzionismo. Culler è uno fra i primi teorici del poststrutturalismo (“il termine poststrutturalismo viene usato per una serie di discorsi in cui è presente una critica di nozioni oggettive e un soggetto in grado di conoscersi - femminismo, psicanalisi, marxismo e storicismo ne fanno tutti parte”). I termini base rimangono stabili: ci si fonda sull’opera di Derrida, secondo un metodo asistematico alla Poulet. Il contesto italiano, tranne qualche prestito linguistico dall’opera derridiana, risulta poco fertile per l’aspetto critico di questa nuova wave, forse per una sorta di autocorrezione dei limiti dello strutturalismo. La critica decostruzionista. Derrida spiega che non si tratta nè di un’analisi nè di una critica, nè tantomeno di un metodo. Si tratta di un’esplorazione della logica testuale in testi letterari. Si parla, dunque, di lettori e lettura. Hartman si interroga sulla natura paradossale della lettura, Bloom viene implicato nel decostruzionismo con Il canone occidentale (rapporto fra agon - antagonismo - e anxiety), Miller definisce il lettore come parassita, De Man esplora lo statuto allegorico del testo e la sua divisione in significato letterale e soprassenso - oggetto della decostruzione, e non come per Benjamin metafora di svuotamento -, come anche il concetto di ironia. La tecnica del close reading è ritenuta come la più efficace perchè assume la stessa natura del suo oggetto, diventando atto creativo, e segue il testo passo passo, accettando il possibile fraintendimento (oppositori la denunciano come dislettura, e illusoria liberazione dai fondamenti metafisici). Le critiche femministe e postfemministe. In La deuxiéme sexe, Simone de Beauvoir lancia lo slogan “donne non si nasce, lo si diventa”, sulla linea di tendenza inaugurata dalla Woolf con il concetto di “stanza tutta per sè”. Dopo gli anni Settanta si passa, da una richiesta base di uguaglianza sociale e culturale, a un dibattito nei confronti della psicanalisi maschilista, mantenendo comunque - come con la De Lauretis - tratti di continuità con l’esperienza precedente, inaugurando il postfemminismo. Si approfondisce il carattere “altro” della donna, a partire dalla criticata “invidia del pene” postulata da Freud, con Derrida. La critica al logocentrismo si sovrappone a quella al fallogocentrismo. La figura della donna costituisce un passaggio fondamentale anche per la creazione dell’idea di uomo: il concetto di alterità al femminile si rovescia, diventando luogo dell’autocoscienza. La Irigaray approfondisce, contrastando Freud, lo stato di differenza come con correzioni, alla sovrapposizione di strati: viene da lui ripreso il termine di critica genetica, che nel contesto degli studi su Mallarmè è applicabile anche a Contini. 8) CORTI - Da “Avantesto”: questo vocabolo è utilizzato da un punto di vista filologico e filosofico. I foglietti degli autori appartengono ad un’area avantestuale dell’opera vastissima. L’accezione filologica del termine, per Stussi, è l’insieme di frasi precedenti la stesura finale, anche se ben definite. Dal punto di vista filosofico, ciò che conta è lo spunto iniziale, il carattere quasi divino del partorire letterario. Sereni: “Il primo verso lo danno gli dei e tutto il resto viene da elaborazione successiva”. Goethe affermava che tutti sono plagiari, che l’invenzione è un miraggio. L’avantesto, ad ogni modo, deriva da una condizione di disposizione a cercare (Valery), a riempire un vuoto, attendere una caduta nella realtà: poi c’è l’intervento del Caso - Jakobson e la felicità dei refusi di stampa per Chlebnikov; le parole sanno giocare da sè. 9) SAVOCA - Da “Lettera aperta a Oreste Macrì”: risposta alla lettera di presentazione della Concordanza delle poesie di Quasimodo. Savoca, dopo anni dedicati a Palazzeschi, decide di dedicarsi un po’ al divertimento. Il tema delle concordanze lo affascina: in larga maggioranza, sono quelle che non ci sono; meno, quelle che avrebbero potuto esserci - si tratta di concordanze in absentia. Spiega come per lui siano diventate una fissazione. Si chiede se siano documento neutro o frutto interpretativo. Dice poi che sta lavorando al computer ad un automa concordatore, e cita i primi “bugs”. 6. La critica militante. La saggistica. La critica degli scrittori Per militante s’intende chi mira a difendere determinati principi partecipando alla vita letteraria e artistica contemporanea. Quindi: impegno, contemporaneità, opposizione verso la critica accademica - a volte. Il critico militante per antonomasia è Croce. Le forme di questa critica sono la recensione, l’articolo e il saggio. La storia di questa critica è quella degli autori, delle riviste, delle poetiche e dei movimenti letterari - alle generazioni poetiche si potrebbero far concidere delle generazioni critiche. Nella sua fase impegnata, la critica militante diventa propositiva, tramite riviste come Il Politecnico - di Vittorini, che pubblicò prima Una nuova cultura. Alla figura del critico-saggista, creata da Fortini, è affidato il compito di stabilire i bilanci negativi nei confronti di tutta una fetta del Novecento, e da qui la tendenza a ricostruire, a definirsi come critica “antagonista” sia per lo spirito nei confronti degli specialisti, sia per la ritrovata esigenza di gusto, valori e via dicendo. La critica degli scrittori. Anceschi proponeva la divisione della critica in base alla specializzazione del critico (saggista, filosofo, scienziato...) ed è sua la definizione di critica dei poeti - dove un poeta critico è uno scrittore che non fa solo critica, e quindi la sua ideologia critica è legata alla sua produzione. Poi ci sono gradazioni di questo fenomeno, ma la riflessione sulla propria creazione è necessaria. La filosofia della composizione di Poe assume sempre più importanza. Per esempio, Gli Ismi contemporanei di Capuana, opera che inaugura la contemporaneità, va letto secondo la concezione di Capuana narratore. Temi come quello borgesiano del “tempo di edificare”, o come quello del rapporto con il lirismo (conseguente l’asse creatosi, Petrarca-Tasso-Leopardi) diventano centro del dibattito. La critica ungarettiana si incentra solo sulla storicizzazione e l’interpretazione della poesia, mentre quella di Montale appare più eterogenea, sulla linea di un “testimone partecipe” - Dante, Mallarmé, Valery, Svevo, Pound, Eliot, Joyce. Acuto lettore di Montale fu Solmi, che nella sua opera approfondì anche uno sguardo d’insieme sul romanzo - sul quale Gadda si era precocemente soffermato, ma anche Landolfi. A questo versante narrativo si accosta la terza generazione poetica, che mira a creare un canone novecentesco (quasi tutti ermetici), esordiente su Campo di Marte e Corrente. La definizione di critica ermetica è più legata alla presenza di ermetici che alla correttezza della definizione - vedi Luzi e Bigongiari. Negli anni centrali di questo secolo, invece, le diverse generazioni vengono legate dall’esperienza comune della neoavanguardia (o gruppo ’63). Tutti i maestri del primo Novecento vengono riletti alla luce dei grandi risultati acquisiti nel tempo, lasciando tracce in grandi personalità (Pasolini, Fortini, Sanguineti, Eco, esperienze diversissime), che avrebbero poi dibattuto sulla tecnologia, sulla sperimentazione. Questa critica degli scrittori ha contribuito a creare l’immagine di una letteratura eretica - da Passione e ideologia, prima trasformazione da modernità a contemporaneità, al Calvino di Lezioni americane e Collezione di sabbia). TESTI. 1) ANCESCHI - Da “Fenomenologia della critica”: De Robertis rappresenta in Italia il critico-poeta, parlando di critica come collaborazione alla poesia nell’ottica di un’idealogia dello stile. Afferma, Anceschi, anche che la filosofia del critico nasce nel e dal suo fare critica; critica, infine, come genere letterario. La filosofia come tale, in quanto sistematica, poco eretica, non è vicina al critico-poeta, che pone come base del suo lavoro le eversioni. Se il poeta adopera nella critica i principi della sua poetica, il critico-scrittore - per quanto riguarda la valutazione - applica i criteri derivanti dalla situazione artistica di cui lui stesso fa parte. A loro volta, anche i saggisti sono scrittori, e agiscono indirettamente sulla critica, secondo i connotati propri dell’etimologia del loro nome (assaggiare, pesare, sperimentare). La loro attività consiste nel puntare col dito limitazioni dogmatiche, esigenze disattese, l’hic sunt leones di zone inesplorate - fa poi un’esempio riguardante un’operazione di Addison riguardo i concetto di “wit” secondo Locke. 2) CROCE - Da “L’avversione alla letteratura contemporanea”: sentimento che viene motivato quando si riconosce nel nuovo soltanto la volontà del nuovo, che sottosta ad un’immagine vile della poesia. Che nascano o meno opere belle, è necessario stringersi al patrimonio preesistente. La letteratura militante gli infonde repugnanza, perchè pone sullo stesso piano grandi opere e cose inutili: si tratta di un fenomeno che esiste da sempre. L’utilità dell’arte passata è proprio quella di capire, in base a tali conoscenze, cosa nel presente sia arte o no. Nonostante questo discorso, chiude dicendo che spesso è stato severo, sì, ma ha contribuito anche a rendere giustizia ad opere di valore. 3) DE ROBERTIS - Da “Scritti vociani”: ciò che conta è creare le basi per una nuova poesia moderna, additando tutti gli errori di mosse affrettate, preparandosi al carattere politonale che necessariamente la nuova lirica presenterà. Sarà necessaria una critica schietta, senza commento - la parola già vive da sè -, dando valore alle parti belle e scartando le altre. Bisogna compromettersi, agendo, cercando di lavorare sulle opere che creano logiche e leggi proprie. 4) VALERY - Da “Varietà”: pochi sono i grandi artisti che suscitano la curiosità di conoscere il loro vero e intimo animo. Mallarmé è fra questi: il suo sistema di speculazioni sulla poesia appare un’opera quasi infinita, partendo dal fatto che la Poesia è il limite verso cui ogni poema tende, e poi, compreso questo, si era messo alla ricerca dell’elemento puro. Il sentimento attuale che si ha della poesia è che si tratti del frutto dello stato istantaneo dell’autore - concezione non del tutto errata, ma che attribuisce valore solo all’eccezionale e non alla costanza. Mallarmé si ricostruisce in base alla propria riflessione rimanendo duro col proprio genio. La sua riflessione poetica concide con quella sul linguaggio, che però si configura in modo estremamente personale, capendo il linguaggio come se l’avesse inventato lui stesso. 5) ELIOT - Da “Nota su cultura e politica”: la cultura oggi attrae l’attenzione dei politici e ne diventa strumento, facendoci dimenticare della sua natura. Il problema è che in una società divisa in strati, la possibilità di fare politica appartiene ad un’elite, principio ovviamente inadeguato: il contatto fra elite politica e le altre risulterebbe quasi come un confronto fra uomini d’azione e di pensiero, con spiriti diversi. La società corre un pericolo quando non c’è un confronto effettivo fra queste elite disorganiche, piene di tycoons; coloro che si incontrano unicamente in casi molto seri, non si incontrano davvero. La congenialità di qualsiasi circolo di amici si basa su comuni rituali, convenzioni simili. Altrimenti, c’è una limitazione. - Da “Ulysses, ordine e mito”: il libro di Joyce viene considerato come aspetto più importante dell’epoca moderna, e se ne devono spiegare gli aspetti ancora non fissati. Fra le varie critiche lette nessuna tiene conto del metodo impiegato - parallelo con l’Odissea e uso di stili e simboli sempre appropriati, commenti sulla struttura intesi da molti come struttura fine a sè stessa per lamentarsi del dadaismo incipiente. Aldington considera Joyce portatore del Caos morale e strutturale, un calunniatore della società, un po’ come Thackeray con Swift, che però poi si ricrede. Eliot mira, come Aldington, a trovare opere che si circoscrivano nel classicismo (inteso non come opposto al romanticismo, ma come segnanti a partire dal materiale e dal tempo e luogo). Il parallelismo dell’Odissea assume quindi enorme importanza, in quando nessuno aveva mai costruito un romanzo (termine forse poco corretto, frutto di un’altra epoca, terminato con Flaubert e James) così. Utilizzando il mito, Joyce crea un metodo da lasciare ai posteri; il metodo mitico sostituisce il metodo narrativo, unendo arte e mondo moderno. 6) UNGARETTI - Da “Saggi e interventi”: l’arrivo di Valery a un seggio dell’Accademia di Francia non deve sorprendere perchè, come il suo predecessore, Valery conserva il prestigio culturale francese. Qualche anno fa era noto a pochissimi, fra cui Gide, che voleva pubblicasse sulla Nouvelle revue française. Poi aveva cominciato a pubblicare, seducendo i giovani, turbandoli: si era al contempo reso conto di quanto fosse limitante ridurre la vita in problemi letterari, e l’aveva detto. Meditava: riflette sull’uomo; è la fase del suo narcisismo. Nel secondo dopoguerra, i lettori cercavano un’opera che rinfrancasse: e, senza rimpicciolire l’opera di Valery, la sua eccelsa fama è risultata sì dalla qualità, ma anche dall’opportunità. Non crede al mistero, ma a blocchi di buio da diradare con disciplina: è importante quindi perchè ha sanato il dissidio fra convenzione e creazione, miracolo e mestiere. 7) GADDA - Da “I viaggi e la morte”: Gadda dice che la sua tendenza all’essere preso a calci dal destino l’ha spinto verso il romanzo, al quale chiedeva un fascinoso mistero, che si relazionasse con quelli che l’hanno preceduto e lo seguiranno. Il neorealismo, dunque, appare come nudo nocciolo: i fatti non vengono coordinati, sono granulari, senza struttura, e i suoi personaggi sono tutti simboli - da Gadda aborriti. I neorealisti poi trattano tali temi come sentendosi offesi, chiedendo giustizia, dando una serietà tale al referto che non ammette repliche o ambiguità meravigliose. Un lettore di Kant non può credere in una realtà così oggettivata: la letteratura, il romanzo neorealista, deve essere integrato con una realtà noumenica sottostante. 8) MONTALE - Da “Nel nostro tempo”: la critica sembra sempre più il genere del nostro tempo, dice, spostandosi da post factum ad attività anticipatrice. Non si guarda più solo alla parola, ma alla congruenza dell’opera nel suo quadro: i materiali devono essere chiari, o il poeta riprenderà il carattere aborrito e intuitivo dell’opera d’arte. Non si considerano più gli oggetti assoluti, ma i rapporti. Come la vita si basa sul significato che le imponiamo, la stessa cosa vale col mondo: se chi lo interpreta proclamerà il bene o il male, intercambiabile, il mondo potrebbe presto finire. Il
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