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Teorie del film documentario - Oliver Fahle, Schemi e mappe concettuali di Teoria Del Cinema

Riassunto del libro Teorie del film documentario di Oliver Fahle

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

In vendita dal 16/02/2024

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Scarica Teorie del film documentario - Oliver Fahle e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! TEORIE DEL FILM DOCUMENTARIO CAPITOLO 1 Registrare, documentare Nel 1839 Daguerre realizzò il primo processo fotografico per lo sviluppo di immagini chiamato dagherrotipia. Nacque la fotografia che venne descritta come la “matita della natura”. Anche se le sue caratteristiche la rendono affini all’evocazione del reale, affinché una fotografia possa diventare un documento c’è sempre bisogno di una contestualizzazione. Benché le immagini digitali siano messe più in dubbio, la fotografia è ancora uno strumento importante per documentare. Da un lato il documento fotografico è considerato parte integrante del giornalismo, dei mezzi di comunicazione di massa e della ricerca scientifica. Dall’altro la fotografia va oltre la funzione documentaria e acquisisce significato come attività artistica. All’inizio, però, l’attenzione fu riservata quasi esclusivamente alla riproduzione tecnica della realtà. Il concetto di documento si affermò soltanto nel 1880. Innumerevoli spedizioni documentarono nei decenni successivi i “selvaggi”, la cui scomparsa andava inventariata. Nei primi decenni dopo la sua invenzione la fotografia era considerata il simbolo della verità neutrale. Fra i più significativi dibattiti sullo status della fotografia come mezzo di riproduzione della natura e della realtà ci fu il Pittorialismo. (1890-1910). Il Pittorialismo fu il primo movimento a sostenere che la fotografia non si esauriva nel ruolo di riproduzione, ma doveva essere riconosciuta come strumento artistico, rinunciando alla possibilità di riproduzione precisa, inserendo l’infedeltà al dettaglio e la sfocatura. Uno dei principali pionieri di questo movimento fu Peter Emerson. La fotografia, che rappresentava un linguaggio nuovo, venne confermata come arte, a partire dal 1920. Era considerata un’arte a metà tra precisione tecnica e espressività soggettiva. Le immagini non erano più considerate come una rappresentazione corretta della realtà. Nella sua storia la fotografia è stata spesso vista come medium messo in rapporto con la storia sociale e capace di influenzarla (guerre, interpretazioni del New Deal, società dei costumi). L’ingresso della fotografia nella società di massa fu accelerato dalla stampa, dai manifesti per le riviste, ma anche da programmi governativi (New Deal). Le fotografie consentono una visione precisa, ma portano anche alla frammentazione e alla perdita di un ordine. Le immagini documentarie sono rivelatrici quando non riproducono soltanto ma quando chiamano in causa la visione, cioè hanno anche bisogno di un contesto, della fantasia nella realtà. Ambiente e attualità All’inizio degli anni 30 il termine documentario appariva sempre più spesso. A introdurlo per la prima volta, nel vocabolario francese (documentaire), fu Grierson, anche se il vocabolo era già noto grazie ai film di viaggio dei fratelli Lumiere che inviavano i loro cineoperatori a fare riprese in diversi continenti. Grierson fece ricorso a questo termine per recensire il film “L’ultimo Eden” che illustrava la vita degli abitanti di Samoa. Alcuni anni dopo la visione de “L’ultimo Eden” Grierson elaborò i principi del documentario. << Il documentario, o elaborazione della realtà, è un’arte nuova che non ha lo stesso background che il prodotto realizzato in studio mostra di possedere>>. In questa definizione emerge l’idea che documentare significa restituire una realtà che esiste anche al di fuori del film. La registrazione della realtà empirica richiede però un’elaborazione creativa, vale a dire l’uso di strumenti di estetica cinematografica. In origine la teoria del documentario non presupponeva che documentare potesse voler dire restituire la realtà senza alterazioni. A riguardo ha avuto anche la tendenza a distinguersi dal cinegiornale. Le 3 caratteristiche, identificate da Grierson, che caratterizzano un film documentario sono: - Non fotografa avvenimenti costruiti su sfondi artificiali. - Devono ricorrere ad ambienti, uomini e luoghi reali. - Gli argomenti e i racconti devono essere ricavati dagli ambienti e collocati entro di essi. A definire il documentario non è dunque il modo di utilizzare la cinepresa o il montaggio ma l’attenzione al contesto. Può anche essere poetico, basta che il soggetto si basi sulle condizioni della realtà prefilmiche così come sono. Fino agli anni 50 i documentari dipendevano dal sostegno finanziario delle istituzioni statali che li producevano per interessi di propaganda politica o nazionali. Hollywood si rifiutò di inserire i documentari nella sua programmazione fino a quando “The River” convinse la Paramount alla proiezione. Realtà e verità L’occidente ha riservato grande attenzione al cinema russo degli anni 20. L’estetica delle immagini e il montaggio influenzarono molto il cinema occidentale dell’epoca. Tra i film documentari spicca “L’uomo con la macchina da presa” di Vertov. A renderlo diverso è la continua riflessione del film sulla pratica della ripresa cinematografica. “L’uomo con la macchina da presa” non fa altro che riprodurre il film che si sta guardando. Vertov giustificava l’attività documentaria, come rifiuto della narrazione eroica e romantica, e proponeva un rinnovamento dello sguardo grazie alla cinepresa e al montaggio. Per Vertov il film è dunque uno strumento informativo dotato del cosiddetto “cineocchio”. Il “cineocchio” si contraddistingue dallo sguardo umano per 3 aspetti: - È incorruttibile; - Vede dove l’occhio umano non riesce a vedere; Mentre “Nanuk l’eschimese” piega il film documentario a un’argomentazione, le vedute sono espressione di una curiosità visiva, un’esplorazione dello sguardo e un rapporto fra chi osserva e chi è osservato. Il cinema delle origini va descritto come un conflitto fra questi film, che organizzano uno scambio di sguardi, e altri, che cercano di tenere lo spettatore quanto più possibile fuori dagli eventi, come facevano i cineasti dei fratelli Lumiere che tenevano i curiosi fuori dalle inquadrature. CAPITOLO 2 Direct cinema A partire dal 1960 il cinema documentario entrò in una nuova fase grazie alle evoluzioni tecniche. Gli apparecchi da ripresa più leggeri coincise con lo sviluppo di una pellicola 16 mm più sensibile alla luce. Il suono sincrono permetteva di girare dove si voleva, mentre la macchina da presa, divenne più silenziosa. Prima di questo periodo, le voci o il suono erano aggiunte in un secondo momento. Raggiunsero la fama i film di Drew Associates, anche grazie alla realizzazione di documentari che utilizzarono le nuove tecniche. Noto è “Primary” che utilizzava le nuove tecniche di ripresa. Questo film è anche il primo del genere direct cinema. Primary parla della campagna del partito democratico. La cinecamera è sempre a ridosso dei protagonisti e mostra non solo i discorsi elettorali e le conferenze stampa, ma anche i preparativi per le apparizioni pubbliche, i momenti privati e le scelte strategiche durante la campagna elettorale. Nel cinema documentario non era mai stato girato uno sguardo di una tale densità sui retroscena. I registi garantirono di non richiedere o suggerire nessuna azione. La possibilità di catturare immagine e suono contemporaneamente è una svolta epocale per il documentario. L’approccio giornalistico divenne il segno distintivo del nuovo cinema documentario. Da questo momento i film documentario si può facilmente distinguere dal film di fiction. Il documentario si distingueva dal film di fiction, oltre per l’immagine e il suono, anche sul piano tematico, perché poteva addentrarsi in ambiti che prima non erano stati facilmente accessibili sul piano audiovisivo. Questo movimento era stato preceduto, negli anni 50, dal free cinema che documentando lo stile di vita della classe operaia britannica trattava argomenti di vita quotidiana e di attualità sociale. Anche il free cinema, come il direct cinema, rinunciava al filo conduttore del commento e a una drammaturgia prestabilita, a favore dell’accoppiata di impressioni visive e acustiche. Nel direct cinema se prima gli emarginati (stranieri, lavoratori …) comparivano solo come comparse ora prendono parola e parlano in prima persona. Contemporaneamente al direct cinema si affermò il cinema veritè, una corrente storico- cinematografica che si avvale delle nuove condizioni tecniche. Direct cinema e cinema veritè vengono utilizzati come sinonimi, ma presentano una differenza importante. Nel direct cinema i registi non compaiono in prima persona e si nota la loro presenza solo indirettamente, mentre nel cinema veritè i registi appaiano nel film e sono parte della realtà documentaria. I registi compaiono, interagiscono e costruiscono situazioni. L’affermarsi di questi due movimenti produce un paradosso per cui il film documentario diventa riconoscibile come genere a sé, ma allo stesso tempo si fa più sottile il confine con la finzione. La cinepresa portatile e il suono diretto permettono di abbandonare la posizione centrale per muoversi velocemente all’interno dell’inquadratura. Il suono diretto varia, a seconda della distanza dalla cinepresa, i tagli diventano più bruschi e frammentati. L’impressione che la cinepresa e il suono siano parte della realtà viene subito messa in discussione in quanto la pluralità delle voci obbliga a mettere qualcosa in primo piano piuttosto che qualcos’altro. Nella molteplicità vera non è consentita nessuna distinzione tra priorità e questioni secondarie. Inoltre, c’è sempre una manipolazione legata alla scelta delle inquadrature, delle angolazioni, delle scene e via dicendo. Lo scopo del direct cinema non è svelare ricorrendo a un metodo diretto (ad esempio telecamere nascoste) ma favorire un clima sociale di denuncia. Indice, movimento e suono Il suono è diventato un tema sempre più importante per la teoria del documentario. La nuova attenzione sul suono porta a diminuire quella legata all’immagine. Un suono non può mai essere considerato indipendente dall’immagine. Il suono è un qualcosa di fortemente manipolabile. Alcune proprietà fisiche del suono originale vengono ampliate o manipolate per ottimizzarlo. Il suono può essere utilizzato per documentare con funzioni diverse, ad esempio il voice over. La voce fuori campo trasmette autorevolezza e si addice, per la sua separazione dal corpo, a esprimere in modo credibile; se invece si vede un giornalista nel mezzo di uno sciopero delle sue affermazioni si è portati a dubitare perché il suo corpo e la sua voce sono localizzabili. L’immagine digitale dipende da una conversione della luce in valori digitali; quindi, la realtà diventa quantificabile in pixel. È sorprendente come il cinema si avvicini alla realtà, anche se una distanza psicologica fra la percezione della natura e quella cinematografica rimane. Il cinema ha la capacità più di tutti gli altri media di accarezzare l’idea della perdita di distanza, anche se ciò non accadrà mai. Esperienza cinematografica non significa solo che lo spettatore guarda l’immagine, ma che guardando sperimenta in prima persona quell’esperienza. Il film non rappresenta oggetti ma la trasformazione e quindi il tempo. Per esempio, il volto che si vede nell’immagine si trasforma davanti all’occhio della telecamera è tanto reale quanto fittizio. Il documentario sarebbe quindi un film che pratica e osserva la realtà della trasformazione ma anche la trasformazione della realtà. Modalità e funzioni Durante gli anni 90 ha preso vita un dibattito che ha cercato di considerare il documentario come oggetto di un’indagine scientifica. Renov elenca quattro caratteristiche che formano le condizioni di esistenza di un documentario: - Registrazione, riproduzione, rivelazione: custodisce avvenimenti e ricordi e li ri-discorsivizza in tempi successivi. - Promuove sempre anche convinzioni implicite, quando non mirano solo a convincere i destinatari della realtà rappresentata. Quasi tutti i documentari si propongono di presentare la verità e, di conseguenza, intendono anche persuadere ad accettarla come tale. - Indagine del mondo reale e discorso critico. Per assolverle adottano metodi come l’inchiesta e l’intervista e ne sfruttano la funzione di mostrare e rivelare. - L’impiego più o meno palese di mezzi filmici. Queste procedure si compenetrano. Il documentario svolge una funzione culturale, l’affermarsi di questo linguaggio risponde al bisogno sociale di comprendere o consolidare idee oggettive, verità. I documentari non seguono per forza le regole che presiedono alla creazione di un mondo fiction: gli attori possono guardare in macchina, si può utilizzare il voice over, il passaggio fra epoche storiche e luoghi diversi non rappresenta un problema, non è soggetto a un metodo formale come il continuity editing (legge del taglio invisibile). Per quanto concerne il montaggio i documentari adottano il montaggio evidenziatore, guidato dalla necessità di presentare una logica del mondo storico. La logica dell’evidenza permette la persuasione e convincere lo spettatore delle rappresentazioni. I documentari non sono quindi riproduzioni ma rappresentazioni. Mostrare solo persone reali non è convincente, esse devono anche esporre proposte convincenti sulla vita e sugli avvenimenti per consentire una visione diretta. Dunque, la fiducia di entrare in rapporto con questo mondo grazie ai documentari non esiste a priori, ma va costruita. A monte c’è solo il desiderio di sapere qualcosa del mondo storico. Il documentario differisce dal film di fiction anche perché il destinatario del documentario affronta il film con la volontà di sapere, che tuttavia non può mai consistere in una visione della realtà libera da pregiudizi. I documentari sono anche meno enigmatici e hanno meno bisogno di interpretazioni confronto la fiction. La voce è il luogo in cui si raccolgono i bisogni e i desideri della società; Nichols analizza sei modalità di utilizzo: - Modalità poetica: pone l’accento sugli approcci visuali, ritmici e formali del documentario. - Modalità descrittiva: si basa sul commento e sulla forza dell’argomentazione e della spiegazione verbale. - Modalità osservativa: indica la pura osservazione oggettiva e diretta degli avvenimenti. - Modalità partecipativa: privilegia l’interazione tra il mondo del film e i registi, che spesso compaiono davanti alla macchina da presa come attori. - Modalità riflessiva: approfondisce nel film il tema della produzione documentaria cinematografica. - Modalità performativa: respinge la possibilità di un documentario fedele alla realtà. Etnofiction Caratteristica di molte rappresentazioni visuali della realtà è quella di essere avvalorate dallo sguardo che si considera superiore di un soggetto bianco di sesso maschile. Questa caratterizzazione è frutto di pregiudizi, desideri e fantasie patriarcali e coloniali. A rappresentare una cultura nel suo complesso non ci sono solo i discorsi minoritari, esempio bianchi di classe alta, ma le narrazioni collettive e seriali, che solo la narrazione di un popolo è capace di creare. Il documentario si eleva anche a strumento politico. Questo metodo di paziente osservazione dei processi sociali è chiamato “Observational mode”. Il cinema etnografico non è un ramo del cinema documentario, ma piuttosto, una corrente che indaga la società globale come combinazione di culture e identità divergenti. Film-saggio Negli anni 60 il video inizia ad essere impiegato sia nella vita artistica sia nella vita quotidiana, nasce così il “film-saggio”. Grazie ai social come YouTube il film-saggio è diventato fortemente praticato. I confini tra saggio, diario ed espressione delle proprie idee diventa un confine labile. Il film-saggio presenta molti punti in comune con il documentario. Le sue caratteristiche sono: - Intervento critico caratterizzato da un atteggiamento personale rispetto ad una realtà storica. - La soggettività. L’autore si rivolge in modo diretto allo spettatore. Il soggetto mette in discussione verità e sapere e indirizza lo sguardo contro i punti di vista dominanti. - L’autoriflessività. Un film-saggio custodisce la riflessione critica della propria posizione e del proprio luogo di espressione. - Composizione delle immagini. Il film-saggio va contro le forme di narrazione precostruite. - Immagini d’archivio. Si utilizzano spesso immagini d’archivio che non vanno intesi come documenti ma piuttosto sono utilizzate per guidare e controllare gli sguardi - L’idea che il discorso oggettivante sia impossibile. I film-saggio vanno concepiti come attività del pensiero. CAPITOLO 4 Affetto e post-documentario Al giorno d’oggi i documenti non sono più soltanto disponibili in archivi, musei o mostre, ma spesso vengono prodotti, elaborati e distribuiti istantaneamente. Non avviene più il processo di identificazione, conferma, classificazione, cronologizzazione e sequenzializzazione, ma i processi sono disperati ed è più difficile classificarli. Questa nuova modalità di trattare i documenti può essere definito post-documentario. Il termine post non sta ad indicare la fine del documento ma la fine della vecchia modalità di analisi. I video sui social portano ad una accelerazione degli aspetti emotivi che contraddice l’oggettività. In parte questo aspetto emotivo è tenuto sotto controllo e in parte esplode. La grande quantità di apparecchiature usate per documentare può mettere in moto processi investigativi. Pensiamo a George Floyd che è stato arrestato e maltrattato; queste informazioni ci vengono da tutti i dispositivi che hanno ripreso la scena. È sorprendente con quanta precisione dispositivi diversi sommandosi possono dare all’evento una prospettiva priva del controllo di un regista. Il risultato non è un documentario classico, ma un filmato che attraverso la frammentazione dei singoli sguardi consente di ricomporre la realtà empirica. L’ordine del post-documentario è basato su questo uso di immagini e suoni anonimi e non intenzionali. Le diverse registrazioni vengono spesso affiancate ad un voice over perché le immagini mostrano i fatti ma non spiegano il perché. Spesso si utilizzano anche dati numerici per riuscire ad avere un quadro più generale. Non si va più alla ricerca di una rappresentazione autentica della realtà nell’immagine isolata ma si raggiunge l’oggettività tramite tanti frammenti di dati e immagini messi insieme per creare un quadro unico. Non si tratta più di stabilire se ci siano delle riprese su un evento ma quante e come ce ne siano. Narrazione, falso documentario e animazione Una reazione alle problematiche di oggi (frammentazione e accumulo di materiali) è il ritorno alla narrazione. Narrare è un’operazione di finzione che aggiunge al documentario qualcosa che si presuppone non esiste; perciò, rimane da chiedersi fino a che punto l’ordine narrativo e organizzare i fatti ne stabilisca la realtà. Mentre il documentario è in grado di formulare un discorso narrativo come il film di fiction, si differenzia da quest’ultimo perché fa riferimento a un enunciatore reale, interrogabile. Il documentario, intorno al 1995, si è liberato dagli schemi rigidi imposti per usare schemi fino a quel momento riservati alla narrazione di finzione: - Il regista non è tenuto a comparire in prima persona o a farsi sentire tramite un voice over. - Vengono creati quegli spazi come il campo/controcampo, continuity editing, soggettiva. - Le persone non vengono interpellate solo in veste di testimoni ma elaborate come costruzione di persone possibili. - Inserimento di una struttura narrativa che organizza i cambiamenti. Ne deriva uno spazio d’azione. Tuttavia questi materiali non fanno prevalere il racconto al materiale documentario. Documentare e raccontare non sono in contrapposizione, si trovano piuttosto in un processo di avvicinamento e integrazione. L’utilizzo di una struttura narrativa aumenta le probabilità di allargare il pubblico degli spettatori, inoltre molti argomenti affrontati in questi film ricevono un’attenzione globale perché trattano spesso temi nazionali. Ci si imbatte nei documentari narrativi anche perché il pubblico ha bisogno di una organizzazione dei tanti frammenti di dati e misurazioni. Esistono anche film di fiction che si presentano come documentari: mockumentary (falso documentario). Un falso documentario utilizza i mezzi creativi del documentario e si presenta come tale, ma è un film recitato. Al giorno d’oggi sono aumentati i documentari animati. Ci sono tre concetti per definire il documentario di animazione: - Sostituzione mimetica: immagini disegnate sostituiscono quelle reali perché non esistono riprese dell’evento. - Sostituzione non mimetica: riguarda fatti che possono rinunciare a essere fedeli alla realtà anche se l’intenzione è documentaria. - Evocazione: le animazioni devono consentire esperienze irrappresentabili non per ragioni storiche ma sostanziali. Ad esempio stati mentali, virus, microbi. I documentari animati ci offrono una prospettiva aumentata della realtà presentandoci il mondo con un’ampiezza e una profondità che il film dal vero non può dare. Documentare con il giornalismo virtuale La dimensione documentaria è sempre più sotto pressione sia perché oggi viviamo nell’epoca dei documenti di rete sia perché le possibilità di manipolare immagine e suono sono aumentate. Per questo motivo giornalismo e la produzione documentaria vengono ridisegnati. Autenticità è una parola magica dell’odierna comunicazione mediale. Solo ciò che appare autentico è credibile. L’autenticità non ha nulla a che fare con la verità, ma con la credibilità. L’autenticità è suscettibile a manipolazione. L’autenticità deve apparire naturale, pur essendo frutto della messa in scena. Chi vuole comunicare con autenticità non lo può dire perché susciterebbe il sospetto contrario. Se si vuole apparire autentici bisogna dare l’impressione di apparire naturali, ma proprio questa impressione si può costruire solo tramite la messa in scena. L’autenticità dipende anche e soprattutto dai social media e non è una caratteristica specifica di una persona. (visione che abbiamo di Putin e di Zelenskij). Non è possibile controllarne il funzionamento di una messa in scena pianificata.
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