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Teorie e pratiche dei gruppi nella prima infanzia, Appunti di Sociologia Dei Gruppi

Appunti discorsivi e completi delle lezioni di "Teorie e pratiche dei gruppi nella prima infanzia" (anno 2022-2023) della prof.ssa Monica Pivetti. Seguendo questi appunti è stato preso 30 all'esame.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 12/09/2023

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Scarica Teorie e pratiche dei gruppi nella prima infanzia e più Appunti in PDF di Sociologia Dei Gruppi solo su Docsity! TEORIE E PRATICHE DEI GRUPPI NELLA PRIMA INFNZIA PROGRAMMA: PSICOLOGIA SOCIALE Libro: Myers, Twenge, Marta e Pozzi (2019). Psicologia sociale. McGraw-Hill. (Solo i cap. 1, 3, 5, 6, 8, 9, 10, 13). - La storia della psicologia sociale - Il sé in un mondo sociale - Atteggiamenti e comportamenti - Conformismo e obbedienza - Integrazione nei gruppi - Il pregiudizio - L’aggressività - Conflitto e riconciliazione. TEMI DELLA PSICOLOGIA SOCIALE APPLICATI ALL’INFANZIA Libro: Baumgartner, E., & Bombi, A. S. (2005). Bambini insieme: intrecci e nodi delle relazioni tra pari in età prescolare. GLF editori Laterza. (tutto) - Lo sviluppo sociale in età prescolare - Le relazioni tra pari - Le amicizie tra bambini LIBRO: PSICOLOGIA SOCIALE CAP 1: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA SOCIALE La psicologia sociale si occupa di gruppi, come gli individui si comportano, pensano, percepiscono e si influenzano quando sono nei gruppi. I gruppi sono qualsiasi tipo di gruppo: squadra, tifosi, amici, la famiglia, gruppo classe, amici, gruppi Facebook, aziende (…), comunità, case famiglie, centri diurni. Siamo tutti parte di gruppi diversi anche contemporaneamente: maschi e femmine, italiani e tedeschi (…); contemporaneamente componenti di più gruppi. ALCUNE DEFINIZIONI - La psicologia sociale è lo studio scientifico del modo in cui le persone e i gruppi percepiscono e pensano gli altri, li influenzano e si pongono in relazione con essi. - È la disciplina che collega l’analisi dei processi degli individui con l’analisi delle dinamiche sociali nelle quali i primi sono coinvolti; in particolare studia in modi in cui l’esperienza, l‘attività mentale e i comportamenti si articolano con il contesto sociale (Amerio, 2007). - Studia il modo in cui le persone percepiscono gli altri e interagiscono con loro. Non è un ragionamento filosofico ma le teorie sono basate su ricerche empiriche, scientifiche e in regime spesso controllato. Esempio i ragazzini all’uscita delle scuole medie: i ragazzini si somigliano un po' tutti (vestiti e pettinati…), come se fossero tutti spinti ad avvicinarsi ad un modello, uno standard, una regola. Si avvicinano a quella che viene definita “norma sociale”. Ci sono norme sociali in ogni contesto. Gli psicologi sociali studiano gli individui quando sono nei gruppi, i gruppi quando sono in conflitto tra loro. Studiano questi fenomeni per comprenderne i comportamenti e cercare di migliorarne i processi. Si dice che la psicologia sociale stia a metà tra la psicologia (sulla concezione del singolo), e la sociologia (guarda i fenomeni societari, fenomeni collettivi- the great resignation). La psicologia sociale studia come il singolo pensa, ragiona, interpreta, quando sta in gruppo. Atteggiamenti: opinioni strutturate che abbiamo su alcuni oggetti sociali (gli atteggiamenti politici sono le nostre opinioni politiche); sono una forma/tipo di opinione, molto durevole nel tempo e radicata nelle persone, che abbiamo verso diversi oggetti sociali; la posizione che noi occupiamo verso un oggetto sociale rilevante. Non è solo il comportamento o la condizione. - Atteggiamento è una valutazione favorevole o sfavorevole verso qualcosa o qualcuno, spesso radicata nelle proprie credenze ed esibita nei sentimenti e nel comportamento intenzionale. Interazione all’interno dei gruppi: - Adesione alle norme: siamo spinti a vestirci allo stesso modo, ad uniformarci ad un certo standard; - Leadership: posizioni gerarchiche, ruoli e status; - Maggioranza o minoranza: come si influenzano; - Devianze: cosa succede quando la maggioranza si accorge che c’è un deviante; - Pregiudizio: atteggiamento a priori verso un componente del gruppo solo per il fatto che la persona appartiene a quel gruppo. Giudizio basato solo sull’appartenenza al gruppo e di solito è negativo. Significato del senso comune uguale al significato della psicologia sociale. - Aggressività; - Conflitto: come nasce e come si può ridurre. I CAPISALDI I principi della psicologia sociale sono applicabili alla vita quotidiana. - Noi costruiamo la nostra realtà: approccio costruttivista. C’è una realtà oggettiva al di fuori di noi vista attraverso le nostre credenze/valori. La realtà non è come è fuori, ma è la nostra percezione, la nostra opinione, il nostro atteggiamento che costruisce la realtà. Il nostro comportamento dipende da come noi costruiamo quella realtà. - Le nostre intuizioni/i nostri giudizi possono essere a volte sbagliati (es: il bias della retrospezione); le nostre intuizioni immediate modellano le nostre paure, le nostre impressioni e relazioni (influenzano le nostre azioni), - Quasi scomparsa all’inizio del XX sec., ripresa dopo il 1945 grazie alla collaborazione e ai fondi degli studiosi statunitensi. Dopo la 2°GM comincia una collaborazione tra psicologi sociali Europei e Americani che avevano i fondi per rivitalizzare le ricerche; - 1963: Conferenza Europea di Psicologia Sociale Sperimentale (famosi ricercatori dell’epoca: Tajfel, Nuttin, Moscovici…) a Sorrento; per una psicologia sociale «più sociale»; o Per differenziarsi dalla psicologia sociale statunitense: volevano una psicologia sociale più applicata ai problemi quotidiani delle persone, non a livello del singolo individuo ma a livello di gruppo, comunità. - Critiche alla psicologia Nordamericana: prospettiva troppo individualista; concezione della società come aggregato di individui collegati tra loro da relazioni interpersonali. La società è qualcosa di più della somma degli individui, ci deve essere altro che a che fare con i gruppi cui appartengono i singoli. - Lo sguardo psicosociale: modalità di studiare i comportamenti sociali, orientato da teorie e osservazioni dirette dei rapporti tra persone e gruppi in uno specifico contesto sociale. o comportamenti sociali: comportamenti degli individui quando sono insieme agli altri, in termini di gruppi quando sono in relazione tra loro, e non in termini di individuo. - La relazione tra soggetto e oggetto è sempre mediata attraverso credenze, rappresentazioni, significati condivisi (…): contesti delle relazioni e valori condivisi al loro interno. Fondamentali il contesto sociale, i valori condivisi in quel contesto sociale. o Prospettiva interazionista: persone come soggetti sociali; la società è continuamente costruita e ricostruita dall’interazione delle persone. o Concezione complessa del sociale: realtà articolata/stratificata in gruppi e sottogruppi gerarchicamente organizzati; o Scelta metodologica: cittadini situati in un contesto sociale. Guardare alla persona non come singolo ma come all’interno di una relazione, di un contesto. Quando si guarda un oggetto sociale non lo si guarda neutrale o trasparente ma lo si vede filtrato da degli occhiali. Questi occhiali sono valori, atteggiamenti, credenze e rappresentazioni sociali che sono proprie. Le credenze orientano, guidano il comportamento delle persone. La psicologia sociale cerca di offrire strumenti di comprensione. Un altro caposaldo della psicologia sociale è quello di considerare i cittadini, le persone, all’interno di un contesto che è anche storico o culturale. Quindi si fa fatica a studiare questi fenomeni in laboratorio, meglio studiarli nel contesto in cui essi si formano. LA PSICOLOGIA SOCIALE DI KURT LEWIN - Teoria di campo: metodo di analisi delle relazioni causali fra eventi e di produzione di costrutti scientifici, per comprendere i fatti sociali. Come contesto in cui studiare i fenomeni sociali. o Studiare le relazioni tra le persone pensandole/studiandole graficamente come un campo: ▪ Sociogramma di Moreno, applicazione della teoria di campo: modo per rappresentare un gruppo in maniera grafica. Per studiare/descrivere le relazioni all’interno di un gruppo. Quelli che interagiscono di più li metto più vicini nel foglio con una linea che li collega, quelli più isolati nel gruppo stanno isolati anche sul foglio; al centro del foglio mettiamo il leader. o Relazioni causali tra fenomeni: non possiamo ridurre tutto a semplici relazioni individuali tra persone ma avere una visione complessiva di quel fenomeno. Ad esempio, dobbiamo studiare quali valori, quali contesti (storici) e quali gruppi sono coinvolti in quel conflitto. o Teoria di campo come contesto dove studiare i fenomeni sociali. o Qualsiasi comportamento all’interno del campo psicologico dipende dalla configurazione del campo nello specifico momento. ▪ Campo: totalità dei fatti coesistenti nella loro interdipendenza. - Interdipendenza dei fatti tra loro; leggi del campo; interdipendenza tra gli elementi del campo. - Ricerca-azione: analizzare ma anche agire sui problemi sociali; collaborazione, partecipazione e democrazia. Dobbiamo uscire dal laboratorio per studiare i fenomeni sociali. Nel momento in cui facciamo una ricerca non in laboratorio, stiamo modificando un po' il contesto, perché la contestualizziamo nel sociale (collaborare stakeholder [portatori di interesse]; condividere la metodologia, obiettivi e risultati; partecipazione di tutti i rilevanti alla ricerca). La nostra ricerca deve portare cambiamenti nel sociale; - Analisi della dinamica dei gruppi: gruppo è una totalità dinamica caratterizzata da componenti interdipendenti, unità in grado di esprimere comportamenti e valori diversi da quelli dei singoli componenti. o I gruppi non sono mai la somma dei singoli individui, sono diversi dalla somma dei loro individui: i gruppi influenzano atteggiamenti e comportamenti del singolo individuo. Secondo Willem Doise, la specificità della psicologia sociale sta nel rinvenire nell’individuo, per quanto studiato isolatamente, le influenze delle sue appartenenze sociali, come pure nel ricercare l’aspetto soggettivo di quanto accade nella realtà oggettiva. L’intersezione tra mondo psichico (individuale) e sociale può essere studiata a diversi livelli dei rapporti umani (Doise, 1982): - processi intra-individuali: come la persona organizza la sua esperienza (percezione e valutazione del mondo sociale); - rapporti fra individui: (interpersonale o intra-situazionale), comprendere le dinamiche tra le persone indipendentemente dalle loro posizioni sociali e situazione specifica; - tra individuo e gruppi: comprendere l’impatto delle differenze di ruolo o status delle persone; - Ideologico: come le credenze ideologiche universali portino a rappresentazioni mentali e sociali e come si traducono nei comportamenti differenziati e discriminatori. CAP 8: INTERAZIONE NEI GRUPPI DEFINIZIONE DI GRUPPO Cosa succede all’interno dei gruppi? - Essere composti da individui in interazione faccia-a-faccia (Bales ’50, Hormans ‘50): una classe interagisce, un gruppo di lavoro(…); ma possono essere gruppi anche quelli dove le persone non interagiscono faccia-faccia (Facebook). È proprio necessaria l’interazione faccia a faccia? - Esperienza di un destino comune (Lewin ‘48, Campbell ‘58, Rabbie e Horwitz ’88): quando i componenti percepiscono di avere un destino comune (persecuzioni razziali…). o Interdipendenza del destino. - Esistenza di una certa struttura sociale formale o implicita (Sherif e Sherif ’69): ci devono essere dei ruoli, un leader, dei seguaci, dei gregari (…), una gerarchia di ruoli e status all’interno del gruppo. Può essere a livello: o Formale: sui luoghi di lavoro (tutti sanno chi è il capo); o Informale: c’è sempre qualcuno più influente degli altri, il punto di riferimento; c’è una forma di struttura e assegnazione di ruoli (anche non esplicitamente): struttura sociale implicita. - Auto-categorizzazione (Tajfel ’81; Turner, ‘82): un gruppo esiste quando due o più individui percepiscono sé stessi come membri della medesima categoria sociale. Processo che porta le persone (2 o più) a percepirsi come componenti di quel gruppo. Sono gruppi che magari non hanno una interazione faccia a faccia o una struttura sociale ma si riconoscono come partecipanti. Io mi categorizzo in un gruppo; - Un gruppo esiste quando due o più individui definiscono sé stessi come membri e quando la sua esistenza è riconosciuta da almeno un’altra persona (Turner, ’82; Brown, 2000). o C’è un altro gruppo (outgroup) che riconosce quel gruppo. o Dualità: c’è sempre un'altra categoria. Fondamentale la dinamica tra i gruppi per definire chi sono io e il mio gruppo. L’INTERDIPENDENZA Interdipendenza del destino e interdipendenza del compito: All’interno di un gruppo ci sono due forme di interdipendenza. In tutti i tipi di gruppi (folla, gruppo di laboratorio, gruppo di lavoro, categoria etnica) le esperienze, le azioni, i risultati dell’individuo sono legati a quelli degli altri membri. Tale interdipendenza fu osservata per la prima volta da Lewin (‘48): 1. Interdipendenza del destino: quando i componenti del gruppo hanno la consapevolezza di andare incontro allo stesso destino. Il gruppo nasce in senso psicologico quando comprendiamo di andare incontro allo stesso destino, quando i membri si rendono conto che il proprio destino è legato a quello del gruppo nel suo insieme. a. esperimento di Rabbie e Horwitz sui bambini, 1969: due gruppi in competizione, solo la squadra che vince riceve un regalo. Chiedono loro come si sentono ad essere parte di quel gruppo, sia al gruppo vincente che perdente: anche chi perde si sente parte di un gruppo, esito del destino comune. 2. Interdipendenza del compito: l’esito del mio singolo lavoro è legato all’esito del tuo lavoro e del gruppo in generale. Il mio pezzo di compito è legato all’esito del compito dell’altro. Nei lavori di gruppo è quanto l’esito del lavoro di gruppo dipende dagli sforzi di ciascuno dei componenti. I risultati di ciascun membro hanno implicazioni sui risultati degli altri (per esempio squadra sportiva). È più diretta e potente della precedente. Interdipendenza del compito, 2 categorie: - Positiva: alto grado di complementarietà; siamo legati e i miei sforzi sono complementari a quelli degli altri per raggiungere il risultato; produce cooperazione. - Negativa: all’interno del gruppo il successo di un individuo produce l’insuccesso di un altro; produce competizione: sarebbe dunque da disincentivare. L’interdipendenza positiva (complementarietà degli sforzi) porta numerosi vantaggi. Creare gruppi con interdipendenza positiva, dove ciascuno collabora per la risoluzione del compito: - Maggiore produttività: il gruppo raggiunge l’obiettivo; - Maggiore cooperazione: gli sforzi di tutti concorrono per il risultato finale; - Migliori relazioni interpersonali: clima del gruppo più sereno e meno conflitti; - Maggiore motivazione. IL CONTINUUM INTERPERSONALE - GRUPPO Dimensione continua del comportamento sociale che distingue tra azioni compiute in quanto persone e azioni compiute in quanto membri del gruppo. È possibile rappresentare tutto il comportamento sociale lungo un continuum che ha agli estremi le situazioni interpersonali e le situazioni intergruppo (Tajfel, ‘78). Identità di gruppo: più legata a quanto quel gruppo si sente unito. Per avere una identità sociale è spesso necessario un gruppo opposto al nostro (creare un nemico esterno). La dinamica ingroup-outgroup è fondamentale: sia per la mia identità sociale sia per come io agisco/mi comporto nel quotidiano. Il comportamento verso l’Outgroup non dipende da me ma dal gruppo cui appartengo. Ci sono gruppi che stanno in piedi da soli, non hanno bisogno di un Outgroup, un gruppo contrapposto. Ma magari spesso questi gruppi non sono espliciti o comunicati verbalmente ma ci sono. Per le persone è importante avere una identità positiva. L’identità sociale deriva dal gruppo cui apparteniamo, le persone cercheranno di fare parte di gruppi che contribuiscono alla loro identità positiva. Teoria del confronto sociale: ci confrontiamo con gli altri per capire quanto valiamo noi e il nostro gruppo. Se dal confronto sociale il mio gruppo ne esce vincitore io ho una identità sociale adeguata, la mia autostima è buona, cerco quindi di mantenere lo status del mio gruppo alto. Cosa succede ai gruppi di basso status: quando dal confronto sociale il mio gruppo è un gruppo di basso status? Psicologicamente per le persone è costoso appartenere ad un gruppo di baso status, perché la nostra identità è agganciata al valore del gruppo, quindi anche io mi sento di basso status. In questo caso i membri potrebbero cercare un cambiamento: Mobilità sociale: possono provare a cambiare il gruppo ed inserirsi in un gruppo di più alto status. Quando non vengono individuate alternative avviene la fuga individuale dal gruppo: dis-identificazione (allontanamento psicologico) e dissociazione (distanziamento fisico). Cambiamento sociale volto a migliorare la situazione del gruppo che gode di scarsa autostima, che ha a che fare con Strategie di: - Creatività sociale: trovare altre strategie e vie di confronto sociale nelle quali il proprio gruppo esce bene; trovare altre dimensioni di confronto sociale per confrontarsi con altri gruppi e farne uscire bene il proprio gruppo; - Ri-categorizzazione: utilizzare delle altre dimensioni gruppali; trovare un’altra categoria per leggere la realtà; - Competizione sociale: trovare altre occasioni di confronto sociale. Riprovarci/riorganizzare altri confronti senza la certezza di uscirne migliori. ASPETTI STRUTTURALI DEL GRUPPO Status: posizione (gerarchica) che una persona occupa all’interno di un gruppo sociale e la valutazione della posizione su una scala di prestigio. Chi sta in alto nella gerarchia (figura leader) ha una posizione di maggiore prestigio rispetto a chi sta in basso. - Teoria dell’aspettativa di status: aspettative in merito al contributo per raggiungere gli obiettivi (aspettative più elevati, più è alto lo status). Ruoli sociali: aspettative riguardo al modo in cui una persona deve comportarsi in riferimento alla posizione che occupa nel gruppo. Come mi aspetto si comporti la persona rispetto al ruolo che ricopre. Utile per la definizione dell’identità di gruppo. - Gruppi formali: aziende, figure istituzionali di governo, università; - Gruppi informali: gruppi di amici che si formano spontaneamente. Ci sono anche in questo caso ruoli sociali e status anche se non ce ne accorgiamo: c’è sempre qualcuno più influente degli altri, che organizza l’attività del gruppo. Le squadre sportive che hanno riconoscimento strutturale sono considerati gruppi formali. Norme sociali: standard di comportamento; modi di pensare e comportarsi condivisi all’interno di un gruppo. Sono delle regole presenti nei gruppi, secondo le quali i componenti del gruppo si devono uniformare (standard, atteggiamenti, valori condivisi). Sono presenti in tutti i gruppi e ci accorgiamo della loro esistenza quando qualcuno le infrange (non sono scritte da nessuna parte, ma ne siamo consapevoli). Anche la buona educazione è una forma di norma sociale che ci dice come comportarci in quella situazione. Sono importanti e se non ci si adegua il gruppo prima fa pressione e poi ti espelle. Coesione sociale: reciproca accettazione/attrazione tra i componenti di un gruppo. Quello che tiene insieme il gruppo; forza di attrazione, quel legame che tiene insieme i componenti. Sono coesi a volte anche i gruppi cui componenti non si piacciono (gruppi di lavoro che non si scelgono). Solitamente i gruppi coesi funzionano meglio e raggiungono meglio gli obiettivi. Ma non è una cosa spontanea, ci si deve lavorare. - Festinger: la coesione è importante per l’appartenenza a lungo termine; - Hogg: accettazione come simpatia tra persone su preferenza idiosincratica; attrazione come simpatia per qualcuno in base all’appartenenza al gruppo. LE FASI DI SVILUPPO DEL GRUPPO: LEVINE E MORELAND 1988 Le fasi temporali nelle quali un individuo passa nel gruppo. Può anche essere la fase di vita di un gruppo. Riga blu: livello di impegno. 1. Fase di esplorazione: sia gruppo che individuo si guardano intorno, si studiano a vicenda; le due parti in questa fase si impegnano poco nel gruppo. Se il ragazzino va bene può entrare nel gruppo: a. Entrata: in alcuni gruppi ci sono dei riti di passaggio, superati i quali l’individuo può entrare nel gruppo. 2. Fase di socializzazione: il gruppo preme sull’individuo (nuovo membro) affinché si uniformi/acquisisca le norme del gruppo, alle aspettative del gruppo. a. Accettazione: raggiunta se il nuovo membro mostra di essere in linea con le norme sociali del gruppo; viene accettato e diventa un componente a pieno titolo. 3. Fase di mantenimento: quando diventa componente a pieno titolo del gruppo; sia il gruppo che individuo sono molto impegnati reciprocamente. Questa fase può durare anche a lungo. Un componente del gruppo ci può rimanere per sempre. a. Divergenza: può succedere che l’individuo non voglia più stare nel gruppo. 4. Fase di risocializzazione: fare pressione per far rientrare il componente deviante all’interno del gruppo. L’individuo inizia ad essere marginalizzato, non è più componente a pieno titolo, si sta allontanando; il gruppo fa pressione affinché si riallinei alle norme. Può succedere che si riallinei alle norme del gruppo e torni nella fase di mantenimento oppure: a. Uscita: può uscire dal gruppo. Individuo e gruppo decretano l’uscita dell’individuo. Anche questo può essere un rito di passaggio. L’impegno dell’individuo e del gruppo diminuisce. 5. Fase di ricordo: ci sono gruppi in cui anche se qualcuno non è più componente, ci sono momenti in cui vengono ricordate le cose che ha fatto. Il gruppo ricorda gli eventi associati a quell’individuo. ASPETTI STRUTTURALI DEL GRUPPO: LA LEADERSHIP Queste ricerche mostrano che possiamo addestrarci e addestrare gli altri agli stili di leadership: possiamo apprendere e affinare, non nasciamo con questi tratti di personalità. I leader sono coloro che occupano posizioni di alto status nel gruppo, influenzano i componenti del gruppo più di quanto loro siano influenzati dal gruppo. Danno l’input alle attività, mobilitano e guidano i componenti. Modello del grande uomo: criticato. - È l’idea che uno leader ci nasce: che il leader ha carisma, capacità di influenzare gli altri, determinazione; che può andare bene in tutte le situazioni. Questa teoria è molto criticata e oggi abbandonata: non è detto che lo stesso leader vada bene in tutte le situazioni; non è ben chiaro quali siano i tratti di personalità innati che farebbero della persona leader un leader. Modello degli stili di leadership: ci sono nei gruppi due tipi di leader - Leader orientato al compito: colui che prende le redini in mano sull’organizzazione della attività; quello che cerca di diffondere informazioni e risolvere problemi, di distribuire i compiti all’interno del gruppo. Orienta il gruppo verso il compito e lo mantiene focalizzato. - Leader socio-emozionale: ruolo di allentare le tensioni; risolvere i conflitti; migliorare il clima e fare sì che tutti siano coinvolti, che non vi siano litigi; quello che nel gruppo fa le battute. Non è orientato all’esecuzione del compito ma al clima, al benessere, all’interazione all’interno del gruppo. In un gruppo ci può essere solo il leader orientato al compito; ci possono essere entrambi i ruoli ed essere agiti da due persone diverse; i due ruoli possono essere agiti dalla stessa persona: può essere orientato al compito ma se vede un conflitto interviene anche sulle relazioni. Modello della contingenza di Fiedler (approccio interazionista). - Stile adottato dal leader e caratteristiche della situazione: non è detto che lo stesso leader sia buono in tutte le situazioni. Questo modello prende in considerazione sia lo stile del leader che le caratteristiche della situazione. Quanto la situazione è favorevole o sfavorevole al leader. Qual è il leader migliore in base alla situazione? In termini di raggiungimento degli obiettivi del gruppo? Linea orizzontale: caratteristica della situazione; quando il leader ha basso, medio o alto controllo della situazione. Basso o alto livello di riconoscimento, di situazione favorevole al leader. Fiedler lo chiama controllo della situazione. Il controllo della situazione dipende da tre fattori: 1. Relazione del leader con il gruppo che può essere più o meno positiva; 2. Struttura del compito, più o meno chiara; 3. Posizione di potere del leader, varia da forte a debole. Le due righe colorate sono i due tipi di leadership. Ci sono dei gruppi che decidono sul futuro, che prendono decisioni rilevanti sulla vita degli altri: le giurie, i gruppi di lavoro, una equipe multidimensionale (ragionano sul piano personalizzato di intervento nelle scuole/singolo). Come questi gruppi prendono le decisioni è rilevante per l’esito della decisione. Quattro fasi: 1. orientamento: identificazione del compito, obiettivi e strategie; a. Compito valutativo: ricerca del consenso sociale; b. Compito cognitivo: ricerca di risposte corrette. 2. discussione: ricerca di info e possibili soluzioni; a. influenza informativa: accettare le prove ottenute dagli altri come prova di realtà (quando operano con compiti cognitivi); b. influenza normativa: accettare la definizione della realtà fornita dagli altri per ottenere l’approvazione o evitare critiche (compito valutativo). 3. presa di decisione: regole implicite o esplicite; 4. implementazione: agire in seguito alle decisioni. Polarizzazione di gruppo: prima era intesa come spostamento verso il rischio, ma ora si pensa che amplifichi la posizione originale del gruppo. È un fenomeno che avviene nei gruppi dopo una discussione. Le prime ricerche dicono che i gruppi prendono decisioni più rischiose rispetto a quelle che prenderebbero i singoli. Alla fine della discussione si sceglie la soluzione rischiosa. Ricerche successive vedono che, nelle discussioni di gruppo, le decisioni non si spostano sempre verso il rischio ma nella direzione dove andavano già prima della discussione di gruppo. Se il gruppo all’inizio ha l’idea A, alla fine della discussione la loro decisione va sempre verso l’idea A e non si sposta all’idea B. - Depolarizzazione: quando si genera un compromesso, la posizione finale del gruppo è più moderata delle opinioni iniziali. Si basa su tre processi: 1. Polarizzazione mediante persuasione: durante le discussioni con gli altri veniamo persuasi dalle loro idee/posizioni; 2. Polarizzazione mediante confronto sociale: nel confronto con gli altri in qualche modo ci validiamo/sosteniamo a vicenda, le nostre posizioni; l’altra persona d’accordo con me valida la mia posizione. Confrontandomi con gli altri divento più convinta delle mie posizioni; mediare le proprie opinioni in relazione a quelle degli altri; 3. Polarizzazione mediante differenziazione: quando il gruppo cerca di differenziarsi da un altro gruppo durante le discussioni. Dall’outgroup si cerca spesso di differenziarsi in modo quasi automatico, favorendo l’ingroup. Il pensiero di gruppo o groupthink: Janis: quando i gruppi hanno preso delle decisioni rivelatesi fallimentari. Va ad indagare le decisioni fallimentari dei gruppi politici nella storia. Spesso i gruppi si preoccupano di ottenere un consenso piuttosto che del prendere la decisione giusta; porta quindi esiti negativi. Questi gruppi hanno delle caratteristiche in comune: sono gruppi molto uniti/coesi, molto legati al loro interno; sono gruppi molto isolati, non ascoltano le voci esterne al gruppo; non ci sono meccanismi metodologici per esplorare le alternative; il leader è molto direttivo, non lascia voce ai partecipanti ma comanda lui sul da farsi, e non permette pareri contrari. Queste caratteristiche hanno prodotto un fenomeno che viene definito da Janis pensiero di gruppo, o groupthink: quando i gruppi caratterizzati da questi elementi sono spinti verso un alto grado di consenso e di uniformità. Le voci contrarie al loro interno sono messe a tacere/isolate, le informazioni dall’esterno sono ignorate. Questo porta conseguenze sul processo decisionale che li porta al fallimento strategico che deriva dal fallimento del processo di decisione del gruppo. Più probabile quando devono prendere decisioni stressanti e in tempi rapidi: in questi casi la ricerca del conformismo è più probabile dell’ascolto delle altre opinioni. Bias: distorsione sistematica. Bias nell’elaborare le informazioni nel senso che anziché esaminare razionalmente le informazioni, le fonti e la loro validità, vengono selezionate non consapevolmente solo le informazioni in linea con le proprie posizioni. Il singolo o il gruppo non esaminano le informazioni in maniera razionale. INFLUENZA DELLA MINORANZA Moscovici: minoranza attiva può produrre un cambiamento nella maggioranza, se: - offre un consenso alternativo alla maggioranza: deve mettere in crisi il consenso della maggioranza; - coerente al proprio interno: maggiore concordanza, maggiore influenza. - coerente nel tempo -> acquista credibilità - Esperimento della diapositiva blu/verde (spiegata più avanti). CAP 3: IL SÉ IN UN MONDO SOCIALE IL CONCETTO DI SÉ: CHI SONO IO Come le persone valutano sé stesse; come cercano di presentarsi agli altri; come arrivano a conoscere sé stesse. Chi sono io dipende dalla mia identità sociale: ma dipende anche dai gruppi a cui appartengo. Idee e sentimenti verso noi stessi influenzano il modo in cui gli altri rispondono alla nostra presenza; gli altri contribuiscono a plasmare il senso del nostro sé. Teoria del azioe ragiociale di Festinger (1954): quando sono incerte, le persone apprendono le proprie qualità personali confrontandosi con altre persone simili a sé. - Esperienze quotidiane; giudizi degli altri (una buona opinione di noi aiuta a pensare bene di noi stessi); la cultura dominante (collettivista o individualista); - Quando non capiamo bene quanto valiamo ci confrontiamo con gli altri: processo automatico e inconsapevole che viene sempre fatto. L’esito di questi confronti è rilevante per noi, porta a comportamenti diversi. Inconsapevolmente ci confrontiamo con lo standard degli altri. Teoria dell’autopercezione di Bem (1967): quando c’è incertezza, traggo inferenza sulle caratteristiche personali (su di sé) a partire dai propri comportamenti. Per sapere chi sono io devo fare come un investigatore esterno, osservare i miei comportamenti e dedurre il concetto di sé. L’idea di Bem è che noi non abbiamo accesso ai nostri stati interni: non sappiamo se siamo svegli, intelligenti, felici (…). Per sapere le cose su noi stessi dobbiamo guardarci dall’esterno. Quando ho incertezza su chi sono io traggo informazioni a partire dai comportamenti. Riflettori e illusioni - Effetto Spotlight: convinzione che gli altri prestino più attenzione al nostro aspetto e comportamento più di quanto in realtà facciano; - Illusione di trasparenza: illusione a ritenere che le emozioni nascoste affiorino e possano essere lette dagli altri. La percezione di sé: - Schemi di sé: considerazioni sul se che strutturano e guidano l’elaborazione di info importanti per il sé; modelli mentali in base ai quali le persone organizzano il proprio mondo; influenzano il modo in cui le persone si percepiscono. - Effetto autoreferenziale: tendenza ad elaborare in modo più efficace e ricordare bene le informazioni relative a noi stessi; - Sé possibili: immagini di ciò che si desidera o teme di diventare. - Concetto di sé: guida il comportamento sociale; l’esperienza sociale gioca un ruolo sul concetto di sé. - Complessità del sé: il numero e la diversità degli aspetti del sé che le persone sviluppano in relazione ai diversi ruoli assunti. Il ruolo plasma gli atteggiamenti. - Identità sociale: definizione sociale di ciò che si è o non si è. - Confronti sociali: valutazione delle proprie capacità e opinioni mediante confronto (teoria del confronto sociale); - Sé riflesso/rispecchiamento: modo in cui le persone pensano di essere percepite dagli altri viene usato come specchio per percepire se stessi. Mead: per il concetto di sé ciò che conta è il modo in cui immaginiamo che co vedano le altre persone e non come si vedono davvero. Cultura dominante: - Individualista: definizione della propria identità in termini personali e non identificazione di gruppo; - Collettivista: definizione dell’identità in base al gruppo. AUTOSTIMA - Giudizio/valutazione che una persona ha di sé; percezione del proprio valore; indicatore di benessere; o Modello della costanza dell’autovalutazione: nel fare paragoni o confronti con gli altri, le reazioni dipendono da due fattori, la vicinanza con l’altra persona e l’importanza dell’attributo del confronto. o Reazioni differenti ai confronti che possono minacciare l’autostima: alta autostima -> biasimo (disapprovazione con giudizio) degli altri o mettersi alla prova; bassa autostima -> biasimano sé stessi. - Higgins (1989) teoria della discrepanza del sé: valutazione di sé stessi in funzione del sé ideale e del sé imperativo (dover essere) rispetto al sé reale. Teoria per spiegare come ci si autovaluta; questo genera conseguenze emotive (delusione e frustrazione, oppure colpa, risentimento e ansia); - Autoconsapevolezza: non siamo sempre concentrati su noi stessi, ma alcune situazioni fanno emergere autoconsapevolezza, identificata coscienza del sé durante il quale ci si misura con i propri canoni interiori. o Privata: tendenza all’introspezione; o Pubblica: riflettere sull’immagine pubblica. - Cosa succede quando l’autostima è minacciata? Le persone si sfogano sugli altri. Coloro che hanno scarsa autostima sono più vulnerabili a ansia, solitudine. L’autoefficacia o self-efficacy: La misurazione degli atteggiamenti: - Misurazione diretta tramite auto-descrizione o osservazione, come scale di misura (lista di domande); o Scale di misura: elenco di domande riguardanti quell’atteggiamento li (scala Likert, hanno una scala di gradazione per le risposte). o Ma… subisce l’effetto della desiderabilità sociale: le persone rispondendo ad un questionario di un ricercatore sono molto scaltre e cominciano ad intuire cosa i ricercatori si aspettano. In questo modo non stanno misurando il dato vero ma quanto quella persona è sensibile alle pressioni che gli vengono dagli altri. - Misurazione indiretta degli atteggiamenti tramite misure implicite, come il test IAT di associazione implicita: studiano gli atteggiamenti impliciti (non ne siamo consapevoli, non ne parliamo ma li abbiamo); misurazione tramite tempi di reazione delle persone: il vantaggio è che le persone non subiscono l’effetto della desiderabilità sociale, e perché le persone non hanno il tempo di pensare a cosa rispondono (molto usato nel pregiudizio etnico). Uno stesso atteggiamento misurato esplicitamente e implicitamente può portare a due risultati diversi. Gli atteggiamenti predicono il comportamento? Si, ma… solo quando gli atteggiamenti sono specifici e forti. Agli psicologi sociali interessa il legame tra atteggiamenti e comportamenti. Gli atteggiamenti predicono i comportamenti, ma solo in determinate condizioni: quando gli atteggiamenti sono specifici; quando sono atteggiamenti forti, ovvero ben radicati, duraturi e su cui le persone ragionano; che derivano anche dai gruppi di cui fanno parte. Teoria dell’azione ragionata TRA (Ajzen e Fishbein, 1977) - Il comportamento dipende dall’atteggiamento, dalle norme soggettive e intenzione comportamentale; - Ma… criticata perché considera solo i comportamenti sotto il controllo volitivo delle persone. Questa teoria dice che l’atteggiamento predice il comportamento ma con una variabile all’interno: l’intenzione comportamentale, la disponibilità a mettere in atto quei comportamenti. Quindi l’atteggiamento predice l’intenzione che predice il comportamento. Sull’intenzione comportamentale incidono anche le norme soggettive (le norme sociali): quello che gli altri pensano sia lo standard, o pensano sia appropriato. Questa teoria è stata criticata: sembra che il comportamento sia sempre sotto il controllo volitivo delle persone; ma ci sono dei comportamenti che non sono sotto il nostro controllo. Per includere questa dimensione nel modello teorico si aggiunge la percezione del controllo e diventa teoria del comportamento pianificato (Ajzen e Madden). Percezione del controllo: quanto io sento/percepisco di poter mettere in atto quel comportamento. Più percepisco di poterlo controllare e mettere in pratica, più avrò una intenzione e metterò in atto quel comportamento. Non tutti gli atteggiamenti predicono i comportamenti ma ci sono delle condizioni/criteri da soddisfare. 1. L’atteggiamento deve essere specifico di quel comportamento. 2. Atteggiamenti verso quei comportamenti che sono sotto il controllo volontario, a cui si presta attenzione. Gli atteggiamenti non predicono il comportamento quando questo è di routine, una abitudine. 3. Predicono il comportamento quando sono espliciti, quando ne abbiamo consapevolezza. 4. Più forte il legame quando ho un atteggiamento legato ad una esperienza diretta. A volte sono i comportamenti che predicono l’atteggiamento. I comportamenti influenzano l’atteggiamento? Si, utile in alcune strategie di vendita… 1. Tecnica del piede nella porta: dicendo sì ad una prima richiesta è più probabile dire di sì anche ad una seconda richiesta che è più grande della prima. Tecnica usata per assicurare l’adesione ad una richiesta impegnativa chiedendo dapprima alle persone di accondiscendere a una richiesta meno impegnativa. 2. Tecnica del tiro mancino o «adescamento»: quando teniamo nascoste alcune informazioni svantaggiose riguardo ad una richiesta, svelandole in un secondo momento. Tecnica in cui una persona che intende esercitare una influenza si assicura l’adesione a una richiesta minore e poi aumenta il costo che comporta tenere fede alla parola data o all’impegno assunto. Le spiegazioni di questi comportamenti che mettiamo in atto fanno riferimento al fatto che noi osserviamo un nostro comportamento in un primo momento e deduciamo il nostro atteggiamento verso questa azione. Capiamo il nostro atteggiamento guardano il comportamento. Esperimento di Festinger e Carlsmith Quando il comportamento predice l’intenzione e il comportamento. Esperimento del girare i cubetti di ghiaccio su una superficie. Ad alcune persone viene dato 1 dollaro e ad altri 20 dollari: ai soggetti sperimentali poi si dice di dire agli altri partecipanti quanto quell’esperimento fosse interessante (mentendo). Ad alcuni di loro non veniva chiesto di dire agli altri quanto fosse interessante (condizione di controllo). Alla fine, viene chiesto a ciascun partecipante (con questionario) quanto effettivamente quell’esperimento fosse interessante: chi riceveva 1 dollaro riferiva che il compito era interessantissimo; chi riceveva 20 dollari diceva che era interessante così così; chi senza compenso non aveva dovuto mentire diceva che il compito era noioso. Nessuno di loro si era mai effettivamente incontrato. Ci si aspettava che fosse quello dei 20 dollari a dire che il compito era divertente, non quello con 1 dollaro. Ha dovuto fare un compito noioso, ha dovuto mentire e gli viene dato solo un dollaro: perché è lui a dire che il gioco era divertente? La risposta che si sono dati gli scienziati fa riferimento alla teoria della dissonanza cognitiva: dissonanza cognitiva è l’incoerenza tra il comportamento (ho fatto il compito noioso e ho mentito) e l’atteggiamento (quanto era interessante il compito). Per le persone è spiacevole avere due cognizioni dissonanti, quindi escono dalla dissonanza cambiando una di queste cognizioni: il compito era noioso, ha dovuto mentire, ha avuto solo un dollaro, per uscirne cambia il suo atteggiamento, quindi il compito era divertente. Si esce dalla dissonanza cambiando il comportamento o l’atteggiamento. Questa persona ha fatto il compito noioso e ha ricevuto un piccolo compenso; non può cambiare il comportamento che ha già messo in atto ma può cambiare la valutazione del compito. Quello dei 20 dollari invece ha ricevuto ricompensa maggiore: non ha una dissonanza perché il compito noioso e il mentire sono ripagati dai 20 dollari (hanno una giustificazione sufficiente per quello che fanno). Non ha bisogno di cambiare l’atteggiamento verso il compito. Dice la verità quelli che non hanno dovuto mentire: in loro non c’era dissonanza quindi dicono veramente che il compito era noioso. Non si può cambiare il comportamento già messo in atto ma l’atteggiamento verso quel compito li. Perché il comportamento incide sull’atteggiamento? 1. Autopresentazione: vogliamo sembrare coerenti con noi stessi (gestione delle impressioni); siccome facciamo brutta figura se cambiamo idea, se prima diciamo una cosa e poi ne facciamo un’altra, siamo spinti ad essere coerenti riguardo ai nostri comportamenti e atteggiamenti. Ci osserviamo e stiamo attenti a come appariamo agli altri, spinti dal presentarci in maniera positiva. In questo modo acquisiamo sicurezza sulla nostra identità sociale. a. Nell’esperimento quelli che hanno ricevuto 1 dollaro e che hanno mentito dicendo che l’esperimento era interessante sono più motivati a presentarsi sotto una luce favorevole. 2. Dissonanza cognitiva o autogiustificazione (Festinger, 1957); la dissonanza è spiacevole, allora cambiamo atteggiamento; per ridurre il disagio si giustificano le nostre azioni a noi stessi; a. Giustificazione insufficiente: la riduzione della dissonanza grazie alla giustificazione interna del proprio comportamento, quando quella esterna è insufficiente. b. Giustificazione eccessiva: è il risultato dell'indurre le persone a fare per soldi ciò che facevano già per piacere; di conseguenza non pensano più alle loro azioni come a qualcosa di piacevole ma come a qualcosa controllato dall'esterno. c. Strategie per ridurre la dissonanza: ridurre l’importanza di uno degli elementi dissonanti; aggiungere elementi cognitivi consonanti; modificare l’atteggiamento. d. Dissonanza: uno stato provocato da una spiacevole tensione. Perché ci sia dissonanza servono quattro fasi: avvertire il comportamento come incoerente rispetto all'atteggiamento che producono conseguenze negative; la persona deve assumersi responsabilità personale del comportamento; la persona deve mostrare attivazione fisiologica; deve attribuire l'attivazione fisiologica al comportamento agito. 3. Autopercezione (Bem, 1972): le nostre azioni sono auto-rilevanti. Noi non conosciamo i nostri atteggiamenti, non sappiamo che persone siamo perché non abbiamo accesso diretto ai nostri atteggiamenti ma li deduciamo dai nostri comportamenti. Siamo come costretti a guardarci dall’esterno e osservarci. Teoria secondo cui quando non siamo sicuri dei nostri atteggiamenti, li deduciamo osservando il nostro comportamento e le circostanze in cui avviene. a. Noi non sappiamo se il compito era noioso o no, ma lo percepiamo dall’esterno, dal fatto che abbiamo preso solo 1 dollaro e detto che il compito era divertente; hanno detto che il compito era interessante, quindi era interessante. - Della maggioranza: esercitata da persone o gruppi che detengono maggior potere sociale. - Della minoranza: esercitata da persone o gruppi meno potenti. Potere sociale: forza di cui dispone chi influenza, di produrre cambiamenti negli atteggiamenti e nei comportamenti di chi è influenzato. Le persone con potere sociale si sentono meno dipendenti dagli altri quindi più inclini ad agire più velocemente, con maggiore facilità e determinazione. Esercitano anche maggiore dominanza sociale (gruppo dominante che esercita potere e influenza sugli altri). STUDI CLASSICI SUL CONFORMISMO E SULL’OBBEDIENZA Sherif, formazione delle norme del gruppo: effetto autocinetico. È possibile osservare la nascita di una norma sociale in laboratorio? Esperimento del puntino luminoso che si muove. I soggetti sperimentali devono dire allo sperimentatore quanto si sposta in centimetri il puntino luminoso proiettato sullo schermo davanti a loro. Se all’inizio ogni persona aveva la sua idea, piano piano hanno accordato/cambiato i loro giudizi (senza dirselo) per conformarsi ad una norma di gruppo. La norma prima non c’era, se la sono creata loro senza dirselo (convergere verso una norma di gruppo). Nello spostamento del pallino luminoso non c’era una risposta corretta ma se la sono creata loro e tutti hanno aderito. Il gruppo si è indirizzato verso uno standard comune. Il pallino luminoso in realtà non si spostava, ma loro non lo sapevano. Quello che si spostava era l’effetto autocinetico, effetto della retina per cui questa si adatta, quindi ci sembra che il pallino si sposti. - Effetto autocinetico è il movimento apparente di un puntino luminoso fisso in un ambiente buio. Questo esperimento è stato studiato per comprendere come si formano le norme dei gruppi: standard di comportamento e atteggiamento accettabile all’interno del gruppo. Noi subiamo l’influenza sociale. Così come le norme sociali dei piccoli gruppi, allo stesso modo si formano anche quelle dei grandi gruppi: reciprocamente ci influenziamo e ci formiamo una norma comune. Il consenso sociale che c’è stato del nazismo e nel fascismo è un effetto dell’influenza sociale, ci si influenza vicendevolmente creando la norma. Esperimento per studiare il conformismo: Asch, pressione del gruppo. “Studiare le condizioni sociali che inducono l’individuo a resistere o a conformarsi alle pressioni del gruppo quando tale gruppo esprime un parere contrario all’evidenza percettiva”. Conformarsi agli altri a parole. A sei partecipanti fanno prima vedere una linea standard, la tolgono poi fanno vedere altre tre linee e chiedono loro quale sia quella uguale di lunghezza alla prima. I primi cinque partecipanti davano le risposte sbagliate, l’ultimo quella giusta. Fino ad arrivare ad un momento in cui l’ultimo della fila usa le opinioni espresse dai primi come punto di riferimento. L’ultima persona da oggettivamente la risposta sbagliata pur sapendo che era quella sbagliata. L’ultimo della fila era l’unico soggetto ingenuo, gli altri erano stati addestrati dallo sperimentatore per dare la risposta sbagliata. Asch voleva studiare l’effetto dell’influenza sociale quando c’è una risposta oggettivamente giusta e potendola manipolare. Una volta su tre le persone danno la risposta sbagliata in un contesto di gruppo, pur sapendo che è la risposta sbagliata. Ci dice come è semplice per le persone uniformarsi al gruppo anche quando sanno che il comportamento è sbagliato. Influenza della maggioranza sulla minoranza: quando c’è una maggioranza uniforme e unanime le persone tendono ad adeguarsi alla maggioranza. - Gruppo di controllo: nessun giudizio errato. - Gruppo sperimentale: le valutazioni erronee della maggioranza influenzano il 36% delle risposte ¾ delle persone si conformano almeno una volta. Questi due esperimenti dimostrano come è facile creare una norma di gruppo e come è facile spingere le persone ad uniformarsi al gruppo anche in un comportamento che il singolo ritiene sbagliato. Ci si uniforma per due motivi (Deutch e Gerard): - Influenza normativa: la forza che spinge un individuo, in quanto membro di un gruppo, a rispondere in modo conforme alle attese positive di uno o più membri del gruppo; conformismo basato sul desiderio di una persona di soddisfare le aspettative degli altri, spesso per farsi accettare. Le persone non vogliono essere diverse/devianti, quindi si uniformano alla maggioranza (norma del gruppo a cui ci si adegua). - Influenza informativa: la forza che spinge un individuo isolato ad accettare le informazioni ottenute da un altro come prove circa la realtà. Le persone accettano le posizioni degli altri come prove di realtà; induce conformismo a livello privato. Mi uniformo alla norma di gruppo perché prendo l’informazione degli altri come vera, penso che loro abbiamo ragione. La preoccupazione per l’immagine sociale produce una influenza normativa; il desiderio di essere corretti produce una influenza informativa. Spesso si presentano insieme. CONFORMISMO Significa non solo agire come agirebbero gli altri ma anche essere condizionati da come agiscono. Agire e pensare in modo diverso da come si farebbe autonomamente. Conformismo: cambio il mio comportamento e atteggiamento per uniformarmi ad una norma. Cambiamento del comportamento, dei pensieri e dei sentimenti come risultato di una pressione di gruppo reale o immaginata (norma sociale). Ci sono tanti tipi di conformismo: - Accettazione (o adesione interiore): crediamo sinceramente in ciò che il gruppo ci ha indotto a credere; privata; quando sono convinta che sia giusta e mi allineo alle norme del gruppo; conformismo che coinvolge sia l’agire sia il credere in risposta alla pressione sociale; - Accondiscendenza (o acquiescenza): ci conformiamo senza veramente credere in ciò che stiamo facendo; mi adeguo pubblicamente ma privatamente non sono d’accordo. È solo una adesione pubblica: mostriamo l’adesione alle norme del gruppo ma a livello privato non siamo d’accordo; conformismo che implica una azione pubblica in risposta ad una richiesta implicita o esplicita ma con un dissenso interiore; - Obbedienza: agire in risposta ad un ordine o comando diretto. Adeguarsi ad un ordine che ci viene da uno status superiore (forma di influenza sociale). Aderiamo/ci avviciniamo alle norme che ci vengono da una autorità (status alto, posizione gerarchica superiore). Esperimento sulla norma dell’obbedienza all’autorità di Milgram, scosse elettriche (1974). Conformismo che coinvolge il comportamento e la condotta. Testano ciò che succede quando le richieste di una autorità entrano in collisione con quelle della coscienza di chi riceve la richiesta. Due partecipanti: uno diventa insegante e l’altro studente; Milgram spiega che questo è uno studio pionieristico sull’effetto delle punizioni sull’apprendimento. Devono effettuare un compito di apprendimento e di memoria. Quello con il ruolo di insegnante legge dei numeri a quello con il ruolo di studente che deve memorizzarli. Lo sperimentatore dice che ogni volta che lo studente sbaglia l’insegnante dovrà dargli una scossa elettrica (lui non lo vede l’altro, sono in stanze diverse): più errori più aumenta la scossa. Vuole osservare fino a che punto l’insegnate avrebbe accettato di somministrare le scosse elettriche allo studente anche quando quest’ultimo manifestava apertamente la volontà di porre fine al dolore provato. Che risultati ha dato? Quasi tutti hanno dato una scossa moderata; l’80% una scossa forte (lo studente si lamenta); il 60% delle persone normali, in quella condizione, arrivano a dare le scosse elettriche “mortali”. L’unico soggetto sperimentale ingenuo era quello che faceva l’insegante; lo studente era un complice dello sperimentatore addestrato ad urlare. Per questa ricerca Milgram viene massacrato dall’opinione pubblica e anche dai suoi colleghi. Alla fine dell’esperimento, veniva detto agli insegnanti ingenui che le scosse erano finte. Anche se alla fine lo sperimentatore mostrava all’insegnante che lo studente stava bene, avevano comunque dei risentimenti. Questa ricerca mostra come è facile indurre persone normali ad indurre atti violenti che vanno contro la morale della persona. Studi classici sul conformismo e sull’obbedienza - Norma dell’obbedienza all’autorità: norma secondo cui le persone devono obbedire ai comandi impartiti da una persona dotata di autorità legittima; - Conformismo provoca comportamenti anche contrari al proprio senso morale - Etica della ricerca? - Approccio situazionale di Milgram; punto di vista contrario all’errore fondamentale di attribuzione. Errore fondamentale di attribuzione: tendenza ad interpretare le azioni degli altri come espressioni delle loro disposizioni piuttosto che originati dalla situazione in cui sono. Si presume che le persone buone facciano cose buone e che le persone cattive facciano cose cattive. Che cosa genera l’obbedienza? Disobbedienza: risposta atta a risolvere una tensione cognitiva, un tentativo di fuga da una situazione che aveva causato eccessiva tensione che né l'autorità né il soggetto avevano la capacità di alleviare o gestire. 1. Distanza emotiva dalla vittima: più erano distanti anche fisicamente più obbedivano allo sperimentatore; se vedevano l’altro soggetto o erano nella stessa stanza, l’obbedienza diminuiva; 2. Vicinanza e legittimità dell’autorità: più è vicina (presenza fisica) e legittima l’autorità più si obbedisce; quando usciva dalla stanza si obbediva meno; 3. Autorità istituzionale: aumenta l’obbedienza più è forte il ricercatore (se lo scienziato era di provenienza prestigiosa); 4. Effetto liberatorio dell’influenza del gruppo; quando si davano scosse in gruppo, quindi con altri collaboratori le scosse aumentavano, si obbediva di più. È il gruppo che è responsabile. I soggetti sperimentali erano comunque liberi di andare, di smettere di fare quello che diceva lo sperimentatore. Dopo questo esperimento nascono i codici e comitati etici: prima di fare esperimenti devono chiedere consenso alla commissione etica, chiedere il permesso e consenso informato ai partecipanti spiegandogli l’esperimento; quando il partecipante vuole smettere, smette senza spiegazioni. Milgram in seguito prende uno psichiatra e chiede ai soggetti sperimentali di tornare a fare un incontro di gruppo. Parlando con le loro famiglie i soggetti sperimentali sono stati additati come persone orribili o non o Atteggiamento ambivalente: contemporaneamente in questo pregiudizio sono presenti atteggiamenti di sessismo benevolo (donne brave a stare con i bambini, alla cura della casa) sul ruolo di genere; e atteggiamenti di sessismo ostile (manipolatrici, infide…). Entrambe forme di pregiudizio verso le donne che spesso convivono. o Stereotipi di genere e pregiudizi di genere sono legati: abbiamo maggior pregiudizio tanto più violiamo gli stereotipi di genere; - Pregiudizio verso l’omosessualità: la discriminazione contro gay e lesbiche rappresenta un problema da medio a molto grave. LE FONTI SOCIALI DEL PREGIUDIZIO Da dove nasce il pregiudizio a livello sociale. È il contesto sociale, i fattori situazionali che contribuiscono alla genesi e al mantenimento dei pregiudizi. Le disuguaglianze sociali e lo status quo. Si parla di fonti sociali e fonti motivazionali: - Quando esistono delle disuguaglianze, allora il pregiudizio aiuta a giustificare la superiorità economica/sociale di chi ha benessere e potere (es. nord e sud Italia). I pregiudizi aiutano a mantenere la situazione com’è: mantiene e non combatte le differenze/disuguaglianze di status; - SDO: Orientamento al dominio/dominanza sociale (Sidanius e Pratto): la spinta a far sì che il proprio gruppo domini sugli altri gruppi. Chi ha status sociale alto ama che i loro gruppi sociali abbino uno status elevato. Tutti abbiamo una credenza di quanto sia giusta la stratificazione sociale, e il gruppo a cui appartengo è migliore degli altri. La scala SDO è composta da domande che misurano quanto ciascuno di noi crede che le differenze sociali siano giuste: tanto più crediamo che sia giusto che nella società alcuni gruppi abbiano una posizione più alta, tanto più abbiamo pregiudizi per chi sta nella posizione più bassa; legato alla credenza su quanto sia giusto che la società sia stratificata; - Teoria della giustificazione del sistema (Jost et al., 2005): le persone sviluppano una ideologia per interpretare il mondo che sostiene lo status quo. Le persone sono motivate a giustificare la situazione o il sistema culturale correnti. Le persone hanno una credenza che interpreta il mondo come stratificato e mantengono lo status quo (quanto questo sia giusto); sono i gruppi di basso status che sostengono di più lo status quo, sono quelli che non si oppongono e non mettono in discussione il sistema. Tanto più le persone hanno questa ideologia, più hanno pregiudizio verso chi sta nelle posizioni più basse del sistema. LA SOCIALIZZAZIONE Il pregiudizio nasce dalla socializzazione: si apprende da tutto quello che ci viene tramandato (famiglia, scuola, quartiere…), da come veniamo cresciuti. Anche i pregiudizi vengono acquisiti dal contesto in cui viviamo. Come processo di influenza sociale, trasmettiamo pregiudizi anche se non ce ne accorgiamo. - Processo attraverso cui le nuove generazioni acquisiscono dalle precedenti modi di pensare ed agire; o Soggetti socializzatori: mediano tra l’individuo e il più ampio sistema sociale. - La personalità autoritaria (Adorno, 1950): una personalità incline a favorire l’obbedienza all’autorità e l’intolleranza verso l’outgroup e verso persone di status sociale inferiore; Etnocentrismo: credere nella superiorità etnica e culturale del proprio gruppo e avere un corrispondente disprezzo per gli altri gruppi. Più le persone obbediscono all’autorità più sono intolleranti verso gli outgroup; il pregiudizio nasce dai singoli. Le persone con più pregiudizio sono quelle che hanno avuto nell’infanzia un’educazione molto rigida, fredda, piena di regole e disciplina, poco empatica e accudente. Questo fa sì che la persona sviluppi una personalità autoritaria molto portata verso le regole e l’autorità e che porta ad una intolleranza verso l’outgroup anche in termini di pregiudizio. Le personalità autoritarie tendono a sottomettersi a chi occupa posizioni di potere più elevate e ad aggredire o punire coloro che considerano inferiori al proprio status. Questa teoria considera solo l’individuo (in termini di educazione, come viene cresciuto) e non i gruppi. Questa teoria vede il pregiudizio come nato da un individuo singolo, mentre in psicologia sociale si dà moto valore alle norme e alle forme di influenza sociale che comprendono il gruppo. - Religione e pregiudizio; ruolo del fondamentalismo religioso: l’estremismo religioso è collegato a maggiore pregiudizio (orientamento politico di destra). Il pregiudizio può guidare la religione portando le persone a creare idee religiose a supporto dei loro pregiudizi; le persone più religiose nutrono maggiori pregiudizi razziali; i più devoti (di impegno) nutrono meno pregiudizi. - Il conformismo: il pregiudizio sopravvive per inerzia. La conformità mantiene il pregiudizio. È quasi autoalimentante, se ci siamo dentro è molto più facile essere spinti a aderire al pregiudizio piuttosto che metterlo in discussione. Chi si conforma più degli altri alle norme sociali ha più pregiudizi di chi invece si conforma meno. - Sostegno istituzionale al pregiudizio (es. classi differenziali). A volte sono le istituzioni che sostengono la discriminazione/la segregazione (divisione e isolamento). Il sostegno istituzionale al pregiudizio spesso non è intenzionale e passa inosservato. LE FONTI MOTIVAZIONALI DEL PREGIUDIZIO - La teoria della frustrazione e aggressività; la teoria del capro espiatorio (es. gli ebrei/immigrati durante crisi economica). Quando siamo frustrati perché non riusciamo a raggiungere un obiettivo, la frustrazione si trasforma sempre in aggressività. L’aggressività è rivolta verso la fonte della frustrazione. A volte frustrazione e aggressività non sono rivolte verso la fonte ma verso un altro obiettivo: verso un altro target più disponibile e presente, più accessibile e che diventano quindi il capro espiatorio. o Teoria sostenuta da diverse conferme empiriche; o La teoria dice che l’origine del pregiudizio avviene quando più c’è frustrazione; - La teoria del conflitto realistico: il pregiudizio nasce dalla competizione tra due gruppi per risorse insufficienti. Sherif: ricerca al campo estivo. Gli educatori erano complici dei due ricercatori. La prima settimana lasciano i ragazzini giocare, si creano le amicizie; seconda settimana hanno creato due gruppi separando quelli che erano diventati amici e li hanno fatti interagire, confrontarsi in prove in cui solo una delle due squadre vinceva. Si osserva allora che anche i ragazzini che prima erano amici cominciavano a odiarsi e screditarsi a vicenda. La competizione tra due gruppi per le risorse limitate (un solo vincitore) ha portato subito a conflitto e pregiudizi tra i gruppi. Il conflitto tra due gruppi e il pregiudizio nascono quando due gruppi competono per poche risorse. o Per ridurre il conflitto, gli Sherif dicono: se la competizione produce conflitto, se li si fa cooperare per uno scopo che fa comodo a tutti (scopo sovraordinato), la competizione e il conflitto forse diminuiscono; ▪ La cooperazione conduce alla riduzione del pregiudizio e del conflitto solo quando il compito va a buon fine; se la cooperazione non va a buon fine può essere che invece che ridursi il pregiudizio e il conflitto aumentino, perché si tende a trovare un capro espiatorio, a dare la responsabilità del fallimento all’outgroup; - Teoria della deprivazione relativa: anche quando le risorse non sono realmente insufficienti, i gruppi possono competere se percepiscono che gli altri si trovano in situazioni più vantaggiose o godono di privilegi maggiori. Il conflitto nasce anche quando ci confrontiamo con un altro gruppo e pensiamo che il nostro gruppo sia deprivato: il nostro gruppo nel confronto ne esce male anche se avrebbe tutto il merito di uscirne bene. Non è tanto la deprivazione oggettiva ma la percezione di essere deprivato rispetto all’altro gruppo: questo genera conflitto, svalutazione dell’altro gruppo come una forma di rivalsa rispetto al fatto che ci si sente deprivati. La deprivazione è relativa al gruppo ma riguarda più la percezione che non l’oggettività della deprivazione; - Teoria della identità sociale (Turner e Tajfel - esperimento dei gruppi minimi). Noi definiamo noi stessi in base ai gruppi ai quali apparteniamo. Avere un senso del noi rafforza il concetto del sé. Tre passaggi quasi automatici: o Noi categorizziamo, (teoria della categorizzazione sociale), automaticamente noi tendiamo a mettere/dividere il mondo in categorie/gruppi; questo è molto utile perché legati ai gruppi ci sono delle norme/valori/aspettative che non dobbiamo ogni volta reimparare, ma sappiamo già come comportarci. o Noi ci identifichiamo in uno di questi gruppi, agganciamo/associamo la nostra identità/il nostro valore al gruppo cui apparteniamo, alla categoria; chi sono io lo derivo dal gruppo (Ingroup vs outgroup); o Noi ci confrontiamo con gli altri gruppi per capire il nostro valore, siamo spinti a favorire l’ingroup svalutando l’outgroup; ▪ bias a favore dell’ingroup: tendenza a favorire il proprio gruppo per poter valutare positivamente anche se stessi. Si è più inclini al bias dell’ingroup quando il nostro ingroup è più piccolo e ha uno status inferiore all’outgroup - Terror managment theory (Greenberg, et al., 2001); teoria della gestione del terrore: le persone hanno paura della morte, e quando si trovano in situazioni che la ricordano cercano di ridurre questa paura spostando il pregiudizio su un gruppo, mettere sotto una cattiva luce l’outgroup. Questa teoria colloca la nascita del pregiudizio nella paura della morte: quando siamo in una situazione sociale che ci ricorda la morte, dobbiamo in qualche modo gestire questa situazione spiacevole, allontanarla. Quando ci sentiamo vulnerabili per la nostra mortalità, il pregiudizio aiuta a rinforzare un sistema di credenze minacciato. La gestione del terrore è costituita da risposte emotive e cognitive autoprotettive di chi è posto di fronte al monito della propria mortalità. Identità personale e identità sociale alimentano l’autostima: quando il nostro gruppo ha successo, o per effetto del bias intergruppi, quindi tendiamo a favorire l’ingroup, l’ingroup ha una valutazione positiva/vincente, la mia identità sociale è positiva che porta ad una autostima positiva. La teoria dell’identità sociale lega il gruppo cui appartengo alla mia identità e al mio valore. Più vale il gruppo più valiamo noi. LE FONTI COGNITIVE DEL PREGIUDIZIO - Categorizzazione sociale: classificare le persone in gruppi - Categorizzazione è spontanea (persone in base alla etnia); - Effetto dell’omogeneità dell’outgroup: «loro sono simili, noi siamo diversi»; tendiamo ad esagerare le somiglianze all’interno del gruppo; o Più si ha famigliarità con un gruppo sociale più si vedono le diversità; minore familiarità maggiori stereotipi; - Bias per la propria etnia: es. riconoscimento dei visi bianchi e neri; - La salienza categoriale: capacità di un elemento di attrarre l’attenzione; esempi salienti sono più disponibili in memoria; sono usati come scorciatoie per giudicare i gruppi. Importante nel mantenimento degli stereotipi; La tabella mostra gli effetti della teoria dell’identità sociale sui pregiudizi. A livello di atteggiamenti siamo motivati a favorire l’ingroup e sfavorire l’outgroup quindi noi siamo quelli bravi e loro quelli meno bravi. A livello di percezioni la teoria ci dice che noi siamo tutti diversi e che i componenti dell’outgroup sono tutti uguali (effetto automatico della categorizzazione sociale). Quando categorizziamo, noi percepiamo molte somiglianze all’interno dei gruppi più di quelle che ci sono in realtà. L’effetto della categorizzazione fa sì che le somiglianze nel gruppo aumentino per i componenti dell’outgroup e non per i componenti dell’ingroup. o Comportamento istintivo: schema comportamentale innato e non appreso mostrato da tutti i membri di una specie. - Influenze genetiche: il nostro carattere/temperamento ci viene donato alla nascita (eredità genetica) e dipende/è influenzato dalla reattività del nostro sistema nervoso simpatico; … ma natura ed educazione interagiscono tra loro. o Geni cattivi o un ambiente cattivo non sono sufficienti da soli a favorire una predisposizione all’aggressività. È l’eredità genetica che predispone alcuni bambini ad essere più sensibili e reattivi di altri ai maltrattamenti. - Influenze bio-chimiche: alcol, testosterone (ormone sessuale maschile), biologia e interazione sociale/comportamentale (correlazione con testosterone). Presenza di alcuni composti chimici nel sangue influenza la sensibilità neurale alle stimolazione aggressiva. Aggressività come risposta alle frustrazioni: - Teoria della frustrazione-aggressività (Dollard et al., 1939): la frustrazione conduce sempre a qualche forma di aggressività. o Frustrazione: qualcosa che impedisce di raggiungere uno scopo, ostacolo che blocca il comportamento teso al raggiungimento di un obiettivo; cresce se la motivazione a raggiungere tale scopo è molto forte. Non è detto che l’energia aggressiva esploda direttamente contro ciò che l’ha originata. o Dislocazione: reindirizzamento dell’aggressività o aggressività verso un obiettivo diverso da ciò che ha originato la frustrazione. Si tratta in genere di un bersaglio più sicuro e socialmente accettabile. Si verifica quando il bersaglio condivide con l’istigatore un grado di somiglianza e compie qualche azione secondaria che scatena questa aggressività; ▪ Esperimenti di laboratorio mostrano risultati contraddittori: a volte la frustrazione aumenta mentre a volte diminuisce l’aggressività. o Berkowitz: rivede la teoria e dice che la frustrazione produce rabbia, stato emotivo che predispone alla aggressività. - La deprivazione relativa: percezione di discrepanza tra aspettative e situazione reale, tra le aspettative e quello che poi le persone ottengono. o Può scaturire dal paragonarsi ad altri gruppi o dall’esposizione a programmi televisivi: contribuisce a trasformare la deprivazione assoluta (non avere quello che hanno gli altri), alla deprivazione relativa (sentirsi privati di qualcosa). L’aggressività come comportamento sociale appreso: - Teoria dell’apprendimento sociale (Bandura, 1997); teoria secondo la quale gli esseri umani apprendono il comportamento sociale per osservazione ed imitazione e mediante un sistema di ricompense e punizioni. Anche l’aggressività si apprende osservando gli altri e ricordandosi delle conseguenze. o La famiglia: bambini aggressivi hanno avuto genitori fisicamente punitivi, che hanno impartito la disciplina con modelli aggressivi. Può giungere al maltrattamento. o La cultura: ambiente sociale al di fuori del nucleo famigliare. o Esperienze avversive come frustrazione, dolore o insulti che sollecitano a livello emotivo; agire in modo aggressivo dipende dalle conseguenze che si prevedono (quando si è provocati o quado una risposta aggressiva appare più gratificante). CHE COSA INFLUENZA L’AGGRESSIVITÀ? - Esperienze avversive: o dolore e sofferenza: dolore acuisce l’aggressività; crudeltà dimostrata è crudeltà subita; o alte temperature ambientali: il caldo si rivela responsabile di un incremento degli atteggiamenti provocatori e ostili. o attacchi, aggressioni. - Provocazioni e sollecitazioni; anche stimolazioni fisiche; eccitazione sessuale; esercizio fisico; - Stimoli legati all’aggressività, per esempio sentimenti di rabbia o pensieri ostili (disponibilità di armi da fuoco); è più probabile che la violenza si manifesti quando alcuni stimoli legati all’aggressività scatenano sentimenti di rabbia repressa. - Influenza dei media: la televisione. o Quali comportamenti sociali prendono forma guardando la TV? Correlazione tra comportamento e visione di programmi televisivi: più sono violenti i contenuti dei programmi guardati e più i bambini risultano aggressivi (può essere che bambini aggressivi preferiscano guardare programmi aggressivi). Assistere a scene di violenza incrementa la violenza stessa: particolarmente vero in soggetti con tendenze aggressive. ▪ Visione di scene di violenza a 8 anni -> comportamenti violenti a 30 anni ▪ Visione di atti violenti in adolescenza -> maggiore probabilità di essere colpevoli di aggressività, furto e minacce di morte ▪ Visione di atti violenti in età scolare -> coinvolgimento in zuffe e litigi da 2 a 6 mesi dopo o Perché guardare la tv influenze il comportamento? Tre possibilità: ▪ È la sollecitazione prodotta che tende a riversarsi all’esterno e non i contenuti brutali che causano la violenza; ▪ La visione di atti violenti disinibisce (attivazione di pensieri collettivi alla violenza); ▪ Immagini violente suscitano imitazione. o Comportamento prosociale: comportamento sociale positivo, costruttivo e utile; il contrario del comportamento anti-sociale. o Effetti della tv sul pensiero ▪ Desensibilizzazione: dopo essere stati testimoni di migliaia di atti di crudeltà vi sono buone ragioni per aspettarsi una analoga insensibilità emotiva; ▪ Script sociali: copioni, serie di sequenze mentali fornite dalla cultura di appartenenza che suggeriscono come comportarsi e agire in svariate situazioni. ▪ Alterazione delle percezioni: il mondo fittizio della televisione modella la percezione del mondo reale. ▪ Attivazione di schemi cognitivi (priming): video violenti sollecitano idee legate alla violenza; ▪ Consumo di tempo: guardare la TV risucchia energie alle persone. - Influenza dei media: i videogiochi; o Gli effetti dei videogiochi preferiti (= violenti); più nocivo di guardare programmi tv violenti; perché giocare ai videogiochi dai contenuti violenti potrebbe avere un effetto nocivo? ▪ Il giocatore si identifica nel ruolo del personaggio violento; ▪ Commette in prima persona atti violenti; ▪ Viene coinvolto nell’intera sequenza (dalla scelta delle armi…); ▪ Viene coinvolto in continua violenza e aggressività; ▪ Ripete continuamente comportamenti violenti; ▪ Riceve una ricompensa per la sua aggressività. o Le ricerche mostrano che videogiochi violenti aumentano l’aggressività nei bambini e nei giovani, ossia: ▪ aumentano i pensieri aggressivi ▪ aumentano i sentimenti aggressivi ▪ aumentano i comportamenti aggressivi: bambini e adolescenti giocano con i compagni in maniera più aggressiva, litigano spesso e partecipano a zuffe; ▪ Desensibilizzazione verso la crudeltà ▪ Si riducono i comportamenti prosociali: si diventa più lenti nell’offrire aiuto a persone estranee e coetanei. - Influenze di gruppo: i gruppi possono amplificare le reazioni aggressive; perché? Quando le circostanze provocano la reazione aggressiva di un individuo, l’aggiungersi dell’interazione di gruppo spesso dilata e ingigantisce tale reazione. o Diffusione di responsabilità: o Contagio sociale e polarizzazione o Il gruppo violento fornisce una nuova identità sociale; «Il genocidio non è il plurale di omicidio». Maggiore aggressività è accompagnata da: presenza di persone di sesso maschile; personalità aggressive; consumo di alcol; visione di scene violente sui media; anonimato; provocazione; presenza di armi da fuoco; interazione di gruppo. COME RIDURRE L’AGGRESSIVITÀ È possibile ridurre o limitare l’aggressività? - Catarsi: ossia assistere o prendere parte ad azioni violente. Non funziona: quel gesto li conduce a mostrare una maggiore crudeltà (es: prendere a pugni il sacco da pugilato per scaricare la rabbia). Neanche reprimere la rabbia funziona perché rimuginandoci sopra si arrovella mentalmente su una serie di ipotetiche rappresentazioni della nostra rabbia e del nostro odio. - Apprendimento sociale: ignorare comportamento violento e premiare il comportamento non violento (i bambini si rivelano meno aggressivi); mentre le punizioni generano frustrazione, e ripropongono un modello violento. La punizione è un deterrente all’aggressività solo in situazioni ideali, quando la punizione è rilevante, immediata e certa e il destinatario non è in preda alla rabbia. Si potrebbe invece modellare e ricompensare sensibilità e cooperazione fin dalla prima infanzia, insegnano ai genitori come imporre la disciplina senza ricorrere alla violenza. CAP 13: CONFLITTO E RICONCILIAZIONE CHE COSA GENERA IL CONFLITTO? Quando l’interesse individuale è in contrasto con il benessere comune: il caso dei dilemmi (o trappole) sociali. come conciliare l’interesse individuale con il benessere comune? Trappola sociale: una situazione in cui le parti di un conflitto, in cui ciascuno persegue razionalmente il proprio interesse, vengono intrappolate in un comportamento reciprocamente distruttivo. COME SI PUÒ GESTIRE IL CONFLITTO? Teoria del contatto: studi che confermano la correlazione tra contatto e sviluppo di atteggiamenti positivi; - Molte conferme empiriche; per esempio abitanti bianchi e neri in Sud Africa, minore è il pregiudizio che essi percepiscono e maggiore è lo sviluppo di atteggiamenti simpatetici nei confronti dei membri dell’altro gruppo; anche «contatto esteso» funziona; - Eliminazione della segregazione/discriminazione: per es. eliminazione della segregazione razziale nelle scuole negli Stati Uniti; ma risultati di ricerca ambigui; o Frequenza dei contatti interetnici o interraziali: il contatto riduce il pregiudizio, ma allo stesso modo il pregiudizio riduce i contatti; o Ignoranza pluralistica: molti appartenenti a razze o etnie diverse percepiscono erroneamente che l’altro non ha desiderio di avere contatti. - Amicizia: un numero elevato di contatti tra gruppi riduce l’ansia che accompagna il momento iniziale dell’incontro e che un contatto personale prolungato, sortisce il medesimo effetto. Si tratta anche di costruire legami affettivi e non solo possedere cognizione dell’altro. o Riduzione dell’ansia: più contatti generano migliori relazioni; o Aumento dell’empatia: il contatto aiuta a mettersi nei panni degli altri; o Aumento della conoscenza: scoprire le somiglianze; o Diminuzione delle minacce percepite: allevia le paure e aumenta la fiducia. - Contatto alla pari: contatto su base di uguaglianza. Proprio come una relazione tra persone di diverso status alimenta atteggiamenti coerenti con il tipo di reazione, così vale per le relazioni di pari status. Perciò, per ridurre il pregiudizio, il contatto dovrebbe avvenire tra persone di pari status. La cooperazione: Talvolta il contatto alla pari non è sufficienti per favorire il superamento delle ostilità. Il contatto competitivo divide, mentre il contatto cooperativo unisce. - Minacce esterne comuni (nemico comune) promuovono coesione all’interno dei gruppi (aumenta il senso del noi); - Obiettivi sovraordinati producono cooperazione tra gruppi (fig. 13.8); ma solo nel caso di successo della cooperazione, mentre nel caso di insuccesso si tende ad addossare la colpa all’altro gruppo; sono obiettivi che richiedono uno sforzo di cooperazione; o Obiettivo sovraordinato: un obiettivo condiviso che necessita di uno sforzo cooperativo; un obiettivo che prescinde dalle differenze individuali tra le persone. - Apprendimento cooperativo migliora gli atteggiamenti raziali ed etnici; per es. tecnica del gioco a incastro o del puzzle o Jigsaw technique. Apprendimento cooperativo migliora i risultati accademici. identità di ruolo e identità sociale: - Essere consapevoli delle nostre identità sociali multiple, ossia il sapere di appartenere a più gruppi contemporaneamente aumenta la coesione sociale - Le persone bi-culturali (identità biculturale), che appartengono a due culture, come alcuni immigrati di I o II generazione, hanno un concetto di sé più positivo; credere nel multiculturalismo rende più aperti e tolleranti verso le culture diverse. La comunicazione: Negoziazione: processo d’interazione tra due o più parti in cui si cerca di stabilire cosa ognuna dovrebbe dare e ricevere in una relazione finalizzata al raggiungimento di un accordo vantaggioso per entrambe le parti. - Trattativa: risoluzione di un conflitto attraverso la negoziazione diretta tra le parti; - Mediazione: tentativo di una terza persona/ente neutrale di facilitare la comunicazione e risolvere il conflitto; aiutano a focalizzare la discussione su questioni cruciali e favorire il processo che porta ad un accordo. Il mediatore aiuta ogni parte a comprendere l’altra persona e sentirsi capiti. o Convertire vincitore-vinto in vincitore-vincitore: i mediatori facilitano la comunicazione costruttiva. Aiuta ad avere un orientamento cooperativo vincitore-vincitore, invitando le parti a pensare ai loro bisogni, interessi e obiettivi. o Accordi integrativi: accordi vincitore-vincitore che conciliano gli interessi di entrambe le parti per un vantaggio comune. o Ridurre gli errori percettivi attraverso la comunicazione controllata; - Arbitrato: risoluzione di un conflitto da parte di un terzo neutrale che studia la situazione e impone un accordo; i disputanti cercano di evitarlo. La conciliazione: Quando la risoluzione e la comunicazione diventano impossibili. - Chi si presenta troppo conciliante e cooperativo viene spesso sfruttato; - GRIT (graduali e reciproche iniziative per la riduzione della tensione): strategia progettata per ridurre le tensioni internazionali, pare funzionare nel mondo reale. Metodo che aiuta a verificare la spirale del conflitto, innescando una reciproca riduzione della tensione. o Ci deve essere una parte che comincia e che dichiara di voler fare un atto conciliatorio; invita poi l’altro alla reciprocità. Questo deve mostrare sincerità e credibilità. I passi iniziale per la riconciliazione comportano dei rischi ma non compromettono la reciproca sicurezza. LIBRO: BAMBINI INSIEME CAP 1: LA RICERCA Baumgartner e Bombi: psicologhe dell’età evolutiva. Hanno uno sguardo sull’apprendimento e la socializzazione dei bambini e degli adolescenti. - Questo libro riporta i metodi e i risultati di una ricerca degli psicologi dell’età evolutiva; - Su tre classi di scuola dell’infanzia, bambini 5-6 anni, in tre scuole del Lazio; - Obiettivo: Esplorare i temi dello sviluppo sociale: la dimensione gruppale nei bambini. Fino a 2-3 anni non si parla di socialità ma se ne parla verso i 5-6 anni quando cominciano a decentrare l’attenzione da sé all’altro; o Differenze di status all’interno del gruppo e se i bambini ne erano consapevoli; o Attività preferite da maschi e femmine: giocano insieme o c’è segregazione tra i due sessi; o Rappresentazione che i bambini hanno del gruppo: se e come i bambini si rappresentano il gruppo (della classe). LO SVILUPPO SOCIALE IN ETÀ PRESCOLARE Introduce l’importanza delle relazioni tra pari. - Early childhood: prima fanciullezza; - Si diventa individui sociali, senza l’azione tutoriale dell’adulto, solo nella relazione tra pari; la scuola dell’infanzia come primo contesto sociale dove i bambini si vedono e relazionano (costantemente) con gli altri bambini; - Ricerche condotte nel filone «Teoria della mente»: i bambini cominciano a pensare che gli altri hanno una mente diversa dalla propria (prima egocentrismo), cominciano a pensare che gli altri possono avere punti di vista differenti sulla stessa cosa. I bambini sviluppano l’idea/cominciano a capire che gli altri bambini hanno una mente, un’intenzionalità; questo permette e facilita l’interazione tra pari; - Dopo i 4 anni: i bambini possono «pensare il pensiero», ossia comprendono che, al di là del comportamento manifesto, gli esseri umani hanno uno stato interno, sono «esseri psicologici», e questo stato interno può essere interpretato e compreso. Così come lui ha intenzionalità e stati interni, desideri, così anche gli altri hanno intenzionalità e desideri; - Attribuire a sé e agli altri uno stato interno (non trasparente) ha implicazioni per il linguaggio, per l’interazione, la distinzione tra realtà e finzione. - Attraverso ricerche dagli anni ’80 in poi, gli studiosi della teoria della mente hanno prodotto evidenze empiriche che mettono in discussione la concezione piagetiana di egocentrismo intellettuale e la prospettiva adultocentrica della psicoanalisi; - Per es., le relazioni tra pari con compagni e fratelli sono una palestra per la lettura della mente degli altri (effetto benefico dei fratelli). Le relazioni tra pari non si sviluppano solo nella scuola dell’infanzia ma anche in famiglia con cugini e fratelli, anche se non è detto che si possano sempre sviluppare; - Nell’età prescolare, accanto alla famiglia, si apre un altro luogo di esperienza: gli altri bambini; - Non solo contesto di trasferimento di abilità apprese nel rapporto con adulti: nella relazione con gli adulti (genitori e adulti più vicini), le competenze sociali le posso trasferire nella relazione tra pari; ma anche le relazioni tra parsi sono luogo dove si impara la socialità; - Ma le relazioni tra bambini sono luogo di acquisizione di conoscenze sociali e di formazione della competenza socio-affettiva; - Dimensioni che organizzano l’esperienza: genere (tendenza a giocare maschi con maschi e femmine con femmine, chiamata “segregazione per il genere”), età (i bambini grandi tendono ad essere ammirati da quelli più piccoli), posizione nel gruppo. COMPETENZE TACITE IN ETÀ PRESCOLARE - Prerequisiti all’interazione: interesse per i coetanei, coordinano i turni di azione con interlocutore (presa di turno): i bambini devono essere interessati alla relazione con i coetanei; - Intorno ai 3 anni: motricità matura e controllata; capacità di tollerare assenza della madre… - Competenze tacite: scarto tra il saper fare sociale e il poterlo esprimere a parole; competenze che una persona manifesta sul piano del comportamento, senza poterlo riferire a parole. Sono quelle competenze sociali che i bambini mettono in pratica ma che non sanno spiegare a voce (es. sanno fare i turni sull’altalena); si dice che sia uno dei prerequisiti della interazione sociale vera e propria; - Ricerche degli anni ’90 mostrano che i bambini sono consapevoli dei processi gruppali, hanno una immagine articolata dei gruppi a cui appartengono, sono in grado di rappresentare i sotto-gruppi: i - Categorizzazione sociale (sulla base di età e genere): i bambini sono consapevoli delle differenze di età e di genere; - Ricerche di Sherif et al., (1961) sul campo estivo; (+ ricerche di Tajfel e Turner sul paradigma del gruppo minimo); - Differenziazione «noi» e «loro»: fa riferimento alla dinamica intergruppi che c’è anche negli adulti; ingroup e outgroup, noi diversi e loro tutti uguali (…); - Gruppo in senso psicologico, da cui si acquisiscono norme e valori, regole, convinzioni e modelli di comportamento: influenza sociale, è nel gruppo che acquisiamo norme, valori, comportamenti e atteggiamenti che mi permettono di vivere in società. Più il gruppo è importante per me, tanto più sono spinto ad aderire al gruppo e alle norme tipiche del gruppo. SOCIALIZZAZIONE DI GRUPPO - Gruppo: attrazione verso i simili. Maschi con maschi e femmine con femmine, verso i simili di età (…); - Socializzazione di gruppo: i bambini modellano il loro comportamento su quello degli amici, che percepiscono simili a sé. Processo di influenza sociale per cui i bambini osservano un comportamento dei loro amici, e modellano il loro sulla base di quello che vedono negli amici. - Oltre a genere ed età: anche gerarchia di status all’interno dei gruppi, come categoria che organizza il gruppo. Ci sono dei bambini più ambiti con cui gli altri vogliono stare di più: percepiti come più simpatici, bravi, casinari (…). Ci sono gerarchie di status anche nei gruppi di bambini: quelli di alto status sono quelli considerati più simpatici e con cui tutti vogliono giocare, a differenza di quelli con status basso con cui non vogliono stare. o I bambini/e più popolari, sono osservati costantemente dagli altri, che modellano il loro comportamento su quelli dei più popolari. I bambini osservano il comportamento dei bambini con più prestigio e lo modellano sulla base del loro (forma di influenza sociale), sia nel bene che nel male. - Aumento di attività sociale da 1 a 5 anni; o Nel passare da interazione diadica a gruppale: si acquisisce capacità di coordinare la propria attività sociale con quella degli altri partner. Si acquisisce sempre di più la capacità di stare in gruppo, non a livello duale ma stare contemporaneamente nel gruppo dove c’è anche l’amichetto più stretto. STRUMENTI Class dynamic test: Attraverso uno studio osservativo: strumento Class Dynamic Test permette di osservare la geografia sociale dei bambini. È possibile studiare nei bambini di 5- anni le rappresentazioni che i bambini hanno dei gruppi. - Gruppi, diadi, individui isolati; - Segregazione per età e genere: confermano che maschi stanno con maschi, femmine con femmine, i più grandi con i grandi e i piccoli con i piccoli. Nel riquadro è riportata la rappresentazione statistica del gruppo con il CDT: ogni pallino rappresenta un bambino. Più i pallini sono vicini più quei bambini tendono ad essere rappresentati vicini al CDT. C’è una segregazione per età e per genere all’interno delle classi. Osservazione diretta del comportamento: Comportamenti coesivi come per es. conversare, condividere, ricercare e mantenere la prossimità, diventano proprietà stabili nel bambini a 5 anni. Comportamenti coesivi sono quelli tipici della interazione che aumentano dopo i 5 anni. Osservano e appuntano sulla griglia con che frequenza avvengono i comportamenti coesivi. Questi aumentano e sono stabili intorno ai 5 anni. - Percentuale: quanto si verifica il comportamento; - Media: tra le classi; - Deviazione standard: misura della variabilità rispetto alla media (quanto i punti della media sono variabili). CAP 5: BAMBINI E BAMBINE Il capitolo passa in rassegna alcune ricerche che vedono a come si acquisiscono e sviluppano i comportamenti appropriati in base al genere. SESSO E GENERE - Il sesso: tutti i fattori biologici (cromosomi sessuali) che descrivono una persona come uomo, donna o intersessuale. Quello che ci è stato assegnato alla nascita, il dato biologico; - Il genere è una costruzione sociale e ha a che fare con i tratti, gli interessi, i ruoli sociali, gli stereotipi, le pratiche di socializzazione che sono associati ad un uomo oppure ad una donna. Quelle costruzioni sociali associate al sesso alla nascita che son tipiche di ogni cultura. Costruzione sociale che riguarda non solo come ci vestiamo o con quali giochi giochiamo, ma anche qual è il comportamento appropriato per maschi e per femmine. o Ruoli sociali: quei ruoli associati all’essere maschio o femmina. I ruoli sono associati a delle aspettative che possono essere più o meno rigide: ciascuno di noi può avere una credenza riguardo ai ruoli sessuali (es. piangono le femmine non i maschi…), più o meno rigida; ruoli di genere più sfumati/flessibili quando maschi e femmine ricoprono gli stessi ruoli. I ruoli ci sono, servono per la socializzazione e si apprendono nella socializzazione, ci accorgiamo che esistono quando qualcuno li infrange. o Stereotipi di genere: quando le credenze riguardo quello che è appropriato o meno per maschi e femmine è molto rigido. LA PSICOLOGIA DEL SESSO E DEL GENERE Gender studies: di cosa si occupa? Dello studio e la ricerca su: - Sesso e genere; stereotipi, discriminazioni e pregiudizi fondati sul sesso e sul genere; studia come vengono acquisiti i ruoli di genere e come si combattono gli stereotipi di genere; - le relazioni fra sesso e genere: le relazioni fra questi due aspetti e altri aspetti (orientamento sessuale, razza, status…), e di come questi aspetti intersecati hanno impatto sulle vite delle persone (lavoro, famiglia, salute…). Relazioni doppio stigma: che hanno a che fare con il genere e anche con l’orientamento sessuale. Studia come l’essere una donna e gay influisce su aspetti importanti quali la carriera, la salute mentale, essere o meno oggetto di stigma. Appartenere ad una minoranza viene spesso associato ad uno stigma sociale. BAMBINI E BAMBINE - Sesso e genere; - Dato biologico: costruzione sociale = Stereotipi di genere. La costruzione sociale si basa su un dato biologico; quello che interessa la psicologia sociale è che nel passaggio del nascere maschio o femmina e le credenze loro associate, possano nascere quelli che sono gli stereotipi di genere. - Relazione circolare tra aspettative (stereotipi) e comportamento, ossia profezia che si auto-avvera; Gli stereotipi di genere sono profezie che si autoavverano. Da un lato ci sono aspettative riguardo ciò che è appropriato o meno che influisce sul comportamento e allo stesso modo il comportamento influisce sulle aspettative (relazione circolare). o Per esempio: capacità delle bambine in materie scientifiche (STEM, gruppo di materie scientifiche); ragazzi che vogliono intraprendere materie umanistiche. Squilibrio di genere dove ci sono poche ragazze che fanno percorsi di studio nelle materie STEM. Dove invece gli inseganti hanno meno stereotipi riguardo le ragazze e la matematica, più ragazze si iscrivono alle facoltà matematiche. Esperimento effetto pigmalione, anni ‘60: Rosenthal e Jackobsen somministrano alle elementari un test di intelligenza. In seguito al conteggio dei punti dei ragazzi, senza dirlo alle insegnanti sorteggiano 5 nomi a caso, e riferiscono alle insegnanti che quei 5 ragazzi erano i ragazzi più intelligenti in classe, quelli che avranno migliori risultati scolastici alla fine dell’anno. Alla fine dell’anno quei 5 ragazzi erano quelli con i voti più alti e considerati migliori studenti alla fine dell’anno. Questo esperimento riguarda la profezia che si autoavvera: gli insegnanti rinforzavano e seguivano meglio proprio quei 5 ragazzini, cosi che a fine anno sono arrivati ad essere quelli con i risultati migliori. SEGREGAZIONE DI GENERE - Segregazione di genere: i maschi giocano coi maschi, le femmine con le femmine; anche le relazioni diadiche sono omogenee. - Secondo anno di vita: inizio della tipizzazione delle preferenze di giochi ed attività. Vuol dire che intorno ai 2 anni le femmine cominciano a preferire certi giochi e i maschi altri giochi; - Segregazione di genere e tipizzazione si autoalimentano: divisione in gruppi omogenei per sesso è causa e conseguenza della diversità di interessi tra maschi e femmine. C’è la tendenza a giocare con i bambini dello stesso sesso e quindi con i loro giochi tipici. GLI STEREOTIPI DI GENERE Ma… le rappresentazioni di genere NON sono il destino… per es. se insegnanti non condividono concezione della inferiorità delle femmine in matematica, allora le ragazze sviluppano autoefficacia in matematica. Ruoli e stereotipi sono profezie che si autoavverano, ma è anche vero che viene attribuita grande responsabilità alle figure educative, tutte le figure che insieme costruiscono l’ambiente educativo. LO SVILUPPO DI GENERE: PRINCIPALI TEORIE Genere: costruzione sociale legata al sesso. - La spiegazione biologica: nascere in un sesso piuttosto che in un altro significa sviluppare certi ormoni che influenzano certi caratteri del nostro aspetto fisico, e ormoni che influenzano sul nostro comportamento. Da considerare parziale perché non tiene conto dell’apprendimento successivo associato ai ruoli di genere. - La spiegazione cognitiva: prima i bambini categorizzano sé stessi e gli altri in maschi e femmine, capiscono che esistono maschi e femmine (costanza del sesso), acquisiscono l’idea che il sesso non cambia. I bambini imparano che maschio è maschio e femmina è femmina (categorie immutabili). Questa costanza del sesso è un prerequisito: una volta che capiscono questo si parla di schemi, cioè acquisiscono degli schemi di comportamento che sono legati a quelli che sono i comportamenti tipici dei maschi e delle femmine, inclinazioni che si ritengono tipiche di maschi e femmine.
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