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Teorie e pratiche nei gruppi nella prima infanzia, Appunti di Psicologia Sociale

Appunti sbobinati presi durante le lezioni della prof.ssa Monica Pivetti sulle lezioni che riguardano il libro "Psicologia Sociale" di David Myers e Jean M. Twenge

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 15/04/2022

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Scarica Teorie e pratiche nei gruppi nella prima infanzia e più Appunti in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! TESTI: - Psicologia Sociale (cap. 1-3-5-6-8-9-10-13) - Bambini insieme: intrecci e nodi delle relazioni tra pari in età prescolare (TUTTO) ESAME: - Ci sono domande per l’esame su moodle per ogni argomento - Scritto con 31 domande a risposta chiusa (1 punto se corretta; 0 punti se sbagliato) - Possibilità di preappello - Inviare PDP per mail (per tempo, smezzare l’esame e schemi) CAP. 1 INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA SOCIALE La PSICOLOGIA SOCIALE si occupa di gruppi sia le dinamiche interne (es. leadership, maggioranza, minoranza ecc.) e sia le relazioni tra gruppi (es. pregiudizio o conflitto tra gruppi). Vedremo che spesso il pregiudizio è una forma di conflitto tra gruppi: es. negli Stati Uniti differenza tra bianchi-neri; in Italia nord- sud Alcune DEFINIZIONI che vengono date alla psicologia sociale sono rappresentate così: - È lo STUDIO SCIENTIFICO del modo in cui le persone e i gruppi percepiscono e pensano gli altri, li influenzano e si pongono in relazioni con essi= vuol dire che non siamo come giornalisti che osservano la realtà e la descrivono ma gli psicologi sociali fanno ricerca empirica, con metodi di ricerca di tipo sperimentale/correlazionale/descrittivo, per studiare come le persone non solo interagiscono con gli altri quando stanno in gruppo ma anche come cambia il modo di pensare nello stare in gruppo abbiamo delle credenze e norme che influenzano il nostro modo di comportaci e ragionare quando siamo in gruppo; - Amerio dice che la psicologia sociale è “la disciplina che collega l’analisi dei processi degli individui con l’analisi delle dinamiche sociali nelle quali i primi sono coinvolti; in particolare studia i modi in cui l’esperienza, l’attività mentale e i comportamenti si articolano con il contesto sociale”= la credenza individuale è legata a fenomeni più ampi es. le credenze riguardo al genere. Io che partecipo in un gruppo mi comporto non solo in base alle mie credenze individuali ma anche a credenze che derivano dal contesto sociale in cui sono cresciuto e vivo. Quindi sono sicuramente elementi individuali ma contemporaneamente sono legati a un contesto socio-culturale più ampio. La psicologia sociale cerca di legare queste due dimensioni: la dimensione individuale e la dimensione sociale Si dice spesso che la psicologia sociale si trovi a metà strada tra la PSICOLOGIA e la SOCIOLOGIA: la psicologia che studia il mondo psichico individuale del singolo e la sociologia che studia le categorie sociali (es. donne, uomini, i lavoratori, i disoccupati ecc.) Ci sono 3 grandi linee di ricerca in psicologia sociale: 1. LE PERCEZIONI E IL PENSIERO SOCIALE= quella ricerca fatta suoi singoli, su cosa sono gli atteggiamenti, sulle percezioni (si studia a livello dell’individuo) 2. L’INFLUENZA SOCIALE= es. ragazzini si vestono tutti in modo uguale è una forma di reciproca influenza tra loro in cui c’è uno standard appropriato e tutti hanno una sorta di pressione verso l’uniformarsi verso questo standard (si chiama norma di gruppo). Questa influenza sociale avviene anche in altri contesti come nelle giurie nel prendere le decisioni o quando stiamo in un gruppo. Uno delle cose di cui si occupa la psicologia sociale sono i comportamenti delle folle (es. i gilet gialli è una forma di protesta nata in Francia e sono nati per protestare contro l’aumento della benzina ma poi sono sfociati in un movimento collettivo anche violento delle volte). La psicologia non scusa questi comportamenti ma li studia e si è scoperto che straordinariamente facile quando si è in gruppo arrivare a questi estremi: anche persone che normalmente non farebbero quel comportamento, quando si trovano in gruppo per diversi motivi, diventano più estremi rispetto a quando si trovano da soli. Es. dei tifosi allo stadio: quando un tifoso della Lazio si trova fuori dallo stadio con un tifoso della Roma, non si sono mai visti ma hanno due sciarpe di squadre diverse e si menano. È inspiegabile perché non si conoscono e hanno solo il colore delle sciarpe diverse, perché si menano? La psicologia sociale cerca di studiare questi fenomeni 3. LE RELAZIONI SOCIALI= si intende come nasce l’aggressività e il pregiudizio, come si fa a ridurre il pregiudizio tra persone e gruppi, come nasce l’altruismo e la prosocialità studia quelle relazioni tra pari a livello interindividuale che possono essere aggressività/pregiudizio ma anche comportamenti positivi come quelli prosociale (es. volontariato o scout). Tutti i gruppi hanno qualcosa in comune anche se sono di diversi tipi. I CAPISALDI:  una delle basi teoriche della psicologia sociale è che noi costruiamo la nostra realtà la realtà non è oggettiva ma socialmente la costruiamo= es. la mia opinione sui vaccini non è un’opinione di uno scienziato (non sono un ricercatore) e quindi anche il mio comportamento dipende da come costruisco l’idea della fiducia nella scienza, nei vaccini e io che senso do al bilanciamento tra protezione della comunità e rispetto dei miei diritti individuali. Quindi, non esiste una realtà oggettiva ma dipende da come noi la costruiamo e da come noi costruiamo i significati associati agli eventi.  A volte questi nostri giudizi sono sbagliati: alcune ricerche mostrano che tendiamo a giudicare gli altri gruppi più negativamente del mio gruppo (es. la mia classe 5°B sfida a pallavolo la 5°A, l’altra classe tenderà a giudicare più negativamente gli errori commessi dalla 5°B) questo per dire che non siamo infallibili perché anche i giudizi che si formano a volte sono errati.  Noi non viviamo in un vuoto sociale, ma gli altri influenzano i nostri comportamenti e giudizi  La psicologia sociale ha delle teorie che mostrano legami tra atteggiamenti e comportamenti: queste teorie ci dicono che di solito l’atteggiamento predice il comportamento vuol dire che c’è una freccia che va da “atteggiamento” (come io percepisco un dato oggetto) al “comportamento” (come mi comporto verso quell’oggetto). Es: se io sono favorevole al vaccino per il covid perché ho fiducia nella scienza (atteggiamento) io mi vaccino contro il covid (comportamento). È interessante perché noi studiamo anche gli antecedenti dei comportamenti, cerchiamo di capire quali sono i fattori che possono indurre le persone ad avere o meno determinati comportamenti.  La psicologia è una lente per leggere la realtà perché molti eventi possono essere meglio compresi (non giustificati) attraverso alcune ricerche e teorie che sono state fatte I capisaldi della psicologia sociale sono collegati tra loro: se crediamo che la realtà è una costruzione sociale (= costruiamo socialmente i significati condivisi all’interno della società) allora possiamo credere che queste percezioni e questi giudizi sono sbagliati. Però in realtà non sono uno consequenziale all’altro ma elementi puntati che riguardano alcuni aspetti importanti della PS. che fanno ricerca hanno un codice etico che viene aggiornato periodicamente) e dall’altro lato c’era una divulgazione pubblica delle ricerche anche sui giornali e quindi la popolazione ha iniziato a criticare Milgram per aver fatto delle ricerche che ingannavano il partecipante e lo metteva sotto una cattiva luce. Quindi non è tanto come io partecipante mi sento ma più come l’opinione pubblica ha reagito a queste ricerche. È possibile che Milgram abbia dato una prima spiegazione delle giustificazioni? le persone si sentono giustificate nel compiere queste azioni di violenza, solo perché rispondono all'autorità? SI. Il focus della ricerca era l’obbedienza e le condizioni in cui le persone avrebbero obbedito ad ordini immorali e violenti in nome di un’autorità percepita legittima. Il parallelismo è semplice: così come i nazisti dicevano nel processo di Norimberga che obbedivano solo agli ordini, in qualche modo delegano la responsabilità, giustificano le loro azioni e allora commettono facilmente azioni violente e contrarie al vivere comune.  Visto che i generali nazisti se non avessero eseguito gli ordini avrebbero rischiato di essere fucilati, c’era in gioco la loro vita. In questo esperimento i ricercatori non davano minacce. Essendo consapevole del fatto che la scossa avrebbe potuto uccidere lo studente, loro lo facevano solo per semplice obbedienza. Perché? La ricerca ha mostrato che il 60% dei partecipanti arrivava fino al fondo scale e la cosa strana è che c’erano dei meccanismi dove l’obbedienza era più alta o più bassa: es. se lo sperimentatore usciva dalla stanza l’obbedienza diminuiva (le persone si sentivano libere di non fare); se invece lo sperimentatore era nella stanza e incitava l’insegnante “proceda con l’esperimento, vada avanti”, l’ubbidienza aumentava. Entra così la giustificazione “me lo ha detto lui quindi lo faccio”. Tanto più la fonte dell’obbedienza era vicina tanto più l’obbedienza aumentava. Era una forma di fiducia nell’autorità che spostava la responsabilità!  In fondo oggi questo non potrebbe succedere perché abbiamo più consapevolezza e forse all’epoca non c’era consapevolezza su questi meccanismi. In realtà si è visto che ci sono dei valori e degli ideali. Ogni gruppo condivide dei valori e degli ideali (es. ragazzi che escono da scuola condividono il valore della felpa firmata) e anche le dittature avevano dei valori verso cui le persone si identificavano (es. Mussolini ha fatto e migliorato molte cose positive): quindi i valori positivi su cui identificarsi c’è in ogni gruppo, quindi non è tanto l’ignoranza (il “non so”), ma quali sono i valori e le idee a cui mi avvicino es. nell’esperimento di Milgram uno dei valori è l’obbedienza all’autorità, perché nella nostra società obbedire all’autorità è una cosa positiva, quindi non obbedire è pericoloso. Non è tanto l’ignoranza! Tajfel diceva che le relazioni delle persone si possono vedere lungo un continuum che va da un continuum individuale a un continuum di gruppo: il comportamento degli individui di gruppo è per esempio due eserciti che si fronteggiano quindi io obbedisco al gruppo e vado in guerra, non mi interessa dell’altro o di me, non dipende dalla mia morale ma dal mio ruolo lì, dal mio gruppo lì e dall’altro gruppo. Poi c’è un continuum che continua fino al polo opposto che sono i rapporti di amicizia e di amore la relazione tra due persone è basata sulle proprie caratteristiche individuali, sui propri valori e preferenze. Se la situazione è di gruppo la mia individualità viene meno e diventa più rilevante la mia identità di gruppo/sociale; se si tratta di una relazione interpersonale è importante la mia individualità personale= Teoria dell’identità sociale di Tajfel. Gli psicologi cercano di spiegare queste situazioni pensando a come funzioniamo nei gruppi perché in fondo, il soldato dell’esercito nazista era componente di un gruppo.  È molto personale. Dovresti essere padrone di te stesso a prescindere che ci sia l'autorità o meno se una determinata azione va contro la tua morale. In sintesi, non farei di tutta l'erba un fascio. Il mio dire «non lo avrei fatto» è molto personale. C’erano anche persone che nell’esperimento di Milgram rifiutavano e se ne andavano come c’erano disertori nell’esercito nazista. Per cui è vero che c’è una dimensione individuale ma la PS è interessata alla dimensione di gruppo e quindi cerca delle spiegazioni sugli eventi che riguardano i gruppi. Successivamente la PS ha avuto un momento di difficoltà: -tra gli anni 70-85 c’è stata una forma di rallentamento delle ricerche in psicologia sociale:  da una parte ch’è stato un problema di critica nel metodo di laboratorio queste ricerche (come quelle di Milgram) sono state criticate perché si pensa che non in un laboratorio, nella realtà, le cose non vanno per forza così  dall’altra parte c’è stata una difficoltà nella risoluzione di alcuni problemi Milgram ha spiegato come nasce l’obbedienza, quindi come facciamo? Perché un conto è spiegare come avvengono le cose e un conto è risolvere il problema e prevenire. -Dall’85 a oggi: VISIONE PLURALISTICA  c’è più una prospettiva realistica= ci sono alcuni di noi che sostengono una psicologia sociale più sperimentale (facciamo esperimenti più semplici e con più basso impatto)  molti pensano alla PS in modo più socio-costruttivista= ci domandiamo come le persone costruiscono il mondo sociale e spostarsi sullo studio delle credenze ingenue delle persone  sviluppate le neuroscienze che vedono con la risonanza magnetica quali sono le aree del cervello che si attivano in risposta ad alcuni stimoli= non convince molto la prof perché una volta che abbiamo scoperto che è la amigdala è responsabile delle emozioni, cosa questo ci spiega sui comportamenti delle folle e cosa ci aiuta a spiegare le violenze di quartiere? Poco. Ma è un filone di ricerca che ha avuto molti finanziamenti e si sta sviluppando! La PS in Europa si è ripresa dopo la Seconda guerra Mondiale grazie alla collaborazione con gli psicologi che erano migrati in America c’è una Conferenza Europea di Psicologia Sociale Sperimentale nel 1963 a Sorrento: ci sono conferenti europei di psicologia sociale che vengono fatti vedere come punto di ripartenza della PS dopo la Seconda Guerra Mondiale per una psicologia sociale “più sociale” con Tajfel, Nuttin, Moscovici e molti altri. La PS europea è più spostata sul versante sociale anziché guardare al metodo sperimentale, guarda più all’approccio socio-costruttivista (= come le persone costruiscono la realtà e non guardiamo ai gruppi come la somma dei singoli individui, cosa che fanno i nordamericani). La PS europea, che era quasi scomparsa all’inizio del ‘900, prende grande slancio dai fondi degli USA dopo la Seconda guerra mondiale e ha un grande impulso. Si riallacciano i rapporti con l’Europa e le collaborazioni e i fondi statunitensi in Europa e anche in Italia promuovono di nuovo lo sviluppo della PS. Il 1963 è la data che usiamo come punto di partenza dove si riuniscono molti psicologi importanti nella Conferenza Europea di Psicologia Sociale: Moscovici è uno di questi ed è il padre della Teoria delle rappresentazioni sociali. Che caratteristiche ha la PS europea rispetto a quella statunitense? PS EUROPEA:  si distanzia da quella statunitense proponendo una PS più sociale= guarda le comunità (non il singolo), guarda come i gruppi costruiscono i significati, guarda quali sono le forze in una comunità che portano a un cambiamento? Perché una delle critiche alla psicologia nordamericana era che è troppo individualista (= vedere il gruppo come la somma semplice delle sue parti) perché ogni gruppo è diverso e il modo/dinamica con cui le persone interagiscono in un gruppo ogni volta è diverso!  l’idea fondamentale è lo sguardo psicosociale= guadare gli individui e i gruppi in uno specifico contesto sociale es. non si può considerare un individuo nato e cresciuto nel paesino della valle e una persona nata nel centro di NY perché sono contesti sociali diverse, portate da culture diverse e con valori diversi: è importante comprendere il contesto sociale e il ruolo del contesto sociale nella vita di ogni individuo PS STATUNITENSE:  cercava di individuare teorie/fenomeni universali, comuni a tutti gli individui, indipendentemente dal contesto sociale di riferimento Grafico interessante perché fa vedere come le persone vedono l’altro: es. quando cammino per strada e vedo lo zingaro che chiede l’elemosina, vedo l’altro attraverso una lente (una costruzione sociale). Questa costruzione sociale può essere condivisa se appartengo a un certo orientamento politico. Ma so anche, senza dover interagire con quella persona e senza conoscerla, come mi comporto perché ho una costruzione del mio rapporto con quella persona posso dire “buongiorno” o darle qualche soldo MA non imparo dal niente a conoscere quella persona, ho già uno schema/pattern/comprensione di quello che è il mio rapporto con quella persona= si chiama LETTURA TERNARIA DEI FATTI non ho solo un rapporto diretto con quella persona ma ho anche il rapporto mediato dalla rappresentazione/costruzione che io ho di quell’oggetto sociale e dell’altro FOTO degli anni ’65 in Belgio c’è stato un meeting dell’Associazione Europea della Psicologia Sociale in Belgio parteciparono anche Moscovici e Tajfel (due dei padri fondatori della PS europea). - Serge Moscovici era un profugo rumeno e trasferito a Parigi dove è diventato una figura scientifica internazionalmente riconosciuta. Moscovici è conosciuto perché suo figlio è stato Ministro degli affari esteri nella Commissione europea; - Henry Tajfel era inglese e ha contribuito con la Teoria dell’identità sociale; - Kurt Lewin ha fatto la Teoria di campo; Kurt Lewin ha parlato della TEORIA DI CAMPO:  Dice che gli individui si costruiscono delle relazioni e quindi lo studio di queste relazioni può essere rappresentato come una mappa es. studiava come in una classe le relazioni tra i singoli alunni potevano essere rappresentati come le forze all’interno di un campo/contenitore  Un aspetto che privilegiava era la RICERCA-AZIONE= noi ricercatori non possiamo fare una ricerca e pensare di essere oggettivi (pensare di non entrare in quella ricerca) MA in qualche modo stiamo facendo sempre una ricerca-azione cambiando il campo e il contesto in cui andiamo a fare questa ricerca quindi portava avanti l’idea della ricerca-azione: es. se facciamo una ricerca in una classe stiamo già cambiando quella classe (stiamo già proponendo un metodo educativo o un approccio scientifico che cambia direttamente la classe)  Per lui era importante intervenire sui problemi sociali es. oggi dovremmo lavorare sulla prevenzione del bullismo perché non ci interessa studiare il bisogno di chiusura cognitiva (e altre cose individuali) ma dovremmo lavorare sui problemi dei gruppi perché il ricercatore ha una responsabilità sociale!  il GRUPPO era rappresentato come un insieme di legami interdipendenti= diceva che all’interno del gruppo, il singolo è interdipendente dagli altri e il gruppo è dinamico, non statico (non rimane uguale dall’inizio alla fine) Es. le classi non sono uguali dall’inizio alla fine, prima sono tranquille e poi diventano terribili. Questo per dire che l’entrata e l’uscita di un compagno della classe, il cambiamento di alcuni componenti, il cambiamento dell’approccio educativo ecc. possono influire sulla totalità del gruppo  a dx nelle culture collettiviste il SÉ È INTERDIPENDENTE= è strettamente legato a una rete di relazioni (famigliari, amicali e lavorative). Es: in alcune culture se mia sorella si comporta in una determinata maniera questo influisce profondamente anche sull’immagine di me e come sono io. È un altro tipo di concezione di sé stessi.  Sulle due culture, non si può capire in anticipo quale sia più opportuna. Positiva o negativa? Varia in base alle situazioni?: da un lato non si può scegliere in che cultura nascere. Non si sa dire quale sia la migliore, perché nelle culture collettiviste noi pensiamo agli estremisti lavoratori giapponesi che rischiano la salute e la famiglia per l’azienda ma magari sono nazioni in cui i legami sociali sono ancora più strette rispetto a quelle individualiste. Es: se un collega ha bisogno di un impegno extralavorativo per un trasloco è molto probabile che riceverà aiuto in una cultura collettivista piuttosto che individualista. Quindi non parlerei di positivo e negativo ma più di considerare in che cultura viviamo quando studiamo la formazione dell’immagine di sé in una cultura individualista dobbiamo tenere in considerazione che l’individuo è valutato singolarmente mentre in una cultura collettivista quando la studiamo lo facciamo considerando che il valore della persona è legato al valore delle persone che gli stanno intorno (legami famigliari, amicali e di lavoro).  Quindi queste culture sono ben consolidate e difficili da intercambiare in un esempio di grande numero e non solo nel piccolo? Si sono culture storicamente contestualizzate che si impongono sulle persone, Moscovici direbbe che sono egemoniche (=dominazione) perché vivere e nascere in una cultura individualista è probabile che apprenda un approccio individualista, così anche per la cultura collettivista.  Resta però sempre la capacità individuale di rivalutare la cultura in cui nasciamo e cresciamo e perché no, anche modificare o rielaborare i valori acquisiti. Inutile dire che nella maggior parte delle volte la cultura individualista si identifica con l'essere egoriferito dell'essere umano mentre in quella collettivista si apre uno spazio in più per il pensiero che le nostre azioni non sono solo nostre ma coinvolgono tutti quelli che fanno parte della comunità in cui viviamo: è vero che uno può anche guardare criticamente la propria cultura e distanziarsene. - METAFORA DELL’ACQUARIO è come un pesce immerso in un acquario, la cultura in cui nasciamo è un ambiente di cui non ci rendiamo conto ma fa parte del nostro modo di relazionarci e stare con gli altri - METAFORA DEL PHON ACCESO un phon acceso (influenza sociale) che ci spinge verso l’adesione delle regole della nostra cultura, possiamo allontanarci ma è molto difficile perché c’è una pressione sociale a uniformarsi alle regole della cultura in cui nasciamo Altra teoria che ci aiuta a spiegare come noi ci formiano delle opinioni su noi stessi è la TEORIA DELL’AUTOPERCEZIONE di Bem= dice che delle volte non siamo consapevoli dei nostri sentimenti/opinioni/caratteristiche personali e non abbiamo conoscenza diretta. Quindi come facciamo? Le scopriamo dai nostri comportamenti! Questa teoria (alla prof non convince ma ha avuto dei sostegni empirici) mostra che noi a volte non siamo consapevoli direttamente delle nostre opinioni/caratteristiche/atteggiamenti MA le comprendo e scopro osservando com’è il mio comportamento dall’esterno Es. io passo per strada faccio l’elemosina a uno zingaro e quindi secondo me per questo gesto sono altruista e generosa; ho aiutato la mia amica a traslocare allora sono una persona che collabora e aiuta gli amici  questa idea che noi non siamo consapevoli delle nostre caratteristiche sorprende un po’ però noi scopriamo chi siamo a volte man mano che facciamo le cose. A volte descriviamo noi stessi sulla base dei nostri comportamenti. Che cos’è l’AUTOSTIMA? Definizioni:  è il giudizio/valutazione che una persona ha di sé stessa  è la percezione del mio valore (quanto valgo)  implica una forma di autoconsapevolezza= implica il fatto che le persone riflettono sul proprio valore si domandano quanto valgono es. io penso di essere una persona buona perché sono consapevole del fatto che aiuto gli altri e non faccio male agli altri intenzionalmente Cosa succede quando è minacciata? È costoso per le persone avere una BASSA AUTOSTIMA perché queste persone non sono contente di sé stesse, non si piacciono e soffrono del fatto che non riuscire a raggiungere quel SÉ IDEALE= immagine di noi stessi che vorremmo raggiungere quindi hanno un’immagine negativa di sé: es. io studente vorrei essere al pari con gli esami e prendere 30 a tutti gli esami, avere un lavoretto, riuscire a vedere i miei amici e il mio fidanzato e cercare di vivere una vita piena e serena: questo è il mio sé ideale (è la versione migliore di me). Ma c’è anche un SÉ REALE: es. durante tutta la giornata non riesco a fare tutte le cose che voglio fare quindi se devo studiare per un esame non posso uscire con i miei amici.  Tanto più c’è discrepanza tra il sé reale e il sé ideale (tanto più è diverso quello a cui io ambisco di essere e quello che io so di essere in realtà) tanto più la mia autostima ne viene minacciata! Es: io vorrei uscire tutte le sere, la mattina seguire tutte le lezioni, il pomeriggio studiare e nel frattempo riuscire a studiare ma non riesco per vari motivi (il mio sé ideale è lontano dal mio sé reale) questo influisce negativamente sulla mia autostima Quando la mia autostima è minacciata: cerco di fare dei confronti strategici verso il basso con persone simili a sé ma più in difficoltà, migliora la mia autostima! Il confrontarsi con gli altri in maniera strategica è utile se il confronto è strategico: es. se io ho preso 25 all’esame e penso che sto prendendo diversi 25 e nessun 30 allora non sono così brillante però anche non consapevolmente facciamo dei confronti con gli altri. Se lo facciamo con chi ha preso 22, ne usciamo bene. Se lo facciamo con chi ha preso 30, ne usciamo male. Quindi il confronto consapevolmente, per uscirne bene, deve essere sempre fatto al ribasso= il confronto con chi è uguale a noi non ci aiuta molto (dal punto di vista dell’autostima) mentre il confronto strategicamente utile è quello fatto (anche consapevolmente) con chi è simile a noi per età/status sociale e alcune caratteristiche MA sappiamo che è più in difficoltà rispetto a noi su alcune cose questo confronto strategicamente fa bene alla nostra autostima. Il confronto verso l’alto, avendo l’autostima minacciata, non ci fa bene MA fa bene quando è inteso come una spinta al miglioramento!  L'autostima può essere anche minacciata dal giudizio altrui? Si, perché per esempio se pensiamo al cyberbullismo, avere un profilo sul social sempre criticato e deriso influisce pesantemente sull’autostima delle persone.  Confrontarsi con chi è “in basso” a livello di confronto strategico non può portare l'individuo a considerarsi migliore di altri? Il confronto è strategico perché migliora la nostra autostima, il confronto sociale con chi sta più in difficoltà di noi ci fa stare bene perché avere una buona autostima è meglio che avere una cattiva autostima. A volte facciamo confronti automaticamente.  Non dovremmo puntare su un confronto strategico verso noi stessi? No, perché la Teoria del confronto sociale di Festinger parlava di fare un confronto sociale (con gli altri) e non a noi stessi  Ma in ogni caso la persona è consapevole del livello su cui si colloca, per “comodità" ci si può confrontare con chi è più in difficoltà ma non può esimersi dal sapere che c'è chi fa meglio: giusto ma qui entriamo nel gioco tra consapevole e inconsapevole a volte sappiamo consapevolmente il nostro valore ma confrontarci con gli altri ci aiuta a capire meglio il nostro valore. Si, noi sappiamo già il nostro valore se facciamo confronti con chi sta peggio e quindi già stiamo facendo una valutazione sulla base di un giudizio che già abbiamo MA non sempre siamo consapevoli di questi confronti che facciamo. Il SÉ IMPERATIVO:  è l’immagine che noi dovremmo avere secondo il giudizio degli altri  è quello che per noi è la spinta es. abbiamo una famiglia competitiva che ci spinge sempre verso il meglio; es. io ho preso 25 all’esame ma so che dovevo prendere 30 perché mia mamma mi ha sempre detto che dovevo prendere il massimo dei voti.  il sé imperativo è l’obiettivo e la spinta verso uno standard ottimale Secondo la TEORIA DELLA DISCREPANZA DEL SÉ di Higgins= l’autostima si calcola dal gioco inter-relazione sé ideale, sé imperativo e sé reale. Gli psicologi parlano molto di concetto di AUTOEFFICACIA (self-efficacy)= è la percezione (reale o no) che io ho della mia capacità e della mia competenza Bandura è il teorico di cui ne ha parlato. Es: una delle cose che voglio fare è andare a Londra e ho soldi e tempo per farlo ma so che non parlo l’inglese, non ho mai preso l’aereo e non so orientarmi. La mia autoefficacia è bassa quindi non vado a Londra. L’autoefficacia è importante studiarla perché è legata al concetto di:  EMPOWERMENT (poter fare le cose)= se io penso di poter fare cose è più probabile che le farò, più penso di non poter fare cose più probabilmente non le farò come un cane che si morde la coda!  IMPOTENZA APPRESA= quando a un certo punto, dopo numerosi tentativi falliti, si smette di provarci es. io provo a fare un esame prendo 18, ne faccio un altro vengo bocciata, ne faccio un altro e vengo bocciata e alla fine sviluppo un senso di autoefficacia ovvero pensare di non riuscire a fare Allora l’autoefficacia è stata studiata in connessione al concetto di impotenza appresa e di empowerment perché più penso di essere in grado di fare le cose, più le farò! LOCUS OF CONTROL= è la tendenza di ciascuno di attribuire i nostri risultati come controllabili internamente o esternamente. Es. ho preso 25 all’esame: - ci sono persone che hanno un LOCUS OF CONTROL INTERNO= tendono a dare spiegazioni interne es. ho studiato, mi sono impegnata, potevo prendere di più ma 25 va bene - ci sono persone che hanno un LOCUS OF CONTROL ESTERNO= tendono a dare spiegazioni dei propri risultati esterne es. avrei potuto prendere anche meno ma per fortuna la prof mi ha dato 25 Vuol dire che ciascuno di noi ha questa tendenza (non è un tratto di personalità), che si può misurare con item di un questionario, di attribuire internamente o esternamente le cose che accadono. Si dice che:  avere un locus of control interno sia meglio perché è più redditizio dal punto di vista del successo sociale: se io tendo a dare la responsabilità di quello che succede a me stesso, mi impegno di più e avrò risultati migliore  avere un locus of control esterno è peggio perché se io penso che ciò che mi accade non lo posso controllare (per il tempo, per la fortuna, per gli altri ecc.) allora mi impegno di meno e avrò risultati peggiori come il self proteggeva l’autostima del singolo, il gruppo protegge l’immagine del gruppo). Ci sono es. dei vari tipi dei self-serving bias. AUTOPRESENTAZIONE (self-presentation)= è la spinta/motivazione a esprimerci e comportarci in modi che ci fanno avere un’impressione positiva sugli altri es. casa del Grande Fratello, chi sta dentro cerca di mostrarsi strategicamente sotto una luce positiva (durante le dirette si vestono, si truccano ecc.), ne hanno bisogno. Anche quando emergono dei conflitti nella casa, tutti i partecipanti cercano di presentarsi sotto una luce favorevole. Quindi si dice che le persone fanno un:  un AUTOMONITORAGGIO= si guardano dall’esterno e cercano di avvicinarsi alle richieste del contesto sociale in cui si trovano. Es: se io mi trovo in una situazione in cui è apprezzata l’autonomia, cercherò di diventare più autonomo.  un AUTOSABOTAGGIO= metto in atto comportamenti controproducenti, che creano una scusa pronta nel caso di insuccesso, al fine di proteggere la propria immagine di sé es. ho un appuntamento importante di lavoro giovedì alle 11 dove devo parlare di una nuova ricerca. Mi sveglio alle 6 preparo tutto, mi metto a pulire gli armadi, lavo i piatti, faccio una strada che non ho mai fatto e arrivo in ritardo (anche se mi sono svegliata presto). È un autosabotaggio perché, più o meno consapevolmente, le persone mettono in atto comportamenti controproducenti che possono essere colti per spiegare eventuali fallimenti. Se l’incontro va male per altri motivi (non per il ritardo) uno pensa che non è lui che non è capace ma è perché è arrivato in ritardo e pensa che se fosse arrivato prima ce l’avrebbe fatta. In cosa questo autosabotaggio mi ha protetto? Mi ha protetto perché non ha messo in discussione il valore di me ma ha creato una scusa dove mettere la responsabilità dell’accaduto.  Ma questo pessimismo difensivo, può essere anche controproducente alla lunga, magari continuo a pensare negativo e quindi non faccio più una determinata cosa: SI. C’è un fenomeno che si chiama PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA= è quando il target del pregiudizio/stereotipo mette in atto quello stesso stereotipo es. alcuni pensano che le donne siano meno brave in matematica rispetto agli uomini (è uno stereotipo). Può succedere che nelle ragazze al liceo si sia tanto interiorizzata l’idea che le donne vanno peggio dei ragazzi in matematica, allora non si impegnano nemmeno più. Quindi in qualche modo ripropongono lo stereotipo! Si dice che è una profezia che si autoavvera perché ci sono state ricerche che hanno dimostrato che, quando si riesce a togliere questo stereotipo/pregiudizio nel campo cognitivo delle persone, le ragazze e i ragazzi hanno la stessa performance quindi è un effetto dell’interiorizzazione dello stereotipo VIDEO: scienziata che cerca di ragionare su fatto della fiducia nella scienza. Fiducia della scienza è interessante perché ha a che fare con temi attuali come il vaccinarsi. Questa ricercatrice ne parla nel 2014 ma fa ragionamenti interessanti. Due binari: 1. Cosa mi ha convinto e cosa non mi ha convinto 2. Quale di questi ragionamenti si può applicare alla situazione pandemica CAP. 5 ATTEGGIAMENTI E COMPORTAMENTI Atteggiamento è una parola che usiamo nel linguaggio comune ma per gli psicologi sociali ci sono stati scritti molti libri su cos’è un atteggiamento quando scrivo un articolo e uso la parola “atteggiamento” ho in mente una serie di concetti che non possono essere sostituiti dalla parola “opinione” o “credenza”, perché è un’altra cosa. ATTEGGIAMENTO:  è una valutazione favorevole o sfavorevole verso qualcosa o qualcuno, radicata nelle credenze e mostrata nei sentimenti e nel comportamento intenzionale es. io potrei avere un atteggiamento verso i vaccini, gli zingari, l’università, la scienza  è qualcosa che ci costruiamo nel tempo, non è intuitivo e immediato è una valutazione quindi c’è una parte positiva o negativa: es. posso avere un atteggiamento favorevole o sfavorevole nei vaccini è radicata nelle credenze vuol dire che gli atteggiamenti non sono svincolati dal contesto sociale- culturale nel quale la persona è inserita (es se io tendo a curarmi prendendo pochi farmaci, avendo poca fiducia nella scienza e queste credenze mi portano ad avere un atteggiamento negativo verso i vaccini) Io mostro questo atteggiamento nei miei comportamenti: es. non faccio il vaccino non è solo un atteggiamento che sta nella mia testa ma è legato anche al comportamento che metto in atto. C’è una parte emozionale es. se io ho un atteggiamento contrario ai vaccini potrei avere un sentimento di paura verso i vaccini Vediamo che c’è una parte cognitiva di valutazione, una parte di emozioni e una parte di comportamento Gli atteggiamenti hanno 3 dimensioni:  una parte di cognizioni= la valutazione negativa o positiva;  una parte di affetto= sentimenti/emozioni;  una parte di comportamenti; Es: posso avere un atteggiamento positivo e ottimista verso la scienza, quindi emozioni di benessere e fiducia. L’esempio viene fatto molto bene anche verso i gruppi es: ci sono gruppi verso cui abbiamo atteggiamenti negativi che a volte sono pregiudizi/stereotipi ma questi atteggiamenti negativi verso certi gruppi porta con sé:  una valutazione negativa (es. penso che gli zingari siano sporchi e pericolosi) e porta questo atteggiamento oltre alla cognizione anche alle emozioni (odio, distacco, repulsione) e poi c’è un comportamento (es. vedo uno zingaro, se voglio gli do delle monete ma non mi metto a chiacchierare) Quindi dentro l’atteggiamento ci sono questi 3 aspetti contemporaneamente! Gli atteggiamenti possono essere diretti o verso oggetti sociali (es. vaccinazioni, scienza ecc.) ma anche rivolti a gruppinon gruppi in generale ma ad individui in quanto componenti di gruppi. Perché vedremo che gli atteggiamenti sono abbastanza omogenei verso tutti i soggetti di un gruppo: es. quando incontriamo uno zingaro per strada, non ci domandiamo cosa sta facendo e dove sta andando, ma fa parte del gruppo degli zingari in una forma di omogeneità, sono tutti uguali. Si dice che gli atteggiamenti siano di 2 tipi:  Impliciti e automatici= atteggiamenti che non siamo consapevoli e si attivano automaticamente;  Espliciti e controllati= noi ne siamo consapevoli, li possiamo misurare e ne parliamo (es. Salvini aveva atteggiamenti espliciti verso gli zingari); Come si fa a misurare ed osservare gli atteggiamenti espliciti?  Con delle SCALE DI ATTEGGIAMENTO= è una lista di item/domande e si chiede ai partecipanti di dire quanto sono d’accordo o no con ciascuna affermazione il punteggio totale ci dà una misura di quanto quella persona sostiene quell’atteggiamento  si possono guadare da un COMPORTAMENTO è celebre una ricerca degli anni ’30 negli Stati Uniti sul pregiudizio verso i cittadini immigrati cinesi: Un ricercatore ha chiamato diversi hotel per prenotare delle stanze per dei cittadini cinesi. Hanno registrato il comportamento, ovvero quante volte veniva accettata la prenotazione si è visto che molti hotel non accettavano prenotazioni per cittadini cinesi (mostrando che queste persone avevano atteggiamenti negativi verso queste persone). Successivamente, settimane dopo sono andati negli stessi hotel una coppia di attori cinesi a chiedere di prenotare una stanza e di persona si è visto che in questo caso la stanza veniva data. Questo è un modo di misurare gli atteggiamenti in maniera diretta, osservando il comportamento: non solo possiamo usare delle scale di misura (con item) ma possiamo anche osservare il comportamento diretto esempio classico che si usa quando si studia il legame tra atteggiamenti e comportamenti= delle volte gli atteggiamenti sono in linea con i nostri comportamenti, a volte invece si discostano.  Ma a seguito di questo esperimento, i ricercatori hanno trovato una spiegazione a questi risultati? Si, i ricercatori si sono interrogati sulla coerenza tra comportamento e atteggiamento e si sono detti che per cambiare i comportamenti bisogna agire sugli atteggiamenti (perché pensiamo che ci sia un legame diretto). Questa ricerca invece ha messo in luce come a volte anche il legame tra atteggiamenti e comportamenti non è così diretto ma a volte sono scollegati. Un aspetto che può essere intervenuto in questi risultati è l’EFFETTO DELL’INFLUENZA SOCIALE es. se al telefono io ti posso negare la prenotazione, quando vengo fisicamente all’hotel, siccome il pregiudizio è socialmente riprovevole (è negativo mostrarsi discriminanti perché c’è una pressione sociale verso il mostrarsi con pregiudizi), quando arriva la persona oggetto di un atteggiamento negativo/pregiudizio non voglio mostrarmi pregiudizievole e che discrimino, quindi accolgo i cinesi. Questa potrebbe essere una delle spiegazioni per spiegare questi risultati. Come facciamo a misurare gli atteggiamenti impliciti?  Dagli anni ’90 con un TEST IAT (Implicit Association Test)= consiste nella misura dei tempi di reazione. Il partecipante viene messo di fronte a un computer e viene proiettata velocemente una parola positiva (sole) e poi una parola target del pregiudizio (viso di una persona nera o parola “nero” per misurare la discriminazione contro i neri). Il soggetto partecipante deve premere più velocemente possibile un tasto della tastiera e il computer ha un software che misura il tempo di reazione che intercorre tra la parola proiettata sul computer e la pressione del tasto si è osservato che tanto più una persona ha pregiudizi verso i neri, tanto più ci mette a premere il tasto. Gli studi delle misure implicite ci dicono che tutti noi (anche persone progressiste) hanno dei pregiudizi: sembravano promettenti queste ricerche perché dicevano che non esiste la persona progressista e inclusiva perché tutti mostrano sempre qualche pregiudizio queste misure implicite sono state criticate dal punto di vista metodologico negli ultimi anni e si sta abbandonando. Per dare più concretezza a questa teoria: risultati di una ricerca ricerca sul fare o no test genetici prenatali (amniocentesi e villocentesi) nelle donne incinte. È stato fatto un questionario con alcune scale di atteggiamento: ognuna di queste caselle è una scala di atteggiamento (item). Sono state somministrate queste scale di atteggiamento a un gruppo di donne incinte, alcune avevano fatto il test prenatale e altre no. Quindi, la variabile dipendente è “avere fatto o non avere fatto il test”. Quali variabili intervengono su questo? - le norme soggettive che agiscono sull’atteggiamento (attitude toward the behaviour) a sua volta predice il comportamento di “fare o non fare il test”; - la percezione di controllo comportamentale (perceived behavioural control)= quanto penso che posso fare il test e quanto sono in grado di controllare la cosa a sua volta predice il comportamento; Ci interessa perché è un’applicazione del modello del comportamento pianificato sul fare o no i test prenatali questa ricerca ci dice quali sono i fattori determinati psicosociali, le leve, le dimensioni con cui potremmo andare a lavorare per andare ad aumentare i test genetici prenatali. Es. il fatto che la mia famiglia e i miei amici siano d’accordo, predice un atteggiamento positiva che a sua volta predice il test. Dove c’è la stellina vuol dire che la relazione c’è sennò non c’è. Altra ricerca in cui si è utilizzato il modello del comportamento pianificato per la predizione della raccolta differenziata (cosa spinge alle persone fare la raccolta differenziata) fatta in alcune regioni del sud (Puglia e Abruzzo). Il comportamento è: faccio o non faccio la raccolta differenziata in casa? - “cosa predice?” intenzione comportamentale che a sua volta è predetta dall’atteggiamento= ho un atteggiamento positivo a fare la raccolta differenziata - le norme sociali predicono sia l’atteggiamento sia l’intenzione comportamentale A cosa ci serve questa ricerca? A capire, per il comune, come incentivare i comportamenti di raccolta differenziata es. ci vorrebbe un atteggiamento positivo e una norma sociale positiva (internal attribution= quanto io mi sento responsabile dei problemi ambientali, anche questo predice l’intenzione e l’atteggiamento. Li abbiamo affrontati per dare esempi concreti di come questa teoria viene usata anche adesso.  Ma quindi la percezione di controllo influisce sia sull'intenzione comportamentale e sia direttamente sul comportamento? Sì, la percezione di controllo ha una freccia che va direttamente sull’intenzione comportamentale ma anche sul comportamento. Anche se ci fossero atteggiamenti positivi, norme soggettive positive e intenzione comportamentale positiva in realtà c’è questo “jolly” (la percezione di controllo)= se io penso di non essere in grado di portare a termine quel comportamento in vari modi e da vari punti di vista, questo influisce direttamente sul comportamento e non lo metto in atto. Abbiamo detto che gli atteggiamenti influenzano i comportamenti MA può succedere anche il contrario. Es. se io mi vaccino contro il covid, questo cambia il mio atteggiamento? Le ricerche hanno mostrato che è così e queste ricerche sono state fatte sulle strategie di vendita:  la TECNICA DEL PIEDE NELLA PORTA= es. cammino per strada e ci sono alcuni ragazzi che stanno facendo una raccolta firme per sostenere i ragazzi usciti dalle comunità terapeutiche contro la drogale e ti chiedono di firmare. Tu firmi perché tanto non ti costa niente. Mentre chiacchiero con questi ragazzi loro ti chiedono se vuoi lasciare anche un contributo per l’inserimento sociale degli ex tossici dipendenti si è osservato che dopo che ho firmato, è più probabile che lascio un contributo rispetto a quando non ho firmato e chiedono direttamente il contributo. Quindi la strategia di vendita è: - chiedo poco (firma la petizione) e poi ti chiedo tanto (dammi un contributo) - dammi subito tanto (un contributo) Si è visto che quando si chiede prima poco e poi di più, le persone tendono a dire di sì alla seconda richiesta più onerosa piuttosto a quando la stessa richiesta viene fatta direttamente. Altro esempio: a lezione un mio compagno chiede di prestargli i tuoi appunti perché non ha seguito la lezione e tu accetti. Il girono dopo lo stesso compagno è soddisfatto dei tuoi appunti e ti chiede gli appunti di tutto il corso (è una richiesta più onerosa)  le ricerche ci direbbero che se prima chiediamo poco e poi chiediamo di più, tendiamo a dire di SI! rispetto a quando la persona chiede direttamente e subito una richiesta più onerosa (es. tutti gli appunti). Questa tecnica del piede nella porta funziona con le tecniche di vendita.  TECNICA DEL TIRO MANCINO (adescamento)= es. il docente invita le persone del corso di andare in laboratorio a partecipare a un esperimento che dura poco. Le persone decidono di andare, tanto dura poco. Il giorno dopo il docente dice che le persone iscritte all’esperimento devono andare sabato mattina in laboratorio alle 8. Le persone ci ripensano perché non vogliono alzarsi presto alla mattina. In più il docente dice che il laboratorio di più di quanto aveva detto. Le persone pensano che ormai hanno detto di sì, quindi ci vanno. La tecnica del tiro mancino= è nascondere o sottovalutare (deliberatamente) alcuni aspetti spiacevoli della richiesta e rivelarli in un secondo momento perché si è osservato che le persone tendono a dire di sì (es. venire al sabato mattina in laboratorio) quando hanno già confermato alla prima richiesta (anche per un impegno superficiale) rispetto a quando la richiesta onerosa viene fatta direttamente. Hanno fatto due esperimenti: - in una condizione hanno fatto come abbiamo detto sopra - nell’altra condizione hanno fatto direttamente la richiesta onerosa sono andati a misurare quante persone partecipavano hanno osservato che le persone partecipavano di più al primo caso che al secondo, anche se erano state ingannate. Si chiama tecnica del tiro mancino perché in qualche modo sono stati ingannati e adescati. Questo effetto avviene questo perché noi di base abbiamo bisogno di essere coerenti con noi stessi!  come abbiamo messo in atto un comportamento, cerchiamo di essere coerenti con quel comportamento. Teorie avanzate per spiegare questi fenomeni perché tendiamo a dire di sì a una ricerca evidentemente che ci svantaggia e non ci piace? Sono state avanzate 3 spiegazioni: 1. CONCETTO DI COERENZA INTERNA (autopresentazione)= noi cerchiamo, più o meno consapevolmente, di essere coerenti con noi stessi e anche di presentarci così agli altri se io ho già detto di sì a una prima richiesta ora ho bisogno di mostrarmi coerente agli occhi degli altri e a me stessa: cerchiamo di comportarci conseguentemente in una maniera che ci fa apparire coerenti, anche se ci sfavorisce, questo è svantaggioso ma c’è questo bisogno di mostrarsi coerenti e sotto una buona luce, allora diciamo di sì 2. DISSONANZA COGNITIVA di Festinger (1957)= le persone sperimentano una dissonanza tra comportamento e atteggiamento (o tra 2 comportamenti) es. da un lato ho detto di sì alla prima richiesta del ricercatore quindi non posso dire di no alla seconda richiesta: questa teoria dice che queste persone cercano delle relazioni di consonanza/armonia tra due comportamenti o tra comportamento e atteggiamento perché la dissonanza tra un comportamento e un atteggiamento crea spiacevolezza. Per uscire da questo impasse (= difficoltà che non permette soluzioni) le persone, più o meno in modo consapevole, cambiano l’atteggiamento o il comportamento! allora le persone che hanno dato una prima risposta positiva al ricercatore, per evitare la dissonanza cognitiva, dicono di sì anche alla seconda richiesta. Per spiegare questa teoria utilizziamo un ESPERIMENTO che è stato fatto nel 1959: l’esperimento consiste nell’invitare un partecipante alla volta in laboratorio e di fargli fare per un’ora un compito molto noioso. Fatto questo: - a un gruppo di persone, uno alla volta, li ringraziamo e li salutiamo (no soldi e no bugie) è il gruppo di controllo; - a un altro gruppo di partecipanti, sempre uno alla volta, fanno il compito noioso e alla fine gli viene chiesto di mentire al partecipante che entrerà dopo dicendo che il compito era divertente gli vengono dati 20 dollari; - a un altro gruppo di partecipanti, sempre uno alla volta, fanno il compito noioso e alla fine gli viene chiesto di mentire al partecipante che entrerà dopo dicendo che il compito era divertente gli viene dato 1 dollaro; All’uscita del laboratorio c’è lo sperimentatore che chiede a ciascuno dei partecipanti dei 3 gruppi, quanto gli è piaciuto questo esperimento in una scala da -5 a +5, e si registra la risposta. Quello che è risultato strano per i ricercatori è che ci saremmo aspettati che chi ha ricevuto 20 dollari (ricompensa molto alta) avrebbe dovuto dire che era divertente rispetto agli altri partecipanti. Invece quello che si è trovato è che chi aveva ricevuto 1 dollaro ha detto che il compito era divertente questo dato l’hanno spiegato con questa teoria che dice: le persone sono spinte a mantenere una consonanza/armonia tra comportamento e atteggiamento (o tra 2 comportamenti) perché quando c’è un comportamento e un atteggiamento che sono in contrasto tra loro, si crea una dissonanza che è spiacevole Es. sono una persona a cui piace stare all’area aperta e mi prendo cura di me ma fumo, anche se so che il fumo fa male (è una dissonanza!). Allora le persone per ridurre questa dissonanza dicono che fumano poco, che non aspirano o che il fumo non fa male: cioè cercano di cambiare il loro atteggiamento rispetto al fumo e a sminuire l’importanza del fumo per uscire da questa dissonanza. perché è un modo alle persone di comprendere la realtà. A volte queste teorie sono funzionali e utili per comprendere la realtà, a volte sono sbagliate ma bisogna dargli valore perché bisogna un po’ riconoscergli che sono il modo con cui la gente comune si forma un’opinione su alcuni oggetti sociali rilevanti, che coinvolgono tante persone e in qualche modo ci chiedono di prendere una decisione (es. lo facciamo il vaccino contro il covid o no?). Una cosa che abbiamo studiato è che c’è in questa comprensione ingenua sviluppano anche delle teorie cospirazioniste es. coloro contrari ai vaccini sono quelli che condividono più teorie cospirazioniste come “il covid è legato all’inquinamento”, “il covid è legato alla tecnologia 5G” o “il covid è stato diffuso di proposito”. Queste teorie cospirazioniste (sbagliate scientificamente) ma contemporaneamente fanno parte di questa rappresentazione più ampia che ha a che fare con la comprensione ingenua del senso comune e questa comprensione è legata ai comportamenti (es. i no vax non si vaccinano contro il covid perché hanno sfiducia nella scienza e pensano che non è così grave il virus). Essendo TEORIE DEL SENSO COMUNE:  sono create dai gruppi: cioè in Italia abbiamo una rappresentazione e non è detto che la stessa rappresentazione sia nella nazione accanto sono tipiche di ogni gruppo-comunità  hanno una doppia natura sono contemporaneamente da un lato ciascuno di noi aderisce o meno a una rappresentazione (atteggiamento individuale come un’opinione). Ma siccome le rappresentazioni sociali circolano all’interno di una comunità/gruppo, siamo anche spinti ad aderire a queste rappresentazioni sociali Es. se io frequento amici che credono e seguono queste teorie cospirazioniste è più probabile che ci creda anche io perché è il discorso che queste persone continuano a fare e la rappresentazione che queste persone veicolano quindi è probabile che anche io condivida questa rappresentazione  hanno la loro origine dalla TEORIA DELLE RAPPRESENTAZIONI COLLETTIVE di Durkheim L’OBIETTIVO delle rappresentazioni sociali è:  rendere familiare/comprensibile qualcosa che non lo è es. per noi comprendere la dinamica della trasmissione del virus è complicato “perché alcune persone si ammalano e alcune no?” “perché in alcune zone ci sono più casi e in altre di meno?”: la complessità di queste domande richiede una familiarizzazione, cioè richiede che questi oggetti sociali così complessi siano familiarizzati.  Forniscono le rappresentazioni sociali come un linguaggio comune per discutere es. io sono a favore dei vaccini, penso che sia sicuro e quando incontro una persona no vax, io non ho un linguaggio per parlare con queste persone, non ho un piano comune sui cui parlare (ci parlo e lo rispetto ma non c’è un piano comune). Mentre chi condivide la stessa rappresentazione, condivide anche un linguaggio comune= favorisce gli scambi  Costruire la propria identità chi ancora adesso decide di non vaccinarsi, questo aspetto diventa un aspetto fondamentale per la loro identità (parlano solo di quello ed è il modo in cui si presentano agli altri): è un elemento centrale per definire chi sono loro. Quindi, la rappresentazione non è solo un discorso che viene fatto MA diventa fondamentale per descrivere chi siamo noi. Una cosa che la Teoria delle rappresentazioni dice è che: una volta che sono dentro un gruppo, la rappresentazione sociale che costruiamo insieme tutti i giorni, diventa egemonica (= diventa qualcosa che si impone, non più che scelgo). Quindi il soggetto si avvicina di più ai gruppi che giù sento vicini ma poi interagendo sempre con le stesse persone, le opinioni si polarizzano Moscovisci non parlava di polarizzazioni ma diceva che le rappresentazioni sociali che costruiamo nei gruppi diventano normative ed egemoniche e quindi ci spingono ad aderire ancora di più a queste rappresentazioni. CAP. 8 INTERAZIONE DEI GRUPPI Ci sono vari tipi di gruppi: es. di lavoro, di amici, di classe, di studio, degli ebrei, online, religiosi, di volontariato ecc. Cosa accomuna tutti questi gruppi? I ricercatori si sono fatti questa domanda e i primi ricercatori degli anni ’50, Bales e Hormans, sostenevano che:  GRUPPI= sono individui che interagiscono faccia-a-faccia Ma ad es. gli ebrei sono un gruppo ma non tutti gli ebrei si conoscono faccia-faccia. Lewin, Campbell, Rabbie e Horwitz hanno parlato di:  ESPERIENZA DI UN DESTINO COMUNE= quello che fa un gruppo non è tanto l’interazione faccia-a- faccia ma è il fatto di stare sulla stessa barca Es. gli ebrei sono stati perseguitati durante il periodo nazista solo perché erano ebrei, questi li ha fatti diventare un gruppo perché sapevano che andavano in contro alla stessa sorte l’esperienza rende un gruppo! Questo fa sì che il gruppo diventa qualcosa di significativo: non più solo una serie di individui ma un gruppo che vanno verso uno stesso destino Altro aspetto individuato è:  l’esistenza di una certa STRUTTURA FORMALE O INFORMALE= Sherif e Sherif hanno fatto un esperimento “Robbers Cave” in cui 2 gruppi di giovani scout vengono portati a vivere un’esperienza di scout gestito da psicologi sociali (era come un grande laboratorio). Una delle cose che hanno osservato: che spontaneamente nei gruppi nasce una qualche forma di gerarchia e struttura con dei ruoli (leader, gregari, deviante, aiutante, la maggioranza, minoranza ecc.) Sherif e Sherif dicevano che in ogni gruppo c’è questa struttura di ruoli (a volte c’è più di un leader) MA ogni gruppo ha una sua struttura. Questa struttura può essere:  esplicita= es. negli scout c’è il capo scout e il consiglio di Akela;  implicita= es. nei gruppi di amici non viene detto esplicitamente chi è il capo ma tutti sanno qual è la persona a cui fare riferimento; Un altro teorico più recente, ha proposto una teoria potente (perché spiega molte cose) è:  la TEORIA DELLA AUTOCATEGORIZZAZIONE= secondo Tajfel e Turner esiste un gruppo quando 2 o più individui percepiscono sé stessi come membri della stessa categoria sociale (loro dicono che già 2 persone fanno gruppo mentre altri pensano che 3 persone fanno un gruppo) se due o più persone si riconoscono dentro la categoria di amici, quello è già un gruppo. L’idea è che il gruppo è più della somma delle sue parti, è qualcosa di diverso: es. amici che si ritrovano vicino al bar, è sufficiente che due o più ragazzi categorizzano (dicono) di essere loro stessi componenti di quel gruppo e che il gruppo esiste. MA i due psicologi aggiungono un altro aspetto è vero ci deve essere un gruppo e l’autocategorizzazione ma non è sufficiente: è necessario che ci sia almeno un’altra persona di un altro gruppo che riconosca l’esistenza di quel gruppo. Non c’è mai solo un gruppo da solo ma c’è sempre un altro gruppo (outgroup) che fa come da specchio abbiamo un ingroup (= gruppo a cui noi sentiamo di appartenere e ci identifichiamo) e poi c’è l’outgroup (= gruppo a cui non apparteniamo ma che sancisce la nostra esistenza perché ci fa da specchio).  Quindi secondo Turner e Brown un gruppo esiste quando 2 o più individui definiscono loro stessi come componenti di quel gruppo e c’è almeno un’altra persona, componente di un altro gruppo, che riconosce l’esistenza di questo gruppo.  Harris successivamente ha detto che non basta 2 individui, perché due sono una coppia, MA il gruppo parte da 3 individui.  Quindi ogni gruppo è un “gruppo di controllo” per un altro gruppo? SI, non diciamo “gruppo di controllo” ma per ogni gruppo per esistere ha bisogno di uno specchio (che è un altro gruppo) da cui differenziarsi. L’esistenza dell’outgroup è fondamentale perché se non c’è, anche il funzionamento del gruppo cambia! Il concetto di INTERDIPENDENZA è chiamato in causa dai successori di Lewin per spiegare alcune dinamiche all’interno dei gruppi dicono che ci può essere tra i componenti del gruppo: - un’interdipendenza del destino= siamo sulla stessa barca (se la barca cade, cadiamo tutti); - un’interdipendenza del compito= contribuiamo ciascuno per il nostro pezzo a comporre un puzzle più ampio; Lewin diceva che ogni gruppo, gli sforzi e le azioni di ciascun componente, sono legati a quelli degli altri componenti es. la squadra di calcio dell’Atalanta che gioca contro il Bologna, se uno degli 11 giocatori dell’Atalanta si fa male e non può essere sostituito, questo non incide solo sul singolo giocatore ma su tutta la squadra perché così giocherà in 10. INTERDIPENDENZA DEL DESTINO è più difficile da misurare ma esiste! Per studiarla Rabbie e Horwitz hanno fatto un esperimento semplice: 2 squadre di ragazzi giocano a basket. Alla squadra vincitrice del torneo è stato detto che riceverà come regalo un coltellino svizzero. Le 2 squadre erano molto agguerrite e motivate, una vince e una perde. La squadra che vince riceve il premio. Cosa hanno scoperto? Che si era formato un gruppo tanto forte anche in quelli che avevano perso proprio per il fatto che avevano perso. Chi aveva vinto era contento di avere vinto e stare in quella squadra MA chi aveva perso ci si aspettava che iniziavano a odiarsi tra loro e a incolparsi invece si era formata un’identità di gruppo anche all’interno del gruppo perdente perché si tiravano su di morale a vicenda si formava un gruppo, anche in senso psicologico con un’identità di gruppo, nella squadra perdente.  Questo ci insegna che sia un destino favorevole che un destino sfavorevole crea una certa interdipendenza e un gruppo! INTERDIPENDENZA DEL COMPITO si parla di interdipendenza negativa o positiva:  Negativa= è quando in un gruppo il successo di un componente produce l’insuccesso di un altro e produce competizione! Es: in una classe scolastica la maestra dice che darà un premio a chi farà correttamente l’esercizio di matematica. Tutti i bambini gareggiano tra di loro per fare più velocemente e correttamente l’esercizio. Uno solo vince, ma la vittoria di uno è la sconfitta di tutti gli altri questa è una situazione di interdipendenza negativa perché produce competizione nei gruppi e quindi scarsa collaborazione  Positiva= è quando gli sforzi di ciascuno sono complementari agli sforzi degli altri per raggiungere l’obiettivo del gruppo Es: il ragazzo è del gruppo dei Kandinsky e sceglie 1-7, potrebbe dare 7 a un membro dell’altro gruppo quindi massimizza la differenza tra i due gruppi MA non ottiene il massimo! Il massimo che può avere è 19, ma se sceglie 19 dà di più all’altro. Bisogna capire quale strategia preferisce il partecipante: - vuole dare il massimo profitto comune? allora dà 25-19 - vuole fare la massima differenza a favore dell’ingroup? allora dà 1-7 - vuole strategia di equità? allora dà 13-13 RISULTATO: I ragazzi si sono messi, più o meno, nella posizione 11-12 e 3-8 perché hanno ragionato che 12-11-10-9-8 è sempre maggiore di quello che prende l’altro gruppo: cercano di favorire l’ingroup cercando di sfavorire l’outgroup. Però ogni volta che scelgono questi numeri (11-12, 9-11, 7-10, 5-9, 3-8) comunque danno meno al proprio gruppo rispetto a quello che il gruppo potrebbe ottenere! (perché potrebbe arrivare ad ottenere 19) MA per i ragazzi non era importante quanto prende il proprio gruppo ma cercare di dare meno all’altro gruppo. Le persone non vanno verso l’equità o il massimo profitto comune, ma verso le risposte che permettono un favoritismo verso l’ingroup perché le persone hanno bisogno di differenziare il proprio gruppo dal gruppo dell’outgroup per mantenere una distintività positiva. Come si può fare a mantenere questa distintività positiva? Sfavorendo l’outgroup e favorendo l’ingroup. Questa ricerca è interessane perché da qui è nata la Teoria dell’identità sociale= dice che le persone agganciano il proprio valore al valore del gruppo a cui appartengono per cui sono molto motivate a confrontare il proprio gruppo (teoria del confronto sociale di Festinger) con altri gruppi e a far uscire il proprio gruppo in maniera favorevole. Sono così motivati a far uscire il proprio gruppo in modo favorevole e lo fanno anche quando un gruppo non c’è e non l’hanno mai visto. Perché le persone devono essere spinte a favorire il proprio gruppo? A causa della teoria dell’identità sociale, perché il nostro valore (oltre alle nostre caratteristiche specifiche) deriva anche dai gruppi a cui apparteniamo e persino nella situazione in cui il gruppo è vuoto (psicologicamente: non li conosco) ma contemporaneamente tendo a sfavorire l’altro gruppo (che non ho mai visto) e a favorire il mio gruppo perché ho bisogno di uscirne sotto una luce favorevole! Per farlo devo mettere a punto dei confronti che facciano uscire l’altro gruppo sotto una luce sfavorevole: ecco perché non posso scegliere 25-19 che mi porterebbe più soldi al mio gruppo, ma sono motivato a scegliere delle strategie nei quali il mio gruppo ottiene sempre un pelo di più rispetto a quello che ottiene l’altro gruppo. La teoria dell’identità sociale ha a che fare contemporaneamente con la mia appartenenza a un gruppo e con le relazioni tra i gruppi. Questa teoria dice che quando entro in un gruppo (es. mi categorizzo come il tifoso dell’Atalanta), la mia appartenenza a questo gruppo fa sì che io: - acquisisca un’identità di gruppo identità che proviene dal mio gruppo - mi aggancio/lego la mia identità e il mio valore a quello del gruppo Vuol dire che quando l’Atalanta vince, sono entusiasta e felice. Quando invece perde, sono triste e sento di non valere niente. Perché è così importante per me che l’Atalanta vinca o perda? Perché, secondo questa teoria, noi leghiamo il nostro valore al valore del gruppo e quindi mi identifico nel gruppo se il mio gruppo vince di conseguenza anche io mi sentirò molto bene; se il mio gruppo perde di conseguenza anche io mi sento molto male. Detta in altre parole: gli individui strategicamente non solo subiscono la vittoria/perdita del proprio gruppo, ma cercano, strategicamente, di appartenere a gruppi vincenti raramente uno cerca di appartenere a un gruppo sfortunato che non vince mai perché tutti vogliamo appartenere ai gruppi con uno status alto. Come facciamo a sapere se il mio gruppo positivo e con uno status alto? Con la TEORIA DEL CONFRONTO SOCIALE DI FESTINGER: io confronto il mio gruppo con gli altri gruppi. Il confronto può avvenire in una partita di calcio ma anche a livello sociale es. vedo che gli studenti di scienze pedagogiche sono di serie B rispetto agli studenti di ingegneria. Quindi le persone, pur di mantenere l’immagine positiva, durante i confronti cercando di sfavorire l’outgroup e favorire l’ingroup= cioè sono spinti da questa motivazione a migliorare lo status del proprio gruppo e quindi a fare dei confronti che sfavoriscono l’outgroup e favoriscono l’ingroup. Questa teoria è stata usata per spiegare questi risultati sorprendenti attraverso l’esprimente del Paradigma dei gruppi minimi per studiare come all’interno dei gruppi e tra gruppi gli individui distribuiscono le risorse (= come all’interno dei gruppi e tra gruppi gli individui favoriscono o no il proprio gruppo). Tajfel e Turner hanno deciso di andare a vedere quali sono le condizioni minime affinché si manifesti un favoritismo per l’ingroup e sfavorire l’outgroup (non avevano ancora pensata la teoria dell’identità sociale). Ci vuole l’interazione? Ci vuole l’interdipendenza positiva? Ci vuole una struttura sociale? Cosa ci serve per far emergere questo favoritismo per l’ingroup? primo passo: hanno chiamato in laboratorio alcuni ragazzi, fatto vedere alcune immagini e poi li hanno assegnati a un gruppo (es. gruppo Kandinsky). Il ragazzo è solo in aula, non interagisce e non vede gli altri componenti del suo e dell’altro gruppo. Gli viene detto che ha la possibilità di assegnare dei punti usando delle matrici più punti attribuisci al tuo o all’altro gruppo, più soldi riceverete alla fine dell’esperimento. Le matrici erano fatte in maniera furba in modo tale che: - chi sceglieva 25-19 aveva il massimo che poteva ottenere però se do 19 al mio gruppo do 25 (più punti) all’altro gruppo quindi le soluzioni sulla sx sono all’insegna del massimo profitto comune perché entrambi i gruppi ottengono il massimo che possono avere MA se scelgo 25-19, l’altro gruppo avrà più punti del mio - chi sceglieva 13-13 aveva una situazione di equità (stessi punti) - chi sceglieva 7-1 si avrà la massima differenziazione tra il mio gruppo e l’altro gruppo (= il massimo numero di punti di differenza) e favorisco il mio gruppo (do 7 al mio gruppo e 1 all’altro). MA 7 è meno della metà di 19 quindi in realtà se scelgo questo, favorisco il mio ingroup e sfavorisco l’outgroup, però non ottengo il massimo che il mio gruppo può ottenere Cosa hanno osservato? I ricercatori hanno osservato che i ragazzi tendevano a dare risposte tra 11-12 e 3-8 (il favoritismo ingroup) cioè tendevano a dare risposte che permettevano al proprio ingroup di avere più punti rispetto all’outgroup. Tutti i numeri sotto sono più alti di quello sopra e quindi queste coppie permettevano di favorire l’ingroup e differenziarsi dall’outgroup. Questo risultato ha stupito i ricercatori perché si aspettavano che i ragazzi avessero risposto 13-13 perché non hanno mai visto gli altri componenti del loro gruppo e i componenti dell’altro gruppo allora perché sono in questa condizione base (= condizione di controllo)? perché già favoriscono l’ingroup? C’è uno gruppo? C’è un’interazione? C’è uno status? C’è un’interdipendenza? NO. Allora perché favoriscono l’ingroup anche in queste condizioni minimo di gruppo? La risposta che si sono dati è quella che ha portato alla teoria dell’identità sociale loro dicono che basta la categorizzazione: basta creare gruppi anche senza interazione, senza status e ruoli, senza che il gruppo abbia un significato psicologico. Es. basta creare la classe 1°A e la classe 1°B per creare già un favoritismo verso l’ingroup e uno sfavoritismo verso l’outgroup prima ancora che i ragazzi si vedano, prima ancora che iniziano a competere e interagire. Questo ha colpito i ricercatori e noi dall’ora riteniamo che questo è un risultato potente perché ci dice che per creare conflitto intergruppi non è necessario tanto, ma ci vuole poco  perché è chiaro che se io credo due gruppi e già quello è sufficiente a favorire il mio gruppo, da lì al conflitto è molto breve il passo. L’ostilità e il conflitto tra gruppo, con questo esperimento, hanno dimostrato che questa ostilità è molto facile da creare e che si instauri. Anche quando si è cercato di ridurre il conflitto tra gruppi nelle scuole, facendo giocare di più e fare delle interazioni frequenti tra due classi dipende dal tipo di interazioni che si fanno perché già solo che sono divisi in due classi, produce conflitto. Poi gli psicologi sono andati avanti cercando di capire come ridurre il conflitto (vediamo più avanti). Abbiamo detto che:  prima c’è la categorizzazione= la divisione in 2 gruppi  poi c’è l’identificazione= senso di appartenenza a un gruppo  poi attraverso il confronto sociale gli individui capiscono se il proprio gruppo è di alto status o di basso status Quando in un confronto sociale:  la mia identità sociale è BUONA cerco di mantenere questo mio status alto, vantandomi e cercando di dimostrare strategicamente di essere uno status alto: perché appartenere a un gruppo di status alto ha ricadute positive per la mia identità sociale  ne esco in modo PERDENTE mi sento male perché la mia identità sociale viene messa in dubbio. Se la mia identità e il mio valore è legato al valore del gruppo, e il mio gruppo perde, anche la mia identità sociale ne soffre un po’. Ma cosa succede ai gruppi di basso status? Si cerca di cambiare! Mentre i gruppi di alto status mantengono uno status quo, i gruppi di basso status sono quelli che ricercano un cambiamento (anche a livello sociale). Il cambiamento può essere:  mobilità sociale io singolarmente cambio gruppo (es. sono stufato di tifare la Sampdoria e di perdere ogni volta, allora decido di tifare un’altra squadra) Questa modalità sociale però avviene quando si vede che non c’è una possibilità di cambiamento per tutto il gruppo es. se io vedo che la Sampdoria continua a perdere e non percepisco che c’è possibilità di un cambiamento a livello di gruppo allora cambio io singolarmente e scelgo un altro gruppo. Se invece appartengo a un gruppo di basso status e percepisco che c’è un’alternativa per il mio gruppo (es. penso che la Sampdoria non sempre perde ma ce la può fare) ci sono delle STRATEGIE:  competizione es. fare un’altra partita, magari la Sampdoria vince;  ricategorizzazione es. la Sampdoria ha perso questo machperò siamo tutti grandi calciatori di serie A, non è importante il fatto che io tifo la Sampdoria ma che siamo arrivati tutti a giocare in serie A= ricategorizzo il mio gruppo;  creatività= cerco delle nuove dimensioni creative e originali su cui misurare il valore del mio gruppo es. abbiamo perso la partita con l’Atalanta però noi facciamo volontariato è interessante perché i gruppi di alto status sono motivati a mantenere lo status quo e la loro posizione dominante. I cambiamenti, sia in termini di modalità sociale (quindi individuale) o di cambiamento sociale (quindi di tutto il gruppo) provengono spesso dai gruppi di basso status che sono motivati a cambiare lo status del proprio gruppo. In questa fase, il nuovo componente viene socializzato= attraverso un processo di influenza sociale impara e si avvicina alle norme del gruppo  il gruppo e l’individuo attivamente si avvicinano reciprocamente!  FASE DI ACCETTAZIONE= in cui l’individuo diventa componente a pieno titolo del gruppo La linea blu è l’impegno dell’individuo nel gruppo e del gruppo nell’individuo: più l’individuo entra a far parte del gruppo e più diventa componente a pieno titolo= individuo leale e impegnato verso il gruppo (lo stesso modo il gruppo verso l’individuo) es: se un ragazzo, che è componente a pieno titolo del gruppo, gli rubano la bicicletta, tutto il gruppo si alza per difenderlo. Se invece il ragazzo è nella fase di esplorazione, c’è basso impegno da parte del gruppo e dell’individuo. Questa fase di componente a pieno titolo può durare per sempre (es. carabinieri) MA nella maggior parte dei casi però questa fase finisce e c’è:  FASE DI DIVERGENZA= una fase in cui alcuni componenti del gruppo si divergono dagli interessi del gruppo es. prima ero un tifoso dell’Atalanta ma inizio ad andare a vedere qualche partite dell’Inter (è un comportamento divergente) sono comportamenti che deviano dalle norme sociali del gruppo Se deviano dalle norme sociali del gruppo, il gruppo mette in atto una:  FASE DI RISOCIALIZZAZIONE= il gruppo fa pressione sull’individuo affinché si uniformi a quelle che sono le regole del gruppo quindi il ruolo del componente diventa componente marginale (l’impegno diminuisce)  Ci può essere una FASE DI USCITA= momento in cui il gruppo o espelle l’individuo (perché non è riuscito a risocializzarlo) o l’individuo decide che quel gruppo non fa più parte del suo interesse allora c’è l’uscita del componente dal gruppo e c’è una fase in cui c’è un pochissimo impegno e c’è la:  FASE DI RICORDO= fase in cui l’ex componente del gruppo ricorda di quando stava dentro quel gruppo o il gruppo ricorda di quando quel componente stava dentro es. ci sono organizzazione lavorative in cui si sente sempre parlare di un ex componente che è andato in pensione. Per cui anche quando un componente non fa più parte del gruppo però ce lo ricordiamo perché è entrato nella cultura e nella memoria condivisa del gruppo LEADERSHIP  Il MODELLO DEL GRANDE UOMO: è una teoria dove si pensa che ci sono persone che nascono con caratteristiche innate che gli porta a diventare dei leader ci sono persone che tu li metti a fare qualsiasi cosa, assumono la leadership di quei gruppi lì. Queste teorie che fanno riferimento al carisma, ai tratti di personalità e al fatto che i leader nati tale tendono ad assumersi responsabilità, catalizzare l’attenzione degli altri e prendere l’iniziativa ad essere affascinanti e carismatici queste persone sono nati leader secondo questa teoria, non hanno imparato e vanno bene in tutti i contesti: es. la stessa persona può essere il leader della squadra o del suo gruppo di lavoro o della tifoseria. Questa teoria, sviluppata studiando i grandi leader politici della storia, è stata criticata e superata perché fa riferimento a una concezione rigida del leader= non è vero che lo stesso leader funziona in diversi contesti (es. ci sono leader che funzionano bene nei gruppi di amici e leader che funzionano bene nei gruppi di lavoro). Può essere vero che alcune caratteristiche del leader vanno bene in ogni contesto (es. la capacità di assumersi le responsabilità) MA allo stesso tempo questa teoria non tiene in considerazioni le situazioni. Se il gruppo era già formato da tanto tempo e il leader arriva dopo, diventa leader subito perché era leader da prima? se la situazione è molto complessa, c’è solo un tipo di leader che va bene? O potrebbe andare bene un altro tipo di leader? I leader possono imparare a diventare leader? Dalle critiche che sono state fatte al Modello del grande uomo sono nate 2 grandi filoni di ricerca con nuove idee e nuovi modelli: 1. MODELLO DEGLI STILI DI LEADERSHIP 2. MODELLO DELLA CONTINGENZA DI FIEDLER (sono due modelli ampiamente studiati che ancora oggi riteniamo utili) MODELLO DEGLI STILI DI LEADERSHIP fa riferimento all’idea che non esiste solo un tipo di leader ma 2:  Leader orientato al compito= è il leader che dà le indicazioni, distribuisce i compiti e che spiega. È il leader che organizza il lavoro del gruppo. È orientato al compito perché il suo obiettivo principale è portare il gruppo a raggiungere i suoi obiettivi es. organizzando la cena di Capodanno con amici e c’è qualcuno che inizia a organizzare “cosa facciamo? Dove andiamo? A casa di chi?” ed è quello che si assicura che tutti contribuiscano e che tutto il gruppo raggiunga i suoi obiettivi;  Leader socio-emozionale= è il leader orientato di più al benessere e al clima all’interno dei gruppi. È quello che fa le battute, si accorge se uno non partecipa e lo coinvolge, si accorge se c’è qualche conflitto nel gruppo e cerca di stemperare i conflitti es. nell’organizzazione della cena di Capodanno è quello che dice “non facciamo come l’anno scorso che abbiamo portato 10 coca cola e 0 vino, cerchiamo di portarlo di più!” quello che fa le battute per cercare di avere un clima favorevole nel gruppo;  A volte nei gruppi coesistono questi due tipi di leader  Altre volte la stessa persona riveste entrambi i ruoli  Altre volte in un gruppo ci può essere un leader solo orientato al compito e altre volte (es. gruppi di lavoro)  Altre volte ci sono leader solo socio-emozionali (es. gruppi di amici) L’idea è che sarebbe opportuno che ci siano tutte e due i tipi di leader però i gruppi funzionano benissimo anche con un solo leader orientato al compito o socio-emozionale. Questa concezione del leader ha a che fare solo con le caratteristiche del leader e non viene presa in considerazione alla situazione: es. se una situazione lavorativa, un gruppo di amici o un gruppo di volontariato, il leader è uguale? se bisogna decidere di organizzare la cena di Capodanno e scalare il Monte Everest, la situazione è uguale per il leader? Se in Ucraina a gestire la guerra c’è un leader o un altro, è uguale? non conta niente la situazione? La situazione conta e così nascono i MODELLI DELLA CONTINGENZA che:  da un lato tengono in considerazione le caratteristiche del leader  dall’altro tengono in considerazione le caratteristiche della situazione (il contesto) La cosa importante del modello di Fiedler è che prende in considerazione sia le caratteristiche del leader e sia le caratteristiche della situazione ti dice qual è il leader migliore e in quale situazione sulla base della performance del gruppo (cioè quando la performance del gruppo è migliore). Il modello della contingenza di Fiedler riprende il leader orientato al compito e il leader socio-emozionale ma aggiunge un pezzo: quanto la situazione è favorevole o sfavorevole al leader.  un leader che è appena arrivato in una organizzazione, non conosce nessuno, lo mettono a capo di un’unità operativa, il leader non si è mai occupato di questo compito e il gruppo gli è molto ostile è una situazione complessa per il leader: in questo caso, quando la situazione è sfavorevole al leader, il modello migliore di leader (in termini di performance del gruppo) è quello orientato al compito perché il leader deve occuparsi immediatamente dell’organizzazione del lavoro (deve distribuire compiti, informare, creare un metodo di lavoro) e non occuparsi solo dell’aspetto socio- emozionale  Il leader può orientarsi alla relazione (picco alto della linea gialla) quando la situazione è moderatamente favorevole (intermedia, né facile né difficile) allora il leader efficace è quello legato alla relazione  Quando la situazione è molto favorevole al leader (il leader conosce benissimo il compito, conosce l’organizzazione, gode di autorevolezza del gruppo) il leader più efficace è quello orientato al compito perché gode già di un clima favorevole e di una certa autorevolezza quindi non ha bisogno di impegnarsi sul fronte socio-emozionale ma può concentrarsi sull’aspetto dell’organizzazione del lavoro  È come se non dovesse “accreditarsi”? Esatto, dopo vedremo la Teoria del credito idiosincratico dove l’idea di questa teoria applicata all’idea di Fiedler è: un leader che ha una situazione sfavorevole può in qualche modo cambiare il suo orientamento a seconda delle caratteristiche della situazione. Altre 2 teorie sulla leadership avanzate più recentemente sono: 1. MODELLO TRANSAZIONALE DEL CREDITO IDIOSINCRATICO di Hollander ci dice che il leader quando diventa leader del gruppo (nel processo di leadership) deve come accumulare dei punti, accumulare un credito, accumulare una fiducia da parte degli altri componenti del gruppo. Come fa a guadagnarsi questo credito? Come fa a diventare leader secondo questo modello? Quando all’inizio il leader si avvicina al modello del gruppo e si chiama adesione delle norme del gruppo. All’interno del conformismo noi distinguiamo tra:  Accettazione= è quando mi convinco che questo atteggiamento/comportamento è appropriato  l’accettazione è un cambiamento profondo (es. ho capito che non posso picchiare Gianni ogni volta che lo vedo perché sennò anche lui mi picchia);  Accondiscendenza= è un cambiamento solo superficiale io cambio il mio modo di vestire e il mio modo di comportarmi ma non ne sono convinto (es. io non picchio Gianni alla scuola materna sennò la maestra mi sgrida, ma quando sono fuori dalla scuola lo picchio). Allo stesso modo i ragazzi delle medie si vestono tutti uguali non perché ritengono che quei vestiti siano buoni, belli e appropriati perché appena possono si mettono altri vestiti quindi, non era un cambiamento profondo ma superficiale dettato dall’evitare di essere sanzionati! perché se un giorno a scuola il ragazzo si presenta con scarpe diverse da quelle dei suoi coetanei, allora i coetanei iniziano a deriderlo e per i ragazzi adolescenziali il gruppo dei pari è essenziale e il loro giudizio è rilevante. Quindi, loro si mettono le scarpe che hanno i loro amici non perché gli piacciono MA perché deve essere accettato dal gruppo, per avvicinarsi/allinearsi alle norme del gruppo. Quindi la differenza tra accettazione e accondiscendenza è nel tipo di cambiamento che avviene! All’interno della accondiscendenza c’è:  l’OBBEDIENZA= ha a che fare con il cambiamento dei miei comportamenti/atteggiamenti/opinioni sulla base di un ordine gerarchico che io percepisco come legittimo Es: se uno per la strada mi dice di cambiare le scarpe, non mi importa. Ma se io percepisco l’autorità come legittima e dotata di potere, allora cambio il mio comportamento/atteggiamento e obbedisco a quella autorità. Molti studi sono stati fatti sul conformismo sono su classici della psicologia sociale che ci danno delle dritte su altri comportamenti: uno di questi è lo studio di Sherif sulla formazione della norma: EFFETTO AUTOCINETICO. Esperimento: ha invitato dei partecipanti ingenui e che non si conoscevano tra loro in laboratorio e li ha messi seduti allineati (5 partecipanti contemporaneamente) su una sedia senza schienale e gli chiede di guardare un puntino luminoso proiettato sul muro (le luci sono abbassate). Lo sperimentatore avvisa i partecipanti che il puntino inizierà a muoversi (di poco) e loro dovranno dire quanto si muove il puntino. Il compito è guardare il puntino e valutare quanto si sposta (è uno sperimento sulla percezione visiva) Il ricercatore chiede a ogni soggetto di quanto si muove il puntino: - uno dice di 2 cm - uno dice di 10 cm - uno dice di 10 cm - uno dice di 20 cm Il secondo giorno il ricercatore fa rivedere il puntino e gli chiede ancora di quanto spazio si muove: - quello che ha detto 2 cm ora dice 5 cm - uno rimane su 10 cm - uno rimane su 10 cm - uno rimane su 20 cm il terzo giorno il ricercatore fa rivedere ancora il puntino e chiede ancora di quanto spazio si muove: - 5 cm - 10 cm - 10 cm - L’ultimo cambia e dice 15 cm Cosa succede? succede che al ripetersi delle prove le persone tendono a convergere verso una stima comune:  se il primo giorno le persone rispondevano individualmente (ognuno dava la propria stima)  nelle prove successive le persone danno la risposta in gruppo senza accorgersi convergono verso una stima comune e al ripetersi delle prove arrivano a dire tutti che il puntino si sposta di 2 cm Perché? è una forma di influenza sociale= si sono reciprocamente influenzati e, senza mettersi d’accordo, sono giunti a una valutazione condivisa. L’influenza sociale avviene automaticamente e spontaneamente senza che ce ne accorgiamo il trucco dell’esperimento è che il puntino luminoso era fermo, non si spostava. È un effetto ottico (= effetto autocinetico) che è lo stesso effetto di quando guardiamo il cielo e le stelle ci sembrino che un po’ lampeggiano e si muovano perché è un effetto dell’accomodamento della retina (le stelle non si spostano ma è la nostra retina che si aggiusta e ci dà l’impressione che si muovano). Allo stesso modo il puntino luminoso nella stanza buia senza schienale faceva sì che la retina delle persone aggiustava il movimento: non c’era una misura oggettiva di quanto si spostava il puntino e non c’era una risposta esatta alla domanda quindi le persone quando non hanno informazioni certe per rispondere a una domanda si influenzano reciprocamente e prendono le informazioni degli altri come fonte di informazione! Al ripetersi delle prove gli altri componenti del gruppo diventano una fonte di informazione attendibile, una forma di influenza= prendiamo le risposte degli altri come punti di riferimento. Le persone convergono verso un punto comune che è più o meno un punto medio rispetto alle posizioni individuali. Perché studiamo questo esperimento? perché ci dice molto sul fatto che l’influenza sociale è reciproca, è un processo facile/automatico/spontaneo e molto potente perché se ha funzionato sull’effetto autocinetico chissà come funziona sugli eventi della vita delle persone essere esposti in un ambiente con certi atteggiamenti funziona da phon (come una forma di influenza sociale) e anche senza accorgerci ci avviciniamo e adeguiamo verso quella direzione.  Sul discorso del condizionamento e sull’autorità che viene riconosciuta per poi adattarsi: come si fa a distinguere le persone che si adeguavano a quello che veniva richiesto per timore delle conseguenze dalle persone che ci credono realmente (es. nazisti)? Due commenti: 1. Nella Germania nazista e nell’Italia fascista c’erano credenti veri che pensavano veramente all’ideologia e persone che si adeguavano perché lo facevano tutti. non è né giusto né sbagliato perché ognuno ha le proprie opinioni. Per capire se un’adesione è profonda o superficiale si vede sul tempo se dopo un certo tempo le persone mantengono le stesse opinioni/atteggiamenti/comportamenti allora si dice che è un cambiamento profondo perché è coerente nel tempo. 2. Gli psicologi sociali studiano l’adesione delle persone a grandi movimenti di massa (senza giudicare) ma cercano di capire quali sono questi processi. Uno di questi processi è il sentire di fare parte di un gruppo= il senso di appartenenza che danno alcuni gruppi è un senso che riempie e dà significato e dà senso alle persone (questo dal pdv della PS).  Quindi quando usiamo il termine obbedienza nella quotidianità, lo usiamo in modo sbagliato? Quando noi diciamo che un bambino è obbediente perché ha paura della punizione dovremmo dire invece che è accondiscendente? In questo senso è sbagliato parlare di obbedienza? È corretto parlare di obbedienza in questo caso perché c’è un rapporto gerarchico. Si dice che: mentre l’influenza sociale e il conformismo di solito avviene tra pari (es. i bambini si influenzano tra loro), l’obbedienza avviene quando io mi adeguo agli ordini di un’autorità gerarchica, c’è una differenza di status (es. studente-insegnante, bambino-genitore, bambino piccolo-bambino grande). In questo caso c’è una differenza gerarchia e se io percepisco quell’autorità come legittima mi adeguo. Anche nell’obbedienza all’autorità ci può essere un processo profondo e un processo superficiale: - io obbedisco perché ho paura delle sanzioni ma poi domani lo rifaccio quando l’autorità non c’è (cambiamento superficiale) - l’interiorizzazione delle norme sociali del vivere civile (es. non ci si picchia) che vanno acquisite a livello profondo perché se io ho paura della sanzione e mi allineo solo per quello, il giorno dopo lo rifaccio invece se io educatore voglio che quel comportamento si stabilizzi, preferisco che quel comportamento venga accettato a livello profondo quindi si dice che la norma sociale viene appresa in un processo continuo di socializzazione (asilo nido e scuola materna sono grandi processi di socializzazione in cui i bambini acquisiscono le norme sociali tra pari e gerarchicamente obbedendo). Un altro studio classico che ci dice qualcosa su come funziona il conformismo è la RICERCA DI ASCH SULLA LUNGHEZZA DELLE LINEE. Esperimento: un partecipante ingenuo entra in laboratorio e gli si fa vedere una linea standard (per qualche secondo poi viene tolta) e poi gli vengono fatte vedere altre 3 linee. Il partecipante deve dire qual è la linea di lunghezza uguale alla linea standard in questo caso il compito è oggettivo perché c’è una risposta oggettiva. Quando i partecipanti si trovano in gruppo a rispondere ognuno con la propria idea di linea. Viene fatta vedere un’altra serie di linee, gli si viene fatta sempre la stessa richiesta: per un partecipante c’è una linea che gli sembra uguale ma gli altri dicono altre linee.  Tanto più l’autorità è vista come legittima e vicina, tanto più c’è obbedienza= tanto più lo sperimentatore è nella stessa stanza con l’insegnante, tanto più l’insegnante obbedisce. Quando lo sperimentatore esce dalla stanza, l’obbedienza diminuisce. Questo esperimento lo hanno replicato anche in un’università meno prestigiosa perché trasmetteva l’idea che la fonte dell’autorità fosse meno legittima in quel contesto: si è visto che l’obbedienza diminuiva. Questo perché più l’autorità viene vista come legittima più c’è obbedienza!  L’obbedienza aumenta quando l’autorità è percepita come proveniente da un’istituzione credibile (in questo caso era la scienza)  poi una di queste varianti comprendeva il fatto di trovarsi in gruppo a dare le scosse più si era in gruppo, tanto più si tendeva a dare scosse elettriche forti Sia gli psicologi del tempo e sia la gente comune che leggeva queste notizie, erano sconvolti principalmente dal contenuto della ricerca: il fatto che Milgram avesse indotto delle persone a fare degli atti violenti. Ma non hanno compreso il perché è stato fatto questo esperimento e non hanno ragionato sull’aspetto che è facile convincere le persone a mandare delle scosse elettriche. Aspetti interessanti che fuoriescono dagli studi classici sul conformismo e sull’obbedienza (studi di Sherif, Asch e Milgram):  questi studi ci hanno permesso di vedere come è molto facile indurre le persone a PASSARE SOPRA LE PROPRIE NORME MORALI ognuno di noi ha delle normi morali interiorizzate MA queste norme morali sono norme su cui le persone passano sopra molto facilmente quando l’autorità legittima istituzionale chiede di dare delle scosse elettriche. Questi studi sono stati messi in relazioni dagli psicologi con quello che è successo nell’olocausto e nei vari genocidi: come hanno fatto persone normali, che fino a ieri facevano il fiorista o il panettiere, andare a fare i soldati e sostenere i nazisti? queste ricerche ci dicono che il potere dell’influenza sociale è molto forte ed è così forte che porta a superare le norme morali e del singolo. :  la GRADUALITÀ nell’esperimento c’era sempre una gradualità. All’interno di questa gradualità c’è anche un bisogno di mantenersi coerenti con sé stessi e i propri comportamenti (es. gli ho dato la scossa perché non posso dargliene un’altra? Gliel’ho appena data)  la SVALUTAZIONE DELLA VITTIMA spesso chi commette atti violenti trova una giustificazione al proprio comportamento incolpando/sminuendo la vittima: es. una delle giustificazioni che davano gli insegnanti era che lo studente era stupido perché non si ricordava le coppie di numeri. Mette la vittima su un piano inferiore e in questo modo legittima il suo comportamento di carnefice  il POTERE DELLA SITUAZIONE= è il potere che ha la situazione nell’influenzare i comportamenti dei singoli perché i singoli non erano già di loro sadici o pazzi ma erano persone comuni. Es: lo psicologo Zimbardo parla dello scandalo avvenuto agli inizi anni 2000 nella prigione di Abu Ghraib in Iraq in cui sono imprigionati soldati iracheni ed è gestita dai militari americani. Si è scoperto che in quella prigione i prigionieri venivano torturati dai soldati americani e si dice che quelle atrocità vennero fatte da soldati senza addestramento e si sono trovati in una situazione senza supervisione che li ha portati a commettere queste violenze questa vicenda è un ulteriore esempio del potere della situazione Questi studi sono stati fatti anche per spiegare (no giustificare) e cercare di comprendere come sia stato facile che persone comuni, durante la seconda guerra mondiale, siano arrivati ai genocidi e l’olocausto.  Perché si chiama approccio situazionale? Situazionale perché sottolinea il ruolo della situazione. Milgram dice che il soggetto partecipante non era pazzo e non aveva esperienze di violenza alle spalle ma è la situazione in cui lo abbiamo messo che lo ha portato a comportarsi in questo modo! La prigione di Abu Ghraib è stato un evento nero dei militari americani. Era una prigione in Iraq gestita dai militari americani e dentro questa prigione c’erano i soldati iracheni che si erano macchiati di vari atti (terrorismo o spie). I militari che vennero chiamati erano riservisti che tornarono in servizio attivo e avevano poca o quasi assente supervisione (il capo c’era ma non faceva il capo: i capi in queste dinamiche sono fondamentali per proporre un’identità del gruppo). È successo che questi militari americani hanno torturato tutte le notti i prigionieri ed era una cosa così normale che hanno fatto anche delle foto e se le scambiavano. Fino a quando una recluta ha cominciato a far diffondere le foto furi dall’ambiente militare. Fu uno scandalo perché l’America che si descrive come paese della libertà e vede il suo esercito come punto di onore si è macchiata di crimini contro le persone: queste torture non avevano nessun fine se non quello di essere violenti verso questi prigionieri. Zimbardo è uno psicologo sociale che ha fatto l’esperimento la PRIGIONE DI STANFORD ed stato chiamato a partecipare al processo dei militari americani che gestivano la prigione di Abu Ghraib per cercare di capire cosa sia successo anche lui crede nella spiegazione situazionale= lui dice che ci poteva essere una mela marcia tra i vari soldati ma il fatto che questi fossero soldati senza supervisione, senza addestramento, erano isolati e nessuno li controllava, si è instaurato come un’influenza sociale tra loro tale per cui è sfociata in questa forma di violenze. Lui ribadisce che queste non erano mele marce (persone violente o sadiche) ma soldati riservisti. Zimbardo, come Milgram, crede nel potere della situazione.  Ma così facendo, non rischiamo di cadere in una sorta di fatalismo? In cui diciamo, è successo così perché mi sono trovato in quella situazione e quindi tolgo un po’ la responsabilità che si ha: Sì! È come un modo di togliersi dalla responsabilità. Ricordiamo cosa dicevano i gerarchi nazisti durante il processo di Norimberga “ho solo eseguito agli ordini, lo facevano tutti”. Zimbardo diceva che non stiamo scusando il comportamento perché ciascuno è responsabile dei propri comportamenti individuali però gli psicologi sociali vanno a studiare questi eventi e cercando di capire i fattori che li hanno fatti precipitare. Per questo hanno scoperto che è molto facile portare le persone a compiere atti violenti. I FATTORI CHE PREDICONO IL CONFORMISMO: Numerose sono le ricerche successive che sono andate a studiare quali fattori predicono il conformismo  chi è che si conformizza di più e chi di meno? in quali condizioni ci uniformiamo più spesso?  è importante la DIMENSIONE DEL GRUPPO= all’aumentare della dimensione del gruppo l’influenza sociale è più forte (ma fino a un certo punto) Per studiare il ruolo della grandezza del gruppo Milgram fa un esperimento buffo. Ha mandato i suoi studenti in giro per il campus e di mettersi in piedi a guardare un punto nel cielo e stai fermo. Cosa è successo? Man mano le persone si fermavano e cominciavano a guardare il cielo, che non aveva niente. Si è visto che all’aumentare delle dimensioni del gruppo (10-15 partecipanti) la percentuale di passanti (l’influenza del gruppo) era abbastanza costate questo vuol dire che un gruppo di 10 è influente più o meno come un gruppo di 5: gli studi di Milgram hanno portato a vedere come è anche la dimensione del gruppo della maggioranza che incide.  L’UNANIMITÀ se in un gruppo siamo tutti d’accordo, quel gruppo ha un’influenza sociale forte sul singolo MA basta che uno solo del gruppo si tiri fuori che il conformismo diminuisce= nessuno vuole fare il deviante nel gruppo ma basta che ci sia un deviante e già il gruppo è più debole nell’influenza che esercita (es. basta uno che dice che non è d’accordo che già c’è qualcun altro che ha più forza per opporsi all’influenza del gruppo)  La dimensione INGROUP-OUTGROUP= l’influenza che viene dal mio gruppo (a cui sento di appartenere) è un’influenza enormemente più forte di quella che proviene da un gruppo a cui non appartengo es. se i miei amici mi dicono mi spingono in una direzione, l’influenza del mio gruppo è più forte di un’influenza che viene da un altro gruppo a cui io sento di non appartenere  LA COESIONE= è il cemento che tiene insieme il gruppo c’è più un’attrazione dei singoli membri, è una colla che tiene insieme tutto il gruppo: abbiamo visto che più i gruppi sono coesi e interagiscono spesso, tanto più sono gruppi che esercitano un’influenza grande suoi singoli componenti (es. la pressione verso le norme del gruppo è più forte nei gruppi coesi)  Chi occupa uno STATUS ALTO ALL’INTERNO DEL GRUPPO (es. leader) hanno un’influenza maggiore spingono di più verso il conformismo rispetto ai componenti di basso status (anche lo status predice il conformismo)  Il conformismo è più forte nei casi di RISPOSTA PUBBLICA= vuol dire che io in privato posso anche dissentire e non essere d’accordo ma se devo dare la mia risposta pubblica è più probabile che io dica che sia d’accordo con l’opinione della maggioranza perché a livello pubblico è più costoso distaccarsi dalla maggioranza e dalla norma del gruppo (conformismo è maggiore nel caso di risposta pubblica)  C’è anche un aspetto di ADESIONE ALLA PROPRIA PRESA DI POSIZIONE= le persone tendono a mostrarsi coerenti con sé stessi quindi se si sono avvicinate alla norma del gruppo, continueranno a rimanere fedeli a quella norma di gruppo es. ho dato una scossa elettrica fino adesso, posso darla ancora una un pochettino più forte CAP. 9 PREGIUDIZIO Gli psicologi quando parlano di pregiudizio hanno in mente qualcosa di molto specifico, non è una parola che si usa a caso e non è sinonimo di stereotipo. Nei tempi moderni, lo studio del pregiudizio è quasi un obbligo morale per gli psicologi. I pregiudizi possono essere basati su diverse dimensioni: - sulla razza (es. bianchi e neri, italiani e zingari) - sul genere (es. maschi e femmine) - sull’orientamento sessuale (es. lesbiche e gay) - sulla religione (es. cattolici e mussulmani) - sull’obesità (es. i grassi) società è maschilista e le donne non riescono ad accedere a posti di vertice di comando per diversi motivi però la situazione è questa e non si può cambiare, alla fine gli uomini vanno a lavoro e portano i soldi quindi è giusto che le donne si occupino della casa e dei bambini. Quindi anche il gruppo di basso status giustifica l’iniquità e la struttura sociale. LA SOCIALIZZAZIONE= è un grande processo di influenza sociale attraverso il quale i singoli acquisiscono le norme della società si dice che anche la scuola materna sia un grande processo di socializzazione= si dice che nella scuola materna i bambini incontrano per la prima volta dei pari e li confrontano in maniera stabile nel tempo e questo è un grande processo di socializzazione a quelle che sono le regole del mondo: non si prevarica sugli altri, si parla uno alla volta, i giochi sono di tutti quindi non si rubano ecc. Quindi è attraverso la socializzazione che (così come impariamo le regole del vivere sociale) impariamo e acquisiamo anche gli stereotipi e i pregiudizi tipici di una certa cultura es. se domani scappassimo dall’Italia e ci trasferissimo in un’altra nazione, forse in quel processo di nuova socializzazione potremmo acquisire gli stereotipi e pregiudizi di quella cultura (ogni cultura ha i propri!). FONTI MOTIVAZIONALI= sono la benzina e l’accelerante. Perché abbiamo i pregiudizi? Ci sono 3 teorie potenti: 1. TEORIA DELLA FRUSTRAZIONE E AGGRESSIVITÀ dice che le persone quando sono frustrate perché non riescono a raggiungere un obiettivo importante: es. la mia squadra di calcio non ha vinto la partita ed era importante, sono frustrata e quando esco aggredisco il primo tifoso che incontro perché la frustrazione si trasforma in aggressività. È una frustrazione che non si può dirigere verso la fonte (la squadra) ma si trasferisce su un altro obiettivo (il tifoso dell’altra squadra) si chiama TEORIA DEL CAPRO ESPIATORIO perché il tifoso dell’altra squadra è un capro espiatorio, l’aggressività non si poteva trasferire verso la fonte e quindi si trasferisce su un altro target. Es: alcune ricerche hanno visto che durante momenti di crisi economica il pregiudizio verso gli immigranti aumenta perché le persone frustrate dalla situazione della crisi economica individuano un capro espiatorio su cui mettere la responsabilità è una teoria buona ma non sempre funziona a livello di gruppo A livello di gruppo funziona di più la teoria: 2. TEORIA DEL CONFLITTO REALISTICO di Sherif e Sherif il pregiudizio nasce da un conflitto realistico tra risorse scarse. I due psicologi hanno fatto un esperimento famoso che riguarda i ragazzi di un campo estivo negli anni ’60: hanno preso 2 gruppi di ragazzi che non si conoscevano e volevano studiare la formazione del gruppo. Dopo che hanno visto come nasce il gruppo (la formazione delle norme di gruppo, interazione ecc.), Sherif e Sherif hanno iniziato a organizzare delle competizioni tra gruppi (es. tornei di basket). Solo uno dei due gruppi vinceva un premio hanno scoperto che mettere in competizione i due gruppi faceva nascere forme di pregiudizio reciproco: quando due gruppi competono per risorse limitate (solo uno dei due gruppi vince), si è cominciato a creare in ciascuno dei due gruppi una forma di aggressività e pregiudizio verso l’altro gruppo. In fondo questi ragazzi non avevano niente l’uno contro l’altro ma il fatto di aver messo un compito competitivo ha creato una forma di rivalità tra i due gruppi per cui il pregiudizio era l’esito di questa competizione tra i due gruppi. Quindi il pregiudizio nasce da un conflitto realistico tra risorse scarse 3. TEORIA DELL’IDENTITÀ SOCIALE nata con il paradigma del gruppo minimo. Questa teoria dice che il mondo è basato su delle categorie di cui ne siamo o no consapevoli (es. maschi-femmine, giovani-anziani, bianchi-neri ecc.). Se categorizziamo il mondo all’esterno di noi: - ci categorizziamo anche noi mettiamo noi stessi dentro a uno di questi gruppi - ci identifichiamo con quel gruppo agganciamo la nostra identità a quel gruppo, ci avviciniamo ai suoi valori e alle sue norme ma per capire quanto vale il mio gruppo ho bisogno - di confrontare il mio gruppo con altri gruppi lo metto alla prova L’esperimento del paradigma dei gruppi minimi ci aiutava a vedere come gli individui distribuivano le risorse tra i due gruppi e siccome abbiamo bisogno di uscire dal confronto con una stima di noi positiva, tendiamo a favorire il nostro gruppo e quindi a fare dei confronti distorti= vuol dire che il pregiudizio verso gli altri gruppi è uno strumento che mi permette di fare emergere il mio gruppo in maniera positiva e di conseguenza di valutare noi stessi in maniera positiva. Es. noi siamo del nord, siamo grandi lavoratori, onesti e tenaci mentre quelli del sud sono superficiali, poco lavoratori e nulla facenti questo pregiudizio mi permette nel confronto intergruppi di valutare positivamente il mio gruppo e negativamente l’altro. Siccome io valuto positivamente il mio gruppo, anche la mia identità ne esce positivamente. Lo stesso lo fa il gruppo di basso status perché si confronta con il nord dicendo che loro saranno più industrializzati ma al sud si mangia benissimo. Per cui il pregiudizio aiuta a far emergere il proprio gruppo in maniera positiva. Perché è una fonte motivazionale? Perché è un acceleratore del pregiudizio e perché questo processo è basato sul bisogno che abbiamo di mantenere un’immagine positiva di noi e un’identità sociale positiva. Lo schema in basso: quando un gruppo vince una competizione e ha successo c’è una spinta a favorire il proprio gruppo. “Ingroup bias”= è la tendenza ad avere dei giudizi distorti a favore del proprio gruppo. Questo porta a un’identità sociale positiva e un orgoglio positivo che a sua volta influisce positivamente sulla nostra AUTOSTIMA (è come un carburante) FONTI COGNITIVE= sono il motore del pregiudizio:  CATEGORIZZAZIONE SPONTANEA le persone spontaneamente tendono a categorizzare il mondo: è un processo cognitivo semplice e molto studiato. Es. se la prof chiede in classe di dire alcuni nomi di uccelli (tucano, fringuello, usignolo e pettirosso) nessuno dice pinguino, anche se fa parte degli uccelli. Questo perché noi abbiamo delle categorie in mente e attribuiamo automaticamente le persone a uno o a un’altra categoria: es. bianchi-neri basta guardare il colore della pelle, maschi-femmine basta guardare i tratti somatici, insegnanti-studenti ecc. A volte queste categorie ci aiutano a vivere perché non dobbiamo imparare ogni volta come rivolgersi all’insegnante perché abbiamo uno schema e una categoria di come funziona la scuola. Quindi, le categorie ci aiutano perché ci semplificano il mondo e ci risparmiano lavoro cognitivo MA categorizzare ha anche a che fare con la semplificazione nessuno ha detto pinguino quando la prof ha chiesto gli uccelli, perché il pinguino non rappresenta il prototipo degli uccelli, non ha le piume, non vola ma è un uccello. Una di questa semplificazione è:  L’EFFETTO DELL’OMOGENEITÀ DELL’OUTGROUP= è un effetto percettivo e semplice per cui quando categorizziamo e utilizziamo 2 gruppi i componenti dell’altro gruppo ci paiono più simile al loro interno di quanto sono in realtà: “gli uomini sono tutte uguali mentre le donne sono diverse” frase detta da una donna perché è l’outgroup che è omogeneo e uguale ed è un effetto della categorizzazione= cioè si dice che le somiglianze all’interno di una categoria vengono percepite come di più (es. gli uccelli sono tutti uguali, hanno tutti le piume, hanno tutti il becco e volano. In realtà non è così. Ma siccome abbiamo accostato la categoria uccelli e non uccelli le somiglianze all’interno di quella categoria aumentano, “sono tutti uguali”)  ci sono dei gruppi che sono più salienti in memoria= sono più disponibili es. nella classe sono tutti bianchi quindi una dimensione saliente è maschi-femmine, un’altra è insegnate-studenti, un’altra è giovani-diversamente giovani. Se ci fosse una studentessa nera sarebbe un’altra dimensione saliente: quindi la salienza della categoria dipende dalla situazione! Quando una CATEGORIA DIVENTA SALIENTI (perché l’abbiamo spesso usata nel passato e abbiamo questo stereotipo) la usiamo sempre di più e allora la usiamo anche per giudicare gli altri: se la categoria maschi-femmina è saliente la uso sempre di più e anche i pregiudizi legati a quella categoria li uso sempre di più. es. se la categoria maschio-femmina è saliente e io sto giudicano il comportamento e la posizione del direttore di dipartimento, applico la categoria maschi-femmine dicendo che “i maschi sono tutti uguali, sono freddi e non si occupano dei problemi relazionali”. In questo caso i pregiudizi associati alle categorie vengono usate come delle scorciatoie per organizzare il mondo e giudicare gli altri  TEORIA DEL MONDO GIUSTO di Lerner= ci sono alcune persone che pensano che il sistema/mondo sia giusto ma non nella sua struttura gerarchica (come diceva la teoria della giustificazione del sistema). La teoria dice che: se qualcuno ti ha fatto un’offesa siediti sulla sponda del fiume e aspetta che il suo cadavere passa perché c’è una forma di giustizia e il mondo è un sistema che si autoregola, per cui il bene e il male si bilanceranno (c’è questa credenza, chi ci crede di più e chi no). Si è osservato che purtroppo chi ha una credenza maggiore nel mondo giusto tende a colpevolizzare di più le vittime: hanno fatto delle ricerche e hanno visto che le persone maschi e femmine (soprattutto le femmine) giudicavano come più colpevoli le donne vittime di qualche forma di violenza il compito sperimentare era leggere un articolo di giornale (finto) che raccontava la storia di una ragazza che veniva aggredita una sera. Poi il partecipante doveva rispondere a una serie di domande che gli chiedevano “cosa ne pensi del comportamento della ragazza? Era sua responsabilità? ecc.” Si è osservato che chi aveva un’alta credenza nel mondo giusto dava la responsabilità a quello che era successo alla ragazza più di quanto faceva chi non aveva questa alta credenza perché chi ha un’alta credenza nel mondo giusto tende a vedere il mondo come equilibrato (un equilibrio tra il bene e il male) e se gli è successo qualcosa di negativo è perché se l’è meritato in qualche modo. (il risultato della ricerca ha fatto scalpore) Perché la studiamo quando parliamo delle fonti cognitive del pregiudizio? Perché questo credere che il mondo sia giusto interviene anche nelle relazioni intergruppi= per cui se una persona fa la donna delle pulizie e io credo che il mondo sia giusto allora è giusto che quella persona faccia la donna delle pulizie tutta la vita anche se ha preso il diploma di maturità alle scuole serali, anche se ha fatto un tirocinio per Es. come mai allo stadio spesso avvengono degli scontri tra tifosi? Come mai le persone si comportano in maniera così aggressiva l’una contro l’altra? Le persone che compiono atti così violenti delle volte raccontano di non capire come sia stato possibile che in folla (in un grande gruppo) si siano comportate in quella maniera. Festinger e colleghi nel 1952 hanno teorizzato questo fenomeno con questa definizione: DEINDIVIDUAZIONE= è quello stato psicologico nel quale le persone vedono sé stesse nei termini di un’identità di gruppo e il loro comportamento è guidato dal gruppo. Zimbardo fece degli esperimenti simili a quelli di Milgram (esperimenti delle scosse elettriche) per studiare il fenomeno della deindividuazione fece studi in cui: piccoli gruppi di persone venivano deindividuati con delle divise con dei cappucci e venivano invitati in laboratorio e gli venne detto che avrebbero partecipato a un esperimento sull’apprendimento. Loro dovevano dare delle scosse elettriche a un collaboratore della ricerca (che in realtà non riceveva delle vere scosse) ogni volta che compiva un errore. Si è visto che questo gruppo di persone con il cappuccio davano scosse più lunghe rispetto ad un gruppo di controllo in cui le persone non avevano il cappuccio ma erano riconoscibili. Questi studi hanno concluso che la situazione di anonimato e perdita di identità in una grande gruppo di persone o in piccoli gruppi ma nascosti con un cappuccio produceva i fenomeni antisociali nei gruppi e che questo fenomeno era tanto più grande, quanto più era ampio il gruppo. Inizialmente i risultati di questi esperimenti avevano portato a concludere che in qualche modo nei gruppi le persone perdessero conoscenza di sé, come se non si ricordassero quali erano le norme morali e come se si comportassero in modo inconscio (quasi istintivo) MA in realtà successivamente, con altri esperimenti, hanno mostrato che le persone in gruppo tendono ad adottare le norme e le aspettative del gruppo: in alcuni gruppi in cui le persone non venivano incappucciati ma venivano vestiti da infermieri i loro comportamenti altruistici e prosociali aumentavano rispetto a una condizione di controllo in cui le persone non avevano la divisa. Che cosa hanno dedotto gli sperimentatori? che in realtà lo stare in gruppo non aumenta per forza comportamenti antisociale o aggressivi ma porta ad una identificazione del singolo con le norme del gruppo es. il gruppo si aspetta che io mi comporto in maniera prosociale e altruistica di più di quanto farei se fossi da solo. Ma se il gruppo è portato alla violenza, io farò così in misura maggiore rispetto a quanto non farei da solo. Il gruppo ha un fortissimo potere sulle persone (lo abbiamo visto con il fenomeno dell’identità sociale) e la deindividuazione è uno di questi fenomeni nella forte potenza che ha il gruppo su di noi perché vogliamo sentirci parte del gruppo e accrescere la nostra autostima. FACILITAZIONE SOCIALE: fenomeno che ha sempre a che fare con l’influenza che ha il gruppo sui suoi membri. È stata studiata nelle prestazioni di gruppo il primo interessato fu Tripler (psicologo e il suo esperimento è stata la prima ricerca della psicologia sociale nel 1898), lui era un appassionato di corse di biciclette e studiava la prestazione dei ciclisti: osservò che i ciclisti correndo in gruppo, piuttosto che da soli, aumentavano la falcata. Perché si impegnavano di più in gruppo? per il fenomeno della facilitazione sociale. FACILITAZIONE SOCIALE= è l’effetto prodotto sul nostro comportamento dalla presenza di altre persone (su questo effetto ci sono stati ulteriori studi) è vero che i ciclisti in gruppo si comportavano in maniera più attiva, ma perché durante una partita di calcio un calciatore che deve tirare un rigore all’ultimo minuto per vincere un’importante partita e può davanti a un gruppo di persone, sentirsi più sottopressione e sbagliare il rigore? perché in realtà quello che avviene nel fenomeno della facilitazione sociale è un effetto di attivazione psicofisiologica. Quando siamo in presenza di altre persone, piuttosto che da soli, avvengono 2 cose importanti:  TIMORE DI ESSERE VALUTATI dagli altri non ci comportiamo in modo rilassato come ci comporteremmo da soli perché l’opinione del gruppo è importante;  gli altri ci possono distrarre perché spesso controlliamo cosa stanno facendo rappresentano una fonte di DISTRAZIONE questi due aspetti creano in noi una condizione di ATTIVAZIONE PSICOFISIOLOGICA= ci sentiamo attivati anche biologicamente (es. cuore batte più veloce, avvertiamo più stress e più ansia rispetto a quando siamo da soli). Cosa determina questa attivazione fisiologica? Zajonc si è occupato di questo fenomeno e dice che questo stato di attivazione fisiologica può portare:  ad attivarci e comportarci in maniera più rapida (es. quando dobbiamo pedalare) perché quel comportamento è diventato più accessibile e automatico  un comportamento meno accessibile che non abbiamo appreso e non viene spontaneo può essere peggiorato da questo stato di attivazione psicofisiologica Quindi, questo stato di tensione migliora le prestazioni dei compiti semplici (quelli automatici che li abbiamo appresi da tanto tempo) mentre può peggiorare quei compiti che non abbiamo appreso bene o non sono così automatici. Questo è anche la spiegazione del perché es. quando dobbiamo parlare in gruppo e abbiamo imparato bene la lezione, nonostante il nostro stato di attivazione fisiologica, riusciamo a esprimerci in maniera efficace. Se invece quella lezione non l’abbiamo imparata bene l’ansia ci può mettere in difficoltà. Questo fenomeno della facilitazione sociale è stato osservato anche con esperimenti sugli animali fatti dei labirinti con degli scarafaggi: hanno visto che la presenza di un compagno della propria specie li attivava. FENOMENO DELL’INERZIA SOCIALE= è un fenomeno correlato al fenomeno della facilitazione sociale e parliamo sempre di prestazione nei gruppi. Prima abbiamo visto che in gruppo i ciclisti, rispetto allo stare da soli, miglioravano la loro prestazione e pedalavano più velocemente. Cos’è l’inerzia sociale? Es. nel partecipare a un tiro alla fune le persone che stanno in gruppo, rispetto a quando stanno da sole, si impegnano di più o di meno? In realtà in alcuni studi hanno osservato: che gli sforzi individuali potrebbero ridursi in alcuni compiti (come in quello del tiro la fune) in cui gli sforzi vengono sommati (= compiti additivi) e la prestazione del singolo individuo non è facile da individuare (perché nel gioco tira la fune non sai chi tira di più e chi tira di meno). In questo caso potrebbe succedere che gli individui si sforzino un pochino di meno rispetto a quando non stanno da soli. Perché? Perché il loro contributo in tiro alla fune non è visibile, gli altri non sanno quanto stiamo tirando.  In compiti non additivi, in cui gli sforzi individuali sono evidenti (es. pedalata in bicicletta) allora la presenza delle altre persone, per timore di valutazione da parte degli altri, porta all’attivazione fisiologica e quindi alla facilitazione sociale;  Nei compiti additivi in cui le persone non possono essere così facilmente valutate, c’è un minor timore della valutazione sociale, una minore attivazione fisiologica e quindi può verificarsi il fenomeno dell’inerzia sociale; Questo può essere moderato da tanti fattori:  se sappiamo che quel compito è molto importante per quel gruppo, anche se la nostra valutazione non è così individuabile, cercheremo di impegnarci di più perché è significativo per il gruppo e per noi fattore di moderazione! Potrebbe ridursi l’inerzia sociale (perché importante per la nostra identità sociale e per il gruppo);  lo standard del gruppo se sappiamo che il gruppo ha uno standard alto, allora cercheremo di impegnarci di più;  la percezione di equità finché noi sappiamo che gli altri membri del gruppo si impegnano molto, anche noi ci impegneremo (anche al contrario); Abbiamo già osservato l’influenza della maggioranza con gli esperimenti di Asch, di Shelfi e di Milgram quanto il gruppo della maggioranza o l’autorità hanno un potere forti sui comportamenti/atteggiamenti delle persone tanto che oltre il 36% delle risposte dell’esperimento di Asch portavano le persone a conformarsi all’opinione della maggioranza. L’INFLUENZA DELLA MINORANZA: Moscovici negli anni ‘60-‘70 provò a studiare gli effetti che possono esercitare anche le minoranze in termini sia numerici che di potere. I gruppi di minoranza= quei gruppi che non hanno tanto potere nella società sia perché sono minoritari in termini numerici e in termini di potere. Moscovici diceva che: in fondo se riflettiamo nella storia molti cambiamenti sono avvenuti grazie ai gruppi di minoranza e che non avevano potere (es. le donne). Anche i gruppi di minoranza ottengono nel lungo periodo dei cambiamenti lui le chiamava le MINORANZE ATTIVE perché riescono a produrre un cambiamento nella maggioranza. Come ce la fanno? Innanzitutto, le minoranze devono:  offrire un punto di vista alternativo alla maggioranza;  comportarsi in maniera coerente all’interno del gruppo e nel tempo (sostenere la loro posizione in maniera ferma e coerente sia fra di loro e sia nel tempo) è un aspetto che aiuta a influenzare la maggioranza;  comportarsi in maniera credibile questo comportamento della coerenza aiuta la minoranza ad acquistare credibilità; Il cambiamento ottenuto dalla minoranza è un cambiamento importante perché porta la maggioranza non a compiacere la minoranza (perché la maggioranza non ha nessun interesse a compiacere la posizione della minoranza) MA porta la maggioranza: Tutto questo processo della presa di decisione può riguardare sia compiti di tipo cognitivo che compiti di tipo valutativo. Qual è la differenza?  Compiti di tipo cognitivo= prevedono una risposta corretta es. gruppo di ragazzi che devono trovare la soluzione di un compito di matematica, si mettono insieme e cercano di trovare una soluzione  Compiti di tipo valutativo= non c’è una risposta corretta ma il gruppo deve prendere una decisione: es. un gruppo di amici deve scegliere dove andare a mangiare alla sera, non è un compito di matematica che prevedere una risposta corretta ma può essere arduo perché bisogna cercare il consenso sociale (una decisione unanime, o alla maggioranza ecc.) Ci sono 2 fenomeni che sono:  LA POLARIZZAZIONE= è il risultato di una presa di decisione del gruppo che produce una decisione più polarizzata verso un estremo (positivo o negativo) rispetto alla decisione che prenderebbe il singolo La polarizzazione è stata studiata da Moscovici: Stoner (psicologo americano) negli anni ‘60 fece degli esperimenti in alcune facoltà americane con studenti e gli chiese di partecipare a dei gruppi di discussione e di decidere prima da soli e poi in gruppo: se lasciare un lavoro sicuro per trovarne un altro più prestigioso. Le decisioni dei singoli individui erano più caute rispetto alla decisione che il gruppo prendeva insieme. Stoner quindi disse che questo è effetto di polarizzazione il gruppo rispetto al singolo prende decisioni più rischiose, mentre l’individuo da solo è più cauto (Stoner chiamò questo effetto Risky schift) MA in realtà i suoi esperimenti furono criticati perché mostravano una parte della realtà che doveva essere spiegata meglio (che era la polarizzazione)= cioè il gruppo può produrre anche uno spostamento verso una cautela, non solo verso il rischio ma il gruppo esercita un effetto di amplificazione della posizione originale dei membri del gruppo. Es: immaginiamo di essere individui di un gruppo che per la maggioranza hanno avuto esperienze negative con gli immigrati, la nostra posizione un po’ pregiudizievole verso gli immigrati tenderà ad essere ancora più pregiudizievole dopo una discussione di gruppo con individui diversi che hanno avuto le mie stesse esperienze una polarizzazione verso il pregiudizio (polarizzazione negativa). La polarizzazione avviene per 3 ragioni: 1. Persuasione perché nel gruppo ci sono solo alcune argomentazioni che vengono discusse in maniera persuasive e vengono più condivise: es. se la maggioranza dei membri del gruppo ha un’opinione negativa sugli immigrati è probabile che questa argomentazione venga sollevata più spesso (in tanti lo dicono) e magari che la pensa diversamente parla di meno e la sua posizione appare meno persuasiva e questo porta a una polarizzazione 2. Confronto sociale non vogliamo apparire diversi quindi se l’opinione del gruppo appare indirizzata verso un certo pdv e per non apparire diversi ci polarizziamo verso quella posizione che sembra condivisa e diamo assenso 3. Differenziazione per il fenomeno della categorizzazione sociale= se le decisioni in gruppo mettono in risalto il confronto tra due gruppi (ingroup-outgroup) può avvenire un fenomeno di polarizzazione perché cerco di valorizzare la mia posizione del mio gruppo rispetto al gruppo esterno Alla domanda di prima: due teste sono meglio di una o chi fa da sé fa per tre? È vero i gruppi insieme possono fare meglio perché possono rappresentare una potenza creativa. Il problema è che mettere insieme tante teste a volte produce delle decisioni disastrose questo è il fenomeno della groupthink  GROUPTHINK= mettere insieme tante teste a volte può portare a decisioni scorrette Janis studiò questo fenomeno e analizzò una serie di decisioni fallimentari in tema di politica estera condotte dagli Stati Uniti durante e dopo la Seconda guerra mondiale (es. attacco a Pearl Harbor). Si chiese perché, nonostante fossero un gruppo di esperti, le decisioni prese sono state fallimentari? Richiamò la responsabilità al fenomeno del groupthink. Quali sono i sintomi del pensiero di gruppo? Lui descrisse 3 grandi classi di sintomi/indizi che sta avvenendo in un groupthink  PRIMA CLASSE: sopravvalutazione del gruppo  a volte quando prendiamo decisioni in gruppo sopravalutiamo le forze del gruppo, ci sentiamo invulnerabili, e questo ci può portare a sottovalutare i rischi e gli errori il gruppo può dare la sensazione di illusione e invulnerabilità di non poter compiere errori;  la credenza in una moralità intrinseca del gruppo una moralità che non viene discussa ma vengono date per implicite e accertate;  SECONDA CLASSE: ristrettezza mentale  avviene che nel gruppo le decisioni (anche negative) possono essere razionalizzate= ci si rafforza l’un con l’altro nelle decisioni prese  si tende a stereotipizzare i gruppi esterni es. i vietnamiti erano tutti brutti e cattivi (questo non aiuta il processo di presa di decisione)  TERZA CLASSE: pressione verso l’uniformità sempre per l’effetto della influenza normativa può accadere che in gruppo si cerchi di raggiungere in fretta una soluzione unanime non si prendono in considerazione i pdv esterni sia di membri devianti nel gruppo e sia di membri di altri gruppi. Questo porta:  all’illusione di unanimità (pensarla tutti allo stesso modo nel gruppo)  a un’autocensura da chi magari la pensa diversamente ma evita di dirlo  a una pressione diretta verso i dissenzienti (chi solleva una posizione negativa)  a un fenomeno di auto sorveglianza= nascono all’interno del gruppo dei protettori che stanno attenti che non vengono sollevate idee discordanti Le conseguenze di questo effetto sono:  un processo decisionale povero perché non si prendono in considerazione tutte le alternative di una decisione  non si tiene sempre presente l’obiettivo del processo decisionale  non si analizzano tutti i rischi  non si prendono in considerazione informazioni importanti che vengono dai membri del gruppo e da gruppi esterni  si elabora troppo rapidamente l’informazione per raggiungere il consenso  non si considerano le alternative  non si considerano i progetti contingenti non si prendono decisioni adatte al contesto tutto questo può produrre delle decisioni catastrofiche. Per risolvere i problemi del groupthink ci sono alcune strategie:  evitare che il leader del gruppo sia troppo direttivo e che esprima subito la sua opinione per lasciare che il gruppo discuta e faccia emergere le opinioni contrapposte  si può eleggere un avvocato del diavolo nel gruppo, lo si lasci dire quello che pensa anche se è un’opinione deviante è un omaggio a una società democratica (cercare di valorizzare pdv diversi per raggiungere una buona decisione) Ripasso e domande finali: POLARIZZAZIONE= è un processo automatico che avviene nei gruppi quando devono prendere una decisione comune (es. giurie dei processi). Prima della decisione di gruppo ognuno di noi ha una posizione: Es. c’è un imputato, gli avvocati dell’accusa chiedono 10 anni di carcere e quelli della difesa chiedono 2 anni di carcere. La giuria ha il compito di prendere una decisione e decidere quanti anni di carcere dare a questo imputato. Dentro alla stanza gli 8 giurati hanno ciascuno una posizione individuale riguardo a quanti anni di carcere dare all’imputato. Ma la giuria deve uscire dalla stanza con un’unica opinione condivisa (anche non all’unanimità ma deve essere una decisione che prende il gruppo). Gli psicologi studiano come i gruppi prendono le decisioni e si è osservato che i gruppi tendono a perdere decisioni un po’ più rischiose (polarizzate) rispetto alle decisioni dei singoli: Es. all’interno della giuria, facendo la media matematica, decidono di dare 6 anni di carcare quando la giuria arriva a una posizione, non è quasi mai la media matematica delle posizioni individuali ma è un po’ più estrema verso la posizione dove andavano precedentemente. Quindi, se la media matematica era 6 e mezzo, la decisione del gruppo potrebbe essere 8/9.  All’inizio si pensava che i gruppi prendessero decisioni più rischiose (come se fossero più amanti del rischio): le prime ricerche di Stoner dice che i gruppi prendono decisioni più rischiose delle decisioni individuali ed è anche perché i gruppi sono a volte più violenti degli individui es. sto facendo una manifestazione a favore dell’Ucraina, vado in piazza con la bandiera della pace e dell’Ucraina, sono una persona pacifica. Però inizio a parlare con alcune persone e decidiamo di andare sotto l’ambasciata russa e tiriamo dei sassi. Da sola non ci sarei andata però se mi trovo in gruppo e parlando con gli altri alla fine ci vado anche io= è l’effetto della decisione del gruppo  Ma ricerche successive hanno mostrato che non è tanto una decisione verso il rischio MA c’è uno spostamento verso poli opposti della questione: es. c’è una gamma di possibilità di fare manifestazioni contro la guerra in Ucraina una è quella di essere pacifisti, cantare gli slogan e sventolare la bandiera della pace; un’altra è andare sotto l’ambasciata russa e lanciare le pietre. DEPRIVAZIONE RELATIVA (cap. 10) teoria importante! È una delle varie teorie che spiegano l’aggressività e il conflitto tra gruppi. Questa teoria dice che alcuni gruppi entrano in conflitto con altri gruppi perché sperimentano una deprivazione relativa= è la percezione di una differenza tra le aspettative che io ho e la situazione reale Es: la primavera araba, alcune manifestazioni sono avvenute nel Nord Africa (Marocco, Tunisia ed Egitto) e alcuni di questi abitanti hanno cominciato a manifestare nelle loro piazze per chiedere maggiore libertà, maggiori diritti e maggiore occidentalizzazione. Questo gruppo ha percepito una forma di deprivazione (discrepanza) tra le loro condizioni di vita e le condizioni di vita che volevano ottenere si sono sentiti deprivati (gli mancava qualcosa). Io voglio una vita più libera, democratica e occidentale e chiedo al mio governo di mettere in atto delle misure per portarmi ad avere questa vita perché sento di non avere una vita libera, democratica e occidentale= quindi percepisco una discrepanza tra la mia situazione reale e quello che vorrei. Quando avviene a livello di gruppo (gruppo di persone che si trovano in questa situazione) comincia a provare a cambiare la situazione: - lo può fare in maniera pacifica es. andando a manifestare nelle piazze - criticando i capo di stato, facendo manifestazioni violente ecc. quindi questa è una teoria che spiega l’origine del conflitto/aggressività degli intergruppi.  Notate che la deprivazione è relativa= quelli che si ribellano spesso nei gruppi non sono le minoranze più povere e depravate ma è il percepirsi deprivati in relazione a uno standard: es. nella primavera araba non sono state le persone più povere e meno istruite a chiedere più istruzioni e maggiori condizioni di vita ma erano coloro che vivano in un ceto medio (né ricchi né poveri) che hanno percepito una situazione di deprivazione confrontandosi con uno standard che loro vedevano (l’occidentalizzazione) quindi la deprivazione si chiama relativa perché non è in senso assoluto “mi sento deprivato” ma mi sento deprivato rispetto a uno standard/aspettativa che io vorrei raggiungere.
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