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Gruppi sociali e terapia di gruppo: tipologie, dinamiche e approcci - Prof. Giammattei, Appunti di Metodologia E Tecniche Di Ricerca Sociale

Una panoramica dettagliata delle tipologie di aggregazioni sociali, delle dinamiche di gruppo e dei metodi di terapia di gruppo. Vengono esaminate le differenze tra i vari tipi di gruppi, come le aggregazioni artificiali, non organizzate, unità sociali con modelli di relazione, unità sociali strutturate, unità sociali intenzionalmente progettate e unità sociali meno intenzionalmente progettate. Inoltre, vengono descritti i metodi di terapia di gruppo come l'analisi in gruppo, l'analisi di gruppo, l'analisi mediante/attraverso il gruppo o gruppo analisi e il loro fine terapeutico. Il documento illustra anche la mentalità di gruppo, le dinamiche inter-gruppi e intra-gruppo, e la leadership all'interno di un gruppo. Infine, vengono presentati alcuni studiosi che hanno contribuito alla ricerca e alla formazione in psicoterapia di gruppo in italia.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 28/02/2024

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angela-la-montagna-1 🇮🇹

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Scarica Gruppi sociali e terapia di gruppo: tipologie, dinamiche e approcci - Prof. Giammattei e più Appunti in PDF di Metodologia E Tecniche Di Ricerca Sociale solo su Docsity! Teorie e tecniche delle dinamiche di gruppo Cos’è un gruppo? Nel gruppo ci sono molti individui, molte reti di comunicazione. Il gruppo ci costringe a fare i conti con pluralità e soggettività (capire che tipo di rappresentazione abbiamo noi del gruppo). Soggettività e pluralità sono sempre presenti. La nozione di gruppo è recente, tardiva rispetto ad altri concetti; gli esseri umani tendono a ragionare o dal punto di vista dell’individuo o dal punto di vista della società. Imparare ad osservare, come siamo inseriti nei gruppi, come veniamo influenzati e come influenziamo un gruppo. Dobbiamo esplorare le risorse e i limiti dei gruppi. Tutti i gruppi hanno dinamiche esplicite (più semplici da vedere) e implicite (più sfuggenti). Rischi quando si parla di gruppi:  Il rischio quando si trattano i gruppi è quello di cercare teorie semplificate  Amovilli afferma che c’è una rimozione dei predecessori: si cancellano gli autori, pensatori più antichi in favore dei nuovi con l’idea che questi ultimi hanno portato nuove teorie. Ciò comporta che queste nuove teorie siano una modifica di quelle vecchie e che quindi portino non innovazione, ma confusione. È necessario distinguere le nuove teorie anche quando successivamente voglio abbinarle.  Lewin afferma che ci sono molte teorie che quando vengono portate nel campo non rendono, bisogna fare attenzione ai gruppi veri. Le teorie ci servono se sono poi applicabili al contesto reale. Giudizio tra illusione e pregiudizio Fare i conti con un illusione o un pregiudizio. L’illusione è legata al gruppo ideale, fin da bambini sperimentiamo i gruppi e l’appartenenza. Molte persone pensano che basti stare in gruppo per produrre gioia e unione, ma non è così ci sono molte sfaccettature: ad esempio un individuo può avere delle difficoltà nel relazionarsi con gli altri, si parla di sgrammaticatura sociale. Abbiamo bisogno di stare all’interno dei gruppi, ma ci viene molta pressione da questi ultimi, all’interno dei gruppi c’è dimensione prestazionale. Bisogna saper reggere il gruppo. Da una parte abbiamo bisogno dell’appartenenza, dall’altra sperimentiamo l’ambivalenza: ho bisogno di essere accettato, riconosciuto e accolto dal gruppo, ma ho anche il bisogno di distinguermi, di dire la mia. Il pregiudizio è di tipo epistemologico: quando pensiamo all’essere umano pensiamo ad una persona dotata di intelligenza e con capacità d’astrazione, ma quando pensiamo ai gruppi o alle masse parliamo di animali incivili semi-primitivi che stanno tutti insieme (tachmen?). Due lenti per vedere ciò che accade nel gruppo: quella della psicologia sociale e quella della psicologia dinamica. I gruppi sociali McGrath ha affermato che ogni aggregazione di individui non è per forza un gruppo. I due criteri su cui differiscono le tipologie per McGrath sono:  La base su cui si fondano le relazioni (grado di strutturazione e intensità di tali relazioni)  La grandezza dell’aggregato, cioè il numero di individui coinvolti Tipologie di aggregazioni sociali:  Aggregazioni artificiali: gruppi statistici o categorie sociali dove i componenti sono classificati in base a delle caratteristiche comuni (sesso, età, etc.)  Aggregazioni non organizzate (aggregati): insiemi di individui che si trovano nello stesso posto, nello stesso tempo senza alcun tipo di legame  Unità sociali con modelli di relazione: soggetti che hanno in comune valori, abitudini, parentela  Unità sociali strutturate: diventa più forte il carattere di interdipendenza e di relazioni strutturate  Unità sociali intenzionalmente progettate: c’è strutturazione gerarchica, ci sono scopi comuni e l’interazione tra le parti del gruppo sono definite dallo scopo di quest’ultimo (es lavoro di gruppo)  Unità sociali meno intenzionalmente progettate: hanno una struttura meno formale, ci sono scopi comuni ma meno rigidi e l’organizzazione non è gerarchica (es un’associazione o un organizzazione volontaria). Che cosa definisce il gruppo? Per McGrath il gruppo è quella aggregazione sociale che implica una reciproca consapevolezza e una potenziale interazione. Tale descrizione è restrittiva poiché esistono gruppi che non hanno necessariamente interazioni dirette ma che tuttavia possono influenzare in varie circostanze il comportamento sociale degli individui. McGrath distingue 3 tipologie di gruppi impiegati nella ricerca: 1. Gruppi naturali che esistono indipendentemente dalle attività e dai propositi della ricerca (squadre, gruppi di studio, etc.) 2. Gruppi inventanti che sono creati per i mezzi della ricerca (giurie simulate, etc.) sono comunque gruppi reali in quanto gli individui in essi coinvolti reagiscono realmente agli stimoli sperimentali 3. I quasi gruppi che sono creati a scopo di ricerca, ma non sono completamente dei gruppi poiché hanno pattern di attività altamente artificiali a causa dei compiti imposti. De Grada ha dato sua lettura dei gruppi: usa un criterio osservativo. Esistono grandi e piccolo gruppi. La grandezza è determinante. È importante anche la possibilità di interazione diretta. Distingue tra:  Gruppi faccia a faccia gruppo ristretto in cui tutti i membri possono interagire molto spesso tra loro. Esempio: compagnie teatrali, piccoli team di lavoro  Piccoli gruppi i componenti si conoscono e si influenzano reciprocamente, l’interazione è continuativa ma non è una condizione necessaria. Esempio: classe scolastica, villaggio.  Grandi gruppi (anche detti gruppi estesi) hanno dimensioni ampie. Il fatto di essere in tanti limita la conoscenza e l’interazione diretta. Più un gruppo è grande più è strutturato, ci sono dei ruoli predefiniti e una gerarchia. È più difficile creare coesione (es organizzazioni religiose). Cooley distingue tra:  Gruppi primari: insiemi di persone che interagiscono direttamente e hanno dei vincoli affettivi molto forti. Sono i primi tipi di gruppi che sperimentiamo (famiglia, compagni di gioco dell’infanzia etc.). Se il legame è percepito come sacrale vuol dire che ci troviamo all’interno di un gruppo primario.  Gruppi secondari: insiemi di persone che hanno uno scopo da raggiungere, i ruoli sono differenziati in funzione del raggiungimento degli obiettivi, relazioni impersonali basate su fini pratici (enti economici, politici). È difficile distinguere tra gruppi primari e secondari, è più corretto parlare di primarietà e secondarietà per riferirsi al modo di essere del gruppo, delle modalità che possono alternarsi nella vita di un medesimo gruppo. Gruppi formali si formano in maniera istituzionale, è l’istituzione a dettare gli obiettivi e il tipo di programma da svolgere Gruppi informali aggregazioni spontanee il cui scopo non consiste nel perseguimento di un’attività specifica, ma nell’intensità dell’interazione fra i membri. Nella letteratura psicosociale si parla anche di gruppi di riferimento: sono quelli dove l’individuo si identifica, ai quali può appartenere o a cui aspira di appartenere. I gruppi di riferimento costituiscono fonti di atteggiamenti e di valori sia che l’individuo appartenga o meno a quel gruppo. Per Sherif questa definizione indica bene la complessità delle società moderne in cui viviamo. Ognuno di noi non è collocato in una posizione fissa e immutabile, facciamo esperienza di gruppi diversi. Tarde scrive “Le leggi dell’imitazione” (1890), dove dice che non è vero che il singolo si perde all’interno della folla, il problema è che quest’ultimo tende a muoversi verso due vie: verso l’imitazione o verso l’invenzione. Tendiamo a ripetere dei comportamenti che abbiamo considerati buoni (imitazione), quando una persona si accorge che quel comportamento non è la via migliore se ne inventa altri (invenzione). Il nostro comportamento sociale è guidato da modelli piuttosto che comportamenti, che noi impariamo presto perché si ripetono. Nell’imitazione c’è un elemento che ci sfugge: tendiamo ad imitare un comportamento senza pensarci troppo e ci troviamo nel sonnambulismo ipnotico. Nel sonnambulismo ipnotico viene “spento” il mio pensiero ed è una forma di suggestione. Anche Tarde non parla di come nasce la suggestione, ma parla della figura del capo. Pratt era un medico che lavorava in una comunità religiosa. Si era reso conto che molti pazienti non seguivano le terapie da lui prescritte, così pensò di creare un gruppo di pazienti affetti da tubercolosi, farli incontrare e fargli capire che necessitavano della terapia. L’obiettivo era quello di sostenere il più a lungo possibile queste persone nella terapia. Il gruppo si incontrava una volta a settimana, ma un solo incontro era poco, chiese così ai pazienti di scrivere un diario di come si sentivano, i loro sintomi etc., per poi confrontarsi tra loro. La differenza era dettata dal sostegno che queste persone potevano sperimentare all’interno dei gruppi, si sentivano tutti allo stesso modo, c’era una forma di rispecchiamento che faceva sentire meglio i malati, ciò faceva in modo che i pazienti portassero avanti la terapia. Pratt introduce un altro step: una persona andava a casa di questi pazienti, chiamato visitatore amichevole, parlava con loro, vedeva come stavano, etc. era un’interfaccia tra il medico, l’ospedale e il paziente. Le persone guarivano, prevalentemente grazie alla partecipazione del gruppo. Ciò dimostra che non si può scindere l’aspetto fisico da quello psichico della malattia. Burrow fu il primo a parlare di analisi di gruppo, affermò che lavorare singolarmente con il paziente non poteva portare molti risultati, era necessario lavorare col gruppo, ma queste idee non vennero accettate e venne cacciato dalla società psicoanalitica. Se riesco a migliorare le relazioni della persona all’interno del gruppo, il paziente porterà questi cambiamenti postivi anche all’interno di altri gruppi. Quando si lavora col gruppo si incontrano meno resistenze perché c’è un contesto relazionale adeguato e la persona si sente meno sola ad affrontare il suo problema. Il suo approccio è chiamato filoanalisi, perché non bisogna concentrarsi sul passato ma sul presente del paziente. In gruppo andiamo a vedere i conflitti, non è quello di cui parlava Freud. Il conflitto è quello sociale che sperimenta tutti i giorni, se la società ammala, afferma Burrow, il gruppo cura. Il gruppo ha una sua tendenza primaria rivolta alla solidarietà e all’integrazione. Il fatto di fare terapia di gruppo significa dare al soggetto la possibilità di trattamento dei conflitti psichici perché permette la messe in crisi delle false credenze di sé dettate dai ruoli e dalla morale sociale. Moreno, psicoanalista, ha elaborato il teatro della spontaneità, ha creato lo psicodramma. Egli pensava che ci fosse una forma attiva per ricapitolare le proprie esperienze non attraverso il racconto, ma rivivendole. Nel teatro della spontaneità le persone recitavano sul momento. Lo spettatore viene coinvolto. Ogni volta che viene messo in scena un conflitto, questo conflitto è di tutti. Il teatro della spontaneità venne fondato nel 1921 a Vienna. Moreno crea lo psicodramma, cioè un metodo di sviluppo personale basato sulla “messa in azione” dei contenuti del mondo interno. Ogni paziente racconta quello che ha vissuto e viene messa in azione la dinamica, che non viene quindi raccontata ma rivissuta. Ognuno recita il proprio ruolo come crede. Tutti quelli che sono coinvolti collaborano e gli altri alla fine dicono la loro su ciò che hanno visto. La possibilità di rivivere l’esperienza ha una valenza catartica. La possibilità di rivivere l’esperienza permette di mettere in atto una serie di pensieri e riflessioni che erano rimaste sospese, per poterci lavorare. Il soggetto che mette in campo la sua esperienza è soggetto e oggetto della scena; il pubblico non è passivo ma di supporto. Con lo psicodramma, inoltre, si poteva mettere in scena qualsiasi cosa che non era stata conclusa. Un intermezzo sui gruppi: il contributo della psicologia sociale Il contributo della psicologia sociale sui gruppi fu dato da Lewin e Mayo. Mayo fu uno psicologo, le sue ricerche più famose sono quelle riguardanti il contesto aziendale. Egli osserva come l’ambiente di produzione cambia in base a diverse funzioni; una delle sue ricerche più famose è quella dove permise ad un team di lavoro di confrontarsi e ciò migliorò la prestazione. Mayo ha studiato come un fattore psicologico ha influenzato la prestazione. Lewin, psicologo sociale, il primo a dire che se osserviamo un soggetto osserviamo il contesto, i fattori che interagiscono con esso, etc. l’effetto del campo. Famoso anche per la ricerca-azione= la ricerca che si fa direttamente sul campo. A partire dagli anni 30 diversi psicoanalisti iniziano ad usare il gruppo come strumento di trattamento per i pazienti. Si evidenziano delle differenza fondamentali:  Analisi in gruppo metodo dove a rotazione ogni persona assume il ruolo di protagonista  Analisi di gruppo metodo collettivo in cui ogni verbalizzazione è espressione del gruppo  Analisi mediante/attraverso il gruppo o gruppo analisi metodo relazionale in cui l’attenzione non è posta solo sull’individuo o sul gruppo, ma sulle loro interazioni. Analisi in gruppo Il fine terapeutico di questi gruppi aveva come destinatario l’individuo; i primi psicoanalisti lavorarono con gruppi terapeutici concependo tali trattamenti come terapie individuali condotte in gruppo. Il terapeuta ha un ruolo centrale e deve essere direttivo. I primi che provano a utilizzare questo tipo di analisi sono Schilder e Wender che avviarono negli Stati Uniti gruppi a finalità terapeutica compiendo un passaggio dalla prospettiva medica a quella psicoterapeutica. Un passaggio fondamentale è quello compiuto con Slavson che nota che uno degli aspetti più rilevanti è che non è presente solo il transfert tra il paziente e il terapeuta, ma si creano molti transfert (transfert multilaterali). Slavson evidenziò come il gruppo si costituisce per ciascun paziente come riproduzione del nucleo familiare originario. Wolf iniziò la sua pratica con la seduta alternata, una settimana i pazienti si vedono con lo psicoterapeuta e quella dopo senza. Secondo Wender, grazie alla mutua identificazione e al mutuo supporto, la resistenza al trattamento è molto più debole di quella del setting duale. 4 momenti dinamici implicati nella terapia: intellettualizzazione, transfert da paziente a paziente, catarsi, interazione in gruppo. Analisi di gruppo Il principale esponente è Bion. Fu spedito in collegio ad 8 anni, e da qui ha iniziato a studiare i gruppi. Non si iscrive all’università e si arruola, diventa ufficiale. Bion si accorge che quando c’è un gruppo si innesca un sistema protomentale (modalità di gruppo basica) dove la combinazione dei pensieri dei singoli fa in modo che questi ultimi regrediscano, siano dei pensieri primitivi. La mentalità primitiva è ciò che sbarra la strada al lavoro vero e proprio, è invece necessario un lavoro di gruppo dove la cooperazione è fondamentale. Quando lavoriamo in gruppo, che noi vogliamo o no, si attivano gli assunti di base che possono ostacolare o deviare i lavori del gruppo, solo in pochi casi favorirli. Bion distingue tra assunto di base e lavoro di gruppo, il quale è caratterizzato dalla cooperazione. Gruppoanalisi Foulkes fu il principale esponente, il quale supera la dicotomia individuo/gruppo e si concentra sul processo comunicativo in ci assumono rilevanza tanto l’individuo quanto il gruppo nel suo insieme. Foulkes non fu ben visto dalla psicoanalisi. La psicoterapia gruppoanalitica è un metodo di psicoterapia iniziato da Foulkes nel 1940 nella pratica psichiatrica privata e nelle cliniche per pazienti esterni. Deriva dalle sue esperienze come psicoanalista. È una forma di psicoterapia praticata dal gruppo nei confronti del gruppo, incluso il suo conduttore. Nel gruppo si vedono tutti i meccanismi da noi usati. Il paziente si rende conto che altre persone all’interno del gruppo soffrono di problemi, ansie, impulsi, simili ai suoi; questa consapevolezza gli dà sollievo. L’individuo nel gruppo può esprimere la sua individualità. Freud: psicologia delle masse e analisi dell’io Scritti di Freud sulla psicologia delle masse: 1. Totem e tabù 2. Psicologia delle masse e analisi dell’io (1921, c’è stata prima guerra mondiale, molte persone sono scese nelle piazze), testo cardine per tutti coloro che si sono occupati di studiare i gruppi 3. L’avvenire di un’illusione 4. Il disagio della civiltà (ripercorre quali sono i costrutti che ci limitano all’interno della società) 5. Mosè e il monoteismo. Freud indaga, in questi scritti, quelle che sono le grandi costruzioni etiche e religiose che interessano le società. 1) Totem e tabù Parte dall’ipotesi di Darwin: la prima forma delle società umane è quella di un’orda primitiva sottoposta al dominio di un unico uomo. Freud cerca di dimostrare questa teoria, dicendo che in quest’ultima possiamo trovare le origini del totemismo. La massa appare a Freud come una reincarnazione dell’orda originaria. Ha fatto la differenza il fatto che ad un certo punto i componenti di quest’orda hanno ucciso il loro capo, ciò ha comportato una trasformazione globale. Non si tratta più di un’orda paterna, la quale ora era solo formata dai fratelli. All’inizio c’erano 2 tipi di psicologia: la psicologia dei “fratelli” e la psicologia de padre. Il padre era colui che decideva e pensava per se stesso. I fratelli erano legati da legami tra loro, il padre non era invece legato a nessuno, anche se amato e stimato dai fratelli. Il padre aveva vietato ai fratelli il soddisfacimento dei desideri sessuali, questo aveva comportato che il legame di fratellanza fosse più saldo perché erano dei legami inibiti nella meta. I legami inibiti nella meta sono molto più forti per Freud. Il legame tra i fratelli era duraturo. Il padre è molto geloso e i figli si sentono perseguitati e lo temono. Ad un certo punto i figli stanchi lo uccidono. Nessuno si mise al posto del padre, e se qualcuno lo fece venne ucciso nuovamente; crearono una comunità di fratelli dove tutti erano alla pari e non c’era alcun capo. Questa nuova comunità aveva bisogno di ricordare ciò che era successo, c’era quindi un totem per ricordare ciò che era successo al padre. collettiva per questa limitazione del numero, e al tempo stesso si distingue dall’innamoramento per l’assenza di impulsi sessuali diretti. La massa per Freud coincide con l’ipnosi per quanto riguarda la natura delle pulsioni che la tengono unita e la sostituzione dell’ideale dell’Io con l’oggetto (il capo), ma vi aggiunge l’identificazione con altri individui. 3) Il disagio della civiltà Scritto nel 1929, anno importante per Freud, nel quale si è interrogato su tante cose. Egli cerca di capire il conflitto tra le esigenze pulsionali e il vivere in civiltà. All’inizio il titolo era “infelicità della civiltà”. Il titolo si presta a tante interpretazioni perché “Kultur” in tedesco ha un doppio significato: civiltà e cultura. Nel testo Freud indaga tutte le costruzioni etiche e filosofiche che danno vita alla civiltà umana iniziando con una risposta a Roman Rolland, il quale aveva scritto a Freud facendogli osservare che esiste un sentimento particolare di partecipazione a un tutto, un sentimento che non può essere trascurato, che lui definiva sentimento oceanico (fonte autentica della religiosità per Rolland). Freud prende in esame il sentimento oceanico, dicendo che per gli studi da lui fatti questo concetto non torna. La cosa più sicura di noi stessi è l’io, che ci appare unitario e contrapposto a qualsiasi altra cosa, questo è però fallace perché l’io non è un qualcosa di unitario, ma l’es e l’io sono collegati, non c’è divisione netta. L’io però mantiene delle linee di demarcazione chiare e nette con l’esterno. L’io percepito da adulto non è lo stesso io presente fin dalla nascita, ma lo apprende grazie alle sollecitazioni che gli arrivano dall’esterno. Secondo Freud la distinzione interno/esterno si forma nell’individuo proprio per la necessità di separare l’Io-piacere dalle fonti del dispiacere. L’io inizialmente include tutto, nasce poi la necessità di creare la distinzione tra esterno ed interno grazie al principio di realtà che stabilisce progressivamente il confine, e il bambino riesce ad agire sulla realtà esterna. Il principio di realtà serve per correggere le nostre percezioni e i nostri atti, è una correzione del principio di piacere. Il principio di realtà è importante perché ci permette di difenderci. Freud si chiese se il sentimento oceanico potesse esser questo senso di inclusività dell’io. Secondo Freud il sentimento oceanico è più comprensibile se pensiamo a quando eravamo bambini, dove arriva un momento nel quale ci rendiamo conto che non siamo capaci, ci sentiamo impotenti. Questo sentimento di impotenza infantile è simile al nostro atteggiamento religioso, perché quando da adulti ci sentiamo soppraffatti abbiamo bisogno di sapere che ci sia qualcuno che possa risolvere ciò che noi non possiamo controllare. Secondo Freud il sentimento religioso trova sfogo nel sentimento del bambino che, sentendosi impotente, cercava il padre. Il sentire di essere un tutt’uno con il tutto, secondo Freud, è un tentativo di consolazione religiosa. Freud si chiede, poi, perché viviamo. È una domanda che è stata posta tante volte, ma non è mai stata trovata una risposta concreta. Si chiede che cosa possiamo riconoscere come scopo della vita dell’uomo: l’essere felici. Gli uomini tendono alla felicità. Questo desiderio ha 2 facce: da un parte non vogliamo il dolore né il dispiacere, dall’altra vogliamo intensi sentimenti di piacere. L’io, guidato dal principio di piacere, si trova costantemente in conflitto col mondo esterno. Il soddisfacimento dei desideri è temporaneo, episodico quindi le nostre possibilità di essere felici sono limitate. Secondo Freud è molto più facile essere infelici che felici. La sofferenza ci minaccia da tre parti:  Dal nostro corpo, destinato a deteriorarsi. Dal dolore non si sfugge ma neanche dall’angoscia.  Dal mondo esterno; abbiamo inventato dei metodi per difenderci dalla sofferenza proveniente dal mondo esterno, ma non sempre funzionano  Dalle relazioni con gli altri, quando qualcuno a cui teniamo ci fa male ci sono tanti sentimenti in ballo. Quest’ultima fonte di sofferenza viene da noi avvertita come la più dolorosa. Freud esamina una serie di tecniche che usiamo per sottrarci al dolore. Cerchiamo di soddisfare le richieste del nostro io, tenendo però conto delle conseguenze, o cerchiamo di prevenire ed illudere il dolore. Sviluppiamo queste strategie in tante tecniche diverse, ad esempio l’intossicazione o l’utilizzo di illusioni e fantasticherie. La felicità è un problema dell’economia libidica individuale. Ognuno deve trovare da sé il modo particolare attraverso il quale può essere felice. A questo riguardo la costituzione psichica dell’individuo, al di là delle condizioni esterne, sarà decisiva:  L’uomo prevalentemente erotico metterà innanzitutto le relazioni emotive con gli altri  Il narcisista, che è più incline all’autosufficienza, cercherà i soddisfacimenti essenziali nei suoi processi psichici interni  L’uomo d’azione non abbandonerà mai il mondo esterno su cui può saggiare la sua forza. Secondo le credenze popolari molta della nostra infelicità deriva dalla civiltà in cui viviamo, ma la felicità è un qualcosa di soggettivo. La civiltà ci aiuta a fronteggiare 2 delle minacce di sofferenza: il mondo esterno e le relazioni con gli altri, creando delle leggi. Tutto ciò che ci è utile per proteggerci è civiltà. La civiltà è anche quell’insieme di attività psichiche che ci guidano nella nostra vita. Fondamentale all’interno della civiltà è il modo in cui vengono regolate le nostre relazioni sociali. La vita umana associata è possibile solo a patto che più soggetti si riuniscano e questa maggioranza sia più forte di ogni singolo e rimanga unita. La comunità, attraverso le forme del diritto, cerca di contrastare il potere del singolo. Il diritto si occupa di regolare le relazioni tra le persone, quando ci associamo stabiliamo di riconoscere il potere alla comunità piuttosto che al singolo. Il primo requisito della civiltà è la giustizia, la quale regola che tutti siano uguali e abbiano gli stessi diritti. Ma la civiltà si scontra con molti aspetti della felicità individuale, la libertà massima era presente prima che si instaurasse la civiltà. Quando cominciamo a vivere all’interno della civiltà ci vengono chieste enormi modifiche pulsionali, ciò non è facile perché siamo naturalmente portati a soddisfare tali desideri. Le pulsioni vengono rimosse, ciò causa frustrazione nei confronti la civiltà, chiamata frustrazione civile. La civiltà si costituisce nel momento in cui l’uomo capisce che dipende dal lavoro delle sue mani e più persone ci sono più prodotti si ottengono, l’altro diventa, quindi, un compagno di lavoro, ciò spinge l’uomo a riunirsi in famiglia. Sono due i fondamenti della civiltà: la potenza dell’amore e la necessità del lavoro (Eros e Anake). La prima forma di amore è quella sessuale, che produce il massimo soddisfacimento possibile, ma dipende dall’altro. Nella seconda forma di amore si producono delle modificazioni psichiche, questa è indipendente dall’oggetto e il valore principale è amare e non essere amato. Questo secondo amore è fatto di pulsioni inibite nella meta. Però, secondo Freud, non tutti sono degni d’amore e si chiede se un amore che tratta tutti nello stesso modo perde il valore di amore. La civiltà è tutta quella serie di ordinamenti che ci distinguono dagli animali. Uno scopo della civiltà è quello di legare tutti insieme, mentre la famiglia tende a creare nuclei più ristretti, si crea un conflitto. La civiltà, che vuole legare tutti i membri, cerca di creare delle forme di identificazione tra gli uomini, favorisce la condivisione e l’amicizia, e ci pone degli ostacoli (es. monogamia). Nella civiltà Freud vede molte persone che tendono al conflitto perché l’uomo non ha una natura buona. C’è una componente aggressiva che caratterizza l’uomo. Se l’uomo non è buono ci deve essere qualcosa che non abbiamo considerato. Secondo questa visione l’altro non solo è visto come compagno di vita, ma anche come possibilità di sfogare la nostra rabbia. Freud parla di pulsioni: pulsione di vita, che tende ad aggregare, e pulsione di morte che tende invece a disgregare. Buona parte della pulsione di morte è rivolta verso il mondo esterno e prende la forma di questa ostilità primaria riconosciuta in ogni uomo. L’aggressività per essere controllata all’interno della civiltà viene introiettata, interiorizzata, che viene così presa dal Super-io. Il super-io prende questa aggressività e la usa contro l’io: si genera il senso di colpa, cioè la tensione che si crea tra il rigido super-io e l’io. Il senso di colpa prende una forma molto comune: il bisogno di punizione. La civiltà, quindi, per controllare la nostra spinta aggressiva ce la fa introiettare, e ci fa fare i conti con questione che da sociale diventa personale. Il senso di colpa si genera quando l’individuo fa qualcosa che riconosce essere un male. Per comprendere se si è fatto un bene o un male è necessario un flusso estraneo, dall’esterno ci insegnano che cosa è bene e che cosa è male. All’inizio impariamo a distinguere il bene e il male e impariamo a comportarci in un certo modo perché abbiamo paura di perdere l’amore. Il male viene definito come tutto ciò a causa di cui si è minacciati della perdita l’amore. Cerchiamo di evitare tutto ciò che ci minaccia di perdere l’amore. Conta poco se si è già fatto il male o se soltanto si intenda farlo, il pericolo si presenta solo se l’autorità lo scopre. Quando capisco qual è il bene e il male, al super-io non si nasconde niente perché è un qualcosa che non viene dall’esterno. Quando riesco personalmente a differenziare il bene dal male nasce il senso di colpa e il bisogno di dover espiare, di essere puniti. All’inizio la coscienza morale era interna, non facevamo le cose per paura di perdere l’amore, ma quando viene interiorizzata non si sfugge, neanche i nostri pensieri riescono. Il senso di colpa è un qualcosa che abbiamo costruito fin da quando siamo bambini. Freud afferma che il problema più grande nell’incivilimento è il senso di colpa, che aumenta con il passare del tempo, quello che ci costringe a controllarci, a rinunciare alle nostre esigenze pulsionali, è il prezzo che paghiamo per poter vivere in civiltà. Con la psicoanalisi Freud ha scoperto che ogni nevrosi cela un ammontare di senso di colpa inconscio che tende a rafforzare i sintomi, per cui i sintomi sono delle sorti di punizioni. Il nevrotico avvia un processo di rimozione di diversi pensieri, la parte libidica della pulsione diventa il sintomo e la parte di aggressività diventa senso di colpa, che rimane inconscio. Il senso di colpa non ha, quindi, solo parte del vivere civile, ma è anche una questione personale. Bion Il gruppo costituisce un insieme, un collettivo capace di pensiero ed elaborazione emotiva, ha una sua vita che è difficile da individuare perché il gruppo ha una natura fluida e dinamica, cioè può cambiare in pochissimo tempo. Per dinamiche di gruppo si intendono le correnti affettive e di pensiero che caratterizzano i rapporti tra gli individui all’interno di un gruppo e tra i gruppi. gli individui che lo compongono devono sperimentare questa regressione che si concretizza nella consapevolezza del gruppo di esistere come qualcosa di diverso da un aggregato di soggetti. Il gruppo costituisce un aspetto fondamentale per lo sviluppo della vita psichica. Infatti, Bion ritiene che “una vita mentale di gruppo sia essenziale per la pienezza della vita individuale, indipendentemente da qualsiasi necessità, e che la soddisfazione di questo bisogno debba essere cercata attraverso la partecipazione ad un gruppo.” Il gruppo può essere considerato come un mediatore fra le necessità individuali, la mentalità di gruppo e la cultura di gruppo. I sentimenti che l’individuo sperimenta in gruppo, quindi, sono: - la frustrazione poiché i suoi desideri individuali non sono presi in considerazione. Il sentimento di frustrazione si contrappone alle aspettative di - gratificazione che normalmente l’individuo nutre nei confronti del gruppo e che giocano un ruolo importante nella decisione di prendervi parte. La vita mentale di gruppo è qualcosa di cui noi facciamo esperienza dall’inizio della vita, è essenziale per la pienezza della vita individuale ed è per questo che molte delle nostre esperienze quotidiane avvengono in gruppo. La mentalità di gruppo è uno stato del gruppo difficile da determinare poiché è: - inconscia per i partecipanti al gruppo - fortemente emotiva - caratterizzata da un agire irrazionale per molti aspetti - estremamente mutevole Esplorando la cultura gruppale, Bion scopre che il gruppo chiede un capo, un capo che abbia determinate caratteristiche. Questa è una situazione con la quale Bion si scontra molto presto, proprio perché lui non vorrebbe fare il capo ma il gruppo non reagisce bene a questa sua scelta, la contrasta attivamente. Bion si accorge che esiste una cultura di gruppo proprio nel momento in cui si rende conto che spesso il gruppo fa un tentativo di strutturarsi in modo tale che ci sia un capo (solitamente viene scelto un individuo con tendenze paranoiche) e dei seguaci che lo seguono. Questo è un ottimo esempio di quello che lui definisce come «cultura» perché è facile da rilevare. Attraverso numerose osservazioni Bion si rende conto della presenza di alcune modalità di comportamento ripetitive che il gruppo sembra seguire inconsciamente e che, di conseguenza, appartengono alla mentalità di gruppo. Bion individua 3 di queste modalità e le chiama assunti di base: 1. Attacco-fuga 2. Dipendenza 3. Accoppiamento L’attività del gruppo è ostacolata, deviata e a volte favorita da certe altre attività mentali che hanno in comune forti tendenze emotive. Queste attività mentali acquistano una certa strutturazione se si ammette che esse derivano da alcuni assunti di base comuni a tutto il gruppo. Sono state individuate da Bion tre caratteristiche della mentalità negli assunti di base:  La prima è che il tempo non esiste, non svolge alcun tipo di ruolo  La seconda è l’assenza di ogni processo di sviluppo  La terza è la discussione caratterizzata da un “girare intorno ad un argomento” in modo poco funzionale che però mantiene un alto grado di soddisfazione emotiva. 1. Primo assunto di base: Attacco-fuga Il gruppo sembra conoscere solo due tecniche di autoconservazione, l’attacco o la fuga. Spesso il gruppo utilizza questi due procedimenti per affrontare tutti i suoi problemi. Il gruppo in genere è intollerante nei confronti delle attività che non prendono la forma di attacco o fuga. L’interesse per la tecnica attacco-fuga porta il gruppo a ignorare ogni altra attività. La cosa più importante in questo assunto di base è l’essere tutti uniti contro qualcosa o qualcuno di esterno sia in attacco che in difesa. Nella leadership all’interno di un gruppo in assunto di base attacco-fuga, l’esistenza di un nemico è necessaria, è il requisito essenziale per questo tipo di gruppo perché se l’unica alternativa è combattere o fuggire, bisogna trovare qualcosa da combattere o fuggire. 2. Secondo assunto di base: Dipendenza In questo assunto di base il gruppo si riunisce per essere rassicurato da un individuo, dal quale il gruppo dipende. L’assunto di base sembra essere l’esistenza di un oggetto esterno la cui funzione è quella di dare sicurezza ad un organismo immaturo; ciò significa che viene sempre attribuita ad una persona la capacità di soddisfare i bisogni del gruppo, mentre tutti gli altri sono in attesa di veder soddisfatti i loro (es. genitore- bambino). Quando il gruppo entra in questo tipo di assunto di base, si produce sollievo, tranquillità, sicurezza. L’individuo da cui il gruppo dipende viene considerato colui che ha le risposte e da ciò derivano tutte le prevedibili complicazioni, per esempio la gelosia (es. in un gruppo dove tutti pensano che la soluzione sia posseduta da un soggetto, questi fanno a gara per parlare con lui, perciò quando ciò non è possibile, si genera frustrazione. In questi casi possono venire espresse collera, gelosia, odio). L’assunto di base dipendenza sostiene che esista una persona che ha il compito di evitare tutte le conseguenze spiacevoli e atti irresponsabili commessi dai singoli. La differenza tra l’assunto di base dell’attacco fuga e l’assunto di base della dipendenza riguarda il fatto che l’odio non è accompagnato nel gruppo attacco-fuga da analoghe rassicurazioni perché i suoi membri sentono che il capo esiste per esprimere lo stesso tipo di emozione, mentre nel gruppo dipendenza i soggetti sanno che c’è un capo che ci pensa. In sintesi: il gruppo Dipendenza si propone con le dimensioni emotive di un bambino nei confronti di un genitore protettivo. Bion parla di un atto di fede nei confronti di questa persona. 3. Terzo assunto di base: Accoppiamento Secondo le osservazioni di Bion spesso accadeva che due membri del gruppo si trovassero ad un certo punto coinvolti in una discussione. Lo scambio fra questi individui era difficile da descrivere, ma era evidente che fossero impegnati in un rapporto a due che anche il gruppo sembrava riconoscere. Il gruppo stava in un attento silenzio, seguiva la dinamica di coppia che si era formata. Bion si accorse che tutte le volte che due persone avevano questo tipo di scambio all’interno del gruppo sembrava esserci un assunto di base tale che sembrava proprio si trattasse di una relazione. L’assunto di base della coppia è che i suoi membri si incontrano con lo scopo di preservare il gruppo. Il gruppo accetta la coppia e questo feeling perché in un qualche modo assicura l’esistenza del gruppo: la coppia tiene banco, per cui non si rischia la perdita del gruppo. Nell’assunto di base dell’accoppiamento c’è un’aria particolare di speranza e di aspettativa. In questo assunto di base non vi è un capo, esso è sostituito da un sentimento di speranza legato all’attesa che dall’accoppiamento venga prodotta una nuova idea (messianica) che salverà il gruppo dai pericoli e dall’odio distruttivo. La coppia non viene connotata in modo preciso: possono essere un uomo e una donna, due donne o due uomini in maniera assolutamente indifferente. Ovviamente il gruppo può oscillare tra i tre diversi assunti di base in periodi diversi. Tutto questo naturalmente è attivo contemporaneamente alla cultura del gruppo che è quella che anima il lavoro di gruppo. L’ansia, il timore, l’odio, l’amore esistono in ogni gruppo in assunto di base. Esempi di gruppi di questo genere sono la chiesa o l’esercito: la chiesa è soggetta a fenomeni di assunti di gruppi di base di dipendenza e l’esercito a quelli di attacco-fuga. Bisogna considerare che queste strutture hanno elaborato diverse strategie per neutralizzare rispettivamente il gruppo di dipendenza e quello di attacco fuga e impedire così che questi siano di ostacolo alla funzione del gruppo di lavoro nel gruppo principale. La partecipazione a un’attività regolata da un assunto di base non richiede nessuna preparazione, esperienza o sviluppo psichico, ma è immediata. L’attività regolata da un assunto di base non richiede al singolo nessuna capacità di cooperazione, dipende solo dalla presenza nell’individuo della valenza, cioè la capacità del singolo di combinarsi istantaneamente e involontariamente con un altro per condividere un assunto di base e agire in base ad esso. In ogni gruppo si possono individuare degli orientamenti di attività mentale. Ogni gruppo si riunisce per fare qualcosa, per esplicare qualche attività e quindi le persone cooperano ognuno secondo le proprie capacità. Tale cooperazione è volontaria e si basa su un certo grado di abilità intellettuale del singolo. Dal momento che l’attività è collegata ad un compito, è fondata nella realtà e i suoi metodi sono razionali. Questo aspetto dell’attività mentale del gruppo Bion l’ha definito gruppo di lavoro. Il termine si riferisce all’attività mentale e non alle persone che la svolgono, in particolare ci si riferisce al fatto che la partecipazione al gruppo di lavoro implichi l’avere sviluppato alcune facoltà, che Freud aveva indicato come caratteristiche dell’Io dell’individuo: attenzione, capacità di rappresentazione verbale e capacità di pensiero simbolico. Il gruppo di lavoro è una mentalità collettiva e contemporaneamente un aspetto della mente individuale. La funzione di un gruppo di lavoro deve includere lo sviluppo di un pensiero concepito in modo tale da poter essere tradotto in azione e la teoria su cui esso si basa. Bion afferma che cerca di dire la verità ai suoi pazienti e di dire quello che pensa. Egli cerca di:  Fare appello al singolo: gestire il gruppo in modalità primitiva significa riuscire a fare appello al singolo e quindi al giudizio critico, per fare questo è necessario non perdere mai il controllo  Richiamare i singoli al rapporto: soprattutto quando di generano forti correnti emotive e tensioni è bene riportare i singoli al rapporto che hanno strutturato con voi nel tempo, questo li riporta all’esame di realtà. È il rapporto con qualcuno che si mostra affidabile e disponibile che può riportare alcuni soggetti del gruppo ad analizzare quel che è successo e a comportarsi diversamente. In pratica la risorsa per aggirare il gruppo in assunto di base è il pensiero del rapporto unito al giudizio critico  Sostenere il processo di elaborazione: una volta che il meccanismo di gruppo si è “disinnescato”, i componenti possono rimanere spaesati. È a questo punto che il ruolo dello psicoanalista è ancora più importante, inizia infatti il processo di elaborazione. I toni usati devono essere pacato per trasmettere il messaggio che c’è qualcuno che “contiene” la situazione razionalmente ed emotivamente. Foulkes: Gruppoanalisi Foulkes ha inizialmente preso una posizione per poi diventare più estremista, ci sono quindi degli scritti dove egli è più moderato poi altri nei quali è più esplicito. Sono presenti degli scritti dove cerca di mettere insieme la gruppoanalisi e la psicoanalisi, cosa non possibile perché hanno una natura diversa. Foulkes descrive tre livelli di pensiero, affermando che siamo abituati a considerare solo i primi due. 1. Pensiero intrapsichico: le rappresentazioni che appartengono all’individuo 2. Pensiero interpersonale: deriva dalle relazioni che sono più vicine all’individuo 3. Pensiero transpersonale: deriva dalla cultura, dalle tradizioni, dagli usi, dai costumi e dall’eredità in cui il soggetto è inserito fin da bambino. Per Foulkes noi siamo molto più frutto di quello che abbiamo sperimentato rispetto a quello che siamo. Questi tre livelli di pensiero sono strettamente interdipendenti e si influenzano reciprocamente. Secondo Foulkes il cambiamento reale di un soggetto si riflette sempre anche nei suoi gruppi di riferimento (le reti), perché essendo l’individuo un sistema fatto a rete se cambia un pezzo cambia di conseguenza tutta la rete. «L’individuo è parte di una rete sociale, un piccolo punto nodale, in questa rete può solo artificialmente essere considerato isolatamente, come un pesce fuor d’acqua. Oltre a queste ramificazioni orizzontali, con le altre persone e con la comunità, l’individuo ha una connessione verticale che rappresenta la sua eredità biologica, che egli sviluppa durante tutta la vita». Foulkes parla, poi, di salute. La salute è definita come il libero fluire della comunicazione nella rete, nella comunità. Quando siamo in salute riusciamo a comunicare in maniera sana all’interno dei nostri gruppi. La malattia mentale per Foulkes è una difficoltà di integrazione all’interno della comunità, a causa della quale si modificano il modo in cui il soggetto si relaziona, il suo pensiero, etc. Sia la salute che il disturbo vengono dalla comunicazione nel gruppo. Molta della salute psichica del soggetto deriva anche dal tipo di gruppo in cui si è inserito. Il disturbo che vediamo materializzato in un paziente è l’espressione di un equilibrio disturbato in un campo di interazione che coinvolge un certo numero di persone diverse, vediamo un nodo disturbato che fa parte di un’intera rete. Foulkes parla di quattro pilastri su cui si regge il gruppo: 1. La relazione: è la dimensione più rilevante del gruppo. Ci si ammala attraverso le relazioni e ci curiamo grazie a loro. Parliamo della relazione che si crea all’interno del setting terapeutico. Il conduttore è il primo partecipante del gruppo, secondo Bion, invece, il conduttore era qualcuno di esterno al gruppo 2. La circolarità: implica che qualsiasi fenomeno che si verifica in un gruppo coinvolga tutti i partecipanti, non esiste un fenomeno per cui un soggetto non è in prima linea. Questa circolarità è fondamentale e sempre presente 3. La trasformazione: implica il passaggio da semplici narrazioni a esperienze dotate di senso, in questo modo il paziente può trasformarsi e imparare a riguardare con occhi diversi 4. Le molteplicità: qualsiasi gruppo non può prestarsi a riduzionismi, poiché ogni situazione gruppale implica il coinvolgimento di soggetti, ognuno con le proprie caratteristiche e storie personali che comportano complessità di livelli di analisi. In sintesi, il setting che esploriamo con Foulkes è dotato di queste caratteristiche:  Il gruppo è composto da 7-8 pazienti riuniti nella stanza a cerchio  Il gruppoanalista è parte integrante del cerchio e mantiene sempre lo stesso posto  Le sedute si tengono due volte a settimana per circa un’ora e mezza  Il gruppo è generalmente semiaperto, cioè consente l’ingresso di nuovi pazienti  Le tematiche non sono mai prestabilite, ma vengono lasciate libere: ogni soggetto può scegliere di cosa parlare, similarmente alle libere associazioni in psicoanalisi  Si seguono le regole dell’astinenza (i pazienti non dovrebbero incontrarsi al di fuori delle sedute) e della riservatezza  Confini del setting ben definiti La funzione del gruppoanalista è fondamentale all’interno della gruppoanalisi. Egli è il primo paziente del gruppo, la sua prima funzione è quella di proteggere il setting. È necessario che abbia portato a termine un’analisi personale poiché deve essere in grado di analizzare transfert e controtransfert. Nella fase di fondazione del gruppo il gruppoanalista cerca di facilitare la comunicazione coinvolgendo tutti, ma mantenendo uno stile che non è mai direttivo. Le interpretazioni vengono generalmente rivolte al gruppo, ma molto spesso sono sintetiche e spesso «non complete» volendo favorire il clima gruppale (tecnica della parola sospesa). L’obiettivo del gruppoanalista è quello di portare il gruppo a lavorare da solo, ad una funzione matura in cui gli interventi si completano vicendevolmente portando il gruppo ad evolvere. Nel gruppo maturo gli interventi del conduttore sono ridotti al minimo, interviene maggiormente quando nel gruppo si evidenziano situazioni di crisi o di blocco. Il training del gruppoanalista deve comprendere non solo l’osservazione e lo studio di ogni tipo di gruppo, ma soprattutto la capacità di gestire quei momenti di tensione, di blocco, di aggressività e di ostilità indiretta che rappresentano una minaccia per il gruppo stesso. Il conduttore deve poter favorire la funzione trasformativa della matrice gruppale. Il terapeuta deve avere una funzione creativa, secondo Foulkes, come un’artista. Deve evitare di educare le persone a propria immagine, ma aiutarle creativamente a diventare sé stesse. Differenze di impianto teorico a Northfield tra Foulkes e Bion: Bion Foulkes Fenomeno di gruppo in un campo di forze Individuo nella matrice Esperienza non terapeutica di gruppo Interesse primario terapeutico Insight della relazione figura/sfondo Facilitazione della discussione liberamente fluttuante Cultura militare Cultura del prendersi cura Orientamento sociale Orientamento individuale Esperimento di appartenenza Comunicazione auto-espressiva Gruppi clinici e set(ting) Per parlare di setting è necessario capire come e in che contesto si svolge il lavoro, ci sono degli elementi fondamentali per poter strutturare in maniera organica il lavoro. Per ogni lavoro clinico è necessario di definire: chi, cosa, come, dove, perché e quando. Nel caso della terapia è basilare chiedersi qual è quella migliore da utilizzare con un determinato paziente. È necessario scegliere il dispositivo, lo strumento con cui lavoriamo, ma anche gli obiettivi e i metodi devono essere chiari. Nel setting gruppale, i fattori relazionali e di campo psichico sono molto più complessi che nelle terapie duali. Per analizzare il lavoro con il gruppo dobbiamo studiare l’interazione di:  Fattori individuali che riguardano il mondo interno del soggetto  Fattori relazionali che hanno a che fare col tipo di relazione che strutturiamo con gli altri Premesse per elaborare il setting:  Conoscenza della psicopatologia individuale  Conoscenza delle dinamiche relazionali  Conoscenza dei processi di gruppo (implicano tutta la parte tecnica, dell’evoluzione delle teorie di gruppo elaborate negli anni)  Competenza del terapeuta (fare un percorso personale prima di andare a lavorare con un gruppo) Il setting è tutto ciò che riguarda l’impostazione del trattamento terapeutico e le sue regole tecniche, al dispositivo a partire da e dentro al quale avviene lo scambio clinico. Il primo a parlare di setting è stato Winnicott, che ne parlava in maniera differenziata: parlava di set e setting. Quando si parla di spazio analitico ci si riferisce a quando il terapeuta lascia uno spazio al paziente per esprimersi; ciò significa che il terapeuta deve avere la capacità di sospendere il giudizio, cioè non essere giudicante in senso stretto per fare in modo che il paziente possa esprimersi liberamente. Il setting è composto dal set, dal setting e dal set(ting). 1. Il Set è tutto ciò che ha a che fare con il contesto organizzativo degli incontri, sono le condizioni materiali, visibili che caratterizzano la situazione terapeutica. Tali elementi organizzativi hanno una valenza sia strutturale sia psichica e risultano determinanti per l’esperienza gruppale. Si tratta di fattori quali il numero dei componenti, la presenza o meno di oggetti, la presenza di osservatori, le caratteristiche della sede, … Le caratteristiche strutturali visibili ed esplicite del set sono:  Area di intervento  Contesto in cui si svolge  Spazi  Tempi  Numero di utenti coinvolti  Caratteristiche degli utenti  Assetto di lavoro  Disposizione  Regole di comportamento  Contratto  Modalità di rapporto con familiari e istituzione  Strumenti tecnici utilizzati  Gestione degli psicofarmaci  Caratteristiche del terapeuta visibili  Presenza o meno e caratteristiche di co-terapeuti, osservatori etc.  Richieste e obiettivi espliciti, caratteristiche, ruolo sociale, possibilità di controllo di committenti e referenti esterni 2. Il Setting è l’area che riguarda il terapeuta, come clinico e come persona. Il setting è un insieme complesso che contiene teoria, pensieri, emozioni, valori e concetti che hanno a che fare con l’impianto teorico, ma anche con l’approccio relazionale del clinico, che determina l’ambiente gruppale, le modalità di riconoscimento e rassicurazione. Il setting non è statico, evolve, si crea in relazione all’incontro col paziente. L’area del setting è formata da impianto teorico + teoria della tecnica + terapeuta. Alcune delle modalità operative utilizzate sono: la facilitazione del processo gruppale, interventi interpretativi, gestione delle dinamiche intrapsichiche e intragruppo etc. Gruppo di psicoterapia monosintomatico È sempre un gruppo di psicoterapia ma con pazienti che hanno una sintomatologia mirata, come ad esempio l’anoressia o la tossicodipendenza. Gli obiettivi di questi gruppi sono più centrati sulle problematiche legate al sintomo, al corpo, al rapporto mente-corpo-relazione. In particolare si pone molta attenzione all’identificazione con la matrice familiare, alla dimensione totalizzante legata al sintomo (aspetti interpersonali e sociali), e al contenimento inizialmente necessario. In rilievo sono l’evoluzione della psicopatologia e le difficoltà relazionali nel gruppo e nella quotidianità. La domanda di inserimento in questo caso può essere fatta dal paziente, dalla famiglia o da parte di strutture sociali e sanitarie. La presenza dello stesso sintomo crea una coesione gruppale molto forte e un incremento degli aspetti supportivi. Questa coesione può essere un problema per lo psicoterapeuta quando l’esperienza del gruppo diventa solo un’occasione per comunicare i propri comportamenti ed esperienze senza raggiungere dei miglioramenti. Il numero dei partecipanti va da 4 a 10 e il luogo può essere un centro privato o pubblico, una struttura clinica o uno studio professionale. Le sedute vengono fatte 1 o 2 volte alla settimana per un’ora e mezza. Un assetto strutturato e stabile dopo le fasi di fondazione del gruppo, le uscite o gli inserimenti di nuovi pazienti è fondamentale. Si lavora sulle problematiche terapeutiche, sulla presenza della famiglia, sulla specificità sintomatologica e sulla strutturazione cognitiva e rituale legata al sintomo. Il pagamento può essere diretto, nel caso di un lavoro privato, oppure indiretto se si svolge tramite dei servizi; trattamento farmacologico è possibile e tendenzialmente transitorio gestito da psichiatri esterni al gruppo, il paziente va sostenuto nell’elaborazione del proprio rapporto con i farmaci. La durata del lavoro è variabile, può andare da qualche mese a 2 anni. Il gruppo si basa inizialmente sul legame dei pazienti con l’analista, sulla condivisione dei sintomi e sul potersi capire reciprocamente con gli altri pazienti. Questa fase è necessaria data la fragilità e ambivalenza di questa tipologia di pazienti. Nel caso di adolescenti o giovani è rilevante anche il ruolo della famiglia. Va incoraggiata in fase iniziale la costruzione del legame. Determinante è la costruzione dei confini del gruppo, la strutturazione degli obiettivi, la comunicazione autentica sulla condivisione delle problematiche. È centrale il corpo, ad esso va posta la massima attenzione sia in termini psicologici che biologici. Per quanto riguarda la conduzione inizialmente è necessaria la supportività per incrementare il processo comunicativo. Il conduttore deve avere un adeguato training gruppoanalistico, sviluppare la possibilità di crescere attraverso l’esperienza, esigenza di approfondire la conoscenza della sintomatologia specifica ed è necessaria una buona consapevolezza rispetto alle dinamiche familiari. È il terapeuta che deve favorire il superamento sostanziale della sintomatologia. Nei gruppi monosintomatici molto spesso sono necessarie importanti modifiche all’interno del setting. Psicodramma analitico terapeutico In questi gruppi sono particolarmente importanti gli aspetti legati al corpo e al movimento, alla rappresentazione del mondo interno individuale e familiare. Non si tratta di una semplice ripetizione delle vicende personali, ma una ri-attualizzazione pratica di ciò che è accaduto. Lo strumento principale è costituito dalla messa in scena dei vissuti personali che comporta profondi processi di trasformazione sostenuti dall’elaborazione affettiva di ciò che avviene nel campo psichico e dalla presa di coscienza di questi importanti passaggi di pensiero. I temi principali sono relativi alla individuazione, all’evoluzione, alla consapevolezza e comprensione della molteplicità dei ruoli ricoperti socialmente. La messa in scena, attraverso la partecipazione degli altri, comporta una trasformazione vera e propria perché permette la comprensione affettiva, la comprensione di tutto ciò che era rimasto sospeso. La domanda per entrare all’interno di un gruppo di psicodramma può essere fatta da parte dell’individuo o da parte di un servizio. È necessario analizzare il contesto, le aspettative che il soggetto nutre nei confronti del terapeuta e la rappresentazione che ha di sé stesso, vengono quindi fatti dei colloqui preliminari e delle diagnosi. Il tipo di utenza prevede che il nuovo paziente inserito riesca a seguire le regole dello psicodramma. Il numero dei partecipanti va da 6 a 12, e il numero delle sedute è di una seduta di 2 ore oppure due sedute per un’ora e mezza (vengono fatte sedute più brevi per pazienti molto gravi). Il set(ting) è strutturato, è il terapeuta che regola le uscite e le entrate dei pazienti. Lo spazio centrale è ampia per permettere la drammatizzazione. Il pagamento, anche in questo caso, può essere diretto o indiretto. Il trattamento farmacologico è possibile, l’importante è che questi pazienti siano stabilizzati e che non impediscano la messa in scena. La durata del lavoro può andare da 1 a 5 anni, anche di più se i pazienti sono gravi. I ruoli assunti e attribuiti agli altri riflettono la storia personale e la dinamica dei ruoli interni di ciascun membro. La drammatizzazione rappresenta il mondo interno nel gruppo. Il corpo diventa centrale, soprattutto il movimento e la rappresentazione del corpo agito nei ruoli. Il conduttore è uno psicodrammatista con competenze gruppali, cliniche, analitiche e nel campo delle patologie gravi. Egli cerca di creare le condizioni perché ci sia sintonia all’interno del gruppo, il contesto è più informale rispetto ai gruppi psicoanalitici. La conduzione oscilla tra è oscillante fra direttività e non: aiuta il paziente e il gruppo ad individuare le scene più significative. La situazione è estremamente differente quando lo psicodramma non ha obiettivi di cura ma di esperienza, vi è maggiore attenzione agli aspetti empatici e maturativi. Gruppo di lavoro riabilitativo È un tipo di gruppo che può essere utile quando è necessario sostegno psicologico con pazienti molto gravi. Gli obiettivi di questi gruppi sono:  Integrare e sostenere il progetto terapeutico di pazienti gravi investendo sulla risocializzazione e sulla ricostruzione psichica, cognitiva ed affettiva.  Potenziamento delle capacità espressive e facilitazione del contatto emotivo con se stessi e l’altro  Acquisizione delle competenze di vita e sociali  Avere un’adeguata rappresentazione della patologia (deideologizzazione dei sintomi ?, noi lavoriamo per far in modo che i pazienti ritrovino la loro personalità) La domanda di inserimento viene presa in carico da parte di servizi territoriali o su richiesta individuale, familiare e ospedaliera. I pazienti presenti all’interno di questi gruppi hanno una scarsa capacità di autogestirsi come gruppo perché sono esternamente ego centrate. Spesso di parla di psicosi e gravi disturbi della personalità. Il numero dei partecipanti va da 5 a 20 e le sedute sono molto frequenti perché è un gruppo che va a costruire quelle reti sociali che sono state perdute. L’accesso è aperto o semi-aperto. Il set(ting) deve essere vicino alle potenzialità dei pazienti e allo sviluppo del gruppo. Si lavora sul qui e ora e sul fare. Il pagamento è generalmente indiretto perché sono gruppi di lavoro che si svolgono all’interno di centri. Il trattamento farmacologico è frequente e di lunga durata ed è mirato a migliorare le basi della mentalizzazione e a facilitare il lavoro socio e psicoterapeutico. La durata del lavoro va da qualche settimana a qualche anno; la comunicazione all’interno del gruppo è poco esplicitata verbalmente e maggiormente incentrata sul fare cose e sul movimento. Il corpo fa parte del lavoro dei gruppi di riabilitazione, poiché la riabilitazione è un intervento volto all’attivazione biologica, psichica e interpersonale. Va, però, tenuto conto della presenza di eventuali situazioni di debilitazione fisica. L’aspetto istituzionale in questi tipi di gruppi è importante perché l’attività riabilitativa si svolge, di solito, all’interno di istituzioni psichiatriche, implica perciò un rapporto diretto con gli altri operatori poiché si inserisce in un lavoro di rete. Il conduttore del gruppo è un operatore singolo, o più spesso un équipe e vengono integrate competenze gruppoanalitiche, riabilitative e psicopatologiche. È necessario che i conduttori abbiano fatto un lavoro terapeutico personale, esperienza delle dinamiche di gruppo e specifiche competenze nel caso di attività di animazione, drammatizzazione e arte terapia. La conduzione è direttiva e bisogna cercare di rendere le attività produttiva anche dal punto di vista relazionale per favorire la coesione del gruppo. Gruppo di relazione riabilitativa (dipendenze patologiche) Si tratta di un gruppo di sostegno per sostenere il paziente con dipendenze. Alla base della creazione di questo tipo di gruppo vi è il superamento del comportamento di dipendenza, l’instaurazione di modalità relazionali più autentiche, la maturazione delle strutture psichiche e la riabilitazione. Lo scopo è quello di andare oltre all’identità e all’esperienza tossicomanica anche a livello delle strutture psichiche profonde inconsce. La domanda di inserimento è individuale, familiare oppure istituzionale. I pazienti presenti all’interno sono in grado di formulare una domanda di aiuto generalmente di tipo “salvifico”. Questo tipo di gruppo può contenere fino ad un massimo di 30 partecipanti e le sedute avvengono quotidianamente o frequentemente, l’accesso è aperto o semiaperto. Il set(ting) è definito ma non rigido e la matrice di gruppo è di tipo coesivo/dipendente, nei primi tempi più contenitiva che relazionale: vanno elaborati la dipendenza interna/esterna da sostanze, famiglia, comunità e gli obiettivi di separazione/individuazione. Il pagamento è a carico della sanità pubblica o della famiglia e il trattamento farmacologico è tendenzialmente assente. La durata del lavoro è di 1/2 anni. La rappresentazione del corpo è rilevante soprattutto in merito ai problemi sanitari, alla dipendenza dalle sostanze e agli effetti di queste. È rilevante anche la percezione del proprio schema corporeo e della propria fisicità, temi che devono far parte del lavoro di elaborazione del gruppo. Il conduttore è un équipe mista di operatori con una specifica formazione terapeutica, gruppale e di supervisione per evitare rischi di collusione, confusione emotiva o burnout. L’équipe è caratterizzata da una forte direttività e si occupa di agevolare la strutturazione del gruppo e dell’identificazione positiva con la comunità. Viene favorita una comunicazione autentica e costruttiva. Gruppo di prevenzione Gli obiettivi alla base di questi gruppi sono:  Aumentare la consapevolezza rispetto a tematiche importanti per la vita quotidiana come la tossicodipendenza, comportamenti alimentari, problematiche sociali, scolastiche, etc. La nostra identità si sviluppa secondo un processo di identificazione: l’esterno diventa esterno perché noi ci identifichiamo con la realtà circostante. L’identificazione non è, per Napolitani, il momento iniziale, come per Freud, ma è un vero e proprio processo costituivo della nostra psiche. L’individuo è tale in quanto geneticamente disposto ad apprendere, il nostro ambiente ci in-segna. Il bambino si appropria dei segni e dei sensi che i genitori gli propongono in merito allo stare nel mondo e allo stabilire e condurre relazioni: il bambino tende, quindi, ad identificarsi con ciò che i genitori gli in- segnano. Prendiamo dal contesto anche il nostro modo di essere in relazione: il bambino si appropria dei segni e dei sensi che i genitori gli propongono in merito allo stare nel mondo e allo stabilire e condurre relazioni: in sintesi il bambino tende a identificarsi con ciò che i genitori gli in-segnano. Identificazione proiettiva → il genitore Identificazione introiettiva → i processi di apprendimento del figlio sono parziali e sono contrassegnati da quegli aspetti che il genitore vuole che il figlio apprenda. L’obbedienza è secondo Napolitani il processo con cui il bambino si appropria di segni e sensi derivanti dal genitore, la disobbedienza è il momento in cui l’individuo sperimenta liberamente la sua soggettività. L’apprendimento per identificazione del bambino lo espone in sintesi a concepire le modalità di potere del genitore: potere inteso come verbo (quindi possibilità), ma anche come concetto (il potere), in sintesi il bambino introietta la modalità desiderante del genitore. Il soggetto non è qualcosa che si istituisce una volta per tutte e rimane immutabile, deve essere più pensato come una prassi che si va costruendo e deve per forza riattraversare quello che è il suo ambiente per farlo suo e trasgredire e dargli un senso soggettivo. C’è un momento in cui il soggetto prende le distanze, un rifiuto che segna il passaggio di attraversamento. Questo riattraversamento ci fa rendere conto che abbiamo interiorizzato le modalità relazionali del nostro ambiente. La trasformazione diventa una grande possibilità perché noi esseri umani impariamo subito a rivolgere il pensiero su noi stessi. L’identità dell’uomo si caratterizza sin dalle origini per la sua culturalità, cioè per l’insediamento di segmenti relazionali dell’ambiente che comunque riguardano l’individuo che in quell’ambiente nasce e si va esprimendo; l’identità individuale si compone quindi di relazioni interiorizzate (l’identificazione) che nel loro complesso istituiscono una gruppalità interna. Questa rete o matrice gruppale (Foulkes) è quindi a un tempo fondamento storico dell’esserci, e oggetto di sfondamento ad opera delle espressività simbolopoietica. Napolitani sostiene l’attitudine creativa del pensiero che è in grado di rivolgere a sé stesso un carattere autenticamente trasformativo. Il soggetto umano seleziona istantaneamente e senza alcuna legittimazione razionale una particolare combinatoria di elementi sensibili, amnestici e affettivi tra tutte le infinite combinatorie possibili degli elementi interni/esterni della sua realtà attuale, e di questa specifica combinatoria fa attivamente un evento nuovo. Non è la novità oggettiva di un fenomeno che lo rende evento, ma è la creazione di una nuova combinatoria che attivamente ‘eventualizza’ il mondo. Quando costruisco qualcosa su un evento oggettivo gli attribuisco una intenzionalità che di per sé potrebbe non avere. Il modo in cui interpretiamo qualcosa diventa vitale per come lo percepiamo. Quando diamo una nostra lettura di qualche cosa la modifichiamo. Questo fare selettivo e inventivo (l’evento è quindi l’oggettivazione di un inventum) contiene dunque in sé una qualità finalistica per la quale Husserl parla di costitutiva ‘intenzionalità’ dell’‘esperienza vissuta. La simbolopoliesi è la trasformazione di ciò che ci accade, gli eventi, grazie all’azione autoriflessiva del nostro pensiero, che permette di sviluppare uno sguardo nuovo in grado di donare nuovi significati e nuove connessioni di senso. È una forma trasgressiva del pensiero ad opera dell’Es che conferisce la possibilità di percepire le situazioni in modo nuovo e questo permette il cambiamento dell’articolazione simbolica e linguistica per rappresentarsi con un nuovo ordine fenomeni già esperiti. Napolitani parla di Es-pressività. È per questo che riusciamo ad accedere ad una dimensione che non era nostra, a fare cose che non pensavamo possibili. Napolitani afferma che la nostra identità è costituita da 2 aspetti: l’Idem e Autos. L’Idem è l’identità di natura connettiva tra il proprio e l’altrui, è composto da insegnamenti tramandati e strumenti offerti dalla rete culturale; l’Autos è il momento della creatività, della simbolopoiesi, del riattraversamento delle matrici. Napolitani ha creato la teoria degli universi relazionali valida per ognuno di noi e per i gruppi. L’identità è frutto anche di alcuni aspetti relazionali che ci circondano e che abbiamo introiettato, questi segmenti hanno contribuito a produrre una personalità equilibrata. Secondo Napolitani il bambino piccolo, come difesa dall’angoscia, si identifica in maniera acritica col proprio modello culturale familiare da cui, col passare del tempo, dovrà riuscire ad affrancarsi. Siamo formati da 3 universi che costituiscono la multidimensionalità dell’esperienza relazionale. Disponiamo di tre registri (Reale, Immaginario e Simbolico), all’interno delle rispettive strutture relazionali, che sono frutto di tre diversi saperi coesistenti nello stesso individuo, ma ciascuno emergente a seconda dell’universo relazionale nel quale l’individuo si trova impegnato. Tutti gli universi sono ugualmente importanti, dobbiamo imparare a farli dialogare. Il primo è L’Universo P reale o protomentale. Il termine protomentale è stato preso da Bion. Per Bion nelle situazioni di gruppo diventano osservabili alcuni fenomeni mentali molto primitivi, questi fenomeni sono l’espressione di una particolare struttura esperienziale che si caratterizza per il fatto che l’individuo che la vive si trova immerso in un tessuto precoscienziale. Questa struttura esperienziale è quella a cui Bion dà il nome di sistema protomentale che non è ancora espressione di ciò che usualmente intendiamo come ‘mente’. Ogni essere umano è portatore di questo sistema protomentale dell’esperienza dell’esserci che persiste nell’intero arco della vita umana che a ogni momento, e specie in particolari situazioni favorenti, si riattiva con un carattere di assolutezza. Caratteristiche universo P:  È qualcosa che viene prima della mente logica  Quando è attivo guardiamo cose concrete e l’unica percezione che abbiamo in quel momento è del presente, parliamo di presente assoluto: non si tengono conto delle future conseguenze  Esiste solo il gruppo dal quale l’individuo non riesce a staccarsi  Si avverte il bisogno, ma è concepito come essere tutt’uno con, e in questo stato di fusione non si percepisce la mancanza  La comunicazione è partecipativa  Il gruppo è fusionale Il secondo è l’Universo S immaginario o transferale. L’Universo S è l’universo che coincide con la situazione di transfert. Si tratta di un gioco di apparenze, di immagini, di figure che si muovono attorno all’asse portante del potere. All’origine il potere è potere di vita e di morte. È legittimo supporre che di questo potere ogni essere umano abbia fatto un’esperienza nel suo originario affidamento al mondo adulto nel quale è nato. Il suo nascere si apre in una duplice possibilità relazionale: quella del gioco creativo nell’area transizionale che va a fondare l’‘universo simbolico R, e quella del potere desiderante che va a fondare ‘l’universo immaginario S. Nel momento in cui occupa questo secondo universo egli fa una specifica esperienza del suo difetto sopravvivenziale originario e raggiunge gradualmente la consapevolezza di questa condizione di dipendenza e dei suoi effetti sulla propria vita. L’Universo S ruota intorno alle esperienze relazionali che abbiamo fatto in passato. Quando è al lavoro sull’universo S, l’individuo fa i conti con il fatto che noi siamo frutto delle relazioni che abbiamo messo in campo. Caratteristiche Universo S:  Sistema transpersonale dell’assoggettamento  Vediamo le cose attuali in base alla luce delle relazioni passate  Ci concentriamo su noi e sull’altro ma anche sulla modalità con cui l’altro ha elaborato delle aspettative Io(altro)  Si percepisce il desiderio di conformità alle aspettative dell’Altro e si avverte la mancanza come difetto o colpa  La comunicazione tende ad essere stereotipica, prescrittiva e diffidente. È un ricapitolare la lingua madre, cioè quelle espressioni che ho fatto mie e che vengono dal passato  Il gruppo è rappresentato dall’Istituzione. È un gruppo rigido che si percepisce come fermo Il terzo, e ultimo, è l’Universo R simbolico o progettuale. Nei primi due universi, l’individuo si costituisce esclusivamente come parte di insiemi presenti nel suo scenario interno, nell’universo R il concetto di individuo riassume la sua pienezza semantica: egli non è più il mero portatore di parti di sistemi strutturalmente transpersonali, ma sperimenta qui il suo spazio corporeo e il suo tempo storico come momenti costitutivi della sua identità. La nozione di identità a cui faccio qui riferimento riguarda sostanzialmente il modo personale con il quale ciascun individuo si apre all’incontro col mondo intorno a un progetto. L’universo R è quello in cui il difetto di forza è assunto come costitutivo del proprio esserci, la soggettivazione di questo difetto di forza mantiene l’individuo relativamente al di fuori delle suggestioni di potere e gli consente quel grado di libertà che è sufficiente per ispezionare le relazioni tra le cose del mondo sensibile, tra le parti del suo corpo e della sua mente, tra le parti del Sé e le parti del mondo. Questa curiosità originale diventa un’esperienza fondamentale per il divenire dell’uomo, una conoscenza trasformativa del mondo. Il soggetto riprende le sue matrici nell’ottica di una progettualità futura, nella quale può incontrare gli altri, il mondo. È il momento in cui il soggetto è libero, si sviluppa una libertà di pensiero. Caratteristiche dell’Universo R:  Il progettuale indica l’apertura alle possibilità e al fare  Relazione interpersonale progettuale  Il tempo ha a che fare con la storia ma come radice dell’esperienza del futuro  Si elabora la domanda come apertura verso il “non ancora”, la mancanza viene esperita come condizione di ricerca creativa  La comunicazione è caratterizzata da domanda, modalità interrogative e confidenti  Il gruppo è allo stadio organizzativo Per Napolitani la pratica psicoterapeutica è “accompagnare la persona sofferente verso una domanda di senso che miri a riaprire, ad altre potenziali traiettorie, un passaggio esistenziale sospeso o interrotto”.
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