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TESAURO ISTITUZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO - PARTE GENERALE ED. 2020, Sintesi del corso di Diritto Tributario

Riassunto completo ed esaustivo di Istituzioni di diritto tributario - F. Tesauro - Parte generale ultima ed. 2020

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 02/10/2022

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Scarica TESAURO ISTITUZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO - PARTE GENERALE ED. 2020 e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Tributario solo su Docsity! ISTITUZIONI DI DIRITTO TRIBUTARIO - PARTE GENERALE TESAURO CAPITOLO 1: I TRIBUTI 1. La nozione di tributo Nel linguaggio ordinario i termini tributo, imposta, tassa e contributo sono sinonimi. Nel linguaggio giuridico non esistono definizioni del termine tributo, per cui è necessario attribuirgli il significato dottrinale e giurisprudenziale. 
 Il tributo: - comporta il sorgere di un'obbligazione o altra forma di decurtazione patrimoniale; - i suoi effetti sono definitivi e irreversibili; - si caratterizza per la coattività, ossia è sempre imposto da un atto dell’autorità; ciò comporta che l'ente pubblico impositore sia anche provvisto di poteri autoritativi, allo scopo di costituire il rapporto tributario o anche soltanto di imporre il pagamento del tributo. Possono esservi entrate pubbliche imposte coattivamente che non hanno carattere tributario (come le sanzioni), ma il fondamento giuridico del tributo è sempre un atto dell'autorità (legge o provvedimento). Il fatto generatore del tributo è un fatto economico. Ciò consente di distinguere il tributo dalle sanzioni pecuniarie, che sono (come i tributi) prestazioni pecuniarie imposte autoritativamente, ma collegate ad un fatto illecito; - è destinato a finanziare spese pubbliche di interesse generale: è rilevante che il gettito del tributo sia attribuito allo Stato o ad altri enti pubblici, non è rilevante lo scopo per cui il tributo è istituito. Di regola il gettito dei tributi è una risorsa dell'ente pubblico senza una destinazione prestabilita, ma vi possono essere tributi con destinazione specifica chiamati tributi di scopo. 2. Imposte, tasse e contributi Tributo è un termine che indica un genus, comprendente imposte, tasse e contributi; taluni aggiungono i monopoli fiscali. Per quanto riguarda la distinzione tra imposte e tasse, essendovi spese pubbliche indivisibili e divisibili, le entrate destinate a finanziare le spese indivisibili sono imposte, quelle destinate a finanziare spese divisibili sono tasse. • Imposta: è il tributo per eccellenza. Il presupposto dell'imposta è un fatto economico posto in essere dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con una determinata attività dell'ente pubblico (es. conseguimento di un reddito, possesso di un bene). Le imposte sono dovute a titolo di solidarietà (art. 2 e 53 Cost.) e sono commisurate alla dimensione economica del presupposto. • Tassa: ha come presupposto un atto o un’attività pubblica, ossia l'emanazione di un provvedimento, o lo svolgimento di un servizio pubblico, specificatamente riguardanti un determinato soggetto. La distinzione tra servizi pubblici alla cui prestazione è collegato il pagamento di una tassa, e servizi pubblici per i quali è dovuto il pagamento di un corrispettivo (prezzo, tariffa, canone), non dipende dalla natura del servizio, ma dal suo regime giuridico: una medesima attività amministrativa può essere assunta come presupposto di una tassa oppure come presupposto di proventi di altra natura, di diritto pubblico o privato. Ciò che distingue la tassa dalle entrate di diritto privato è il suo regime giuridico: la prestazione imposta coattivamente è una tassa; se ha base contrattuale, ha natura privatistica. Nella tassa, non vi è un rapporto di corrispettività, tra prestazione pecuniaria e attività pubblica, ma un rapporto di correlatività. Ciò spiega perché vi sono tasse, correlate ad un servizio pubblico, che sono dovute anche in casi in cui il servizio non è completamente utilizzato, ad esempio la tassa sulla raccolta dei rifiuti. • Contributo: è denominato contributo o tributo speciale il tributo che ha come presupposto l'arricchimento che determinate categorie di soggetti ritraggono dall'esecuzione di un'opera pubblica destinata, di per sè, alla collettività in modo indistinto (es. incremento
 di valore degli immobili). I contributi sono anche le prestazioni dovute a determinati enti per il loro funzionamento o per i loro fini istituzionali, come il contributo annuale degli avvocati al Consiglio Nazionale Forense. • Monopoli fiscali: taluni li includono tra le entrate tributarie. Se la definizione di tributo è imperniata sui suoi caratteri strutturali, il monopolio fiscale non è un istituto tributario. Ciò che si 1 paga per l'acquisto di un genere di monopolio non è un tributo, ma il corrispettivo di un contratto di compravendita. Se invece si ha riguardo alla funzione fiscale dei tributi (procacciare entrate all’ente pubblico) anche il monopolio è un tributo, quando ha per scopo di procurare entrate. 
 3. Le nozioni in uso nella giurisprudenza 
 Esistono molteplici concetti di tributo a seconda delle diverse norme a cui esso deve essere applicato. La giurisprudenza costituzionale adotta una nozione di tributo più ampia di quella tradizionale, comprensiva anche dei contributi previdenziali e sanitari. Con riguardo all'art. 75 Cost., che vieta il referendum abrogativo delle leggi tributarie, la corte costituzionale afferma che la nozione di tributo è caratterizzata da 2 elementi essenziali: 1) l'imposizione di un sacrificio economico individuale realizzata attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio; 2) la destinazione del gettito allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario necessario a coprire le spese pubbliche. La giurisprudenza ordinaria adotta una nozione di tributo piuttosto ampia, ma non tanto da comprendere le prestazioni previdenziali. In sostanza, sono considerate tributarie tutte le prestazioni imposte in via coattiva, ossia senza il consenso dell'obbligato, purché non rappresentino il corrispettivo sinallagmatico di una prestazione dell'ente impositore e siano destinati a finanziare le spese pubbliche in genere, o una determinata spesa pubblica. 4. Il diritto tributario e le sue partizioni interne Il diritto tributario è, per definizione, quel settore dell'ordinamento che disciplina i tributi. È un settore autonomo. Il diritto tributario fa parte del diritto finanziario che è parte del diritto amministrativo. Nell'insieme di norme che regolano un tributo, possiamo distinguere una disciplina sostanziale e una disciplina formale. Per la disciplina sostanziale si intende il complesso di norme che stabiliscono il presupposto, le esenzioni, i soggetti passivi, la misura, i crediti d'imposta ecc. La disciplina sostanziale di ciascun tributo è un corpo normativo autonomo rispetto agli altri settori del diritto. All'interno della disciplina sostanziale dei tributi, vanno distinte le norme con finalità fiscale da quelle con fini extra fiscali. Vi sono, oltre alle norme che stabiliscono presupposto e misura dell'imposta, norme di segno positivo e norme di segno negativo che escludono o riducono l'imposta. Partizioni ulteriori sono i complessi normativi che hanno per oggetto le sanzioni e i processi tributari. Le norme tributarie in materia di procedimenti sono norme speciali. CAPITOLO 2: LE FONTI 
 1. “La riserva di legge”
 L’art. 23 Cost. dispone che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. La norma racchiude in sé una riserva di legge e riproduce un principio classico delle democrazie liberali (no taxation without representetion). 
 I problemi posti dall’art. 23 Cost. sono 3: 1) Nozione di legge: il termine legge viene assunto per indicare non soltanto la legge statale ordinaria, ma anche gli atti aventi forza di legge (decreti legge e decreti legislativi, ma anche le leggi regionali). La riserva di legge non impedisce che in materia tributaria possano esservi fonti dell'UE, le quali non si pongono in contrasto con la riserva di legge. 2) Nozione di base legislativa: la riserva dell'art. 23 Cost. è relativa, infatti la legge può limitarsi a disciplinare le linee fondamentali della materia, rimettendone il completamento a norme di rango inferiore: è richiesta soltanto una base legislativa. Ciò significa che non è necessario che la prestazione imposta sia regolata interamente dalla legge, ma la legge deve avere un contenuto minimo, al di sotto del quale la riserva non è rispettata. Secondo la giurisprudenza costituzionale la legge deve stabilire i soggetti passivi, il presupposto e la misura del tributo. In particolare, la legge deve fissare la base imponibile e l’aliquota, ma l’art. 23 è rispettato anche quando la legge si limita a fissare criteri e limiti idonei a delimitare ed orientare le scelte fatte con fonti regolamentari. La riserva di legge non riguarda tutte le norme tributarie ma solo quelle di diritto sostanziale. L’art. 23 Cost. non riguarda le norme formali (procedurali processuali). 2 - Regolamenti delegati: possono essere emessi in base ad una norma espressa, purché la legge detti la disciplina di base della materia. I regolamenti attuativi e integrativi non sono ammissibili in diritto tributario per le materie coperte da riserva di legge. In tali materie, una norma di legge che si limiti ad indicare soltanto i principi non potrebbe essere integrata o attuata da un regolamento; i regolamenti in esame, dunque, possono essere ammessi solo per la parte della disciplina di un tributo non coperta da riserva di legge. Nella materia coperta da riserva di legge ex art. 23 Cost., non sono ammessi regolamenti c.d. indipendenti. I regolamenti ministeriali sono adottati nelle materie di competenza di un singolo Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Se la materia è di competenza di più ministri, sono adottati regolamenti interministeriali. Anche i regolamenti ministeriali e interministeriali sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sono soggetti al visto e alla registrazione della Corte dei Conti e sono pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Spesso le leggi autorizzano il Ministro ad emanare decreti “non aventi valore regolamentare”. In tal modo, non viene seguita la procedura prevista per i decreti con valore di regolamento. 4. Il riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni Secondo l’art. 117 co. 1 Cost., la potestà legislativa è ripartita tra Stato e regioni. Lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in materia di sistema tributario e contabile dello Stato e di perequazione delle risorse finanziarie (art. 117 co. 2 Cost.). 
 La potestà regionale assume due connotazioni: 1) Potestà concorrente: la potestà regionale trova un limite nei principi fondamentali fissati da leggi dello Stato (art. 117 co. 3 Cost.). Comprende il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario (finanza, tributi regionali e locali). 2) Potestà residuale: comprende le materie che non sono riservate alla competenza esclusiva dello Stato L’art. 119 Cost. prevede che regioni ed enti locali “stabiliscono ed applicano tributi propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. Il termine “stabilire” ha valenza diversa a seconda che sia riferito alle regioni o agli enti locali, perché solo le regioni sono dotate di potestà legislativa. Le regioni possono legiferare in materia di tributi locali, ma nell’ambito segnato dai principi fondamentali e dei principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario fissati dalle leggi statali (artt. 117 e 119 Cost.). Spetta allo Stato il compito di indicare i principi fondamentali, quali sono gli oggetti imponibili e quali tributi possono essere oggetto di legislazione regionale. In materia di tributi locali non vi è una riserva espressa a favore dello Stato o delle regioni. Possono esservi quindi tributi locali creati e disciplinati da leggi statali e tributi locali creati e disciplinati da leggi regionali. 5. I regolamenti delle regioni, delle province e dei comuni La riserva di legge in materia di prestazioni imposte ex art. 23 non è solo riserva di legge statale, ma riserva statale e regionale. Le regioni hanno potestà regolamentare generale e possono dunque emanare regolamenti anche in materia tributaria, con esclusione delle materie appartenenti alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Gli enti locali, non avendo potestà legislativa, possono disciplinare con regolamento i tributi propri, ma in via secondaria, con norme attuative o integrative delle norme primarie, contenute in leggi statali o regionali. Gli enti locali non possono disporre in materia di fattispecie imponibili, soggetti passivi e aliquota massima. L’art. 52 d.lgs. 446/1997 disciplina la potestà regolamentare delle province e dei comuni, stabilendo che tale potestà può avere per oggetto, in generale, le entrate tributarie. Ma, data la riserva di legge dell'art.23 Cost., gli enti locali non possono disporre in materia di fattispecie imponibili, soggetti passivi e l'aliquota massima. 6. Il diritto dell’Unione europea L'Italia, avendo sottoscritto i Trattati dell'UE, ha trasferito all'unione, in base all'art.11 Cost., l'esercizio dei poteri normativi nelle materie oggetto dei trattati. L’ordinamento UE ha una posizione di primato rispetto a quello nazionale. Nelle materie di sua competenza valgono le sue norme, non quelle nazionali. In caso di incompatibilità, le norme dell'UE prevalgono sulle norme nazionali, che devono essere disapplicate. 5 Le basi del diritto UE sono: il TUE, il TFUE e la Carta di Nizza dei diritti fondamentali dell’UE. Il TFUE è alla base del diritto europeo "derivato", che è costituito dalle norme emesse dagli organi dell’unione: • Regolamenti comunitari: hanno portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri (art. 288 TFUE). Entrano immediatamente in vigore in tutti gli stati dell’unione, rendendo non più applicabili le norme nazionali. • Direttive: vincolano gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, mentre è rimessa alla discrezionalità dei singoli Stati l’adozione degli strumenti e dei mezzi per raggiungerlo (art. 288 TFUE). Le direttive non hanno portata generale, ma si rivolgono solo agli Stati membri. Sono strumento di legislazione indiretta essendo necessario un recepimento degli Stati. Scaduto il termine entro cui gli Stati devono attuare le direttive, le disposizioni precise e incondizionate (contenute nelle direttive) acquistano efficacia diretta nell’ordinamento dello Stato inadempiente. Se gli Stati non adottano norme di recepimento viene riconosciuto alle direttive il c.d. effetto diretto, quando contengono disposizioni precise, incondizionate, la cui applicazione non richiede l’emanazione di disposizioni ulteriori (self executing). Gli Stati non possono opporsi, invocando norme nazionali contrarie al diritto comunitario. • Decisioni: atti dell’UE che riguardano casi specifici, hanno effetto diretto e sono obbligatori per i destinatari in esse indicati. Interessano in modo particolare il diritto tributario le decisioni della Commissione adottate ai sensi dell'art. 108 TFUE, che ordinano agli Stati di revocare dei benefici fiscali, in quanto "aiuti di Stato" non compatibili con l'art.107 del Trattato. Anche le sentenze della Corte di Giustizia hanno effetto diretto negli ordinamenti degli Stati membri. 7. Le convenzioni internazionali e la CEDU Nel diritto internazionale vi sono norme tributarie che derivano da convenzioni la cui ratifica, a norma dell’art. 80 Cost, deve essere autorizzata con legge. Secondo l’art. 117 Cost. il legislatore deve rispettare “i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Le norme di legge, che non rispettano gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali non sono disapplicabili, ma incostituzionali. Le convenzioni internazionali in materia tributaria riguardano soprattutto la doppia imposizione dei redditi, dei patrimoni, delle successioni e i dazi. Di regola, le norme delle convenzioni, in quanto norme speciali, prevalgono sulle norme interne. Nei casi in cui la norma interna sia più favorevole di quella del trattato si applica quella interna. 8. Efficacia delle norme tributarie nel tempo Le leggi e i regolamenti entrano in vigore a partire dal 15° giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, che segue, per le leggi, all’approvazione parlamentare e alla promulgazione da parte del Presidente della Repubblica. Di regola la data di entrata in vigore è anche la data a partire dalla quale inizia l’efficacia. Vi possono però essere casi in cui entrata in vigore ed efficacia non coincidono; si tratta dei casi in cui il momento dell’entrata in vigore indica soltanto che un testo normativo è perfetto e vale come tale, ma i suoi effetti sono differiti o retroagiscono. L’art. 11 delle preleggi dispone l’irretroattività delle leggi; l’art. 3 dello Statuto, ribadito il principio di irretroattività, pone le seguenti regole in materia di efficacia nel tempo: 1) le modifiche dei tributi periodici si applicano dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data in cui entrano in vigore (c.d. piccola retroattività). La norma si riferisce a modifiche peggiorative per il contribuente. 2) 2) le nuove disposizioni non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al 60° giorno dalla data della loro entrata in vigore. La regola generale è dunque la irretroattività. La regola è posta però da una norma di legge ordinaria, per cui può essere derogata da altre norme di legge. Invece, i regolamenti non possono derogare all’art. 11 delle preleggi e possono essere retroattivi solo se una norma di legge lo consente espressamente. 
 La retroattività della norma tributaria può concernere: a) fattispecie: quando viene istituito un tributo che colpisce fatti del passato; b) effetti: quando ad un fatto che si verifica dopo l’entrata in vigore della legge sono collegati effetti che invece riguardano il passato. c) entrambi: quando la nuova legge considera fatti del passato ed a tali fatti collega effetti ex tunc 6 Ciascuna legge regola i fatti che si verificano dopo la sua entrata in vigore; potrebbero esserci situazioni e accadimenti che iniziano, ma non si concludono sotto l'impero di una legge. Di solito, il legislatore risolve i problemi che si pongono in caso di successione di leggi con norme apposite, dette di diritto transitorio. Le norme procedimentali e processuali sono, di regola, norme ad applicazione immediata, cioè norme che si applicano anche ai processi e ai procedimenti in corso di svolgimento al momento dell’entrata in vigore delle nuove norme, pur se il procedimento o il processo riguarda fatti accaduti in precedenza. Talvolta le nuove leggi si applicano solo a fatti successivi all’entrata in vigore della legge, ciò dipende dalla correlazione tra norme sostanziali di un dato tributo e norme relative alla sua applicazione. In caso di overruling (mutamento giurisprudenziale di un orientamento consolidato), la nuova interpretazione di norme sostanziali vale anche per i fatti pregressi, mentre quella di norme processuali non può avere effetto su atti compiuti in precedenza. 
 Le leggi cessano di essere efficaci quando: 
 1) sono abrogate: l’abrogazione avviene “per dichiarazione espressa del legislatore, o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”. Con l’abrogazione l’efficacia cessa ex nunc: essa continua a regolare i fatti avvenuti nell’arco temporale che va dalla sua entrata in vigore alla data della sua abrogazione. 
 2) sono dichiarate incostituzionali: l’efficacia cessa ex tunc; dopo la pronuncia della Corte costituzionale la legge dichiarata illegittima è da considerarsi come mai esistita, gli effetti di essa sono da considerare come mai venuti ad esistenza. I tributi riscossi in base a tale legge devono essere rimborsati, a meno che questo rimborso non sia impedito (ad es. scade il termine per richiederlo). 
 3) Scade il termine previsto se si tratta di “leggi temporanee”. 
 Le norme nazionali, pur rimanendo formalmente vigenti, cessano di essere applicabili quando la materia è regolata da norme dell’UE direttamente applicabili o dotate di “effetto diretto”. 
 Secondo le disposizioni dello Statuto, ”le disposizioni della presente legge possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali". Le disposizioni dello Statuto si presentano dunque come disposizioni di legge rinforzate, per una duplice ragione: non vale per esse il disposto dell’art. 15 delle Preleggi, per la parte in cui prevede l'abrogazione "per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti"; tale articolo è derogato anche in tema di abrogazione espressa, perché le norme dello Statuto non possono essere abrogate da leggi speciali, ma solo da leggi generali. Le disposizioni dello Statuto (essendo legge ordinaria) non rappresentano un vincolo cogente per il legislatore. Non sarebbe invalida una deroga allo Statuto, contenuta in una legge speciale. 
 Il referendum abrogativo non è ammesso per le leggi tributarie (art. 75 Cost.). 9. Efficacia delle norme tributarie nello spazio La legge tributaria esplica i suoi effetti in tutto il territorio politico nazionale, e solo entro tale ambito. Le norme emanate da enti diversi dallo Stato esplicano i loro effetti nel territorio su cui ha potestà l’ente. 
 Le leggi tributarie si applicano ai fatti che si verificano nel territorio dello Stato (principio di territorialità), ma certe imposte prescindono dalla territorialità e tassano anche fatti accaduti all’estero, dando rilievo determinante ad altri elementi. Le imposte personali sui redditi sono informate al principio per cui, nei confronti dei soggetti fiscalmente residenti, si tassa il complesso dei redditi posseduti, indipendentemente dal luogo di produzione. Nei confronti dei non residenti, invece, si tassano solo i redditi prodotti nello Stato. L'imposta di registro si applica, di regola, agli atti giuridici formati nello Stato; si applica però anche gli atti formati all'estero che esplicano effetti di natura reale o locatizia su beni situati nello Stato. L'imposta sulle successioni si applica, nel caso di residenti, su tutti i beni, anche se situati all'estero; si applica solo sui beni situati in Italia, se il de cuius non è residente in Italia. La legge tributaria non può avere efficacia oltre i limiti del territorio sottoposto alla sovranità dello Stato. Al di fuori dello stesso valgono le leggi tributarie degli altri Stati. Le convenzioni internazionali e le direttive UE prevedono la collaborazione tra amministrazioni finanziarie per lo scambio di informazioni e per l’assistenza in materia di accertamento e riscossione dei tributi. 7 4. Le leggi interpretative Le leggi interpretative riguardano di solito una disposizione di incerto significato; dato tale presupposto, il legislatore, dettando una norma interpretativa, interviene imponendo una determinata interpretazione tra le varie possibili. Il testo interpretato resta immutato, ma sono normativamente eliminate le interpretazioni considerate errate, e ne sopravvive una soltanto. 
 Le leggi interpretative non sostituiscono la disposizione interpretata; si hanno così due disposizioni coesistenti, quella interpretata e quella interpretativa. Non si ha invece una legge interpretativa quando una norma viene sostituita da un’altra norma, formulata in modo da eliminare le ambiguità presenti in quella abrogata. 
 Le disposizioni interpretative sono, per loro natura, retroattive; il loro scopo è di stabilire il significato di una precedente disposizione e non si può pensare che la disposizione interpretata assuma un dato significato solo a partire dall’entrata in vigore della legge interpretativa. 
 Perciò è importante distinguere tra disposizioni interpretative (retroattive) e disposizioni innovative (non retroattive): - Tutte le volte che la disposizione preesistente è sostituita da una nuova disposizione, non siamo in presenza di una disposizione interpretativa, perché la disposizione interpretativa si giustappone a quella interpretata. 
 - Accade però che nuove disposizioni, che sostituiscono disposizioni previgenti, ma con formulazione più chiara o più completa, vengano considerate interpretative. In realtà in tali casi non si è in presenza di disposizioni interpretative ma di “nuove” disposizioni che talora possono essere assunte come argomento di interpretazione della disposizione sostituita. 
 Una disposizione, che si autoqualifica come interpretativa, ma detta un’interpretazione non riconducibile ad una della alternative potenzialmente desumibili dal testo della disposizione interpretata, non è realmente interpretativa, ma innovativa. 
 Lo scopo della nuova norma non è tanto quelle di rendere chiaro un testo oscuro, ma di modificare retroattivamente una data disciplina, dissimulando il suo carattere innovativo. L’uso improprio della legge di interpretazione è stato censurato raramente dalla Corte costituzionale, prevale l’orientamento secondo cui il legislatore può usare l’interpretazione autentica per correggere un diritto vivente politicamente sgradito. Insomma, nulla quaestio se una legge si autodefinisce interpretativa ma in realtà è una legge innovativa. 
 Vi sono però limiti costituzionali che le leggi interpretative devono rispettare. Secondo la Corte costituzionale, l’art. 53 è un limite alla retroattività delle leggi tributarie in quanto richiede che la capacità contributiva sia attuale. 
 Valgono, infatti, per le leggi interpretative, gli stessi limiti alla retroattività che la Corte ha affermato per le ordinarie leggi impositive. Dato il carattere retroattivo delle leggi interpretative, il legislatore, nello “Statuto dei diritti del contribuente” ha disposto che “l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica” (art. 1). La norma dello Statuto non è diretta contro le vere leggi interpretative, ma contro la prassi di leggi apparentemente interpretative, che intervengono retroattivamente a tutela degli interessi erariali. 5. I testi interpretativi e le circolari L’Amministrazione finanziaria svolge quotidianamente opera di applicazione e di interpretazione; principalmente l'opera di interpretazione si esplicita nelle circolari e negli altri atti con cui gli uffici centrali impartiscono ordini e direttive agli uffici periferici. Di solito, all’emanazione di una nuova legge, l’Amministrazione finanziaria fa seguire una circolare, con la quale ne illustra agli uffici periferici il significato. L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria viene sovente sollecitata dagli uffici periferici o dai contribuenti, in relazione a casi specifici, la risposta a tali quesiti costituisce occasione per altri esercizi di interpretazione della legge. Inoltre, l’Amministrazione si esprime con i pareri resi a seguito di interpello e, nelle istruzioni che accompagnano i modelli di dichiarazione delle imposte, sono contenute molteplici opzioni interpretative. 
 Le circolari sono atti interni all’amministrazione, non sono fonti di diritto e, quindi, non sono vincolanti nell’ordinamento giuridico generale, ma solo all’interno dell’ordinamento amministrativo. Non sono vincolanti né per i contribuenti, né per i giudici. Essendo atti interni non ha rilievo neppure la loro violazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, che è libera di conservare, correggere o modificare il proprio orientamento. Le circolari ministeriali sono fonte di legittimo affidamento del contribuente in merito al comportamento da tenere nell’applicazione delle leggi tributarie. 10 6. Le norme di rinvio Nel diritto tributario, vi sono da distinguere, gruppi di norme autonome e gruppi non autonomi. Settori non autonomi sono le discipline relative ai procedimenti, al processo e alle sanzioni, che sono integrati da norme di rinvio. I settori non autonomi sono settori speciali rispetto ad altre parti dell'ordinamento: ciò che non è previsto dalle norme tributarie è regolato dalle norme del settore generale, di cui il settore speciale fa parte. Ad esempio, la disciplina dei procedimenti tributari è una disciplina speciale rispetto a quella generale dei procedimenti amministrativi: si applicano infatti le norme delle leggi tributarie, ma nel quadro della disciplina generale dei procedimenti amministrativi, contenuta nella L. 241/1990. Le norme del diritto penale tributario sono parte del sistema penale codicistico: le norme del c.p. valgono, ai sensi dell’art. 16 c.p., anche per il diritto penale “complementare”, e, quindi, per il diritto penale tributario. 
 7. L’analogia Alle lacune può porre rimedio l’analogia, cioè l’applicazione di norme dettate per casi simili o materie analoghe (analogia legis) e il ricorso ai principi generali dell’ordinamento (analogia juris): se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. L'analogia non è ammessa per le leggi penali e per quelle "che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi" (nel diritto tributario la giurisprudenza considera eccezionali le disposizioni che prevedono norme di favore, es. esenzioni, agevolazioni). All'analogia si ricorre per porre rimedio ad una lacuna tecnica, vale a dire che non permette di applicare una legge. Dove non sono prospettabili lacune in senso tecnico, non sono necessarie, né possibili, integrazioni mediante analogia. L'analogia è certamente da escludere per le norme tributarie sanzionatorie. Non può essere ammessa alcuna integrazione analogica delle norme che prevedono fattispecie imponibili, neppure nel caso in cui non è previsto come tassabile un fatto simile a quelli tassabili, perché le fattispecie imponibili sono solo quelle indicate espressamente dal legislatore.
 Più semplicemente, le norme tributarie impositrici non possono essere integrate analogicamente perché non possono presentare lacune in senso tecnico. Se una legge tributaria omette di tassare una fattispecie simile a quelle previste come tassabili, la lacuna è ideologica, non tecnica; mancano perciò i presupposti dell’analogia. Se una legge tributaria stabilisce che A sia tassato, e non prevede che anche B sia tassato, non siamo di fronte ad un caso in cui l’interprete non può derivare dalla legge la risposta al quesito se B sia tassabile o no. 
 Le leggi tributarie impositrici sono leggi, per loro intrinseca natura complete, l’interprete non ha nulla da completare. In ciò, le norme tributarie impositrici si atteggiano come le norme penali. 
 Il divieto di analogia delle norme tributarie impositrici combacia con il divieto di analogia delle corrispondenti norme sanzionatorie. Se così non fosse, ed estendessimo analogicamente un’imposta a casi non previsti espressamente dalla legge tributaria, dovremmo poi considerare non punibile l’evasione, non potendo parallelamente estendere la norma punitiva. 
 E’ dunque vietata l’analogia per le norme che indicano che cosa è tassabile e chi è debitore d’imposta; non è invece da escludere, a priori e in generale, l’integrazione analogica quando si riscontra una lacuna in altri settori del diritto tributario. Vi sono lacune nella disciplina dell’obbligazione tributaria, che vengono pacificatamente integrate mediante ricorso al c.c. (ad esempio in materia di decadenza, prescrizione, solidarietà, compensazione), si tratta di applicazione analogica perché le norme del c.c. non disciplinano l’obbligazione tributaria. 
 Anche in diritto tributario si applicano i principi del diritto dell’UE e i principi generali dell’ordinamento. I procedimenti tributari sono regolati dai principi generali dei procedimenti amministrativi, fissati dalla L. 241/1990, che richiama i principi del diritto dell’Unione europea. Sono perciò da considerare operanti nel diritto interno i principi generali dell’UE, come ad esempio il diritto di difesa, l’obbligo del contraddittorio nei procedimenti amministrativi e il principio di proporzionalità. 
 Come già detto, le norme contenute nello Statuto costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, applicabili a qualsiasi istituto del diritto tributario; perciò su di essere può basarsi l’analogia juris. Sono infine da ricordare i principi generali enunciati nel diritto tributario per una imposta o per alcune imposte, come il divieto di doppia imposizione, previsto solo per le imposte sui redditi, ma applicabile a qualsiasi tributo. 11 CAPITOLO 4: I PRINCIPI SEZIONE 1: PRINCIPI COSTITUZIONALI 1. Il dovere di concorrere alle spese pubbliche L'art. 53 Cost. dispone che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Il dovere di concorrere alle spese pubbliche è uno dei “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, sanciti dall’art. 2 Cost. All’art. 2 si collega anche il principio di prossimità. Il fondamento e la giustificazione costituzionale del dovere tributario non risiedono quindi in un rapporto commutativo del singolo con lo Stato, ma nel dovere di solidarietà cui sono tenuti tutti i membri della collettività. Il singolo deve contribuire alle pubbliche spese, non in rapporto a ciò che riceve dallo Stato, ma in ragione della sua capacità contributiva. 2. La funzione extrafiscale dei tributi Funzione naturale dei tributi è procurare entrate allo Stato, ma ogni tributo ha anche funzioni e riflessi extrafiscali. Un esempio sono i tributi ambientali, che tendono a disincentivare attività inquinanti, l’accisa sui tabacchi mira a disincentivarne il consumo. La Costituzione non accoglie il concetto della finanza pubblica come “finanza neutrale”, ma ne delinea un concetto funzionale: il tributo è lo strumento per attuare il principio di solidarietà e strumento per l’adempimento dei fini sociali che la Cost. assegna alla Repubblica. Il principio per cui il sistema tributario deve essere informato a criteri di progressività implica che i tributi devono avere finalità redistributive. I tributi non sono soltanto lo strumento giuridico attraverso cui lo Stato si procura le risorse necessarie al suo funzionamento, perché il finanziamento delle pubbliche spese è un mezzo per perseguire l'uguaglianza sostanziale e, in generale, i fini di coesione sociale fissati dalla costituzione e dal diritto dell'UE. Possono e devono quindi avere anche funzioni extrafiscali (funzioni redistributive, fini di solidarietà verso categorie svantaggiate). Anche i tributi con finalità extrafiscali devono comunque essere collegati a fatti espressivi di capacità contributiva. 3. Limiti costituzionali delle leggi tributarie La funzione legislativa in materia fiscale è limitata non solo da norme che la riguardano in modo specifico (come l’art. 23 e l’art. 53 Cost.), ma anche norme della Costituzione. 
 Le leggi tributarie non devono ledere i diritti e le libertà costituzionalmente garantite. Ad esempio la tassazione dei redditi da lavoro deve rispettare il principio per cui la retribuzione deve assicurare al lavoratore un'esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost). L’esercizio delle libertà costituzionalmente garantite non deve essere ostacolato da oneri fiscali. Il legislatore deve rispettare i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali (art. 117 Cost.)”. Le norme di legge, che non rispettano gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali, tra cui la CEDU, sono incostituzionali. 4. Il principio di capacità contributiva. Indici diretti e indiretti Per capacità contributiva di un soggetto si intende la sua capacità economica. Fatto espressivo di capacità contributiva è un fatto che esprime forza economica. La capacità contributiva deve risultare da indici concretamente rivelatori di ricchezza, dai quali sia razionalmente deducibile l'idoneità soggettiva all'obbligazione d’imposta, ma gli indici non sono un numero chiuso. La scelta dei presupposti d'imposta rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà. Vi sono indici diretti e indiretti di capacità contributiva: 1) Indici diretti: fatto direttamente espressivo di capacità contributiva è, per eccellenza, il reddito. Il reddito delle persone fisiche, al netto delle spese di produzione, e con la previsione di deduzioni (dal reddito) e detrazioni (dall’imposta) di particolari oneri si presta, più di ogni altra forma di ricchezza, a rispecchiare la capacità contributiva complessiva delle persone fisiche. Insieme con il reddito, sono indici di capacità contributiva il patrimonio e gli incrementi del patrimonio. 2) Indici indiretti: sono indici indiretti di capacità contributiva il consumo e gli affari. Vi sono però delle spese che non sono indice di capacità contributiva e quindi non possono essere tassate (ad es. la spesa sanitaria). Altro indice indiretto è il trasferimento di un bene (tassato dall’imposta di registro), la cui giustificazione costituzionale discende dall'assunto che ogni trasferimento implica disponibilità di ricchezza corrispondente al valore della contrattazione, sia per il cedente, sia per 12 percezione dei tributi, giustifica discipline differenziate. La tutela costituzionale dell'interesse fiscale deve essere però coordinata con la tutela di altri principi costituzionali e non deve ledere i diritti inviolabili. Vi è quindi un problema di bilanciamento tra interesse fiscale e diritti individuali. Vi sono sentenze con cui la Corte ha ritenuto prevalente l'interesse fiscale ed ha giustificato la legittimità costituzionale di norme poste a tutela del fisco in deroga al principio di uguaglianza. In altri casi si è ritenuto che fosse prevalente il diritto di difesa del contribuente, dichiarando incostituzionali norme che, dettate a tutela dell'interesse fiscale, ledevano tale diritto. L’interesse del cittadino alla tutela giurisdizionale e quello generale della comunità alla riscossione dei tributi devono essere armonicamente coordinati. Da ciò molte sentenze che hanno dichiarato incostituzionali norme dettate a tutela dell’interesse fiscale ma che ledevano il diritto di difesa. 10. Tributi commutativi e servizi pubblici essenziali Il fondamento di un tributo può essere costituito, oltre che dalla capacità contributiva, da altri fatti ugualmente idonei a giustificare la previsione di una prestazione di natura tributaria. Sono presenti servizi indivisibili e divisibili. I servizi pubblici indivisibili devono essere necessariamente finanziati dalla fiscalità generale, cioè con le imposte, non essendovi la possibilità di individuare chi ne fruisce in modo distinto. Si applica quindi il principio di capacità contributiva. Invece, quando è individuabile chi fruisce del servizio pubblico (servizi divisibili), il relativo finanziamento può essere fondato sul principio del beneficio o controprestazione. Può essere posto, cioè, in tutto o in parte, a carico di chi fruisce del servizio, in base a tariffa o applicando una tassa. Ciò non implica però che si possa sempre prescindere dalla capacità contributiva. Lo Stato deve stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e garantirli in tutto il territorio nazionale. I servizi pubblici essenziali devono dunque essere assicurati a tutti, nel rispetto del principio di capacità contributiva. La Costituzione, ad esempio, prevede che siano assicurati a tutti il diritto alla salute, all'istruzione, ecc. Occorre dunque distinguere tra servizi pubblici essenziali e non essenziali. Il legislatore non può porre il costo di un servizio pubblico essenziale a carico di chi ne fruisce, senza tener conto della sua capacità contributiva. Ciò implica che il costo del servizio può essere posto a carico di chi può sostenerlo, ma devono essere previste esenzioni per chi è privo di capacità contributiva. E’ solo per il finanziamento dei servizi pubblici non essenziali che non vige il principio di capacità contributiva: per tali servizi sono ammissibili modalità di finanziamento che prescindono dalla capacità contributiva di chi li usa, ma si basano sul principio del beneficio. Sono tributi commutativi i tributi ambientali, ispirati al principio “chi inquina paga”, sanciti dall'art. 191 TFUE. L’uso di un bene comune, quale è l’ambiente, è tassato non in quanto indice di capacità contributiva, ma perchè chi usa in modo particolare un bene comune deve compensare la collettività. 11. La progressività L’art. 53 co. 2 Cost. prevede che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Il principio di progressività indica che il sistema tributario non ha soltanto lo scopo di fornire mezzi finanziari allo Stato, ma funzioni redistributive per il raggiungimento dei fini di giustizia sociale fissati dalla Costituzione. Il principio di progressività non riguarda i singoli tributi, ma il sistema nel suo complesso; non è quindi vietato che singoli tributi siano ispirati a criteri diversi. SEZIONE 2: PRINCIPI SOVRANAZIONALI 12. Le norme fiscali del TFUE. Integrazione negativa e positiva Il legislatore fiscale è vincolato anche dal diritto dell'UE: dalle norme dei trattati e dal diritto derivato. Dal 1 dicembre 2009 è in vigore il TFUE, sottoscritto a Lisbona nel 2007. Il TFUE non prevede che l'unione abbia competenza generale in materia tributaria e che abbia un proprio sistema di imposte. Le norme del trattato che hanno contenuto o rilevanza tributaria non sono dunque rivolte a procurare entrate (come le norme tributarie degli Stati), ma ad assicurare che il mercato comune abbia le caratteristiche di un mercato interno e che in esso vi sia un regime di libera concorrenza. Possiamo distinguere le norme del trattato in due gruppi: da un lato, vi sono le norme che mirano a garantire l'integrazione negativa (principio di non discriminazione, libertà fondamentali), dall'altro le norme sull'armonizzazione (integrazione positiva). L'art. 26 TFUE 15 afferma che "l'unione adotta le misure destinate all'instaurazione o al funzionamento del mercato interno"; il mercato interno è uno spazio senza frontiere interne, nel quale sono assicurate quattro libertà: la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. L'art.113 TFUE attribuisce al Consiglio il potere di armonizzare le legislazioni degli Stati membri in materia di imposte indirette. Per le imposte dirette, non espressamente prevista l'armonizzazione delle legislazioni nazionali, perché non è stata ritenuta necessaria per l'instaurazione del mercato interno (si ritiene che l'unione possa però agire anche in questo settore). L'art.194 prevede che il Consiglio possa adottare all'unanimità misure di natura fiscale. Di qui l'importanza dell'integrazione negativa. L'apporto della Corte di giustizia, pur notevole, concerne specifiche situazioni di incompatibilità di norme fiscali nazionali con il diritto dell'UE. L'approccio negativo è utile ma non sufficiente, perché legato a casi singoli, non sistematico. Esso richiede di essere completato, reso organico, con interventi di integrazione positiva. L'integrazione positiva, in assenza di norme cogenti, può essere indotta anche dalla cd. soft law, ossia da documenti che non hanno effetti vincolanti (raccomandazioni, pareri, comunicazioni). 13. Il principio di non discriminazione Ha particolare rilievo per il diritto tributario il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, posto dall’art. 18 del Trattato. Il principio di eguaglianza stabilito dall'art.3 della Costituzione e il principio di non discriminazione hanno differente portata: il primo opera all'interno del nostro ordinamento, e sancisce l'uguaglianza dei cittadini; il principio di non discriminazione opera in ambito europeo, ha lo scopo di assicurare parità di trattamento nei diversi ordinamenti nazionali ai cittadini dell'unione. La Corte giustizia interpreta l'art.18 che nel senso che sono vietate non solo le discriminazioni espressamente basate sulla nazionalità, ma anche discriminazione dissimulate o indirette. A partire dalla sentenza Schumacker, si è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui non è compatibile con il trattato ogni discriminazione fiscale tra residenti e non residenti, sia che si tratti di persone fisiche, sia che si tratti di società. La normativa di uno Stato membro, che discrimina gli operatori in base alla nazionalità, prevedendo per i non residenti un trattamento fiscale deteriore rispetto a quello stabilito per i residenti, è incompatibile con il trattato. 
 14. Le libertà fondamentali. La libera circolazione delle merci L'unione doganale è di competenza esclusiva dell'unione, e l'art. 28 dispone che "l'unione comprende un'unione doganale che si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, tra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l'adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi". Nell'unione non vi sono e non possono esservi dogane e dazi doganali; alle merci provenienti da paesi terzi si applica una tariffa doganale comune. Inoltre, gli Stati non possono colpire prodotti provenienti dai altri Stati membri con imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari o intese a proteggere indirettamente altre produzioni. 14.1 Libera circolazione delle persone. I lavoratori I lavoratori. I cittadini di ogni Stato membro sono anche cittadini dell'unione e hanno il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio dei Stati membri. L'art. 45 del TFUE sancisce il diritto di libera circolazione dei lavoratori che implica "l'abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori dei Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro". Residenti e non residenti sono assoggettati nei diversi ordinamenti a regimi fiscali diversi, in quanto i primi sono soggetti all'imposta per la totalità del loro reddito, i non residenti solo per i redditi prodotti nello Stato. Questa diversità di trattamento è giustificata dalla circostanza che il reddito percepito nel territorio dello Stato da un non residente costituisce, nella maggior parte dei casi, solo una parte del suo reddito complessivo; è nello Stato in cui risiede che il contribuente di solito produce la maggior parte del suo reddito. Perciò, in linea di principio, le legislazioni che distinguono tra residenti e non residenti non violano il principio di uguaglianza. Può però accadere che un soggetto produca la maggior parte del suo reddito in uno Stato dell'UE diverso da quello di residenza, o produca il suo reddito in più Stati. La corte ha ritenuto che, quando un lavoratore produce la maggior parte del suo reddito in uno Stato in cui non è residente, gli devono essere accordate le stesse attenuazioni del carico fiscale che sono concesse ai residenti; in altri termini, gli deve essere concesso il "trattamento nazionale", altrimenti è lesa la libertà di circolazione. È così emersa, nella giurisprudenza la Corte, una nozione economico-sostanziale di residenza fiscale, cui si connette l'esigenza di piena 16 equiparazione tra persona fisica residente e non residente, quando quest'ultimo produce la quasi totalità del suo reddito in uno Stato diverso da quello di residenza. 14.2 La libertà di stabilimento L'art. 49 TFUE sancisce la libertà di stabilimento, che comporta, da un lato, il diritto di esercitare un'attività economica in uno Stato membro diverso da quello di origine, e, dall'altro, il diritto di aprire filiali, agenzie o succursali in un altro Stato membro. Inoltre, il principio della libertà di stabilimento implica per l'operatore la libertà di scegliere la forma giuridica con cui esercitare il diritto di stabilimento. La libertà di stabilimento secondaria deve essere garantita innanzitutto dallo Stato di origine, che non deve ostacolare il diritto di residenti di stabilirsi anche in altri Stati. Nel caso Bosal, la corte ha affermato che è incompatibile con il diritto di stabilimento la normativa tributaria interna di uno Stato membro che non ammette la deduzione, da parte della società madre residente, degli interessi passivi derivanti da prestiti contratti per finanziare società figlie residenti in altri paesi. Il paese ospitante deve assicurare parità di trattamento tra società residenti e stabili organizzazioni. Sono incompatibili con il trattato le norme fiscali che discriminano tra stabili organizzazioni società residenti. 14.3 La libera circolazione dei servizi L’art. 56 TFUE dispone che "le restrizioni alla libera prestazione di servizi all'interno dell'unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione". Questa libertà interessa gli operatori economici che prestano servizio in un paese diverso da quello in cui sono stabiliti. Mentre la libertà di stabilimento implica il diritto di operare in modo permanente, la libertà di prestazione di servizi riguarda attività svolte in modo non permanente da chi che è stabilito in un paese diverso da quello in cui il servizio è reso. Il principio in esame ha carattere residuale: esso opera quando non valgono le norme sulla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali e riguarda i servizi transfrontalieri. 14.4 La libera circolazione dei capitali L’art. 63 TFUE vieta ogni restrizione ai movimenti di capitali e ai pagamenti tra gli Stati membri, nonché tra gli Stati membri e paesi terzi. La libertà delle persone, delle merci e dei servizi non sarebbe praticamente esercitabile, se non fosse accompagnata dalla libertà di trasferire capitali e di effettuare pagamenti. I principi di libera circolazione dei capitali implica che i paesi membri non debbono ostacolare investimenti con norme fiscali che possono avere effetti restrittivi della circolazione dei capitali o effetti discriminatori tra investitori residenti e non residenti. La prima sentenza in materia è la Verkooijen, riguardante un cittadino olandese, che deteneva azioni di una società belga. La legislazione fiscale olandese prevedeva una esenzione parziale da imposta per i dividendi distribuiti da società residenti, ma non per i dividendi esteri. Tale differenza di trattamento non è stata ritenuta compatibile con il principio in esame. In conclusione, i dividendi "in entrata" (dividendi distribuiti da società non residenti a contribuenti residenti) e i dividendi "in uscita" (distribuiti da società residenti a soci non residenti) non devono essere tassati in modo discriminatorio rispetto ai dividendi "domestici" (dividendi distribuiti da società residenti a contribuenti residenti). 15. Deroghe e cause di giustificazione Non ogni discriminazione fondata sulla nazionalità è incompatibile con il trattato, che prevede delle deroghe, a tutela ad esempio, dell'ordine pubblico, della moralità e della salute pubblica. La corte di giustizia elaborato altre cause di giustificazione, comunemente denominate rule of reason. Il Leading case in materia è la sentenza Cassis de Dijon. La Corte era chiamata a giudicare la compatibilità con il trattato di una legge tedesca che fissava un contenuto alcolico minimo per la commercializzazione di una bevanda come alcolica; e fu, in quell'occasione, stabilito che le prescrizioni che ostacolano l'esercizio della libertà possono essere accettate "quando siano necessari per rispondere ad esigenze imperative attinenti, in particolare, all'efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori". La corte ha riconosciuto che sono rule of reason: l'esigenza di contrastare l'elusione fiscale; l'esigenza di preservare l'efficacia dei controlli fiscali; i principi di coerenza dell'ordinamento fiscale nazionale. Nella sentenza Bachmann, la Corte ha giustificato la non deducibilità dei premi di assicurazione versati a compagnie assicuratrici non 17 Sono periodiche le imposte che hanno come presupposto una fattispecie che si prolunga nel tempo, per cui assume rilievo giuridico un insieme di fatti che si collocano in un dato arco temporale, detto “periodo d’imposta” (es. imposte sui redditi). Ciascuna imposta periodica è determinata dai fatti che si sono verificati o sono imputati al singolo periodo d’imposta, ma ciò non significa netta cesura tra i fatti di ciascun periodo: in materia di redditi d’impresa sono numerosi i fatti ad efficacia pluriennale e le connessioni tra un periodo e l’altro. Lo Statuto dei diritti del contribuente prevede che le modifiche della disciplina delle imposte periodiche si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono (art. 3). 3. Fattispecie equiparate (o assimilate) e supplementari Il legislatore può stabilire, con una norma derogatoria, che talune categorie di fatti siano sottratti all'applicazione di una imposta, ad esse applicabile, e siano assoggettate ad altro, speciale regime. Si ha, in tal caso, una fattispecie sostitutiva, o "regime fiscale sostitutivo". Ciò può avvenire sia per scopi di agevolazione (quindi per motivi extrafiscali), sia per motivi di tecnica impositiva (ossia di semplificazione del meccanismo impositivo). Ad esempio, l'imposta sostitutiva dovuta dagli enti che effettuano operazioni di credito a medio o lungo termine; tali enti, in luogo delle imposte di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, che sarebbero dovute secondo le norme che regolano tale imposte, sono assoggettati ad un'unica imposta, la cui aliquota si applica all'ammontare dei finanziamenti erogati. Vi sono norme che allargano l'ordinario campo di applicazione di un'imposta, aggiungendo altre fattispecie imponibili a quelle tipiche. Ciò avviene talvolta perché il legislatore vuole che certi fatti economici non sfuggano alla tassazione; essi sono perciò equiparati al presupposto tipico di una imposta, pur se presentano tratti di eterogeneità. In altri casi, l'ampliamento della sfera di applicazione del tributo risponde a fini antielusivi. Per distinguere terminologicamente le due ipotesi, si parla, nel primo caso, di fattispecie equiparate (o assimilate), e, nel secondo, di fattispecie supplementari (o surrogatorie). Ad esempio, fattispecie tipica dell'imposta di registro è un negozio o atto redatto per iscritto; la forma scritta dell'atto è connaturale all'imposta di registro, che implica la registrazione; in via generale, quindi, non si ha registrazione, e non si ha imposizione, per gli atti non redatti per iscritto. Tuttavia in deroga a tale norma, è stabilito che determinati contratti verbali sono soggetti ad imposta mediante registrazione della denuncia del contratto. Fattispecie tipica dell'imposta sul reddito è il possesso di un reddito, ossia un incremento di patrimonio, acquisito al titolo oneroso, per effetto del possesso di un capitale. Vi sono peraltro dei casi in cui legislatore sottopone all'imposta anche proventi che non corrispondono alla nozione tipica di reddito. Sono infatti tassati come reddito "i proventi conseguiti in sostituzione di redditi"; i redditi prodotti dal de cuius ma incassati dagli eredi, e le vincite della lotteria, che non sono frutto di un'attività produttiva. L'assimilazione è una tecnica adottata talora dal legislatore anche per ampliare l'ambito di applicazione di una determinata norma. Nell'Irpef, sono equiparate ai redditi derivanti da lavoro dipendente varie ipotesi, come: i compensi percepiti dai soci delle cooperative di produzione e consumo; le borse di studio; le remunerazioni dei sacerdoti; le indennità di disoccupazione; le rendite vitalizie e gli altri assegni periodici, comunque denominati. Tra gli strumenti antielusivi di carattere specifico hanno un rilievo preminente le fattispecie supplementari, ossia le fattispecie imponibili che il legislatore aggiunge a quelle tipiche al solo fine di impedire ai contribuenti di utilizzare lo strumento previsto dalla fattispecie supplementare per fini elusivi. 4. Fattispecie alternative e condizionali Si hanno fattispecie alternative quando un fatto, che, di regola, è presupposto di applicazione di un'imposta, non lo è, allorquando è soggetto ad un'altra imposta. Può darsi, cioè, che la sovrapposizione di fattispecie non determini l'applicazione di più imposte, ma l'applicazione di una sola imposta e la non applicazione dell'altro tributo. Esemplare è il caso dell'alternatività tra Iva e imposta proporzionale di registro. Gli atti scritti, normalmente soggetti ad imposta di registro in misura proporzionale, sono tassati con imposta fissa quando hanno per oggetto cessioni di beni o prestazioni di servizi soggette all'imposta sul valore aggiunto (ad esempio, se la vendita dell'immobile è soggetta ad Iva, l'atto di vendita deve essere registrato, ma l'imposta di registro si applica in misura fissa). L'efficacia della fattispecie imponibile può essere sottoposta a condizione, sospensiva o risolutiva. Nel primo caso l'avveramento della condizione determina l'insorgere del debito d'imposta; nel secondo caso lo estingue. Si consideri la cd. registrazione a debito. Vi sono dei 20 casi in cui un atto viene registrato, ma il sorgere del debito d'imposta è sospeso (si tratta degli atti di procedimenti contenziosi in cui è parte un Amministrazione pubblica, degli atti delle procedure fallimentari, e degli atti di procedimenti contenziosi di cui siano parti soggetti ammessi al gratuito patrocinio). Il debito d'imposta è sospensivamente subordinato alla conclusione del procedimento contenzioso (imposta soggetta termine); chiuso il procedimento, l'imposta potrà essere riscossa nei confronti del soggetto obbligato (la parte soccombente del procedimento contenzioso). Anche le agevolazioni fiscali possono essere sottoposte a condizione sospensiva o risolutiva. La condizione risolutiva fa cessare un'agevolazione, rendendo dovuto il pagamento dell'imposta. Se la condizione è sospensiva, vi è dapprima una situazione di pendenza, che può atteggiarsi in modi diversi. Può darsi che, durante la pendenza, il contribuente non goda di alcun trattamento di favore; quando si avvererà la condizione, il contribuente cesserà di essere soggetto all'imposta. Potrà essere prevista o non essere prevista l'efficacia retroattiva della condizione e, quindi, il diritto al rimborso di quanto pagato. Vi sono poi casi in cui l'ordinamento prevede che le agevolazioni fiscali operino in via provvisoria, in presenza di determinati presupposti, per poi consolidarsi solo se, entro limiti temporali predeterminati, si verifichino altri eventi. Sia nel caso di condizione sospensiva, sia nel caso di condizione risolutiva, la perdita del beneficio è una conseguenza di una fattispecie (definita secondaria o surrogatoria) distinta da quella tipica, che ordinariamente segna la nascita del tributo. Ne discende che il tributo si rende dovuto solo da quando vengono meno i presupposti del trattamento di favore. 5. La base imponibile La quantificazione del debito d'imposta dipende dalla base imponibile, che è un concetto diverso dal presupposto: presupposto è ciò che provoca l'applicabilità di un tributo, l’an debeatur; la base imponibile è ciò che ne determina la misura, il quantum. La base imponibile è costituita, nella maggior parte delle imposte, da una grandezza monetaria. In materia di imposte dirette, la base imponibile è un importo netto, pari a ciò che residua dopo avere applicato al reddito lordo tutte le deduzioni e riduzioni previste; per l'IMU sugli immobili in catasto, la base imponibile è pari ad un multiplo della rendita catastale rivalutata. Nelle imposte indirette la base imponibile varia da tributo a tributo (es. nell’Iva è costituita dal corrispettivo delle cessioni e delle prestazioni di servizi). Se gli elementi della base imponibile non sono entità monetarie, ma beni o servizi, sarà necessario quantificarne il valore in moneta (Tuir, art. 9 co. 3-4). Il legislatore non si limita a stabilire quale sia la base imponibile di un tributo, ma detta anche norme che fissano la composizione della base imponibile ed i criteri di valutazione. Se la base imponibile è un valore netto, si hanno due serie di norme: - Norme sui componenti positivi (ricavi, compensi, ecc.); - Norme sui componenti negativi (spese, costi, ecc.); La base imponibile può essere costituita, oltre che da una grandezza monetaria, anche da cose, misurate secondo le loro caratteristiche di misura e peso o considerate nella loro unità. Ad esempio le imposte di fabbricazione o accise hanno per base imponibile le unità di prodotto. 6. Imposte fisse, proporzionali, progressive 1) Imposta fissa: L’imposta può essere stabilita in misura fissa, ad esempio la tassa di registro, che è dovuta per ogni atto di cui si chiede la registrazione. Imposta capitaria è quella dovuta da ogni individuo in misura fissa, indipendentemente dal suo reddito o patrimonio. 2) Imposta proporzionale: Il tributo può essere di tipo proporzionale, cioè con tasso fisso. L’aliquota non muta con il variare della base imponibile (es. aliquota dell’Ires). Per la disciplina di una stessa imposta possono esserci più aliquote fisse: è il caso ad es. dell’Iva, dove si hanno aliquote diverse per gruppi di beni o servizi. Questa varietà può derivare tanto da motivi tributari, in ragione del diverso grado di capacità contributiva espresso dagli oggetti tassati, quanto da ragioni extrafiscali (es. misure agevolative). La flat tax è un tributo sul reddito delle persone fisiche con aliquota unica; è quindi un tributo proporzionale, che però può avere aspetti di progressività se vi è un minimo esente e un sistema di detrazioni e deduzioni. 3) Imposta progressiva: L’imposta progressiva aumenta più che proporzionalmente con l’aumento della base imponibile. Vi è una progressività per classi, una progressività per scaglioni, una progressività continua ed una progressività per detrazioni. L’Irpef adotta la progressività a scaglioni: ad ogni scaglione di reddito corrisponde un’aliquota via via crescente. L’imposta complessiva è data dalla somma degli importi corrispondenti ai diversi scaglioni. 4) Imposte regressive: Le imposte sono regressive quando l’aliquota diminuisce con l’aumentare della base imponibile. 21 5) Imposte graduali: Le imposte sono graduali quando la base imponibile è divisa in più gradi, a ciascuno dei quali corrisponde una determinata aliquota. 7. Sovrimposte e addizionali Vi è sovrapposizione di fattispecie quando la fattispecie imponibile di un tributo (imposta madre), viene usata come fattispecie di un’altra imposta (imposta figlia), denominata sovrimposta o addizionale. 
 Viene denominato addizionale anche il tributo la cui misura è ragguagliata a una frazione o multiplo di quanto dovuto per l’imposta di base. 8. Esenzioni, agevolazioni e spese fiscali Le esenzioni sono disposizioni che sottraggono, in tutto o in parte, all’applicazione di un tributo, ipotesi che sarebbero imponibili in base alla definizione generale del presupposto. Possono essere: - temporanee o permanenti; - di carattere soggettivo o di carattere oggettivo o miste: esenzione soggettiva è ad esempio l’esenzione dall’Imu degli immobili posseduti dallo Stato. Esenzione oggettiva è quella che riguarda i terreni agricoli ricadenti in aree montane. La distinzione tra i due tipi di esenzione ha carattere pratico. Le esenzioni oggettive non vengono meno se muta la proprietà del cespite, invece una esenzione soggettiva non opera più quando la proprietà del bene è trasferita ad un soggetto non esente. - operanti ex lege o solo a seguito di istanza di parte o di apposito provvedimento esonerativo. L’agevolazione (o misura di favore) riduce il quantum dell’imposta. Per individuare le agevolazioni è necessario definire il trattamento fiscale ordinario e distinguere tra le disposizioni riduttive quelle che hanno natura agevolativa. 
 Gli strumenti con cui può essere realizzata un’agevolazione sono molteplici: tassazione parziale della base imponibile, deduzione dalla base imponibile, detrazione dall’imposta, riduzione di aliquote, regimi di differimento o sospensione dell’imposta, regimi sostitutivi, crediti d’imposta, ecc. L’agevolazione può consistere anche in un aumento “artificiale” dei costi, come il caso del “superammortamento” (sostituito dall’1/1/2020 da un credito d’imposta), in cui l’ammortamento era ammesso in misura maggiorata rispetto al costo effettivo. 
 Le esenzioni e le agevolazioni possono costituire aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 107 TFUE, quindi è necessario distinguere anche a tale scopo tra trattamenti fiscali ordinari e trattamenti di favore. 
 Vi sono casi nei quali l’esenzione deriva da fattispecie da cui non scaturisce alcun effetto giuridico; in tali casi, la conseguenza dell’esenzione è la non applicazione dell’imposta. Talvolta il legislatore esenta una fattispecie da un’imposta perchè prevede l’applicazione di un’altra imposta. Le esenzioni, dunque, possono comportare tanto l’esonero da qualsiasi imposta, quanto l’applicazione di un’imposta alternativa e solo se l’imposta sostitutiva comporta un minor onere economico per il contribuente si può affermare che ha natura agevolativa. 
 Per individuare le fattispecie esenti si possono seguire due criteri: - di tipo logico: sono esenzioni tutti i casi che sono in rapporto di deroga rispetto alla norma che definisce il presupposto. - di tipo nominalistico: devono essere considerate esenzioni quelle che il legislatore qualifica e disciplina espressamente come tali, anche se non sono in rapporto di deroga o eccezione rispetto alla deroga generale (es. esenzioni dell’Iva). Occorre distinguere le esenzioni dalle esclusioni: le esenzioni costituiscono una deroga alla disciplina generale del tributo; l’esclusione è una disposizione che concorre a definire il presupposto e a cui non corrisponde una norma diversa da quella che definisce il presupposto, ma servono solo a chiarire i limiti di applicabilità del tributo. 
 le agevolazioni fiscali possono essere sottoposte a condizione sospensiva o risolutiva. La condizione risolutiva fa cessare un’agevolazione, rendendo il pagamento dell’imposta dovuto. Se la condizione è sospensiva, vi è prima una situazione di pendenza, che può specificarsi in modi diversi: può darsi che il contribuente non goda di alcun trattamento di favore; quando si verificherà la condizione il contribuente cesserà di essere soggetto ad imposta. Se la condizione non si verificherà, cesserà di operare il regime di favore e sarà dovuta l’imposta per effetto congiunto dell’ordinario presupposto e della fattispecie secondaria, che ha eliso gli effetti dell’esenzione. La materia è stata riordinata e disciplinata dal dpr 601/1973. Le esenzioni e le agevolazioni, dal punto di vista del bilancio dello Stato, sono degli introiti mancati, equivalenti a spese dello Stato, dette spese fiscali. Le spese fiscali devono essere raccolte e illustrate nel bilancio di previsione dello Stato. 22 pubblico ufficiale, che redige un atto o lo autentica, è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con le parti contraenti; le parti realizzano il presupposto del tributo ed il notaio è tenuto in quanto responsabile. Dalla sostituzione a titolo d'imposta scaturisce un rapporto giuridico di solidarietà dipendente nel caso in cui il sostituto a titolo d'imposta venga iscritto al ruolo per imposte, sanzioni e interessi relativi a redditi per i quali non ha effettuato né le ritenute né i versamenti. La solidarietà tributaria può dipendere anche da norme civilistiche: i soci della società in nome collettivo e i soci accomandatari della società in accomandita rispondono solidamente ed illimitatamente dei debiti delle società, e quindi, anche dei debiti fiscali.
 Il cessionario d'azienda risponde, ma con il beneficio della preventiva escussione del cedente, ed entro il limite del valore dell'azienda acquistata, delle imposte e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, di talune imposte e sanzioni dovute dal cedente. 4. I rapporti interni tra condebitori di imposta I rapporti interni tra condebitori d’imposta non sono disciplinati dal diritto tributario, ma dal codice civile. Si applica l'art. 1298 c.c. secondo cui l'obbligazione solidale si divide per quote, che si presumono uguali se non risulta diversamente; chi ha pagato l'intero ha diritto di regresso e può ripetere dai condebitori la quota che compete a ciascuno di essi (art. 1299 c.c.). 
 L'art.1298 c.c. stabilisce la divisione del debito nei rapporti interni in base al criterio dell'interesse per il quale l'obbligazione è stata contratta, ma nella solidarietà tributaria occorre riferirsi al rapporto di ciascun con debitore con il presupposto dell’imposta: quando è possibile imputare per quote il presupposto, la stessa suddivisione si riflette sulla divisione del debito nei rapporti interni; quando, invece, la suddivisione non è possibile, occorre verificare se il legislatore detta norme ad hoc, oppure considerare uguali le quote. In ogni caso i privati possono disciplinare in via convenzionale la ripartizione tra di essi dell'onere tributario. 5. La sostituzione tributaria e le ritenute Vi è sostituzione tributaria nei casi in cui l'obbligazione tributaria, o altri debiti tributari, sono posti a carico di un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto del tributo. Il presupposto della sostituzione tributaria è che un soggetto (il sostituto) corrisponde somme o altri valori ad un altro soggetto (il sostituito) ed è vantaggioso per il fisco che il sostituto sia tenuto ad operare una ritenuta e a versarla. Secondo la definizione legislativa, sostituto è “chi, in forza di disposizione di legge, è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto” (art. 64 dpr 600/1973). In realtà, non vi è un vero e proprio fenomeno giuridico di sostituzione, perché vi è fin dall’origine l'imposizione di un obbligo a carico del sostituto, il quale si differenzia dall'ordinario soggetto passivo, perché non realizza il presupposto. Il sostituto non è dunque un obbligato che "sostituisce" un altro soggetto, obbligato prima di lui. Il coinvolgimento del terzo è una garanzia per il fisco, essendo egli in posizione fiscalmente neutrale. Il sostituto è sì obbligato personalmente verso il fisco, ma ha anche il diritto-dovere di trattenere, dalla somma che corrisponde al reddituario, un importo pari alla somma di cui è debitore verso il fisco. Operare la ritenuta è anche un obbligo, la cui violazione è punita con sanzione amministrativa. Diversi dalla sostituzione sono i “regimi fiscali sostitutivi”, che comportano la sottoposizione di una data fattispecie, in via derogatoria, ad un regime fiscale speciale. Sono sostituti d’imposta i soggetti passivi Ires, le società di persone, gli imprenditori individuali, coloro che esercitano arti e professioni, i curatori fallimentari (artt. 23 e ss dpr 600/1973) quando corrispondono somme o valori che costituiscono reddito di lavoro dipendente; compensi di lavoro autonomo; provvigioni inerenti a rapporti di commissione, agenzia, mediazione, rappresentante di commercio; interessi, dividendi e altri redditi di capitale; compensi per avviamento commerciale; premi e vincite. I sostituti, nei casi in cui corrispondono somme o valori, devono operare una ritenuta (a titolo definitivo o provvisorio) e devono versare le somme ritenute. Le ritenute interessano tutte le categorie reddituali, salvo i redditi fondiari e d’impresa. Tra sostituto e sostituito intercorre il rapporto di rivalsa, in base al quale il primo ha il diritto dovere di effettuare le ritenute. Il rapporto di rivalsa è un rapporto tra privati, quindi di diritto privato; mentre i rapporti fiscali intercorrono tra fisco e contribuenti. Il sostituto, nel momento in cui corrisponde le somme soggette a ritenuta, ha il diritto-dovere di trattenerne una frazione. 25 5.1 Le ritenute a titolo d'imposta La sostituzione tributaria si presenta in due forme, come sostituzione a titolo d'imposta (detta anche a titolo definitivo) e come sostituzione a titolo d'acconto. 
 La sostituzione a titolo d'imposta comporta l'applicazione di un'aliquota fissa su di un determinato provento, che è così sottratto alla sua inclusione, secondo le ordinarie norme dell'irpef, nel reddito complessivo del percipiente, soggetto a tassazione progressiva. Essa realizza allo stesso tempo una sostituzione in senso oggettivo (ossia un regime fiscale sostitutivo dell'ordinaria imposta sul reddito) e in senso soggettivo (in quanto l’obbligazione tributaria è posta a carico di un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto). Costituendo una deroga, la sostituzione a titolo d'imposta, è prevista in un numero limitato di casi: - le ritenute sui dividendi e altri redditi di capitale spettanti a non residenti; - le ritenute su taluni redditi di capitali e sulle vincite; - le ritenute sui compensi corrisposti ai lavoratori autonomi non residenti. Il sostituto d'imposta a titolo definitivo, a differenza del sostituto a titolo d'acconto, è unico debitore verso il fisco dell'imposta dovuta sul presupposto realizzato dal sostituito. Il rapporto tra fisco e sostituto è dunque un rapporto d'imposta; tra fisco e sostituito non vi è alcun rapporto. Tra sostituto e sostituito vi è un rapporto privatistico: in primis, il sostituto è in una posizione debitrice verso il sostituito. Ma il sostituto estingue il suo debito verso il sostituito versandogli, non quanto dovuto secondo il rapporto civilistico originario, ma un minore somma, come conseguenza del diritto del sostituto di operare una ritenuta sulle somme che corrisponde al sostituito. Dal punto di vista della rivalsa, non vi è differenza tra sostituzione a titolo d'imposta e sostituzione a titolo d'acconto, salvo l'obbligo, nel secondo caso, per il sostituto di rilasciare al sostituito un certificato. La posizione del sostituito muta se il sostituto omette sia le ritenute, sia il versamento: in tal caso, sostituto e sostituito diventano obbligati in solido per imposte, sanzioni e interessi (art. 35 dpr 602/1973). Il sostituito diventa coobbligato solo quando il sostituto non effettua la ritenuta e non versa: è solo da questa fattispecie successiva che scaturisce l'obbligazione solidale del sostituito. La sostituzione è prevista in molti casi per tutelare il segreto sull’identità del reddituario o quando il sostituito non è facilmente raggiungibile. La figura della sostituzione a titolo d'imposta è da distinguere da quella del responsabile d'imposta. Vi è responsabile d’imposta quando l’obbligazione tributaria ricade oltre che su chi realizza il presupposto, anche solidalmente su un altro soggetto detto responsabile d’imposta. Anche nella sostituzione a titolo d'imposta il soggetto passivo è un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto, ma mentre nella solidarietà vi sono più soggetti passivi, nella sostituzione a titolo d'imposta soggetto passivo è soltanto il sostituto. Solo se il sostituto non opera la ritenuta e non provvede al versamento, alla sua obbligazione si aggiunge quella del sostituito, sicchè diventano obbligati in solido verso il fisco, realizzando una coobbligazione solidale successiva e dipendente. 5.2 Le ritenute a titolo d'acconto Nella sostituzione a titolo d’acconto, il sostituto non è debitore in luogo del soggetto che sarebbe obbligato secondo i criteri generali della soggettività passiva dell'obbligazione, ma è soggetto passivo di un obbligo di ritenuta e di versamento, ben diverso dall'obbligazione tributaria. Le ritenute di acconto, per chi le subisce, costituiscono un acconto dell'imposta che sarà dovuta sul complesso dei redditi di quel periodo d’imposta. Subendo la ritenuta, il sostituito acquisisce un credito di pari ammontare nei confronti del fisco, che sarà indicato nella dichiarazione dei redditi e sarà detratto dal debito d’imposta di quell'anno. La sostituzione a titolo d'acconto realizza dunque una forma di riscossione anticipata. La misura delle ritenute e del versamento deriva da un’aliquota che, nella maggior parte dei casi, è fissa; nel caso di redditi da lavoro dipendente è invece variabile, perché dipende dall’ammontare globale della retribuzione annua, in modo tale che l’ammontare delle ritenute possa coincidere con l’imposta dovuta se quei redditi sono gli unici del sostituito. La posizione del sostituito, di fronte al fisco, è quella di qualsiasi altro percettore di reddito: le somme che percepisce, al lordo della ritenuta, sono componenti del suo reddito complessivo. Il sostituito, subendo le ritenute, viene assoggettato ad una tassazione anticipata, per cui acquista il diritto di detrarre, dall'imposta dovuta per il periodo d'imposta, l'ammontare delle ritenute subite. 26 Tale diritto viene acquisito per il solo fatto di aver subito le ritenute: se il sostituto non versa le somme ritenute, il sostituito acquista ugualmente una sorta di credito verso il fisco. Questo rapporto sostituito-fisco è indipendente dal rapporto sostituto-fisco; se il fisco non riceve il versamento può agire solo nei confronti del sostituto, non nei confronti del sostituito.
 Più problematica, perché non regolata dalla legge, è la situazione che si prospetta quando non sono operate le ritenute d’acconto: se il sostituito include quelle somme nei suoi redditi complessivi e si costituisce debitore, quando adempie, libera anche il sostituto. Se invece non si costituisce debitore il fisco può pretendere due volte l’imposta, una volta nei confronti del sostituto e una volta nei confronti del sostituito. Il sostituto che non effettua le ritenute d’acconto rimane obbligato nei confronti del fisco; al tempo stesso, permane il suo diritto-dovere di rivalersi sul sostituito (cd. “rivalsa successiva”) . Nessuna norma pone a carico del sostituito l'obbligo di corrispondere al fisco le somme che dovevano formare oggetto di ritenuta; non è infatti previsto per la sostituzione d’acconto che vi sia solidarietà fra sostituto e sostituito per le ritenute non operate e non versate. Perciò, il fisco può emettere, nei confronti del sostituto, avviso di accertamento, per stabilire che ha omesso di effettuare le ritenute e di versarle; può inoltre accertare, nei confronti del sostituito, il reddito che è stato corrisposto dal sostituto, e non è stato dichiarato. Ma l'importo delle ritenute può essere richiesto solo al sostituto. Secondo la giurisprudenza, invece, il fisco può non solo accertare, nei confronti del sostituito, i redditi sui quali è stata omessa la ritenuta d'acconto, ma può anche riscuotere la relativa imposta; in quanto il contribuente che percepisce somme soggette a ritenuta d'acconto sarebbe ab origine debitore verso il fisco, in solido con il sostituto. 6. La traslazione e il diritto di rivalsa Occorre distinguere tra contribuente di diritto e contribuente fatto; il primo è il debitore, che è tenuto a pagare il tributo, il secondo colui che sopporta l’onere del tributo, senza poterlo riversare su altri. - Vi sono tributi, posti a carico di un soggetto, che però sono destinati a gravare economicamente su altri soggetti (es. imposte sui consumi, delle quali sono debitori gli operatori economici ma che sono destinate a gravare sui consumatori). - Vi sono casi nei quali è espressamente conferito al soggetto passivo del tributo il diritto di rivalsa (es. i soggetti passivi dell'imposta sul valore aggiunto hanno il diritto e l'obbligo di addebitare l'imposta ai loro clienti). Quando è previsto il diritto di rivalsa, la traslazione è l’effetto economico della rivalsa. Nei casi sopra indicati, colui che realizza il presupposto di fatto del tributo ne è anche soggetto passivo; il legislatore, accordando la rivalsa, mira a fare cadere l'onere economico del tributo su di un soggetto diverso. Ma vi sono anche nei casi in cui il soggetto passivo dell'imposta è un soggetto diverso da colui che realizza il presupposto: ci riferiamo alle figure del sostituto d'imposta e del responsabile di imposta. Essi hanno diritto di rivalsa nei confronti di colui che ha posto in essere il presupposto; le leggi tributarie prevedono espressamente tale diritto. Ma, in generale, ha diritto di rivalsa, verso colui che realizza il presupposto dell'imposta, ogni terzo che sia tenuto a corrispondere il tributo; tale diritto, se non è previsto dalle norme tributarie, è comunque desumibile dai principi civilistici dell'ingiustificato arricchimento. La rivalsa è un istituto che può avere fondamento civilistico o tributario: - nel primo caso è rimessa alla libera determinazione delle parti, sicché non si tratta di “rivalsa” intesa come istituto tipico del diritto tributario, ma di mera traslazione economica, attuata liberamente dalle parti nell’esercizio della loro autonomia negoziale. - Quando invece è prevista dalle norme tributarie occorre considerare il rapporto di rivalsa come parte del tributo inteso come istituto giuridico, ossia come insieme di norme rispondenti ad una ratio unitaria. Accanto al diritto di rivalsa è da ricordare il diritto di surrogazione secondo cui chi, essendo tenuto, con altri o per altri, al pagamento di un tributo, ed ha assolto il debito d’imposta, può surrogarsi, nei confronti del debitore d’imposta che ha posto in essere il presupposto, nei diritti del fisco; il suo credito è assistito dagli stessi privilegi da cui è garantito il credito del fisco. 
 7. I patti di accollo dell'imposta 
 La rivalsa dell’imposta può essere: - facoltativa; - obbligatoria: quando il legislatore vuole che l’onere del tributo sia trasferito dal soggetto passivo ad altri. Sono in questo caso nulli i patti con cui l’avente diritto rinuncia alla rivalsa; 27 - apporre il "visto di conformità formale" dei dati esposti nelle dichiarazioni rispetto ai dati risultanti dalla contabilità, e degli "oneri deducibili" indicati in dichiarazione rispetto alla documentazione esibita; - inoltrare le dichiarazione dei redditi all'Amministrazione finanziaria per via telematica. I lavoratori dipendenti sono assistiti nei loro adempimenti fiscali, dal proprio datore di lavoro, o dai "Caaf dipendenti" (costituiti dall'organizzazione sindacali dei lavoratori dipendenti). 3. La dichiarazione d'imposta in generale 
 Nella disciplina di quasi tutte le imposte ai contribuenti è imposto l'obbligo di presentare una dichiarazione all'amministrazione finanziaria, nella quale devono essere indicati il presupposto e l'ammontare dell'imposta. La dichiarazione dei redditi, Irap e la dichiarazione Iva devono essere presentate ogni anno, poiché sono tributi periodici la cui base di commisurazione può variare di anno in anno. Vi sono tributi la cui base imponibile può permanere invariata nel tempo con conseguente dichiarazione efficace fino a quando non si verifichino variazioni. Altri tributi a carattere istantaneo (es. Imposta di registro e sulle successioni) richiedono che la dichiarazione sia presentata ogni volta che si verifica il presupposto. 
 4. La dichiarazione dei redditi. I soggetti obbligati La dichiarazione dei redditi soggetti a Irpef deve essere presentata da ogni soggetto che, nel periodo di imposta, abbia posseduto redditi. Si aggiunge che: - se sono stati prodotti redditi, la dichiarazione deve essere presentata anche se dai redditi che si dichiarano non consegua alcun debito di imposta; - i soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili devono presentare annualmente la dichiarazione, anche se non hanno prodotto redditi. Si desume che la fattispecie, da cui scaturisce l'obbligo di dichiarazione, non coincide con il presupposto dei tributi sul reddito. Non devono presentare la dichiarazione i soggetti che possiedono soltanto redditi esenti o redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, redditi fondiari inferiori ad un dato importo. Inoltre, non devono presentare la dichiarazione i soggetti che hanno redditi di ammontare inferiore al minimo imponibile. I lavoratori dipendenti possono presentare una dichiarazione dei redditi semplificata (cd. modello 730), avvalendosi dell'assistenza del proprio datore di lavoro o di un Caf. Se il datore di lavoro si rende disponibile, i dipendenti possono presentargli la dichiarazione redatta sul modello semplificato. Il datore di lavoro deve liquidare i saldi e gli acconti dovuti dal lavoratore. Se il lavoratore risulta debitore, il datore di lavoro trattiene la somma dovuta sulla retribuzione dovuta per il mese di luglio. Se invece il lavoratore risulta creditore, il rimborso viene attuato mediante riduzione delle ritenute. Lavoratori e pensionati possono avvalersi anche dell'assistenza del "Caaf dipendenti", presentando il mod. 730 al Caaf, che liquida imposta e ne comunica il risultato al datore di lavoro. Datori di lavoro e Caaf trasmettono telematicamente le dichiarazioni semplificate all'Agenzia delle entrate. 4.1 I contenuti Il contenuto caratteristico della dichiarazione dei redditi è dato dall'indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili secondo le norme che disciplinano le imposte stesse (art. 1 dpr 600). 
 Nella dichiarazione Irpef devono essere indicati, oltre ai dati ed elementi necessari per determinare i singoli redditi e il reddito complessivo, anche gli elementi necessari per determinare l'imposta dovuta e la somma da versare. Sono quindi da indicare gli oneri deducibili, l’imposta lorda, le detrazioni dall'imposta, l'imposta netta, le ritenute e i versamenti di acconto, i crediti di imposta e il saldo finale (somma da versare o credito). Anche nella dichiarazione Ires devono essere indicati i dati e gli elementi necessari per la determinazione dei redditi e dell'imposta. Inoltre, sia nella dichiarazione Ires che nella dichiarazione Irpef, devono essere indicati i trasferimenti da e verso l'estero e la disponibilità di investimenti all’estero (c.d. monitoraggio). 4.2 I modelli La dichiarazione deve essere redatta, a pena di nullità, utilizzando il modello approvato annualmente dall'amministrazione finanziaria. L'Agenzia delle Entrate mette a disposizione dei contribuenti via internet un modello precompilato di dichiarazione dei redditi. Chi accetta il modello precompilato senza apportare modifiche non dovrà più esibire le ricevute che attestano 30 oneri detraibili e deducibili e non sarà sottoposto a controlli documentali. Il contribuente può modificare o integrare il modello precompilato. 4.3 Natura giuridica. Dichiarazioni di scienza e opzioni La dichiarazione dei redditi deve contenere l'indicazione degli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili, oltre all'esposizione di altri fatti, dati e notizie. Va aggiunto che il contribuente non deve soltanto esporre fatti e dati, ma deve anche qualificarli giuridicamente; ad esempio, non basta dichiarare un reddito, ma occorre anche qualificarlo, indicando la categoria a cui appartiene. A ciò seguono degli effetti giuridici che derivano dalla dichiarazione, non in quanto voluti dal dichiarante, ma previsti dalla legge. La dichiarazione fiscale quindi si configura come un mero atto, non come una dichiarazione di volontà, le cui conseguenze giuridiche sono predeterminate dalla legge. Tuttavia la dichiarazione è anche la sede nella quale si esercitano delle opzioni, ossia delle dichiarazioni di volontà, la cui disciplina è quella dei negozi giuridici: la scelta del regime di contabilità; la scelta tra rimborso e riporto a nuovo dei crediti di imposta, l'opzione in materia di tassazione separata, ecc. La dichiarazione è un atto giuridico in senso stretto ma può contenere delle opzioni quindi è un atto a contenuto misto. Alcune componenti del reddito d'impresa consentono delle opzioni in materia di: rateizzazione delle plusvalenze realizzate; sopravvenienze attive costituite da contributi o liberalità; quantificazioni degli ammortamenti; spese per studi e ricerche e per pubblicità e propaganda. Se vi sono perdite d'impresa pregresse, il contribuente deve esprimere, nella dichiarazione, la volontà di utilizzarle a compensazione del reddito dell'esercizio. Per effetto di tali opzioni, la base imponibile e l'imposta non dipendono solo dalla legge, ma anche da scelte del contribuente, la cui volontà concorre a determinare il quantum del tributo. La dichiarazione è dunque un mero atto, o atto giuridico in senso stretto, ma talora contiene anche delle opzioni e quindi si presenta come un atto a contenuto misto. L'opzione di regimi speciali di determinazione delle imposte dirette e dell'Iva o di regimi contabili possono essere desunti anche da comportamenti concludenti del contribuente o dalla modalità di tenuta delle scritture contabili. Altra opzione da effettuare in dichiarazione concerne la destinazione dell'8×mille alla Chiesa cattolica o ad altra confessione religiosa e del 5×mille agli enti non-profit. La giurisprudenza ammette che gli errori commessi nel formulare le opzioni siano rettificabili ai sensi dell’art. 1427 c.c. In oltre in caso di errori nell’opzione o revoca di regimi di determinazione dell’imposta o dei regimi contabili, hanno rilievo i comportamenti concludenti (art. 1 d.lgs. 442/1997). 4.4 Trasmissione telematica e termini di presentazione Le dichiarazioni sono trasmesse al fisco in via telematica direttamente dal contribuente o per il tramite di intermediari abilitati. Il dichiarante deve conservare l'originale cartaceo. - Le dichiarazioni Irpef e Irap devono essere trasmesse entro il 30 novembre dell'anno successivo al periodo di imposta; - Le dichiarazioni Ires entro l’ultimo giorno dell’11esimo mese successivo alla chiusura del periodo d'imposta. La dichiarazione può essere presentata in forma cartacea dalle persone fisiche che non sono obbligate alla tenuta delle scritture contabili. In tal caso è presentata per il tramite di una banca o ufficio postale tra il 1° maggio e il 30 giugno. 
 La dichiarazione deve essere sottoscritta dal contribuente o dal legale rappresentante delle società o enti, altrimenti è nulla. La nullità è sanata se la sottoscrizione è apposta entro 30 giorni da quando l'ufficio invita a sottoscrivere. Sono valide le dichiarazioni presentate con ritardo non superiore a 90 giorni, ma si applica una sanzione amministrativa per il ritardo: - le dichiarazioni presentate con un ritardo non superiore a 90 giorni non sono considerate omesse agli effetti del reato di omessa dichiarazione. - Le dichiarazioni presentate con un ritardo superiore ai 90 giorni si considerano omesse e l’accertamento conseguente sarà un accertamento d’ufficio. Esse costituiscono però titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli imponibili in esse indicati e delle ritenute indicate dai sostituti d’imposta. Queste dichiarazioni ultratardive sono quindi prese in considerazione dal fisco solo in utilibus. 31 4.5 Dichiarazioni di soggetti diversi dal contribuente - I sostituti d'imposta sono tenuti a presentare una dichiarazione dalla quale risultino le somme e i valori corrisposti e le ritenute effettuate; per le ritenute d’acconto devono essere indicate le generalità dei percipienti, mentre tale indicazione non è richiesta per le ritenute a titolo d'imposta. - In caso di liquidazione di società o enti soggetti all'Ires o di società di persone ed enti equiparati o imprese individuali, il periodo d'imposta in corso al momento della messa in liquidazione si conclude con la messa in liquidazione. L'obbligo di dichiarare i redditi relativi al periodo pre-liquidazione spetta al liquidatore, che deve presentare la dichiarazione in via telematica entro 9 mesi da quando ha effetto la deliberazione di messa in liquidazione. 
 - In caso di fallimento il curatore deve presentare in via telematica due dichiarazioni: una relativa al periodo intercorrente tra l'inizio del periodo d'imposta in corso alla data del fallimento e l'inizio del fallimento; una successiva alla chiusura del fallimento, entro 9 mesi. - In caso di trasformazione di una società di persone in società di capitali, o viceversa, il periodo d’imposta cessa e dev’essere presentata, entro 9 mesi dalla trasformazione, la dichiarazione relativa al periodo trascorso dall'inizio del normale periodo d'imposta. Analogo obbligo sussiste in caso di fusione. - Nel caso di impresa familiare, la dichiarazione dell'imprenditore deve indicare le quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l'attestazione che le quote sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell'impresa, in modo continuativo e prevalente, nel periodo d'imposta (ciascun collaboratore deve attestare di aver prestato la sua attività nell'impresa in modo continuativo e prevalente). - Gli eredi di un soggetto obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi succedono al de cuius nel relativo obbligo, ma il termine è prorogato di 6 mesi. 
 4.6 Gli effetti della dichiarazione dei redditi Funzioni ed effetti della dichiarazione possono essere schematizzati in 4 punti di vista: - Dal punto di vista procedimentale: la dichiarazione è un atto che assume un particolare rilievo nel procedimento amministrativo di determinazione dell'imposta, quindi ha rilevanza procedimentale. È sottoposta al controllo dell'Amministrazione; in seguito, condiziona il controllo sostanziale, determina i metodi di rettifica del reddito dichiarato, il tipo di avviso di accertamento, ecc. Quando è resa da soggetti obbligati anche in assenza di reddito, è un adempimento formale, rilevante ai fini del procedimento di controllo per quel periodo e per i periodi d'imposta successivi. La dichiarazione ha anche rilievo probatorio, cioè l'ufficio è esonerato dal provare i fatti in essa esposti, mentre tutto ciò che non emerge dalla dichiarazione deve essere provato dall'Amministrazione finanziaria. Poichè determinava il sorgere di un debito, in passato era considerata una confessione e quindi si riteneva possibile applicare la relativa disciplina contenuta nell’art. 2730 c.c. La dichiarazione, nella parte in cui reca l’indicazione di fatti sfavorevoli al dichiarante, costituisce una confessione stragiudiziale, ma ad essa non è applicabile la disciplina civilistica della confessione, perché mancano i presupposti per la sua applicazione analogica al procedimento amministrativo o nel processo tributario. La dichiarazione tributaria non può avere efficacia vincolante, ne efficacia di piena prova contro colui che l'ha resa, vertendo su diritti non disponibili. - Dal punto dell’obbligazione tributaria: la dichiarazione è da considerare diversamente a seconda che si segua la teoria costitutiva o quella dichiarativa. Secondo la prima, la dichiarazione è elemento della fattispecie costitutiva dell'obbligazione, mentre secondo la teoria dichiarativa il presupposto da solo determina il sorgere dell'obbligazione tributaria, per cui la dichiarazione è estranea al congegno che genera l'obbligazione. - Dal punto di vista della riscossione: la dichiarazione è titolo per la riscossione dell'imposta liquidata in base a quanto dichiarato. L’amministrazione finanziaria effettuando la liquidazione automatica e il controllo formale ex artt. 36 bis e ter dpr 600, può porre in riscossione con l’iscrizione a ruolo le somme non versate ma dovute in base alla stessa dichiarazione. - Dal punto di vista del credito o diritto al rimborso: la dichiarazione dei è titolo costitutivo di un credito del contribuente, nel caso in cui l'ammontare complessivo dei crediti di imposta, dei versamenti e delle ritenute è superiore all'ammontare dell'imposta netta sul reddito complessivo. Il contribuente, a sua scelta, ha diritto di computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta del successivo periodo d'imposta o di chiederne il rimborso nella stessa dichiarazione dei redditi. La dichiarazione che espone un credito vale come istanza di rimborso. 
 32 di efficacia e invalidità dei provvedimenti amministrativi. Gli atti tributari devono indicare il responsabile del procedimento ex art. 7 dello Statuto. - In materia tributaria non si applicano le norme della L. 241 sulle attività discrezionali. La L. 241 prevede espressamente che le norme in tema di partecipazione del cittadino al procedimento non si applicano ai procedimenti tributari e rinvia alla “particolari norme che li regolano”, contenute nelle leggi tributarie. Anche in materia di accesso agli atti non si applica la L. 241. L’accesso può essere esercitato solo dopo la conclusione del procedimento tributario. 
 - Importante è poi il richiamo ai principi dell’ordinamento comunitario operato dalla L. 241. Si tratta dei principi della carta di Nizza e della corte di giustizia, sulla base di regole comuni al diritto nazionale degli Stati membri. Tra i principi da tenere in considerazione vi sono: il principio del contraddittorio, l’obbligo di motivazione, la risarcibilità dei danni prodotti dalle PA, il termine ragionevole entro cui le PA devono pronunciarsi, il principio di buona fede e tutela del legittimo affidamento, il principio di proporzionalità. 
 - Il procedimento di imposizione inizia sempre d’ufficio, perché la dichiarazione tributaria non può essere considerata atto di avvio del procedimento. Nel procedimento tributario di imposizione non vi è una sequenza predeterminata di atti da porre in essere prima dell'emanazione dell'atto finale. Alla fase istruttoria segue quella decisionale. Il procedimento tributario di imposizione può concludersi o con la notifica di un atto impositivo o anche senza l'emanazione di alcun provvedimento. Non vi è una fase integrativa dell'efficacia del provvedimento impositivo, perché esso produce effetti immediati sull'obbligazione tributaria; la sua esecuzione è data dalla riscossione. 3. Il potere impositivo. Natura vincolata e indisponibilità Il potere impositivo è un potere vincolato. L'amministrazione finanziaria non può disporre né del potere impositivo, né dei suoi diritti di credito (cd. indisponibilità dell'obbligazione tributaria). Per questo motivo tra i modi di estinzione dell'obbligazione tributaria non vi è né la novazione, né la remissione del debito. Questo principio però non esclude che l’Amm. finanziaria possa riconoscere l’illegittimità totale o parziale di una atto impositivo e ritirarlo in via di autotutela, determinando così l’estinzione del processo. È ammessa anche l’acquiescenza tacita ex art. 329 c.p.c. da parte dell’Amm. finanziaria rispetto ad una pronuncia delle Commissioni tributarie, perché il carattere vincolato del potere impositivo e il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria non la sottraggono dalle regole ordinarie del processo. 4. I principi dello Statuto. Collaborazione e buona fede L’art. 10, co. 1, dello Statuto prevede che “i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione della buona fede”. La norma si riferisce alla buona fede in senso oggettivo, che è regola di correttezza. La buona fede in senso soggettivo è la convinzione di agire correttamente, secondo le regole. L’Amministrazione deve ad esempio correggere gli errori macroscopici in cui sia incorso il contribuente in buona fede, ritirare gli atti impositivi illegittimi (cd. autotutela). In applicazione del principio di proporzionalità, l'amministrazione finanziaria “non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria” e deve garantire al contribuente la limitazione dei mezzi con i quali la sua sfera giuridica è attinta dai provvedimenti amministrativi. 4.1 Il legittimo affidamento del contribuente L'art. 10 dello Statuto tutela il legittimo affidamento del contribuente, quale corollario del principio di collaborazione e buona fede. Costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata: - da un'apparente legittimità e coerenza dell'attività dell'amministrazione finanziaria in senso favorevole al contribuente; - buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall'assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza; - dall'eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono; L'art. 10 co. 2 dello Statuto prevede, quale conseguenza del legittimo affidamento, che non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi moratori al contribuente quando “si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errore dell'amministrazione 35 stessa”. Escluse le sanzioni e gli interessi, il tributo resta dovuto. 
 L'amministrazione può modificare l'interpretazione di una disposizione di legge, ma nel caso in cui la nuova interpretazione sia peggiorativa per il contribuente non deve essere leso l'affidamento che egli ha riposto in un documento ufficiale dell'Amministrazione. Se il contribuente si è comportato in un certo modo facendo affidamento sulla interpretazione ministeriale e, in seguito, l’interpretazione muta in pejus, il nuovo orientamento non deve essere applicato per il passato. 
 L'art. 10 co. 3 dello Statuto prevede la non irrogabilità delle sanzioni quando la violazione dipende da obiettiva incertezze normative circa la norma violata e quando la violazione è meramente formale. 
 4.2 I doveri informativi dell’amministrazione finanziaria Con riguardo agli obblighi di informazione, l’Amministrazione deve ad esempio: - assumere iniziative volte a conseguire la conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria; - assumere iniziative di informazione elettronica, tale da consentire aggiornamenti in tempo reale, ponendola a disposizione gratuita dei contribuenti; - portare a conoscenza dei contribuenti le circolari e le risoluzioni da essa emanate, nonché ogni altro atto e decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti; - garantire al contribuente l’effettiva conoscenza degli atti a lui destinati, senza violare il diritto di riservatezza; L’Agenzia delle entrate deve mettere a disposizione del contribuente i dati di cui dispone relativi a ricavi, compensi, agevolazioni, detrazioni e crediti d’imposta. 
 L’art. 9 dello Statuto prevede il potere del Ministro di rimettere in termine i contribuenti che non hanno potuto adempiere gli obblighi tributari per cause di forza maggiore e di sospendere o differire per l’adempimento degli obblighi tributari in caso di eventi eccezionali ed imprevedibili (ad es. il Ministero dell’economia e delle finanze aveva sospeso i termini per l’adempimento degli obblighi tributari ai favore dei contribuenti interessati dall’emergenza epidemiologica Covid-19 con DM 24/02/2020). 5. Il contraddittorio procedimentale 
 Il contraddittorio è un principio del processo, ma viene richiamato anche per indicare la partecipazione del privato nei procedimenti amministrativi. Le norme sul contraddittorio previste dalla legge sul procedimento amministrativo non si applicano in materia tributaria; e, nel diritto tributario, non vi sono norme che sanciscono l'obbligo del contraddittorio. Vi sono casi in cui però è espressamente prevista la partecipazione obbligatoria del contribuente: - l’ufficio deve comunicare al contribuente l’esito del controllo automatico e del controllo formale della dichiarazione, quando emerge un risultato diverso da quello dichiarato. È illegittima la cartella di pagamento emessa senza preventivo avviso bonario (dpr 600/1973 artt. 36bis, 36ter); - l’ufficio, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti da liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, deve invitare il contri,buente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti (art. 6 Statuto) - l'ufficio, prima di emettere l'accertamento di un'operazione considerata elusiva, deve notificare al contribuente una richiesta di chiarimenti, indicando i motivi per i quali ritiene configurabile un abuso di diritto (art. 10bis Statuto); - l’ufficio, quando intende rettificare il reddito in via sintetica, ha l'obbligo di invitare il contribuente a fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento e di inviare il procedimento di accertamento con adesione (art. 38 dpr 600/1973); - al termine delle indagini deve essere redatto il processo verbale, di cui deve essere consegnata copia all’indagato. Il soggetto indagato dispone di 60 giorni per presentare osservazioni e richieste all'ufficio impositore; l'avviso di accertamento notificato prima di tale termine è nullo. Il contraddittorio è da considerare obbligatorio anche in caso di accertamento fondato su indagini bancarie (facoltativo secondo la giurisprudenza), perché le presunzioni operano solo se è permesso al contribuente di provare il contrario. In caso di accertamento in base agli studi di settore non è previsto a pena di nullità ma viene considerato necessario dalla giurisprudenza. 
 Il contraddittorio nei procedimenti amministrativi è obbligatorio secondo il diritto dell'UE, come affermato dalla Corte di Giustizia. 36 La carta di Nizza prevede espressamente “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio”. Da ciò deriva che il contraddittorio è obbligatorio nelle materie in cui vale il diritto dell'UE. La Cassazione ha statuito il contraddittorio obbligatorio per i tributi armonizzati (es. Iva), ma non per gli altri tributi. Secondo la giurisprudenza dell'UE, la violazione del contraddittorio rende annullabile il provvedimento adottato soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso. Dal 1 luglio 2020, prima di emettere un avviso di accertamento, l’Amministrazione deve invitare il contribuente a comparire per l’avvio del procedimento di accertamento con adesione (art. 5 ter d.lgs. 218/97, introdotto dal cd. “decreto crescita” D.L. 34/2019). L’obbligatorietà del contraddittorio viene esclusa in una serie rilevante di casi (es. casi di particolare urgenza, ipotesi di fondato pericolo per la riscossione). Il mancato avvio del contraddittorio comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento solo se, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato. 6. Il regime di adempimento collaborativo e gli accordi preventivi Una forma regolamentata di collaborazione tra contribuente e fisco è il regime di adempimento collaborativo, al quale possono aderire i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale (contribuenti di maggiori dimensioni). Il regime comporta per l’Agenzia delle entrate: - la valutazione del sistema di controllo adottato; - la pubblicazione periodica dell'elenco delle operazioni, strutture e schemi ritenuti di 
 pianificazione aggressiva; - promozione di relazioni con i contribuenti improntate a principi di trasparenza, collaborazione e correttezza; - semplificazione degli adempimenti tributari; - esame preventivo delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali significativi; - esame delle valutazioni effettuate dagli organi di gestione e delle attività dei soggetti incaricati della revisione contabile. Il regime comporta per i contribuenti: - istituzione e mantenimento del sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale; - comunicazione all'agenzia dei rischi di natura fiscale e delle operazioni che possono rientrare nella pianificazione fiscale aggressiva; - risposta alle richieste dell'Agenzia delle Entrate nel più breve tempo possibile; - promozione di una cultura aziendale improntata a principi di onestà, correttezza e rispetto delle norme. Per i contribuenti, il regime in esame comporta il vantaggio di pervenire con l'Agenzia a una comune valutazione delle situazioni suscettibili di generare rischi fiscali. Si prevede una procedura abbreviata di interpello preventivo: l'Agenzia deve esaminare l'interpello entro 15 giorni dal ricevimento e rispondere entro 45 giorni. 
 7. Gli interpelli 
 L'art. 11 dello Statuto attribuisce ai contribuenti il diritto di presentare all'Agenzia delle entrate "circostanziate e specifiche istanze" con cui viene richiesto un parere circa l'interpretazione di una disposizione tributaria, con riguardo ad un caso concreto e personale. I tipi di interpelli sono: 1) Interpello ordinario: si divide in interpretativo (che riguarda le norme tributarie in generale quando vi siano condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione) e qualificatorio (relativo ad esempio alla qualificazione di una struttura come stabile organizzazione); 2) Interpello probatorio: concerne la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali; 3) Interpello anti-abuso: relativo all'applicazione della disciplina antielusiva o antiabuso del diritto; 4) Interpello disapplicativo: per ottenere un provvedimento che disponga la disapplicazione di norme che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. 37 b) riduce le detrazioni di imposta, le deduzioni del reddito e i crediti d'imposta indicati in misura superiore a quella prevista dalla legge o non spettanti sulla base di quanto dichiarato c) controlla che i versamenti siano tempestivi e corrispondenti a quanto dichiarato. Anche le dichiarazioni annuali dell'Iva sono soggette ad un controllo mediante procedure automatizzate: l’Amministrazione corregge gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione del volume d'affari e delle imposte e nel riporto delle eccedenze d'imposta risultanti dalle precedenti dichiarazioni; inoltre controlla la corrispondenza con quanto dichiarato dei versamenti eseguiti a titolo di acconto e di conguaglio e delle liquidazioni periodiche. Il risultato del controllo, se diverso dal dichiarato, è comunicato al contribuente, che è invitato a versare la maggiore somma così liquidata; se il contribuente versa, è evitata l'iscrizione a ruolo e la sanzione è ridotta ad 1/3. 2. Il controllo formale delle dichiarazioni Alla liquidazione ora descritta può seguire il cd. controllo formale delle dichiarazioni, disciplinato dall’art. 36 ter dpr 600/1973, a cui gli uffici dell'Agenzia delle entrate provvedono entro il 31 dicembre del 2° anno successivo a quello di presentazione, sulla base di criteri selettivi. Non vengono dunque controllate tutte le dichiarazioni. Il controllo formale riguarda alcune voci della dichiarazione, che devono essere giustificate documentalmente. È prevista una forma di contraddittorio: il contribuente è infatti invitato a fornire chiarimenti in ordine ad alcuni elementi della dichiarazione, a trasmettere documenti che li giustificano, o ad esibire le ricevute dei versamenti. Il controllo formale si differenzia quindi dalla liquidazione perché non riguarda solo la dichiarazione, ma anche i documenti che devono corredarla. In esito al controllo formale, gli uffici dopo aver invitato il contribuente a produrre documenti o fornire chiarimenti: a) escludono lo scomputo delle ritenute d'acconto non documentate; b) escludono le detrazioni di imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi comunicati all'anagrafe tributaria da banche, assicurazioni e altri enti; c) escludono le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli elenchi comunicati all’anagrafe; d) quantificano i crediti d'imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti; e) liquidano la maggior imposta sul reddito delle persone fisiche e i maggiori contributi dovuti sull'ammontare complessivo dei redditi risultanti da dichiarazioni o certificati, presentati nello stesso anno dal medesimo contribuente; f) correggono gli errori materiali e di calcolo contenuti nelle dichiarazioni dei sostituti d’imposta. L'esito del controllo formale è comunicato al contribuente con l'indicazione dei motivi che hanno dato luogo alla rettifica degli imponibili o di altri dati dichiarati, anche per consentire al contribuente di segnalare all'ufficio dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente in sede di controllo formale. Tali attività in sintesi, sono dirette alla determinazione del debito d'imposta derivante dal reddito dichiarato, e, se ad esse non segue l'esatto adempimento da parte del contribuente, l'Amministrazione provvede a iscrivere a ruolo le somme dovute.
 3. Il controllo sostanziale Il controllo sostanziale delle dichiarazioni è svolto dagli uffici dell'Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza. Primaria fonte di dati è l'anagrafe fiscale. Ogni contribuente ha un numero di codice fiscale ed è iscritto nell'anagrafe tributaria, in cui sono raccolti “su scala nazionale i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell'amministrazione finanziaria ed ai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono comunque assumere rilevanza ai fini tributari”. Gli uffici dell'amministrazione finanziaria eseguono il controllo sostanziale delle dichiarazioni avvalendosi dei dati acquisiti secondo le norme che disciplinano i suoi poteri di indagine. Gli uffici possono avvalersi, oltre che dei dati tratti dalle fonti espressamente previste, altresì delle informazioni di cui siano comunque in possesso. Può trattarsi anche di notizie tratte dalla stampa o da internet. L'Agenzia delle entrate dunque può porre a base degli accertamenti ogni elemento probatorio, di cui non sia impedita l'utilizzabilità da disposizioni espresse di legge o dalla violazione di diritti del contribuente costituzionalmente garantiti. Si è ritenuto che gli uffici possono avvalersi anche di dati bancari illecitamente acquisiti all’estero, trasmessi alla nostra Amm. 40 finanziaria nel rispetto delle procedure internazionali sullo scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali, poiché il segreto bancario non è costituzionalmente garantito. 3.1 Inviti e richieste Per controllare la posizione fiscale di un contribuente, l'ufficio può invitarlo a comparire di persona per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento nei suoi confronti. In secondo luogo, l'ufficio può invitare il contribuente ad esibire e trasmettere atti e documenti; ai soggetti obbligati alla tenuta della contabilità può essere richiesta l'esibizione dei bilanci o delle scritture contabili. In terzo luogo, l'ufficio può inviare ai contribuenti questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell'accertamento nei loro confronti. L’amministrazione finanziaria deve acquisire d’ufficio le informazioni già possedute da altre PA che riguardino lo status del contribuente (art 6 Statuto).
 L'ufficio può richiedere agli organi e alle Amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non economici, alle società di assicurazione, agli enti che effettuano pagamenti e riscossioni per conto terzi o che svolgono attività di intermediazione e gestione finanziaria, la comunicazione di dati e notizie relative a determinati soggetti o categorie di soggetti. Inoltre l'ufficio può richiedere ai notai, ai procuratori del registro, ai conservatori dei registri immobiliari e ad ogni altro pubblico ufficio copie di atti depositati presso di essi. Ad ogni altro soggetto possono essere richiesti atti e documenti fiscalmente rilevanti concernenti specifici rapporti intrattenuti con il contribuente. 3.2 Indagini bancarie Per il fisco il segreto bancario non esiste. Come affermato dalla Corte costituzionale, il dovere di riservatezza, connesso con il segreto bancario non può essere di ostacolo all'accertamento degli illeciti tributari; non sono applicabili al segreto bancario le garanzie dei diritti di libertà personale, non essendovi, alla base del segreto bancario, valori della persona umana da tutelare, ma più semplicemente interessi patrimoniali. Ciò non significa che le indagini bancarie non siano soggette a vincoli e a limiti. Le indagini bancarie possono essere svolte in via amministrativa dall'Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza, che può eseguirle anche in veste di polizia giudiziaria. Per svolgere le indagini bancarie, gli uffici dell'Agenzia delle entrate devono essere autorizzati dalla Direzione regionale; la Guardia di Finanza deve essere autorizzata dal Comandante di zona (l'assenza dell'autorizzazione non rende inutilizzabili i dati acquisiti). Le banche devono comunicare all'anagrafe tributaria il nome dei loro clienti e la natura dei rapporti intrattenuti. Uffici e Guardia di finanza svolgono le indagini richiedendo alle banche "dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi". La richiesta può essere indirizzata, oltre che alle banche, alla società Poste Italiane, agli intermediari finanziari, alle imprese di investimento, alle società di gestione del risparmio. Se la banca non risponde tempestivamente, gli uffici delle imposte hanno facoltà di disporre l'accesso dei propri impiegati presso le banche per rilevare direttamente i dati e le notizie. La banca deve dare immediata notizia al contribuente delle richieste ricevute. Ai dati bancari sono collegate due previsioni, una generica e una specifica: - In base alla prima la prima, l'ufficio può fondare gli avvisi di accertamento sui dati bancari, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nella determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza. - In base alla seconda seconda, per i soli imprenditori, l’ufficio può porre come ricavi o compensi, a fondamento delle rettifiche e degli accertamenti, i prelevamenti e gli importi riscossi "se il contribuente non indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni". Altra cosa sono i prelevamenti (di contanti o mediante bonifici bancari o emissione di assegni) che rappresentano un costo o un impiego di reddito. La norma si può comprendere ravvisandovi una doppia presunzione: che il prelevamento sia stato utilizzato per un acquisto inerente alla produzione del reddito; e che al costo non contabilizzato corrisponda un ricavo pure non contabilizzato. La presunzione è relativa; il contribuente può superarla indicando il beneficiario del prelevamento. Ai fini Iva, la constatazione che sono stati effettuati prelevamenti che non trovano riscontro nella contabilità può fondare la presunzione che con essi sono stati pagati beni o servizi non fatturati. Si prevede che l'ufficio può chiedere dati e notizie al contribuente, invitandolo a comparire di persona o inviandogli questionari. Ma, secondo la giurisprudenza, il contraddittorio non è 41 obbligatorio. La norma, peraltro, prevede che le presunzioni sono operanti solo se il contribuente non fornisce la prova contraria, e ciò implica che le presunzioni non possono essere poste alla base di accertamenti se non è stata data al contribuente la possibilità di provare il contrario, prima dell'emissione dell'avviso. Il contraddittorio preventivo dunque è requisito di legittimità dell'avviso. 
 3.3 Accessi, ispezioni e verifiche La forma principale di controllo dei contribuenti è la verifica, che consiste in una serie di operazioni che iniziano con l'accesso in un luogo, seguito da ispezioni documentali ed altri controlli e si conclude con la redazione di un processo verbale di constatazione. Il controllo delle imprese di rilevanti dimensioni è effettuato periodicamente. L'art. 14 Cost. dispone che il domicilio è inviolabile, ma ammette che vi si possono eseguire ispezioni, perquisizioni e sequestri "nei casi e modi stabiliti dalla legge, secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale". È poi prevista una riserva di legge: gli accertamenti e le ispezioni sono ammesse per fini fiscali, ma devono essere regolati da "leggi speciali". Gli accessi fiscali sono disciplinati dall'art. 33 del d.p.r. 600/1973. Il legislatore ha ritenuto che la tutela costituzionale del domicilio non riguardi l'accesso nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, agricole, artistico e professionali; per accedere in tali locali si richiede l'autorizzazione del capo dell'ufficio o del Comandante di zona, con provvedimento che ne indica lo scopo. Però, nel caso di accesso nei locali destinati all'esercizio di arti e professioni, è richiesta la presenza del titolare dello studio. Vi è qui da contemperare la tutela dell'interesse fiscale con quella del segreto professionale; perciò, è necessaria l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica "per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale". Per l'accesso alle abitazioni è necessaria, oltre all'autorizzazione del Capo dell'ufficio dell'Agenzia o del Comandante di zona della Guardia di finanza, anche l'autorizzazione del Procuratore della Repubblica, che può essere concessa, con atto motivato, soltanto in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali, e allo scopo di reperire libri, registri, documenti e altre prove delle violazioni. L'autorizzazione del Procuratore della Repubblica è necessaria anche per procedere a perquisizioni personali e all'apertura coattiva di plichi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili. L'atto del Procuratore della Repubblica è un atto amministrativo discrezionale e motivato. Tale atto può essere sindacato dal giudice tributario. L'art.12 dello Statuto prevede che, quando inizia la verifica, "il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l'abbiano giustificata e dell'oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche". L’art. 12 dello Statuto prevede che gli accessi, le ispezioni e le verifiche fiscali nei locali destinati all'esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistico o professionali sono effettuati durante l'orario ordinario di esercizio dell'attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse. Su richiesta del contribuente, l'esame dei documenti amministrativi e contabili può essere effettuato nell'ufficio dei verificatori o presso il professionista che lo assiste o rappresenta. Nel corso della verifica vengono eseguite "ispezioni documentali" su libri, registri, documenti e altre scritture che si trovano nei locali, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatori. La verifica contabile è una forma specifica di controllo, rivolta ad esaminare completezza, esattezza e veridicità della contabilità, sulla scorta delle fatture e altri documenti, anche mediante confronto con documenti e scritture contabili di terzi. Le verificazioni sono controlli sugli impianti, sul personale dipendente, sull'impiego di materie prime e altri acquisti, e su ogni altro elemento utile ai fini del controllo dell'esatto adempimento delle norme fiscali. 3.4 Garanzie e diritti statutari del contribuente sottoposto a verifiche Gli accessi, le ispezioni e le verifiche fiscali si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minore turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse, nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente. L'art 12, comma 2, dello Statuto prevede che, quando inizia la verifica, “il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell'oggetto che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato alla difesa dinanzi agli organi di giustizia tributaria, nonché dei diritti e degli obblighi che vanno riconosciuti al contribuente in occasione delle verifiche”. 42 CAPITOLO 10: L’AVVISO DI ACCERTAMENTO 
 1. Natura giuridica dell’avviso di accertamento
 L’atto conclusivo del procedimento amministrativo di applicazione delle imposte è un provvedimento denominato avviso di accertamento. I provvedimenti amministrativi sono generalmente discrezionali, essendo il frutto di scelte non vincolate dalla legge. Invece, l’avviso di accertamento è espressione di una funzione vincolata e da ciò deriva che in esso non è riscontrabile il vizio di eccesso di potere, che può aversi solo negli atti amministrativi discrezionali. L’atto di imposizione è esecuzione della legge, ma in esito ad apprezzamenti di fatti e valutazioni giuridiche ed il sindacato giurisdizionale, cui è soggetto, può avere per oggetto vizi relativi al presupposto di fatto e vizi relativi ai profili di diritto: è un sindacato di legittimità. L’amministrazione finanziaria opera delle scelte quando decide quali soggetti sottoporre a controllo, ma, una volta effettuato il controllo, non esiste discrezionalità in ordine all’an e al contenuto del provvedimento da emanare. L’avviso di accertamento è, dunque, un provvedimento amministrativo vincolato, che determina autoritativamente l’obbligazione tributaria. 2. Contenuto precettivo e sottoscrizione
 Nell’avviso di accertamento possiamo distinguere due parti: motivazione e dispositivo (o parte precettiva). La parte dispositiva è data dalla statuizione relativa alla base imponibile e all'obbligazione tributaria; la motivazione invece è l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche per cui è emanato l'avviso. 
 L’avviso di accertamento in materia di imposte sui redditi è disciplinato dal dpr 600/1973. Per quanto riguarda la parte dispositiva, l’art. 42 dpr 600, stabilisce che l’avviso di accertamento “deve recare l’indicazione dell’imponibile o degli imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute e dei crediti d’imposta”. Non tutte queste indicazioni appartengono al contenuto indeclinabile ed essenziale dell’atto: le statuizioni sulle detrazioni, sui crediti d’imposta, sulle ritenute sono eventuali (non ricorrono in tutti gli avvisi). Ciò che appare essenziale è soltanto la determinazione dell’imponibile. 
 Solitamente l’avviso statuisce sull’imposta dovuta, ma vi sono anche avvisi senza imposta: 1. Una prima ipotesi di avviso senza imposta è data dall’accertamento dei redditi delle società di persone ai quali si applica il principio di trasparenza, con cui è determinato l’imponibile della società da imputare, pro quota, a ciascun socio, agli effetti dell’imposta dovuta dal socio 2. Una seconda ipotesi è data dagli accertamenti di redditi per i quali hanno rilievo anche le perdite. Se, ad esempio, una società commerciale ha dichiarato una perdita, e l'avviso di accertamento determina una perdita minore di quella dichiarata, un simile avviso non contiene alcuna statuizione sull'imposta. Nell’Iva, l’avviso di accertamento può contenere una nuova determinazione non solo dell’imposta dovuta, ma anche dell’imposta detraibile e rimborsabile (art. 56 dpr 633/1972). L’ufficio, dunque, con la rettifica della dichiarazione, determina autoritativamente il quantum delle varie operazioni, calcolando l’imposta dovuta sulle operazioni imponibili, l’imposta detraibile e la somma riscuotibile o rimborsabile. È da escludere un accertamento che riguardi soltanto l’imponibile. Se il contribuente non presenta la dichiarazione, l’ufficio determina induttivamente l’ammontare imponibile complessivo e l’aliquota applicabile, computando in detrazione i versamenti effettuati e le detrazioni che risultano dalle liquidazioni periodiche. Nell’imposta di registro, la rettifica ha per oggetto il valore venale dei beni o diritto sui quali deve essere applicato il tributo. A ciò si aggiunge la liquidazione dell’imposta, con gli interessi e le sanzioni. Oltre che determinare l'imposta, solitamente gli avvisi di accertamento contengono anche l'irrogazione di sanzioni. Le sanzioni collegate al tributo, infatti, devono essere irrogate, senza previa contestazione e a conclusione del procedimento di accertamento del tributo, con atto contestuale all'avviso di accertamento o di rettifica, motivato a pena di nullità. L’avviso di accertamenti deve essere sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato, altrimenti è nullo (art. 42 dpr 600). 2. 1. La motivazione Ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, indicando “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria” (art. 3 L. 241/1990). Tale disposizione è richiamata dall’art. 7, co. 1, dello 45 Statuto, che ribadisce l’obbligo di motivare gli atti tributari indicandone “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche”. Nelle singole leggi d’imposta vi sono altre disposizioni, che precisano il contenuto della motivazione: - Imposte sui redditi: l’avviso di accertamento deve essere motivato indicando, con i presupposti di fatto, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato con “distinto riferimento ai singoli redditi delle varie categorie” e con “la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni” (art. 42 dpr 600). - Iva: negli avvisi “devono essere indicati specificatamente, a pena di nullità, gli errori, le omissioni e le false o inesatte indicazioni su cui è fondata la rettifica e i relativi elementi probatori. Per omissioni e le inesattezze desunte in via presuntiva devono essere indicati i fatti certi che danno fondamento alla presunzione” (art. 56 dpr 600). Se, prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento, il contribuente interviene nel procedimento esponendo le sue ragioni, sorge l’obbligo della motivazione rafforzata, cioè contenente l’esame delle deduzioni del contribuente. Se il contribuente, dopo il rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica, comunica all’ufficio osservazioni e richieste, la motivazione dell’avviso di accertamento ne deve tener conto (art. 12 Statuto). Anche nell’ipotesi di invito a comparire, in caso di mancata adesione, l’avviso di accertamento è specificatamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente ne corso del contraddittorio (art. 5 ter d.lgs. 218/1997). Gli avvisi di accertamento possono essere motivati richiamando altri atti (motivazione per relationem). L’atto richiamato deve essere allegato. Possono non essere allegati gli atti già conosciuti del contribuente, come il processo verbale di constatazione, o già notificati o comunque noti o in possesso del contribuente. La motivazione deve essere chiara in modo da consentire al contribuente, sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an e il quantum debeatur. 
 L’art. 7 co. 2 dello Statuto prevede che gli atti dell’amministrazione finanziaria e degli agenti della riscossione devono tassativamente indicare: - l’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; - l’organo o l’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela; - le modalità, il termine, l’organo giurisdizionale o l’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. Non si tratta di indicazioni la cui omissione renda invalido l’atto tributario. 3. La notificazione L'avviso di accertamento deve essere notificato al suo destinatario. La notificazione non è soltanto il modo con cui tale atto viene portato a conoscenza del destinatario, ma la modalità con cui esso viene ad esistenza: l’atto esiste ed esplica effetti in quanto sia notificato. La notificazione dell'avviso di accertamento e in generale degli atti tributari è regolata dall’art. 60 dpr 600 che richiama le norme del c.p.c. in tema di notificazione degli atti processuali, aggiungendo le seguenti regole: - la notificazione degli atti tributari è eseguita dai messi comunali o da messi speciali autorizzati dall'Agenzia delle entrate; - il messo deve far sottoscrivere dal consegnatario l'atto o l'avviso ovvero indicare i motivi per i quali il consegnatario non ha sottoscritto. Se il consegnatario non è il destinatario dell’atto o dell’avviso, il messo consegna o deposita la copia dell’atto da notificare in busta che provvede a sigillare e su cui trascrive il numero cronologico della notificazione, dandone atto nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto stesso; - è facoltà del contribuente eleggere domicilio presso una persona o un ufficio nel comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano; - salvo il caso di consegna dell'atto o dell'avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel comune di domicilio fiscale del destinatario; - se l'atto non è consegnato in mani proprie, si applica l’art. 139 c.p.c.: l’atto è da notificare presso la casa di abitazione o l'ufficio del destinatario; se non è possibile consegnare la copia dell'atto per irreperibilità del destinatario o per mancanza di persone abilitate a riceverla, il messo deve depositare l'atto in comune, affiggere un avviso sulla porta della casa o dell'ufficio del destinatario e dargliene notizia a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento. La 46 notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede, mediante consegna dell'atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere la copia o ad altra persona addetta alla sede; - il contribuente che non ha la residenza nello Stato, se non vi ha eletto domicilio né nominato un rappresentante fiscale, può comunicare all'ufficio l'indirizzo per la notificazione degli avvisi e degli altri atti che lo riguardano; fatto salvo il caso di consegna dell'atto o dell'avviso in mani proprie, la notificazione è eseguita mediante spedizione a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento; - non si applicano agli atti tributari le disposizioni in tema di notificazione a persona di residenza, dimora e domicilio sconosciuti, a militari in attività di servizio, mediante pubblici proclami e in forma ordinata dal giudice. La notifica deve considerarsi avvenuta, per il notificante, con il compimento delle sole formalità che non sfuggono alla sua disponibilità, fermo restando che gli effetti della notifica sono condizionati al perfezionamento del procedimento anche per il destinatario. Gli effetti della notificazione a mezzo del servizio postale si producono per il notificante al momento della consegna dell'atto al personale del servizio postale. Per il destinatario rileva la data in cui l'atto è ricevuto; è dalla ricezione dell'atto che decorre il termine per impugnare. 
 Poiché l'atto di imposizione viene ad esistenza attraverso la notificazione, i vizi di notificazione sono vizi che attengono alla formazione dell'atto. La giurisprudenza applica alla notificazione dell'avviso di accertamento le norme sulla sanatoria delle notifiche invalide degli atti processuali (art.156 c.p.c.) e ritiene che il ricorso contro l'avviso di accertamento sani i vizi di notificazione, in quanto dimostra che l’atto è stato ricevuto e che la notifica ha raggiunto il suo scopo. Non sono però sanabili le notificazioni da considerare giuridicamente inesistenti. 
 3.1 La notificazione telematica 
 La notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato può essere effettuata a mezzo di PEC, all'indirizzo del destinatario risultante dall'indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata. Ai fini del rispetto dei termini di prescrizione e decadenza, la notificazione si intende perfezionata: - per il notificante nel momento in cui il suo gestore della casella di posta elettronica gli trasmette la ricevuta di accertamento con la relativa attestazione temporale che certifica l'avvenuta spedizione del messaggio; - per il destinatario alla data della consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di posta elettronica del destinatario trasmette all'ufficio o nel 15° giorno successivo a quello della pubblicazione dell'avviso nel sito internet della società infocamere Scpa. 3.2 I termini della notificazione L’avviso di accertamento non può essere notificato prima che siano decorsi 60 giorni dalla consegna del processo verbale al contribuente, per consentirgli di presentare osservazioni e richieste all'ufficio impositore (art. 12 Statuto). L'avviso di accertamento notificato anzitempo è invalido, salvo casi di particolare e motivata urgenza. La notificazione deve essere effettuata non oltre un termine previsto a pena di decadenza. Per il notificante vale la data in cui la notificazione è richiesta. Per il destinatario vale la data della ricezione: da tale data decorre il termine per impugnare. Se la notificazione non è effettuata entro quel termine, l’atto notificato in ritardo è annullabile. - Per le imposte sui redditi e per l'Iva l'avviso deve essere notificato entro il 31 dicembre del 5° anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. - Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione il termine scade il 31 dicembre del 7° anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Stesso termine in caso di dichiarazione nulla (art. 43 dpr 600 e art. 57 dpr 633). - Per l'imposta di registro vi è un termine di decadenza di 5 anni per l'accertamento dell'imposta sugli atti non registrati, a decorrere da quando doveva essere richiesta la registrazione, di 3 anni per riliquidare l'imposta principale o suppletiva e di 2 anni per la rettifica del valore imponibile. In caso di invito a comparire per la definizione dell’accertamento con adesione, qualora tra la data di comparizione e quella di decadenza dell’Amm. dal potere di notificazione dell’atto impositivo, intercorrano meno di 90 gg, il termine di decadenza è automaticamente prorogato di 120 gg. 47 senso forte e che gli atti tributari affetti da tale forma grave di invalidità siano privi di efficacia. Il contribuente deve impugnare il 1° atto successivo. 6. Il divieto di doppia imposizione Vi è doppia imposizione se uno stesso presupposto è tassato più volte, con la stessa imposta o con più imposte, nei confronti dello stesso soggetto o di soggetti diversi. Varie ipotesi di doppia imposizione: - distinzione tra doppia imposizione interna e internazionale: per impedire o attenuare la seconda, ovvero la tassazione dello stesso presupposto da parte di due stati diversi, sono stipulate apposite convenzioni internazionali; - distinzione tra doppia imposizione in senso economico e in senso giuridico: la prima si verifica quando il legislatore prevede che uno stesso fatto economico sia tassato con più imposte, e non è vietata, ma anzi voluta dal legislatore. È vietata la doppia tassazione in senso giuridico, che si verifica quando l'amministrazione emette più avvisi di accertamento per tassare più volte lo stesso presupposto nei confronti dello stesso soggetto o di soggetti diversi. Il divieto di doppia imposizione è esplicitamente enunciato per le imposte dirette, ma è un principio generale dell'ordinamento tributario (art. 67 dpr 600; art. 163 Tuir). Il divieto significa anche che lo stesso presupposto non può essere impugnato da soggetti diversi. 7. Definizioni consensuali del rapporto d'imposta 
 Il contribuente, al quale sia notificato un avviso di accertamento, ha alternative diverse all'impugnazione: 1) Può presentare istanza di accertamento con adesione, che sospende il termine per impugnare per 90 giorni. Comporta un ridimensionamento del tributo e la riduzione delle sanzioni ad 1/3 del minimo edittale; l'avviso di accertamento notificato perde efficacia quando si perfeziona l'accertamento con adesione. 2) Può definire solo le sanzioni, pagare 1/3 di quanto irrogato, entro il termine per ricorrere, e impugnare l'avviso di accertamento nella parte concernente il tributo. 3) Può, nel termine di 60 giorni dalla notifica, impugnare l'avviso di accertamento dinanzi alle commissioni tributarie oppure può prestare acquiescenza, cioè decidere di non impugnarlo. In questo caso le sanzioni irrogate sono ridotte a 1/3, occorre però che le somme complessivamente dovute siano pagate prima che scada il termine per proporre ricorso.
 8. Tipologia degli accertamenti. L’accertamento analitico del reddito delle persone fisiche L’avviso di accertamento assume denominazioni diverse a seconda del metodo con cui viene determinato l’imponibile: sotto questo profilo, si distingue l'accertamento analitico e sintetico, analitico-contabile ed induttivo (o extracontabile), presuntivo, ecc. L’accertamento analitico del reddito delle persone fisiche ricostruisce l'imponibile considerandone le singole componenti, viene effettuato quando sono note le fonti dei redditi e si perviene al reddito complessivo sommando i redditi delle singole fonti e categorie (art. 38 dpr 600). All’accertamento di un maggior reddito l’ufficio può prevenire anche mediante presunzioni, semplici o legali (es. movimentazioni bancarie). 8.1 L'accertamento sintetico del reddito delle persone fisiche Il reddito complessivo delle persone fisiche può essere determinato con metodo sintetico, in base alle spese sostenute. L'ufficio può adottare il metodo sintetico mettendo a confronto il reddito dichiarato e quello accertabile in via sintetica, senza bisogno di verificare previamente la congruità dei singoli redditi dichiarati. L'accertamento sintetico, dato il suo carattere presuntivo, non è ammesso per qualsiasi spostamento tra quanto dichiarato e reddito accertabile, ma solo quando il reddito accertabile si discosta di almeno 1/5 da quello netto dichiarato. L'accertamento sintetico ha come base le spese di qualsiasi genere sostenute nel periodo di imposta. Occorre prendere in considerazione tutto ciò che il contribuente e il suo nucleo familiare hanno speso nel periodo di imposta e la cd. quota risparmio. Se la somma è superiore al reddito netto dichiarato si presume che la differenza sia reddito imponibile non dichiarato. 
 Un caso particolare di accertamento sintetico è quello effettuato utilizzando il cd. redditometro. La ricostruzione sintetica del reddito “può essere fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva, individuato mediante l'analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di 50 appartenenza, con decreto del MEF da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale”. Il redditometro è un decreto ministeriale che individua degli "elementi indicativi di capacità contributiva", e fissa dei coefficienti in base ai quali calcolare il reddito complessivo utilizzando gli elementi indicati dal redditometro. Il redditometro considera come indici di reddito: la disponibilità di aerei, elicotteri, navi, barche, auto, camper, roulotte, moto, residenze principali e secondarie, cavalli, collaboratori familiari, premi di assicurazione. Se è applicato il redditometro, il reddito è quantificato usando i coefficienti in esso stabiliti. Gli accertamenti basati sul redditometro sono definiti accertamenti standardizzati. Le presunzioni contenute nel redditometro sono presunzioni semplici e devono essere dimostrate dal fisco volta per volta, in esito al contraddittorio procedimentale. L'ufficio ha l'onere di provare i fatti indice di reddito su cui si basa la presunzione di reddito non dichiarato e posti a base dell’accertamento; deve provare cioè le spese. Grava invece sul contribuente l'onere della prova contraria. È espressamente previsto l'obbligo del contraddittorio. L'ufficio deve invitare il contribuente a comparire per fornire dati rilevanti ai fini dell’accertamento e successivamente dare avvio al procedimento di accertamento con adesione. Deve, inoltre, indicare nell'avviso di accertamento e provare in giudizio i fatti su cui si basa la presunzione di un reddito non dichiarato. L’avviso di accertamento deve essere motivato indicando anche le ragioni per cui non sono state accolte le deduzioni con cui il contribuente ha inteso giustificare il maggior reddito. Il contribuente può difendersi dimostrando che il finanziamento degli elementi considerati dall'ufficio “è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o comunque legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile” (es. redditi di anni precedenti, beni ricevuti per successione/donazione, somme elargite da familiari, ecc.) 8. 2. L’accertamento analitico-contabile dei redditi di impresa L’accertamento analitico-contabile dei redditi d'impresa è effettuato determinando o rettificando, anche in base a presunzioni, singole componenti del reddito; esso presuppone che la contabilità nel suo complesso sia attendibile e che se ne determinino e rettifichino singole componenti. L'art.39 d.p.r. 600/1973 descrive 4 ipotesi di rettifica analitico-contabile: 1) quando si riscontra la violazione di una norma in materia di reddito d'impresa che può comportare variazioni in aumento del reddito fiscale rispetto all’utile civilistico (es. deduzione di quote di ammortamento superiori a quelle ammesse); 2) quando non c’è corrispondenza tra dichiarazione e bilancio (discordanza tra dichiarazione, bilancio e scritture contabili); 3) quando siano rinvenute altre prove documentali, da cui risultino in modo certo e diretto gli elementi probatori che determinano la rettifica; 4) nel caso dell’accertamento cd. analitico-induttivo, che si ha quando può essere affermata l'esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate, anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano queste gravi, precise e concordanti. Va aggiunto che gli accertamenti analitico-induttivi “possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, o dagli studi di settore”. 8.3 Gli indici di affidabilità fiscale (ISA)
 Il reddito degli imprenditori può essere determinato su base contabile quando l’impresa ha una certa dimensione e tiene in modo sistematico la contabilità ordinaria. Non è invece possibile fare affidamento sulla contabilità per l’accertamento del reddito delle imprese minori e dei lavoratori autonomi.
 Sono state perciò adottate procedure di accertamento standardizzato come gli studi di settore, con cui le imprese erano divise in gruppi omogenei sulla base di diversi fattori. Sulla base di tali elaborazioni era individuato l’ammontare presunto dei ricavi o compensi. Dal 2018 gli studi di settore sono stati sostituiti dagli indici sintetici di affidabilità fiscale approvati con decreti ministeriali. Gli indici sono stati elaborati con una metodologia basata su analisi di dati e informazioni relativi a più periodi d’imposta: - rappresentano la sintesi di indicatori elementari tesi a verificare la normalità e la coerenza della gestione aziendale o professionale; 51 - esprimono su una scala da 1 a 10 il grado di affidabilità fiscale riconosciuto a ciascun contribuente. I dati rilevati per l’elaborazione degli indici sono tratti da dichiarazioni dei contribuenti, che devono contenere i dati economici, contabili e strutturali rilevanti per l’applicazione degli indici e dalle molteplici fonti informative di cui dispone l’Agenzia delle entrate. Ai contribuenti in regola con gli indici sono riconosciuti alcuni benefici, come l'esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici. Per i periodi d’imposta 2020 e 2021, gli indicatori sintetici di affidabilità fiscale subiranno delle modifiche per tenere conto degli effetti di natura straordinaria della crisi economica conseguente all’emergenza da Covid-19 (art. 148 D.L. 34/2020). Agli ISA sono riferibili gli orientamenti giurisprudenziali in materia di studi di settore, i quali sono applicabili solo dopo che l’ufficio ha svolto un’attività istruttoria, in contraddittorio con il contribuente, per verificare se ci sono ragioni che confermano i ricavi indicati negli studi di settore o ragioni che giustificano i ricavi in misura inferiore. Secondo la giurisprudenza, gli studi di settore costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità precisione e concordanza nascono dal contraddittorio con il contribuente. Per questa ragione il contraddittorio è da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’avviso di accertamento e l’avviso deve essere motivato esponendo le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativi siano stati disattesi.
 8. 4. L’accertamento induttivo-extracontabile dei redditi di impresa 
 L’accertamento analitico presuppone l’attendibilità complessiva della contabilità. Diverso è il metodo dell'accertamento da adottare quando la contabilità è complessivamente inattendibile o si verificano altre circostanze che possono legittimare un accertamento induttivo. L'ufficio può procedere ad accertamento induttivo extracontabile solo nei 4 casi tassativamente indicati dall’art. 39 dpr 600: 1) quando il reddito di impresa non è stato indicato nella dichiarazione; 2) quando, dal verbale di ispezione, risulta che il contribuente non ha tenuto o ha sottratto all'ispezione una o più delle scritture contabili prescritte ai fini fiscali o quando le scritture non sono disponibili per causa di forza maggiore; 3) quando le omissioni o le false o inattese indicazioni accertate mediante verbale di ispezione o le irregolarità formali delle scritture contabili sono così gravi, numerose e ripetute da rendere nel complesso inattendibili le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica; 4) quando il contribuente non ha dato seguito all'invito a trasmettere o esibire più documenti e non ha risposto al questionario. In presenza di tali situazioni all'ufficio sono attribuite tre facoltà: 1) può avvalersi dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza; 2) può prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e delle scritture contabili; 3) può avvalersi di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. L'ufficio può ritenere inattendibile la contabilità sulla base di prove circostanziate circa le regolarità contabile, non può servirsi di dati astratti, ma deve basarsi su prove concrete, riguardanti il singolo contribuente. Una volta appurato in concreto, l'inattendibilità della contabilità, si apre una seconda fase, volta a ricostruire il reddito: in questa fase, l'ufficio può prescindere dalla contabilità e servirsi di dati ed elementi comunque raccolti e di presunzioni non assistite da requisiti di gravità, precisione e concordanza. È solo in questa seconda fase che l'ufficio può utilizzare medie statistiche e altri consimili dati di carattere astratto, non desunti dalla situazione concreta del singolo contribuente. 9. L’accertamento dell'interposizione fittizia L’ art. 37 dpr 600 considera l’accertamento dei redditi in caso di interposizione fittizia. Se di un reddito appare titolare Tizio, che è un soggetto fittiziamente interposto, essendo il reddito di Caio (interponente), la tassazione deve colpire l’interponente (titolare effettivo), non l'interposto. Perciò, “in sede di rettifica o di accertamento d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”. Quindi l'imposta deve essere posta a carico del possessore effettivo, e non a carico della persona interposta. L’interposizione fittizia appartiene al campo dell’evasione, commessa dal titolare effettivo del reddito fittiziamente imputato ad altro soggetto. In caso di interposizione reale, il fenomeno è da 52 motivazione e la liquidazione delle imposte e degli altri importi dovuti ma con la differenza che non è notificato al contribuente, perché è un atto dell’ufficio sottoscritto anche dal contribuente. Un beneficio per il contribuente concerne la riduzione alla metà delle pene previste per i reati tributari e la non applicabilità delle sanzioni accessorie, se il debito tributario derivante dall'accertamento con adesione è assolto prima dell'apertura del dibattimento di 1° grado. Altro incentivo per il contribuente è dato dalle sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo edittale. L'accertamento con adesione è un accertamento che nasce definitivo: il contribuente non può proporre ricorso e l'ufficio non può modificarlo. In alcuni casi tassativi l'accertamento con adesione può essere integrato con un successivo accertamento, ad esempio se la definizione riguarda accertamenti parziali, se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi dai quali si desume un maggior reddito, ecc. Il versamento delle somme dovute per effetto dell'accertamento con adesione deve essere eseguito entro 20 giorni dalla redazione dell'atto di accertamento. Le somme dovute possono essere versate anche ratealmente, in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo o in un massimo di 16 rate trimestrali, se le somme dovute superano i 150.000 euro. L’importo della prima rata deve essere versato entro 20 giorni. Il perfezionamento dell'accertamento con adesione, che si verifica con il versamento dell'intero importo dovuto entro 20 giorni dalla sottoscrizione di esso o della prima rata, rende inefficace l'avviso di accertamento. L’accertamento con adesione può riguardare anche le imposte su successioni e donazioni, imposte di registro, ipotecarie e catastali. Qui l’accertamento ha per oggetto il valore dei beni o diritti indicati in ciascun atto che ha formato oggetto di imposizione. Il valore definito vincola l’ufficio ad ogni ulteriore effetto limitatamente a questi tributi. Sono escluse adesioni parziali riguardanti singoli beni o diritti contenuti nello stesso atto. Se un atto contiene più disposizioni che non derivano l’una dall’altra, ciascuna di esse, se soggetta ad autonoma imposizione, costituisce oggetto di definizione come se fosse un atto distinto. A seguito della definizione, le sanzioni dovute si applicano nella misura di 1/3 del minimo previsto dalla legge. L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell’ufficio. Sulla natura giuridica dell’accertamento con adesione vi sono 2 orientamenti in dottrina: uno lo considera un contratto (in particolare una transazione), altri invece considerano l’atto dell’ufficio un atto unilaterale di accertamento, esternato in un documento che contiene anche l’adesione del contribuente. Secondo questa tesi l’accertamento con adesione ha la sostanza di un normale accertamento, salvo la circostanza che ad esso il contribuente presta la sua adesione. L’accertamento con adesione è il risultato di un contraddittorio e di un accordo ma comunque è una forma di esercizio del potere impositivo; non può essere quindi un atto di diritto privato. La formalizzazione dell’accordo non avviene in forme privatistiche, ma con un provvedimento impositivo, accettato dal contribuente. 11.3 L’accertamento dei redditi delle società consolidate Regole particolari riguardano l'accertamento con adesione e l'accertamento ordinario dei redditi delle società consolidate. Ogni società, compresa la consolidante, deve presentare la dichiarazione del proprio reddito, cui si aggiunge la dichiarazione di gruppo presentata dalla consolidante. Il controllo delle dichiarazioni proprie presentate dalla società consolidate e dalla consolidante spettano all'ufficio dell'Agenzia delle entrate competente. Al procedimento di accertamento con adesione, concernente le rettifiche delle dichiarazioni proprie di ciascuna consolidata, devono partecipare sia la consolidante che la consolidata interessata dalle rettifiche. L'atto di adesione, sottoscritto anche da una sola di esse, si perfeziona con il versamento di somme dovute in base all'atto di adesione o con il versamento della prima rata. Gli avvisi di accertamento che rettificano il reddito complessivo dichiarato da una consolidata devono contenere anche la rettifica del reddito globale dichiarato dalla consolidante e sono notificati sia alla consolidata, sia alla consolidante. Se è presentato ricorso, la società consolidata e la consolidante sono litisconsorti necessari. Il pagamento delle somme scaturenti dall'atto unico estingue l'obbligazione sia se effettuato dalla consolidata, che dalla consolidante. Se vi sono perdite pregresse non utilizzate nella dichiarazione di gruppo, la consolidante può chiedere che siano dedotte dal maggior imponibile accertato, presentando all'ufficio un'istanza entro il termine di proposizione del ricorso. L'istanza sospende il termine per la presentazione del ricorso sia per la consolidata che per la consolidante, per un periodo di 60 giorni. L'ufficio deve 55 ricalcolare la maggior imposta dovuta e comunicarla alla consolidata e alla consolidante, entro 60 giorni dalla presentazione dell'istanza. 12. L’accertamento d’ufficio Per le imposte sui redditi e per l’Iva, l'accertamento d'ufficio viene emesso quando non è stata presentata, o è nulla, la dichiarazione (art. 41 dpr 600; art. 55 dpr 633). Anche in tal caso, vale la regola che l'accertamento deve essere analitico e può essere sintetico o induttivo solo se l'ufficio non ha potuto raccogliere elementi idonei per una determinazione analitica dell'imponibile. L'ufficio può avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza e può prescindere dalla dichiarazione, se presentata, e dalle scritture contabili, anche se regolarmente tenute, trovando giustificazione nel caso concreto. 13. L’avviso di liquidazione Nell'accertamento dell'imposta di registro, quando rettifica il valore imponibile, l'ufficio deve anche liquidare l’imposta: si ha, quindi, un unico atto contenente la rettifica dell'imponibile e la liquidazione dell'imposta. Può esservi, poi, come atto autonomo, l'avviso di liquidazione nei casi in cui (essendo già determinato l'imponibile) si tratta solo di liquidare l'imposta e chiederne il pagamento (ad esempio, la rettifica della liquidazione dell'imposta liquidata in sede di registrazione di un atto può essere fatto con avviso di liquidazione). L'avviso di liquidazione, in quanto atto determinativo dell’imposta, è un atto impositivo; le determinazioni hanno valore autoritativo e divengono definitive se non impugnate. L’avviso di liquidazione è atto della procedura di riscossione; se ad esso non segue il pagamento del tributo, l'amministrazione può iscrivere a ruolo il debito. 14. L'atto di recupero L'atto di recupero è emesso quando il contribuente dichiara un credito d’imposta che non gli spetta e lo compensa con somme da versare. Con l’atto di recupero l'amministrazione accerta l'insussistenza di un credito d’imposta e recupera somme che non sono state versate perché il relativo debito è stato compensato con il credito d'imposta inesistente. È un atto impositivo che deve essere motivato e notificato come gli avvisi di accertamento; esso è titolo esecutivo, quindi in caso di mancato pagamento entro il termine fissato assegnato, si procede alla riscossione coattiva. 15. L'ingiunzione fiscale L’ingiunzione fiscale in passato era l’atto della riscossione delle imposte indirette, con funzioni di precetto e titolo esecutivo. Quando non era preceduta da un atto di accertamento aveva anche funzioni di accertamento del tributo. Dopo la riforma del 1988, l'ingiunzione ha perduto le funzioni di titolo esecutivo e di precetto, ma è rimasta in vita come atto di accertamento delle imposte indirette, per i tributi per i quali la legge non prevede l'avviso di accertamento come atto tipico. Ingiunzione è atto con cui gli enti locali provvedono alla riscossione coattiva dei tributi, se la riscossione è curata in proprio o affidata a soggetti terzi diversi dagli agenti del servizio nazionale della riscossione. CAPITOLO 11: L’ELUSIONE
 1. Premessa
 L’elusione, o abuso del diritto, secondo l’art. 10-bis dello Statuto è costituita da “operazioni prive di sostanza economica, che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. L'elusione (o abuso di diritto) è diversa dall'evasione perché non è violazione, ma aggiramento dei precetti fiscali. Il comportamento elusivo è un comportamento formalmente conforme alla lettera delle norme fiscali, ma non alla loro ratio, per cui il risparmio fiscale che ne deriva è abusivo. Se il vantaggio fiscale non è indebito, non vi è elusione, ma legittimo risparmio d'imposta. Prima che fosse disciplinata dall’art. 10-bis la materia era disciplinata dall’art. 37-bis dpr 600/1973, ora abrogato, che affermava che erano in opponibili all’Amm. finanziaria tutti gli atti, fatti o negozi privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ord. tributario e ad ottenere riduzioni d’imposte o rimborsi altrimenti indebiti. Questa disposizione si applicava ad un numero di casi circoscritto, ma la giurisprudenza aveva ritenuto 56 esistente una clausola generale antielusiva non scritta, a prescindere dall’art. 37-bis. Essa era stata influenzata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, che aveva affermato il principio secondo cui i singoli non possono avvalersi abusivamente delle norme comunitarie. Le sentenze dell’UE vincolano solo per le imposte armonizzate, ma la Cass. aveva dapprima esteso il principio alle imposte dirette, poi ravvisato il fondamento del principio generale antielusivo nel principio di capacità contributiva. Coesistevano quindi nell’ordinamento l’art. 37-bis e la clausola generale non scritta, applicata dalla giurisprudenza. Occorreva un riordino a cui ha provveduto il d.lgs. 128/2015 che ha inserito nello Statuto l’art. 10-bis. 2. L’elusione, o abuso, secondo l’art. 10-bis dello Statuto L’art. 10-bis co. 1 definisce abuso del diritto “una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”. I dati cruciali sono tre: 1) Assenza di sostanza economica: è un'operazione costituita da fatti, atti o contratti, inidonei a produrre effetti significativi diversi dei vantaggi fiscali (es. esportazioni a U, in cui per usufruire della restituzione dei dazi per l’esportazione, le merci vengono consegnate al destinatario estero e poi restituite, senza alcuna utilizzazione, all’esportatore). Sono indici di mancanza di sostanza economica “la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato” (art. 10-bis co. 2). Non vi è assenza di sostanza economica delle operazioni giustificate “da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente” (art. 10-bis co. 3). Si richiede che lo scopo economico dell'operazione sia tale per cui l'operazione sarebbe stata compiuta anche senza vantaggi fiscali. Non è necessario che quello fiscale sia l'unico scopo dell'operazione, ma è necessario che sia essenziale (ad es. la giurisprudenza con sentenza della Cass. del 2019 ha escluso la natura elusiva delle operazione di acquisizione con indebitamento posta in essere con più atti di fusione, in quanto espressione di un progetto riorganizzativo della società non realizzabile diversamente). 2) Rispetto formale delle norme: “in sede di accertamento l'abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie”, art. 10-bis co. 12. 3) Realizzo di vantaggi fiscali indebiti: i vantaggi, anche non immediati, sono indebiti se realizzati “in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario”. Il contrasto deve riguardare norme fiscali espressione di un principio, non ai principi generali dell’ordinamento tributario. Non vi è abuso, ma legittimo risparmio d'imposta, se è stata esercitata “la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”. Per accertare l’elusione occorre confrontare 2 comportamenti: quello fiscalmente meno oneroso, che è stato posto in essere e quello alternativo, ma più oneroso, che poteva essere adottato. Se i due schemi si equivalgono non c’è elusione. 
 3. Inopponibilità delle operazioni elusive e imposte dovute 
 La conseguenza delle operazioni elusive consiste nel fatto che “non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”. La conseguenza dei comportamenti elusivi è la non inopponibilità (forma di inefficacia relativa) all'amministrazione finanziaria, alla quale è attribuito il potere di imporre il pagamento del tributo dovuto in base alla norma elusa. Gli avvisi emessi in applicazione della norma antielusiva impongono il pagamento della differenza tra imposte dovute in base alla norma elusa e imposte versate per il comportamento realizzato. Ai negozi che eludono norme fiscali non si applica l’art. 1344 c.c., secondo cui è nullo, per illiceità della causa, il contratto che “costituisce il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa”. Questo perché le norme imperative alle quali si riferisce l’art. 1344 c.c. sono le norme civilistiche proibitive, che vietano il compimento di determinati negozi. Ciò è confermato dall’art. 10, co. 3, Statuto, che prevede che “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”. Le norme fiscali operano su di un altro piano, disciplinando esclusivamente le conseguenze fiscali dei contratti. 57 Le ritenute dirette sono eseguite, a seconda dei casi, a titolo d’acconto o a titolo d’imposta. 
 3. Riscossione anticipata e versamenti diretti 
 La forma di riscossione più importante è il versamento diretto. Il versamento diretto indica il pagamento di somme effettuato dal contribuente in esecuzione dell’obbligo stabilito dalla legge e in base a autonoma liquidazione della somma da versare (cd. autoliquidazione o autotassazione); è detto diretto per distinguerlo da quello fatto post iscrizione a ruolo. Le imposte sui redditi e Iva sono imposte periodiche: ad ogni periodo d’imposta corrisponde un’obbligazione tributaria il cui presupposto si perfeziona quando si conclude il periodo d’imposta. Ma la riscossione dell’imposta avviene già nel corso del periodo d’imposta. È perciò una riscossione anticipata, attuata con versamenti diretti.
 Vi sono, nel corso del periodo d’imposta, obblighi di versamento, distinti dall’obbligazione tributaria. Solo quando sarà presentata la dichiarazione annuale si potrà verificare se i meccanismi della riscossione anticipata hanno condotto alla riscossione di un importo inferiore, pari o maggiore del quantum dell'obbligazione tributaria di quel periodo. Questa forma di riscossione precede sia il presupposto, sia la dichiarazione. Vi sono insomma forme anticipate e provvisorie di riscossione, che precedono il compiuto verificarsi del presupposto e la determinazione definitiva del dovuto. Ciò impone di distinguere l’obbligazione tributaria di periodo dai singoli obblighi di versamento. Solo l’obbligazione tributaria costituisce causa di attribuzione definitiva delle somme riscosse; i singoli obblighi di versamento e singoli titoli di riscossione consentono al fisco di riscuotere ma non di ritenere: alla fine, comunque, riscosso e dovuto devono coincidere. La riscossione anticipata è realizzata, oltre che dalle ritenute dirette, anche: - mediante versamento delle ritenute d'acconto da parte dei sostituti; - mediante versamento di acconti da parte del contribuente (artt. 1-3-3bis dpr 602/1973). I sostituti devono versare mensilmente, entro il giorno 16, le ritenute operate nel mese precedente. Inoltre, ciascun contribuente deve effettuare nel corso del periodo d'imposta 2 versamenti d'acconto, che hanno come parametro l'imposta dovuta per il precedente periodo e valgono come acconti dell'imposta che risulterà dovuta per il periodo in corso. A fondamento della norma sta la presunzione che il reddito si riproduce di anno in anno nella stessa misura. Il contribuente può versare una % minore di quanto dovuto per l’anno precedente se prevede di produrre reddito inferiore e dover pagare un’imposta minore, ma in questo caso si assume il rischio di sanzione amministrativa se la sua previsione risulta poi errata.
 L’Iva deve essere versata entro il giorno 16 di ogni mese in base a liquidazioni mensili. Entro il 27 dicembre deve essere versato un acconto calcolato in base all’ultima liquidazione dell’anno.
 Dopo la conclusione del periodo d’imposta, con la presentazione della dichiarazione dei redditi e annuale Iva, deve essere versato il saldo che risulta dovuto in base alla stessa dichiarazione. Se dalla dichiarazione annusare risulta un credito, il contribuente ha diritto di computare l’importo dell’eccedenza in detrazione nell’anno successivo o chiederne il rimborso. Possono essere versate cumulativamente sia le imposte dirette e le ritenute, sia altre imposte, sia contributi previdenziali e assistenziali e tributi dovuti agli enti locali. I versamenti unitari hanno il pregio di consentire la compensazione tra partite attive e passive del contribuente. I versamenti diretti sono effettuati o direttamente presso gli uffici dell'agente della riscossione o mediante delega irrevocabile ad una banca o alle Poste, ma vi sono casi in cui il versamento deve essere effettuato per via telematica, direttamente o per il tramite di un intermediario abilitato. Il destinatario è l’agente della riscossione o la Tesoreria provinciale dello Stato. 3. 1. La compensazione 
 L’art. 8 dello Statuto, prevede che l'obbligazione tributaria può essere estinta per compensazione. Il principio così espresso non è direttamente applicabile se non sono emanate le norme attuative. La compensazione quindi è ammessa solo nei casi e modi previsti dai regolamenti attuativi della disposizione statutaria o da norme di legge. Distinguiamo tra: - compensazione verticale: interessa un singolo tributo. Con essa è compensato il debito relativo ad una data imposta con i crediti, relativi alla stessa imposta, sorti in periodi d’imposta precedenti e non chiesti a rimborso; - compensazione orizzontale: coinvolge non solo imposte diverse, ma anche i debiti per contributi previdenziali (coinvolge cioè enti creditori diversi). Se sono utilizzati in compensazione crediti inesistenti l'amministrazione finanziaria emana degli atti di recupero, che sono atti impositivi con i quali accerta l'inesistenza del credito e dispone 60 che siano versate le somme che non sono state versate per effetto dell’indebita compensazione. La compensazione di crediti inesistenti è punita con sanzione amministrativa dal 100% al 200% dei crediti indebitamente compensati e con sanzione penale. 4. La riscossione in base agli avvisi di accertamento esecutivi 
 Ai fini delle imposte sui redditi (Irpef e Ires), dell’Irap e dell’Iva, gli avvisi di accertamento sono anche atti di riscossione e titoli esecutivi. Diventano esecutivi quando è decorso il termine utile per la proposizione del ricorso (60 giorni dal ricevimento dell'avviso, prolungato dal periodo feriale e dall’istanza di accertamento con adesione). Gli avvisi esecutivi devono contenere l'intimazione ad adempiere al pagamento degli importi dovuti. 
 Il contribuente, se propone ricorso contro un accertamento esecutivo, deve versare, a titolo provvisorio, 1/3 dell’imposta accertata, con gli interessi; deve versare quindi gli stessi importi che possono essere iscritti a ruolo a titolo provvisorio; non deve versare nulla per le sanzioni, che sono da pagare solo a seguito di sentenza sfavorevole per il contribuente. Se non propone ricorso, il contribuente deve versare l'intero con la riduzione delle sanzioni previste in caso di mancato ricorso. Devono essere versati anche gli interessi per ritardata iscrizione a ruolo e, dopo la notifica dell’avviso esecutivo, gli interessi di mora e aggio. Se il contribuente non adempie anche quando sono decorsi 30 giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione è affidata in carico all'agente della riscossione, che comunica la presa in carico al debitore con raccomandata semplice, anche a mezzo posta elettronica. L’esecuzione può iniziare dopo che sono decorsi 180 giorni dall'affidamento all’agente. 5. La riscossione mediante ruolo Il ruolo è il mezzo di riscossione di tutti i tributi per i quali la riscossione non avviene mediante ritenuta alla fonte, o versamento diretto, o in base all'avviso di accertamento e all'atto sanzionatorio esecutivi. Se la riscossione non è affidata all’agente, il recupero coattivo dei tributi locali avviene mediante ingiunzione fiscale. L’Agenzia delle entrate forma il ruolo iscrivendo le somme da riscuotere in base ad un titolo che la legittima a riscuotere, ossia o in base alla dichiarazione o in base ad un avviso di accertamento. Il ruolo è un atto amministrativo collettivo, che racchiude un elenco di somme da riscuotere (per imposte, interessi, sanzioni). In ciascun ruolo sono iscritte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell'ambito territoriale il cui ruolo si riferisce. Il ruolo è sottoscritto dal titolare dell'ufficio o da un suo delegato, la sottoscrizione gli attribuisce effetti di titolo esecutivo e la data in cui diviene esecutivo deve essere indicata espressamente. È quindi inviato in via telematica all’agente, che rende note ai contribuenti le singole iscrizioni mediante notifica della cartella di pagamento. 5.1 Iscrizione a ruolo in base alla dichiarazione. L'invito al pagamento Le iscrizioni a ruolo presuppongono un titolo che le legittimi. Titoli che assolvono a questo compito sono: la dichiarazione, l’avviso di accertamento, il provvedimento sanzionatorio e l’atto di contestazione di sanzioni. L'iscrizione a ruolo ha per base la dichiarazione in 3 ipotesi: 1) in caso di mancato versamento di somme che risultano dovute per effetto della liquidazione contenuta nella stessa dichiarazione; 2) quando, dai controlli automatici e dal controllo formale della dichiarazione, risulta riscuotibile una somma maggiore di quella versata dal dichiarante; 3) quando vi siano da riscuotere imposte su redditi soggetti a tassazione separata. Prima del ruolo formato per riscuotere somme che risultano dovute in base al controllo automatico e al controllo formale della dichiarazione dei redditi, l'ufficio deve interpellare il contribuente e inviargli una comunicazione, invitandolo a versare la somma dovuta (artt. 36bis- 36ter dpr 600/1973). Anche nell'Iva, la liquidazione dell’imposta contenuta nella dichiarazione è controllata dall'amministrazione con procedura automatica; se è dovuta un'imposta maggiore o se non è stata versata l'imposta dichiarata, il contribuente è invitato a versarla, altrimenti la somma dovuta è iscritta a ruolo. L'iscrizione a ruolo in esito al controllo formale della dichiarazione deve essere preceduta dal contraddittorio con il contribuente, attivato mediante avviso bonario. La cartella di pagamento è nulla se non è preceduta dall'avviso bonario. 
 Secondo l’art. 6 Statuto l’Amm. prima di procedere all’iscrizione a ruolo deve invitare il 61 contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo comunque non inferiore a 30 giorni dalla ricezione della richiesta. Sono nulli gli atti emessi in violazione di tale disposizione. 5.2 Iscrizione a ruolo in base agli avvisi di accertamento 
 Sono riscosse mediante ruolo le somme dovute in base agli avvisi di accertamento, nei casi in cui essi non hanno valore di titolo esecutivo. Si distingue tra iscrizioni provvisorie e iscrizioni a titolo definitivo: 1) Iscrizioni provvisorie: sono eseguite in base ad un avviso di accertamento non definitivo perché impugnato. Il ricorso, proposto contro un avviso di accertamento, ne sospende solo in parte l'esecuzione perché, in pendenza del giudizio di 1° grado, può essere iscritta a ruolo 1/3 dell'imposta o della maggiore imposta accertata con gli interessi. Dopo le sentenze delle commissioni diventano esigibili ulteriori frazioni del tributo con interessi e sanzioni in relazione al contenuto della decisione e dal grado dell'organo giudicante. In particolare: - dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale che respinge il ricorso, il ricorrente deve versare i 2/3 del tributo; - in caso di accoglimento parziale del ricorso, da parte della commissione tributaria provinciale, il ricorrente deve versare l’intero ammontare che risulta dovuto in base a tale sentenza, se inferiore o pari a 2/3 dell’importo del tributo controverso, ovvero una somma pari a 2/3 dell’importo del tributo controverso; - la sentenza della commissione tributaria regionale rende riscuotibile l’intero importo che risulta dovuto. Dopo una sentenza della Corte di cassazione che annulla con rinvio, essendo venuta meno ogni precedente sentenza, può essere iscritto a ruolo, se non già riscosso, l’importo riscuotibile in pendenza del 1° grado. Se è stato impugnato un avviso di accertamento che è titolo esecutivo, l'ufficio dell'Agenzia, dopo le sentenze delle commissioni tributarie sfavorevoli per il contribuente, deve mettere un atto di intimazione ad adempiere in cui è ricalcolato il dovuto. Se non vi è da eseguire un avviso di accertamento con valore di titolo esecutivo, la riscossione di quanto dovuto a seguito delle sentenze avviene mediante iscrizione a ruolo e notifica di cartella di pagamento. L’iscrizione a titolo provvisorio produce per il fisco un’entrata non definitiva perché se l'avviso di accertamento è annullato, l’indebito che non risulta deve essere rimborsato. 2) Iscrizioni a titolo definitivo: hanno come titolo legittimante le dichiarazioni e gli accertamenti definitivi. Il contribuente può far valere errori commessi a suo danno nella dichiarazione, emendandola e impugnando l'iscrizione a titolo definitivo che su di essa si fondi. Gli accertamenti definitivi possono essere rimossi dalla stessa amministrazione in via di autotutela e vi è l'ipotesi che venga esperita con successo una azione di revocazione straordinaria contro una sentenza tributaria passata in giudicato. Non è previsto un termine per le iscrizioni a ruolo a titolo definitivo ma le relative cartelle di pagamento devono essere notificate ai contribuenti entro termini previsti a pena di decadenza. 5.3 Riscossione straordinaria In presenza di fondato pericolo per la riscossione, quando sono decorsi 60 giorni dalla notifica degli avvisi di accertamento e della intimazione ad adempiere, può essere disposta la riscossione delle somme indicate, nel loro ammontare integrale, comprensivo di interessi e sanzioni, affidata agli agenti della riscossione. L'agente della riscossione, sulla base dei titoli esecutivi e senza notifica della cartella di pagamento, procede a espropriazione forzata. In deroga alle regole della riscossione provvisoria, la legge prevede dei ruoli straordinari, in cui sono iscritte, in via anticipata rispetto a tempi ordinari, somme per le quali vi sia pericolo di non riscuoterle. Il pericolo deve essere indicato nella motivazione: possono così essere iscritte a ruolo per intero somme che, invece, sarebbero da riscuotere solo in parte, o non sarebbero da riscuotere, nelle more del processo di 1° grado. 5.4 Cartella di pagamento e intimazione ad adempiere L'agente della riscossione deve rendere noti ai contribuenti le iscrizioni a ruolo che li riguardano, mediante notificazione della cartella di pagamento, in cui sono indicate le imposte iscritte a ruolo, gli interessi, le sanzioni e l’aggio da corrispondere all'agente della riscossione, la data in cui il ruolo è stato reso esecutivo, la descrizione delle partite, le modalità di pagamento. 62 prescrizione. Nulla è previsto nella legislazione tributaria per le imposte dirette e per l’Iva, si applica perciò il termine di prescrizione decennale previsto dall’art. 2946 c.c. In materia di imposte indirette sono espressamente previsti termini di prescrizione d’imposta decorrenti dall’accertamento divenuto definitivo: il termine è decennale per l’imposta di registro. Analogamente in materia di imposte sulle successioni, al termine di decadenza cui è soggetta l’attività di accertamento e liquidazione, segue la prescrizione decennale dell’imposta accertata in via definitiva. Per alcuni tributi locali la giurisprudenza ritiene applicabile la prescrizione quinquennale, in quanto considera alcuni tributi come prestazioni periodiche dovute annualmente. Secondo la giurisprudenza il diritto alla riscossione di un’imposta, conseguente all’avviso di accertamento divenuto definitivo, perché confermato con sentenza passata in giudicato, è soggetto al termine di prescrizione di 10 anni. In realtà le sentenze che respingono i ricorsi rendono definitivo l’atto impositivo e la riscossione avviene in base all’atto impositivo: la somma da riscuotere è iscritta a ruolo a titolo definitivo e si applica il termine di decadenza di 2 anni da quando l’avviso di accertamento è divenuto definitivo. L’art. 2953 c.c. non può dunque essere applicato, anche perché concerne i casi in cui è prevista la prescrizione più breve di 10 anni, non quando vi sono termini di decadenza. 10. La riscossione dell’imposta di registro Nell’imposta di registro si definisce principale l’imposta applicata al momento della registrazione e quella richiesta dall’ufficio se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica: l’imposta principale è dunque quella liquidata e richiesta dall’ufficio sulla base dell’atto sottoposto a registrazione. È stata introdotta la facoltà di utilizzare procedure telematiche per la registrazione di atti relativi ai diritti sugli immobili. Le richieste sono presentate utilizzando il modello trasmesso per via telematica ed il tributo è liquidato dal notaio. Gli uffici controllano la regolarità dell’autoliquidazione e del versamento, se risulta dovuta una maggiore imposta, notificano entro 30 giorni dalla presentazione del modello informatico, un avviso di liquidazione; entro 15 giorni dalla notifica deve essere eseguito il pagamento della maggiore imposta. L’imposta applicata dopo la registrazione è suppletiva se diretta a correggere errori od omissioni dell’ufficio; è invece complementare l’imposta applicata in ogni altro caso: distinzione notevole sul piano pratico.
 Il notaio è coobbligato con le parti di un contratto per il pagamento dell’imposta principale e non per le altre. La liquidazione dell’imposta supplementare e complementare è comunicata al contribuente mediante notifica di un avviso di liquidazione.
 L’avviso di accertamento determina solo la base imponibile, per cui si denomina avviso di accertamento valore e ad esso segue l’avviso di liquidazione. Accertamento dell’imponibile e liquidazione dell’imposta possono essere contenuti in un unico documento.
 L’avviso di liquidazione contiene la determinazione autoritativa del quantum dell’imposta; esso è anche atto della riscossione e racchiude un invito al pagamento dell’imposta entro 60 giorni. Se entro questo termine il pagamento non avviene, è prevista una sanzione e l’amministrazione iscrive a ruolo l’imposta da riscuotere. In caso di ricorso contro l’avviso di accertamento che accerti un maggiore valore, l’imposta complementare che ne segue è riscossa per 1/3 durante la pendenza del giudizio di 1° grado.
 Le imposte suppletive sono riscosse dopo la sentenza di 2° grado. 10.1 La riscossione di altre imposte indirette Vi sono imposte indirette il cui pagamento è connesso alla presentazione della dichiarazione. Inoltre, vi sono pagamenti senza dichiarazione per i c.d. tributi senza imposizione (ad esempio le tasse sulle concessioni governative sono assolte mediante veramente su un conto corrente postale intestato all’ufficio concessioni governative di Roma).
 Il tradizionale titolo esecutivo con cui gli uffici provvedevano alla riscossione coattiva delle imposte indirette era l’ingiunzione, che è stata sostituita dal ruolo. 11. La riscossione dei tributi all’estero I tributi italiani possono essere anche riscossi all’estero e viceversa, quando le convenzioni contro le doppie imposizioni prevedono che gli stati contraenti si prestino reciproca assistenza alla 65 riscossione.
 In ambito europeo, in base a delle direttive emanate dal Consiglio, i crediti tributari di uno stato membro possono essere riscossi negli altri stati dell’unione. 12. La responsabilità di liquidatori, amministratori e soci I liquidatori di società o altri enti, soggetti all’Ires, rispondo in proprio del pagamento delle imposte dovute dalla società o ente, quando pur disponendo delle risorse per pagare le imposte, abbiano assegnato beni ai soci o pagato crediti di ordine inferiore a quelli tributari, senza prima aver soddisfatto i crediti tributari. La responsabilità dei liquidatori, dunque, non sorge quando sorge il debito, ma da una fattispecie successiva che ha natura di illecito (aver destinato le attività della liquidazione non rispettando le cause di prelazione). La responsabilità di liquidatori ha per oggetto imposte dovute nel periodo di liquidazione e per quelli anteriori ed è commisurata all’importo di crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. Le stesse norme valgono per gli amministratori in carica all’atto dello scioglimento della società o dell’ente, se non si sia provveduto alla nomina dei liquidatori, e per gli amministratori che nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione, hanno compiuto operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili. Infine, i soci o associati che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai liquidatori nei limiti del valore dei beni ricevuti, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. La responsabilità di liquidatori, amministratori e soci è accertata dall’ufficio con avviso di accertamento che è da notificare entro il termine decennale di prescrizione. 13. Concordato preventivo e transazione fiscale La legge fallimentare consente all’imprenditore che si trovi in stato di crisi o di insolvenza di proporre ai creditori un concordato preventivo, che può avere per oggetto anche i debiti fiscali. 
 Il debitore può proporre il pagamento parziale o dilazionato dei tributi. Il piano proposto deve prevedere la soddisfazione dei crediti tributari in misura non inferiore a quella realizzabile: - Se il credito è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore. - Se invece il credito ha natura chirografaria, il trattamento può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari. Il fisco vota come gli altri creditori; il suo assenso non è una conditio sine qua non del concordato; come tutti i creditori potrà essere assoggettato al valore di maggioranza. L’imprenditore che propone concordato preventivo può proporre anche una transazione fiscale.
 Il debitore non è obbligato a seguire il procedimento previsto per la transazione fiscale; è quindi ammissibile una proposta concordataria che preveda la falcidia dei crediti tributari senza transazione fiscale. La transazione fiscale comporta l’apertura di un sub-procedimento, che inizia con la presentazione, da parte del debitore, della proposta di concordato, al Tribunale, all’Agenzia delle entrate e all’Agente della riscossione.
 Tale adempimento è finalizzato a invitare l’ufficio fiscale a certificare l’ammontare complessivo del debito tributario, mediante la comunicazione del debito accertato e di quello conseguente alla liquidazione delle dichiarazioni. La transazione fiscale non è una transazione. Non vi è la stipula di un accordo contenente reciproche concessioni e non si tende a risolvere o prevenire una lite tra fisco e debitore: è quindi improprio parlare di transazione.
 La transazione fiscale implica che il credito privilegiato del fisco può essere falcidiato in presenza di stesse condizioni che consentono la falcidia di qualunque altro credito privilegiato. Le agenzie fiscali, che non possono di regola accettare di ridurre l’obbligazione tributaria, possono però aderire ad una proposta di concordato che preveda la falcidia di crediti tributari, quale conseguenza della procedura concordataria. 
 14. Privilegi e fideiussioni I crediti tributari sono assistiti da privilegi speciali e generali su immobili sugli immobili. Il c.c. prevede: 66 - privilegio generale sui mobili del debitore per crediti e sanzioni per le imposte sui redditi, Irap, Iva e tributi locali; - privilegi speciali sui mobili: i crediti per i tributi indiretti hanno privilegio su immobili ai quali i tributi si riferiscono; uguale privilegio hanno i crediti di rivalsa Iva; i crediti per Irpef e Ires hanno privilegio sopra i mobili che servono all’esercizio dell’impresa e sulle merci; - privilegio generale immobiliare: i crediti per Ires e Irpef limitatamente alla quota imputabile a redditi immobiliari o fondiari non determinabili catastalmente, hanno privilegio sugli immobili del debitore situati nel comune in cui il tributo si riscuote; - privilegio speciale immobiliare: tale privilegio assiste i crediti dei tributi indiretti, in relazione agli immobili cui il tributo si riferisce. Per ottenere il rimborso del credito Iva annuale, o relativo a periodi inferiori all’anno, il contribuente deve prestare una garanzia; ciò per assicurare all’amministrazione finanziaria recupero del rimborso che dovesse risultare indebito. La sospensione cautelare dell’atto impugnato (vale a dire la sospensione della riscossione) può essere subordinata con provvedimento discrezionale alla Commissione tributaria, alla prestazione di una garanzia bancaria o assicurativa. Nello Statuto dei diritti del contribuente si prevede che l’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni, se viene accertato che l’imposta non è dovuta. 15. Ipoteca e sequestro Le ragioni del fisco possono essere garantite anche da misure cautelari anche prima della notifica dell’avviso di accertamento. Infatti, l’Agenzia delle entrate, dopo che sono stati notificati un atto di contestazione di sanzioni, o un provvedimento di irrogazione di sanzioni, o un processo verbale di contestazione, o un avviso di accertamento, può chiedere al Presidente della Commissione tributaria provinciale l’iscrizione di ipoteca e autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei beni del contribuente, compresa l’azienda. Le misure cautelari possono essere richieste se l’amministrazione finanziaria ha il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, a garanzia del credito per il tributo, con gli interessi, e del credito per la sanzione. La richiesta avvia un procedimento in sede giurisdizionale. L’istanza deve essere motivata e deve essere notificata alle parti interessate, le quali possono entro 20 giorni dalla notifica, depositare memorie e documenti difensivi. Il Presidente fissa con decreto la trattazione dell’istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti 10 giorni prima. In caso di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo, il Presidente, ricevuta l’istanza, provvede con decreto motivato. Contro il decreto è ammesso reclamo al collegio entro 30 giorni. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con sentenza. La Commissione decide con sentenza. Essa è appellabile, ma trattandosi di un provvedimento cautelare, su istanza di parte, può essere modificato o revocato “se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquistata conoscenza successivamente al provvedimento cautelare”. Le disposizioni devono essere integrate dalle disposizioni del c.c. e del c.p.c. A norma dell’art. 2808 c.c. l’ipoteca si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari ed attribuisce al creditore il diritto di espropriare i beni ipotecati e di essere soddisfatto con la preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione. A norma dell’art. 671 c.p.c. il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle somme e cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne permette il pignoramento. Si prevede che possa essere sequestrata anche l’azienda. I beni sequestrati sono sottratti alla libera disponibilità del debitore proprietario e sono sottoposti a custodia. Il sequestro conservativo, a norma dell’art. 2906 c.c., rende inefficaci, se pregiudicano il creditore sequestrante, le alienazioni e gli altri atti che hanno per oggetto la cosa sequestrata, in conformità delle regole stabilite per il pignoramento (inefficacia relativa). 
 I provvedimenti cautelari, emessi sulla base di un processo verbale, perdono efficacia se, nel termine di 120 giorni dalla loro adozione, non viene notificato un atto di contestazione o irrogazione. Questo termine di efficacia non vale per le misure cautelari richieste dall’Agenzia sulla base di un atto impositivo. I provvedimenti perdono efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda. La sentenza costituisce titolo per la cancellazione dell’ipoteca. 67 CAPITOLO 13: I RIMBORSI 1. I rimborsi da indebito Il contribuente non è sempre e solo debitore del fisco, ma può essere anche creditore, ed esempio perché ha versato una somma non dovuta, oppure perché ha versato degli acconti che superano il dovuto, oppure perché si sono verificate delle situazioni a cui il legislatore collega il sorgere, in capo al contribuente, di “crediti d’imposta”. 
 Vi sono 3 tipi di crediti dei contribuenti : a) crediti per rimborsi da indebito; b) crediti per rimborso non da indebito, risultanti dalla dichiarazione dei redditi o dalla dichiarazione Iva, o per il rimborso di altre somme indebitamente versate; c) crediti di imposta in senso stretto Le fonti dell’indebito tributario sono molteplici. Può accadere che manchi ab origine o che venga meno la norma alla quale si ricollega l’imposta pagata o che il tributo sia assolto senza un fondamento legislativo o in base ad un decreto legge non convertito. Altre due ipotesi sono l’abrogazione retroattiva della norma impositiva o l’introduzione retroattiva di una norma di favore. Sono poi da considerare la dichiarazione di incostituzionalità di una norma impositiva e il diritto al rimborso che tragga origine dal diritto della UE. Le sentenze che dichiarano incostituzionale una norma, la eliminano con effetto retroattivo, per cui i pagamenti fatti sulla base della norma incostituzionale assumono ex post la qualifica di pagamenti non dovuti. Analogamente, se un’imposta è stata pagata in base ad una norma nazione dichiarata incompatibile con il diritto Ue, il giudice è tenuto a non applicare la norma nazionale. Il rimborso è escluso quando si ricollega ad un rapporto esaurito, questo è il caso in cui il pagamento si riferisce ad un atto esecutivo definitivo (avviso di accertamento non impugnato o divenuto definitivo per sentenza passata in giudicato) o quando sia scaduto il termine entro cui il rimborso va chiesto. Le altre ipotesi di fattispecie generatrici di pagamenti indebiti si collegano agli atti attraverso cui viene data applicazione ai tributi (dichiarazione, avviso di accertamento, atti della riscossione). Pagamento indebito può aversi perché viene presentata una dichiarazione erronea o inesatta. Se è pagata una imposta non dovuta, il contribuente ha diritto al rimborso. Nel caso in cui l’importo da pagare sia stabilito da un avviso di accertamento, quando non è nullo, poiché la somma è dovuta solo per il fatto che è stabilita dall’avviso, l’indebito si profila solo se l’avviso è annullato. Potrebbe poi aversi un errore a livello di riscossione, ad esempio di un’imposta indiretta (errore materiale o di calcolo nella liquidazione dell’imposta principale). 
 2. Tutela del diritto di rimborso. Regole generali Nella disciplina del processo tributario, vi sono regole generali in materia di tutela del diritto al rimborso (art. 21 d.lgs. 46/1992), così riassumibili: - la domanda di rimborso, in mancanza di disposizioni specifiche, deve essere presentata entro 2 anni dal pagamento oppure, se posteriore, dal giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione; - se la domanda è esplicitamente respinta, il rifiuto è impugnabile davanti alla Commissione tributaria provinciale; - se l’amministrazione rimane inerte per 90 giorni dalla presentazione della domanda di rimborso, il silenzio = rifiuto e l’interessato può proporre ricorso alla Commissione tributaria provinciale. In caso di silenzio quindi il contribuente può ricorrere solo dopo 90 giorni dalla presentazione della domanda. 2.1. Il rimborso delle ritenute dirette dei versamenti diretti Per il rimborso delle ritenute dirette e dei versamenti diretti è necessario che sia presentata istanza all’Agenzia delle entrate, entro il termine di decadenza di 48 mesi dal versamento. L’istanza di rimborso può essere presentata sia dal sostituto, sia dal sostituito. Il termine decorre per il sostituito da quando ha subito la ritenuta e per il sostituto da quando ha versato, se la ritenuta o il versamento sono indebiti ab origine. Il sostituito può tutelarsi in 2 modi: - può esporre in sede di dichiarazione le ritenute subite e computarle anche se non dovevano essere effettuate; - può inoltre presentare domanda di rimborso. 70 La norma riguarda tutti i casi di rimborso di versamenti diretti indebiti, quindi anche il contribuente che abbia versato, sulla base della dichiarazione dei redditi, una somma superiore a quella dovuta a causa di un errore commesso nella compilazione della dichiarazione. La norma si applica anche al rimborso dell’imposta non dovuta perché dichiarata incostituzionale o perché dichiarata non compatibile con il diritto dell’UE. Il termine di 48 mesi decorre dalla data del versamento o della ritenuta, ma solo questi sono indebiti ab origine. Il termine di 48 mesi non si applica all’istanza di rimborso dei crediti di imposta (rimborsi non da indebito). 2.2. Il rimborso di somme riscosse mediante ruolo Per le somme riscosse mediante ruolo la legge non disciplina espressamente la domanda di rimborso. Quando vi è iscrizione a ruolo di una somma non dovuta, il contribuente può tutelarsi impugnando il ruolo e chiedendo cumulativamente, sia l’annullamento del ruolo, sia la condanna dell’Amministrazione a rimborsare l’indebito. 
 Il ruolo è un atto della riscossione che nulla dispone in ordine all’esistenza dell’obbligazione tributaria, quindi si deve ritenere che la mancata impugnazione del ruolo non preclude il rimborso delle somme indebite. Se il ruolo non è impugnato, non ne deriva che la somma iscritta diventi dovuta. Il ruolo non è atto costitutivo accertativo dell’obbligazione tributaria, ma mero strumento di riscossione, ossia un atto che legittima la riscossione di una somma e che, in caso di inadempimento, vale come titolo esecutivo. Da ciò discende che la mancata impugnazione del ruolo consolida gli effetti del ruolo, ma non impedisce il rimborso dell’indebito. Peraltro la preclusione non opera per qualsiasi tipo di iscrizione a ruolo e per qualsiasi titolo di indebito:
 - in primo luogo, la preclusione non opera per le iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio. La sorte di tali iscrizioni dipende dal titolo in base al quale, in presenza di ricorso contro l’avviso, sono state formate. La sorte di ciò che viene riscosso dipende dall’esito del processo riguardante l’avviso di accertamento: se il ricorso contro l’avviso viene respinto, ciò che è stato riscosso in base alla iscrizione provvisoria viene acquisito dal fisco, in conseguenza del fatto che è divenuto definitivo il titolo dell’iscrizione a ruolo. Se il ricorso contro l’avviso è accolto, ciò che è stato riscosso dovrà essere rimborsato, perché è venuto a meno il titolo dell’iscrizione a ruolo; 
 - in secondo luogo, la preclusione non opera quando emergono errori materiali o duplicazioni dovuti all’ufficio delle imposte, perché in tale ipotesi l’ufficio deve rimborsare le somme iscritte a prescindere da qualsiasi iniziativa di parte. Non vi è preclusione quando il ruolo, dovendo riprodurre un atto precedente, illegittimamente se ne discosti, perché in tal caso il vizio è imputabile all’ufficio e il rimborso deve essere effettuato d’ufficio. 3. Il rimborso delle imposte indirette Mentre per le imposte dirette la disciplina del rimborso è unitariamente posta nel decreto sulla riscossione, per le imposte indirette le norme sul rimborso sono disseminate nei testi normativi relativi alle singole imposte. Nonostante ciò (e con l’importante eccezione dell’Iva), la disciplina del rimborso è uniforme, in quanto il rimborso deve essere sempre chiesto all’Agenzia che gestisce il tributo indebitamente pagato e il termine per richiederlo è di regola un termine di decadenza, decorrente da quando è avvenuto il pagamento indebito. Il termine decadenziale di 3 anni dal pagamento è previsto per: l’imposta di registro, l’imposta sulle successioni e donazioni, l’imposta ipotecaria e catastale, l’imposta sugli intrattenimenti, le tasse sulle concessioni governative, il bollo assolto in modo virtuale, i tributi doganali. Per l’Iva non è previsto alcun termine specifico, per cui si applica il termine residuale biennale di decadenza (ex art. 26 dpr 633/1972, la mancata attivazione della speciale procedura di variazione dell’imponibile ivi prevista, fa venir meno solo il diritto a recuperare il credito mediante detrazione, ma non preclude la possibilità di ottenere il rimborso). 4. Il termine residuale biennale. L’avente diritto ha l’onere di avviare il procedimento di rimborso, con l’apposita istanza, entro i termini e con modalità prefissate nelle singole leggi d’imposta. L’art. 21 co. 2 d.lgs. 546/1992 dispone che la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo 2 anni dal pagamento, ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. La domanda di 71 restituzione, cui si riferisce il co. 2 dell’art. 21, è la domanda della restituzione dei tributi, sanzioni pecuniarie, interessi ad altri accessori non dovuti. Vi sono rimborsi “da indebito” e rimborsi “non da indebito”. Il termine biennale concerne le domande di rimborso “da indebito”. Il termine non si applica ai rimborsi “non da indebito”, come i crediti d’imposta esposti nella dichiarazione Iva. 5. Il rimborso d’ufficio Di regola il rimborso deve essere richiesto dall’interessato; vi sono poi dei casi in cui la legge dispone espressamente che il rimborso deve essere disposto l’ufficio. Quando è richiesta l’istanza di parte operano i termini decadenzali sopra indicati; quando non è richiesta l’istanza di parte, opera soltanto il termine di prescrizione del diritto. Devono essere rimborsate d’ufficio, dopo la sentenza della Commissione tributaria provinciale, le somme riscosse in via provvisoria nel corso del giudizio di 1° grado. L’obbligo del rimborso d’ufficio è un effetto della sentenza che annulla in tutto in parte un provvedimento impositivo, con la conseguenza che la somma versata in via provvisoria risulta in tutto in parte non dovuta. Inoltre deve essere eseguito d’ufficio il rimborso di somme indebitamente riscosse a causa di errori materiali o duplicazioni imputabili all’ufficiale dell’Agenzia delle entrate. 3. Rimborso dei crediti da dichiarazione Vi sono crediti del contribuente che non derivano da un pagamento indebito; si tratta di figure peculiari del diritto tributario: 1) Crediti emergenti della dichiarazione dei redditi, che sorgono quando l’imposta dovuta risulti inferiore alla somma dei versamenti d’acconto, delle ritenute d’acconto e dei crediti di imposta. Il saldo creditorio che risulta dalla dichiarazione dei redditi: a) può essere riportato all’anno successivo; b) può essere chiesto rimborso; c) può essere ceduto. I rimborsi risultanti dalla liquidazione della dichiarazione dei redditi sono eseguiti d’ufficio, secondo una procedura automatizzata. 2) Nell’Iva è fisiologico che l’imposta relativa agli acquisti possa risultare, nelle liquidazioni intra annuali o a chiusura del periodo di imposta, superiore all’imposta dovuta sulle operazioni imponibili: si hanno così dei crediti del contribuente verso il fisco non derivante da pagamenti indebiti, ma dal peculiare meccanismo di tale tributo. La determinazione finale annuale del tributo che il contribuente espone nella dichiarazione può dunque comportare un debito o un credito. 
 L’eccedenza è un credito del contribuente che può essere: a) compensato con debiti di imposta diversi dall’Iva; b) riportato a nuovo per essere compensato con i debiti degli anni successivi; c) chiesto a rimborso. La compensazione è la regola, il rimborso infatti è riservato: a chi cessa l’attività; chi esercita in prevalenza attività che comportano vendite con aliquote inferiore a quelle degli acquisti; a chi effettua operazioni non imponibili per il 25% della sua attività; a chi opera prevalentemente fuori dal territorio dello Stato; ai non residenti. Il rimborso può essere chiesto da qualsiasi soggetto passivo quando la dichiarazione sia risultata credito per 2 anni di seguito. Inoltre, può essere chiesto il rimborso dell’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, nonché di beni e servizi per studi e ricerche. 3) Nell’imposta di registro e nell’imposta sulle successioni vi sono ipotesi di crediti del contribuente per restituzione di imposte regolarmente percette: cioè di somme dovute quando sono state versate, ma da restituire per ragioni sopravvenute. È il caso ad esempio dell’imposta pagata sul dichiarato per un contratto il cui corrispettivo, determinato in via definitiva, risulti inferiore al dichiarato. 
 3.1. Il rimborso d’ufficio dei crediti da dichiarazione Per il rimborso di crediti esposti nella dichiarazione Iva e nella dichiarazione dei redditi, il contribuente non ha l’onere di presentare istanza di rimborso, essendo sufficiente la mera esposizione del credito d’imposta nella dichiarazione. L’esposizione di un credito d’imposta nella denuncia dei redditi vale con istanza di rimborso ex art. 38 dpr 602/1973. Dall’istanza decorre il termine di prescrizione decennale. Analogamente in materia di Iva il rimborso chiesto nella dichiarazione annuale non deve essere seguito da apposita istanza. Il diritto a rimborso si prescrive in 10 anni. Non si applica dunque tali crediti il termine biennale di decadenza, che riguarda solo i rimborsi da indebito. 72 1) Concorso formale: vi è concorso formale, quando un soggetto con una sola azione viola più norme, anche relative a tributi diversi. Il concorso formale è: - omogeneo quando con una sola azione od omissione si commettono diverse violazioni della medesima disposizione; - è invece eterogeneo, quando con una sola azione o omissione, vengono violate disposizioni diverse, ed es. mancata registrazione dei ricavi. A norma dell’art. 12 co. 1, quando un soggetto con una sola azione od omissione, viola più disposizioni relativa allo stesso tributo o relative a tributi diversi, si applica soltanto la sanzione più grave, aumentata da 1/4 al doppio (cumulo giuridico). 2) Concorso materiale: lo stesso calcolo va fatto in caso di concorso materiale, ossia quando la medesima disposizione viene violata più volte, vale a dire quando taluno commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione. 3) Progessione: Si applica la sanzione più grave, aumentata da 1/4 al doppio, anche in caso di progressione, ossia quando taluno, anche in tempi diversi, commette più violazioni che nella loro progressione pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo. La nozione di progressione rispecchia il concetto penalistico di medesimo disegno criminoso, ma se ne differenzia perché è una nozione oggettiva sganciata dei limiti soggettivi (come dolo). Gli elementi della progressione sono i seguenti:
 - una molteplicità di violazioni, commesse anche in tempi diversi; - l’unitarietà di tali violazioni data dalla loro progressione e dall’unico fine (alterare la determinazione dell’imponibile o la liquidazione del tributo).
 La progressione è una nozione propria del diritto tributario, caratterizzato dalla convergenza obiettiva di più trasgressioni rispetto alla determinazione dell’imponibile o alla liquidazione, anche periodica, del tributo. Per la norma, quindi, ciò che rileva è la commissione di violazioni che, in forza del loro legame strutturale o in ragione della loro connessione funzionale ed oggettiva, sono riunibili in ragione della loro progressione da comportamento prodromico ad evasione. Ad esempio, vi è progressione quando l'imprenditore omette di fatturare un'operazione, e perciò, l'operazione non viene poi considerata negli adempimenti successivi. L’art. 12 co. 3 dispone che se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, occorre applicare un ulteriore aumento, pari al 20%. Si considera quale sanzione base, cui riferire l’aumento da 1/4 al doppio, quella più grave aumentata del 20%. 4) Continuazione: l’art. 12 co. 5 d.lgs. 472, in tema di continuazione, dispone che “quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi d’imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo”. 
 La nuova nozione di continuazione, di cui all’art. 12 co. 5, costituisce un superamento della preveggente normativa sotto diversi rilevanti profili: quello dell’obbligatorietà, quello dell’elemento psicologico, quello temporale e quello oggettivo. Se le violazioni rilevano ai fini di più tributi, la sanzione base è aumentata di 1/5; se vi è continuazione, la sanzione deve essere aumentata prima della metà al triplo e poi dal quarto al doppio, a causa della pluralità di violazioni ai sensi del co. 1. 
 L’ufficio, se emette in tempi diversi gli accertamenti relativi a periodi di imposta diversi, deve determinare la sanzione complessiva, tenendo conto dei provvedimenti già emessi. Recidiva: la sanzione è aumentata fino alla metà in caso di recidiva e cioè nei confronti di chi, nei 3 anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole. Vi è recidiva non solo quando le violazioni ripetute riguardano la stessa disposizione, ma anche quando riguardano disposizioni della stessa indole. La recidiva è compatibile con la continuazione per cui, prima di unificare la sanzione in applicazione del principio della continuazione, la sanzione determinata per la violazione commessa nel 4° anno può essere previamente aumentata per effetto della recidiva. 4.1. Il principio di proporzionalità La misura della sanzione deve essere proporzionata alla gravità della violazione commessa. Perciò l’art. 47 co. 4 d.lgs. 472, dispone che la sanzione può essere ridotta fino alla metà del minimo, qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione. Il co. 4 bis prevede che la sanzione sia ridotta della metà in caso di presentazione di una dichiarazione di una denuncia entro 30 giorni dalla scadenza del termine. 75 5. I responsabili in solido del pagamento della sanzione Abbiamo visto che nel sistema coesistono 2 principi: il principio per cui sono punite solo le persone fisiche ed il principio per cui sono punite le società ed enti con personalità giuridica. Ora, quando è punita una persona fisica, l’obbligo di pagare la sanzione è posto anche a carico del contribuente che ne ha beneficiato (se è diverso dal trasgressore). Della violazione risponde infatti, a titolo di garanzia, anche la società o ente senza personalità giuridica o persona fisica che ha beneficiato dell’illecito, con diritto di regresso verso il trasgressore. Il diritto di regresso verso l’autore materiale permette di ritenere non contraddetto, almeno formalmente, il principio della personalità della sanzione. La responsabilità solidale di soggetti diversi dall’autore dell’illecito si ha quando la violazione incide sulla determinazione dell’obbligazione o sul pagamento del tributo. Quando l’autore della violazione è diverso dal contribuente che ne ha beneficiato e la violazione non è stata commessa con dolo o colpa grave, l’autore non risponde per più di 50.000 € (art. 11 d.lgs. 472). Perciò, quando l’autore della violazione ha agito come rappresentante di una persona fisica o per conto di un ente o società senza personalità giuridica e non ha agito con dolo o colpa grave, la sua responsabilità è limitata a 50.000 €. Inoltre la distinzione ha rilievo per i consulenti, essendo previsto, che gli illeciti commessi nella risoluzione di problemi di speciale difficoltà, sono punibili solo se commessi con colpa grave o con dolo. La legge definisce grave la colpa quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e risulta evidente la macroscopica l’inosservanza di elementari obblighi tributari. 
 5.1. La responsabilità in solido del cessionario d’azienda La cessione d’azienda è un fenomeno che il legislatore tributario prende in considerazione per il timore che i debiti tributari del cedente, non assolti al momento della cessione, restino definitivamente insoluti. Ecco perché il cessionario d’azienda è responsabile in solido con il cedente per il pagamento delle sanzioni, derivanti da violazioni commesse dal cedente. In particolare, il cessionario risponde delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei 2 precedenti, nonché di quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo. Al cessionario è accordato il beneficio della preventiva escussione del cedente e la sua responsabilità è limitata dal valore dell'azienda acquistata. Per evitare che il cessionario diventi responsabile, al buio, di debiti che non conosce, la sua responsabilità riguarda soltanto il debito risultante, alla data del trasferimento, dagli atti della Direzione regionale dell'Agenzia delle entrate. Inoltre, gli uffici sono tenuti a rilasciare un certificato sull'esistenza di contestazioni in corso e su quelle già definite, ma non estinte. Il certificato, se negativo, esonera da responsabilità il cessionario (che è liberato anche nel caso in cui il certificato non sia rilasciato entro 40 giorni dalla richiesta). La frode è presunta quando il trasferimento si verifica entro 6 mesi dalla constatazione di un reato. La responsabilità del cessionario non è soggetta ad alcuna limitazione quando la cessione sia stata fatta per frodare il fisco. 5.2. Concorso di persone, responsabilità del professionista e dell’autore mediato Se la violazione della norma finanziaria è commessa da più persone, esse non sono obbligate in solido, ma ciascuno è responsabile della sanzione ad esso singolarmente irrogata. Valgono qui considerazioni simili a quelli che sono formulate per il concorso di persone nei reati. Vi è concorso di persone quando l’illecito è commesso da più persone, ma non è necessario che tutti i soggetti realizzino compiutamente il fatto illecito; un soggetto è punibile quando contribuisca alla commissione dell’illecito, sia a livello materiale, sia a livello psicologico. Ad esempio, può concorrere nella violazione il professionista che suggerisca al trasgressore la condotta punita. Peraltro, se al consulente tributario è richiesta la soluzione di problemi di speciale difficoltà, vi è punibilità solo in caso di dolo o colpa grave. 
 L’autore materiale dell’illecito non è punito, quando ricorre la figura dell’autore mediato: ossia quando l’autore materiale dell’illecito è stato determinato a compiere la violazione con violenza o minaccia o perché indotto inconsapevolmente in errore. Sono state prospettate 2 ipotesi di autore mediato: - la prima, è quella del soggetto che viene indotto senza sua colpa a commettere un illecito dal parere di un professionista; - la seconda, è quella del socio di una società di persone che, non essendo amministratore e non avendo potuto esaminare la documentazione della società, riporta nella sua dichiarazione il reddito che gli è imputabile in base a quanto risulta dalla dichiarazione della società. 
 76 In tal caso dell’infedeltà della dichiarazione del reddito di partecipazione potrebbe considerarsi responsabile, quale autore mediato, il socio amministratore che ha predisposto la dichiarazione della società. La regola per cui, in caso di concorso, si applicano tante pene quanti sono i trasgressori non opera quando la violazione consiste nell’omissione di un comportamento a cui sono obbligati in solido più soggetti; in tale ipotesi è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri salvo il diritto di regresso. Vi è solidarietà tra i trasgressori solo quando la violazione consiste nell’inadempimento di un’obbligazione solidale; in tal caso, l’illecito è imputato a tutti, la sanzione è uguale per tutti e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti, salvo il diritto di regresso. 6. Le cause di non punibilità Nel d.lgs. 472/1997 sono previste 5 cause di esclusione della punibilità: 1) errore incolpevole sul fatto: determina un errore sul fatto costitutivo dell’illecito; 2) errore di diritto, derivante da ignoranza inevitabile dalla legge tributaria; 3) incerta portata della legge tributaria: non sono punibili “le violazioni determinate da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché quelle causate da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione o il pagamento”; 4) imputabilità ad un terzo del mancato pagamento del tributo: si ha quando il contribuente, il sostituto o il responsabile dimostrino che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi; 5) forza maggiore. Lo Statuto art. 10 co. 3 esclude la punibilità della mera violazione formale senza alcun debito di imposta. Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio dell’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo. Le violazioni non punibili sono quelle meramente formali, da distinguere dalle violazioni formali punibili (non meramente formali), alle quali si applica il cumulo previsto dall’art.12 co. 1. Secondo lo Statuto, a tutela dell’affidamento, non possono essere irrogate sanzioni: a) a chi si è conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, b) al soggetto il cui comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori dell’amministrazione stessa, c) a chi ha presentato l’interpello e non ha ricevuto risposta. Infine la sanzione per infedele dichiarazione non è applicata nei casi in cui vengono rettificati i prezzi di trasferimento, se l’impresa comunichi preventivamente all’agenzia di aver predisposto la documentazione che spiega come sono quantificati i corrispettivi praticati con le imprese estere. 
 7. Il ravvedimento operoso Il contribuente può estinguere l’illecito, se rimedia alla violazione commessa, mediante il ravvedimento, cioè pagando la sanzione ridotta, oltre a imposte ed interessi. L’importo della sanzione da versare varia da 1/10 ad 1/5 del minimo, in relazione al tempo di ravvedimento. È necessario che il contribuente non abbia ricevuto la notifica di un atto di liquidazione o di accertamento. È possibile invece anche nei casi in cui siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività di accertamento dei quali i soggetti siano formalmente a conoscenza. In tale caso la sanzione è ridotta: - ad 1/10 del minimo nei casi di mancato pagamento del tributo, se viene eseguito nel termine dei 30 giorni dalla data della sua commissione; - ad 1/9 del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle immissioni avviene entro il 90° giorno successivo al termine della presentazione della dichiarazione o dall’omissione o errore; - ad 1/8 del minimo, se la regolarizzazione di errori e omissioni avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione o entro un anno dall’omissione o dall’errore; - ad 1/7 del minimo, se la regolarizzazione avviene entro il termine della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in cui è stato commessa la violazione o a 2 anni dall’omissione o errore; - ad 1/6 del minimo, se la regolarizzazione avviene oltre il termine della dichiarazione relativa all’anno successivo a quello in cui è stato commessa la violazione o oltre 2 anni dall’omissione o errore; 77 redditi e Iva. Ciò che rileva è dunque la dichiarazione: i fatti prodromici non sono puniti, neanche a titolo di tentativo, se non si riflettono nella dichiarazione. Tra il reato di dichiarazioni fraudolente e quello di truffa ai danni dello Stato nel caso di concorso apparente di norme c’è un rapporto di specialità, per cui chi commette il reato fiscale, non realizza anche il reato di truffa. 1) La prima forma di dichiarazioni fraudolente è data dall’indicazione, in dichiarazione, di costi fittizi, sulla base di fatture o altri documenti che si riferiscono ad operazioni inesistenti. 
 Il reato è commesso se una o più fatture o altri documenti (ricevute fiscali, schede carburanti, scontrini fiscali), relativi ad operazioni inesistenti, sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. L’utilizzazione fraudolenta di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo all'Iva, sia dall’inesistenza oggettiva, sia dall'inesistenza soggettiva dell’operazione; invece ai fini delle imposte dirette, il reato è integrato solo dall’inesistenza oggettiva. 
 La pena va da un minimo di 4 ad un massimo di 8 anni di reclusione; è ridotta da un minimo di 1 anno e 6 mesi a un massimo di 6 anni, se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a 100.000 €. 2) La seconda ipotesi di dichiarazione fraudolenta si verifica quando nella dichiarazione sono omessi elementi attivi o sono indicati elementi passivi fittizi, o crediti e ritenute fittizi, compiendo operazioni simulate, oggettivamente o soggettivamente, ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria. Il reato dunque può riguardare elementi sia attivi, sia passivi. Occorre che, all’omissione di elementi attivi e all’indicazione di elementi passivi fittizi, si aggiunga la presenza di dati falsi fraudolenti. Il reato è commesso se i documenti falsi sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali. Vi è una duplice soglia di punibilità. Il reato è commesso se, congiuntamente: - l'imposta evasa è superiore a 30.000 €; - l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque è superiore a 1,5 milioni di euro. La pena va da 3 a 8 anni di reclusione. 2.1 La dichiarazione infedele Il reato di dichiarazione infedele è realizzato dall’indicazione, nella dichiarazione, di elementi attivi inferiori a quelli reali, o elementi passivi fittizi per importi superiori determinate soglie. Il reato è commesso quando congiuntamente: - l’imposta evasa è superiore, con riferimento ad una delle soglie imposte, a 100.000 €; - l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque superiore a 2 milioni di euro. La legge prevede espressamente che: - non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio o in altro documento rilevante ai fini fiscali; - non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che, complessivamente considerate, differiscono in misura inferiore al 10% da quelli corrette. 2.2 La dichiarazione omessa L’omessa dichiarazione è punita quando la singole imposte non dichiarate sono superiori a 50.000 €. Trattandosi di dichiarazione omessa, non è qui configurabile una soglia basata sul rapporto tra elementi attivi da dichiarare e da elementi dichiarati. È esclusa la rilevanza penale di un ritardo nella presentazione della dichiarazione nel limite di 90 giorni e inoltre non è considerata omessa, ai fini penali, la dichiarazione non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto. È prevista la pena della reclusione da 2 a 5 anni. È reato anche l’omessa dichiarazione del sostituto d’imposta. 80 3. Emissione di fatture false Commette reato chiunque mette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sull'Iva. Questo reato è punito come la dichiarazione fraudolenta. Le false fatture possono riguardare operazioni oggettivamente inesistenti, cioè cessioni non effettuate o servizi non resi. Possono inoltre riguardare beni ceduti o servizi resi da un soggetto diverso da chi emette la fattura; in tal caso la fattura è relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti. In entrambi casi la fattura è ideologicamente falsa e realizza il reato in esame. L’emissione di fatture false è un reato di pericolo astratto, per la cui configurazione è sufficiente il mero compimento dell’atto tipico; non ha rilievo se il destinatario utilizzi le fatture false, cioè il destinatario presenti una dichiarazione in cui sono indicati elementi passivi fittizi, basati sulle fatture false. L’emissione di false fatture è considerata e punita in modo autonomo rispetto al reato dell’utilizzatore, perché ha uno spiccato rilievo nell’ambito dei fenomeni invasivi. Emettere ed utilizzare fatture false sono due delitti previsti in modo separato: chi emette e chi utilizza fatture false non sono puniti a titolo di concorso nell’altro delitto. Analogamente è un solo reato il comportamento di chi utilizza più fatture e documenti falsi a supporto della stessa dichiarazione. 4. Occultamento o distruzione di documenti contabili. È reato, previsto e punito dall’art. 10, l’occultamento o la distruzione totale o parziale ,per fini di evasione, di documenti o scritture contabili di cui sia obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari. La pena è quella della reclusione da 3 a 7 anni. Non è prevista alcuna soglia minima di punibilità. 5. Omessi versamenti e indebita compensazione. Ai sensi dell’art. 10 bis, costituisce delitto ed è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni l’omesso versamento di ritenute. Il reato può essere commesso dai sostituti in presenza di 3 condizioni: 1) le ritenute risultano dovute sulla base della dichiarazione del sostituto o della certificazione rilasciata ai sostituiti; 2) il versamento non è stato effettuato entro il termine per la presentazione della dichiarazione annuale dei sostituti d’imposta (31 ottobre); 3) l’ammontare non versato è superiore a 150.000 € nel periodo di imposta. Viene quindi in considerazione l'omesso versamento delle ritenute complessivamente effettuate nel corso dell’anno (non alle scadenze mensili). Ai sensi dell’art. 10 ter, chi presenta la dichiarazione Iva, ma non versa il dovuto, commette reato se non versa entro il termine per il pagamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un importo superiore a 250.000 € per ciascun periodo di imposta. 
 La pena comminata è la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Questo reato è diretto a contrastare il fenomeno riscontrato nelle c.d. frodi carosello, nelle quali vi sono soggetti che incassano l’Iva, la dichiarano, ma non la versano. Infine, ai sensi dell’art. 10 quater, è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni, chi non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’art. 17 d.lgs. 241/1997, crediti non spettanti per un importo annuo superiore a 50.000 €. Se l’indebita compensazione concerne crediti inesistenti la pena va da 1 anno a 6 anni. 
 6. Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte La c.d. frode sottrattiva, prevista dall’art. 11, è commessa da chi, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sul reddito o dell’Iva, aliena simultaneamente o compie altri atti fraudolenti sui propri beni o sui beni altrui, tali da rendere in tutto o in parte, inefficace la riscossione coattiva delle imposte. La pena è la reclusione da 6 mesi a 4 anni. 
 Si tratta di un reato di pericolo. Il delitto si perfeziona per il solo fatto che venga posto in essere un atto che potrebbe rendere inefficace la procedura coattiva; non è necessario l’evento e cioè che la procedura coattiva venga attuata e risulti vana. Va precisato che : - la soglia di punibilità è di 50.000 €, riferita all’ammontare complessivo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni amministrative; 81 - la pena è la reclusione da 1 a 4 anni, ma se l’ammontare di imposte, interessi e sanzioni è superiore ai 200.000 €, è prevista un’aggravante (reclusione da 1 anno a 6 anni). È fatta salva l’applicazione di figure di reato più gravi, come la bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il co. 2 dell’art. 11 prevede che è punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica, nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore a 50.000 €. 7. False dichiarazioni di esibizione di documenti falsi Chiunque esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte, oppure fornisce dati e notizie non rispondenti al vero, è punito ai sensi dell’art. 76 dpr 445/2000, che richiama il codice penale. Si applica quindi l’art. 483 c.p. “chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a 2 anni”. 8. Riciclaggio e autoriciclaggio I reati di evasione possono essere seguiti dal reato di riciclaggio (art. 648 bis c.p), a norma del quale è punito chiunque “fuori dai casi del concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi, operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione dalla loro provenienza delittuosa”. Ai fini dell’integrazione della condotta criminosa è quindi essenziale che il riciclatore sia estraneo al reato presupposto, cioè al fatto illecito il cui frutto è il denaro o il bene riciclato. Ritiene la giurisprudenza, che tutti i delitti dolosi, e quindi anche quello di frode fiscale, possono fungere da reato presupposto del riciclaggio. Chi commette un reato di evasione può poi incorrere nel reato di autoriciclaggio, che punisce con la pena della reclusione da 2 a 8 anni e della multa da 5.000 a 25.000 € chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa. Se il reato presupposto è un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a 5 anni, si applica la pena della reclusione da 1 a 4 anni e della multa da 2.500 a 12.500 €. Non è punibile che ha destinato il denaro, i beni o le altre utilità alla mera utilizzazione o al godimento personale. La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale. 
 9. Esclusione di responsabilità amministrativa dei soggetti collettivi Non si applica ai reati tributari il d.lgs. 231/2001, che prevede la responsabilità amministrativa degli enti, in conseguenza di reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione. 10. Cause di non punibilità
 Ai sensi dell’art. 13 i reati di omesso versamento di ritenute certificate, omesso versamento dell’Iva e indebita compensazione, non sono opponibili, se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di 1° grado, i debiti tributari sono totalmente estinti, anche a seguito di procedure conciliative, accertamento con adesione o ravvedimento operoso. I reati di dichiarazione infedele ed omessa non sono punibili se i debiti tributari sono estinti integralmente, a seguito di ravvedimento operoso o di presentazione della dichiarazione omessa entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, a condizione però che il ravvedimento e la presentazione della dichiarazione intervengano prima che l’autore del reato abbia formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. 
 Come per le sanzioni amministrative, anche per i reati fiscali non sono punibili le violazioni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione. 82 15. Il processo per reati tributari Dei reati tributari giudica il giudice penale, secondo le norme del c.p.p. Per i delitti in materia di dichiarazione, è competente il giudice del luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Per gli altri reati viene richiamato l'art. 8 c.p.p., che dà rilievo al luogo in cui è stato commesso il reato; quando però non è applicabile tale criterio è competente il giudice del luogo in cui reato è accertato.
 Processo penale e processo tributario si svolgono in modo indipendente: quando vi è contemporanea pendenza, non deve essere sospeso né il processo tributario, né il processo penale. Non esiste quindi alcuna pregiudizialità di un processo rispetto all’altro (c.d. doppio binario). Si aggiunga che l’art. 479 c.p.p. permette la sospensione del dibattimento nel caso in cui la decisione sull’esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento presso il giudice competente, ma solo se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa, fino a che la decisione non sia stata decisa con sentenza passata in giudicato. Dato il rapporto di alternatività tra sanzioni penali e sanzioni amministrative, occorre vedere quale rapporto ci sia tra i due processi, nell’ipotesi in cui un medesimo fatto sia punibile sia come illecito amministrativo, sia come illecito penale. In tali ipotesi, la sanzione penale esclude quella amministrativa, ma anche se pende un processo penale, la cui conclusione potrebbe escludere la sanzione amministrativa, l’ufficio l'ufficio "irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizie di reato". In pendenza del processo penale, il provvedimento di irrogazione della sanzione amministrativa resta sospeso; quando si conclude il processo penale, la sanzione amministrativa, se è da eseguire, viene eseguita, o diventa definitivamente ineseguibile. Se il processo penale si conclude con un provvedimento di condanna, l'irrogazione della sanzione penale rende inesigibile la sanzione amministrativa. Se il processo penale si conclude con l'archiviazione o assoluzione, ma permangono i presupposti della sanzione amministrativa, quest'ultima diviene eseguibile. Ad esempio può accadere che il processo penale si conclude con l'accertamento che è stata omessa la presentazione della dichiarazione dei redditi compiuta senza dolo, o che l'evasione non supera la soglia di punibilità: in tali casi, non si applica la sanzione penale, ma si applica quella amministrativa. Non sono previste disposizioni particolari sull'efficacia del giudicato penale nel processo tributario. La giurisprudenza ne deduce che il giudicato penale non ha efficacia vincolante nel processo tributario, perché in esso vi sono limitazioni della prova. Può quindi accadere che i due processi si concludono con accertamenti contrastanti sul medesimo fatto. CAPITOLO 16: IL PROCESSO TRIBUTARIO 
 1. Le commissioni tributarie. Giurisdizione e competenza
 Il processo tributario è disciplinato dal d.lgs. 546/1992. L’art. 1 attribuisce la giurisdizione in materia tributaria alle Commissioni tributarie (provinciali e regionali) e richiama il c.p.c. per la disciplina dei casi non regolati dal d.lgs. n. 546/1992. 
 La giurisdizione delle Commissioni tributarie comprende tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonchè le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio. 
 Le Commissioni si articolano in Commissioni tributarie provinciali e regionali e sono composte da giudici onorari. I membri delle commissioni tributarie sono scelti per titoli dal Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria, sono nominati dal Presidente della Repubblica, su proposta del MEF. Possono far parte delle Commissioni tributarie anche i giudici ordinari, amministrativi contabili e militari, i dipendenti civili dello Stato, i ragionieri con 10 anni di attività, i laureati in giurisprudenza o economia da 2 anni, altri professionisti con 10 anni di attività. 
 1.1 La giurisdizione dell’AGO e del giudice amministrativo
 Alla giurisdizione tributaria sono attribuite tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, ma appartengono al giudice ordinario le controversie riguardanti l’esecuzione forzata tributaria. Per assegnare la linea di riparto tra giurisdizione delle Commissioni tributarie e giurisdizione del giudice ordinario, va ricordato che le questioni riguardanti il titolo esecutivo (cioè il ruolo o l'avviso di accertamento) devono essere sollevate mediante ricorso da 85 proporre alle Commissioni tributarie; l'opposizione all'esecuzione è proponibile dinanzi al giudice ordinario, ma solo quanto concerne la pignorabilità dei beni. Appartengono inoltre alla giurisdizione del giudice ordinario le cause di opposizione di terzo. Infine, si propongono al giudice ordinario le cause di danni contro l'Agenzia delle entrate e l'agente della riscossione. Le Commissioni tributarie possono essere adite solo mediante ricorso contro uno degli atti individuali indicati come impugnabili. Gli atti non impugnabili dinanzi al giudice tributario possono essere impugnati dinanzi al giudice amministrativo. 
 Sono impugnabili dinanzi al giudice amministrativo: i regolamenti governativi o ministeriali ed i regolamenti degli enti locali che istituiscono o disciplinano tributi; tali atti possono essere disapplicati dal giudice tributario, senza esclusione dell’impugnazione nella diversa sede competente (cioè il ricorso al Tar). Inoltre, sono impugnabili in via residuale, dinanzi al giudice amministrativo, gli atti individuali non impugnabili dinanzi alle Commissioni, come gli atti istruttori che hanno come destinatari soggetti diversi dal contribuente, i provvedimenti di fissazione del domicilio fiscale e il diniego di accesso agli atti del procedimento. 2. Le parti e la difesa tecnica
 Il ricorrente è obbligato a farsi assistere da un difensore tecnico, con l’eccezione delle controversie relative a tributi di importo inferiore ad 3000 € e di quelle promosse da soggetti che si difendono da soli, essendo abilitati all’assistenza tecnica. 
 L’art. 12 co. 3 consente l’assistenza tecnica, oltre che agli avvocati, anche ad altre categorie di professionisti, tra cui i soggetti iscritti nella sezione A dell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, i consulenti del lavoro e altri soggetti iscritti in particolari albi. Gli ingegneri, gli architetti, i geometri, i periti industriali, i dottori agronomi e forestali sono abilitati per le cause in materia catastale. Per le controversie doganali sono abilitati gli spedizionieri doganali. Parte necessaria del processo tributario è il soggetto (ufficio o ente) che ha emesso l’atto impugnato, o non ha emesso l’atto richiesto. Se il ricorso è proposto dopo che si è formato il silenzio-rifiuto rispetto ad una istanza di rimborso, legittimato a resistere è l’ufficio o ente a cui è stata presentata l’istanza. L’ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e l’agente della riscossione stanno in giudizio senza difesa tecnica. 2.1 Il processo con pluralità di parti Le parti del processo tributario possono essere più di due. Può infatti applicarsi l’art. 103 c.p.c., cioè il ricorso proposto da più parti o contro più parti contro il medesimo atto e anche l’art. 104 c.p.c, cioè il ricorso contro più atti. È quindi ammissibile il ricorso cumulativo, proposto ad esempio dallo stesso contribuente contro più avvisi di accertamento relativi a più annualità della stessa imposta. L’art. 14 d.lgs. 546/1992 riconosce la legittimazione a intervenire o ad essere chiamati in causa a 2 categorie di soggetti: a) a chi è destinatario dell’atto impugnato; b) a chi è parte del rapporto controverso. L’art. 14 prevede inoltre la chiamata in giudizio, che può avvenire su istanza di parte o per ordine del giudice. Nel processo tributario vi è litisconsorzio necessario quando l’oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti. Si è ritenuto esservi litisconsorzio necessario nelle cause di impugnazione degli atti di accertamento dei redditi delle società di persone. Società e soci devono essere parti dello stesso processo. È espressamente previsto nelle cause di impugnazione degli avvisi di rettifica del reddito delle società consolidate. Il litisconsorzio facoltativo ricorre quando pure si è in presenza di un atto impositivo unitario con pluralità di destinatari, ma l'impugnazione proposta da uno dei coobbligati non è fondata su motivi comuni a tutti i destinatari. Se vi è litisconsorzio necessario, il ricorso deve essere proposto congiuntamente dai “colegittimati necessari”. Se le parti presentano ricorsi distinti, il giudice deve disporne la riunione. Se i ricorsi sono proposti dinanzi a Commissioni diverse, la riunione deve essere disposta dinanzi al giudice preventivamente adito. Se una o più parti non hanno ricevuto la notifica dell'avviso di accertamento, o, avendola ricevuta, non hanno impugnato, il giudice deve disporre l'integrazione del contraddittorio mediante chiamata in causa entro un termine stabilito, a pena di decadenza. 86 Il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è viziato da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche d’ufficio. 3. Le azioni esperibili Nel processo tributario possono essere esperite azioni di impugnazione, rivolte ad ottenere l’annullamento di un atto autoritativo, e azioni di condanna. Il carattere impugnatorio del processo tributario comporta che: - il ricorrente non può agire in via preventiva con azione di mero accertamento, senza che l’amministrazione abbia emesso un atto impugnabile; - il ricorrente non può sottoporre al giudice questioni estranee all’atto impugnato.; - ’Amministrazione finanziaria, costituendosi in giudizio, non esercita un autonomo potere di azione, ma si limita a difendere l’atto impugnato e, quindi, non può fondare la sua difesa su ragioni giuridiche diverse da quelle indicate nell’atto impugnato. Il contribuente che mira ad ottenere un rimborso può esperire un’azione di condanna, ma, prima di agire in giudizio, deve presentare istanza di rimborso, e, poi, impugnare il rifiuto, espresso o tacito. Se l’Amministrazione risponde negativamente in modo espresso, il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notificazione del rifiuto. Se invece l’amministrazione rimane inerte, il ricorso non è soggetto al termine decadenziale, ma non può essere presentato prima di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza. Alla domanda di annullamento del rifiuto deve aggiungersi la richiesta di una sentenza di condanna. Il contribuente quindi deve chiedere che, accertato il suo credito, il rifiuto di rimborso sia annullato e l’amministrazione condannata a pagare. Nei giudizi di rimborso il contribuente è attore in senso non solo formale ma anche sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l'onere di allegare e provare i fatti cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato e che le argomentazioni con cui l'ufficio nega la sussistenza di detti fatti o la qualificazione ad esse attribuita, costituiscono mere difese non soggette ad alcuna preclusione processuale (Cass. 2020) 3.1 Gli atti impugnabili
 Gli atti impugnabili sono indicati nell’art. 19 d.lgs. 546/1992, che distingue tra atti autonomamente impugnabili (che sono un numero chiuso) e atti ad impugnazione differita. Gli atti autonomamente impugnabili sono: a) Avviso di accertamento del tributo; b) Avviso di liquidazione del tributo; c) Provvedimento che irroga le sanzioni; d) Ruolo e la cartella di pagamento; e) Avviso di mora; f) Atti relativi alle operazioni catastali; g) Rifiuto espresso o tacito della restituzione dei tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti; h) Diniego o revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; i) Iscrizione di ipoteca su immobili di cui all’art. 77 dpr 602/1973 e successive modifiche; j) Fermo di beni mobili registrati di cui all’art. 86 dpr 602/1973 e successive modifiche. L’elenco non ammette analogie, ma ammette solo interpretazioni estensive (sono impugnabili autonomamente tutti gli atti impositivi che hanno effetti simili agli avvisi di accertamento, anche se denominati diversamente, ad es. ingiunzione fiscale, atti di recupero o diniego parziale di estinzione dei tributi iscritti a ruolo lesivo dei diritti del contribuente (Cass. 2020)). 
 Gli atti, elencati nell’art. 19, sono impugnabili in quanto lesivi. Non sono impugnabili gli atti non direttamente lesivi come gli atti interni all’Amministrazione (tra cui le circolari e le risoluzioni), né gli atti che sono espressione di una funzione consultiva. 
 La Cassazione ammette che l’iscrizione a ruolo possa essere impugnata anche se non sia stata resa nota ed efficace mediante notifica della cartella, qualora l’agente della riscossione abbia rilasciato il c.d. estratto di ruolo. I ricorsi proposti contro la cartella, entro 60 giorni dalla notifica, con cui sono fatti valere i vizi del ruolo, sono propriamente ricorsi contro il ruolo: la legittimazione passiva spetta all'Agenzia delle Entrate o ad altro ente impositore da cui proviene il ruolo. Vi sono poi ricorsi con cui sono dedotti vizi della cartella, o della notifica della cartella; in tal caso la legittimazione passiva spetta all’ agente della riscossione poiché si pone in discussione il suo operato. L'avviso di mora menzionato nell'art. 19 è stato sostituito dalla “intimazione ad 87 impugnare è sospeso per 90 giorni dalla presentazione di una istanza di accertamento con adesione. Il ricorrente, entro 30 giorni dalla notifica del ricorso, deve costituirsi in giudizio, depositando il fascicolo nella segreteria della Commissione. È ammessa la spedizione postale. Nel processo telematico la costituzione avviene per il tramite del Sigit mediante deposito del fascicolo. Tutti i files devono essere firmati digitalmente. Una volta completate le operazioni di deposito il sistema rilascia una ricevuta di accettazione. La parte resistente si costituisce in giudizio depositando il fascicolo, con le controdeduzioni e con i documenti in cui espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende avvalersi. La mancata costituzione del ricorrente rende inammissibile il ricorso. Solo il ricorrente è titolare del diritto di azione; se il ricorrente non si costituisce in giudizio non può costituirsi in giudizio l'altra parte. La parte resistente, se non si costituisce in giudizio, non ha il diritto di ricevere l’avviso di fissazione dell’udienza, né la notifica dell’istanza di pubblica udienza, né la comunicazione del dispositivo. Inoltre, se vi è rinuncia al ricorso del ricorrente, il processo si estingue senza bisogno di accettazione della parte non costituita. La segreteria deve inserire i fascicoli delle parti nel fascicolo del processo, che dev’essere sottoposto al Presidente della Commissione, il quale deve compiere un esame preliminare del ricorso e, se riscontra uno dei casi di inammissibilità manifesta, deve dichiararla. Altrimenti assegna il ricorso ad una sezione. Il passo successivo del processo è la fissazione, da parte del Presidente della sezione, dell’udienza per la sospensione dell’atto impugnato e dell’udienza di trattazione, di cui deve essere dato avviso alle parti costituite almeno 30 giorni liberi prima. La omissione di questo adempimento o la violazione del termine incidono sul contraddittorio; se l'udienza si tiene senza che le parti, o una di esse, siano state avvertite la decisione è nulla. Le parti possono produrre documenti inserendoli nel fascicolo con cui si costituiscono in giudizio, oppure come allegati delle memorie difensive fino a 20 giorni liberi prima dell’udienza. Possono presentare memorie fino a 10 giorni liberi prima dell’udienza: il doppio termine è stato fissato per dar modo alle parti di predisporre memoria tenendo conto dei documenti eventualmente prodotti dall’avversario. In caso di trattazione in camera di consiglio sono consentite brevi repliche scritte fino a 5 giorni liberi prima dell'udienza. La trattazione della controversia da parte del collegio può avvenire in pubblica udienza o in camera di consiglio. La pubblica udienza deve essere richiesta da una delle parti, con atto autonomo oppure nel ricorso o in altro atto processuale. In mancanza di istanza di pubblica udienza, la trattazione avviene in camera di consiglio, senza partecipazione delle parti. Come nel processo civile, la sentenza è resa pubblica mediante deposito nella segreteria, nel termine di 30 giorni dalla deliberazione. Il segretario fa risultare il deposito apponendo sulla sentenza la firma e la data. La segreteria della Commissione deve comunicare il dispositivo alle parti costituite entro 10 giorni dal deposito. 5.3 La conciliazione Anche il processo tributario può estinguersi perché le parti si conciliano, in udienza o fuori udienza. 1) Conciliazione fuori udienza: le parti che, fuori udienza, raggiungono un accordo conciliativo, devono presentare istanza congiunta per la definizione totale o parziale della controversia. La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo, le quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. 2) Conciliazione in udienza: l’art. 48 bis prevede che ciascuna parte, entro il termine in cui possono essere depositate memorie, può presentare istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia. 
 All’udienza la Commissione, se sussistono le condizioni di ammissibilità, invita le parti alla conciliazione, rinviando la causa alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo. La conciliazione si perfeziona con la redazione del processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L’art. 48ter prevede che le sanzioni amministrative si applichino nella misura del 40% del minimo previsto dalla legge, se la conciliazione è perfezionata nel corso del 1° grado di giudizio, e nella misura del 50% del minimo previsto dalla legge, in caso di perfezionamento nel corso del 2° grado di giudizio. 90 Il versamento delle somme dovute deve essere eseguito entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo conciliativo raggiunto fuori udienza o dalla data di redazione del processo verbale relativo alla conciliazione realizzata in udienza. In caso di mancato pagamento delle somme dovute nel termine previsto, o anche di una sola delle rate previste entro il termine di pagamento della rata successiva, il fisco iscrive a ruolo le residue somme dovute e la sanzione per omesso versamento, pari al 60% del residuo importo dovuto. La conciliazione è sottoposta al vaglio del giudice tributario, che ha il potere-dovere di valutarne la legittimità formale e la sua ammissibilità. Il giudice non deve dichiarare estinto il processo quando non sussistono i presupposti processuali della conciliazione o quando la conciliazione abbia per oggetto materie non conciliabili. Non è sindacabile il merito dell'accordo. Non tutte le controversie possono essere conciliate. L’amministrazione non può accedere ad alcuna soluzione che non appaia conforme al diritto e che non rappresenti la giusta composizione della lite. Come l’accertamento con adesione, la conciliazione è considerata, da una parte della dottrina, un accordo transattivo. Vi è sì un accordo tra le parti, ma l’atto, che scaturisce dall’accordo, è un provvedimento amministrativo, che rettifica l’atto impugnato, con la contestuale accettazione del contribuente. La conciliazione quindi consta di un atto autoritativo, al quale si aggiunge, dall’esterno, il consenso del contribuente. 6. La sospensione cautelare L’avviso di accertamento è dotato di efficacia immediata, che è però in parte sospesa dalla presentazione di ricorso. In base all’art. 15 dpr 602/1973, dopo la presentazione del ricorso deve essere pagato 1/3 dell’imposta (con gli interessi). Il ricorrente può chiedere al giudice di sospendere l’esecuzione dell’atto impugnato, ai sensi dell’art. 47. La sospensione è legata a 2 presupposti: • Fumus boni iuris = la probabile fondatezza del ricorso; • Periculum in mora = il pericolo che, nelle more del processo, si verifichi un danno grave e irreparabile. La decisione sulla domanda cautelare spetta al collegio, ma in caso di eccezionale urgenza il Presidente può disporre la sospensione in via interinale, ossia fino alla decisione del collegio. Il collegio decide in camera di consiglio, dopo aver sentito le parti e dopo aver delibato il merito (esaminato sommariamente); la pronuncia ha la forma dell’ordinanza, deve essere motivata e non è impugnabile. La sospensione può essere anche parziale e può essere subordinata alla prestazione di idonea garanzia; i suoi effetti cessano con la pubblicazione della sentenza di 1° grado; si applica poi l’art. 68. La sospensione della riscossione può essere chiesta anche in appello. Se la sentenza appellata respinge o dichiara inammissibile il ricorso, la sospensione dell’efficacia dell’avviso di accertamento si riduce. La sentenza è esecutiva, nel senso che è riscuotibile una frazione ulteriore del tributo, in aggiunta a quella riscuotibile dopo la presentazione del ricorso. Non è una sentenza di condanna del contribuente, ma una sentenza a contenuto dichiarativo; la sua esecutività incide sull’esecutività dell’atto impugnato. L'art. 52 prevede poi che l’appellante può chiedere alla Commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata se sussistono gravi e fondati motivi. La sospensione della sentenza implica la sospensione dell’effetto della sentenza sulla esecuzione dell’atto impugnato, ma non incide sull’importo riscuotibile in pendenza del 1° grado. È previsto che il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. Accogliendo in toto tale istanza è integralmente sospesa la riscossione dell’atto impugnato. Se in appello è emessa sentenza negativa per il contribuente, viene meno la sospensione dell’atto impugnato ed è riscuotibile il dovuto, dedotto il riscosso. La parte che ha proposto ricorso in Cassazione, dimostrando di aver depositato il ricorso in Cassazione, può chiedere alla Commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospendere in tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile (art. 62 bis). La sospensione presuppone qui il periculum in mora, ma non il fumus. Anche qui il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile. 91 Il Presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno 10 giorni liberi prima. In caso di eccezionale urgenza il Presidente può disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con ordinanza motivata non impugnabile. Nel processo tributario, le sentenze di condanna sono sentenze che condannano al rimborso in favore del contribuente. L’art. 69 stabilisce che le sentenze sono immediatamente esecutive, tuttavia il pagamento di somme superiori a 10.000 euro può essere subordinato dal giudice alla presentazione di idonea garanzia. Il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro 90 giorni dalla sua notificazione o dalla presentazione della garanzia. La parte pubblica, appellando la sentenza di 1° grado, può chiedere alla Commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l’esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. Inoltre la stessa parte, se ricorre in Cassazione, può chiedere alla Commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte la esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile (art. 62 bis). 7. Sospensione, interruzione ed estinzione del processo
 Il processo tributario non deve essere sospeso in caso di pregiudizialità esterna, cioè se pende una questione pregiudiziale dinanzi al giudice civile o al giudice amministrativo, né quando pende un processo penale per i medesimi fatti che sono da accertare nel processo tributario. La sospensione necessaria è prevista dall’art. 39 solo quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti d capacità di stare in giudizio. Il processo tributario deve essere sospeso quando la causa pregiudiziale sia pendente dinanzi ad altro giudice tributario. Occorre però che le parti della causa pregiudiziale siano le medesime della causa dipendente (art. 39 bis). Il processo tributario deve essere sospeso anche quando: a) è presentato regolamento preventivo di giurisdizione; b) è sollevata una questione di costituzionalità; c) la Commissione dispone il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’UE; d) viene presentato il ricorso per ricusazione del giudice. La sospensione è dichiarata con ordinanza: durante la sospensione non possono essere compiuti atti del processo. Quando cessa la causa della sospensione deve essere presentata istanza di trattazione entro 6 mesi, altrimenti il processo si estingue. L’interruzione del processo tributario è disciplinata in modo assai simile al processo civile. Si ha interruzione del processo quando: a) muore la parte privata o il suo legale rappresentante o il suo difensore; b) la parte perde la capacità di stare in giudizio, o il difensore è radiato dall’albo. La cancellazione di una società dal registro delle imprese ne determina l’estinzione ma, per il diritto tributario, si prevede che la società sopravvive per 5 anni dopo la cancellazione. Trascorso tale termine, il processo tributario si interrompe e subentrano i soci. Le conseguenze dell'interruzione sono analoghe a quelle della sospensione, per cui non possono essere compiuti atti del processo e, se non è presentata tempestivamente istanza per la ripresa, il processo si estingue. Il processo può estinguersi per: a) rinuncia al ricorso: la rinuncia non ha effetto se non è accettata dalle altre parti costituite che abbiano effettivamente interesse alla prosecuzione del processo; b) inattività delle parti: per esempio nel caso in cui la parte non si attivi a seguito di sospensione del giudizio; c) cessazione della materia del contendere: si ha quando viene meno l’oggetto del processo, ossia l’atto impugnato, ad esempio quando avviene la conciliazione o quando l’Amministrazione ritira l’atto impugnato. 8. I provvedimenti del giudice Il giudice tributario può emettere sentenze, ordinanze e decreti. I provvedimenti collegiali hanno la forma di sentenza o di ordinanza. Il collegio pronuncia: • Sentenza quando definisce il giudizio, cioè quando decide il ricorso o dichiara l’estinzione del giudizio. 92 sostituito un atto in cui non si rinvengono i vizi. Se il giudice accoglie totalmente una domanda di annullamento integrale dell'atto questo è eliminato e cadono anche i suoi effetti ossia l’obbligazione tributaria. Quando l’annullamento è parziale, la sentenza di accoglimento del ricorso non sostituisce l’atto impugnato, vale a dire non è un nuovo atto impositivo. Questo perché l'atto è idealmente scisso in due parti: una legittima e l'altra illegittima. Viene eliminata quella illegittima e resta quella legittima. Questo perché non è pensabile che il giudice stabilisca l'eliminazione della parte dell'atto giudicata legittima e la riproduca con un contenuto identico. Le sentenze che accolgono le domande di rimborso sono sentenze di condanna. Il contribuente non deve limitarsi a impugnare il provvedimento negativo, chiedendone l’annullamento o a censurare il silenzio, ma deve chiedere che venga accertato il suo diritto al rimborso e che l’Amministrazione finanziaria sia condannata a rimborsare. Le sentenze che accolgono domande di rimborso hanno contenuto complesso, perché in 1° luogo devono contenere l’annullamento del diniego e l’accertamento del credito e la condanna dell’Amministrazione a rimborsare. Le sentenze di condanna sono esecutive. 11.1 La cosa giudicata: limiti oggettivi Le sentenze tributarie passano in giudicato (in senso formale) quando non sono più soggette a impugnazione ordinaria (appello, cassazione, revocazione ordinaria), ma solo a revocazione straordinaria. La riscossione a titolo definitivo presuppone una sentenza passata in giudicato in senso formale. Le sentenze passate in giudicato possono essere impugnate solo con revocazione straordinaria. La cosa giudicata sostanziale è invece l’accertamento irrevocabile di una situazione giuridica soggettiva: accertamento del diritto potestativo all’annullamento dell’atto impugnato, seguito, in caso di accoglimento, dall’annullamento dell’atto impugnato. Oggetto, ed anche limite, del giudicato, è dunque la statuizione relativa all’impugnazione di un determinato atto. Perciò il giudicato relativo a un determinato tributo non vincola per altri tributi. La giurisprudenza ritiene che il giudicato tributario possiede una potenziale capacità espansiva in altri giudizi tra le stesse parti. Nonostante l’autonomia dei periodi d’imposta, il giudicato relativo ad un periodo vincola anche per altri periodi, nel caso in cui la pronuncia investa fatti a rilevanza pluriennale. Invece gli accertamenti relativi ad un periodo d’imposta, non vincolano per altri periodi, se relativi a fatti che possono variare. 11.2 La cosa giudicata: limiti soggettivi Il giudicato vale solo tra le parti del processo, i loro eredi ed aventi causa. Non vale per i terzi e non può pregiudicarli. Il giudicato pronunciato dall’amministrazione finanziaria e un condebitore non può essere opposto ad altri condebitori, come il responsabile d’imposta. Il terzo non può essere pregiudicato dal giudicato inter partes, ma può approfittarne. Se i coobbligati impugnano l’atto impositivo con distinti ricorsi, gli esiti possono essere tanti, quanti sono i processi instaurati. La sentenza che respinge il ricorso di un condebitore non pregiudica gli altri, perché “la sentenza, pronunciata tra il creditore ed uno dei debitori non ha effetto contro gli altri debitori” (art. 1306 c.c.). Può accadere che un avviso di accertamento sia notificato a due coobbligati in solido e sia impugnato da uno soltanto, che ne ottiene l’annullamento con sentenza definitiva. La giurisprudenza ritiene che il giudicato intervenuto in un processo tra il creditore ed uno dei condebitori in solido può essere opposto al creditore anche dai condebitori che non hanno partecipato al processo. Si ritiene che il condebitore può invocare il giudicato favorevole formatosi tra un altro condebitore e l'amministrazione finanziaria solo in via di eccezione non in via di azione. Infine, secondo la giurisprudenza, il giudicato favorevole ottenuto da l’altro condebitore non può esser fatto valere dal coobbligato nei cui confronti si sia direttamente formato un giudicato sfavorevole. Si può risolvere la questione considerando che: 1)  il processo tributario è un processo costitutivo rivolto all’annullamento di atti autoritativi; 2)  i ricorsi dei condebitori in solido hanno per oggetto un identico atto impositivo; 3)  l’annullamento di un atto vale erga omnes.
 Questo comporta che, se un condebitore impugna e un altro condebitore non impugna, l’annullamento ottenuto dal condebitore impugnante è relativo all’unico atto impositivo ed esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori. Perciò dell'annullamento può giovarsi anche il condebitore rimasto inerte. 95 12. La pronuncia sulle spese L’art. 15 accoglie il principio della condanna del soccombente alle spese del giudizio, che sono liquidate con la sentenza. La soccombenza può essere derogata, in base all’art. 15 co. 2, disponendo la compensazione in tutto o in parte, soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni, che devono essere espressamente motivate. Si applicano i commi 1 e 3 dell’art. 96 c.p.c., in tema di responsabilità aggravata. Le spese del giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l’Iva, se dovuti. La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza di merito. I compensi agli incaricati dell’assistenza tecnica sono liquidati sulla base dei parametri previsti per le singole categorie professionali. Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei gestori dei tributi locali, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del 20%. La riscossione a favore del fisco avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Nelle controversie soggette a mediazione le spese di giudizio sono maggiorare del 50% a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento. Se è intervenuta conciliazione, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione. La decisione sulle spese è pronunciata d’ufficio; non è necessaria né una esplicita richiesta di condanna, né la nota spese. Il giudice deve provvedere alle spese anche in caso di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. 13. Ottemperanza alle sentenze di condanna Il capo IV del d.lgs. 546/1992, intitolato all’esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie, riguarda solo le sentenze di condanna. Le sentenze che annullano un atto amministrativo non hanno bisogno di esecuzione perché si eseguono da sé. Le sentenze che respingono l’impugnazione di un atto impositivo sono sentenze puramente dichiarative. Le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente sono immediatamente esecutive. Il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza di condanna deve essere eseguito entro 90 giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia, disposta dal giudice per i rimborsi di importo superiore a 10.000 €. In caso di mancata esecuzione della sentenza, il contribuente può richiedere l’ottemperanza a norma dell’art. 70 alla Commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla Commissione tributaria regionale. Il ricorso per ottemperanza può essere proposto dopo che è scaduto il termine per l’adempimento degli obblighi posti dalla sentenza passata in giudicato a carico dell'amministrazione finanziaria o di altro ente impositore. In mancanza di un termine, il ricorso è proponibile dopo che sono trascorsi 30 giorni da un atto di messa in mora notificato a mezzo ufficiale giudiziario. La competenza spetta alla Commissione tributaria provinciale, quando la sentenza a cui ottemperare proviene da questo organo, cioè quando è una sentenza che non è stata appellata oppure è stata impugnata ma la Commissione regionale ha dichiarato inammissibile o improcedibile l'appello. Se invece la Commissione regionale si è pronunciata nel merito e la sentenza è passata in giudicato, la competenza per l’ottemperanza spetta sempre alla Commissione regionale, dato che la pronuncia di appello sostituisce quella che è stata appellata, anche nel caso in cui la confermi. Se la sentenza è impugnata e la Cassazione respinge il ricorso, il giudicato a cui si riferisce l’ottemperanza promana dalla sentenza della Commissione tributaria regionale, dinanzi a cui deve quindi essere proposto il ricorso per ottemperanza. La disciplina del procedimento di ottemperanza diverge da quella ordinaria. Il ricorrente deve depositare il ricorso in doppio originale presso la segreteria della Commissione; sarà poi la segreteria a comunicarlo alla controparte, che può, entro 20 giorni, trasmettere le proprie osservazioni alla Commissione tributaria, allegando la documentazione dell’eventuale adempimento. Decorso tale termine il Presidente della Commissione fissa il giorno per la trattazione non oltre 90 giorni dal deposito del ricorso. Il ricorso è trattato in camera di consiglio ma con facoltà di intervento delle parti che devono essere avvisate almeno 10 giorni liberi prima. 96 Il giudizio di ottemperanza è un giudizio organizzato da un misto di poteri cognitori ed esecutivi, nel quale il giudice deve prioritariamente individuare gli obblighi non adempiuti, valutando la portata del dispositivo della sentenza da ottemperare in una con la motivazione. Appartiene alla discrezionalità del giudice dell’ottemperanza individuare i mezzi idonei ad assicurare l’esecuzione del giudicato. Può essere dunque nominato un commissario ad acta, cui può essere conferito il potere di avvalersi della struttura dell’Amministrazione finanziaria, che è tenuta a fornire l’assistenza necessaria per la sollecita adozione del provvedimento commissariale. Le sentenze della Commissione tributaria provinciale, emesse nel giudizio di ottemperanza, non sono appellabili e possono essere impugnate solo in Cassazione. 14. Le impugnazioni in generale I mezzi di impugnazione, nel processo tributario, sono: a) Appello alla Commissione tributaria regionale, contro le sentenze della Commissione tributaria provinciale; b) Ricorso per Cassazione, contro la sentenza della Commissione tributaria regionale; c) Revocazione. Non sono ammessi né l’opposizione di terzo né il regolamento di competenza. 15. L’appello Le sentenze delle Commissioni tributarie provinciali possono essere appellate con ricorso alla Commissione tributaria regionale nella cui regione ha sede la Commissione che hapronunciato la sentenza appellata. L’appello è una impugnazione sostitutiva. Ciò implica che: a) Oggetto del giudizio di appello è lo stesso oggetto del giudizio di 1° grado; b) L’appello è mezzo di impugnazione a critica libera: i motivi non sono predeterminati (invece il ricorso per Cassazione e il ricorso per revocazione sono a critica vincolata in quanto ammessi soltanto per motivi predeterminati); c) In tema di cognizione del giudice di appello opera il principio devolutivo, in Cassazione invece la cognizione è limitata dai motivi;
 d) La decisione di appello prende il posto, sia in caso di accoglimento, sia in caso di rigetto, della pronuncia impugnata. L’appello deve essere proposto nel termine di 60 giorni dalla notificazione della sentenza di 1° grado. In mancanza di notificazione opera il termine lungo previsto di 6 mesi dal deposito della sentenza (art. 327 c.p.c). La parte appellata, se è anch’essa soccombente, può a sua volta appellare proponendo, nell’atto di controdeduzioni, appello incidentale. L’appello deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei fatti, l’oggetto della domanda e i motivi specifici dell’impugnazione. Occorre distinguere i motivi del ricorso di 1° grado dai motivi dell’appello, che sono critiche rivolte alla sentenza di 1° grado. Si può dire che l'appellante ha un doppio onere: riproporre i motivi di critica del provvedimento, dedotti nel ricorso in 1° grado, e censurare la sentenza che non li ha accolti. Poiché l'appello non è un rimedio rescindente, ma sostitutivo, non hanno rilievo i vizi di procedura del 1° grado, salvo quelli che comportano la rimessione. 15.1 L’oggetto del giudizio di appello L’oggetto del giudizio è delimitato dall’atto di appello, e cioè dai motivi e dal petium dell’appello, che deve indicare i capi della decisione di 1° grado su cui viene richiesto un nuovo giudizio. Si può avere una scissione della prima sentenza, nel caso in cui non venga richiesta la riforma integrale. Pertanto una parte sarà sostituita dalla pronuncia di appello, ed una parte, non impugnata, passerà in giudicato. Si forma così il cosiddetto giudicato interno o parziale, derivante dalla cosiddetta acquiescenza propria (art. 329 c.p.c.). Non sono ammesse domande nuove. La norma riguarda solo il contribuente, che, se appella, non può proporre domande non proposte in 1° grado. Ciò significa che non può essere formulato un petitum diverso o più ampio di quello formulato in 1° grado, né possono essere dedotti motivi non dedotti in 1° grado. Il contribuente, nelle azioni di rimborso, può però domandare gli interessi maturati dopo la sentenza di 1° grado. 97
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