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tesi di laurea su sindrome di down, Tesi di laurea di Pedagogia

analisi sulla sindrome di down

Tipologia: Tesi di laurea

2013/2014

Caricato il 23/08/2021

mdory
mdory 🇮🇹

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Scarica tesi di laurea su sindrome di down e più Tesi di laurea in PDF di Pedagogia solo su Docsity! LIBERA UNIVERSITA” MARIA SS. ASSUNTA - ROMA Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea nella classe 18 Percorso Educatori Professionali Sindrome di Down e avanzamento d’età Laureanda: Carla De Feo Mat. 13055/100 Relatore: Chiar.mo Prof. Marcello F. Turno Anno Accademico 2008 2009 “Ecco le perle più preziose della Piccola Casa... .. Sono i nostri padronissimi, sono le nostre vere gemme” San G.B. Cottolengo INDICE INTRODUZIONE. INDICE Indice delle Figure ... Indice delle Tabelle Indice dei Grafici . . 1 LA NUOVA LONGEVITÀ ..................iiin 7 2 LA SINDROME DI DOWN......................... iii 10 2.1 Ricerche sulla sindrome di Down..... 2.2 Sindrome di Down, malattia di Alzheimer, demenza 2.2.1 Studi clinici. 2.2.2 Studi psicopatologici. 3 OSSERVAZIONE SPERIMENTALE ................................ n 3.1 DMR: Dementia Questionnaire for Persons with Intellectual Disabilities 3.1.1 Descrizione del DMR. 3.2 Selezione dei casi 3.3 Analisi del campione... a 4 L'EDUCATORE: RUOLO E OBIETTIVI ...................... in 27 4.1 Il concetto di qualità di vita .. 4.2 Le strategie di valutazione .... 4.3 Le condizioni di vita delle persone 4.4 L'autonomia individuale e sociale per un migliore stile di vita .... 4.5 L’intervento di attivazione cognitiva .... 4.6 L’educatore alla scuola della fragilità. 5 CONCLUSIONI E SVILUPPI .... APPENDICE SPERIMENTALE............................ iii Il questionario... Le variabili ..... Caratteristiche socio-demografiche del campione Analisi dei dati .. e BIBLIOGRAFIA. .......................\ iii 50 SITOGRAFIA..................... iii 53 Indice delle Figure Figura 1- Langdon Down e Jerome Lejeune Figura 2 - Errore di distribuzione dei cromosomi durante la meiosi Figura 3— Placche di beta-amiloide Figura 4- Mappa generale del campione con AutoCM Indice delle Tabelle Tabella 1— Studio di Baird e Sadovnich, 1995 Tabella 2 - Prevalenza della MA in soggetti con SD (Bush e Beail, 2007) Tabella 3 - Evoluzione del deterioramento cognitivo (DC) e fasi precoci della DAD Tabella 4 - Gli item, le sottoscale e la somma dei punteggi del DMR Tabella 5 - Età media, deviazione standard per gruppi di residenza e genere Tabella 6 - Indicatori fondamentali per i domini della QdV Tabella A1- Descrizione delle variabili Tabella A2- Valori delle variabili Tabella A3- Analisi di frequenza della variabile genere Tabella A4- Analisi di frequenza della variabile residenza 10 17 36 42 42 43 43 Tabella AS- Valori di tendenza centrale, dispersione, simmetria e curtosi della distribuzione dell’età dei soggetti Tabella A6- Analisi di frequenza secondo le fasce di età Tabella A7- Test di omogeneità delle varianze: con Sig.<0.05 non posso considerare le varianze omogenee. 44 44 46 Tabella A8- Procedure statistiche adottate da SPSS a partire dai risultati del test di Levene 46 Tabella A9- Confronto della significatività della differenza delle medie delle età fra gruppi di residenza Tabella A10 - Confronti a coppie multiple per individuare le differenze significative Tabella A11 - Sottoinsiemi omogenei Tabella A12 - Andamento individuale punteggi DMR/Età Tabella A13 - Correlazione bivariata tra variabili interne (DMR) e variabili esterne Indice dei Grafici Grafico A1 - Frequenza per genere Grafico A2 - Frequenza per residenza Grafico A3 - Istogramma della distribuzione dell’età dei soggetti Grafico A4 - Frequenza per fasce di età Grafico AS - Distribuzione percentuale delle fasce di età per gruppi di residenza Grafico A6 - Grafico delle medie delle età per gruppi di residenza. Grafico A7 - Variabilità individuale e punteggi medi (in %) per i tre diversi ambiti residenziali 46 46 47 48 49 1LA NUOVA LONGEVITÀ La legge naturale che governa lo sviluppo di tutti gli esseri viventi, compreso l’uomo, insegna che il destino si compie in tre tappe successive: la nascita, la vita e la morte. L’uomo ha sempre desiderato superare questa condizione di finitezza. È comnaturata all’uomo stesso quella volontà che, come ricorda Schopenhauer, ci spinge ad un “tendere verso”, che non ha mai fine. Come una fame insaziabile, un sogno utopico o un desiderio rimasto irrealizzato, l’uomo di ogni età e di ogni secolo ha cercato risposte rassicuranti alla sua esistenza ultraterrena (Cottini, 2008). La vita degli uomini, dunque, segue un sentiero ben definito che, benché segnato da fatti, persone, esperienze, emozioni, desideri, vissuti diversi per ciascuno, li accomuna in una sua direzione univoca che conduce alla morte fisica. Nella sua evoluzione e involuzione il nostro corpo passa attraverso alcune fasi che scandiscono in maniera approssimativa, mai definitiva e rigida, il passaggio da una condizione all’altra, da uno stadio di sviluppo ad uno successivo. In particolare negli ultimi anni la ricerca psicologica, basandosi su una molteplicità di risultati sperimentali, ha introdotto la prospettiva della cosiddetta life-span (Baltes, Reese e Lipsitt, 1980), cioè della psicologia dell’arco della vita; secondo tale approccio, non teoria, lo sviluppo dell’uomo non si realizza soltanto nei periodi dell’infanzia e dell’adolescenza, ma dura tutta la vita e nel corso degli anni si arricchisce di nuove acquisizioni cognitive, affettive e da influenze sociali e ambientali. Molto prima dell’affermarsi di tale prospettiva già E. Erikson, sulle tracce della teoria freudiana dello sviluppo sessuale, aveva elaborato una visione dello sviluppo che si estendeva dalla nascita fino alla vecchiaia con specifiche acquisizioni sul piano cognitivo, affettivo e sociale, studio caratterizzato dal bipolarismo tra integrità dell’io e disperazione (Erikson, 1966). Negli ultimi decenni le discussioni sui processi di invecchiamento si sono legate soprattutto alle recenti scoperte di natura neurofisiologica che stanno completamente ridisegnando il panorama di questa età della vita. Così come tutte le strutture del nostro corpo anche quelle celebrali seguono quelle che Damasio (1995) ha chiamato “stagioni dello sviluppo”, complesse e 2 LA SINDROME DI DOWN La SD, o trisomia 21, è la più comune anomalia cromosomica ed è la prima ad essere stata descritta, prende il nome da Langdon Down (Figura 1), medico inglese che nel 1866 in un suo sintetico articolo descrive le caratteristiche fondamentali della sindrome, facendo in particolare riferimento a faccia ampia, pieghe epicantali, lingua grossa, difficoltà linguistiche, durata della vita più breve Figura 1 - Langdon Down e Jerome Lejeune e personalità umorale; sottolinea inoltre che i progressi sul piano dell'apprendimento possono essere facilmente perduti. Nel 1958 Jerome Lejeune (Figura 1) scopre la presenza di un cromosoma 21 in più. Si parla di Trisomia 21 libera o Trisomia da non disgiunzione se il cromosoma "in più" fluttua libero; questa è la modalità più comune per la nascita di un bambino down. La Trisomia da traslocazione si Figura 2 - Errore di distribuzione dei verifica invece quando il cromosoma 21 "in cromosomi durante la meiosi più" è legato ad un altro cromosoma. Una Samon forma ancora più rara di SD è rappresentata dalla Trisomia a Mosaico, in cui nello stesso individuo sono presenti cellule di due tipi a i A i diversi e cioè alcune con 46 ed altre con 47 cromosomi. Dunque la SD è legata alla presenza di un cromosoma soprannumerario della coppia 21. Ha un’incidenza di uno su ottocento nati vivi. Il cariotipo, nella maggior parte dei casi è: 47, XX + 21 oppure 47, XY +21. Nella gran parte dei casi di trisomia 21 i genitori hanno un fenotipo e un cariotipo normale. L’anomalia cromosomica è determinata da un errore al momento della meiosi (Figura 2): è il momento in cui il doppio corredo cromosomico, che 10 possiede ciascun individuo, si dimezza per poi ricostituire, al momento della fecondazione, un corredo genetico con lo stesso mumero di cromosomi dei genitori. Una persona con Sindrome di Down presenta fin dalla nascita delle lievi anomalie del cranio, del volto, delle orecchie e delle mani, talvolta associate ad una modesta riduzione del tono muscolare. A queste anomalie si associano un modesto deficit dell'accrescimento, un ritardo dello sviluppo motorio e del linguaggio ed un ritardo mentale moderato o severo. Oggi è noto che la maggior parte delle caratteristiche fenotipiche, fatta eccezione per il ritardo mentale e l’ipotonia, sono variabili e possono addirittura non essere presenti. Il 30% - 60% delle persone con sindrome di Down è affetto da cardiopatie congenite. Una caratteristica neurologica peculiare è la degenerazione del sistema nervoso, che, come vedremo in dettaglio, configura un quadro clinico simile alla malattia di Alzheimer. Questa patologia colpisce una parte delle persone con sindrome di Down dopo i 35 anni. I problemi di salute nelle persone Down in età adulta comprendono, in ordine crescente: anomalie cardiache congenite e acquisite (30%), malattie polmonari croniche (30%), epilessia (37%), demenza presenile tipo Alzheimer (42%), osteoporosi con conseguente frattura delle ossa lunghe (50%), deficit sensoriali acquisiti (50%), problemi comportamentali (50%) e perdita delle abilità cognitive (55%-75%) (van Allen, 1999). I dati epidemiologici indicano una popolazione di circa 48.000 persone residenti in Italia, delle quali la maggioranza è rappresentata da persone adulte www.sindromedidown.it). 2.1 Ricerche sulla sindrome di Down Diversamente dagli studi sui soggetti normodotati il problema del deterioramento cognitivo dovuto all’età nei soggetti con SD è diventato attuale solo in questi ultimi anni, grazie all’avanzamento dell’età anche in questi soggetti; avanzamento ll non previsto fino a non molti anni fa (Cottini, 2008). La realtà dei fatti è stata evidenziata dalle ricerche e particolarmente perniciosi sono i dati che interessano la SD, con reperti che dimostrerebbero la comparsa di segni istologici simili a quelli della malattia di Alzheimer, ivi compreso quindi il declino delle funzioni cognitive (George-Hyslop et al., 1987). Dal punto di vista strettamente diagnostico e clinico, in questi come in altri quadri sindromici e patologici, oltre ai limitati dati attendibili cui poter fare riferimento, i nodi da sciogliere sono diversi. In primo luogo è necessario poter identificare e distinguere le dinamiche e le conseguenze connesse al rapporto esistente tra deficit primari e disturbi secondari. Quindi è importante capire se ci troviamo di fronte a fatti clinici e a nuove entità nosografiche, per poter di conseguenza prevedere il declinarsi dei vari disturbi nel tempo e l’effetto congiunto degli stessi. In ultimo è necessario far affidamento e utilizzare metodologie e strumenti in grado di identificare precocemente modificazioni funzionali sul piano cognitivo. Ciò renderebbe possibile procedere, nel tempo, allo studio dell’evoluzione dei diversi quadri clinici. Per quanto riguarda il passato siamo in possesso di numerosi studi sugli effetti negativi dell’istituzionalizzazione delle persone con handicap. Oggi però la qualità della vita e i servizi socio-sanitari hanno innalzato di non poco la qualità della vita di queste persone, qualità non certo paragonabile con il passato. Rimane il fatto che, invecchiando in condizioni di svantaggio e non potendo usufruire di stimoli che, come ritenuto, sono fondamentali per invecchiare bene, il soggetto disabile subirebbe un decadimento precoce e accentuato delle abilità, conoscenze, capacità, anche se il livello raggiunto si era dimostrato sufficiente e stabile per consentire un discreto adattamento. È ragionevole ritenere che in questi casi possa esistere una relazione di causa- effetto tra qualità e risultati del percorso educativo e/o rieducativo pregresso della persona disabile, funzionale al mantenimento di un livello di efficienza maggiore, pur nella prospettiva purtroppo ineludibile, connessa al processo di regressione che interessa tutti. Per le persone con SD, come già ricordato, i notevoli miglioramenti sul piano 12 comportamento sociale e della personalità. Esisterebbe quindi un rapporto tra compromissione di aree specifiche del cervello, riduzione dell’efficienza funzionale delle stesse ed evidenza clinica della DAD. I dati più significativi tra evoluzione del deterioramento cognitivo e fasi precoci della DAD sono riportati in tabella 3 (Bush e Beail, 2007). Per chi si occupa del problema del deterioramento cognitivo nei soggetti con SD questi dati sono particolarmente interessanti perché confermano e incrementano ancor di più l’interesse per gli studi comparativi tra la situazione pre-morbosa e il successivo deterioramento cognitivo. Tale interesse coinvolge chiaramente anche gli strumenti per la diagnosi precoce, poiché l’obiettivo è quello di ostacolare il deterioramento cognitivo attraverso interventi finalizzati al mantenimento e/o incremento delle funzioni cognitive superiori. Tabella 2 - Prevalenza della DAD in soggetti con SD (Bush e Beail, 2007) Dati delle ricerche Prevalenza Autori Tipo di studio Numero di —Ranged’età Percentuale soggetti Lai e Williams Istituzionale, longitudinale 73 3549 80 (1989) 50-59 55.0 >60 770 Schupf et al. (1989) Retrospettivo di un gruppo seguito 9 20-39 40 fino al decesso 40-49 260 50-59 510 Franceschi et al. Residente a domicilio con ritardo 50 20-29 00 (1989) mentale lieve, cross-sectional 30-39 330 40-52 55.0 Prasher (1995) Studio prospettico, revisione di 201 20-29 00 cartelle cliniche, raccolte 30-39 20 anamnestiche e valutazioni cliniche 40-49 94 50-59 361 60-69 545 Holland et al. Studio longitudinale di 30-39 00 (2000) popolazione 40-49 138 50-59 250 60-69 330 15 Tabella 3- Evoluzione del deterioramento cognitivo (DC) e fasi precoci della DAD [Autori Soggetti-età Metodo Evoluzione del DC ] Crayton et 70 soggetti, da un Assessment iniziale, con Età 40-49: deficit di orientamento al. (1989) gruppo di 128, età>28 batteria di test spaziale anni, escluse le neuropsicologici come disabilità intellettive parte di uno studio gravi ei disturbi longitudinale sensoriali Oliver, 13 soggetti dei 70 del —1Estensione longitudinale —Età >50:il 70% dei soggetti presentano Crayton et’ gruppo precedente dello studio precedente deficit alivello di memoria al. (1998) visospaziale e iniziale deficit dell’orientamento seguito da agnosia, afasia e aprassia Devenny et al. (1996) 91 soggetti con un quadro funzionale più alto che vivono in comunità di cui 27 soggetti con età >50 anni Studio longitudinale con valutazioni annuali condotte per 6 anni Solo il Selective Reminding Test e il subtest di decodificazione indicano un deterioramento significativo caratteristico dell'invecchiamento fisiologico Devenny et al. (2000) 66 soggetti Down di cui 22 presentano vari segni di demenza Estensione longitudinale dello studio precedente del 1996; valutazione con WISCR Demenza dubbia (10 soggetti); perdita dell’organizzazione visuospaziale e nuovo apprendimento (disegno di figure e decodifica. Stadio precoce di demenza (5 soggetti): perdita dell'organizzazione visuospaziale, working memory a livello linguistico. Stadio moderato: declino significativo in tutte le valutazioni 2.2 Sindrome di Down, malattia di Alzheimer, demenza Esiste un filone di studi in cui la sintomatologia tipica della DAD è stata confrontata coni segni di decadimento cognitivo in soggetti SD di età superiore ai 40 anni circa. Il DSM-IV (1994) definisce la DAD come una condizione che si determina a seguito di uno “sviluppo di deficit cognitivi multipli che includono disturbi di memoria e almeno una delle seguenti alterazioni cognitive: afasia, aprassia, agnosia o un disturbo delle finzioni esecutive. I deficit cognitivi devono essere sufficientemente gravi da causare una compromissione significativa del funzionamento sociale e lavorativo”. I primi sintomi della malattia sono impercettibili, fino a portare a una completa dipendenza funzionale. 16 2.2.1 Studi clinici Esiste una grossa mole di lavori (in Cottini, 2008) che analizzano i rapporti fra DAD e SD dal punto di vista neuroanatomico (confronto fra le modalità di degenerazione del sistema nervoso centrale). Vari riscontri sembrano accreditare Figura 3 — Placche di beta-amiloide l’esistenza di una patologia Normal x Aizholmors degenerativa in diverse persone con SD di età avanzata, simile a quella caratteristica della DAD, giustificandola anche dal punto di vista genetico. Il gene che codifica la proteina beta-amiloide, responsabile delle placche neurofibrillari presenti nella DAD (Figura 3), è situato sul braccio corto del cromosoma 21 (Zigman, Schupf, Zigman e Silverman, 1993; Dykens et al., 2000). Brown aveva già notato (2000) che le persone con SD tendono ad avere un declino più precoce delle attività di tempo libero rispetto ad altri gruppi di persone con altri tipi di disabilità intellettive; sembra che tale declino possa iniziare intorno ai 25 anni. Per questo si ritiene appropriato esaminare i processi di invecchiamento a partire dai 45 anni, come condiviso in ambito scientifico (Janicki & Wisniewski, 1985). Il rapporto fra SD e DAD è comunque complesso. La grande maggioranza degli adulti con SD con più di 30 anni ha un cervello con le placche caratteristiche della malattia di Alzheimer, per l’accumulo di sostanza amiloide (Wishart, 1996). Nonostante questo solo una percentuale ridotta (dal 15% al 40% a seconda delle ricerche) mostra i sintomi della malattia. Nei bambini con SD vi è un accumulo di aminoacidi anomali nelle proteine, causato da un'accelerata deaminazione dell'asparagina. Uno studio pubblicato sulla rivista internazionale FEBS Journal, organo ufficiale della Federazione Europea delle Società di Biochimica, dimostra per la prima volta che nelle proteine dei bambini affetti da sindrome di Down (trisomia 21) vi è l'accumulo di 17 Sulla stessa linea si collocano le conclusioni di uno studio di tipo longitudinale di Johanson e coll. (1991). Questi autori esaminano le modificazioni neuropsicologiche che si determinato in soggetti con SD al crescere dell’età. Dopo i 40 anni rilevano un marcato deterioramento cognitivo che coinvolge anche le funzioni spaziali. Visser e coll. (1997) confermano la progressiva insorgenza con l’avanzare dell’età di segni di DAD nei soggetti con SD, anche se rilevano che tali precoci indicatori sono particolarmente evidenti per le persone che vivono in istituto. In direzione opposta sembrano portare i risultati ottenuti da Caltagirone, Nocentini e Vicari (1990); studiano il decorso delle funzioni cognitive in soggetti con SD adulti. Conducono la ricerca comparando 20 adulti e 20 giovani con SD, 20 adulti con ritardo mentale determinato da altre cause, e 15 soggetti con DAD. Le similitudini fra soggetti giovani e adulti con SD non confermano, da una prospettiva cognitiva, l’ipotesi che il progredire dell’età sia invariabilmente accompagnato da segni di processi degenerativi. Le persone adulte con SD ottengono, di fatto, punteggi sempre inferiori rispetto ai soggetti più giovani, ma i profili cognitivi dei due sottogruppi sono paralleli. Questa affermazione contraddirebbe l’interpretazione secondo cui un processo degenerativo sovraimposto accompagna sempre e inevitabilmente l’invecchiamento. Inoltre il confronto fra il sottogruppo degli adulti con SD e quella dei soggetti con malattia di Alzheimer non fomisce supporto, da una prospettiva neuropsicologica, all’ipotesi che il deterioramento mentale osservato nella SD riproduca le stesse modalità cognitive del deterioramento che si osserva nei pazienti con malattia di Alzheimer. Significativa appare la sintesi operata dal gruppo di ricerca di Wisniewski (Wisniewski, Wisniewski e Wen, 1985; Silverman e Wisniewski, 1998) sui controversi risultati ottenuti. Secondo questi autori è legittimo pensare che nella SD si possa avere un periodo di circa 15 anni tra l’apparizione delle prime alterazioni neuropatologiche a livello celebrale e le manifestazioni comportamentali di un declino cognitivo. Si può ritenere che tale declino si acceleri solo a partire dal momento in cui le alterazioni a livello celebrale sono talmente estese da sommergere i meccanismi di compensazione funzionale del 20 cervello. Un ruolo importante per contenere il rischio di sviluppare la DAD da parte di soggetti con SD sembra essere giocato dal livello delle competenze cognitive. Alcuni ricercatori canadesi (Temple, Jozsvai, Konstantareas ed Hewitt, 2001) hanno condotto un lavoro sperimentale prendendo lo spunto dalla constatazione che nelle persone senza ritardo mentale una variabile significativa per abbassare il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer è rappresentato dal livello di istruzione, una sorta di riserva sinaptica. Lo studio mette a confronto soggetti con SD (compresi fra 29 e 67 anni) che manifestano sintomi di demenza, con altri che invece non ne sono affetti. Lo scopo è quello di verificare se i due gruppi differiscono per il loro livello di educazione, di occupazione significativa, di attività ricreative, per anni di istituzionalizzazione e per il livello generale del funzionamento cognitivo. È stato utilizzato il Demential scale for Down Sindrome (Huxley, Prasher e Haque, 2000) per appuntare il decadimento nelle prestazioni dei soggetti in un arco di tempo di 3 anni (con misure ogni 6 mesi). È emerso che il livello di funzionamento cognitivo è significativamente associato con il decadimento, così che un alto livello di capacità cognitive può predire un decadimento più limitato. Nessuna delle variabili ambientali (livello di educazione, anni di istituzionalizzazione o occupazione) risulta direttamente connessa con il decadimento. Un controllo post hoc comunque evidenzia che il livello di funzionalità cognitiva è associato alle suddette variabili ambientali. Possiamo quindi asserire che il livello delle capacità cognitive condiziona direttamente i processi di decadimento e la presenza di sintomi di demenza nelle persone con ritardo mentale. Tale funzionalità poi si connette e dipende anche da una serie di variabili ambientali che possono influenzarla positivamente o negativamente. Questi studi stimolano la predisposizione di interventi finalizzati a potenziare le competenze cognitive per ridurre i rischi di decadimento o almeno rallentarlo; qui si colloca la professionalità dell’educatore. 21 3 OSSERVAZIONE SPERIMENTALE A completamento di quanto rilevato in letteratura presentiamo gli esiti della ricerca effettuata attraverso un questionario strutturato (DMR) somministrato ai caregiver di persone con SD. Per la valutazione dei soggetti abbiamo scelto il Dementia Questionnaire for Persons with Intellectual’Disabilities nell’adattamento italiano (De Vreese, Gomiero, Mantesso, 2008). Il non disporre di una valutazione longitudinale è il limite attuale di questo studio. 3.1 DMR: Dementia Questionnaire for Persons with Intellectual Disabilities Il questionario per la Demenza per le persone con Ritardo Mentale (DMR) è il primo strumento messo a punto per lo screening della demenza nelle persone con disabilità intellettiva (DI) (ella letteratura specialistica attuale sostituisce il termine Ritardo Mentale (Schalock et al., 2008); il DMR è stato originariamente sviluppato in Olanda negli anni ottanta (Evenhuis et al., 1984); è attualmente utilizzato da clinici e ricercatori in tutto il mondo; la sua capacità di fornire informazioni valide ed attendibili è stata confermata in diversi Stati, e per questo ha assunto un posto prominente fra i test diagnostici per la demenza. Contemporaneamente uno degli sviluppi nelle ricerche cliniche generali è stato il riconoscimento del ruolo dei disturbi comportamentali e psichiatrici nelle sindromi dementigene. La diagnosi clinica di demenza in un soggetto con DI (compresa la SD) non è agevole. A causa del decorso lentamente progressivo a partire da un livello sub- ottimale di funzionamento di base, la diagnosi di demenza viene spesso posta solo al momento della comparsa di disturbi grossolani. Inoltre il deterioramento osservato nella vita quotidiana è spesso accompagnato da altre patologie ad andamento progressivo invecchiamento-dipendenti (cofosi, malattia osteo- articolare), da comorbilità somatica (malattia endocrina, cardiovascolare), psichiatrica (psicosi, depressione), neurologica (epilessia), e iatrogena (carenza da folati da anticonvulsivanti, sedazione e confusione da antipsicotici) che possono singolarmente o in associazione provocare un quadro clinico simile a quello di 22 Tabella 5- Età media, deviazione standard per gruppi di residenza e genere Age N Media Deviazione std. Genere femmina 43. 53,54 8,617 maschio 54 51,65 7,812 Residenza famiglia 30 48,26 8,113 comunità alloggio 26 52,91 5,780 istituto 41 55,32 8,404 3.3 Analisi del campione Nel campione preso in esame confrontiamo le variabili “genere” e “luogo di residenza”: non è significativa la differenza media legata al sesso e non si riscontrano evidenze significative dal punto di vista statistico per quanto riguarda l’età fatta eccezione per una prevedibile maggiore età media delle persone istituzionalizzate rispetto a coloro che vivono in comunità alloggio e in famiglia (Grafico AS). Maggiori sono le differenze significative relative ai sottogruppi per residenza calcolate con l’anova univariata: Famiglia-Istituto = -7.060 Famiglia-Comunità alloggio = -4.651 Istituto-Comunità alloggio = 2.409 (Tabella A9, A10, A11, Grafico A6). AI di là delle medie va segnalata una grossa differenza nella variabilità individuale legata all’età (Grafico A12; gli andamenti non sono co-lineari) Allo stesso modo, in riferimento alla residenza, si può riscontrare una innegabile selezione di gravità in entrambi i punteggi (SCS e SOS) “graduata” sulla residenza (Grafico A7). Procediamo con un’analisi delle correlazioni non all’interno delle scale del DMR, ma tra i vari punteggi delle sottoscale e le variabili esterne (è infatti evidente che esiste una buona correlazione tra gli item di una stessa scala se la consistenza del questionario è buona). Consideriamo la Tabella A13 delle correlazioni con criterio 0.4 a due code. 25 Possiamo notare che le tre sottoscale SCS (memoria breve termine, memoria lungo termine e orientamento nello spazio e nel tempo) sono correlate sia alla variabile età che alla variabile residenza. Possiamo sicuramente pensare ad un decadimento età correlato, tuttavia non abbiamo la certezza che questi dati confermino la presenza di soggetti con probabile demenza nel campione. Riguardo alla correlazione con la variabile residenza possiamo pensare ad una dipendenza dovuta all’età dei soggetti nei tre diversi luoghi di residenza, o ipotizzare anche una maggiore attivazione cognitiva operata in ambiente familiare. I risultati relativi alla SOS evidenziano buona correlazione con l’età, di poco maggiore rispetto all’SCS; la scala SOS è correlata anche alla residenza, ma in misura lievemente inferiore rispetto alla scala SCS. Tuttavia la stessa correlazione non si mantiene costante per le sottoscale; infatti non sono sufficientemente correlati il linguaggio (con uno scarto minimo), l’umore, i disturbi del comportamento. Si può ipotizzare che la residenzialità fuori dalla famiglia abbia un impatto più negativo sulle capacità cognitive piuttosto che sociocomportamentali; di queste solo le abilità di base sono correlate alla variabile residenza, forse per una maggiore sensibilità dei famigliari rispetto agli operatori nel promuovere le autonomie. Inoltre le abilità di base e le attività/interessi dei soggetti analizzati sono anche età correlati. 26 4L’EDUCATORE: RUOLO E OBIETTIVI L'educatore professionale vicino ad una persona adulta con SD esercita la propria professionalità attraverso la presa in carico diretta della persona, mediante l'intenzionalità educativa di ogni azione operativa e la gestione della quotidianità emergente nella relazione, con sguardo attento, riflessivo ed intuitivo. La persona manifesta sempre la sua identità originaria e personale, essa è inalienabile e in infinite variazioni espressive accompagna tutto il percorso di vita di ciascuno. Non è riducibile ad alcuna capacità o abilità, non è quantificabile, e se riconosciuta fa comprendere come il prendersi cura cominci dove finisce il guarire e sia innanzi tutto un percorso di accompagnamento relazionale, non una problematica gestionale (De Vreese et altri, 2009). La demenza o la grave disabilità intellettiva non altera il valore della vita umana, le sue esigenze originali, l’identità come “essere persona” nella sua interezza. Questa interezza implica, oltre alla salute fisica e alle abilità cognitive, le emozioni, il senso d’appartenenza, l’attaccamento ad altre persone e agli ambienti, le attività sensate, la personalità, i sistemi di adattamento e i codici comportamentali adottati nell’arco della vita passata e presente (Kitwood, 1997). Fin dalla nascita si susseguono evoluzioni e sviluppi di complesse percezioni personali che portano alla modifica dei bisogni durante tutto l’arco della vita (Brown, 1997). Per quanto concerne la Sindrome di Down, nonostante il cromosoma in più crei uno sbilanciamento genetico che comporta una serie di svantaggi biochimici (come appunto l'accumulo di sostanza amiloide), non possiamo dimenticare che esistono una serie di correlazioni fra natura e ambiente, cioè esiste la possibilità di diminuire l’influenza genetica creando delle difese ambientali (Brown, 1993). A partire da quanto emerso sia dai dati di letteratura che dalle evidenze sperimentali desideriamo delineare le linee portanti dell’intervento educativo vicino a persone con SD in età adulta e avanzata; questo deve caratterizzarsi come multiprospettico (clinico, psicopedagogico, sociale). Occorre prevedere interventi di vario tipo: medico, abilitativo (con particolare riferimento alla funzionalità cognitiva), di sostegno alla famiglia, di attenzione alle condizioni di vita. 27 strumenti diversi per ottenere una valutazione multidimensionale (Dementia scale for Down Syndrome (Gedye, 1995), Severe Impairment Battery SIB (Saxton et al., 2005), Vineland Adaptive Behavior Scales (Sparrow, 2003), Ruocco Geriatric Assessment (Ruocco, 1996)). Sono strumenti valutativi predisposti e specifici per individui con disabilità intellettiva; devono essere somministrati più di una volta per stabilire i criteri e ripetuti longitudinalmente per documentare il declino con certezza. 4.3 Le condizioni di vita delle persone Per le persone con SD che avanzano con l’età si possono determinare condizioni di vita molto diverse, come sottolineato nei risultati sperimentali. Alcuni Timangono in casa con i genitori (spesso con uno solo, soprattutto la mamma), i quali sono ovviamente ormai vecchi. Questo comporta uno stile di vita con poche stimolazioni, rare uscite e scarsi contatti sociali, se non con altre persone anziane. Inoltre si determina un legame così esclusivo che il venire meno dei genitori può provocare pericolose forme depressive. Queste persone vanno sollecitate a trascorrere del tempo fuori casa e preparate al distacco dalla famiglia. Il “dopo di noi” rappresenta una situazione di forte problematicità che richiede interventi di supporto prima che con la scomparsa dei famigliari diventi un'emergenza difficile da affrontare. Come risulta dal campione sperimentale un numero rilevante di persone con SD in età avanzata usufruiscono di servizi residenziali, comunità alloggio o istituti. È bene che la vita dell’istituzione integri l’attenzione all’assistenza e alle situazioni di salute fisica con una tensione positiva, un calore legato alla ricchezza dei legami e delle interazioni affettivo-emozionali, alla significatività della rete di relazioni sociali con l’ambiente. Anche un'istituzione di grandi dimensioni, se articolata in nuclei e adeguatamente organizzata può offrire un contesto di qualità, che dipende prioritariamente dalle persone che lo vivono, dall’organizzazione e dalle attività promosse. Le caratteristiche di ogni individuo e i suoi bisogni personali hanno una grande variabilità e devono essere presi in considerazione quando si osservano i livelli funzionali e si cerca di attivare processi di aiuto. Il bisogno di intimità, di spazi personali, di una vita spirituale, di poter svolgere attività significative, di poter prendere decisioni autonome, anche se semplici, 30 devono essere tenuti in grande considerazione per progettare aiuti di qualità. È molto importante che iniziative ed interventi siano calibrati per le esigenze particolari di ciascuno, ed è inadeguato non differenziare necessità di adolescenti e giovani con SD da quelle di persone adulte ultraquarantenni, in situazione di sempre più grave compromissione funzionale. 4.4 L’autonomia individuale e sociale per un migliore stile di vita Un ulteriore obiettivo strategico nella progettazione di intervento educativo per la persona con SD in età avanzata riguarda l’ambito dell’autonomia personale e sociale, che va preservata e nei limiti del possibile, potenziata, occorre porre grande attenzione agli stili di vita che la persona tende a privilegiare e alla sua capacità di gestione del tempo libero: si tratta di favorire il massimo livello di autodeterminazione. Con autodeterminazione intendiamo il diritto e il bisogno della persona di compiere le proprie scelte, secondo le sue possibilità. I risultati sperimentali sottolineano che le abilità di base sono un aspetto delle problematiche sociocomportamentali più correlate all’età dei soggetti e al luogo di residenza. Possiamo indicare quattro linee di lavoro prioritarie: migliorare l’autonomia personale e la cura del proprio ambiente di vita; potenziare l’autonomia sociale; favorire positivi stili di vita; guidare alla gestione adeguata del tempo libero. Sollecitiamo l’importanza di favorire l’utilizzo di competenze relative alla cura del proprio corpo (igiene personale, alimentazione, gestione dei farmaci, ecc.), a quella dell'ambiente di vita (pulizia e ordine, cura degli indumenti, degli oggetti personali, ecc.). Abilità in ambito comunicativo (chiedere informazioni, dare informazioni sulla propria persona, usare il telefono e il cellulare, ecc.), abilità integranti (uso del denaro, dell’orologio, ecc.), comportamento stradale arricchiscono l’autonomia sociale. Le persone con SD con l’avanzare dell’età tendono a regredire nelle abitudini 31 alimentari (pericolose situazioni di obesità) e nel movimento (comportamenti fortemente orientati alla sedentarietà). Adeguati training educativi possono rallentare questi processi, sempre ricordando che si interagisce con persone adulte o anziane, e non con bambini: poco opportune dunque attività di psicomotricità afinalistiche, meglio programmi di ballo, o di uscite e passeggiate a piedi. Il tempo libero della persona con disabilità mentale è in genere quantitativamente molto ampio; l’elemento fondante del tempo libero è la possibilità di eseguire un’attività piuttosto che un’altra, da soli o in compagnia. Inoltre le attività del tempo libero si distinguono in modo inequivocabile per il divertimento che forniscono, il senso di benessere e di piacere. È dunque un tempo di attività scelte liberamente e mai imposte, fonte di benessere e piacere soggettivo; chiaramente la persona deve ancora possedere una serie di competenze che consentano di trasformare questo tempo in tempo significativo per la propria vita. Le attività, secondo questo obiettivo, non sono un momento riabilitativo gestito dall’esterno, altrimenti si riduce la persona ad oggetto necessitante in ogni momento di assistenza. 4.5 L’intervento di attivazione cognitiva Le ripercussioni determinate dall’avanzamento d’età a livello della funzione cognitiva nelle persone con SD sono assolutamente centrali; in alcuni casi possono determinare anche condizioni di demenza, ma in generale tendono a compromettere una sfera di competenze già più o meno pregiudicate dal ritardo mentale. Determinante è operare con precocità per un mantenimento dei livelli di funzionalità cognitiva, rallentando al massimo i processi di decadimento; l’intervento non può presentarsi come riabilitativo, perché non persegue un recupero totale o parziale delle fimzioni lese. È più opportuno parlare di attivazione cognitiva, anche durante la vecchiaia è importante continuare una stimolazione cognitiva, perché il cervello è in grado di fimzionare efficacemente, anche se in modo diverso rispetto alle età precedenti. Le attività previste nell’ambito dell’intervento di attivazione cognitiva si riferiscono soprattutto a: rapidità di discriminazione e risposta agli stimoli; 32 5 CONCLUSIONI E SVILUPPI L’interesse per la nuova longevità delle persone con SD (ed in generale con disabilità intellettiva) è del tutto recente. L’analisi sperimentale condotta in questa tesi ci permette di formulare alcune ipotesi sulla correlazione tra decadimento cognitivo e problematiche sociocomportamentali dei soggetti adulti e anziani con SD, rispetto alle condizioni sociodemografiche (età e residenza). È emerso che la scala SCS e le sue sottoscale sono correlate sia all’età che al luogo di residenza; anche la scala SOS è correlata ad età e residenza, ma solo le abilità di base sono correlate alla residenza, mentre abilità di base e attività/interessi sono correlati all’età. Questo studio tuttavia si presta ad ulteriori approfondimenti; il DMR è uno strumento di screening della DAD che si basa su misure ripetute; poter integrare i dati raccolti con: conoscenza del livello di funzionamento cognitivo premorboso conoscenza del comportamento adattativo conoscenza di comorbilità fisiche e psichiatriche assunzione di terapie psicotrope permetterebbe di operare inferenze più precise e sicure. Con il materiale raccolto e la statistica tradizionale non possiamo aggiungere altre valutazioni; non esistono relazioni lineari e anche eventuali regressioni non hanno significato. Altre possibilità si aprono utilizzando il sistema AutoCM (software: Auto Contractive Maps, a system to generare semantic maps, v1.9 (2009), G. Massini), che permette di evidenziare quali sono le diverse connessioni contemporaneamente presenti tra le variabili analizzate, in una logica di rete (reti neurali artificiali) utilizzando l’algoritmo minimum spamning tree (MST). È così possibile esemplificare la complessità delle relazioni che intercorrono tra gli item di una semplice scala, e intravvedere la non linearità delle relazioni che possono essere colte grazie a più approfonditi strumenti di elaborazione e far emergere aspetti che sfuggono a gran parte degli strumenti statistici tradizionalmente 35 utilizzati. Con AutoCM il metodo di elaborazione dei dati cerca all’interno dell’archivio di dati mumerici dei modelli coerenti e/o relazioni sistematiche tra le variabili considerate, con lo scopo di individuare modelli da sottoinsiemi di dati con l’obiettivo finale di scoprire eventuali tendenze nascoste e associazioni tra le variabili. In sintesi questo nuovo paradigma di analisi delle variabili mira a creare una mappa semantica delle connessioni in cui sono previste tutte le associazioni non lineari, i sistemi di connessione sono espliciti, le complesse dinamiche di interazioni adattive in ogni insieme di dati vengono mantenute. Le variabili maggiormente interconnesse diventano dei nodi nevralgici delle variabili esaminate. A titolo esemplificativo presentiamo la mappa generale del campione analizzato; le variabili che condizionano le attività cognitive e sociali sono legate da una rete di connessioni non casuali, in cui il valore più significativo è quello relativo al dominio funzionale “orientamento”, che quindi va monitorato, sostenuto, riattivato con maggior cura e intensità, così come la memoria a breve termine (come per la popolazione generale con demenza d’Alzheimer). Figura 4- Mappa generale del campione con AutoCM Abiità Mom Lungo Term timore ne Attività Distuti Questo dato del campione esaminato è esattamente sovrapponibile a quello di uno studio in corso di pubblicazione relativo alla popolazione con disabilità intellettiva in generale (Mantesso, Uberti, Gomiero, De Bastiani, Weger, Deflorian, De Vreese). Questa applicazione vuole essere una esemplificazioni delle possibilità future di analisi, che possano tenere presenti contestualmente un numero 36 enormemente più elevato di fattori e consentono di cogliere il peso soggettivo individuale che si nasconde nei dati a disposizione. A livello educativo emerge prioritario ed essenziale per tutti il diritto alle cure e alla cura come scelta aprioristica. Nelle situazioni di grande difficoltà, personale e famigliare, in comunità o in istituto, l’educatore sa che anche piccoli progressi possono rappresentare molto sul piano soggettivo, è espressione di civiltà se riusciamo ad interpretare i risultati ottenuti e ottenibili attraverso gli occhi delle persone più in difficoltà, ridimensionando le nostre scale di valori, per dare importanza e valore a tutto ciò che può portare a migliorare o anche solo mantenere la qualità di vita. La convenzione Internazionale dei Diritti delle persone con Disabilità (2006) traduce in termini operativi gli effetti di una filosofia dell’assistenza alle persone con disabilità intellettiva basata sui “diritti umani”; la “Convenzione in sostanza afferma”, commenta Griffo (2008), che “più che riabilitare persone, bisogna riabilitare la società ad accogliere le persone con determinate caratteristiche”. L’analisi sperimentale suggerisce che la famiglia è un ambiente ideale non solo dove crescere, ma anche vivere l’età adulta ed invecchiare; in alternativa la comunità alloggio o l’istituto devono garantire un ambiente accogliente, stimolante a livello cognitivo e sociale, soprattutto capace di promuovere l’autonomia personale degli individui. È auspicabile che gli educatori che operano con persone adulte e anziane con SD acquisiscano una funzione autoriflessiva che dia consapevolezza e senso alle modalità scelte del prendersi cura, che aumenti la percezione di sé come attori competenti e attivi, che generi azioni potenzialmente flessibili e, se necessario, creative. È necessario pensare e formare professionisti che siano protagonisti di progetti innovativi: la conoscenza tecnica non è il fondamento esclusivo per una buona assistenza, ma occorre approfondire una riflessione antropologica ed etica. Scoprire il rapporto fra tecnica, ciò che si fa, ed episteme, le concezioni culturali che fondano la logica dell’agire, permette di ritrovare nella passione per la condizione umana la spinta più autentica per l’azione (De Vreese, De Bastiani, Mantesso, Gomiero, 2009). 37 11. È capace di svestirsi (eventualmente con qualche aiuto o stimolo): O Sempre O Qualche volta O Mai 12. Durante il giorno è: O Continente O Cont., solo con l’aiuto O Incont. (sempre o più volte al giorno) 13. Comunica (con persone sconosciute) in modo intelligibile e comprensibile (per coloro che pronunciano solo qualche stereotipia, indicare “di norma no”): O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 14. Ricorda una istruzione data qualche minuto prima (non oltre cinque minuti fa): O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 15. È in grado di recarsi in luoghi famigliari vicini a casa sua: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 16. Tiene puliti i propri vestiti e oggetti personali: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 17. È in grado di lavarsi sotto la doccia e davanti al lavandino (eventualmente con qualche aiuto): O Sempre O Qualche volta O Mai 18. È ingrado di riferire alcune cose a chi è rimasto a casa, dopo una vacanza o una gita (con parole o gesti): O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 19. È in grado di vestirsi (eventualmente con qualche guida o aiuto): O Sempre O Qualche volta O Mai 20. Mostra interesse per quello che accade nel centro: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 21. Mostra interesse per i giornali e/o la televisione: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 22. Parla: O sì O Solo con qualche O No parola stereotipata 23. Riconosce le persone che ha conosciute nelle ultime settimane (le chiama per nome o dimostra chiaramente di riconoscerle): O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 24. Èinrapporti amichevoli con una o più persone conviventi nel centro/istituto: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 25. Comprende istruzioni semplici: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 26. Riconosce gli operatori che ha conosciuto più di un anno fa (li chiama per nome oppure dimostra chiaramente di riconoscerli): O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 27. Si irrita facilmente: O Mai O Qualche volta O Spesso 28. Sa che oggi è il fine settimana o un giorno feriale: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 29. È in grado di raccontare quello che ha fatto oggi: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 30. Si tiene occupato/a a casa di sua propria iniziativa (ad es. passatempi, giochi, lettura, conversazioni): O Sempre O Qualche volta O Mai 31. Minaccia altri con parole o gesti (senza un chiaro motivo): O Mai O Qualche volta O Spesso 32. Accusa gli altri di nuocergli/le (ad es. picchiare, derubare) quando invece ciò non è vero: O Mai O Qualche volta O Spesso 33. Ricorda qualcosa che gli/le è stato riferito (0 comunicato in qualunque altro modo) di recente (non oltre un’ora fa): O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 34. Piange alla minima provocazione: O Mai O Qualche volta O Spesso 35. Sa che giorno è della settimana: O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 36. È in grado di coricarsi o alzarsi dal letto: O Sempre O Qualche volta O Mai 37. Aiuta spontaneamente (ad es. asciugare i piatti, apparecchiare il tavolo): O Spesso O Qualche volta O Mai 40 38. È irrequieto/a oppure sta sveglio/a durante la notte: O Mai O Qualche volta O Spesso 39. È malinconico/a o triste: O Mai O Qualche volta O Spesso 40. Sa quale mestiere faceva suo padre o sua madre: O Sì O Qualche volta O No 41. È incontinente durante la notte: O Mai O Qualche volta O Sempre 42. Sa quanti anni ha (un errore fino a cinque anni è permesso): O Sì O Qualche volta O No 43. Sa il nome della struttura în cui è ospitato: O Sì O Qualche volta O No 44. Si turba per un nonnulla: O Mai O Qualche volta O Sempre 45. Si ricorda dove è nato/a 0 dove ha vissuto: O Sì O Qualche volta O No 46. Sa orientarsi nella struttura (ad es. camera da letto, bagno, suo posto a tavola): O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 47. Sa come si chiama il Papa/il presidente della Repubblica (è ammesso il presidente precedente): O Sì O Qualche volta O No 48. Esprime lamentele fisiche (si intende una eccessiva attenzione alle sensazioni del corpo): O Mai O Qualche volta O Spesso 49. Usa oggetti comuni correttamente (ad es. pettine, forbici, spazzolino da denti): O Di norma sì O Qualche volta O Di norma no 50. Usa i servizi igienici abbastanza bene (eventualmente con l’aiuto di altri): O Sempre O Qualche volta O Mai DMR - Memoria episodica recente DMR - Memoria episodica remota € autobiografica DMR - Orientamento spaziale e temporale DMR - Somma degli scores cognitivi (SSC) DMR - Comunicazione verbale DMR - Abilità di base DMR - Umore DMR - Attività e interessi DMR - Comportamenti problematici DMR — Somma degli scores sociali (858) DMR — Totale (SSC + 858) Al Le variabili Tabella A1- Descrizioni e delle variabili Livello di Variabile Posizione Etichetta misurazione Codice 1|<nessuno> | Nominale Age 2|Age Scala Fasce di età 3 | Fasce di età | Ordinale Residenza 4 | Residenza | Nominale Sex 5 | Sesso Nominale Memoria BreveTermine Mem Breve 6 Scala Term Memoria Lungo Termine Mem Lungo 7 Scala Term Orientamento i 8 Qrientament Scala Comunicazione verbale _ _ 9 | Linguaggio | Scala Abilità base 10 | Abilità Scala Umore 11 | Umore Scala Attività Interessi 12 | Attività Scala Disturbi Comportamento 13 | Disturbi Scala scs 14 | SCS Scala SOS 15 | SOS Scala TOTALE 16 | TOTALE Scala Variabili nel file di lavoro Tabella _A2- Valori delle variabili Valore Etichetta Fasce di età 1 <= 50 anni 2 51-60 anni 3 >=61 anni Residenza 1 famiglia 2 comunità alloggio 3 istituto Sex 0 femmina 1 maschio 42 Grafico AS - Distribuzione percentuale delle fasce di età per gruppi di residenza Fasce ci là Be son sc rm Di>-et sori Percentuale famiglia conuntà aloggio Residenza Analisi dei dati Per valutare differenze fra più di due gruppi confrontando con il t test di Student tutte le possibili coppie di medie rischiamo di commettere un errore. Con 3 gruppi (nel nostro caso 3 gruppi per residenza), tre sono anche i possibili confronti, ognuno dei quali dà una probabilità di errore di 0.05 e quindi una probabilità totale di 0.05*3=0.15 (15% di probabilità che le differenze trovate siano dovute al caso); per superare l’errore è indispensabile in questi casi ricorrere all’analisi della varianza (ANOVA) che considera le medie di una variabile dipendente, negli strati indotti da una seconda variabile. Questa esamina l’ipotesi globale che tutti i campioni siano estratti dalla stessa popolazione (ipotesi nulla che tutte le medie siano uguali, contro l’ipotesi alternativa che almeno una coppia di medie presenti una differenza statisticamente significativa), cioè non dà informazioni su quale campione differisce dagli altri. L’SPSS fornisce diversi metodi chiamati procedure per confronti multipli che correggono i risultati ottenuti con il t di Student tenendo conto della molteplicità dei confronti (test post hoc: Bonferroni, test delle differenze di Tukey, Sidak, Gabriel). Coni confronti a coppie multiple è possibile verificare la differenza fra ciascuna coppia di medie e ottenere una matrice in cui gli asterischi (*) indicano le medie del gruppo con differenza significativa e un livello di a=0.05. I test post hoc si basano tutti sull’ipotesi che le varianze all’interno degli strati considerati siano uguali tra loro (ipotesi di omogeneità delle varianze); in caso contrario è opportuno ricorrere a test alternativi. Nel caso le varianze non siano omogenee verifichiamo l’ipotesi nulla dell’ANOVA con il test di Welch e di Brown-Forsythe; come test post hoc: Tahamane o Games-Howell. 45 Tabella A7- Test di omogeneità delle varianze: con Sig.<0.05 non posso considerare le varianze omogenee. Statistica di Levene df1 df2 Sig. Age 2,734 2 94 ,070 scs ,451 2 94 ,639 SOS 3,237 2 94 ,044 Mem Breve Term ,412 2 94 ,664 Mem Lungo Term ,036 2 94 ,965 Orientamento ,999 2 94 ,372 Linguaggio 8,523 2 94 ,000 Abilità 13,305 2 94 ,000 Umore ,123 2 94 ,885 Attività Interessi 1,998 2 94 ,141 Disturbi ,456 2 94 ,635 Tabella A8- Procedure statistiche adottate da SPSS a partire dai risultati del test di Levene ANOVA Varianze omogenee Varianze non omogenee Analisi della varianza Test di Welch e di Brown-Forsythe Test post hoc | Bonferroni | Test posthoc | Tamhane Sidak Games-Howell Tukey Tabella A9- Confronto della significatività della differenza delle medie delle età fra gruppi di residenza Somma dei Media dei quadrati df quadrati F Sig. Fra gruppi 869,768 2 434,884 7,341 ,001 Entro gruppi 5568,740 94 59,242 Totale 6438,508 96 Tabella _A10 - Confronti a coppie multiple per individuare le differenze significative Intervallo di confidenza 95% (0) (9) Differenza fra | Errore Limite Limite Residenza Residenza medie (I-J) std. Sig. | superiore _|_ inferiore HSD di famiglia comunità -4.651 2.062 | 067 -9.56 26 Tukey alloggio ’ ' ’ ” ” istituto -7,060(*) | 1,849 | ,001 -11,46 -2,66 comunità famiglia 4,651 2,062 | ,067 -,26 9,56 alloggio istituto -2,409| 1,930 | 428 -7,00 2,19 istituto famiglia 7,060(*) | 1,849 | ,001 2,66 11,46 comunità 2,409 | 1,930 | 428 -2,19 7,00 . na alloggio Bonferroni famiglia comunità -4651| 2,062| 079 -9,68 138 alloggio istituto -7,060(*) | 1,849 | ,001 -11,57 -2,55 comunità famiglia 4,651 2,062 | ,079 -,38 9,68 46 alloggio istituto istituto famiglia comunità alloggio Sidak famiglia comunità alloggio istituto comunità famiglia alloggio istituto istituto famiglia comunità alloggio Tabella A11 - Sottoinsiemi omogenei -2,409 | 1,930 7,060(*) | 1,849 2.409 | 1,930 -4,651| 2,062 -7,060(*) | 1,849 4,651 | 2,062 -2,409| 1,930 7,060(*) | 1,849 2.409 | 1,930 * La differenza media è significativa al livello .05 ,645 ,001 ,645 ,077 ,001 ,077 ,516 ,001 ,516 -7,11 2,55 -2,29 -9,66 -11,56 -,36 -710 2,56 -2,28 Sottoinsieme per alfa = -05 Sono visualizzate le medie per i gruppi di sottoinsiemi omogenei. a Utilizza dimensione campionaria media armonica = 31,190. b Le dimensioni dei gruppi non sono uguali. Verrà utilizzata la media armonica delle dimensioni dei gruppi. Non vengono garantiti i livelli di errore Tipo |. Residenza N 2 1 famiglia 30 48,26 HSD di comunità alloggio 26 52,91 Tukey(a,b) istituto 41 55,32 Sig. 1,000 ,435 Grafico A6 - Grafico delle medie delle età per gruppi di residenza. fanigia comurità leggio Residenza retto 2,29 11,57 711 ,36 -2,56 9,66 2,28 11,56 7,10 47 BIB LIOGRAFIA Baird, P., Sadovnik, A. (1998). Life expectancy in Down syndrome. Lancet, 2 (8624): 1354-1356. Baird, P.A. & Sadovnik, P.D. (1987). Life expectancy in Down syndrome. Journal of Paediatrics, 110, 849-54. Baltes, P.B., Reese, H.W., Lipsitt, L.P. (1980). Life-span Developmental Psychology. Annual Review of Psychology, 25-36. Brown, I, Brown, R. (2003). Quality of Life in Disability: An Approch for Community Practitioners. London: Jessica Kingsley. Brown, R.I (1997). Quality of life for people with disabilities: models, research and practise. Cheltenham: Stanley Thornes. Brown, R.I. (2000). 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