Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

tesi di laurea sulla teoria della political opportunity structure, Tesi di laurea di Sociologia Del Mutamento

tesi sulla P.O.S e l'analisi del contesto di violenza politica in italia negli anni 70

Tipologia: Tesi di laurea

2020/2021

Caricato il 30/12/2022

elefranceschini
elefranceschini 🇮🇹

5

(6)

6 documenti

1 / 32

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica tesi di laurea sulla teoria della political opportunity structure e più Tesi di laurea in PDF di Sociologia Del Mutamento solo su Docsity! Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale Corso di Laurea triennale in Studi Internazionali Brigate Rosse: uno scontro politico Modello del processo politico e analisi della violenza nella cornice dell’Italia degli anni 70 prof. Katia Pilati Pietro Gioberge anno accademico 2021/2022 1 Indice 1. Introduzione……………………………………………………………………………….. 3 2. Il modello del processo politico e l’analisi della violenza politica all’interno di esso 2.1 Il modello del processo politico e le ragioni del suo utilizzo…………………… 4 2.2 I principali esponenti del modello…………………………………….………… 6 2.3 L’analisi della violenza politica all’interno del modello del processo politico… 9 3. La violenza politica delle Brigate Rosse in relazione alla dimensione della POS 3.1 Analisi del contesto…………………………………………………………..…. 11 3.2. Il controllo della protesta: la repressione……………………………………… 14 3.3 La radicalizzazione della protesta……………………………………………… 16 4. Il repertorio delle azioni delle Brigate Rosse 4.1 La propaganda armata (1970-1973)................................................................... 19 4.2 L’ “attacco al cuore dello Stato” (1974-1977) ................................................... 21 4.3 Il sequestro Moro e la frammentazione delle BR (1978-1981)........................... 23 5. Conclusioni 5.1 La propaganda armata (1970-1973)................................................................... 26 5.2 Conclusioni complessive...................................................................................... 28 5.3Limiti e sviluppi della ricerca............................................................................... 29 Bibliografia………………………………………………………………………………... 30 Sitografia………………………………………………………………………………….. 32 2 cosiddetti challengers e gli incumbents, dove i primi sono i gruppi di persone che si mobilitano portando avanti delle rivendicazioni e avanzando pretese presso i secondi, che spesso sono identificati con le autorità politiche. Le conflittualità emergono poiché i challengers e gli incumbents rappresentano categorie con interessi divergenti (Pilati 2018). Tale modello si sviluppa durante gli anni Settanta del ventesimo secolo, e rientra, insieme alla Teoria della Mobilitazione delle Risorse1 (da ora RMT), tra le teorie strutturali dei movimenti sociali [ibidem]. Le teorie strutturali si distinguono dalle altre per un’analisi dell’emergere di azioni collettive di protesta in seguito a fattori strutturali: le risorse interne, nel caso della RMT, e le opportunità, o risorse esterne, nel caso del modello del processo politico. Questo tipo di teorie si afferma in contrasto con i precedenti approcci ai movimenti sociali: le teorie del comportamento collettivo e della società di massa2 (McAdam 1999). Esse vengono criticate da McAdam, uno dei principali esponenti del modello del processo politico, in quanto enfatizzavano l’irrazionalità dei partecipanti al movimento sociale e sottolineavano la discontinuità tra comportamento politico “ordinario” e comportamento all’interno del movimento: McAdam considera queste analisi ideologicamente e sostanzialmente fallaci [ibidem]. Lo stesso autore considera la Teoria della Mobilitazione delle Risorse come un’alternativa carente alle teorie del comportamento collettivo per una serie di ragioni (McAdam 1999): innanzitutto, la RMT, considerando i movimenti sociali come una risposta tattica ad un sistema politico chiuso e coercitivo, non chiarisce la differenza tra agire tramite movimento sociale e agire tramite vie politiche istituzionalizzate [ibidem]. Inoltre, McAdam afferma che la RMT non 2 Le teorie del comportamento collettivo e della società di massa sono teorie che si sviluppano verso la fine dell’Ottocento ed analizzano la protesta come un evento irrazionale, patologico e derivante da situazioni di tensione sociale. Una delle principali teorie all’interno di questo filone è la teoria della psicologia delle folle di Le Bon, che identifica i manifestanti come una massa omogenea, amorale e facilmente manipolabile (Le Bon 2004) 1 La Teoria della Mobilitazione delle Risorse è un modello teorico che mette al centro della propria analisi delle azioni collettive di protesta i movimenti sociali. In base a questa teoria, gli attori agiscono in base ai loro interessi, in maniera strategica, e scelgono le azioni che implicano i minori costi e i maggiori benefici. Il punto principale di questa prospettiva è l’importanza attribuita alla disponibilità di risorse, e alla loro mobilitazione da parte delle organizzazioni, per lo svolgimento delle attività dei movimenti sociali (McCarthy, Zald 1977). 5 dà alcuna importanza alla base sociale del movimento, che è considerata politicamente impotente a causa della sua carenza di risorse; per questo, i membri del movimenti cercheranno aiuto esterno in chi queste risorse le possiede, ovvero le élites politiche. Tuttavia, McAdam sostiene che le élites non appoggeranno mai un movimento che possa mettere in discussione la loro posizione e, probabilmente, il loro coinvolgimento contribuirà più spesso alla dispersione di un movimento di protesta che alla sua alimentazione, al contrario di come i teorici della RMT sostengono [ibidem]. Infine, una non precisa definizione di quale tipo di risorsa sia più utile per dar vita ad un movimento di protesta è l’ultima critica rivolta da McAdam alla RMT: ogni tipo di mobilitazione, sostiene l’autore, è preceduto da un aumento di un qualche tipo di risorsa, rendendo così poco efficace, anche a livello empirico, la Teoria della Mobilitazione delle Risorse (McAdam 1999). Emerge dunque la necessità di adottare il modello del processo politico, sia per il tipo di interpretazione richiesto dal tipo di argomento dell’elaborato, sia per avere una prospettiva multidimensionale all’analisi della violenza [ibidem]. 2.2 I principali esponenti del modello I principali esponenti del modello del processo politico, all’interno delle teorie dei movimenti sociali, sono Charles Tilly, il già nominato Doug McAdam e Sidney Tarrow (Pilati 2018). Charles Tilly per primo pone l’attenzione su un’interpretazione politica dei movimenti sociali. Egli elabora il modello della polity, identificando diverse categorie di attori che interagiscono tra loro in maniera abbastanza statica (Tilly 1978). Tra questi attori, il governo è l’organizzazione che controlla i mezzi di coercizione; i contenders sono, invece, i gruppi di persone che hanno messo insieme delle risorse per influenzare le decisioni del governo. I contenders si dividono in membri della polity e challengers: i primi sono dei contenders che hanno un facile e routinario 6 accesso all’arena della polity, dove per polity si intende l'insieme dell’azione collettiva dei suoi membri e l’azione del governo, i secondi sono dei contenders che non hanno le risorse necessarie per farlo [ibidem]. Con questo modello, per la prima volta, si passa a un’interpretazione prettamente politica dei movimenti sociali (Pilati 2018). Inoltre, Charles Tilly, introduce un altro importante concetto all’interno del modello: la Struttura delle Opportunità Politiche (POS) (Tilly 1978). Questa dimensione prende in considerazione l’opportunità che hanno effettivamente gli attori nella polity di mobilitarsi, ponendo l’attenzione su attori e fattori esterni. Le due principali componenti che vengono analizzate sono il livello di repressione e il livello di facilitazione da parte di attori esterni nei confronti dei contenders: il primo è un’azione che aumenta il costo dell’azione collettiva per i contenders, il secondo è una qualsiasi azione che ne diminuisca il costo [ibidem]. Con quest’ultima analisi, Tilly evidenzia la presenza di una relazione tra i livelli di repressione, in particolare quella attuata dalle forze di governo nei confronti dei contenders, e i livelli di protesta [ibidem]. Doug McAdam è un altro importante autore di riferimento del modello del processo politico. Nella sua analisi, McAdam mette in evidenza tre differenti dimensioni all’interno del modello di interpretazione politica di un movimento sociale: la prima è la Struttura delle Opportunità Politiche, ovvero l’insieme dei processi sociali, politici ed economici che possono influenzare lo sviluppo dell’azione collettiva. La seconda dimensione si identifica nel ruolo dell'organizzazione di base del movimento sociale che, pur non indipendentemente dal contesto esterno, mobilita le risorse necessarie all’azione collettiva; la terza ed ultima dimensione è il processo di liberazione cognitiva, che permette la politicizzazione delle frustrazioni (Pilati 2018). Per coerenza con l’argomento del presente elaborato, ci si concentrerà nell’analizzare la prima dimensione, quella della POS. Questa dimensione è una variabile che influenza lo sviluppo dell’azione collettiva, ovvero, variazioni della POS comportano similmente una variazione del 7 dei gruppi [ibidem]. Inoltre, della Porta evidenzia che i movimenti strumentali, che devono imporsi all’esterno per far valere i propri obiettivi, sono più propensi all’utilizzo della violenza rispetto ai movimenti simbolici (della Porta 1995). Le cause della nascita della violenza all’interno di un movimento di protesta, sono da ricercare nei processi e nelle strutture che più influenzano i movimenti sociali e le proteste. In particolare, l’influenza del sistema politico sull’andamento della protesta è di grande importanza [ibidem]. Per questo, il modello del processo politico si rivela uno strumento fondamentale per analizzare la diffusione della violenza e, soprattutto, la Struttura delle Opportunità Politiche è un concetto chiave per studiare le condizioni esterne politiche intorno alla protesta [ibidem]. Uno degli elementi della POS che più pesa sull’andamento di un movimento collettivo è la risposta dello Stato alla protesta, specificamente l’aspetto della policing of protest (controllo della protesta), ovvero la “gestione, da parte della polizia, degli eventi di protesta” (della Porta 1995: 55). A sua volta, questo aspetto si divide in più dimensioni: le opportunità stabili, nella cornice delle quali si sviluppa uno stile di controllo istituzionale e culturale; le caratteristiche istituzionali, che giocano un ruolo molto importante nel definire le opportunità o gli ostacoli alla repressione della protesta. Tra queste, si trovano: l’organizzazione della polizia, la natura del potere giudiziario, il codice di leggi e i diritti costituzionali. Infine, anche la cultura politica può avere una parte nel definire i livelli di controllo, in riferimento alle concezioni di Stato e diritti dei cittadini (della Porta 1995). In ultima istanza, della Porta afferma che le forze di polizia e i contestatori si influenzano a vicenda nelle scelte strategiche che adoperano, in un processo di innovazione e adattamento su entrambi i fronti. A ragione di ciò, l’autrice stila una classificazione della gestione della protesta da parte delle forze di polizia: (1) “repressiva” contro “tollerante”, in riferimento alla gamma di comportamenti vietati messi in atto; (2) “selettiva” contro “diffusa”, in riferimento ai gruppi 10 soggetti alla repressione; (3) “preventiva” contro “reattiva”, in riferimento al tempismo dell’intervento poliziesco; (4) “dura” contro “moderata”, in riferimento al grado di forza utilizzato dalla polizia; (5) “illegale” contro “legale”, in riferimento al grado di rispetto delle procedure legali e democratiche da parte della polizia (della Porta 1995: 57, 58). 3. La violenza politica delle Brigate Rosse in relazione alla dimensione della POS Nel seguente capitolo sarà analizzato il fenomeno della violenza politica messa in atto dal gruppo di estrema sinistra italiano Brigate Rosse alla luce della Struttura delle Opportunità Politiche. Innanzitutto, si presenterà il contesto in cui si inserisce la nascita del gruppo e della violenza come strategia di azione, in seguito si studierà la repressione da parte della polizia e, infine, il processo di radicalizzazione che ha caratterizzato il movimento di protesta italiano. 3.1 Analisi del contesto La Struttura delle Opportunità Politiche è un utile strumento per analizzare il fenomeno della violenza politica attuata dalle Brigate Rosse negli anni 70: aiuta a capire il contesto socio-economico e politico in cui si inserisce la lotta armata e la reazione dello Stato e delle forze di polizia (della Porta 1995). Le azioni delle BR vanno inserite all’interno di una cornice storica nazionale precisa, in cui l’Italia, uscita dal boom economico del dopoguerra, affronta una stagione di movimenti collettivi di protesta: il movimento del Sessantotto, il movimento studentesco, il movimento operaio, protagonista dell’Autunno Caldo nel ‘69, e il movimento femminista (Catanzaro 1990). Non da meno è il ruolo del contesto internazionale, segnato dalla Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, una polarizzazione che si riflette anche all’interno dei confini nazionali nella contrapposizione tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano (Cento Bull e Adalgisa 2006; Fasanella e Pellegrino 2005). 11 Per quanto riguarda il fronte interno, il movimento del Sessantotto ha sicuramente segnato la storia del movimento di protesta italiano. Con la sua carica innovativa, ricco di vivacità positiva e di aperture, esprimeva il bisogno di una cultura più vicina alla realtà e ancorata ai problemi sociali (Ventura 2010). Del Sessantotto, che fu caratterizzato da una violenza più verbale e simbolica, che organizzata e strumentale, rimasero la carica antiautoritaria e il processo di radicalizzazione portato avanti dal movimento (Miligi 2020). La conquista di una soggettività libera, autonoma, politica fu uno degli obiettivi del movimento del Sessantotto: “Il politico è personale” fu uno tra gli slogan più diffusi. Verso la sua fine, il movimento prese due direzioni: una prevedeva la radicale trasformazione del sistema capitalistico, l’altra ne prevedeva l’abbattimento. Quest’ultima avrà il suo esodo nella matrice rivoluzionaria che attuerà l’“attacco al cuore dello Stato” [ibidem]. La critica al principio di autorità, come anticipato prima, e la non conquista del potere furono due caratteristiche fondamentali del movimento sessantottino; la risposta delle istituzioni fu la repressione che, come sarà esposto in seguito, costituì il terreno della diffusione e della radicalizzazione politica del movimento in senso fortemente antagonistico (Flores, Gozzini 2018). Protagonista del Sessantotto è stato sicuramente il Movimento Studentesco. Assemblee, occupazioni e cortei sono i repertori di azione più diffusi all’interno del Movimento, e le università occupate diventano dei poli in cui si produce il dissenso nei confronti, in primis, del sistema universitario e della diffusione del sapere, in secundis, del sistema borghese, del sistema politico dei partiti e della gestione conservatrice del potere (Viale 2018). Il Manifesto per una Università Negativa3 segna in maniera significativa questo passaggio dalla critica localizzata al sistema universitario alla contestazione globale del sistema capitalistico (Balestrini, Moroni 1997). Nel Manifesto, si afferma che l’università è di fatto uno strumento di classe, strumentale 3 Il “Manifesto per una Università Negativa”, reso pubblico il 15 Febbraio 1967, fu il primo numero di un’ ipotetica collana di pubblicazioni uscite dall'esperienza dell'Università di Sociologia di Trento. Il testo è stato scritto da Renato Curcio e da Mauro Rostagno, che diventerà uno dei fondatori di Lotta Continua. 12 che erano nati sulla scia delle contestazioni del ’68 e a convogliare consenso verso le forze di governo (Fini, Stajano 1977). Gli obiettivi finali della strategia erano, dunque, da un lato, quello di contrastare il movimento operaio e studentesco post ‘68, attribuendo le stragi ai gruppi di sinistra, dall’altro, quello di provocare una vera e propria guerra civile basandosi sul forte impatto emotivo causato dagli episodi terroristici [ibidem]. Parte di questa strategia furono anche le due stragi avvenute nel 1974: una bomba esplosa in Piazza della Loggia a Brescia causò 8 morti4, e 12 persone persero la vita per una bomba esplosa a bordo del treno Italicus5. Il cambiamento nel controllo della protesta corrispose a un cambiamento nel sistema dei partiti. All’inizio degli anni Settanta la coalizione di Centro-Sinistra con il PSI venne sostituita da una coalizione più conservatrice, che non si fece scrupoli ad usare il terrorismo e l’escalation della protesta come giustificazione per far passare una nuova serie di leggi restrittive sull’ordine pubblico (Catanzaro 1990). Questa strategia di repressione diffusa, dura, reattiva e lontana dal rispetto dei diritti e dalle procedure della democrazia venne percepita come una ferrea resistenza al cambiamento politico da parte del sistema politico-istituzionale (della Porta 1995). L’opinione pubblica si fece più polarizzata, il discorso politico si infiammò e molti si dissuasero dal credere nella possibilità di riformare il sistema e si convinsero di doverlo abbattere. All’interno di quest’ultima cornice ideologica si colloca la fondazione delle Brigate Rosse (Gallinari 2006). Nel Foglio di Lotta “Chi ha paura della crisi”6 (1970) dell’organizzazione di estrema sinistra Sinistra Proletaria, 6 Rivista fondata nell’estate del 1970 a Milano da “Sinistra Proletaria”, un’organizzazione di estrema sinistra, nata dalla trasformazione (iniziata nel dicembre 1969 e conclusasi nel luglio del 1970) del Collettivo Politico Metropolitano (CPM), fondato a Milano l'8 settembre del 1969 da Renato Curcio, Mara Cagol e Alberto Franceschini. 5 La strage dell'Italicus fu un attentato terroristico neofascista di tipo dinamitardo compiuto nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 sul treno Italicus, mentre questo transitava presso San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. Nell'attentato morirono 12 persone. 4 La strage di Piazza della Loggia è stato un attentato terroristico di matrice neofascista avvenuto il 28 maggio 1974 a Brescia, nella centrale piazza della Loggia. Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo neofascista. L'attentato provocò la morte di 8 persone e il ferimento di altre 102. 15 organizzazione da cui nascono le BR, si legge infatti: “Incontro al padrone armato, non si va disarmati”, in riferimento alla risposta bombarola dello Stato alle proteste operaie (Gallinari 2006). Si può ora effettuare un’analisi degli effetti diretti che hanno i diversi modi di gestione della protesta sul suo andamento. Innanzitutto, si può osservare che un comportamento più tollerante, selettivo e indulgente della polizia ha favorito la diffusione della protesta: in Italia, questa politica di controllo, attuata dal 1963 al 1967, ha creato le condizioni per l’esplosione della protesta nei due anni successivi (della Porta 1995). Una possibile seconda osservazione riguarda il periodo della repressione dura da parte della polizia. Le tecniche di repressione diffuse, forti e violente hanno due effetti differenti: in primis, scoraggiano le proteste pacifiche di massa, in secundis, alimentano le frange più radicali del movimento di protesta [ibidem]. Ciò è esemplificato dalla svolta radicale del movimento di protesta all’inizio degli anni 70: contestualmente alla drastica diminuzione di eventi di protesta di massa, si nota un aumento significativo di eventi violenti messi in atto da piccoli gruppi (meno di 20 individui) verso altre persone (della Porta, Tarrow 1986). Si può fare un’ultima osservazione in riferimento al reciproco adattamento delle tattiche della polizia e dei contestatori. Le tattiche di protesta hanno influenzato quelle di repressione attraverso un processo interattivo, che va tenuto in considerazione per spiegare le dinamiche dell’escalation della protesta (della Porta 1995). 3.3 La radicalizzazione della protesta La fase di declino del movimento di protesta italiano è caratterizzata da tre processi: istituzionalizzazione, frammentazione e radicalizzazione (Pilati 2018). In questo caso ci si soffermerà sul processo di radicalizzazione, perché riguarda più da vicino la vicenda delle 16 Brigate Rosse; tuttavia, per dare una visione più completa si farà una breve panoramica anche degli altri due processi. Il processo di istituzionalizzazione della protesta indica un progressivo cambiamento del repertorio di azioni del movimento verso soluzioni più consensuali, routinarie e di negoziazione; le organizzazioni tendono a diventare più stabili e formali, centralizzate e rivolte alla propria sopravvivenza, più che al cambiamento sociale e politico (Pilati 2018). Nel concreto, sempre più spesso gli operai ricorrono a mezzi legali giudiziari per la risoluzione delle controversie sul lavoro, in parte grazie all’approvazione dello Statuto dei lavoratori nel 1970; inoltre, diversi esponenti dei gruppi della sinistra extra-parlamentare decidono di imboccare la strada delle istituzioni, evolvendo verso strutture più centralizzate e burocratiche [ibidem]. Il processo di frammentazione riguarda, invece, il progressivo isolamento dei gruppi e di azioni collettive di protesta non sempre collegate l’una con l’altra. Agli inizi degli anni 70 si nota un significativo aumento degli eventi violenti da parte di piccoli gruppi di persone, mentre gli eventi violenti di massa subiscono una riduzione nella frequenza (della Porta, Tarrow 1986). La radicalizzazione della protesta è un processo che ha coinvolto il movimento di protesta italiano all’inizio degli anni 70 ed è caratterizzato dall’utilizzo della violenza politica nelle azioni di protesta (della Porta 1995). Questo processo è frutto di diversi fattori che, combinati insieme, hanno fatto sì che si alzasse il livello dello scontro sociale [ibidem]. Un insieme di elementi riguarda lo scontro con uno Stato ritenuto “ingiusto” (della Porta 1995), un altro insieme riguarda il clima di divisioni interne alla sinistra, e di generale instabilità delle alleanze politiche (Pilati 2018). Al primo insieme di fattori può essere ricondotta la brutalità della polizia nel reprimere movimenti collettivi di protesta. Nel 1968 tre persone furono uccise durante i cortei organizzati dalle unioni sindacali, l’anno dopo altre tre (Burgaretta 2008). Per i militanti di allora, la morte 17 La prima azione armata del gruppo è raccontata nel memoriale di Mario Moretti, intervistato da Rossana Rossanda e Carla Mosca nel 1994. Per autofinanziarsi, il gruppo decise di effettuare la prima rapina ai danni di una piccola banca a Pergine Valsugana, nel 1971: fu la prima azione a mano armata delle Brigate Rosse, anche se non venne rivendicata dal gruppo (Moretti, Mosca, Rossanda 1994). I due episodi che portarono le Brigate Rosse all’attenzione dei quotidiani e delle forze di polizia furono l’esplosione di 8 ordigni esplosivi nello stabilimento della Pirelli e il sequestro dell’ingegnere Idalgo Macchiarini, nel 1972 (Bocca 1975). La prima azione causò grandi danni all’azienda e, per la prima volta, i giornali indicarono le BR come organizzazione sedicente, ed esse furono seguite più attentamente dalla polizia (Bull 2020). Il sequestro di persona fa parte di un repertorio di azioni che sarà riutilizzato più volte nella storia delle BR. Il primo, fu quello ai danni del dirigente della Sit-Siemens Macchiarini, che venne rapito, fotografato con un cartello al collo, che recitava: “Mordi e fuggi. Colpiscine uno per educarne cento. Tutto il potere al popolo armato!”, e rilasciato un’ora dopo (Moretti, Mosca, Rossanda 1994). Le indagini di polizia portarono ad individuare una delle basi del gruppo, in cui furono ritrovati volantini e armi. In seguito a questo ritrovamento, i militanti delle Brigate Rosse decisero di entrare in clandestinità (Zanelli 2018). Dunque, si può notare come le azioni e gli stili di militanza delle BR furono dipendenti, in alcuni aspetti, dalle risposte esterne. I primi volantinaggi vennero sottovalutati dalle forze di polizia, che lasciò agire il gruppo; questo permise alle BR di alzare il tiro e dare vita ad azioni a danni di cose, questo il caso degli ordigni esplosivi alla Pirelli, e ad azioni a danni di persone come il sequestro. La reazione della polizia e l’attenzione dei giornali al nuovo gruppo, costrinse i membri dell’organizzazione ad uno stile di vita clandestino [ibidem]. 20 Si vedrà poi come, negli anni, dalla prevalenza di attacchi alle cose, com’erano gli incendi alle automobili e agli pneumatici della Pirelli, si passerà sempre più spesso ad azioni contro persone: una parabola che caratterizzerà l’intero movimento di protesta durante gli anni 70 (della Porta, Tarrow 1986; Zanelli 2018). 4.2 L’“attacco al cuore dello Stato” (1974-1977) La seconda fase individuata va dal 1974, anno del primo omicidio da parte delle BR al 1978, l’anno in cui venne rapito il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Il primo omicidio delle BR non fu programmato. Le due vittime erano due militanti del Movimento Sociale Italiano, un partito neofascista; due brigatisti fecero irruzione nella sede del Movimento Sociale a Padova e, sorpresi da due missini che stavano all'interno, spararono uccidendoli. L’episodio, tuttavia, non era stato premeditato, né rientrava nella strategia d’azione delle BR, e suscitò imbarazzo nella dirigenza (Curcio, Scialoja 1993). Nel 1974, infatti, la strategia dell’organizzazione era cambiata, cominciando il cosiddetto “attacco al cuore dello Stato”: il repertorio delle azioni cambiò in maniera significativa, e si passò definitivamente a tenere in considerazione il sequestro di persona e l’omicidio [ibidem]. Il 19 aprile 1974, per la prima volta, venne rapito un “uomo dello Stato”, il giudice Mario Sossi, che fu pubblico ministero durante il processo alla banda armata XXII Ottobre, considerata l'antecedente delle Brigate Rosse (Piano 2008). Questo evento ebbe un’eco straordinaria a livello mediatico e nel sistema politico; a seguito di questo episodio, venne costituito un reparto di polizia sotto la guida del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con l’unico scopo di combattere il terrorismo. I brigatisti chiesero, in cambio del rilascio di Sossi, la liberazione dei prigionieri della XXII Ottobre: fu scontro aperto, armato con lo Stato, a cui venne posta la questione della liberazione dei prigionieri e dell’uso politico della giustizia (Moretti, Mosca, Rossanda 1994). Pur senza una 21 contropartita, le BR rilasciarono il giudice Sossi, nonostante avessero preso in considerazione, per la prima volta, l'opzione di uccidere l’ostaggio (Curcio, Scialoja 1993). Nel 1974 fu messa in atto la prima azione del nucleo antiterrorismo del generale Dalla Chiesa, che portò all’arresto di due dirigenti del nucleo storico delle Brigate Rosse Renato Curcio e Alberto Franceschini (Moretti, Mosca Rossanda 1994). Fu un duro colpo per l’organizzazione, che, tuttavia, riuscì a risollevarsi sotto la guida di Mario Moretti, il quale restò ai vertici della dirigenza fino al 1981, anno del suo arresto (Curcio, Scialoja 1993; Gallinari 2006). Lo scontro con la polizia diventò sempre più militarizzato, e le forze della repressione si fecero più organizzate e determinate al controllo e al contrasto del gruppo. La polizia cominciò ad usare le armi contro i militanti delle BR nel 1975 quando, in seguito alla scoperta di un covo in Piemonte, uccise la brigatista Margherita Cagol (Moretti, Mosca, Rossanda 1994). L’anno successivo, venne ucciso dalla polizia Walter Alasia, giovane militante delle Brigate Rosse, in uno scontro a fuoco (Manzini 1978). A fronte dell’elevata militarizzazione dello scontro da parte della polizia, le BR risposero cominciando a sparare. Nel 1976 fu ucciso il Procuratore Francesco Coco, che si era opposto alla liberazione dei prigionieri durante il sequestro Sossi: si tratta della prima azione volutamente cruenta da parte del gruppo. In questo caso, venne sottolineata dai membri delle BR che l’omicidio consisteva in una risposta alla volontà della polizia di annientare l’organizzazione (Moretti, Mosca, Rossanda 1994). Si può quindi notare, come illustrato nel capitolo precedente, che il repertorio delle azioni, in questo caso delle BR, viene fortemente influenzato dal livello di repressione messo in atto dalla polizia e quest’ultima adatta la propria strategia di azione in base alle azioni dell’organizzazione armata: si realizza un processo di progressivo adattamento e innovazione delle tattiche di repressione, da una parte, e di lotta armata, dall’altra (della Porta 1995). 22 differenziazione carceraria andarono di pari passo con la possibilità di accedere a sconti di pena in seguito a processi di dissociazione e collaborazione con la giustizia (Licciardi 2020). La nuova legislazione ebbe un ruolo fondamentale nel contrastare le Brigate Rosse. Nel 1980, le informazioni fornite dal primo grande pentito dell’organizzazione, Patrizio Peci, permisero l’individuazione di una base delle BR in via Fracchia, a Genova, in cui rimasero uccisi tutti e quattro i brigatisti che si trovavano all’interno (Moretti, Mosca, Rossanda 1994). Questo episodio, rappresenta l’exploit dello scontro tra Stato e BR, in una cornice, oramai, di guerra civile [ibidem]. Il 1979 fu l’anno in cui iniziò il processo di frammentazione del gruppo: le BR uccisero per la prima, e unica volta, un operaio, Guido Rossa. Egli aveva denunciato alla dirigenza della fabbrica un altro operaio che stava distribuendo dei volantini delle BR (Moretti, Mosca, Rossanda 1994). L’omicidio fece perdere al gruppo armato il sostegno di gran parte del movimento operaio e causò le prime spaccature all’interno dell’organizzazione [ibidem]. Altre due grandi spaccature avvennero nell’anno successivo: la prima riguardava il rapporto tra i brigatisti in carcere e i brigatisti regolari ancora militanti, l’altra riguardò la separazione di una colonna dall’organizzazione (Saccoman 2013). Per quanto riguarda la prima spaccatura, essa riguardò una contestazione della linea politica da parte di un gruppo di brigatisti rinchiusi nel carcere dell’Asinara in Sardegna, tra cui i due membri del gruppo storico Curcio e Franceschini, che chiesero le dimissioni del Comitato Esecutivo delle BR (Curcio, Scialoja 1993). La seconda spaccatura, invece, riguardò la separazione della colonna milanese Walter Alasia dall’organizzazione. La colonna criticava l’immobilismo del gruppo, causato dalla repressione sempre più dura delle forze di polizia e dalla nuova legislazione anti-terroristica, e cominciò a compiere azioni di lotta armata in autonomia (Moretti, Mosca, Rossanda 1994). 25 Infine, nel 1981, venne arrestato il dirigente delle BR Mario Moretti, ai vertici dell’organizzazione dal 1974. Nello stesso anno del suo arresto, le BR si divisero in due gruppi: il Partito Guerriglia e il Partito Comunista Combattente [ibidem]. Questa divisione segnò definitivamente la fine dell’esperienza unitaria dell’organizzazione Brigate Rosse, nonostante sia il Partito Guerriglia, sia il Partito Comunista Combattente, sia la colonna Walter Alasia vollero mantenere la sigla “BR” nel rivendicare le azioni7 [ibidem]. La frammentazione delle BR, tuttavia, non dev’essere collocata solamente in relazione a cause interne. Infatti, il motivo principale della dissoluzione del gruppo sta nell’esaurimento dello stesso movimento di protesta che gli aveva dato vita all’inizio degli anni 70. Un episodio esemplificativo fu quello dei 61 operai licenziati nel 1979 dalla Fiat, accusati, senza alcun fondamento, di contiguità con il terrorismo (Cavallini 1979). L’anno dopo, all’interno della stessa fabbrica, furono messi in cassa integrazione più di 20 mila operai: la reazione dei sindacati furono 35 giorni di scioperi e blocco dei cancelli della Fiat. Quest'ultimo provocò la reazione degli impiegati e dei quadri della fabbrica, che scesero in corteo in 40 mila contro i sindacati (Moretti, Mosca, Rossanda 1994): fu un fatto politico significativo della situazione del movimento nel 1980. 5. Conclusioni 5.1 Motivo di interesse e panoramica generale La materia di studio della violenza politica è sicuramente già stata approfonditamente trattata all’interno degli studi sui movimenti sociali (della Porta, Tarrow 1986; della Porta 1995; Tarrow 1989). Tuttavia, l’interesse per la stesura di questo elaborato nasce dalla volontà di analizzare la violenza politica applicata a uno specifico fenomeno, quello dell’azione armata delle Brigate 7 Rispetto ai primi due gruppi, le sigle erano nello specifico “BR-PCC” per il Partito Comunista Combattente e “BR-PG” per il Partito Guerriglia 26 Rosse dalla loro fondazione nel 1970 alla loro dissoluzione all’inizio degli anni 80. Questo periodo rimane ancora poco studiato, e poco preso in considerazione, per esempio, nei programmi scolastici e, a volte, anche universitari (si veda, a tal proposito, il D.&L 4 novembre 1996, n. 682.). Nonostante ciò, gli anni 70 e uno dei loro prodotti, le BR, hanno fatto la storia della Repubblica Italiana e sono il simbolo di una contraddizione politica che è effettivamente esistita all’interno del nostro Stato. Pur essendoci stata una quantità non indifferente di processi, atti giudiziari, testimonianze a proposito dell’azione delle BR, ci furono infatti 5 processi esclusivamente per il sequestro di Aldo Moro, la questione dell’esistenza di uno scontro armato all’interno dello Stato, dal punto di vista politico, non è stata risolta, né si è voluto risolverla. Infine, la scelta del modello del processo politico riflette nuovamente la volontà di affrontare l’argomento da un punto di vista, e secondo un’interpretazione, prettamente politica, che tenga in considerazione non solo il repertorio delle azioni delle BR, ma anche le reazioni dello Stato. Per avere un quadro completo da ogni punto di vista, la dimensione della POS si è rivelata fondamentale nell’analisi del fenomeno preso in considerazione: il contesto internazionale, la variabilità delle alleanze politiche e le instabilità all’interno degli allineamenti partitici e delle élites, hanno giocato insieme un ruolo molto importante nel definire la nascita e lo sviluppo del movimento di protesta degli anni 70 e la dinamica della violenza politica all’interno di esso. Inoltre, il modello del processo politico permette un’analisi basata sulla razionalità e sull’intenzionalità della partecipazione individuale ad un movimento, cosa che, con le teorie del comportamento collettivo, non sarebbe stata possibile. Studiare e analizzare dal punto di vista politico lo sviluppo del movimento di protesta italiano negli anni 70, le risposte dello Stato e la gestione della protesta, l’insorgere della violenza politica e il suo utilizzo come strumento principale da parte di diverse organizzazioni, è l’unico 27 BIBLIOGRAFIA: Balestrini, Nanni and Moroni Primo. 1997. L'orda d'oro: 1968-1977. Milano: Feltrinelli Berlinguer, Enrico. 1973. “Riflessione dopo i fatti del Cile”. Rinascita 38-39-40 Bocca, Giorgio. 1975. “L’eterna favola delle Brigate Rosse”. Il Giorno. 2:(2) Bull, A. 2020. Speaking Out and Silencing Culture, Society and Politics in Italy in the 1970s. Londra: Routledge Calvi, Maurizio and Ceci Alessandro. 2003. Le date del terrore, La genesi del terrorismo italiano e il microclima dell’eversione dal 1945 al 2003. Roma: Luca Sossella Editore Catanzaro Raimondo. 1990. Ideologie, Movimenti, Terrorismi. Bologna: Il Mulino Cavallini, Massimo. 1979. “61 licenziamenti alla Fiat con un’oscura motivazione” l’Unità. 234 Ciafaloni, Francesco and Donolo Carlo. 1969. “Contro la falsa coscienza del movimento studentesco” Quaderni Piacentini 38: 30-41 Cento Bull, Anna and Adalgisa Giorgio 2006. Speaking Out and Silencing. Culture, Society and Politics in Italy in the 1970s. Oakville: David Brown Book Co. Curcio, Renato and Mario Scialoja. 1993. A viso aperto. Milano: Mondadori Deaglio, Enrico. 2019. La bomba: Cinquant’anni di Piazza Fontana. Milano: Feltrinelli Della Porta, Donatella and Sidney Tarrow. 1986. “Unwanted children: Political violence and the cycle of protest in Italy, 1966-1973”. European Journal of Political Research 14(5‐6): 607-632 Della Porta, Donatella. 1995. Social Movements, Political Violence, and the State: A Comparative Analysis of Italy and Germany Cambridge: Cambridge University Press De Vito, Christian Camosci e girachiavi. Storia del carcere in Italia. Roma: Laterza 2009 Donato Gabriele. 2018. La violenza, la rivolta. Cronologia della lotta armata in Italia 1966-1988. Trieste: IRSML Iacona, Marco. 2008 Le origini della contestazione globale. Chieti Scalo: Solfanelli Fasanella, Giovanni and Sestieri Claudio. 2000 Segreto di stato: La verità da Gladio al caso Moro. Torino: Einaudi Fasanella, Giorgio and Giovanni Pellegrino. 2005. La guerra civile. Milano: Rizzoli 30 Fini, Marco and Stajano Corrado. 1977. La forza della democrazia: la strategia della tensione in Italia 1969-1976. Torino: Einaudi Flores, Marcello and Gozzini Giovanni. 2018. 1968. Un anno spartiacque. Bologna: il Mulino Fraser, Ronald. 1988. 1968: A Student Generation in Revolt. Milano: Feltrinelli Gallinari, Prospero. 2006. Un contadino nella metropoli. Ricordi di un militante delle Brigate Rosse. Milano: Bompiani Le Bon, Gustave. 2004. Psicologia delle folle. Milano: TEA Edizioni Licciardi, Gabriele. 2020. “La rivoluzione è finita, la guerra continua. Carceri, pentiti e dissociati” Meridiana 97: 105-122 Manzini, Giorgio. 1978. Indagine su un brigatista rosso. La storia di Walter Alasia. Torino: Einaudi McAdam, Doug. 1999 (seconda edizione). Political Process and the Development of Black Insurgency, 1930-1970. Chicago: University of Chicago Press McCarthy John D. and Mayer Zald. 1977. “Resource mobilization and social movements: A partial theory”. American Journal of Sociology. 82(6): 1212-1241 Moretti Mario, Carla Mosca, Rossana Rossanda. 1994. Brigate Rosse: una storia italiana. Milano: Anabasi Ortali, Davide. 2015. “Il terrorismo in Italia negli Anni di piombo” PhD diss., Università degli Studi di Roma Piano, Paolo. 2008. La «banda» 22 ottobre Agli albori della lotta armata Roma: Derive Approdi Pilati, Katia. 2018. Movimenti sociali e azioni di protesta. Bologna: Il Mulino Saccoman, Andrea. 2013. Le Brigate Rosse a Milano. Dalle origini della lotta armata alla fine della colonna «Walter Alasia». Milano: Unicopli Edizioni Settembrini Domenico. 1978. Marxismo e compromesso storico. Firenze: Vallecchi ed. Sidney, Tarrow 1996. “Social Movements in Contentious Politics: A Review Article” The American Political Science Review 90(4): 874-883 Sipione, Lorenza. 2017 “Dal terrorismo politico alle nuove forme di terrorismo globale: strumenti di conoscenza e di contrasto in ambito nazionale ed europeo”. PhD diss., Università degli Studi di Roma Stortoni, Luciana. 1992.“La repressione del terrorismo in italia: l’intervento delle forze dell’ordine fino all’inizio degù anni ottanta”. PhD diss., Istituto Universitario Europeo 31 Tarrow, Sidney. 1989. Democracy and Disorder: Protest and Politics in Italy, 1965-1975. Oxford: Clarendon Press Tilly, Charles. 1978. From Mobilization to Revolution. Harlow: Longman Higher Education Ventura, Angelo. 2010. Per una storia del terrorismo italiano Roma: Donzelli Editore Viale, Guido. 2018. Giorno dopo giorno. 1968-2018: 50 anni di nuovi inizi. Milano: Mimesis Zanelli, Lilia. 2018. “Gli anni di piombo nella letteratura e nell’arte degli anni Duemila” PhD diss., Universidad de Salamanca SITOGRAFIA: Miligi, Gianluca. 2020. Variazioni su i linguaggi del ’68. (ultima consultazione: 9 agosto 2022) (www.filisofia.it) 32
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved