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TESI: INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI E CRESCITA ECONOMICA NEI PAESI DI DESTINAZIONE: VIETNAM, Tesi di laurea di Macroeconomia

Il lavoro è organizzato come segue. Nel primo capitolo si procederà a definire gli investimenti diretti esteri e a classificarli per tipologia. In seguito, sarà descritta l’evoluzione storica del fenomeno ed i principali fattori che inducono le imprese ad investire all’estero, esplorando gli effetti degli IDE sui paesi ospitanti. Il capitolo si 6 conclude con una rassegna teorica relativa alle principali prospettive sulla relazione tra IDE e crescita economica. Nel secondo capitolo, poi, verrà preso in analisi lo specifico contesto vietnamita, includendo dati rilevanti rispetto alla situazione economica del Paese ed un ’analisi della distribuzione degli investimenti e dei principali fattori di attrazione. Allo stesso modo, il capitolo si chiude con una rapida rassegna della letteratura esistente sui precedenti studi sugli investimenti diretti esteri in Vietnam. Il terzo capitolo costituisce il nucleo centrale del lavoro: l’esecuzione dell’analisi empirica.

Tipologia: Tesi di laurea

2022/2023

In vendita dal 27/02/2024

carloalbertoabruzzo
carloalbertoabruzzo 🇮🇹

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Scarica TESI: INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI E CRESCITA ECONOMICA NEI PAESI DI DESTINAZIONE: VIETNAM e più Tesi di laurea in PDF di Macroeconomia solo su Docsity! Università della Svizzera italiana, Lugano Facoltà di Scienze economiche Università Cattolica di Milano Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI E CRESCITA ECONOMICA NEI PAESI DI DESTINAZIONE: IL CASO DEL VIETNAM Tesi di Master Relatore: Prof. Edoardo Beretta Correlatore: Prof. Giovanni Pica Autore: Carlo Alberto Abruzzo Data di consegna: 11/01/2024 V Indice delle Tabelle Tabella 1: Variabili: osservazioni, media, deviazione standard e valore min e max ..... 36 Tabella 2: Correlazione tra GDP e variabili indipendenti ............................................ 37 Tabella 3: Regressione lineare GDP e FDI .................................................................. 39 Tabella 4: Regressione lineare multipla tra GDP e variabili indipendenti .................... 40 Tabella 5: Determinazione dell'ordine di ritardo per GDP e FDI nel modello VAR ..... 43 Tabella 6: Analisi VAR - Impatto dei ritardi temporali su FDI e GFP ......................... 44 Tabella 7: Test di causalità di Granger ........................................................................ 46 6 Introduzione Negli ultimi decenni, sempre più, l’investimento diretto estero (IDE) è divenuto uno dei maggiori strumenti di cambiamento e sviluppo nell’ambito delle relazioni economiche globali, determinando l’interesse di accademici ed economisti allo studio del fenomeno. Tali investimenti, messi in atto da imprese od investitori internazionali, hanno luogo in nazioni ospitanti che attuano politiche finalizzate ad attirali nella speranza che questi favoriscano la crescita economica e tecnologica del paese. Al contempo, però, l’efficacia di questo tipo di dinamica dipende notevolmente dalle caratteristiche e circostanze del paese beneficiario. Nello specifico, nel caso del Vietnam siamo di fronte ad un paese che dal 1986 in poi ha sperimentato una rilevante crescita economica, accompagnata da un crescente afflusso di investimenti diretti esteri. Il Vietnam, infatti, grazie a politiche di apertura economica e riforme strutturali adottate dalla fine degli anni ’80, ha potuto raggiungere le posizioni di vertice tra le economie emergenti più dinamiche e promettenti dell’intera Asia. La motivazione di questo studio, dunque, è quella di comprendere l’effettivo contributo degli investimenti diretti esteri in entrata alla crescita economica del Paese, in modo da comprendere l’impatto degli stessi sui paesi di destinazione e, in particolare, sui paesi in via di sviluppo. Questa tesi si propone, mediante lo studio e l’analisi di dati relativi ai principali fattori economici e sociali vietnamiti, tratti dalla banca dati della World Bank ed esaminati mediante l’impiego del software statistico STATA, di rispondere a tale quesito. L’obiettivo finale, pertanto, è quello di confermare o confutare l’ipotesi secondo la quale gli investimenti diretti esteri abbiano un impatto significativo e positivo sulla crescita economica dei paesi che li ospitano, tanto avanzati quanto emergenti. In secondo luogo, è importante valutare in quale posizione si ponga il contributo di tali investimenti alla crescita economica rispetto ad altre variabili tradizionalmente riconosciute come motori dell’economia di un paese: tra queste, la stabilità economica, la quantità di capitale umano, l’inflazione e la spesa pubblica. Il lavoro è organizzato come segue. Nel primo capitolo si procederà a definire gli investimenti diretti esteri e a classificarli per tipologia. In seguito, sarà descritta l’evoluzione storica del fenomeno ed i principali fattori che inducono le imprese ad investire all’estero, esplorando gli effetti degli IDE sui paesi ospitanti. Il capitolo si 7 conclude con una rassegna teorica relativa alle principali prospettive sulla relazione tra IDE e crescita economica. Nel secondo capitolo, poi, verrà preso in analisi lo specifico contesto vietnamita, includendo dati rilevanti rispetto alla situazione economica del Paese ed un’analisi della distribuzione degli investimenti e dei principali fattori di attrazione. Allo stesso modo, il capitolo si chiude con una rapida rassegna della letteratura esistente sui precedenti studi sugli investimenti diretti esteri in Vietnam. Il terzo capitolo costituisce il nucleo centrale del lavoro: quest’ultimo espone il disegno e l’esecuzione dell’analisi empirica sul tema, descrivendo le variabili e la metodologia utilizzate e procedendo allo studio dei dati raccolti. La presentazione e l’esame dei risultati emersi avrà, infine, luogo nel quarto ed ultimo capitolo. In conclusione, questa ricerca rappresenta una profonda incursione nell’analisi degli investimenti diretti esteri ed il loro impatto sulla crescita economica del Vietnam, assunto nel contesto come Stato rappresentativo dei paesi in via di sviluppo. Mediante un approccio che combina analisi teorica ed esplorazioneempirica, l’obiettivo finale è quello di fornire un contributo nuovo e significativo nell’ambito delle politiche economiche, dello studio e dello sviluppo sostenibile del Paese. 10 Figura 1 : “Foreign direct investment flows in developing economies” (Bano, 2015, p. 368) In aggiunta, si consideri come nello stesso periodo gli influssi medi di IDE verso i paesi sviluppati crebbero del 14.4%, verso i paesi in via di sviluppo del 20.6%, verso l’intera Asia (con l’esclusione del Giappone che vide una crescita superiore ai tre punti percentuali) del 19% e, infine, del 21% nella regione del Sud-est asiatico. Particolarmente sorprendente, poi, è che negli ultimi quarant’anni gli influssi di IDE verso paesi in via di sviluppo, come percentuale degli influssi globali, sia scesa dall’86 al 49%, evidenziando la sempre maggiore rilevanza degli investimenti tra le economie più solide e sviluppate del mondo (i quali rappresentano più della metà del totale degli influssi a livello globale). I flussi globali di investimenti diretti esteri sono, poi, stati ulteriormente protagonisti di una maggiore crescita negli ultimi anni. Si pensi che quest’ultimi sono stati pari a 1.58 trilioni di dollari nel 2021 (un incremento del 64% rispetto all’anno precedente) (Bano & Tabbada, 2015, p. 370). È importante considerare, però, come l’intero contesto globale rispetto agli investimenti internazionali sia completamente mutato a partire dal 2022. La guerra in Ucraina, in questo, ha giocato un ruolo fondamentale. Questa sta producendo una crisi finanziaria ed energetica insieme, le quali hanno causato, nel corso del 2022, un sentimento di forte incertezza negli investitori, con impatto al ribasso sugli investimenti diretti esteri globali. In questo periodo, infatti, la totalità delle economie dell’area ASEAN ha registrato un crollo, complessivamente del 74%, delle acquisizioni/fusioni transfrontaliere ma gli annunci di nuovi progetti di tipo greenfield sono aumentati del 21% rispetto all’anno precedente. Rispetto al 2023, infine, il Rapporto UNCTAD, pubblicato il 5 luglio, ha 11 registrato un calo del 12% nei flussi di investimenti internazionali rispetto al 2022. Il Rapporto, infatti, ha mostrato come i primi tre mesi dell’anno in corso abbiano registrato una debole spinta verso l’investimento internazionale ed operazioni di fusione ed acquisizione, con una riduzione dei progetti globali greenfield del 26% rispetto all’anno scorso. In questo senso, il panorama economico e geopolitico internazionale attuale sembra danneggiare, in modo consistente, i volumi degli IDE a livello globale. Il numero di politiche che fungono da ostacolo, a livello globale, agli investimenti internazionali è rimasto invariato rispetto agli anni precedenti ma un aspetto permette, ancora, di mantenere sufficiente ottimismo rispetto all’andamento degli IDE negli anni a venire. In particolare, molti dei cambiamenti politici rilevati dal recente Rapporto UNCTAD suggeriscono che si stiano ponendo le basi per un ambiente ancor più disponibile nei confronti degli investimenti diretti esteri (UNCTAD, 2023, p. 2). Le attuali iniziative, messe in opera a livello di singoli paesi, volte a facilitare gli investimenti e favorire l’apertura di nuovi settori commerciali rappresentano le maggiori speranze per una crescita prosperosa nei volumi degli IDE negli anni a venire (Myles, 2023). 1.2 I fattori di spinta degli investimenti all’estero Le ragioni che possono convincere paesi ed imprese ad investire all’estero possono essere numerose: tra queste, vi è sicuramente la volontà di diversificare i propri mercati d’azione, riducendo la propria dipendenza dal mercato nazionale, spesso grazie all’elusione di barriere commerciali (quali tariffe e restrizioni) e ricercando nuovi clienti ed opportunità di crescita. Ulteriore motivazione è legata a differenziali nei tassi, nel costo dei fattori di produzione e rischi di cambio. Gli investimenti esteri, infatti, da un lato possono avere origine dalle possibilità di guadagno legate alla variazione dei tassi di cambio e la gestione dei rischi connessi alla fluttuazione valutaria, dall’altro sono di frequente spinti dalla ricerca aziendale di costi di produzione più bassi. Difatti, quando il minor costo del processo produttivo è associato ad un impiego più efficiente delle risorse disponibili ed alla scoperta di nuove tecnologie e beni, l’impresa ottiene guadagni ancor più elevati e accresce la propria capacità di innovare la varietà dei prodotti offerti. L’investimento all’estero, inoltre, può consentire alle imprese di sfruttare i vantaggi derivanti dalle economie di scala e influenzare i mercati a livello globale, servendosi della grandezza delle dimensioni e di un’elevata disponibilità di risorse. 12 Secondo una prospettiva teorica, nel corso degli anni diversi modelli hanno cercato di individuare le ragioni per le quali le imprese divengano multinazionali. Teoria interessante è stata portata avanti da Robert Mundell nel 1957, partendo dal modello di Heckcscher-Ohlin-Samuelson (1933) e superando l’ipotesi dell’immobilità internazionale dei fattori di produzione. Secondo Mundell, vi sono due modi attraverso i quali le disparità tra nazioni in termini di dotazione di fattori produttivi possono essere superate: il commercio internazionale o l’internazionalizzazione produttiva. In questo senso, il paese con maggiore disponibilità di capitale può esportarlo e permetterne l’utilizzo laddove è più scarso. L’impresa multinazionale rappresenterebbe, in questo modo, un’alternativa rispetto al processo di specializzazione. Allo stesso modo, Kojima (1978) ha cercato di spiegare la multinazionalizzazione delle imprese sulla base della diversa dotazione fattoriale dei paesi: nello specifico, tra due paesi l’investimento diretto è compiuto dall’impresa del paese che presenta vantaggi competitivi nella produzione del bene rispetto all’altro. Tali vantaggi possono identificarsi nella dotazione di conoscenze tecnologiche, capacità di gestionali o strategie organizzative. Il paese che riceve l’investimento, dal lato proprio, beneficia dei vantaggi derivanti dall’impiego del bene prodotto. Il medesimo concetto era stato introdotto, in una prospettiva microeconomica, da Hymer nel 1960: secondo l’autore l’impresa che decida di investire all’estero è primariamente condizionata dal fatto di detenere vantaggi produttivo-organizzativi. Si parla, in questo caso, di “vantaggi di proprietà”. Questi sono posseduti esclusivamente dall’impresa e non dal paese o dall’intero settore in cui essa opera e permettono alla stessa di essere competitiva nei confronti delle imprese locali già attive in quel mercato. Buckley e Casson, poi, nel 1976 giustificarono il fenomeno della multinazionalizzazione superando il concetto di vantaggi di proprietà. I due autori svilupparono la nota “teoria dell’internalizzazione” secondo la quale, data l’inefficienza del mercato, l’impresa diventa multinazionale realizzando transizioni internazionali all’interno dell’impresa stessa, oltrepassando vincoli e difetti di mercato. Tale teoria rappresenta la maggiore evoluzione della “teoria del ciclo del prodotto” di Vernon (1966). Secondo quest’ultima, infatti, solamente dopo che l’attività produttiva, inizialmente localizzata dove si trova il mercato di destinazione e dovela tecnologia e le materie necessarie alla produzione hanno posto, abbia raggiunto un certo grado di maturità e standardizzazione nella produzione del prodotto questa viene allocata laddove i costi di produzione sono inferiori (primi fra tutti, i paesi in via di sviluppo). 15 1.3 Gli effetti degli IDE sul paese ospitante Gli investimenti diretti esteri in entrata rappresentano una fondamentale fonte di capitale e tecnologia ma anche di competenze e canali relazionali: tutti elementi che favoriscono lo sviluppo socio-economico dei paesi che li ospitano. Gli effetti prodotti dagli IDE sul paese di destinazione possono assumere due forme: effetti diretti ed indiretti. Tale distinzione esiste per via del fatto che gli investimenti diretti esteri possono influenzare, tanto direttamente quanto indirettamente, attori ed imprese domestiche. Gli effetti diretti, soprattutto legati ad iniziative di tipo greenfield, sono più facilmente riconoscibili. Questi si identificano, spesso, con la creazione e promozione di nuova capacità produttiva: ciò produce un enorme impatto sull’occupazione, ma anche il diretto trasferimento di capitali e competenze manageriali e organizzative più evolute nel paese ospite (Piscitello, 2006, p. 5). In molti casi, si tratta di trasferimenti di tecnologia, sotto forma di input di capitale, che altrimenti non potrebbero essere ottenuti perseguendo la via del commercio (Žilinskė, 2010, p. 39). Qualora, dall’altro lato, l’iniziativa riguardi l’acquisizione ad opera dell’impresa multinazionale di un’impresa domestica già operante sul mercato, l’impatto diretto di quest’ultima risulta essere meno chiaro. Alcuni studi empirici (Piscitello & Rabbiosi, 2005) però, hanno mostrato come i principali effetti diretti di iniziative di acquisizione ricadano sull’impresa domestica, la quale nel medio periodo tende a sperimentare incrementi e sviluppi nella produttività e nella forza lavoro. Gli effetti indiretti, invece, sono sovente legati all’impiego ad opera dell’impresa multinazionale di tecnologie migliori ed efficaci: essi possono assumere dimensioni e caratteristiche molteplici. Caratteristica comune, però, è quella di poter essere sinteticamente riassunti nel termine “esternalità”. Tale concetto racchiude tutti i benefici derivanti dalla presenza estera dell’impresa multinazionale: tuttavia, i benefici prodotti non sono recepiti né dall’impresa né dalla sua forza lavoro, bensì dalle imprese ed attori operanti nel medesimo settore o contesto dell’iniziativa estera. In questo senso, gli effetti della presenza degli IDE si applicano al contesto ospitante per via di meccanismi che lo inducono all’imitazione dei concorrenti più performanti, alla ricerca di sviluppi nella produzione e nell’efficienza, alla mobilità dei lavoratori ed all’emergere di strette relazioni tra attori esteri e locali e le rispettive imprese (Piscitello, 2006, p. 5). Gli effetti di spillover possono essere distinti tra verticali ed orizzontali. I primi sono gli effetti racchiusi all’interno della sola catena di produzione entro la quale l’impresa opera, 16 mentre i secondi si identificano con gli impatti a carico dei competitor e dell’intero panorama economico ed industriale nazionale. Quest’ultimi definiscono mutamenti e trasformazioni in grado di modificare nel profondo la configurazione economica e commerciale della totalità del paese. In sintesi, è possibile sintetizzare in tre forme essenziali i principali effetti positivi degli IDE, servendosi della classificazione proposta da Blomström e Kokko nel 1998. Prima forma è l’imitation effect, secondo la quale le imprese domestiche tendono ad imitare quelle estere. Ad essa si contrappone il competition effect, che induce le imprese domestiche ad una sana competizione e ricercare una maggiore efficienza. In secondo luogo, vi è la mobilità dei lavoratori tra multinazionali straniere ed imprese locali: questi, infatti, possono beneficiare delle competenze e della formazione seguita all’interno delle multinazionali estere. Infine, come terza forma vi è quella del linkage e, cioè, delle relazioni che possono nascere tra imprese locali ed estere, producendo effetti positivi in favore degli attori domestici. Ciò avviene sulla base di un meccanismo che produce una maggiore domanda di input determinata dalla presenza di multinazionali straniere che, a sua volta, riduce i prezzi e, di conseguenza, i costi accrescendo la produttività (Blomstrom & Kokko, 1998). Gli effetti descritti, dunque, giustificano l’attuale tendenza e propensione, da parte dei singoli paesi, a riformare la propria struttura economica interna, tanto da trasformarne l’intero sistema allo scopo di attirare investimenti ed investitori stranieri. Pur percependo i benefici che gli investimenti diretti esteri possono recare ai paesi che li ricevono, bisogna tuttavia riconoscere che molti degli impatti degli IDE varino a seconda delle condizioni del paese ospitante. Secondo un approccio keynesiano, infatti, l’esistenza dei fallimenti di mercato dimostra che il rapporto positivo tra libero mercato ed efficienza sia tutt’altro che garantito: informazioni imperfette o insufficienti potrebbero attrarre investimenti errati. In secondo luogo, la necessità di norme governative adeguate è spiegata, talvolta, dalla distanza di interessi tra investitori e paesi riceventi. Nello specifico, la difficoltà dei governi dei paesi in via di sviluppo di comprendere gli effetti che gli investimenti esteri possono portare loro, li possono spingere a compiere scelte contrarie alla loro crescita economica. È, di frequente, difficile per i governi dei paesi in via di sviluppo gestire gli investimenti esteri per via della disparità, in termini di potere contrattuale, tra investitori dei paesi economicamente più strutturati e la loro struttura politica (Piscitello, 2006, p. 6). 17 Altro aspetto è relativo all’impiego delle risorse economiche del paese. Epstein (1999), infatti, sostiene che spesso i paesi nel cercare di attrarre gli investimenti e creare, per loro, un ambiente più ospitale e strutturato impiegano sussidi e agevolazioni che potrebbero essere dedicati allo sviluppo del paese in termini di infrastrutture, tecnologia ed istruzione. Per questa ragione potrebbe risultare più efficiente cambiare prospettiva e, cioè, fare dell’investimento in formazione ed infrastrutture lo strumento attraverso il quale creare un contesto economico maggiormente rivolto alla ricezione di investimenti e rispondere alle necessità che questi comportano (Žilinskė, 2010, p. 334). Per queste ragioni, Manning e Shea (1989) sostengono che gli incentivi atti a promuovere gli IDE debbano esseri impiegati dietro una logica economica strutturata, che permetta ai paesi ospitanti di gestire gli investimenti diretti entro uno schema che assicuri loro un impatto economico positivo degli stessi. Ulteriore fattore è considerare la tipologia e lo scopo degli IDE: non tutte le tipologie di investimento, infatti, contribuiscono in egual misura allo sviluppo ed alla crescita dell’economia locale. In particolare, gli investimenti greenfield incoraggiano maggiormente lo sviluppo rispetto ad acquisizioni e fusioni operate da imprese straniere. Questione fondamentale, però, è il fatto che negli ultimi anni la quota di investimenti greenfield si è ridotta notevolmente, sostituita da investimenti diretti che hanno sempre di più assunto la forma di acquisizioni e fusioni di imprese locali ad opera di imprese di proprietà straniera (Žilinskė, 2010, p. 335). Relativamente allo scopo degli investimenti diretti esteri è importante valutare che questi possano essere finalizzati, non solo all’ottenimento di guadagni economici, ma anche all’acquisizione di controllo politico- economico all’interno del paese ospitante. Ciò può determinare la maggiore difficoltà dei paesi in via di sviluppo nella direzione e supervisione del proprio ambiente economico, ostacolandone l’integrazione all’interno delle dinamiche commerciali internazionali. Si ricordi, poi, che sebbene gli investimenti diretti esteri possano produrre esternalità positive in termini di incremento dell’occupazione e trasferimento di tecnologia, questi possono essere, dall’altro lato, artefici di un impatto negativo sul tessuto economico- occupazionale del paese che li ospita. Gli investitori stranieri, infatti, possono contribuire a ridurre l’occupazione licenziando e sostituendo i lavoratori locali, escludendosi dalla collaborazione con imprese locali che, spesso, non dispongono dei mezzi necessari a competere con le multinazionali. Inoltre, i paesi ospitanti, a causa di un basso grado di integrazione del mercato, spesso non sono in grado di recepire i vantaggi derivanti dal trasferimento di tecnologia. La mancanza di integrazione, infatti, determina il fatto che la 20 dotazione in termini di infrastrutture, stabilità economica, istituzioni politiche e competenze tecniche (Chowdhury & Mavrotas, 2006, p. 9-10). Altri studiosi, dall’altro lato, hanno sottolineato l’impatto negativo degli IDE sulla crescita economica dei paesi in via di sviluppo. Possibili ragioni possono essere individuate nella decapitalizzazione e nella dipendenza. Gli studi empirici condotti da Alschuler (1976) e Bornschier e colleghi (1978) sono giunti alla conclusione che gli IDE, così come gli aiuti esteri ed il commercio, abbiano nel lungo termine l’effetto di diminuire la crescita economica ed accrescere la disuguaglianza. Tale effetto potrebbe essere spiegato dal fenomeno della decapitalizzazione, che consiste nel fatto che il paese ospitante possa tendere a far convergere le proprie risorse verso i settori colpiti dagli IDE, sottraendole alle proprie aree interne più produttive. Bornschier (1980), infatti, definisce la decapitalizzazione come la riduzione dei fondi disponibili per gli investimenti da parte del paese ospitante. Di conseguenza, gli investimenti diretti esteri potrebbero produrre maggiori investimenti a breve termine, con impatto negativo sulla crescita a lungo termine. Al contempo, ulteriore rischio è quello di stimolare nei paesi in via di sviluppo la tendenza a dipendere dagli investimenti esteri come fonti di finanziamento per le proprie attività economiche. Secondo la “teoria della dipendenza” dal capitale estero però, tale meccanismo può rendere i paesi particolarmente vulnerabili alle fluttuazioni dei mercati finanziari internazionali, costringendoli all’appiattimento della propria attività economica nei periodi di flessione degli investimenti esteri (Iamsiraroj, 2016). Concludendo, nell’analisi empirica e teorica l’impatto degli IDE continua ad essere vivo argomento di discussione: diversi studi hanno dimostrato una relazione positiva tra le variabili IDE e crescita economica, mentre altri hanno rilevato una relazione negativa. Questa complessità nel comprendere l’impatto degli IDE sulla crescita economica richiede, dunque, una più approfondita analisi per comprendere fattori, circostanze e condizioni in cui tali effetti si manifestano e agiscono. 21 2. Gli investimenti diretti esteri in Vietnam 2.1 Il contesto economico vietnamita A partire dal 1986, per un ventennio, l’economia vietnamita è cresciuta ad un tasso pari al 7% annuo. Il capitale totale registrato dagli IDE in Vietnam, tra il 2001 ed il 2005, è stato tredici volte superiore a quello registrato nei cinque anni precedenti. Ciò ha permesso di registrare nel 2006 un valore del PIL quattro volte superiore a quello del 1986. Si tratta di un risultato ottenuto, soprattutto, attraverso lo sviluppo di politiche maggiormente orientate al mercato e, quindi, all’integrazione del Vietnam nell’economia mondiale come può essere rinvenuto in Hoang, Wiboonchutikula e Tubtimtong (2010, p. 296). Più nello specifico, a partire dal dicembre del 1986, il Vietnam è passato da essere un’economia pianificata centralmente ad una economia orientata al mercato. Ciò è stato, prevalentemente, l’esito del “Đổi Mới”: si tratta di una serie di riforme politico- economiche adottate dal governo vietnamita nel 1986. Il termine vietnamita “ Đổi Mới” significa, appunto, “rinnovare”, in quanto obiettivo primario di questa spinta riformista era quello di riorganizzare e rinvigorire l’economia del paese, favorendone la crescita e l’integrazione all’interno della Comunità economica internazionale. Oltre al passaggio da un’economia centralizzata ad una orientata a logiche di mercato, le riforme intraprese dal governo vietnamita ebbero lo scopo di liberalizzare il commercio attraverso la conclusione di accordi volti all’accrescimento delle esportazioni, ma anche modificare il sistema bancario e finanziario al fine di adattarlo alle esigenze di mercato e promuovere gli investimenti diretti esteri (Nguyen, Anwar, Alexander & Lu, 2022). Guardando ai numeri, si osserva come il tasso di crescita del PIL sia raddoppiato, passando dal 4.4%, del periodo 1986-1990, all’8.1% del quinquennio successivo. L’incremento del PIL ha determinato una crescita del reddito pro-capite, arrivando ad oltre 288 dollari nel 1995 (nel 1988, il valore si attestava attorno agli 86 dollari). La crisi finanziaria asiatica del 1997-98, ha poi contribuito a rallentare la crescita del PIL, la quale ha conosciuto una rapida ripresa nei primi anni 2000, attestandosi attorno al 7.5%. Il cambiamento nella struttura economica ha sposato una politica dall’impronta industriale e modernizzante annunciata dal governo: tale trasformazione ha permesso l’incremento delle quote del PIL dei settori dell’industria e dei servizi. Il governo vietnamita, allo scopo di sviluppare un’economia maggiormente orientata al mercato, ha assunto e mantenuto un ruolo centrale di guida all’interno del settore statale, facilitando lo sviluppo di ulteriori 22 settori economici. Questo passaggio ha permesso una riduzione nel numero di imprese statali ed un rapido incremento nel numero di imprese di proprietà privata e, in particolare, straniera. La quota del settore degli investimenti stranieri sul PIL, infatti, è aumentata notevolmente, passando dal 1.7% del 1990 al 17% del 2006 (Hoang et al., 2010, p. 298). A dilatarsi è stata la quota di IDE nel settore industriale rispetto alla fine degli anni ‘80, superando il 74% nei primi anni 2000; al contempo, il settore dei trasporti e della comunicazione nonché quello alberghiero, turistico e ristorativo rappresentano rispettivamente il 5.7% ed il 4.5% del totale degli IDE (Hoang et al., 2010, p. 299). Ad oggi l’economia vietnamita ha risposto con solidità ed una crescita positiva alle conseguenze dell’emergenza pandemica, manifestando la resilienza e la determinazione del Paese nel superare le avversità ed intraprendere un percorso finalizzato ad unacrescita sostenibile. Come evidenziato dalla “Figura 3” (World Bank, 2023), vi è stata una forte ripresa economica nel 2022, raggiungendo una crescita del PIL annua dell’8%. Nel 2020 e 2021, infatti, l’economia vietnamita ha subito una forte decrescita a causa degli impatti devastanti della pandemia Covid-19, conseguendo una crescita del PIL annua pari al 2.6%. Figura 3 : "GDP growth (annual %) - Vietnam" (World Bank, 2023) Il PIL vietnamita nel 2022, dunque, è cresciuto dell’8% su base annua (il miglior risultato tra le economie che compongono l’area ASEAN1) e per il 2023 si prevede la crescita si attesterà attorno al 6.1 %. Tale rallentamento sperimentato nel 2023 è facilmente spiegato 1 Per maggiori dettagli, pagg. 23-24. 25 Le maggiori contrazioni negli investimenti che hanno riguardato il settore manifatturiero ed immobiliare sono state efficacemente compensate dall’incremento degli investimenti nel settore energetico, le quali hanno contribuito nel 2022 a raggiungere il valore di 17.9 miliardi di dollari. Nella “Figura 4” e “Figura 5” (World Bank, 2023) vengono mostrati i flussi netti di investimenti diretti esteri in entrata in Vietnam tra il 1986 ed il 2022: nella prima il valore viene espresso in dollari statunitensi mentre la seconda presenta gli IDE in entrata come percentuale del PIL. Figura 4 : "Foreign direct investment, net inflows (BoP, current US$) - Vietnam" (World Bank, 2023) Figura 5 : "Foreign direct investment, net inflows (% of GDP) - Vietnam" (World Bank, 2023) 26 I grafici mostrano chiaramente l’aumento sperimentato dal Vietnam in termini di influssi di investimenti stranieri annui e questo permette di giungere a due brevi considerazioni. In primo luogo, ciò pone in evidenza la capacità del Paese di creare un ambiente economicamente e politicamente stabile e, dunque, attrattivo per investimenti ed investitori; in secondo luogo, l’andamento maggiormente altalenante, se pur complessivamente positivo, degli IDE in entrata in rapporto al PIL nazionale giustifica ancora una volta la necessità di indagare il rapporto tra investimenti e crescita e, di conseguenza, l’urgenza dell’analisi che verrà presentata nel terzo capitolo del presente lavoro. Ad oggi, si prevede che il Vietnam concluderà il 2023 con 38 miliardi di dollari di investimenti diretti esteri. Si pronostica, infatti, che gli afflussi di IDE in Vietnam per il 2023, e per i prossimi anni, continueranno a crescere confermandolo tra i paesi più attraenti in termini di investimenti esteri in Asia, mantenendo tra i propri maggiori investitori i tre colossi asiatici: Cina, Corea del Sud e Singapore (LLOYDS BANK, 2023). È, di conseguenza, necessario comprendere il modo in cui gli IDE si trovano ad essere distribuiti sul territorio vietnamita, servendoci della visualizzazione della geografia del Paese attraverso la “Figura 6” (Tiger Moon, 2017). Figura 6 : Cartina geografica del Vietnam e le maggiori aree ospitanti IDE (Tiger Moon, 2017) 27 Rispetto alla distribuzione degli IDE sul territorio vietnamita, dunque, è possibile riscontrare come tutte le otto regioni del Vietnam siano state capaci, nell’ultimo ventennio, di attrarre gli investimenti diretti esteri, sebbene gran parte degli investitori stranieri abbia preferito concentrare i propri investimenti in aree economiche che maggiormente garantissero vantaggi di profitto. In particolare, nel periodo tra il 1996 ed il 2006, la regione sud-orientale del Paese ha rappresentato più della metà degli IDE (51.7%), seguita dalle regioni del Delta del Fiume Rosso (area settentrionale del Paese), con il 27% degli investimenti diretti esteri. Queste regioni, oltre a presentare infrastrutture ed imprese in gran numero, si caratterizzano per la presenza di una politica, tecnologia e scienza sviluppate. In aggiunta, a queste regioni appartengono le due principali città del paese, quelle che sono considerate il motore economico e tecnologico del Vietnam: Hanoi ed Ho Chi Minh City (la sola Hanoi ha rappresentato tra il 1996 ed il 2006 più del 20% del capitale totale registrato dagli IDE nell’intero Vietnam) (Hoang et al., 2010, p. 299- 230). Oltre alla zona economica di Ho Chi Minh ed il Nord del Vietnam, che contiene Hanoi e le province di Hai Phong e Bac Ninh, importanti hub per gli IDE sono state, e continuano ad essere, le zone economiche di Phu Quoc e di Van Don e le zone costiere e portuali, aree nodali nel mantenimento delle relazioni commerciali internazionali. È possibile, dunque, rilevare che gli IDE in Vietnam abbiano trovato contesti accoglienti in tutte le regioni del Paese e nella maggior parte dei settori commerciali in cui esso opera. Come può essere rinvenuto in Alpuerto (2022), tra i settori più benevolmente colpiti vi sono quello manifatturiero, il principale beneficiario di IDE (produzione elettronica e abbigliamento, nello specifico), il settore della tecnologia dell’informazione (tramite lo sviluppo di software e tecnologie) e, per ultimi, dell’energia rinnovabile e delle infrastrutture. 2.3 Fattori di attrazione e principali paesi investitori Sono diversi i fattori che contribuiscono a rendere il caso vietnamita particolarmente interessante. Tra questi vi è, innanzitutto, il fatto che i flussi di IDE in entrata nel Paese siano divenuti la principale fonte di finanziamento esterno. Tra il 2007 e il 2009, in media, gli afflussi di IDE in Vietnam hanno rappresentato il 61% dei flussi di capitale, mantenendo una quota elevata, nonostante la leggera flessione tra il 2010 ed il 2017, per 30 2.4 Il sentiero della letteratura in materia: studi pregressi sugli IDE nel contesto vietnamita Gli studi relativi all’impatto esercitato dagli IDE sulla crescita economica del Vietnam negli anni sono piuttosto limitati. Un esempio è rappresentato dall’analisi effettuata da Hoa e Hammer (2002) sull’impatto degli IDE sulla riduzione della povertà in Vietnam negli anni ‘90. Lo studio degli IDE, attraverso l’impiego di dati panel relativi al periodo 1990-2000 nel contesto di 61 province vietnamite, ha evidenziato come gli IDE abbiano interagito in modo positivo con il capitale umano nell’influenzare la crescita economica del Paese. Gli autori, nel contesto, hanno affermato che l’afflusso degli IDE e la crescita economica da esso generata esercitino un impatto positivo sulla riduzione della povertà. Lo stesso Tran Trong Hung (2005), utilizzando il metodo dei minimi quadrati ordinari per studiare l’impatto degli investimenti diretti esteri sulla crescita economica del Paese, ha mostrato come questi afflussi esercitino una presaindiretta positiva e significativa sulla riduzione della povertà, soprattutto mediante la crescita economica da loro generata. Baharumshah e Thanoon (2005), poi, applicando una metodologia panel, sono giunti ad un risultato ancor più notevole: questi hanno confermato l’effetto positivo degli IDE sulla crescita economica dell’intera Asia orientale, soprattutto grazie all’esternalità positiva della conoscenza e formazione incarnate in tali investimenti. I due, in particolare, hanno dimostrato come l’impatto positivo esercitato dagli investimenti diretti esteri sia di molto superiore all’effetto del risparmio interno e, di conseguenza, la produttività degli IDE sia superiore a quella degli investimenti domestici. Un anno dopo, lo studio condotto da Vu, Noy e Gangens (2006) relativamente all’impatto degli IDE sulla crescita economica di Cina e Vietnam ha dimostrato effetti statisticamente positivi e significativi sulla crescita economica dei due Paesi, agendo sia direttamente che attraverso l’aumento della produttività del lavoro. La più importante conclusione alla quale gli autori sono giunti, però, è stata quella di marcare un importante differenza settoriale nella benevolenza dell’impatto degli investimenti diretti esteri. Sulla base della loro analisi, infatti, il solo settore manifatturiero sembra beneficiare in modo significativo degli afflussi di IDE, insieme al settore del gas e petrolio. Gli altri settori, infatti, sembrano trarre in misura inferiore i vantaggi di prosperità e crescita. Dagli studi descritti, in sintesi, è possibile riconoscere come la gran parte delle analisi empiriche relative alla relazione tra IDE e crescita economica in Vietnam abbiano dimostrato un impatto positivo sulla crescita degli investimenti sul sistema economico del Paese. Ciò nonostante, esistono alcuni filoni di studio e ricerca che hanno evidenziato 31 una relazione negativa, non significativa o non lineare tra le due variabili (Hoang et al., 2010, p. 302-303). Esempio interessante è rappresentato dallo studio condotto da Le e colleghi (2021). Gli autori hanno analizzato la relazione che intercorre tra investimenti diretti esteri e crescita economica in Vietnam, nel periodo 1990-2019. Quest’ultimi, utilizzando il modello statistico “VAR” nell’interpretazione delle variabili, hanno dimostrato un effetto positivo degli IDE sulla crescita economica del Vietnam sia nel lungo che nel breve termine. Punto importante, però, è l’aver definito la relazione tra le due variabili come non lineare. In particolare, gli investimenti diretti esteri mostrano avere un impatto positivo sulla crescita economica nel presente ma tendono a produrre un impatto fortemente negativo nel periodo successivo. Questo periodo, una volta superato, condurrà ad un nuovo stato positivo. Questo trend non lineare risulta confermato anche rispetto all’effetto degli investimenti diretti esteri sull’esportazioni del Vietnam. Mai e Thuy (2016), tramite l’impiego di dati secondari e l’applicazione del modello “VAR” ed il test di causalità di Granger per esaminare la relazione tra IDE e crescita nella provincia del Khanh Hoa tra il 1995 ed il 2014, sono giunti alla conclusione che l’effetto degli investimenti esteri sulla crescita economica del paese del Sud-est asiatico non sia statisticamente significativa. Al contrario, la crescita economica sembra avere un impatto positivo e significativo sugli investimenti diretti esteri. Tale studio, dunque, non ha rilevato condizioni tramite le quali gli IDE possano contribuire in maniera significativa e positiva alla crescita economica locale (Nguyen T. V., 2020, p. 1138-1139). Possiamo, dunque, osservare che sebbene la maggior parte degli studi relativi all’impatto degli investimenti diretti esteri sul paese ospitante dimostrino che l’investimento produca effetti positivi sulla crescita economica dello stesso, altri non hanno osservato alcuna relazione o, ancor peggio, ne hanno confermato la dannosità. In questo senso, risulta fondamentale continuare studiare il contributo degli IDE alla crescita valutandone in modo approfondito e, per quanto possibile, definitivo l’impatto rispetto e in relazione alle altre variabili che, generalmente, influenzano l’andamento dell’economia di un paese. 32 3. Analisi empirica 3.1 Background teorico e ipotesi della ricerca L’obiettivo della presente ricerca è quello di valutare quale impatto esercitino gli investimenti diretti esteri sulla crescita economica del Vietnam, confrontandolo con l’effetto causato da altre variabili indipendenti, tradizionalmente riconosciute come motori dell’economia di un paese. In altre parole, si intende comprendere se gli IDE possano essere i principali artefici della crescita economica vietnamita. Alla base dello studio in materia, vi è una ricerca condotta nel 2015 dallo studioso e accademico Panagiotis Pegkas, dal titolo “The impact of FDI on economic growth in Eurozone countries”, il quale ha esaminato e definito l’impatto degli IDE sulla crescita economica dei paesi dell’Eurozona nel periodo 2002 -2012. L’analisi ha rivelato l’esistenza di una cointegrazione positiva di lungo termine tra investimenti diretti esteri e crescita economica. Per cointegrazione intendiamo una relazione statistica tra serie temporali in base alla quale, quest’ultime, tendono a mantenere una relazione costante a lungo termine, pur ammettendo fluttuazioni nel breve termine (Peracchi, 2012). I risultati, infatti, hanno riferito l’esistenza di una relazione positiva tra le due variabili (IDE e PIL), come previsto dal modello dinamico di Findlay (1978). Il modello sanciva, seguendo il filone della letteratura che sostiene la stretta dipendenza della crescita economica dallo stato tecnologico raggiunto, che gli IDE in entrata rappresentassero un un’importante fonte di ricchezza per il paese ospitante. Più nel dettaglio, gli investimenti diretti esteri contribuirebbero alla crescita economica del Vietnam mediante la capacità di accrescere il progresso tecnico del Paese, per effetto di esternalità positive e di conoscenza originate da pratiche e strategie diffuse dall’imprese straniere. Secondo l’approccio dinamico, dunque, il tasso di crescita dei paesi in via di sviluppo sarebbe strettamente dipendente dall’adozione e l’impiego di tecnologie in uso nei paesi avanzati, favorite dal moto degli investimenti diretti esteri in entrata. In tal senso, la ricerca presentata intende verificare, utilizzando un diverso percorso statistico, se la conclusione a cui è giunto Pegkas (2015), sposando a pieno il modello dinamico di Findlay (1978), trovi conferma anche in applicazione al contesto vietnamita: economicamente, politicamente e, anche, culturalmente lontano dalla condizione e attuale scenario dei paesi dell’Eurozona. In altre parole, il tentativo è quello di valutare se i risultati empirici positivi tra IDE e crescita economica trovino conferma anche in applicazione ad un singolo Paese e, per giunta, con caratteristichemolto differenti rispetto 35 degli stessi. I valori presentati sono stati tratti dalla banca dati della World Bank (World Bank, 2023), in particolare, nella sezione dedicata ai World Development Indicators. Il dataset è composto da 11 variabili, di cui una dipendente: il PIL vietnamita (GDP-current US$/10000). Per meglio comprendere l’analisi effettuata, è utile procedere a giustificare brevemente la scelta delle variabili indipendenti considerate. I. Investimenti diretti esteri, afflussi netti (dollari americani – valori attuali/10000) II. Commercio (% del PIL) III. Inflazione, prezzi al consumo (% annua) IV. Spesa nazionale lorda (% del PIL) V. Stabilità politica e assenza di violenza: stima VI. Crescita della popolazione (% annua) VII. Tasso di interesse reale (%) VIII. Turismo internazionale (numero di arrivi/10000) IX. Iscrizione scolastica superiore (% lorda) X. Forza lavoro totale (/10000) La scelta delle variabili indipendenti elencate è coerente con l’approccio tradizionale all’analisi della crescita economica di un paese. Queste variabili, infatti, rappresentano i principali fattori capaci, nella teoria, di influenzare significativamente la performance economica di uno Stato. Oltre agli investimenti diretti esteri, che rappresentano la principale variabile che la ricerca intendeindagare, il commercio internazionale (misurato come percentuale del PIL) suggerisce l’apertura economica e la capacità di integrarsi nei mercati internazionali per stimolare esportazioni e sviluppo. L’inflazione, poi, insieme al tasso di interesse reale costituisce un indicatore chiave della stabilità economica e delle condizioni finanziarie di un paese, in quanto capace di influenzare le scelte di investimento e le politiche di crescita dello stesso. Quest’ultima, difatti, può spesso condizionare la spesa nazionale, la quale riflette la quantità di risorse dedicate allo sviluppo. La stabilità politica e l’assenza di violenza sono, in aggiunta, essenziali alla creazione di un ambiente favorevole alla ricezione di investimenti. La crescita demografica, la dimensione della forza lavoro e la percentuale di popolazione altamente istruita sono fortemente legate alla disponibilità di risorse umane qualificate, con impatto 36 significativo sulle possibilità di innovazione e sviluppo del Paese. La variabile relativa al turismo internazionale, infine, misurata al netto del numero annuale di arrivi, è stata inclusa sulla base del suo potenziale di contribuire all’entrata di valuta estera nel Paese, contribuendo alla creazione di posti di lavoro e opportunità commerciali. Nello specifico, rispetto alle variabili citate sono stati considerati i dati disponibili dal 1986 al 2022. Il lasso temporale è stato scelto tenendo conto di diversi fattori. Come ampiamente descritto nei capitoli precedenti, il 1986 rappresenta un anno molto significativo per la storia economica vietnamita, coincidendo con l’inizio delle riforme economiche avviate dal Paese allo scopo di aprirlo a logiche di mercato. È, per questa ragione, interessante analizzare l’intero periodo successivo in modo da tenere presente l’impatto a lungo termine delle riforme. In secondo luogo, valutare un periodo di tempo così ampio consente di meglio comprendere i fattori che hanno guidato la crescita e l’effettivo ruolo degli IDE in quest’ultima; al contempo, questo tipo di intervallo di tempo permette di disporre di una serie di dati economici completi e attendibili, tali da condurre un’analisi approfondita (Boldeanu & Constantinescu, 2015). Nella “Tabella 1” troviamo riassunte le variabili incluse nell’analisi. Tabella 1 : Variabili: osservazioni, media, deviazione standard e valore min e max Nota: i valori per GDP, FDI, Tourism, Labor_force sono stati divisi per 10.000 Per ciascuna variabile è possibile osservare: 1) Obs (Osservazioni): si intende il numero totale di osservazioni presenti nei dati. Si noti che la variabile CountryName presenta un valore pari a 0 in quanto 37 costituisce una variabile categorica, si tratta dunque di un errore di lettura. L’unico paese considerato è il Vietnam. 2) Mean (Media): vale a dire il valore medio delle osservazioni, la semplice media aritmetica dei valori per ciascuna variabile. 3) Std. Dev. (Deviazione Standard): il valore rappresenta la misura della dispersione dei dati rispetto alla media. Di conseguenza, una deviazione standard più elevata esprime una maggiore variabilità nei dati. 4) Min (Minimo): il valore minimo nella distribuzione dei dati 5) Max (Massimo): il valore massimo nella distribuzione dei dati. 3.4 Correlazione ed analisi della regressione Come passo preliminare nell’analisi dei dati, fondamentale è il calcolo della correlazione tra le variabili. Quest’ultima, infatti, fornisce un’indicazione rispetto alla possibile relazione positiva/negativa tra le variabili e, dunque, quantifica la forza e la direzione della relazione tra queste. La “Tabella 2”, pertanto, manifesta la correlazione tra la variabile dipendente GDP e le variabili indipendenti. Tabella 2 : Correlazione tra GDP e variabili indipendenti I risultati della matrice di correlazione, infatti, permettono di rilevare alcune relazioni interessanti tra le variabili. Si ricordi che l’indice di correlazione può assumere un valore compreso tra -1 e 1. Quando questo è pari a -1 si tratta di una correlazione perfetta negativa (e, cioè, quando una variabile aumenta, l’altra diminuisce nella stessa proporzione), al contrario un valore pari ad 1 indica una correlazione perfetta e positiva 40 Dalla regressione in analisi osserviamo come il coefficiente FDI sia pari a 20.79. Tale valore rappresenta il mutamento previsto nel GDP per un’unità di cambiamento negli investimenti diretti esteri, al netto delle altre variabili. Il coefficiente positivo denota, dunque, che un aumento di 1 dollaro americano negli FDI produce un incremento di 20.79 dollari nel GDP vietnamita. Il p-value associato al coefficiente di FDI è pari a 0, per cui il coefficiente è statisticamente significativo. In sostanza, vi è forte evidenza statistica del fatto che FDI abbia un impatto positivo e significativo sul GDP. Allo stesso tempo, l’R- squared (R2) del modello è pari a 0.9466, il che rappresenta la proporzione di varianza totale nel GDP che può essere spiegata dalla variabile FDI. L’R2, nel contesto, suggerisce che il 94.66% della variazione nel GDP, può essere spiegata dai cambiamenti in FDI (senza considerare le altre variabili non in incluse nella regressione in analisi). La significatività del modello è, inoltre confermata, dal valore della statistica F del test di significatività globale del modello di regressione in analisi. Nel nostro caso, il valore di F è molto elevato (pari a 620.91), il che giustifica il modello complessivo come statisticamente significativo: la variabile FDI contribuisce a spiegare, in maniera significativa, la variabilità della variabile dipendente. In sostanza, sia il valore di F- statistic quanto la probabilità associata suggeriscono che il modello di regressione sia molto significativo, in cui l’aumento negli investimenti diretti esteri è associato ad un aumento significativo del PIL. Tuttavia, è importante considerare il fatto che il modello di regressione, così presentato, risulti essere troppo semplice in quanto non tiene conto delle altre variabili che potrebbero influenzare il GDP: per questa ragione, è importante prendere in considerazione un modello alternativo, in cui si valuti come cambi il risultato ottenuto in un modello di regressione che includa tutte le variabili del dataset. Nella “Tabella 4”, per questa ragione, viene proposta una regressionelineare multipla che includa GDP e tutte le variabili indipendenti. Tabella 4 : Regressione lineare multipla tra GDP e variabili indipendenti 41 Ciò che è importante rilevare, però, è che in questo secondo modello di regressione la relazione tra le variabili GDP e FDI continui ad essere positiva. Tuttavia, nella Tabella in esame, è possibile riconoscere delle differenze rilevanti rispetto alla precedente regressione, nella quale erano state incluse le due sole variabili. In questa regressione, più complessa rispetto alla precedente, l’effetto degli investimenti diretti esteri sul PIL vietnamita è, se pur limitatamente, inferiore. Il coefficiente per FDI, infatti, è notevolmente più basso rispetto al precedente, attestandosi attorno ad un valore pari a 4.7588, manifestando l’effetto stimato degli afflussi di investimenti diretti esteri sul GDP. Nella pratica, il valore suggerisce che un incremento di un’unità negli FDI sia associato ad aumento di 4.7588 unità nel PIL. In aggiunta, il p-value associato agli IDE è ancora significativo (con un valore pari a 0.008), essendo di molto inferiore rispetto ad un livello di significatività comune del 0.05, ma con impatto relativamente inferiore rispetto alla regressione precedente. In altre parole, tale effetto inferiore deve essere interpretato alla luce dell’inclusione di altre variabili indipendenti nel modello che, a loro volta, possono spiegare parte della variazione osservata nel GDP. Per queste ragioni, è bene valutare brevemente gli aspetti rilevanti delle altre variabili indipendenti. Nel modello di regressione, infatti, oltre agli investimenti diretti esteri, le variabili che risultano essere statisticamente significative (con p-value inferiore a 0.05) e, dunque, risultano essere influenti sulla crescita del GDP sono: National_exp (Spesa nazionale lorda), Labor_force (Forza lavoro totale), Pop_growth (Crescita della popolazione), Tourism (Turismo internazionale), Inflation (Inflazione, prezzi al consumo). Le prime tre presentano coefficienti positivi e un valore p basso, suggerendo che un incremento dei valori delle variabili sia associato ad aumento significativo del PIL vietnamita. L’incremento demografico, l’aumento della forza lavoro e la crescita del turismo internazionale appaiono, pertanto, avere un ruolo rilevante e vantaggioso per la crescita economica del Paese. Al contrario, la variabile “Inflazione” presenta un coefficiente negativo (-101212.9) ed un p-value che suggerisce una riduzione significativa del Prodotto Interno Lordo all’aumentare dell’inflazione. La relazione negativa tra inflazione e GDP dimostra che il Vietnam potrebbe beneficiare di politiche finalizzate alla riduzione dell’inflazione ed il mantenimento della stabilità dei prezzi. Guardando, infine, ai risultati complessivi della regressione è possibile riconfermare la validità e la significatività del modello presentato. Anche in questo caso l’F-statistic è molto elevato (887.16) confermando il fatto che almeno una delle variabili indipendenti considerate ha un impatto significativo sul GDP. Al contempo, il valore di R2 (che misura 42 la percentuale di variazione nella variabile dipendente che può essere spiegata dalle variabili incluse nel modello) è molto elevato (0.99992), suggerendo che il modello spieghi circa il 99.92% della variazione in GDP. In altre parole, è possibile concludere che il modello globale presentato sia, senza dubbio, statisticamente significativo. 3.5 Analisi del modello VAR e test di causalità di Granger In questa fase, sono diversi i motivi che contribuiscono a rendere rilevanteun’analisi VAR con ritardo temporale. In particolare, l’analisi VAR con ritardo temporale può contribuire ad alleviare gli effetti congiunturali o a breve termine che contribuiscono ad influire sulla relazione tra le due variabili. Inoltre, prendendo in considerazione un periodo superiore ad 1 anno, l’analisi VAR permette di separare gli effetti a lungo termine da quelli a breve termine, consentendo una valutazione più completa e corretta della relazione tra le due variabili. Al contempo, è essenziale valutare se il ritardo temporale considerato converte la relazione tra IDE e PIL in negativa o statisticamente non significativa. In sostanza, l’obiettivo di questo nuovo sviluppo della ricerca è comprendere se gli investimenti diretti esteri abbiano effetti a lungo termine sull’economia e la crescita vietnamita, cogliendo la possibilità che dinamiche e ritardi temporali influenzino la capacità della variabile FDI di contribuire alla crescita economica del Paese. Dopo aver impostato la variabile Time, corrispondente agli anni dal 1986 al 2022, come variabile temporale del set di dati a disposizione, è stato selezione l’ordine del ritardo appropriato per un modello VAR (Vector Autoregression) tra le variabili FDI e GDP. Il numero di ritardi (lag) è fondamentale in quanto determina la capacità del modello di catturare le dinamiche temporali tra le variabili. Prendendo in analisi diversi criteri informativi, tra i quali AIC (Akaike Information Criterion), HQIC (Hannan-Quinn Information Criterion) e SBIC (Schwarz Bayesian Information Criterion) per varie specifiche di ritardo (da 0 a 4). Si tratta di tre modelli utilizzati in statistica allo scopo di valutare la validità e la bontà di adattamento dei modelli statistici. Ciascun criterio utilizza approcci lievemente differenti nel tentativo di bilanciare la complessità del modello con la sua capacità di spiegare i dati. Ciò che è utile sapere, tuttavia, al fine della nostra analisi è che il valore più basso di AIC/HQIC/SBIC suggerisce il modello migliore in termini di complessità e validità del modello (Rotondi et al., 2021). 45 molto basso, pari a 0. Il modello VAR è, dunque, valido per analizzare le variabili e le loro relazioni nel contesto di studio. Le informazioni preliminari confermano, quindi, la validità statistica del modello e rendono, ora, necessaria l’analisi dei suoi risultati. I risultati mostrano come entrambe le variabili abbiano una forte relazione tra di loro. Nello specifico, la parte superiore della tabella in esame permette di compiere un ulteriore approfondimento della ricerca rispetto alla relazione che intercorre tra la variabile FDI (che nel contesto diventa variabile dipendente) e le variabili FDI e GDP con ritardo di 2 anni (FDI L2 – GDP L2). Nella parte inferiore, al contrario, si torna al centro della nostra analisi e la variabile dipendente torna ad essere il PIL, osservando la relazione tra quest’ultimo e le variabili ritardate. Nel primo caso, dunque, si intende verificare come il valore attuale di investimenti diretti esteri sia influenzato dal livello degli stessi investimenti e del Prodotto Interno Lordo di due anni fa. Rispetto alla relazione tra FDI L2 e FDI, si osserva come il coefficiente relativo a FDI L2 su FDI sia positivo (0.500), mostrando come una variazione positiva nei livelli di investimenti diretti esteri avvenuta due anni fa abbia un effetto positivo e statisticamente significativo (dato un valore p inferiore ad un livello di confidenza dello 0.05). Stesso ragionamento vale rispetto alla relazione tra i valori di PIL di due anni fa (GDP L2) rispetto all’attuale FDI: il coefficiente associato a GDP L2 è pari a 0.0277 mostrando, come un aumento di unità nel PIL vietnamita di due anni fa produca incremento limitato, se pur statisticamente significativo, pari a 0.02 unità negli investimenti diretti esteri attuali. Ciò che risulta più utile al fine della ricerca in oggetto, però, è comprendere se la relazione positiva tra GDP e FDI sia confermata ancheconsiderando il ritardo temporale e, dunque, definire la capacità degli investimenti esteri passati di influire sul PIL vietnamita futuro. Nella parte inferiore della “Tabella 6”, infatti, è possibile osservare come il modello VAR confermi tale ipotesi. La variabile FDI L2 su GDP mostra un coefficiente pari a 6.7828, mostrando l’impatto positivo esercitato dagli investimenti diretti esteri con ritardo di 2 anni sul PIL attuale. Il coefficiente, infatti, è statisticamente significativo con un valore z di 4.27 ed un p-value di 0, confermando l’effetto positivo degli investimenti passati sul 46 PIL attuale del Vietnam. Interessante osservare, poi, che tale effetto positivo sia confermato anche dalla relazione tra GDP con due anni di ritardo sul valore attuale. Dopo aver eseguito ed analizzato il modello VAR, il quale si prefigge di catturare le relazioni tra le variabili incluse nel modello, è fondamentale eseguire il cosiddetto “test di Granger”. Il modello VAR, infatti, permette di raccogliere informazioni rispetto alla relazione tra le variabili ma non consente di conoscere la direzione della causalità. Il test di Granger, dunque, consente di determinare se è una variabile temporale causa l’altra e, di conseguenza, verificare la nostra ipotesi inziale di causalità secondo la quale gli investimenti diretti esteri causano una crescita del PIL vietnamita. Si ricordi che il test di causalità di Granger costituisce uno strumento statistico, che riceve il nome dal noto economista Clive Granger, volto a valutare la presenza di una relazione di causalità tra variabili inserite in un contesto di serie storiche mediante l’applicazione del cosiddetto “test Wald” (Rotondi et al., 2021). Nel caso del test di Granger l’ipotesi nulla delle due equazioni presentate sono le seguenti: 1) I valori ritardati di GDP non causano FDI; 2) I valori ritardati di FDI non causano GDP. Nella “Tabella 7” è possibile osservare i risultati del test applicato al modello VAR appena descritto. Tabella 7 : Test di causalità di Granger No ta: La variabile ALL non è significativa nel contesto, il modello VAR presenta solo 2 variabili (FDI e GDP con ritardo di 2 anni). La prima riga della “Tabella 7”, quindi, mostra come il GDP con un ritardo di 2 anni causi FDI con un valore p significativamente inferiore a 0.05. Al contempo, la parte inferiore della Tabella suggerisce come gli investimenti diretti esteri causino GDP con un valore p pari a 0.000, permettendo di respingere l’ipotesi nulla secondo la quale i valori ritardati di FDI non causino GDP. In conclusione, possiamo parlare di causalità bidirezionale di Granger. 47 I risultati del test di Granger sanciscono, dunque, l’esistenza di una relazione di causalità tra FDI e GDP. Questo dimostra come le variazioni passate in entrambe le variabili siano in grado di influenzare, in modo positivo e significativo, i valori di investimenti diretti esteri e PIL futuri. Dai risultati raggiunti è, dunque, possibile affermare che l’andamento degli investimenti diretti esteri causi la minore o maggiore crescita economica del Vietnam. 3.6 Analisi dei risultati In questo lavoro, dopo aver definito e descritto gli investimenti diretti esteri ed aver passato in rassegna la letteratura in materia, si è inteso esaminare il contesto vietnamita al fine di valutare il rapporto tra gli stessi e la crescita economica del Paese. La ricerca svolta ha, infatti, permesso di giungere ad alcuni risultati significativi rispetto a tale rapporto. Nello specifico, l’analisi della correlazione e della regressione fornisce risultati interessanti e significativi per meglio comprendere la relazione tra investimenti diretti esteri e crescita del PIL in Vietnam, allo scopo di confermare o confutare l’ipotesi secondo la quali gli investimenti abbiano contribuito, in modo rilevante, all’economia vietnamita. La forte correlazione tra FDI e PIL, manifestata da un coefficiente di correlazione di 0.9313, mostra una relazione positiva e significativa tra le due variabili. Al contempo, la regressione lineare conferma tale relazione, mostrando un coefficiente di FDI pari a 20.79, secondo il quale un aumento di un’unita (un dollaro americano) negli investimenti diretti esteri in entrata è associato ad un incremento di 20.79 dollari nel PIL del Vietnam. La significatività statistica di questo coefficiente, infatti, è dimostrata da un p-value di 0 che sostiene la validità della relazione. L’analisi è stata poi approfondita mediante una regressione lineare multipla, la quale include numerose altre variabili indipendenti al fine di definire un quadro più completo capace di meglio spiegare le dinamiche economiche in analisi. Tale approccio ha confermato, in presenza di altre variabili, l’impatto positivo se pur più moderato degli FDI sul PIL. Il coefficiente per FDI, in questo caso, è notevolmente inferiore rispetto al precedente e si attesta attorno ad un valore pari a 4.75, con un p-value significativo pari a 0.0008. Al contempo, l’analisi del modello VAR con un ritardo di due anni offre un ulteriore approfondimento della relazione tra investimenti diretti esteri e PIL. L’effetto positivo degli IDE sul PIL è confermato anche in condizioni di ritardo temporale, suggerendo come gli investimenti diretti esteri influenzino positivamente la crescita economica. In 50 variabili potrebbe essere bidirezionale, suggerendo che non solo gli IDE possano influenzare la crescita economica di un paese, ma la crescita economica dello stesso potrebbe contribuire a creare un ambiente attraente per gli investimenti esteri. La possibilità di reverse causality potrebbe, infatti, rendere complesso stabilire una causa unica e diretta e condurre a conclusioni errate sull’effetto causale tra IDE e crescita economica. Da considerare, poi, il fatto che la ricerca presenti alcuni limiti derivanti dalla metodologia impiegata. Le analisi di regressione, infatti, sono sicuramente strumenti efficaci ma che presentano criticità e insufficienze: tali analisi, infatti, permettono valutare le variabili rilevanti ma non possono completamente cogliere le complessità del mondo reale. Potrebbero, dunque, esserci fattori non misurati o non inclusi nel modello di regressione che tuttavia influenzano la relazione tra le variabili. La realtà economica, infatti, può essere fortemente articolata e complessa e modelli statistici semplificati possono non essere in grado di riflettere pienamente tale complessità. Per valutare la robustezza e validità dei risultati si potrebbero impiegare dei metodi alternativi od eseguire dei test di sensibilità, modificando il modello ed escludendo o includendo variabili e applicando tecniche statistiche alternative per verificare la stabilità dei risultati esposti. Riassumendo, pur configurandosi come un interessante punto di partenza, la ricerca potrebbe essere considerata non completamente esaustiva; nonostante questa abbia fornito un’analisi significativa sull’impatto positivo degli IDE sull’economia dei paesi in via di sviluppo potrebbe essere utile un ulteriore approfondimento al fine di dettagliare meglio la relazione tra le variabili. Per questa ragione, la ricerca oltre a poter essere ampliata attraverso l’inclusione di nuove variabili e contesti o l’analisi di settori specifici e regioni geografiche, si presta perfettamente ad ulteriori sviluppi che ne confermino i risultati ed esaminino ulteriori dinamiche relative ai meccanismi attraverso i quali gli investimenti impattano sull’economia ospitante. Un primo interessante sviluppo potrebbe essere il confronto dell’esperienza del Vietnam con paesi in via di sviluppo simili per storia economica e socio-politica, allo scopo di identificare aspetti in comune e definire i fattori e le strategie che possono influenzare l’impatto degli IDE sulla crescita dei diversi paesi. In questo modo, sarebbe possibile esplorare come le differenze economiche, politiche, istituzionali e culturali influenzino l’impatto e l’efficacia degli IDE nella promozione dell’economia di un paese. 51 Ulteriore possibilità è quella di allargare l’analisi dal punto di vista settoriale e regionale. Nello specifico, interessante sarebbe valutare l’impatto degli IDE sui diversi settori dell’economia ed identificare eventuali disparità regionali nell’effetto degli IDE sulla crescita economica. In questo modo, sarebbe anche possibile valutare il modo in cui le politiche regionali influenzano la capacità degli investimenti di agire in favore delle diverse aree del Vietnam e comprendere se e in che misura le politiche locali possano favorire l’impatto degli IDE. Al contempo, particolarmente utile sarebbe l’esame del contributo degli IDE al coinvolgimento del Vietnam nelle catene del valore globali (GVC). Questo approfondimento potrebbe essere realizzato mediante la valutazione della partecipazione alle produzioni globali e l’impatto sull’incremento del valore aggiunto nazionale. Dall’altro lato, di rilievo sarebbe l’analisi dell’impatto degli IDE sul ruolo delle PMI, le quali sono spesso al centro dello sviluppo dell’economia locale. Indagare le modalità attraverso le quali gli IDE possono influenzare le imprese potrebbe permettere di meglio comprendere quanto gli investimenti stranieri impattino sull’occupazione ed il trasferimento tecnologico associato agli IDE contribuisca ad influenzare la crescita e la competizione tra imprese straniere e PMI locali. In sintesi, la ricerca presentata, se pur solida e significativa nelle proprie conclusioni, si presta ottimamente a conoscere ulteriori approfondimenti e sviluppi allo scopo di arricchire ulteriormente la comprensione del fenomeno degli investimenti diretti esteri e del loro rapporto con l’economia dei paesi in corso di sviluppo. Primo passo potrebbe, dunque, essere l’inclusione di ulteriori variabili nel modello, quali gli investimenti domestici e le condizioni umanitarie, allo scopo di renderlo più completo e conforme alla reale complessità dell’economia di un paese. In questo modo, sarebbe anche possibile incrementare la dimensione del campione studiato, arricchendolo ulteriormente mediante l'inserimento dei dati relativi a diversi paesi, simili per struttura e storia. Infine, l’invito futuro è quello di esplorare ed applicare nuovi approcci metodologici allo scopo di validare il rapporto di causalità tra IDE e crescita economica e allo stesso tempo indagare l’impatto degli investimenti esteri sul progresso dell’occupazione, la stabilità politica, le relazioni commerciali ed altri indicatori chiave dei paesi ospitanti tali investimenti. In conclusione, questo lavoro mediante l’approfondimento della tematica degli investimenti diretti esteri ed il loro studio in relazione al contesto vietnamita rappresenta un solido punto di partenza rispetto alla valutazione dell’effetto degli stessi, confermando 52 l’importanza del loro studio e la positività del loro effetto sull’economia dei paesi in via di sviluppo. Il lavoro, inoltre, ha permesso di dare ulteriore conferma rispetto al fascino di cui sempre più godono i paesi sud-orientali come modelli di crescita e argomenti di studio, consolidando l’importanza di indagarne le strutture e le strategie di progresso da essi adotta e contribuendo, in questo modo, a migliorare la comprensione dei meccanismi di sviluppo economico in contesti diversificati. 4.2 Discussione finale La presente ricerca ha lo scopo di ripercorrere il ruolo degli investimenti diretti esteri dal punto di vista dei paesi che li ospitano, al fine di valutare quanto questi contribuiscano alla crescita economica degli stessi. Il lavoro fornisce sufficienti prove a conferma dell’ipotesi secondo la quale gli investimenti diretti esteri abbiano un impatto positivo sulla crescita economica del Vietnam. Importante ricordare, però, come tale impatto potrebbe essere notevolmente moderato dalla presenza di ulteriori variabili non incluse nel modello in analisi. Ciò nonostante, il tentativo di diversificare il modello proponendo l’analisi di una regressione multipla ed un modello VAR con ritardo temporale ha contribuito a raggiungere una comprensione più completa delle dinamiche alla base della ricerca in questione. Nello specifico, la ricerca pare perfettamente conformarsi alla teoria economicadi Ronald Findlay (1978) a spiegazione della relazione tra IDE e crescita economica di un paese. In particolare, il modello dinamico di Findlay risulta confermato dalla ricerca nella misura in cui sancisce la capacità degli IDE di generare esternalità positive e, dunque, produrre benefici per l’economia del paese ospitante. Gli IDE potrebbero, infatti, facilitare l’adozione di tecnologie avanzate da parte dei paesi ospitanti, f avorendone il progresso. Il trasferimento di capacità e tecnologie ad operadi imprese straniere potrebbe influenzare positivamente la probabilità di accrescere la produttività e l’efficienza logistico - strutturale delle imprese domestiche. In questo senso, la ricerca sposa l’idea di Findlay secondo la quale l’efficacia degli IDE di sostenere l’economia del paese ospitante dipenda dallo stato tecnologico del paese stesso. Secondo questa logica, nei paesi in via di sviluppo, nei quali tendenzialmente la conoscenza tecnologica è spesso scarsa o arretrata, gli IDE potrebbero, come sostenuto dall’analisi statistica, aver un impatto positivo ancor più significativo. 55 Bibliografia Akinlo, A. E. (2004). "Foreign direct investment and growth in Nigeria: an empirical investigation". Journal of Policy Modeling, 26, 627–639. Alpuerto, A. 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