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Tesina Collateral Beauty, Tesine di Maturità di Italiano

Tesina di maturità classica sul film Collateral Beauty con Will Smith e Copertina

Tipologia: Tesine di Maturità

2018/2019

Caricato il 09/01/2019

Gigi-Battaglieri
Gigi-Battaglieri 🇮🇹

4.5

(4)

4 documenti

1 / 12

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Scarica Tesina Collateral Beauty e più Tesine di Maturità in PDF di Italiano solo su Docsity! AMORE, TEMPO E MORTE “Il dolore è il coltello che ci. a Di. IPS svuota per conte. l'orrone degli anni. nere più gioia: cheg t'usurpo” -{halik Gibran 2 g. e de La sofferenza nelle Il dolore per la morte ne, e filosofie buddhis del figlio *A sadder and wiser man, He “La mia arte è un tentativo di 8pie- gare a me stesso la mia.wvita” Edvard Munch L Colevidi Ur o dell i} a ssage of, LU Bene nt Mari Ì i -L done se SA \ La sofferenza I ; necessaria per |. 4 | la felicità 1 d ( E È > | | ros «morrow É ) Mmorn.* co 2 Il tema della sofferenza è, quindi, al centro della trama del film ed è anche un elemento centrale di quella che è la filosofia Buddhista. Lo dottrina Buddhista inizia a prendere corpo nel momento stesso in cui il giovane principe Siddharta, prima ancora di divenire il “buddha” – un risvegliato, illuminato – si confronta con il dolore, si interroga sul suo significato, sulle cause che lo originano, e sul modo per ottenerne la cessazione, conseguendo lo stato della “felicità ultima”. Aveva 29 anni quando decise di lasciare tutto e di ritirarsi in luoghi solitari per meditare. Si addentrò nella foresta, si rase il capo, indossò l'abito giallo di un eremita e per sei lunghi anni cercò una soluzione. Interrogò famosi sapienti, si diede all'ascetismo più rigido ma non riuscì a trovare la Risposta. Una notte, infine, si sedette sotto un albero e promise che non si sarebbe mosso da lì finché non avesse trovato la Risposta. Sotto quell'albero combatté l'ultima battaglia, quella contro le inclinazioni e i desideri del cuore umano, la battaglia contro l'amore per il mondo, l'illusione, l'aspirazione ad esistere e a gioire, contro il desiderio dell'onore, della felicità, della vita familiare, del benessere, del potere. Nasce così la Dhamma, la dottrina cardine del Buddhismo, che verrà conosciuta come le Quattro Nobili Verità. Esse sono: 1) Verità del dolore, il dolore esiste; 2) Verità dell’origine del dolore, il dolore ha una causa; 3) Verità della cessazione del dolore, il dolore può essere superato; 4) Verità della via che porta alla cessazione del dolore, il modo per eliminare il dolore è la pratica pratica dell'Ottuplice Sentiero 1) Il dolore o la sofferenza (dukkha, etimologicamente: "difficile da sopportare", da du = difficile e kha = sopportare) è un fatto universale. "E questa, o monaci, è la santa verità circa il dolore: la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore; l'unione con quel che dispiace è dolore; la separazione da ciò che piace è dolore;” e qui si innesta il personaggio cinematografico di Howard, che soffre per la perdita della figlia, “non ottenere ciò che si desidera è dolore; in una parola, dolore sono i cinque elementi dell'esistenza individuale". È, come disse il Buddha in occasione del suo primo discorso, la condizione di sofferenza che accomuna tutti gli esseri senzienti, animali, uomini, dèi invidiosi, divinità e inerente a tutti gli stati di dell'esistenza ciclica. Il "dolore" affligge l'uomo a motivo dell'impermanenza sia propria che di tutto ciò che sperimenta e conosce in vita, per effetto della sua nascita immersa nel saṃsāra (la ciclicità della vita) e per l'adesione alla credenza in un sé imperituro. 2)La causa del dolore è il desiderio ovvero brama ovvero sete (tanha). "Questa, o monaci, è la santa verità circa l'origine del dolore: essa è quella sete che è causa di rinascita, che è congiunta con la gioia e col desiderio, che trova godimento ora qui ora là; sete di piacere, sete di esistenza, sete di estinzione". 3) Come può cessare il dolore? "Questa, o monaci, è la santa verità circa la soppressione del dolore: è la soppressione di questa sete, annientando completamente il desiderio, è il bandirla, il reprimerla, il liberarsi da essa, il distaccarsi". Per sperimentare l'emancipazione dal dolore, occorre lasciare andare tanha, l'attaccamento alle cose e alle persone, alla scala di valori ingannevoli per cui ciò che è provvisorio è maggiormente desiderabile. Questo stato di cessazione viene denominato nirodha. 5 4) La via che conduce alla soppressione del dolore è l'Ottuplice Sentiero. “Questa, o monaci, è la santa verità circa il sentiero che conduce alla soppressione del dolore: è l'augusto ottuplice sentiero, e cioè: retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta vita, retto sforzo, retto ricordo, retta concentrazione". L’Ottuplice Sentiero porta a prendere coscienza di sé, del proprio intimo, porta alla sapienza e fuga l'ignoranza; il suo frutto consiste nella serenità, nella conoscenza e nella illuminazione, che è il Nirvana, lo stato di pace perfetta e di perfetta felicità. Attraverso l’Ottuplice Sentiero, e quindi la consapevolezza di sé, della proprio coscienza, si è capaci di attuare un processo che in tempi più recenti è stato reso dal mistico e guru indiano Sadhguru con il termine “Inner Engineering” (ingegneria interiore). Secondo Sadhguru, infatti, se qualcuno o qualcosa è causa di felicità o infelicità, ciò significa che ciò che accada all’interno di se stessi è determinato da un aspetto esteriore di se, e questa viene considerata la peggiore forma di schiavitù. Il guru pone invece l’obbiettivo di creare una “chimica interiore” dove essere felici non implica l’essere legati o un fattore esterno a se. E proprio in questo modo, Howard si rende conto che è necessario uscire dalla propria mente per fare vera esperienza della vita. Howard capisce, quindi, che deve transitare dal cercare di risolvere tutte le sue problematiche con la sua mente all’accettazione che per arrivare ad una sua purificazione, ad uno stato di felicità è necessaria una certa quota di “sangue da versare”, necessario per attraversare la morte di sua figlia ed essere in grado, alla fine, di cogliere la bellezza collaterale. La morte della figlia di Howard è, pertanto, ciò che muove la trama del film, ciò da cui scaturiscono tutte le azioni dei personaggi. E cosi come Howard decide di scrivere alle tre astrazioni che per lui collegano la vita di tutti gli uomini, un grande letterato italiano farà lo stesso nel momento della morte del figlio. È il 1939 quando al poeta Giuseppe Ungaretti muore il figlio Antonietto, fatto che lo spingerà alla imprevista composizione de “Il Dolore”. Scriverà Ungaretti: "Mi si è fatto osservare che che in un modo all'estremo brutale, perdendo un bimbo che aveva nove anni, devo sapere che la morte è la morte. Fu la cosa più tremenda della mia vita. So che cosa significhi la morte, lo sapevo anche prima; ma allora, quando mi è stata strappata la parte migliore di me, la esperimento in me, da quel momento, la morte. Il Dolore è il libro che di più amo, il libro che ho scritto negli anni orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi mi parrebbe d'essere impudico. Quel dolore non finirà più di straziarmi". Il poeta distoglie ora l'attenzione dalla ricerca della dimensione metafisica e si cala nuovamente nella tragica realtà della vita di tutti i giorni, angosciato dalla perdita del fratello e del figlio. Questi eventi lo sconvolgono. Perso il ruolo di poeta “ufficiale” all’interno delle istituzioni, il poeta si cala nel dramma – quello suo personale per la perdita del figlio – e riversa nel suo terzo libro di poesie tutto il dolore che percepisce dentro e intorno a sé. Non gli riesce difficile interpretare la tragedia della vita, dato che fa ormai parte della sua indole: «Le mie poesie sono ciò che saranno tutte le mie poesie che verranno dopo, cioè poesie che hanno un fondamento in uno stato psicologico strettamente dipendente dalla mia biografia; non conosco sognare poetico che non sia fondato sulla mia esperienza diretta» Altro punto di contatto con il protagonista del film, Howard, è il destinatario di una delle sezioni scritte da Ungaretti, “Il tempo è muto”, che è chiaramente il tempo. Entrambi, Howard e Ungaretti, decidono infatti di riversare il loro dolore su questa astrazione, ma se Howard gli recrimina tutti i mali che attua nei confronti dell’umanità e gli attribuisce una forza distruttiva, contraria a quella risanatrice che gli attribuisce invece la cultura popolare, i componimenti di Ungaretti sono più 6 incentrati, piuttosto che su un attacco nei confronti del tempo, sul motivo dello stato d’animo dovuto all’assenza e sull’aggrapparsi ai ricordi. Il tempo è muto fra canneti immoti… Lungi d’approdi errava una canoa… Stremato, inerte il rematore… I cieli Già decaduti a baratri di fumi… Proteso invano all’orlo dei ricordi, cadere forse fu mercé … Non seppe Ch’è la stessa illusione mondo e mente, Che nel mistero delle proprie onde Ogni terrena voce fa naufragio. È in questi momenti, nei quali signoreggia la domanda “Quanto tempo ha la mia vita? Come misurarlo?”, che Ungaretti si rende conto che il mistero della durata della propria vita e di quella dell’universo sono connessi e, capisce che questa domanda è irresolubile, persino il Tempo non sa trovare una risposta ad una domanda che riguarda lui stesso, davanti a questa domanda anche il Tempo è muto. Ed ecco che sorge un preciso stato d’animo, stremante, con il quale difficilmente si riesce a convivere: la disperazione della vita nel presente. Innanzi all’inconoscibile tempo, l’essere umano si sente come un rematore stanco che, vagabondando tra i flutti della vita a bordo della propria canoa e senza porti sicuri né mete, si ritrova improvvisamente all’interno di uno smisurato e immobile canneto, nel quale il vento è assente. Qui, egli dispera della risoluzione dell’enigma ma volge lo sguardo verso il cielo, patria di sicurezze divine, ma gli è impossibile scorgerlo dall’interno del canneto. E allora in quest’angoscia senza soluzione, in questo stato di disperazione, l’essere umano scorge i ricordi, si affaccia su di essi e invano tenta di trovare risposta al proprio enigma e una consolazione al proprio dolore. Ma purtroppo i ricordi non servono a nulla, sono soltanto una grazia, un surplus inutile ai fini della scioglimento del mistero. In questi tormentosi istanti, è quindi inutile districarsi all’interno di tali interrogativi alla ricerca di una soluzione. Le stesse domande, secondo Ungaretti, non sono altro che un’illusione, in quanto ogni interpretazione, ogni tentativo di varcare l’impenetrabilità del segreto della propria vita, non può che fallire. Ungaretti diventa quindi, con “Il tempo è muto”, un’immagine speculare di Howard: entrambi accomunati dall’amore per il figlio o la figlia, entrambi patiscono l’assenza di esso a causa della morte ed entrambi vivono un tempo solitario e triste di riflessione. Ecco quindi che si sono ripresentate le tre astrazioni di Amore, Tempo e Morte. Nell’ottica del film il dolore, la sofferenza, i mali, tutto ciò diventa condizione necessaria per arrivare alla felicità, perché è proprio nelle situazioni difficili, in cui ci si ritrova davanti a sofferenze che sembrano insuperabili, che si è capaci di cogliere la Bellezza Collaterale. Il concetto di sofferenza come parte integrante del cammino per la felicità non è poi troppo lontano dalla visione 7 - Angoscia (con i dipinti Angoscia, Sera sul viale Karl Johan, Edera rossa, Golgota, L’urlo); - Morte (con i dipinti Il letto di morte, La morte nella stanza della malata, Odore di morte, Metabolismo. La vita e la morte, La madre morta e la bambina). Interessante è l’ultima sezione del “Fregio della vita, che comprende essenzialmente le opere ispirate al tema della morte, tragicamente ricorrente nella famiglia Munch e che segnò profondamente lo stesso. In "Morte nella stanza della malata" del 1893, come nella "Madre morta e la bambina" la morte è vista come un'assenza, una privazione che accentua ancor di più l'incomunicabilità tra chi resta, visione che possiamo riscontrare anche negli atteggiamenti di Howard. E il collegamento diventa ancora più rimarchevole quando si viene a sapere che avvenimento che ebbe molte ripercussioni nella vita di Munch fu proprio la morte della sorella, paragonabile quindi alla morte della figlia per Howard. Con Munch, si parla quindi di autentica rivelazione e di una pittura assolutamente nuova. In quest'ottica, il valore della ricerca di Munch, di per sè straordinaria per originalità e intensità poetica, risulta ulteriormente accresciuto per il suo determinante contributo al definitivo sbocciare di quella diffusa sensibilità espressionista, profondamente connaturata all'animo umano, che rappresenta il filone più autentico e importante dell'arte europea del XX secolo. The end of the movie leaves us with a message: to accept suffering even though it may seem absurd. As it does in the plot, suffering can lead to happiness, the same way that going through his great pain makes Howard capable of seeing and perceiving the fateful Collateral Beauty, that, in the end, represents real joy. As the daughter’s death represents, for Howard, a necessary pain to suffer, as it aids the protagonist in the search of Collateral Beauty, therefore joy, there’s a more ancient example of joyfulness lying beneath pain and sorrow and it is dormant before our eyes in “The Rime of the Ancient Mariner”, by Samuel Taylor Coleridge. The poem opens with an old man, the Mariner, approaching a guest who is about to enter a wedding and grabbing ahold of him and trying to tell him a story. By the time he is able to free himself and find the friends he had been with, the guest is enchanted by the old man’s eyes and listens to his tale. The story begins on a ship that due to a storm is driven to the waters of Antarctica. It is stuck there until an albatross arrives and a passage through the ice appears. The 10 albatross had been seen as a sign of good luck but for some reason the mariner kills it with a crossbow and it becomes a curse upon the ship.  Bad fortune befalls the ship as its journey continues.  Winds die down so it can no longer progress. The crew lacks water to the point where their thirst prevents them from speaking.  The sailors’ sleeping hours are haunted by visions of the dead albatross, which they hang around the mariner’s neck. By the third part of the poem the presence of the supernatural becomes stronger.  The crew members are now forced to drink their own blood in order to be able to speak when all of a sudden a ship appears, helmed by two women who are Death and Life in Death and who gamble for the soul of the mariner.  The growing surreal nature of the mariner’s story could have implications about his sanity or could indicate that due to dehydration he may have been hallucinating during the period he is recounting putting the accuracy of his words in doubt.  The arrival of many mythical water-snakes somehow has the mariner feeling love and the albatross drops from his neck. The mariner now finds that he is able to pray and although it is never clear why he killed the albatross, the curse is broken via his discovery of love. Water and wind return and things appear to be getting better.  The narrator hears voices telling that the mariner needs to perform penance.  The mariner goes into a sort of trance and the ship moves at a tremendous speed. Following this segment the men who were dead stand up and start getting to their usual work. When the mariner arrives home he’s safely in port, his suffering may have ended.  Just as Sisyphus comes to terms with his absurd predicament in the underworld and still realizes that the “point is to live”, the Ancient Mariner accepts his absurd fate of ceaselessly wandering the earth in his act of blessing the water-snakes. The undeniably redemptive feature of the blessing-act marks the Mariner ́s awakening to a new outlook on life. By accepting the absurd, he is redeemed from the desolation of “the rotting sea” (240). At the moment of blessing the water- snakes the Mariner creatively finds beauty even in slimy serpents that in our Christian culture would normally be associated with wickedness. But in the absurd freedom that is the Mariner ́s, he is free to see beauty in the very symbol of Christian evilness, and an astounding beauty is what he sees. But the Mariner ́s subsequent feeling of lightness of being, in which he finds he can pray and the Albatross falls off his neck and plummets “Like lead into the sea” (291), doesn ́t last forever. Just like Sisyphus has to return to his rock, the Mariner has to return to the reality of his everlasting curse. But the Mariner now accepts his fate, for despite all its misery there is also joy. In his acceptance of the absurd, the Ancient Mariner realizes not only that “the point is to live”, but to live it happily, embracing all the good that life has to offer, like friendship, brotherhood and love! It is from this perspective that his final lesson of love has to be interpreted. The complexity of the Mariner ́s concluding moral originates in its outright banality. It was certainly in reaction to the triviality of the moral that Mrs. Barbauld criticized The Rime for its want of one. Coleridge ́s answer to Mrs. Barbauld is recorded in the following oft cited Table Talk commentary: “Mrs. Barbauld once told me that she admired the Ancient Mariner very much, but that there were two faults in it,—it was improbable, and had no moral. As for the probability, I owned that that might admit some question; but as to the want of a moral, I told her that in my own judgment the poem had too much; and that the only, or chief fault, if I might say so, was the obtrusion of the moral sentiment so openly on the reader as a principle or cause of action in a work of such pure imagination”. What Coleridge seems to be saying is that the moral is not supposed to be taken as a moral as such. Because of its banality the reader accompanies Mrs. Barbauld in experiencing the poem as lacking a moral. Yet, the lesson of love is there in clear English, baffling readers and resisting interpretation. There is a duality to the moral that fulfils the conditions of being a paradox. While it simultaneously nullifies itself by its insipid simplicity, it is the zenith of the Ancient Mariner ́ s wisdom that he has accumulated during his wanderings. 11 As for its banality the moral is genuinely absurd. It is ludicrous, pointless and out of place in relation to the Mariner ́s tale. This is why the Wedding-Guest rises a sadder and wiser man the “morrow morn”. The Wedding-Guest, after having listened to the Mariner ́ s tale, is not only initiated into an absurd world; with the daft moral to conclude the tale he truly internalises the futility of life, religion, and the world as he has known it. It is, however, unfortunate for the Wedding-Guest that he doesn ́t realise the true import of the Mariner ́s moral. Within the frame of his curse, the Ancient Mariner succeeds in carving out a way of life that has meaning for him. Of course, life could treat him better, but that ́s beside the point, as “the point is to live” and make good of whatever that we have. All in all the message that Coleridge conveys in “The Rime” is suffering and how it can change for the good. After his crew dies and his boat is pretty much stranded in one spot in the ocean, the Mariner starts to question why he wasn’t allowed to die ( just like Howard does in the movie, asking Death to take himself instead of taking away from him his precious little daughter, asking to sacrifice himself for the love of a daughter ) The Mariner is thirsty and he has spent his days being haunted at night and forced to stay awake. But suddenly as he sees those vicious sea animals and blesses the creatures, somehow, the curse is lifted. The suffering is over. This theme of suffering helps the reader realise that all of nature’s creations are worth being loved and respected. The entire poem, specially the middle section concerning the drought, contains enough pain to last several lifetimes, all caused by the blasphemous act of killing the albatross, but only the killing of the Albatros would have put the Mariner in this situation, having to redeem himself and to perpetuate the message of love he would be destined to carry. Therefore sorrow, pain, suffering all come together to allow the mariner the possibility of a happy ending, joy. Although almost two hundred years have passed since Coleridge completed his final version of The Rime of the Ancient Mariner, the poem still seems relevant today. In his character of the Wedding-Guest, who, in the end, is finally able to understand the message of his mesmerising nomadic storyteller, he not only prophesies an existential condition of the absurd that wasn’t diagnosed until the mid twentieth century, he also foretells the widespread flight from the ecclesiastical sphere in modern Western culture. 12
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