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Tesina (da stampare), Prove d'esame di Matematica

Tesina incentrata sul personaggio di Ungaretti

Tipologia: Prove d'esame

2015/2016

Caricato il 08/08/2016

pierluigi.antonazzo1
pierluigi.antonazzo1 🇮🇹

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Scarica Tesina (da stampare) e più Prove d'esame in PDF di Matematica solo su Docsity! TESINA (ITALIANO) Giuseppe Ungaretti è considerato il fondatore dell'ermetismo, corrente letteraria che trova la massima espressione e caratterizzazione nel periodo che intercorre tra le due guerre mondiali, il cui nome fu assegnato dal critico Francesco Flora. In sintesi si può dire che gli ermetici cercano di restituire al linguaggio della poesia una sua dimensione essenziale, scabra, talvolta volutamente oscura (di qui il termine) al fine di giungere alla cosiddetta “poesia pura”, ossia una poesia libera dalla metrica e dalle regole di retorica, per esprimere il proprio essere più nascosto e segreto. Strumento tecnico fondamentale per gli ermetici è l'analogia, che consiste nell’accostamento di due immagini tra di loro completamente diverse, rende perciò la poesia più sintetica e oscura, ma per questo più efficace(ES. “sono pioggia di nube”); altro strumento tecnico è la sinestesia, che consiste invece nell’accostamento tra due sensazioni diverse avvertite nello stesso momento (ES. “urlo nero”). I poeti ermetici sono accumunati da un male di vivere che, pur essendo diverso nella concreta esperienza di ciascuno, li accumuna tutti nel pessimismo sulle possibilità dell'uomo e persino della stessa poesia e in una visione della vita senza illusioni. In assenza di certezze da cantare a gola spiegata, gli ermetici rifiutano dunque i moduli espressivi tradizionali sulla base di una precisa scelta etica, dalla quale discendono poi le loro tecniche stilistiche. Nella formazione di Ungaretti hanno grande peso elementi biografici: l’infanzia e la giovinezza in Egitto, di cui immagini e suggestioni ricorrono nella sua poesia; il carattere di internazionalità dei suoi studi e delle lingue praticate, studia infatti ad Alessandria d’Egitto, vive a Parigi, a San Paolo in Brasile; ed infine la sua estraneità alle dispute letterarie, non dovette fare i conti né con il dannunzianesimo, né con il pascolismo o crepuscolarismo, non si trovò infatti, come si sarebbe invece trovato chiunque fosse vissuto in Italia con interessi letterari, a dover operare scelte sui filoni poetici disponibili. Ungaretti poté stabilire le proprie scelte in assoluto senza massicce pressioni, tant’è vero che Ungaretti crea un modo di poetare del tutto nuovo, una poesia nella quale ogni parola può essere una scoperta, in grado di esprimere i significati profondi delle cose e della vita dell’uomo, e giacché deve essere densa di significato, spesso viene isolata, divisa dalle altre da pause ritmiche o da spazi bianchi, i cosiddetti versicoli; il poeta elabora un linguaggio poetico più articolato, dando vita ad una poesia che altro non è che un diario, la storia della propria vita, un’autobiografia scritta d’impeto e di necessità, con una lingua popolare, ma talvolta oscura e difficile; oscurità e difficoltà che non possono mancare in una poesia che cerchi di scoprire se stessi, di svelare agli altri, o di andare attorno ai segreti veri del vivere e dell’essere. E queste difficoltà nascono sicuramente da esperienze di vita che influenzarono notevolmente il suo modo di scrivere e i temi trattati: nella prima raccolta “L’allegria” in particolare campeggia la guerra, vista con gli occhi di un Ungaretti soldato, in una sorta di autobiografia dominata dalla costante presenza della morte, da immagini di desolazione e rovina, dal sentimento di estremo dolore, ma anche dal rifugio nella memoria e nel ricordo, dalla scoperta di valori nobili quali la solidarietà e la fratellanza. In questa raccolta le poesie hanno fondamento in uno stato psicologico strettamente dipendente dalla sua biografia, sono infatti poesie scritte di getto al fronte su taccuini, fogli di carta o pacchetti di cartone. Ungaretti è quindi testimone degli orrori della guerra, è un uomo di pena, che, provato dal dolore, diffonde tra gli uomini la condizione di fraternità degli uomini nella sofferenza. (STORIA) Un esempio è la poesia “Soldati”, un brevissimo e celebre componimento formato da una similitudine, che equipara i soldati alle foglie autunnali, evidenziando la fragilità e precarietà dell’uomo durante la guerra, e anche l’assurdità dell’intera condizione umana e la sua finitudine, poiché non può per nulla sfuggire al dolore e alla morte. Durante la prima guerra mondiale si ricorse ampiamente alla trincea, un sistema difensivo utilizzato inizialmente per offrire riparo dagli attacchi nemici e successivamente come vero e proprio rifugio. I militari furono costretti a viverci per lungo tempo, in uno stato di tensione continua per l’incombente minaccia di un attacco nemico, in pessime condizioni igieniche e in balia delle intemperie, dalle quali non ci si poteva difendere. Nonostante la trincea fosse una “posizione di fortuna”, qui le condizioni non erano delle migliori: soffrivano per il caldo, il freddo, la pioggia e talvolta erano immersi nel fango, e soprattutto d’inverno vivevano in condizioni estreme di vita, a causa della neve e del gelo. Anche l’approvvigionamento del cibo per le truppe nelle trincee era spesso difficoltoso, poiché i soldati potevano non mangiare per giorni. Le condizioni igienico-sanitarie erano del tutto assenti nelle trincee: i soldati tenevano gli stessi vestiti per parecchie settimane e l’indumento più ricercato tra i cadaveri erano le scarpe, per il fatto che spesso a causa del freddo e del gelo i piedi venivano amputati; per i bisogni fisiologici venivano scavate delle buche, ma poteva capitare che col passare dei giorni e l’arrivo di precipitazioni tutto venisse a galla. Ma con il passare dei giorni il pudore dei soldati spariva e qualsiasi angolo della trincea poteva diventare una latrina. Questo era però il male minore, il vero problema era l’immaginario di chi si trovava nelle trincee, ciò che i soldati si aspettavano, ossia IL PEGGIO. Temevano il futuro, poiché da questo si aspettavano solo la morte, con la quale i soldati dovevano costantemente convivere. L’inevitabile presenza della morte si dimostrò, alla lunga, traumatizzante e deprimente per i soldati, i quali vivevano in una situazione di panico collettivo. La loro resistenza nervosa era spesso messa a dura prova nei momenti in cui dovevano difendersi o attaccare: durante il momento di difesa vi era la cosiddetta tempesta d’acciaio, durante la quale tutto ciò che accadeva era sottoposto al fato, e vi erano poi i bombardamenti d’artiglieria, ed in quei lunghi minuti i soldati rimanevano addossati gli uni agli altri. Il momento peggiore della guerra era, però, quello in cui si usciva dalle trincee per attaccare i nemici: la paura non risparmiava nessuno, la situazione era infatti così disperata che ai più giovani si dava la cosiddetta benzina di coraggio, gli si dava da bere in modo da renderli più coraggiosi e meno razionali, e quindi affinché stessero in prima fila nell’attacco; altri usavano alzare le braccia, in modo da essere colpiti sugli arti, la cosiddetta ferita pulita, ed andare quindi in infermeria. Il problema sorgeva solo nel momento in cui erano scoperti dagli ufficiali, i quali li punivano con la fucilazione. Se i soldati si trovavano in prima fila, dietro al sicuro vi erano ufficiali e carabinieri, che punivano chiunque tentasse di tornare indietro. Si ricorreva spesso a gravi punizioni per ogni mancanza e per ogni tentativo di diserzione. In tutto ciò non vi era alcuna forma di eroismo, i soldati non erano affatto degli eroi, questi avevano semplicemente paura. In realtà ciò che contava in questa guerra non fu tanto il numero di soldati, ma il numero di materiali, tant’è vero che si parla di GUERRA DEI MATERIALI, contava quindi la tecnica, il numero di armi, di bombe, contava la supercosa, e i soldati furono vittime indiscriminati della supercosa. Contava quindi anche il fronte interno, gli operai che producevano armi, era questo, l’apparato produttivo, che bisognava bombardare per poter vincere la guerra. I civili che si trovavano sul fronte interno divennero perciò combattenti indifesi ed incapaci, e la stessa Germania perse questa guerra poiché non aveva più risorse. (INGLESE)Un’altra poesia della raccolta “L’allegria”, in cui il poeta rappresenta la guerra nella sua tragicità e l’intensità di quel sentimento che l’uomo prova nel momento in cui sfugge alla morte, è “Veglia”. Il poeta, accanto al cadavere di un suo compagno, avverte più forte che mai la presenza della morte e quindi il suo attaccamento a ciò che resta della vita. Una lirica che ricorda molto le orribili immagini e la condanna della guerra è quella di Wilfred Owen: “Dulce et decorum est”(dal terzo libro delle Odi di Orazio). Wilfred Owen is one of the most famous among a group of writers known as the war poets, so called because he experienced the First World War, and wrote about it. From an era during which poetry was about confidence and optimism, he changed the poetry in one of doubt and bewilderment. He began to move away from the traditional representation of war, one of glory and patriotism based on propaganda (like Jesse Pope), and speak about brutality and tragedy of conflict. His poetry is full of irony, bitterness and distrust for the traditions which lead men to believe that there is glory in war; it expresses compassion for all human suffering through different innovative techniques, like alliteration, internal rhyme, pararhyme and off-rhyme. In particular in “Dulce et decorum est” Owen describes the general condition of men involved in the war: the poem opens with a description of a group of demoralized soldiers retreating from the front lines of the battlefield. The men “marched asleep”, are clearly fatigued, everyone thought to save themselves, driven by the fear of dying. Suddenly the enemies decided to make use of lethal gas: some of the soldiers failed to wear in time the anti-gas masks and the poet describes the death of one of them, as one that can never leave the narrator, comparing the fog produced by gas to a green sea. Finally Owen with a bitter irony, directed against the authorities, intellectuals and anyone who has incited young men to war, describing it as a glorious event, says that if they could see what he saw, when they invite the conflict staying quietly at home, they would not say that it’s “dulce et decorum” die for the country. Furthermore Owen describes his
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