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Tesina di maturità - Lavoro... Principio fondante della società di ieri e di oggi , Tesine di Maturità di Italiano

Tesina di maturità che tratta del fondamentale tema del lavoro, sviluppato in diversi ambiti (collegamenti alle tipiche materie liceali, specialmente in ambito umanistico), come la letteratura, la filosofia e l'arte, con un capitolo dedicato allo stretto legame tra il lavoro e il pilastro fondante della Repubblica Italiana : la Costituzione.

Tipologia: Tesine di Maturità

2017/2018

Caricato il 28/02/2018

Jecko98
Jecko98 🇮🇹

4.3

(9)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Tesina di maturità - Lavoro... Principio fondante della società di ieri e di oggi e più Tesine di Maturità in PDF di Italiano solo su Docsity! LAVORO … PRINCIPIO FONDANTE DELLA SOCIETÀ DI IERI E DI OGGI Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci Classe 5H Luca Giacomuzzo Anno scolastico 2016-2017 Pagina 1 Indice • Introduzione…………………………………………………………………… pag. 3 • Motivazioni della scelta………………………………………………………. pag. 4 • Capitolo I - Il lavoro nella Costituzione italiana……………………………. pag. 5 • Capitolo II - Il lavoro nella letteratura……………………………………….. pag. 12 • Capitolo III - La filosofia del lavoro con Marx……………………………… pag. 17 • Capitolo IV il lavoro nell’arte…………………………………………………. pag. 21 
 Pagina 2 Capitolo I - Il lavoro nella Costituzione Italiana “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” Quello sopra citato è il primo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana. Il Testo costituente andava a sostituire quello del precedente Statuto Albertino, entrato in vigore nel 1848 e poi esteso a tutto il Regno d’Italia nel 1861 dopo l’unificazione. I partiti antifascisti chiesero la sostituzione del precedente regolamento istituzionale dello Statuto Albertino, in quanto troppo “flessibile”, infatti era stato possibile anche per la dittatura fascista mantenerlo in vigore, con un nuovo Testo, una nuova Costituzione. Fu così che il 25 luglio 1943 i primi governi provvisori concordarono con la Corona una “tregua istituzionale” secondo cui ogni decisione sarebbe stata rinviata dopo la fine del conflitto attraverso un “processo costituente” democratico. Terminata la Guerra, il governo De Gasperi fissò per la data del 2 giugno 1946 una doppia tornata elettorale : le elezioni per l’Assemblea costituente e il referendum sulla forma istituzionale dello Stato. Il referendum popolare, al quale parteciparono anche le donne per la prima volta nella storia italiana, mostrò una netta spaccatura tra il Nord repubblicano e il Sud monarchico; fu però la fazione repubblicana ad avere la meglio. Sempre con le votazioni del 2 giugno si diede vita all’Assemblea costituente, con l’elezione di 556 deputati che avrebbero formato tale assemblea; in linea di principio i deputati sarebbero dovuti risultare 573, ma non fu possibile votare nella provincia di Bolzano e nella circoscrizione Trieste - Venezia Giulia - Zara, dove non era stata ristabilita la piena sovranità dello stato italiano. I partiti politici che si presentano furono più di 40, ma solamente 16 raggiunsero il quorum per ottenere la rappresentanza, e solamente tre di questi avevano ottenuto il maggiore appoggio dall’elettorato : i tre partiti di massa, ossia la Democrazia Cristiana (35% dei voti), il Partito Socialista (20% dei voti) e il Partito Comunista (18% dei voti). Per tale motivo la Carta costituzionale può dirsi ispirata, come ha lucidamente sottolineato il noto filosofo politico Norberto Bobbio , a ideali liberali, 2 integrati da ideali socialisti e corretti da ideali cristiano sociali. Norberto Bobbio (Torino, 18 ottobre 1909 – Torino, 9 gennaio 2004) è stato un filosofo, giurista, storico, politologo e 2 senatore a vita italiano Pagina 5 Tra i personaggi di spicco eletti a deputati vi erano liberali come Ivanoe Bonomi, Benedetto Croce e Francesco Saverio Nitti ; oppositori del fascismo come Pietro Nenni e 3 Sandro Pertini; esponenti della futura classe dirigente del paese come Aldo Moro o Giulio Andreotti e anche 21 donne, molte delle quali partecipanti attive della Resistenza partigiana. Come presidente dell’Assemblea fu eletto Giuseppe Saragat che poteva 4 contare sull’appoggio dei tre deputati “neutrali” che costituivano l’Ufficio di Presidenza : il comunista Umberto Terracini, il repubblicano Giovanni Conti e il democristiano Fausto Pecorari, che avevano il fondamentale compito di favorire il dialogo tra le diverse forze politiche in campo. Dopo l’insediamento dell’Assemblea Costituente, i lavori si articolarono in una serie di commissioni : il 15 luglio 1946 l’Assemblea Costituente nominò una Commissione per la Costituzione composta da 75 deputati presieduta dal liberale Meuccio Ruini, e sotto proposta di un altro deputato (Dossetti) questa venne suddivisa in tre sottocommissioni per velocizzare i lavori, ciascuna dedicata ad uno specifico tema : la prima sui “diritti e doveri dei cittadini”, la seconda “organizzazione costituzionale dello Stato” e la terza, “lineamenti economici e sociali”. A partire dall’8 febbraio 1947 il progetto redatto dalla “Commissione dei 75” iniziò ad essere discusso dall’Assemblea, fino ad arrivare ad un testo definitivo, approvato il 22 dicembre 1947 con 453 voti favorevoli e solamente 62 contrari. Il testo della nuova Costituzione fu promulgato il 27 dicembre dello stesso anno, dopo essere stato sottoscritto dal Capo provvisorio dello Stato Enrico de Nicola. Entrò in vigore l’1 gennaio 1948 la Costituzione della Repubblica Italiana. Dalla commistione di ideali, elaborata da Bobbio, all’interno dell’Assemblea, si ebbe modo di conferire ampio spazio al riconoscimento dei diritti sociali, espressioni di un secolo di conquiste del movimento operaio, a cominciare dalla formula iniziale del testo costituzionale, secondo cui l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro (art. 1, comma 1), per passare all’affermazione del diritto del lavoro dell’art. 4. Ivanoe Bonomi (Ivànoe Bonòmi, Mantova, 18 ottobre 1873 – Roma, 20 aprile 1951) è stato un avvocato, 3 giornalista e politico italiano. Benedetto Croce (Pescasseroli, 25 febbraio 1866 – Napoli, 20 novembre 1952) è stato un filosofo, storico, politico, critico letterario e scrittore italiano, principale ideologo del liberalismo novecentesco italiano ed esponente del neoidealismo. Francesco Saverio Vincenzo de Paola Nitti (Melfi, 19 luglio 1868 – Roma, 20 febbraio 1953) è stato un economista, politico, saggista e antifascista italiano. Giuseppe Saragat (Torino, 19 settembre 1898 – Roma, 11 giugno 1988) è stato un politico e diplomatico italiano, 4 quinto Presidente della Repubblica Italiana e primo socialista a ricoprire la carica Pagina 6 A ben vedere la possibilità, prevista dall’art. 43, della nazionalizzazione delle grandi imprese è la riproduzione, quasi testuale, di un capitolo essenziale di ogni programma socialista, mentre la forma più tipica di lotta operaia, ossia lo sciopero, è stata riconosciuta, garantita e resa lecita nell’art. 40. Come accennato precedentemente, gli art. 1 e 4 pongono il lavoro alla base della nuova società democratica nascente. Il fatto di iniziare il primo articolo della Costituzione con la frase “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” pone in risalto come la nuova Italia pone a fondamento della democrazia non il concetto di proprietà privata, con i conseguenti privilegi di classe caratteristici dello Stato liberale e monarchico antecedente, ma il lavoro inteso come diritto e dovere di ognuno per il progresso personale e sociale. Tale importante principio viene poi ribadito e rafforzato nel successivo articolo 4 che si riporta per intero anche per la sua bellezza letteraria : “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” Il fatto che lo Stato debba tutelare il diritto al lavoro e promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto pone il lavoro stesso al centro della vita dei cittadini della nascente Repubblica. Il lavoro assume quasi un senso di sacralità, un diritto innegabile all’uomo. L’utilizzo del termine “materiale” e “spirituale” sembra quasi voler invitare i futuri governi a far star bene i propri cittadini, non solo nel corpo ma anche nell’anima. È questa un’importante sottolineatura del fatto che risulterebbe inutile inserire una serie di “bei diritti” per tutti i cittadini se poi questi non hanno il lavoro : se non c’è lavoro non c’è tutela dei propri diritti. Il lavoro costituisce ora la fondamenta della nuova società italiana. I costituzionalisti sembrano invitare i futuri legislatori a fare in modo che tutti gli italiani siano felici del proprio lavoro: non il solo aspetto materiale ma il concetto stesso di felicità personale, che forse potremmo definire nel più moderno concetto di benessere. La concezione del lavoro risulta pertanto quasi una visione utopistica, ma, per il solo fatto di essere inserita nei principi fondamentali della nostra Costituzione dovrebbe far riflettere, anche in una visione futura, sulle modifiche legislative che vengono svolte nel codice dei lavoratori. Pagina 7 Il costituzionalismo, come dottrina politica. nasce con questo marchio classista che innanzitutto l’oppone alla democrazia, il cui ideale dovrebbe tendere a restituire a ciascuno la libertà originaria ch’egli ha ceduto nel momento della sua entrata in società secondo la formula della quadratura del cerchio di J.J. Rousseau : “ubbidire al potere comune, restando libero”. Il costituzionalismo delle origini ha compiuto un lungo cammino. Questo è dimostrato dalla nostra stessa Costituzione fin dal suo primo articolo : “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Quello che, all’inizio della storia, era criterio di discriminazione dalla vita politica - l’essere lavoratore - è diventato fondamento della vita comune, della res publica. È diventato il principio primo dell’inclusione. Il grosso di questo cambiamento è dovuto all’ascesa della masse popolari, cioè del mondo del lavoro, alla vita politica alle sue istituzioni, in una parola la diffusione della democrazia. Il lavoro è stato accolto come il fondamento della democrazia repubblicana. Il dubbio che nel discorso sul lavoro potesse celarsi un sottinteso classista ha dominato l’elaborazione della Costituzione, manifestandosi di fronte alla proposta di parte socialista e comunista : “L’Italia è una Repubblica democratica di lavoratori”. Sebbene i proponenti stessi avessero precisato che, nelle loro intenzioni, il concetto di “lavoratore” doveva intendersi nel modo più ampio e comprensivo, la proposta fu respinta, ben tre volte. La Costituente ritenne che “di lavoratori” potesse indurre a credere che la Repubblica intendeva attraverso questa semplice parola avvicinare la propria politica a quella dei Paesi socialisti, le cui costituzioni contenevano formule simili. Il “lavoro”, invece, che compare nella nostra Costituzione è il “lavoro in tutte le sue forme e applicazioni”(art. 35, comma 1) e non è dunque prerogativa della “classe lavoratrice”. Sono lavoratori e lavoratrici tutti i lavoratori “del braccio e della mente”. Il lavoro in tutte le sue manifestazioni è, dunque, titolo di appartenenza alla comunità nazionale, alla cittadinanza. È un fattore che incorpora, che generà unità : il lavoro spetta a tutti i cittadini e, rovesciando i termini dell’implicazione, con riguardo a chi viene dall’estero a lavorare da noi, si potrebbe aggiungere che - a certe condizioni di stabilità e lealtà - a tutti i lavoratori deve spettare al cittadinanza. Zagrebelsky evidenzia però un problema di fondo che potrebbe far fraintendere il “fondata sul lavoro” del nostro primo articolo costituzionale. Infatti questo si arresta di fronte al fenomeno del parassitismo sociale, ovvero la pratica di coloro che si sottraggono al dovere, stabilito dall’articolo 4 comma 2, di “svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Pagina 10 Il lavoro è dunque visto in questa prospettiva politica, politica non certo in senso di partiti politici, ma in quello della responsabilità verso la vita dello Stato. Questa concezione del lavoro però non deriva da una concezione organista : il lavoro come funzione al servizio dell’economia nazionale e dell’impresa. I lavoratori non sono delle “api al servizio dell’alveare”. Teoricamente si andava a tutelare e a garantire il lavoratore che portava un bene materiale e spirituale alla società. Tale proposta cadde in Assemblea, anche per l’impossibilità di stabilire con chiarezza, la linea di confine tra i lavoratori che “concorrono al progresso materiale e spirituale della società” e quelli che sono mossi da motivi puramente individuali ed egoistici. Il significato profondo del collegamento, stabilito nell’art. 1, tra democrazia e lavoro sta nel fatto che la questione democratica è la questione del lavoro. La democrazia è garantita dal fatto che il lavoro permette all’uomo di vivere in tranquillità all’interno della società. Infatti la democrazia non si compone semplicemente di regole formali, ma anche di condizioni materiali, tra le quali annoveriamo il lavoro come la fondamentale. I problemi legati alla formula “fondata sul lavoro” non sono esauriti. Questa fu criticata pesantemente dai Costituenti in quanto troppo generica. Si osservò che le società schiaviste a partire dall’Atene del V secolo a.C. fino allo schiavismo moderno, praticato legalmente in alcuni paesi americani fino al 1865 e in Russia fino al 1861, erano “fondate sul lavoro”. Lo stesso accadeva al tempo dell’industrialismo , quando uomini, donne e bambini erano macchine da lavoro. Lo stesso nei regimi totalitari, il cui simbolo sono le scritte come quelle che accoglievano i deportati nel campo di Auschwitz (“il lavoro rende liberi”). In quelle condizioni il lavoro non era un diritto, ma una dannazione. Può una repubblica essere “fondata su una dannazione”? Per questo motivo alcuni Costituenti ritennero saggio sostituire “fondata sul lavoro” con “fondata sulla libertà”. La maggioranza dei Costituenti erano perfettamente consapevoli del lato oscuro della fatica, dello sfruttamento che sempre aleggia, come rischio, nel lavoro umano. Ma ritenevano anche il lavoro come mezzo prediletto per garantire autonomia e dignità alla persona, al lavoratore, al cittadino. Pagina 11 Capitolo II - Il lavoro nella Letteratura Con l’avvento della Rivoluzione industriale, avvenuta nella seconda metà del ‘700, grazie anche a importanti scoperte tecnologiche importanti come quella di James Watt che, con la sua nuova macchina a vapore riuscì a sostituire le tradizionali fonti di energia (mulini ad acqua e vento), trovando largo impiego nelle fonderie e nelle industrie cotoniere. Ma è senza dubbio soprattutto la prima metà della lunga età vittoriana, durata ben 63 anni (1837-1901), a connotarsi come la vera età del lavoro legato soprattutto all’industria, la quale cresceva giorno per giorno. Industria che si avvaleva del lavoro di uomini, donne e bambini nelle fabbriche, i quali erano costretti a lunghe e pesanti ore di lavoro, a fatiche insostenibili. Vera molla di questa rivoluzione della poderosa macchina dell’industria è stata la nascita, o meglio la riscoperta e la rivalutazione, del concetto di utilitarismo . 6 È da questo particolare frangente della storia, che il lavoro assume un ruolo sempre più importante nella letteratura. Numerosi letterati e autori si sentono in dovere di denunciare, o quantomeno riportare, gli effetti, per la gran parte disastrosi, del lavoro straziante della Rivoluzione industriale. Le terribili condizioni di vita e di lavoro in cui centinaia di migliaia di persone si ritrovarono a vivere a causa dello sfruttamento e del logoramento delle industrie soprattuto nelle periferie delle città, venne svelato, oltre che dai numerosi dati statistici che attestavano un aumento considerevole delle morti nella maggior parte dei casi di ragazzini ancora minorenni, e da svariate inchieste sociologiche, anche da molti scrittori che scorsero le crepe di quest’epoca mettendo a nudo le miserevoli condizioni dei lavoratori, che costituiscono uno dei capitoli più tristi della storia dell’uomo. I grandi scrittori attuando una attenta valutazione, forniscono al lettore, attraverso le loro opere, le giuste corrispondenze per meglio decifrare la realtà sia passata che presente. Il grande romanziere Charles Dickens affronta il tema della rivoluzione industriale descrivendo la mentalità e la vita materiale delle classi sociali coinvolte nel processo di urbanizzazione, spesso attingendo a fonti documentarie (dati statistici e inchieste sociologiche prima citate) e divenendo così storico a sua volta. In tutta la sua produzione letteraria, e, in particolare, in Hard Times (Tempi difficili - 1854) egli sa ben descrivere la novità e gli “orrori” dell’industrialismo, riuscendo a tratteggiare in Concezione filosofica che pone la ricerca dell’utile individuale o sociale come motivo fondamentale dell’agire umano; 6 part., nella teorizzazione di J. Bentham (1748-1832), l’etica, nell’esigenza di superare il limite egoistico nella concezione dell’utile, viene impostandosi su un principio quantitativo riassumibile nella formula secondo cui ‘il bene è la maggior felicità del maggior numero’ Pagina 12 La novella di Rosso Malpelo , la quale tratta efficacemente e non senza crudezza il tema 9 del lavoro e dello sfruttamento dei minori, è ispirata all’Inchiesta di Franchetti e Sonnino sula condizione della Sicilia , dove è possibile trovare numerose indicazioni proprio sullo 10 sfruttamento dei minori all’interno delle miniere. Questo racconto rusticano, del 1878, il primo d’impianto compiutamente veristico, nella quale si porta alla luce la durissima rappresentazione della logica economicista che presiede tutti i rapporti umani. Proprio questa logica, basata sulla base del guadagno monetario, impone uno stile di vita improntato al lavoro, che in Verga è inteso come atto di fatica compiuto in un ambiente rurale, dove ci si alterna tra il pescatore, il contadino e il minatore. Rosso Malpelo, così chiamato per la rossa capigliatura, è un ragazzo che lavora duramente in una cava di sabbia in Sicilia. E’ un povero infelice sfruttato e deriso. L’opinione popolare attribuisce una personalità malvagia a coloro che hanno i capelli rossi e per questo motivo Malpelo viene trattato con pregiudizio da tutti ed anche dalla stessa madre. Egli è costretto a vivere emarginato e isolato, trattato come una bestia e non come un essere umano. Il padre, soprannominato “il bestia” per la sua resistenza alla fatica, è l’unico che ha dell’affetto per Malpelo ma muore nella stessa cava sotto una frana di sabbia. Le difficoltà portano Malpelo ad assumere atteggiamenti cinici e spietati, soprattutto nei confronti di chi vive una condizione ancora più debole e fragile della sua, come Ranocchio, un ragazzetto infelice come lui che lavora come manovale alla cava. Dietro questo carattere indurito e indifferente Malpelo nasconde però una sua umanità e un bisogno di amore che manifesta nei confronti dello stesso Ranocchio e del padre morto nella cava per la caduta di un pilastro di sabbia. Quando Ranocchio si ammala ed in breve tempo muore, stroncato dalla fatica e dalle inumane condizioni di lavoro, Malpelo rimane completamente solo. Nel finale Malpelo si offre volontario per esplorare un passaggio della cava, egli si smarrisce così nei cunicoli , nell’indifferenza generale e senza lasciare alcuna traccia di sé. Sullo sfondo della vicenda personale di Rosso Malpelo, Verga presenta al lettore un quadro degradato di una situazione lavorativa precaria, la quale si estende non solo al particolare episodio, ma alla condizione generale che si trova a vivere il Meridione in Rosso Malpelo è una novella di Giovanni Verga, che comparve per la prima volta su Il Fanfulla nel 1878 e che 9 venne in seguito raccolta e pubblicata nel 1880 insieme ad altre novelle uscite nel 1879-1880 in Vita dei campi Inchiesta sulle Condizioni politiche ed amministrative della Sicilia, pubblicata nel 187610 Pagina 15 questo periodo pre-industriale. Ogni azione compiuta dai personaggi si compie all’interno della cava, se non poche eccezioni come il breve e non gradito ritorno a casa di Malpelo, come ad indicare che il fine ultimo di ogni scelta e di ogni atto sia il lavoro all’interno della cava. Non si riesce a concepire una vita al di fuori dell’ambiente lavorativo e del lavoro stesso, che impone un totale assorbimento dell’individuo. Rosso Malpelo interpreta il lavoro in una visione del tutto personale : egli lo fa si per i soldi, ma non per l’oggetto in se, quanto per il valore che essi assumono quando, tornato a casa, riesce ad evitare di essere picchiato solo se ha portato a casa la quantità di denaro che la madre e la sorella si aspettavano da lui; ma non solo. Morto il padre, Malpelo continua il lavoro nella cava con un vigore maggiore rispetto al precedente, e lo fa solo per tenere vivo il ricordo dell’unico uomo che lo avesse mai apprezzato, il quale gli aveva sempre insegnato, con i toni di un padre amorevole, a lavorare duro. Rosso Malpelo rappresenta una delle situazioni più tragiche dell’esperienza del lavoro nel corso della storia de genere umano : lo sfruttamento minorile, largamente utilizzato nella Sicilia del tempo. Autori come Dickens e Verga, ma come numerosi altri, hanno voluto compiere con la loro produzione, prima che un ritratto delle condizioni legate al mondo del lavoro e del lavoratore, una vera e propria denuncia sociale contro quelle condizioni che hanno impedito all’uomo-lavoratore di vivere con la tranquillità necessaria, ma soprattutto hanno impedito la possibilità di realizzazione dello stesso lavoratore attraverso lo strumento del lavoro, impedito la soddisfazione del lavoratore. Proprio su questo fondamentale concetto si basa la teoria filosofica del “filosofo del lavoro” per eccellenza : Karl Marx. Pagina 16 Capitolo III - La filosofia del lavoro con Marx Karl Marx, primo vero pilastro del Comunismo, fu il filosofo “del lavoro” per eccellenza; egli dedicò numerosi dei suoi studi e dei suoi scritti al tema del lavoro. Perché Marx si concentrò tanto su questo argomento? Il pensiero fisso di Karl Marx era nel non vedere nell’uomo lavoratore dei suoi tempi qualcosa che lo realizzasse. Il filosofo si trova davanti ad una “fiumana” di uomini alienati dalla loro stessa vita, ossia espropriati del loro valore di uomini e questo ad opera dell’espropriazione o alienazione del loro lavoro. 11 Secondo Marx, però, esiste una soluzione, l’uomo può vivere umanamente, ossia farsi in quanto uomo, umanizzando la natura secondo i suoi bisogni e le sue idee, insieme agli altri uomini. “Il lavoro è un processo che si svolge tra l’uomo e la natura”. Questa affermazione, contenuta ne Il Capitale, aiuta a definire cosa sia il lavoro : il lavoro è in primo luogo la relazione tra uomo e natura : l’uomo è natura, utilizza e trasforma gli elementi naturali, e la natura nel suo insieme, a proprio vantaggio ed è vero che ciò di cui l’uomo può disporre lo trova in natura e ciò che l’uomo rende disponibile per sé dipende dalla sua capacità di trasformare gli elementi naturali. Ma l’uomo entra in determinati rapporti sociali di produzione e la forma del lavoro si trasforma continuamente attraverso l’uso della tecnologia. Esso, con il passare del tempo, si è avvalso di tecniche sempre più sofisticate ed è diventato esso tesso tecnologia, tanto da non poter più soltanto rimandare al rapporto dell’uomo con la natura e tanto da farci dire oggi che non tutto ciò di cui l’uomo può disporre lo si trova in natura e non tutto ciò che l’uomo rende disponibile dipende dalla sua capacità di trasformare gli elementi naturali. Con il passare del tempo e l’affinarsi della tecnologia si è venuto a creare un distacco, un distanziamento tra l’uomo e la natura, infatti ora il lavoro, prima impossibile se non per mezzo della natura, si differenzia dalla natura stessa, e diventa, in diverse misure, la sua negazione; il lavoro non viene più esercitato sugli elementi naturali ma sempre di più sugli stessi artifici da esso prodotti. Marx afferma nel suo “Il Capitale” : “In primo luogo, il lavoro è un processo che si svolge tra l’uomo e la natura, nel quale l’uomo, per mezzo della propria azione, media, regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura […] operando […] sulla natura fuori di sé e cambiandola, egli L’alienazione è la cattiva oggettivazione (processo attraverso il quale l’uomo realizza la sua essenza trasformando e 11 umanizzando la natura) del lavoro nel contesto del rapporto capitalistico. Pagina 17 Il superamento di questa situazione in cui l’uomo è trasformato in bruto, in animale istintivo, secondo Marx, esiste e si esprime attraverso la lotta di classe che eliminerà la proprietà privata e il lavoro alienato. Solo attraverso la lotta di classe l’uomo-lavoratore sarà libero di realizzare se stesso senza le catene del capitalismo. Pagina 20 Capitolo IV - Il lavoro nell’arte Il lavoro, inteso come lavoro manuale, ha avuto nel corso della storia numerosi riscontri anche nell’arte figurativa. Il lavoro manuale è stato per secoli un soggetto artistico secondario, ma costante, nell’arte occidentale. I portali delle cattedrali medioevali sono spesso ornati da bassorilievi raffiguranti contadini, pastori o artigiani, e nelle miniature dei libri d’ore, i mesi si contraddistinguevano per l’attività lavorativa che veniva svolta in campo agricolo. Soltanto a partire dal XVI-XVII secolo, artisti come Caravaggio, Rembrandt o Brueghel, rappresentano nelle loro opere contadini, garzoni e domestiche, che diventano i veri protagonisti autonomi degli stessi dipinti, senza essere obbligatoriamente allegoria di reconditi significati religiosi, spirituali o astrologici e senza essere relegati ai margini di figure più nobili. Tuttavia è solo verso la metà dell’Ottocento che, con la diffusione del Realismo, si capovolge la gerarchia piramidale dei soggetti artistici, relegando alla base nobiltà e clero e portando alla luce soggetti ben più umili. “Per i pittori realisti il ritratto di un operaio nel suo grembiule da lavoro vale certamente quanto quello di un principe nei suoi abiti trapunti d’oro” Théophile Thoré Nei decenni centrali del XIX secolo il tema del lavoro domina l’iconografia francese diventando soggetto privilegiato di pittori tra loro molto diversi e assumendo, di volta in volta, connotazioni originali e sfumature tematiche differenti. Aldilà delle ideologie politiche e delle convinzioni formali, il mondo del lavoro diventa per i pittori realisti un’occasione d’indagine sociale di una realtà contemporanea complessa e contraddittoria, scombussolata dalle prime conseguenze della Rivoluzione Industriale e dall’affermazione della borghesia di stampo capitalista. Numerosi sono gli esempi possibili. Gustave Courbet ricerca la via di un realismo totale, in grado di tradurre in arte tutti gli aspetti della realtà del suo tempo; i lavoratori più umili quali contadini, braccianti e operai assumono dignità e centralità nella dimensione sociale globale. Un esempio lampante del suo concepire il lavoro nell’arte è dato da uno dei suoi capolavori “Gli Spaccapietre”, dipinto nel 1849. Pagina 21 Nel dipinto sono presentati i due operai intenti nella loro opera lavorativa, ma voltati di spalle r ispet to a l l ’osservatore, non rispettando i canoni classici di composizione scenica e armonia delle figure. Pur appartenendo alla fazione politica socialista, Courbet non vuole attraverso questo dipinto attuare una denuncia politica, bensì descrivere analiticamente e autenticamente l’aspetto di tale ambiente lavorativo, degli oggetti utilizzati dai lavoratori, della fatica, della serietà e concentrazione dei lavoratori, dell’atmosfera silenziosa e quotidiana. L’angelus di Millet, dipinto tra il 1858 e il 1859, risulta di stampo tradizionalista nell’articolazione dello spazio e nella resa delle figure. Gli attrezzi in penombra, simbolo della durezza e dello sforzo, si perdono nella diffusa luce crepuscolare che avvolge il paesaggio naturale e lascia intravedere un campanile all’orizzonte. I contadini a testa china sono un’immagine poetica (forse quasi stereotipata) del lavoro mansueto che cerca nel la fede i l r iscatto al le vicissitudini della vita terrena. Anche Millet, come altri artisti del tempo, e lo stesso Courbet, aderisce alla poetica del vero e i suoi contadini sono dei miseri esseri umani logorati dal lavoro e legati ad una terra aspra e difficile da dominare. Pagina 22
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