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Tesina Drammaturgia Inglese: Le vie oscure dell'ego (Shakespeare & Marlowe), Guide, Progetti e Ricerche di Drammaturgia

Tesina riguardo le opere di Shakespeare e Marlowe. Affinità, analogie, dissonanze, analisi interiore.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2017/2018

Caricato il 12/06/2023

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Scarica Tesina Drammaturgia Inglese: Le vie oscure dell'ego (Shakespeare & Marlowe) e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Drammaturgia solo su Docsity! 1 Domenico Urgo MAT.793208 Le vie oscure dell’ego: Marlowe & Shakespeare Se il teatro elisabettiano è oggi più che mai al centro di un fervido dibattito critico e di un fecondo recupero teatrale, esso ancora di più ci appare in tutto il suo intrico di strutture e di proiezioni formali, e inserito poi nel contesto di un sistema storico e culturale anch’esso continuamente oggetto di revisione e di approfondimento1. Tanto più inadeguate, allora, devono sembrare quelle formulazioni critiche che subordinavano la concezione delle opere alla personalità di Marlowe, al suo presunto ateismo, al suo «titanismo» nato «da uno stato di giovanile ebbrezza ed esaltazione»2. È evidente l’inadeguatezza delle etichette in chiave psicologico-biografica anche quando esse siano più suggestive ed efficaci. Schematicamente si può dire dell’opus marloviano che esso riflette la dinamica di una dimensione cognitiva che si esprime sul palcoscenico in tutte le coordinate dello spettacolo, come conflittualità ed emergenza di strutture formali e ideologiche in continua tensione e riorganizzazione. Da qui sorge naturalmente l’esigenza, riflessa da tutta la critica moderna, di definire sia le componenti storico-culturali dell’opera di Marlowe sia la loro formalizzazione teatrale. Sul superomismo dei protagonisti marloviani, espressione non tanto e non solo di una proiezione individualistica ma piuttosto di una nuova sensibilità ideologica, è già stato scritto esaurientemente – e basterà citare il famoso libro di Harry Levin Christopher Marlowe. The Overreacher, in cui le implicazioni culturali del discorso marloviano sono colte con grande finezza: «His protagonist in never Everyman, but always l’uomo singolare, the exceptional man whe becomes 1 Per i più recenti sviluppi della problematica critica, rinvio a P. Gulli Pugliatti, I segni latenti. Scrittura come virtualità scenica in King Lear, Messina-Firenze, 1976, e ad A. Serpieri, Otello. L’eros negato, Milano, 1978. Per le prospettive storico-culturali rinvio a V. Amoruso, La Tempesta e le tensioni dell’utopia, relazione introduttiva al Seminario di Studi su L’ultimo Shakespeare (Milano, 10-12 marzo 1979), in via di pubblicazione. 2 S. Rosati, «L’opera drammatica di Christopher Marlowe», in C. MARLOWE, Due Drammi, Napoli, 1962, p.17 2 king because he is a hero, not hero because he is a king; the private individual who remains captain of his fate, until his ambition overleaps itself; the overreacher whose tragedy is more of an action then a passion, rather an assertion of man’s will than an acceptance of God.3» Appunto il riconoscimento della forza dell’ego porta con sé anche la franca accettazione della sfera del privato, delle passioni che esplodono dentro l’involucro della ritualità pubblica regolata da ferree convenzioni, come nell’Edward II, dove i due antagonisti, il re e il suo implacabile nemico Mortimer, risultano poi legati dal filo rosso di una passione (l’uno per il favorito Gaveston, l’altro per la regina) che, lungi dall’essere instrumentum regni, li porta entrambi alla rovina come alla fine di qualsiasi progettazione politica. Il superuomo marloviano trasforma la scena teatrale in luogo di laceranti e cataclismatici processi di conoscenza ideologica e di fermentazione formale. Così, se l’affermazione della individualità e dell’uso privato del potere portano ancora, nell’arco parabolico dell’opera tragica, alla sconfitta dell’eroe, il principio eversivo ha modo di permeare la rappresentazione nella sua totalità, rivendicando l’oltraggioso intento dell’artista. Assai bene Nemi D’Agostino ha colto alcune delle istanze più profonde del teatro marloviano: «Diversamente dallo Shakespeare più maturo, Marlowe non dispone di grandi sistemi ideologici da porre alla base dei suoi conflitti…Il suo è un teatro di idee in quanto egli tende a intellettualizzare le pulsioni profonde dell’Io, che si solleva come Icaro a sfidare la Legge, toccando l’apice eroico- tragico che è insieme il momento della sua rovina. Marlowe crede nella Norma e si esalta nella sua violazione. Ad una forte asserzione della Legge associa una forte asserzione eversiva come se violenza ed energia fossero connaturate nella vita. In questa tensione, che è la vera tensione tragica marloviana, l’individuo può essere colto nella sua pienezza e immediatezza esperienziale ed esistenziale4». 3 H. Levin, Cristopher Marlowe. The Overreacher, London, 1973, p.43. 4 N. D’Agostino, Marlowe, Icaro e la ruota della fortuna, in N. D’AGOSTINO – G. MELCHIORI – A. LOMBARDO, Marlowe – Webster – Ford, Vicenza, 1975, p.13 5 temporali, tra Faustus e Helen, sia che assuma forma più prosaica nelle parole dello stalliere Robin, anche lui impegnato nella sua personale ricerca di libertà. Nello stesso tempo, il sogno del potere illimitato mostra il suo segno eversore e antigerarchico, minacciando attraverso le magie di Faustus, l’autorità suprema, sancita da Dio, di papi e imperatori («Is not all power on earth bestowed on me?, III.iii.153»). In conclusione, l’affermazione di un pensiero scientifico, in parte identificato con le pratiche magiche, diviene nel Doctor Faustus proiezione onirica e favolosa di un mondo che cerca di liberarsi dalle catene del passato, dove ogni rapporto viene sconvolto dalla cifra magica del sogno del potere.7 È solo con The Jew Of Malta che questa coscienza critica e autocritica è veramente posta al centro della struttura drammatica e diventa esplicitamente il nodo problematico dell’avventura tragica. A prima vista, infatti, può sembrare che la caratteristica peculiare del Jew of Malta sia difficilmente armonizzabile col tipo di discorso sulla ideologia marlowiana fin qui condotto, sulla tematica, cioè, presente in personaggi come il Doctor Faustus o come Tamburlaine. L’individualismo monolitico e ribelle proprio di costoro non sembra applicabile all’ebreo di Malta, o con maggior esattezza, ciò che appare mutato è l’atteggiamento e insomma il giudizio dell’autore sul suo personaggio. Mentre a Tamburlaine e a Faustus, all’uno nel trionfo, all’altro nella stessa sconfitta, è assegnato un posto di assoluto e incontrastato spicco nel dramma; nel Jew of Malta, al contrario, a Barabas è destinata una sorte drammatica addirittura farsesca8: si pensi al trattamento ironico che gli viene, all’apparenza fin troppo esplicitamente, riservato. Sembra, insomma, che il testo, proprio per come ci è stato tramandato, testimoni implicitamente o una incertezza costruttiva o un dubbio dell’autore sulla qualità simbolica del personaggio e della sua ideologia fino a una oggettiva scissione di responsabilità, per così dire, nei 7 C.Pagetti, L’immaginazione e il potere, in “Doctor Faustus”: sette ipotesi di ricerca / istituto di Lingue e Letterature Germaniche Libera Università Abruzzese “G. D’Annunzio”, Pescara, pp.9-20 8 Il giudizio, come è noto, fu dato per primo da T.S. Eliot in Saggi Elisabettiani, Milano 1965, pp.19-30. Sugli aspetti comici del teatro marlowiano vedi C. Leech, Marlowe’s Humor in Marlowe, A Collection of Critical Essays, Englewood Cliffs 1964, cit., pp.167-178 6 suoi confronti. Per sciogliere questo dilemma, per capire quanto totalmente anche Barabas sia una creatura marlowiana, basterà sostanzialmente vedere cosa leghi l’ebreo di Malta ai personaggi degli altri drammi, per dimostrare quanto la coerenza del discorso sia più rilevante delle sue apparenti smagliature. E almeno in questo Barabas è identico agli altri, in questa sete assoluta di qualcosa, in questa tensione d’ogni fibra del suo essere, dei suoi sensi, dei suoi pensieri verso un unico, esclusivo, oggetto. Oggetto di questa assoluta tensione è in Barabas non la gloria, non il sapere, non l’amore, come in Tamburlaine o nel Doctor Faustus, ma il denaro. Non qualcosa di antitetico né di totalmente estraneo agli altri “fini”, ma sicuramente appartenente, agli occhi di Marlowe, al grado primo, se non più basso, di quella sfera del ‘particolare’, dell’economico che resta pur sempre il solo orizzonte di tutti i suoi personaggi. Sin dal prologo, l’introduzione di Macchiavelli serve a definire quest’ottica obiettiva e imparziale con cui è guardata la figura dell’ebreo di Malta, la sua etica, la sua visione del mondo. Perciò non serve solo a patrocinare l’ingresso in scena di un suo discepolo. Serve piuttosto a delimitare ancora una volta l’area ideale, l’orizzonte ideologico in cui si muoverà il protagonista. Infatti il cinismo di Barabas, la sua ingordigia di denaro, la sua “avarizia”, non derivano dal suo ebraismo: la logica del tornaconto e del profitto appartiene a Barabas non tanto come ebreo ma come prototipo dell’uomo nuovo, del mercante borghese e, in certi momenti, dell’imprenditore coloniale. Come tale, dunque, è identico ai così detti cristiani. Se Barabas agisce in quel modo, se trama per la morte dei suoi nemici, se desidera solo vendetta, non è perché voglia imporre al mondo la sua filosofia, perché essa non è un parto della sua fantasia ma la norma stessa del mondo. Il rapporto di forza su cui è costruita la società civile.9 William Shakespeare, invece, è stato un ritrattista senza eguali. A lui si devono i personaggi più antipatici e controversi della letteratura 9 V. Amoruso, Lo specchio tragico. Saggio su Cristopher Marlowe, Adriatica Editrice, Bari, 2002, pp.70-84 7 rinascimentale: il barone di MacBeth, Othello, il Mercante di Venezia, lo zio fratricida di Amleto, per citarne alcuni. Quale che fosse la fonte di ispirazione o il finissimo sesto senso del Bardo che lo spinse a descrivere in modo lucido e puntuale i peggiori vizi e difetti dell’umanità, non ci è dato di saperlo. Ma la sua eredità letteraria è ancor oggi di grande attualità e verità. Dunque è lecito chiedersi: ma l’Uomo cambia nel tempo? Par di no, o forse ciò che resta immutata è la morsa della sempiterna lotta fra il Bene ed il Male, che lo costringe a scelte etiche difficili. Shakespeare è lontano dalla prospettiva cristiana e dal concetto di Pietas romana appannaggio di eroi come Enea, assenti dal parterre shakespeariano. Ciò che non manca nello spessore dei suoi personaggi è la concretezza dei loro difetti e dei loro misfatti: tradimenti, inganni, sotterfugi e incantesimi. Un aspetto fondamentale del background drammaturgico del Bardo è la presenza della profezia, di natura celtico-pagana, che si contrappone alla Fede e alla Speranza di matrice cristiana. L’amletico dilemma “essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile nella mente soffrire le frecce e gli attacchi della oltraggiosa fortuna o imbracciare le armi contro il mare degli affanni” (Hamlet, III atto, scena I) è presente nella vita di tutti i giorni nostri; o ancora, la presenza del mostro dagli occhi verdi (la gelosia e l’invidia) di Othello, quando elucubra la vendetta: “al Moro lo dipingerò (Michele Cassio) a lerci colori e ne avrò grazie, amore e ricompense per averlo sapientemente menato per il naso e compromesso la sua pace e la sua quiete fino alla pazzia. Ecco la trama ancor confusa: il vero volto lo si vedrà ad opera conclusa” (Othello – atto II – scena II) fa parte del nostro quotidiano sospetto circa il fidarsi o meno del prossimo.10 Impertinente, amorale, egoista ed ipocrita: questi sono solo alcuni degli aggettivi con cui potremmo descrivere il “villain” o personaggio cattivo, l’antagonista nelle tragedie shakespeariane. C’è un qualcosa di oscuro che attrae l’attenzione del lettore nei confronti dei villain. Questo, solitamente è un personaggio affascinante, tanto bello e seducente quanto letale, che viene, nelle sue forme più estreme, rappresentato come l’anticristo! 10 G. Marengo, William Shakespeare – personaggi e personalità: l’uomo cambia?, www.pugliaexpo.org, 2016 10 maggiormente assimilabili a quelli delle tragedie. Tuttavia, non essendoci spargimenti di sangue, avendo passaggi a tratti decisamente frivoli e stucchevoli e terminando con quello che vuole essere un lieto fine, è stata sempre definita una commedia. E nella figura dell’ebreo Shylock, vero protagonista dell’opera, è insita tutta l’ambiguità che la caratterizza. Il personaggio di Shylock, infatti, è stato al centro di un dibattito tra gli studiosi per stabilire se la commedia potesse essere tacciata di antisemitismo o, diversamente, rivelasse un certo grado di tolleranza verso gli ebrei per lo meno da un punto di vista strettamente religioso. Perché Shylock è sì dipinto come un usuraio, avido e pieno di odio e risentimento, stereotipo alquanto diffuso ai tempi di Shakespeare, ma è pur vero che l’autore gli dà le battute migliori, più pregne di significato, e un monologo famosissimo che è un vero manifesto di uguaglianza tra gli uomini, a prescindere dal loro credo religioso. Analizzando alcune battute che Shakespeare affida a Shylock, resta la sensazione che non lo consideri un villain a tutto tondo. Alla fine della commedia Shylock viene sconfitto e umiliato a causa della sua avidità e ostinazione che, nella richiesta della libbra di carne rivela una crudeltà miope, frutto di un odio che gli ribolle dentro. Ma se si va oltre l’iniziale ripugnanza nei suoi confronti e se si guarda al trattamento che gli riservano gli altri personaggi, assolutamente privi di qualsiasi qualità cristiana di cui tanto si ammantano, un tale risentimento è tutto sommato comprensibile, benché non del tutto giustificabile.15 Anche del Macbeth, come delle maggiori tragedie di Shakespeare, va anzitutto detto che è necessario non ingabbiare – e così snaturare – l’opera nello schema di una definizione psicologica. Troppo spesso, infatti, anche sulla scorta dello psicologismo romantico, si tende a parlare del Macbeth come della tragedia dell’ambizione, allo stesso modo in cui si parla dell’Otello come della tragedia della gelosia e del Re Lear come di quella della ingratitudine filiale. Naturalmente l’ambizione c’è, nel Macbeth, ed è 15 A. Manzini, Cult! Il Mercante di Venezia di William Shakespeare, in Maremosso Magazine, www.lafeltrinelli.it, 2022 11 centrale. I personaggi assumono dimensioni mitiche, risultando non immemori dei grandi archetipi di Lucifero o di Prometeo e, per quel che riguarda Macbeth e Lady Macbeth, di Adamo ed Eva e del loro peccato, della loro grande trasgressione. Vi sono certamente altri temi, qui: l’amore, per esempio, che è una componente spesso trascurata ma che pure esiste – questa è anche una tragedia d’amore, e il rapporto tra i due protagonisti è un rapporto amoroso, che può portare, e porta, alla corruzione morale e al disgregamento anche fisico. Altro tema è la solitudine. I personaggi, attraverso la trasgressione, passano dall’appartenenza a una comunità a una condizione di totale solitudine: quella di Macbeth, simile a una bestia braccata nelle scene finali, quella di Lady Macbeth nella scena del sonnambulismo. E poi la sterilità, la paura, l’angoscia e, soprattutto, il tema del male: un male seguito passo passo nel suo cammino distruttivo, non solo attraverso i personaggi. Un male analizzato nella sua natura, nelle conseguenze che provoca, nelle reazioni che suscita, nei mezzi di cui si avvale per penetrare nel tessuto umano: dall’ambizione all’inganno, dall’illusione alla follia. Siamo di fronte a una rappresentazione agghiacciante, a un incubo che pervade l’intero dramma, riflettendosi e riverberandosi in ogni suo aspetto, dalla scenografia all’azione, al linguaggio. Davvero viene data forma tangibile, nel Macbeth, al male del mondo, viene comunicato il senso pauroso delle potenzialità negative che si annidano nella nostra anima, delle forze che, scatenandosi, possono produrre l’orrendo meccanismo, l’angosciosa prigione in cui Macbeth, come un personaggio di Edgar Allan Poe, rinchiude se stesso. Ecco, dunque, che anche Macbeth è sì un’opera oscura e sanguinosa, in cui il tessuto malefico della natura umana è individuato con angosciosa precisione, ma proprio questa lucida e sgomenta rappresentazione del male, questa consapevolezza della crisi del mondo, questa accettazione della dimensione conflittuale della vita, offre valori che sono precari e difficili ma esistono. Dalla distruzione che Macbeth ha operato nasce pur sempre un mondo nuovo, che è il mondo dell’incertezza e del dubbio in cui l’uomo 12 moderno deve vivere e che deve accettare. In questa accettazione sta l’elemento costruttivo, creativo di un’opera che è pur così disperata.16 BIBLIOGRAFIA CARTACEA • A. Lombardo, L’eroe tragico moderno, Donzelli • C. Marlowe, Il Dottor Faust, Mondadori • C. Marlowe, L’ebreo di Malta, Marsilio • C. Pagetti, “Doctor Faustus”: L’immaginazione e il potere, in “Doctor Faustus”: sette ipotesi di ricerca, Cooperativa Libraria Universitaria Abruzzese, pp.9-20 • W. Shakespeare, Il Mercante di Venezia, Feltrinelli • W. Shakespeare, Macbeth, Feltrinelli • W. Shakespeare, Riccardo III, Garzanti BIBLIOGRAFIA DIGITALE • www.lafeltrinelli.it • www.pugliaexpo.org • www.webnauta.it 16 A. Lombardo, Introduzione di Agostino Lombardo, in William Shakespeare – Macbeth, Feltrinelli.
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