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tesina esame di stato 2017, Tesine di Maturità di Storia

tesina di maturità su Coco Chanel e Mussolini

Tipologia: Tesine di Maturità

2016/2017

Caricato il 12/12/2017

Giulia.Izzo98
Giulia.Izzo98 🇮🇹

4.8

(4)

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica tesina esame di stato 2017 e più Tesine di Maturità in PDF di Storia solo su Docsity! L'estetica femminile tra Chanel e Mussolini Giulia Izzo VF Liceo Classico A. Manzoni Esame di Stato ANNO SCOLASTICO 2016/2017 INDICE 1. Introduzione2 2. Coco Chanel 3 2.1 Biografia 3 2.2 La donna e la moda femminile per Chanel 4 3. Il Duce e il regime Fascista 6 4. La Filosofia della Moda 10 4.1 Il principio della Moda: il nuovo10 4.2 La diffusione della Moda 11 4.3 La Moda e il Corpo 11 4.4 La Moda come ideale di vita 12 5. Conclusione14 Bibliografia e sitografia 15 0 intraprende anche la carriera da costumista per opere teatrali e cinematografiche. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Chanel è costretta a chiudere l’atelier e durante questa assenza, sulla scena si presenta Christian Dior, che mira a recuperare i vecchi canoni, volutamente abbandonati nel corso degli anni da Coco, che torna alla ribalta soltanto nel 1954, con la riapertura della Maison tramite una nuova collezione ispirata al guardaroba maschile. Alla sua carriera, che procede senza problemi, si contrappone una donna ormai stanca, distrutta e soprattutto sola. Gabrielle muore infatti il 10 gennaio del 1971 nella camera di un albergo parigino, lasciando nelle mani dei suoi successori la rivoluzione che lei stessa aveva messo in atto. 2.2 LA DONNA E LA MODA FEMMINILE PER CHANEL Coco, da donna indipendente quale è sempre stata, insegue una certa visione del mondo ed io mi sono chiesta quale questa potesse essere. La risposta che dopo lunghe ricerche sono riuscita a darmi è che Chanel voleva liberare la donna, liberarla dalle costrizioni sociali e dalla sua sottomissione anche nella scelta di cosa indossare: “Ho dato libertà, ho dato braccia, gambe e movimenti naturali”. In questo modo, Coco crea un tipo di donna, ovvero una donna più giovane, più leggera, dinamica, pronta ad affrontare il mondo con la forza che tradizionalmente è sempre stata attribuita agli uomini. Chanel è diretta, spietata, sincera e perfino meschina: insomma, è padrona di se stessa e, al culmine della sua carriera, lo sarà anche di milioni di dipendenti Oltre a Capel, il suo unico vero amore è sempre stato il lavoro; non ha mai voluto una famiglia e questo l’ha portata a diventare ricca, famosa, ammirata, ma soprattutto sola. Infatti come lei stessa dice “Non si fa la rivoluzione quando ci si sveglia felici” e lei è stata una donna che la rivoluzione l’ha fatta per davvero, ponendosi in netto contrasto con la Belle Epoque, la quale costringeva le donne a rinchiudersi in corsetti e a nascondere il loro viso tra le folte piume dei voluminosi cappelli: infatti “l’idea di spogliare una di queste dame era un’impresa da programmare in anticipo come un trasloco”. La donna della Belle Epoque ha una linea sinuosa e slanciata: vita strettissima, un seno spinto in avanti in modo innaturale, a causa di un busto che appiattisce il ventre, enfatizza i fianchi, spinge indietro il bacino, allarga la schiena, facendola inarcare e conferendo alle donne un profilo rigido. Ma Coco odia tutto ciò. Lei è senza seno, senza fianchi, con un fisico da eterna adolescente e in un periodo del genere tutte le donne vogliono essere Chanel. Il suo segreto di bellezza è l’equilibrio: tutto deve essere in perfetta armonia, togliendo sempre qualcosa prima di uscire di casa, al fine di evitare di essere volgari. Il lusso è l’assenza di volgarità, mentre è volgare essere troppo vestite, in quanto questo simboleggia il modo in cui si cerca di mascherare la paura di non essere all’altezza di una qualche situazione. Questa bellezza si traspone nel linguaggio della Maison nell’odio verso tutto ciò che costringe la donna. Chanel idealizza donne magre, asciutte, libere di poter mostrare il loro corpo. Il seno ideale si rimpicciolisce fino alla coppa di champagne; allo scomparire delle curve tanto amate in passato appare l’abbronzatura, che fin dall’antichità ricordava la classe operaia. Dal suo incontro con Balsan stilisticamente deriva l’idea del pantalone femminile da cavallerizza, cioè un indumento creato per adeguarsi al corpo e non viceversa (da qui crea anche capi sportivi, ad esempio tute); mentre dall’incontro con Capel esce il cardigan. Accorcia la gonna sopra il ginocchio, ma continua a detestare la minigonna: “Non abbiamo bisogno di sporcarci ulteriormente le gambe”. Un’altra delle grandi rivoluzioni estetiche è l’introduzione del jersey, che acquistò dall’industriale Jean Rodier e che prima veniva usato soltanto per la biancheria intima. Inoltre fa uso del jersey beige, che era molto inusuale nel vestiario e veniva usato in arredamento. Nel 1913, dopo aver aperto il suo nuovo negozio a Deauville, si ispira alla vita dei marinai per creare abiti ancora più pratici, dettati dal tramonto della Belle Epoque. Nel 1925, dall’incontro con il duca di Westminster nasce il tweed scozzese. Nel 1954, con la riapertura della Maison, crea una nuova collezione, che vede come protagonisti la giacchetta corta e la pochette: per crearla s’ispira al guardaroba maschile, prendendo esempio dalle giacche degli stallieri. Ma le più grandi innovazioni proposte al mondo da Coco sono senza alcun dubbio quattro: • il tubino: destinato a diventare un “must” negli armadi delle donne di tutto il mondo e in tutte le epoche. Simbolo di eleganza e raffinatezza, può essere indossato in ogni occasione e proprio per ciò prende il nome di “passepartout”. Venne confezionato per la prima volta in occasione del funerale di Etienne Balsan, usando tessuti dei vecchi abiti da collegio della stessa Chanel. La fortuna di questo capo, però, si avrà solo negli anni ’60, quando Hubert de Givenchy ne disegnerà un modello per Audrey Hepburn per il film “Colazione da Tiffany”. Questo abito simboleggia la liberazione dalla necessità di indossare capi sfarzosi, ovviamente, per quanto detto prima, considerati molto volgari da Coco. • la bigiotteria: mai usata prima. Rendeva le donne tutte uguali. • Chanel N°5: è il profumo per eccellenza, il profumo che sa di donna e non di rosa. Creato nel 1921 insieme al chimico Ernest Beaux, è destinato a diventare il profumo più venduto della storia, fino al 2011, quando l’eterno rivale di Chanel, Dior, la supererà con J’Adore. E’ il primo profumo sintetico, ideato per resistere sulla pelle e per questo è molto innovativo. E’ formato da 80 ingredienti, compresi muschio e gelsomino, attribuiti generalmente a cortigiane e prostitute. La storia del perché Chanel scelse proprio il numero 5 non è ancora chiara: alcuni dicono che sia stato scelto per la forma simile ad un serpente, altri si riferiscono alla divinità a cinque teste dell’induismo, ma probabilmente venne scelto semplicemente essendo il numero preferito da Coco. • 0 Figura 1: Audrey Hepburn in "Colazione da Tiffany" Figura 2: Chanel N°5 il taglio alla garçonne: “Una donna che taglia i capelli è in procinto di cambiare vita”. Rappresenta la donna dinamica, che lavora e dunque non è schiava della Belle Epoque. Chanel racconta di essersi bruciata accidentalmente i capelli sui fornelli e di aver tagliato il resto per uniformare la testa, ma è evidente che in realtà la scelta della stilista francese sia stata ben meditata e assolutamente non casuale. 2. IL DUCE E IL REGIME FASCISTA Ciò che principalmente caratterizza l’estetica fascista è l’avversione alla moda francese, che però continuerà a dettare legge per tutto il periodo storico preso in considerazione. Il 16 marzo 1919 viene inaugurato a Roma in Campidoglio il Primo Congresso Nazionale dell’Industria del Commercio e dell’Abbigliamento con lo scopo di liberare l’Italia dal dominio parigino. A questo proposito, Lydia de Liguoro fonda la rivista Lidel (Letture, Illustrazioni, Disegni, Eleganza, Lavoro), nella quale vengono convinte le donne a preferire modelli italiani, vengono incoraggiate ad usare nomi italiani per le case di moda, viene favorita la pubblicazione di modelli italiani sulle riviste e si cerca l’affermazione della moda italiana sui mercati esteri. Queste iniziative sono ben accolte dal Duce, che le vede come necessarie per l’affermazione della Nazione nel mondo. Nel 1920, viene affidato a Marinetti il compito di difendere la naturalezza del corpo, in quanto l’artificio non crea desiderio sessuale negli uomini. Nel 1924 viene creato il Primo Sindacato di alta moda italiana che si occuperà di mostrare i modelli italiani alla fiera campionaria di Milano e solo quattro anni dopo, due riviste, “Fantasie d’Italia” e “Foemina”, la prima italiana e la seconda francese, presentano al Lido di Venezia i loro modelli e questo segna un momento importante per la moda nazionale: è il primo momento in cui l’Italia scende esplicitamente in gara con la Francia. In questo periodo vengono creati i Grandi Magazzini, ovvero negozi dedicati esclusivamente alla vendita. Un esempio comunemente noto è La Rinascente, creata dai fratelli Bocconi, i quali vendettero la loro attività alla famiglia Borietti, che cambiò il nome sotto consiglio di D’Annunzio. Per lanciare la moda italiana, il regime, aspira a realizzarla in primo luogo tra la famiglia reale e quella di Mussolini: ad esempio con il matrimonio di Umberto di Savoia e Maria Josè del Belgio e le nozze di Galeazzo Ciano ed Edda Mussolini. Partendo da qui, la volontà di creare una moda italiana ha una matrice nazionalistica, ma in seguito il fattore economico prende sempre più piede. Come già detto, lo scopo dell’Italia è quello di distaccarsi dalla Francia, dunque, Mussolini, in netta opposizione alla donna androgina, chiamata anche “donna crisi”, dà il compito ai medici di creare una politica del corpo. Tra i più fedeli alla politica del regime si trova l’endocrinologo Nicola Pende che individua un’altezza e un peso ideale: 1,56\1,60 cm e 55\60 kg. Il motivo fondamentale di questa decisione è che le donne sono le prime responsabili del miglioramento della razza e perciò Mussolini vu ole assicurare all’Italia una nuova stirpe, robusta e forte. Figura 3: Chanel con il taglio alla garçonne Figura 4: Benito Mussolini 4. LA FILOSOFIA DELLA MODA 4.1 IL PRINCIPIO DELLA MODA: IL NUOVO Il concetto fondamentale della moda è il nuovo, anche visto come l’eterno ritorno del nuovo, non inteso come un miglioramento di ciò che è stato prodotto in precedenza, ma semplicemente inteso come rinnovamento del passato. E’ Kant ad individuare nel “nuovo” il tratto essenziale della moda; infatti, laddove i filosofi precedenti l’avevano connessa alla bellezza, lui afferma che essa non ha nessun bisogno di avere a che fare con il bello, ma anzi può degenerare nello stravagante e in parte nell’odioso. Baudelaire descrive ogni singola moda come uno “sforzo per raggiungere il bello”, cioè uno sforzo di trovare una sintesi tra il transitorio e l’eterno. Il che può valere anche per il nostro tempo, laddove si concepisca l’eterno come lo stesso transitorio e cioè come non altro che l’incessante transitare di tutte le cose. Il gusto esclusivo della novità, però, mostra il decadimento della capacità critica, perché non c’è niente di più facile che valutare la novità di un’opera. E’ chiaro che ogni espressione che presuma di essere originale è in realtà incapsulata in un contesto di ripetizioni. Come dice, infatti, Lars Svendsen “quando un creatore di moda fa qualcosa di nuovo, si accorgerà che la copia è sempre presente come premessa sottesa dell’originale”. In tal modo però, interverrei criticamente, presupponendo che la storia (del mondo e perciò anche della moda) produca sempre e solo ripetizioni, come se il senso della medesima sussistesse in sé, platonicamente, al di fuori di essa. Chiaro che, se così stessero le cose, nessuna novità autentica sarebbe davvero possibile, se non in termini di mera accidentalità. Ma non è a questo tempo “biologico” che si riferisce la modernità e l’attualità, bensì ad un tempo “storico”, in cui l’uscir dal nulla del novum è garanzia metafisica di imprevedibilità e di non ripetitività. Lo scopo della moda è creare incessantemente il nuovo, oltrepassando ciò che è stato creato. Questa necessità (la stessa in cui consiste il divenire) impone una rapidità sempre maggiore e ciò comporta che l’”oggetto” si costituisca come illimitatamente manipolabile, cioè infinitamente innovabile, stante il potenziale infinito che l’ancor nulla garantisce alla moda come ad ogni altra convinzione del mondo, ricreandosi come ciclo, tanto da ritrovarsi in una situazione in cui gli stili si sovrappongono. Dunque, sarà dunque legittimo, come scrive Svendsen, usare l’espressione eterno ritorno del nuovo, che non si risolve in una contraddizione solo in quanto non ritornano i contenuti (sempre diversi), ma la loro forma, cioè la loro novità. Sempre Svendsen rilleva che “il criterio tradizionale della moda è la logica sostitutiva, che viene oltrepassata dalla logica suppletiva: il primo dice che uno stile si sostituisce al precedente, il secondo afferma che tutte le tendenze sono riciclabili e una moda nuova non si propone di sostituire le precedenti”. Secondo l’autore, se ne ricava che la moda ha uno sviluppo circolare e non lineare, dunque, secondo Svendsen, non si potrà mai arrivare ad un apice della moda, poiché se un giorno venisse creato un abito perfetto, verrebbe meno il suo concetto fondamentale, ovvero la novità. Anche in una dimensioni così apparentemente “frivola” è ribadito il primato del divenire sull’essere. 0 4.2 LA DIFFUSIONE DELLA MODA Al centro dell’argomentazione c’è la teoria del drop down: gocciolamento verso il basso. L’innovazione, dice Svendsen, ha luogo nei livelli sociali altolocati e si diffonde poi verso il basso, facendo leva sull’aspirazione a innalzarsi degli strati inferiori, con la conseguenza, però, che questi ultimi restano sempre in posizione arretrata. Si tratta perciò di mostrare il proprio status sociale e in merito a ciò si possono evidenziare due principi d’azione: la differenziazione all’interno della medesima classe e l’imitazione di quella superiore. Tutte le mode sono allora mode di classe e quanto più velocemente evolve la moda, tanto più a buon mercato saranno gli oggetti di moda, e quanto più economici essi sono, tanto più rapidamente la moda muterà. Man mano che gli abiti vengono imitati dai ceti inferiori perdono il loro valore di esclusività e si devono sostituire con nuove mode che possano funzionare da demarcazione di classe. Il ceto abbiente è pertanto la forza motrice dello sviluppo estetico, mentre gli strati più bassi copiano passivamente lo stile di quelli superiori per potersi identificare con essi e la classe media fa da tramite. Si potrebbe dire che lo scopo delle distinzioni di classe sia creare condizioni di scarsità, in modo che i meno abbienti ne restino esclusi. Noi supponiamo in genere che i nostri gusti siano autonomi e indipendenti, laddove invece, oltre a radicarsi in una certa epoca storica si legano anche ad un determinato ceto; questo significa che, se le nostre “scelte” in generale sono sempre necessariamente vincolate al gusto dell’epoca di cui siamo figli, nei particolari può si darsi libera scelta di spettro più o meno ampio, un tempo più ristretto, quando le regole erano più vincolanti, oggi meno, tuttavia restando legati a certi canoni che sono dettati dall’epoca in cui ci troviamo a vivere. In tal modo correggeremmo la rigidità con cui Pierre Bourdieu afferma che, “in nessun modo il gusto può essere soggetto al libero arbitrio, fino a sostenere che la scelta tra Prada e Zara è obbligata”. 4.3 LA MODA E IL CORPO Secondo Svendsen, la costruzione dell’identità personale passa anche ed essenzialmente attraverso una progettazione del corpo. Questo può essere osservato chiaramente ad esempio tramite la dieta dimagrante, con l’obiettivo di eliminare il grasso considerato indice di pigrizia. La dieta, sostiene, non è desiderio di modellare l’anima, come la prospettiva della tradizione platonico-cristiana esprimeva, bensì nell’intento di modificare il corpo, il quale con il tempo ha conquistato una posizione più centrale. Esso viene dunque assunto della moda come oggetto privilegiato, e di conseguenza diamo lo stesso valore agli abiti, attraverso i quali ricerchiamo la nostra identità, essendo ciò che più si avvicina al corpo. Per quanto detto prima, apparentemente si sceglie in libertà di sostituire il grasso con i muscoli, ma è evidente che tale scelta avviene nell’ambito di un processo di interiorizzazione delle norme sociali. Ci viene presentato un ideale di io corporeo che sarà irraggiungibile per tutti; il corpo diventa allora un elemento perennemente inadeguato, in quanto l’ideale viene sottoposto ad un costante cambiamento, fino ai limiti più estremi, in modo che chi abbia raggiunto un determinato prototipo, presto si vedrà non all’altezza del successivo modello. 4.4 LA MODA COME IDEALE DI VITA L’identità è uno dei concetti chiave nella descrizione della funzione della moda. Non a caso l’attenzione generale del mondo si è focalizzata sulla realizzazione del sé, per realizzare se stesso. L’individuo è in realtà una costruzione sociale sorta ad un certo punto della storia e come tale può sparire. Le tradizioni danno stabilità, però durante il processo di modernizzazione si sono dissolte sempre di più e in loro mancanza siamo diventati dei costruttori di stili di vita (a differenza delle tradizioni, essi si scelgono), nel tentativo di plasmare un significato e un’identità. Gli individui sono sempre indotti a costruire la propria identità, utilizzando i mezzi che ciascuno ha a sua disposizione, non potendo contare su un io che si manifesta da solo. Si tratta in ogni caso di scelte obbligate. Dobbiamo optare per uno stile di vita che farà della nostra preferenza una decisione estetica fondante. L’estetica, pertanto, diventa il centro di formazione della nostra identità. Al campo del fashion è stata assegnata la missione di risparmiarci la fatica di doverci creare come opera d’arte, offrendoci un pacchetto pronto. Oscar de la Renta dice: “un tempo i creatori di moda realizzavano e vendevano solo vestiti, ora vendiamo uno stile di vita al mondo intero”. La moda, dunque, si colloca sempre in una zona compresa tra l’individualismo e il conformismo, poiché è difficile marcare la propria individualità non essendoci spazio per variazioni consistenti. E’ di particolare rilevanza la figura del dandy, che prediligeva abiti dalle forme semplici, ma confezionati con stoffe pregiate. La sobrietà, allora, divenne un ideale estetico nel segno del perfezionismo, da preferirsi all’eccesso, analogamente a quanto detto per Coco Chanel. Ma il dandy non è mai altro che una corrente mutevole di maschere e di conseguenza non diventerà mai se stesso. Il filosofo Paul Ricoeur distingue nel sé due aspetti dell’identità: l’identità idem e l’identità ipse. La prima ha l’idea di restare la stessa persona pur passando attraverso cambiamenti; la seconda riguarda il fatto che l’individuo è una creatura riflessiva in grado di relazionarsi con se stessa. Ricoeur insiste che entrambe le identità sono imprescindibili perché esista un io. Il sé di moda è un sé iperriflessivo, che in quanto tale soddisfa la richiesta dell’identità ipse, ma non essendo altro che un flusso di figure sempre nuove, è un sé che minaccia l’identità idem. Gli individui sono sempre più costretti a creare il proprio racconto di sé, dato che i racconti collettivi non hanno più una grande capacità di supporto. Questa identità è guidata dagli abiti. Ma come si fa a sottrarsi alla moda? Chi realmente vuole prendere le distanze da essa vestendosi all’antica, non sarà altro che determinato dalla moda stessa poiché non farà altro che negarla. Viene dunque definito fashion victim. L’ideale sta nello sforzo di ottenere un’indipendenza relativa alla moda, basata sul riconoscimento della sua forza nella vita quotidiana e parimenti sulla consapevolezza della sua caducità, nel non assoggettarsi alle sue mutazioni senza riparo. Ogni uomo ha la libertà di realizzare se stesso, ma ognuno è un individuo che vuole sempre essere diverso dalla persona che è, ma che mai diviene la persona che desidera essere perché non ha nessun concetto positivo di chi vuole essere. 0
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