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Tesina Movimento Architettonico Hight Tech, Tesine universitarie di Storia Dell'architettura Contemporanea

Tesina molto dettagliata sul movimento High Tech e analisi di tre importanti fugure quali: Renzo Piano - Santiago Calatrava - Norman Foster

Tipologia: Tesine universitarie

2019/2020
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Caricato il 23/01/2020

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matteo-silveri 🇮🇹

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Scarica Tesina Movimento Architettonico Hight Tech e più Tesine universitarie in PDF di Storia Dell'architettura Contemporanea solo su Docsity! Architettura High-Tech -Introduzione -Cap 1: Modelli Culturali di riferimento 1.1 L’ingegneria dell’architettura e le costruzioni in vetro e acciaio 1.2 Tecniche costruttive: ponti 1.3 Le tensostrutture 1.4 Il superamento del movimento moderno -Cap 2: High Tech, idee, concetti, caratteristiche architettoniche -Cap 3: Tre protagonisti dell’High Tech a confronto - Norman Foster - Santiago Calatrava - Renzo Piano -Cap 4: Analisi di due opere per autore 4.1 Le opere di Norman Foster: -4.1.1 Hong Kong Bank, Hong Kong, 1986 -4.1.2 Hearst Tower, New York, 2006 4.2 Le opere di Santiago Calatrava: -4.2.1 Stazione Oriente, Lisbona, 1998 -4.2.2 Milwaukee Art Museum, Milwuakee, 2004 4.3 Le opere di Renzo Piano: -4.3.1 Sede B&B Italia, Novedrate, 1973 -4.3.2 London Tower Bridge, Londra, 2012 Indice 2006; Santiago Calatrava: Stazione d’Oriente, Lisbona, 1998; Milwaukee Art Mu- seum, Milwaukee, 2001; L’analisi verrà svolta partendo dai dati oggettivi principali dell’opera; seguiranno funzioni, citando riferimenti storici e scelte tipologiche riguardanti i materiali usati, dando uno sguardo anche alle tecniche costruttive e di progettazione, - Nel quinto capitolo viene affrontata l’analisi dettagliata del Centre Jean-Marie Tjibaue del 1998 ad opera dell’architetto Renzo Piano. Nell’ultimo capitolo viene messo a confronto un oggetto di design il quale presenta similitudini con un’opera per ciascuno degli architetti precedente- mente analizzati: Renzo piano: Whitney Museum, 2015, NY; Whitney Bag per Max Mara, Max Mara- Renzo Piano, 2015; Santiago Calatrava: Stazione Medio Padana, Reggio Emilia, 2013; Superon- da, Archizoom, 1966; Norman Foster: 30 st Mary Axe, Londra, 2004; Lava Lamp,Edward Craven Walker,1963; Capitolo 1: Modelli culturali di riferimento L’ingegneria dell’architettura e le costruzioni in vetro e acciaio Quando parliamo di Ingegneria dell’architettura ci riferiamo ad una discipli- na cresciuta nel corso dell’800, che portò forti innovazioni stilistiche e nuove possibilità di progettazione dovute alla rivoluzione industriale e all’avanza- mento delle tecniche di produzione dei materiali, che incisero direttamente nel campo delle costruzioni. Come in ogni altro settore si ebbero due grandi categorie di “prodotti”, quelli tradizionali, ma realizzati con le nuove tecniche, e quelli del tutto nuovi sia perché nati in risposta a nuove esigenze, sia perché attuabili solo grazie alla moderna tecnologia. Questa nuova tendenza avveniristica riuscirà, grazie alla sua matrice tecno- segnando la più chiara svolta tra il passato e il presente (nella storia dell’ar- chitettura), investendo in tre grandi campi d’applicazione: quello dei ponti multi-piani a scheletro metallico. Mentre il “principio” della costruzione a scheletro è un invenzione 1.1 Crystal Palace, Londra 1851 prevalentemente tecnica, la progettazione delle strutture in ferro non presen- rappresentando al meglio l’espressione “l’ingegneria dell’architettura”. Sebbene sono pochi i precedenti settecenteschi (la costruzione del Tèàtre Francais del 1776), questi organismi costruttivi generano e si applicano a una varia tipologia edilizia che si afferma e sviluppa nel pieno dell’Ottocento. Basti pensare alla varietà di serre, di mercati coperti, ai grandi magazzini, alle stazioni ferroviarie e agli impianti per le esposizioni universali ecc... - lais Royal a Parigi costruita da Fontanie nel 1829 come il primo esempio delle gallerie pubbliche ottocentesche; le serre botaniche di Rouhault,il Jardi D’Hi- ver a Champs Elysées realizzato nel’47 quale fusione,appunto, di una grande Fra le principali stazioni ricordiamo la Euston Station ‘46 e la King’s Cross del ‘52 a Londra; la Gare du Nord Parigi ‘62 e la Anhalter Bahnof Berlino ‘78; la stazione di Francoforte anticipatrice della celebre Halle des Machines dell’Expo Parigi 1889. Un altro campo di applicazione delle coperture in ferro e vetro si ebbe nei mercati coperti, dei quali i più noti sono quello della Madeleine Parigi del ‘24, Hungerford londra ‘35; e ancora le Grandes Halles di Parigi che fecero della capitale francese il modello urbanistico a cui si ispirarono tutte le città europee. Torre Eiffel, Parigi 1987-89 La storia della costruzione di queste opere è databile nel 1826, quando fu ter- minata la costruzione, in Inghilterra, del grande ponte sullo stretto di Menai realizzato per collegare l’isola di Anglesey con la terraferma. affrontare il problema del dimensionamento al vento dei ponti di grande luce avvenute dopo il crollo di molti ponti proprio a causa di tempeste di vento come il ponte Wheeling Bridges, portarono alla formazione di nuovi approcci e tecniche di costruzione. Proprio sulla base di queste esperienze Roebling grande passo avanti nella costruzione dei ponti sospesi in quanto dimostrò come il peso e l’uso di rigide strutture reticolari per la travata fossero ingre- dienti fondamentali per la loro sicurezza. Tali esperienze vennero utilizzate nel suo successivo progetto del grande ponte di Brooklyn, 487 m. costruito nel 1883 sull’East River tra Manhattan e Long Island. Un altro esempio di ponte costruito con la concezione del dimensionamen- to rispetto al vento è rappresentato dal Forth Bridge che con la sua enorme - guardi delle azioni del vento. Ponte sullo stretto di Menai, Galles,1826 Il secondo periodo della storia della costruzione dei grandi ponti è caratte- prima vera applicazione del calcolo strutturale del tempo è quello realizzato nell’East River a New York con il ponte Williamsburgh costruito nel 1903 con una campata centrale di 488 m. Successivamente furono costruiti il G. Wa- shington 1931 (1066 m.), il Golden Gate 1280m 1933, e ancora il Tacoma Narrows bridge, della luce di 853 m, costruito nel 1940. Ponte di Brooklyn, New York, 1883 Ponte Forth, Scozia,1889 Grande impulso ebbero gli studi sull’aerodinamica dei ponti dopo il disastro del Tacoma, ennesimo ponte crollato per l’azione del vento. Grazie agli studi aeroelastici compiuti in Aeronautica sulla dinamica dell’ala vennero opportu- namente trasferiti alla dinamica dei ponti sospesi. Ponte Williamsburgh, New York,1903 Ponte Verrazzano, New York, 1964 la ricerca teorica e le prove in galleria del vento operano in piena simbiosi. Tra i grandi ponti realizzati in questo periodo c’è lo splendido ponte di Ver- razzano (1964) posto all’ingresso della baia di New York e quello sul Tago, a struttura simile a quella del Verrazzano, realizzato vicino Lisbona nel 1966 da Steinmann. Un primo esempio di struttura a rete di cavi fu costruita in North Carolina, USA, progettata dall’ingegner Fred Severud e dall’architetto Matthew Nowicki nel 1952; si trattava del Raleigh Livestock Arena. La rete di cavi ha una luce massima di 95 m con due grandi archi inclina- ti di 20° sull’orizzontale. Molto importante è il ruolo degli archi; essi hanno una funzione sia statica che cinematica, infatti scaricano a terra le forze che vengono dalla rete ben sopportando quindi gli sforzi di compressione che si sviluppano, inoltre con la loro particolare forma e inclinazione permettono alla rete di assumere una doppia curvatura, tipica di queste strutture. Facilmente si può individuare la doppia funzione dei cavi fornita loro dalla curvatura: la prima serie di funi presenta concavità verso l’alto e sono quelli che aumentano la tensione assorbendo il carico quando questo viene appli- cato; la seconda serie di cavi, ortogonale alla prima, ha la concavità in senso perderebbe a causa della pretensione (tendono a tornare in congurazione orizzontale piana). Raleigh Livestock Arena, Raleigh,Matthew Nowicki,1952 Un’altra realizzazione riguardante le reti di funi si trova a Montreal, Canada, dove in occasione dell’esposizione universale del 1967 fu eretto il padiglione della Germania, ad opera di Frei Otto in collaborazione con l’architetto Rolf Gutbrod. La struttura presenta pianta irregolare, libera che ben rappresenta - sata alla rete di funi e sostenute da alberi di altezza e inclinazione variabili. La membrana è formata da una serie di li tessuti immersi in una pasta polimerica (in poliestere rivestiti in PVC). Padiglione Expo tedesco Montreal, F.Otto, 1967 Le due strutture appena presentate danno una buona visione degli estremi cui si può giungere in termini di forma: la prima, il Raleigh Livestock Arena, rappresenta l’estremo più semplicistico, una semplice rete di funi a doppia curvatura e pianta sostanzialmente regolare; la seconda, il padiglione te- desco, è diametralmente opposto, rappresenta il culmine dell’asimmetria e della non regolarità. Nel mezzo si posso trovare delle categorie sotto cui far ricadere le tensostrutture a seconda del prevalente tipo di forma e metodo di sostegno che impiegano. Queste categorie (e quindi forme) sono quattro: strutture con forma di cono, di sella sostenuta da archi, la hypar e la ridgalley (traducibile in italiano letteralmente in vette e valli). Padiglione Expo tedesco, Montreal, F.Otto, 1967 Interno della Raleigh Livestock Arena, 1952 La unhouse è dunque il negativo di una casa un invisibile e tuttavia concre- tissima non casa fatta di tubature, condotte, scoli, canaline, cavi, interruttori, spine antenne, derivanti dagli impianti di riscaldamento, elettrici, acqua ecc; una non casa che per Banham prova il dominio effettivo della technologia do- mestica, la già esistente sottomissione dell’hardware della forma al software rappresentato dallo svolgersi delle sue attività. Questo scenario futuribile è disegnatore, scrittore statunitense. Per lui, solo gli architetti erano in grado di comprendere e navigare le complesse interrelazioni tra società, tecnologia e ambiente viste attraverso il paradigma completo della teoria dei sistemi. L’ar- chitettura, in questo modello, era destinata a esistere a stretto contatto con l’umanità e la natura, giocando il ruolo più critico della civiltà nell’elevare lo stato dell’umanità e promuovendo la sua gestione responsabile dell’ambien- te. Emergendo dalla positività etica del modernismo del dopoguerra, questa prospettiva melioristica segna forse lo zenith dell’ascesa dell’ottimismo nel pensiero della metà del ventesimo secolo dando a Fuller un modello morale - - Padiglione statunitense Expo Montreal, B.Fuller, 1967 Buckminster Fuller e la sua cupola geodetica ne degli Stati Uniti per l’Esposizione Mondiale del 1967. Per quasi vent’anni, Fuller aveva perfezionato i suoi progetti di cupole geodetiche, disseminando - stantemente la sua notorietà professionale e popolare. La sua ossessione per - za materiale, l’integrità strutturale e la modularità, gli ingredienti chiave di quello che sperava sarebbe diventato un intervento progettuale sostenibile e facilmente replicabile. Distribuendo queste cupole ovunque, dai ristoranti alle strutture militari, la struttura versatile divenne singolarmente associata a Ful- ler. Etichettato da Banham come il “cavaliere senza macchina del futuro giun- di “Fun Place” , il gruppo dei Metabolist ma soprattutto in Gran Bretagna con il gruppo Archigram. Quest’ultimo, il quale atteggiamento era strettamente legato all’ideologia tecnocratica del designer architetto americano Fuller, ini- Nakagin Capsule Tower del gruppo Metabolist, Tokyo 1970 ziò a progettare immagini neofuturiste, e il successivo approccio “High-Tech”, leggero, basato sulle infrastrutture li condusse, in modo piuttosto paradossa- le, a indulgere a forme ironiche da fantascienza piuttosto che a progettare soluzioni che fossero davvero indeterminate o suscettibili d’essere comprese e fatte proprie della società. Ne sono testimoni le numerose provocazioni realizzate (da Archigram) come Walking City, Plug City o Istant City. Questo tipo di megastruttura era derivato dell’evoluzione delle varie costruzioni in- novative che avevano iniziato a diffondersi da metà 800, con l’avvento della cosiddetta ingegneria dell’architettura. Illustrazione del gruppo Archigram “A walking City” ragente con l’esterno, luce e materia sono da considerare elementi fondamentali in fase progettuale. Altro esempio esplicativo può essere rap- presentato dalla Hong Kong and Shanghai Bank di Foster il quale emergeva in for- te contrasto con il “packaging” postmo- derno dei grattacieli in voga nel periodo. riesaminata nei termini di pianta aperta e di articolazione della struttura e dei servi- zi meccanici. L’abituale concezione di una serie di piani intorno a un nocciolo centrale venne fatta esplodere in un sistema aperto per ospitare un atrio verticale al centro e per proporre una nuova visione dello spa- zio di lavoro nell’era della comunicazione elettronica. Questi nuovi approcci proclamano aperta- mente con il loro aspetto che dissuade da ogni mentalità o monumentalità tradizio- nale, che il nostro tempo non è più quello della durata e la nostra cultura è caratte- Hong Kong Shangai Bank Norman Foster, 1986 Dettaglio della struttura portante del Centre Pompidou rizzata ora dalla rottura delle molecole culturali e dal loro ricombinarsi in pro- dotti di sintesi. Essi infatti sembrano consistere tuttavia in una provocazione - mente alternativa, com’era nel caso delle neoavanguardie degli anni 60/70. Ciò che la contraddistingue dalla - siede nell’intrinseca costruttività ma nell’approccio con il mondo della produzione. Utilizzo di materiali prefabbricati, la rapidità di esecuzione sono valori ri- cercati, quasi enfaticamente impo- sti. Con gli ulteriori sviluppi tecno- logici degli ultimi anni, e quindi con “intelligenti” supportati da tecnologie eco-sostenibili, si sono notevolmente - caratterizza gli inizi dell’industrializzazione, secondo cui la produzione mecca- Si può comprendere da queste considerazioni l’estrema riduttività del termine High Tech impiegato di norma per incasellare il Centre Pompiduo e gli altri che si presenta però nel tracciare un percorso tra autori e opere della secon- l’indizio della presenza di certi elementi è dunque quella di ridursi a fare una storia dell’asservimento della tecnica alla logica del sistema della perfetta cor- rispondenza tra le due componendi in gioco: high-technocracy anziché high technology. Fondazione Cartier, J.Nouvel, 1992 Sainsbury Centre for Visual Art, N.Foster, Sainsbury, 1978 Careé d’Art, N.Foster, Nimes, 1993 High-Tech, poniamo a confronto tre fra i maggiori esponenti, evidenziando gli aspetti comuni e non del pensiero architettonico che avvolge le loro opere. Capitolo 3: Tre protagonisti dell’High Tech a confronto Norman Foster Realizza con il Team 4, in cui partecipa anche Richard Ro- - sono considerare high-tech negli anni ’60, rimasto affa- scinato e ispirato dagli utilizzi della tecnologia in strutture rivoluzionarie come il Crystal Palace. Utilizza per gran parte della sua carriera un approc- cio radicalmente High-Tech, realizzando architetture innovative e al pieno servizio dell’usufruitore, attente a soluzioni ecologiche e che sappiano sfruttare a pieno le risorse dell’ambiente in cui vengono imple- mentate, utilizzando un’estetica avanguardistica in cui la struttura portante e gli elementi tecnologici vengono messi in evidenza, e ciò lo si può riscontrare in opere come il Sainsbury Centre for Visual Art o il Carré d’Art di Nimes. quanto attinge gran parte dell’ispirazione dall’ambiente in cui l’opera andrà a inserirsi, cercando di rendere il processo più “delicato e indolore”, trovando la soluzione nella ricerca della leggerezza. Tuttavia si possono trovare linee comuni nei metodi realizzativi, tali infatti sono basati sui principi High-Tech: cerca spesso di mettere in mostra la struttura estetica, utilizza tecniche e tecnologie moderne abbinate ai materiali migliori scelti tramite una ricerca accurata, e si pone spesso l’obiettivo di implementa- re alle sue opere caratteristiche che offrono soluzioni a temi importanti quali l’ecologia e il risparmio energetico, l’impatto ambientale dei processi costrut- sostenibili. Nemo Museum, R.Piano, Amsterdam, 1997 Centre Georges Pompidou, R.Piano,Parigi, 1971 Santiago Calatrava Lo stile di Calatrava combina la concezione visuale dell’architettura con i prin- cipi delle tecniche dell’alta ingegneria. E’ noto che Calatrava fù ispirato inizial- mente da alcune opere dello svizzero Le Corbusier, la cui cappella Notre Dame du Haut, per esempio, gli fece rendere conto di come le forme complesse possano essere usate in architettura. I suoi lavori sono infatti caratterizzati da forme astratte, reticolati complessi, strutture imponenti e sostegni che si Notre Dame du Haut, Le Corbusier, Ronchamp, 1955 basano su contrappesi, come ci mostra ad esempio il ponte Alamillo; La sua estetica però ad un’attenta analisi è tutt’al- tro che astratta e casuale, e rivela una linea ben precisa di progettazione e disegno, che parte dall’osservazione della natura, fonte principale di ispirazione, e in particola- re dallo studio dell’anatomia del corpo animale e umano, Ponte dell’Alamillo, S.Calatrava, Siviglia, 1992 - diglione che fa parte del suo Centro delle Arti e delle Scienze di Valencia. Le sue realizzazioni infatti richiamano solitamente queste forme, e si appoggiano a strutture che ricordano uno scheletro, evidente in diverse opere, proprio - - noto come architetto, Calatrava è anche un abile scultore e pittore, arti a cui - to con le sue opere vuole rispondere ai bisogni e ai problemi della comunità che richiede un suo intervento, ponendo attenzione a temi come lo sfrutta- mento delle risorse ambientali circostanti che favoriscano il risparmio ener- getico e la sostenibilità delle sue strutture, aggiungendo però ogni volta una profonda espressione di se stesso come accade solitamente, appunto, nella Hemisfèric, S.Calatrava, Valencia, 2007 L’ideazione degli spazi interni In architettura, spesso, ciò che colpisce di più uno spettatore occasionale e scordandosi di cosa viene svolto al suo interno e di che ruolo effettivo abbia nella comunità, assegnadogliene uno semplicemente per la forma che ricor- da, anche in relazione all’ambiente circostante. Gli spazi interni hanno invece un ruolo centrale e fondamentale, essendo il - vorativo, commerciale etc., e devono essere considerati al pari di ogni altro elemento di un progetto anche perché l’unico, solitamente, con cui l’usufrui- tore del servizio entra in diretto contatto. Lo sanno bene gli architetti, soprat- modo possibile la richiesta di questi servizi e l’esperienza del loro consumo; si distacca però da questo ragionamento Santiago Calatrava, il quale invece parte della funzionalità delle sue strutture; sfruttando l’assegnazione di un maestosi, ma legati strettamente alla funzione che gli è stata preassegnata l’innovazione, più che nelle possibilità che offrono i suoi spazi, nei metodi con cui vengono illuminati, riscaldati o per esempio protetti dalle intemperie. Viste di interni di due opere di Calatrava, il Milwaukee Art Museum a sinistra e la galleria di Toronto a destra High-Tech, modellando le sue strutture in base all’utilizzo che si farà degli spazi interni e dandogli un ruolo prioritario; molto spesso realizza anche edi- ad uso commerciale, similmente a Piano crea spazi che non abbiano divisio- struttura ruota intorno ad una grande hall centrale che accoglie il pubblico e lo immette, tramite scalinate centrali, in spazi secondari basati sulle idee di comfort e partecipazione. Viste di interni di due opere di Renzo Piano, il famoso centre Georges Pompidou a sinistra e il suo Building workshop di Vesima, Punta Nave Viste di interni di due opere di Norman Foster, il Lloyd’s Building a sinistra e la HSBC tower a destra Capitolo 4: analisi di due opere per autore 4.1 Norman Foster: Hong Kong 1986. Quando nel 1978 vinse il concorso per la ricostruzione della vecchia sede della Hong Kong & Shanghai Bank (oggi Hong Kong Bank), Foster era agli inizi della sua carriera: non aveva mai progettato una banca, non aveva mai realizzato un grattacielo e non aveva mai lavorato a Hong Kong; nonostante questo, realiz- zò uno dei più originali, provocatori e allora, dando un fondamentale impulso alla nascita dell’architet- tura high-tech. Il progetto non era semplice perché condizione tassativa del concorso era quella di mantenere in funzione la vec- chia sede mentre si costruiva, sulla stessa area, quella nuova. Foster e i suoi collaboratori stu- diarono perciò un sistema di “ri- strutturazione progressiva” che prevedeva di costruire una nuo- va struttura sopra il complesso precedente e poi, eventualmen- te, di espanderla verso il basso sino a coprire l’intero lotto. Da questa idea ingegnosa nac- - si assomigliava a una serie di ponti sospesi l’uno sull’altro. La Pianta pianterreno Pianta primo piano dP_ <P iMlg A Î a ppi n! - pUPESÙ ni op a[] K IL i (sea | | ff EIEÈ i J È L ga 8B0%0 QOaEanE Sa 800 QeaeeEs NN 3 o ° DO V N si Di La È Hi n Pianta terzo piano Foto degli interni della Hearst Tower St. Mary Axe che incornicia diagonalmente le grandi porzioni di vetrata, dise- gna un modulo a forma di diamante. Non si tratta di una mera scelta estetica. Le forme triangolari hanno infatti consentito un risparmio di acciaio del 20% in meno rispetto alle quantità utilizzate per una tradizionale struttura. La tor- re Hearst consuma inoltre il 25% di energia in meno rispetto ai tradizionali grattacieli newyorkesi. Un record in termini di risparmio energetico, che è per il rivestimento esterno consente la penetrazione della luce naturale e pro- stati installati, su ogni piano, dei sensori che regolano l’intensità della luce Il tetto del grattacielo è stato inoltre progettato in modo che fosse in grado di raccogliere il 25% dell’acqua piovana. Quest’ultima viene convogliata in acqua. Tale sistema consente di soddisfare la metà del fabbisogno dell’intero rinfresca in estate. Pianta della lobby Sezione laterale della lobby La continuazione della strada, che prosegue per 152 m oltre la stazione, rinforza l’impressione di potersi muovere facilmente da un tipo di sistema di trasporto all’al- tro. Come nei progetti di Zurigo e Lione, la relazione reciproca tra luogo-progetto ce la crea la sensazione di romanticismo che avvolge il viaggio a lunga distan- za, trasmette la sensazione del onirico. Foto delle piattaforme e dei binari coperti da questi “alberi” Pianta dei binari e delle piattaforme La complessità delle soluzioni di Calatrava suggerisce numerose analogie: il binario oasi, coperti da una foresta di colonne d’albero, ricordano il tipico mercato Mediterraneo all’aperto. Una tenda, inclinata come un festone, accoglie viaggiatori, preparandoli a nuove esperienze. Gli archi scivolano come l’acqua di una cascata su un atollo di negozi, biglietterie e zone di accesso ai binari. - prire le piattaforme degli autobus larghe 11 m, allude con la propria forma alle onde del mare poco lontano. 14 m più in alto si innalzano palme di vetro forma dei parasoli si congiunge quella della colonna e del tetto, mentre rami si intrecciano per coprire otto line ferroviarie. Pianta e sezione della Stazione d’Oriente Foto e sezione laterale della Stazione d’Oriente ta di una nuova chiarezza formale. - rea presistenti, Calatrava crea un in- sieme, un gioco di strutture edili e di giardini con vista su uno specchio d’ac- qua. L’architetto completa la struttura originale di Saarinen, un tetto lami- nato in vetro e acciaio inossidabile , a forma d’arco, alta 11 m, che si esten- de per 134 m lungo la riva del lago Michigan. Lavorando sui suggerimenti del nuovo museo si spingono verso il 6 m di altezza per preservare la vista panoramica. Il percorso della struttura esistente a quella di Calatrava è diretto da un ponte pedonale perpendicolare a tiranti, che si appoggia un tradizio- nale pilone verticale per coprire una luce di 73 m. Il tubo di supporto alto Disegno progettuale del museo e del suo ponte di collegamento vista interna della “prua” del museo verso il lago temporanee, Il padiglione trascende la geometria, i materiali e i volumi degli - pora la logica strutturale e quella scultorea. La struttura si libera sulla costa del lago, indicando chiaramente l’ingresso e le manifestazioni che si svolgo- no. Certo il tetto mobile sono due principi funzionali, ma, come molti progetti di Calatrava, è ancora una rappresentazione elegante, persino giocosa, ma 50 m è inclinata 47° per controbilanciare il peso della passerella del ponte. Il sorregga l’intero carico accentuando l’effetto cinetico del passaggio dal movi- mento della strada a quello aereo. L’albero inclinato funge anche da preludio visivo che conduce il punto focale dell’intera composizione. Il tetto, che si di- spiega come una vela nel punto di incontro tra la galleria laminata e il ponte pedonale con la sua struttura di tensione intrecciate, spinge lo sguardo del visitatore aldilà del complicato ambiente circostante. La forma conica si appoggia sulla galleria, come se fosse un volume che fuoriesce da quello spazio, ma lo stesso tempo sorregge sul proprio dorso il movimento implicito del ponte. Pensata come uno spazio funzionale all’ingresso del museo e alle mostre Sezione laterale del museo dadi ndo Joi) aac duna Leg Bridge to O'Donnell Park Pianta principale del museo Dettaglio della struttura portante in costruzione Foto della struttura finale Prospetti Est e Ovest 5 LI RC Ù- PROSPETTO EST FRAZ rata 7 A m NZ | : PROSPETTO DIES ! Prospetti Nord e Sud RAVZIVINZIZZZIR Za NININIVIVIA l J NI VI NA Hi L1 , VANI | LINZIAZIA IX i | | _ ROstito sun Pianta generale ariueo malgie a Uta A Pianta livello 9 Pianta livello 23 Pianta livello 69 L_. 9 9 -D, © Py Pn 9 sce alla torre una leggerezza e una sensibilità al cielo che cambia intorno ad esso, il colore e l’umore del Shard sono in continua evoluzione. Richiedeva una particolare soluzione tecnica per garantire le prestazioni della facciata in termini di controllo della luce e del calore. È stata sviluppata una facciata a doppia parete, ventilata naturalmente con tende interne che rispondono au- tomaticamente alle variazioni dei livelli di luce. La logica è molto semplice: i quindi lo strato extra di facciata in vetro all’esterno. Lo Shard nello skyline di Londra A sinistra e in basso sono rappresentati due sezioni degli interni del grattacielo Schizzo progettuale di Renzo Piano In basso tre sezioni esplicative della costru- zione delle fondamenta della “Scheggia” Capitolo 5 Analisi approfondita del Centro culturale Jean-Marie Tjibaou 5.1 Dati oggettivi del progetto CLIENTE Agence pour le Développement de la Culture Kanak DESIGN Renzo Piano Building Workshop, architetti CONCORSO (1991) DESIGN TEAM P. Vincent (responsabile), A. Chaaya (architetto responsabile) con F. Pagliani, J. Moolhuijzen, W. Vassal e O. Doizy, A. Schultz (modelli) CONSULENTI A. Bensa (etnologo); Desvigne & Dalnoky (paesaggistica); Ove Arup & Partners (struttura e ventilazione); GEC Ingénierie (controllo dei co- PRELIMINARY DESIGN (1992) DESIGN TEAM P. Vincent (partner in carica), A. Chaaya, D. Rat (architetti in carica) con JB Mothes AH Téménidès e R. Phelan, C. Catino, A. Gallissian, R. - tizzandosi con l’ambiente circostante tenendo conto sia della morfologia del territorio limitrofe alla costruzione stessa (caratterizzato dalla vegetazione di tipo tropicale e dalle capanne della popolazione originaria); sia dallo skyline La costruzione osservata da vicino non svela la sua vera struttura; ciò è do- vuto appunto dal fatto che essa è completamente immersa nella vegetazione, una serie di volumi che giocano con l’esterno. È solo l’osservazione al di fuori del sito stesso a mostrare la vera natura architettonica del centro culturale, manifestando la strabiliante naturalezza, organicità di cui è costituito. Il centro visto dal mare 5.3 Organizzazioni delle funzioni Villaggio 1: Dedicato al popolo Kanak, nativo dell’area dove è stato realizzato il centro, vi si trova una collezione di opere d’arte autoctone e dell’area del Sud del Villaggio 2: Vi si trova una libreria multimediale, e una galleria di arte contemporanea Villaggio 3: Al suo interno vi è una stanza dedicata alla memoria di Jean-Marie Tjibaou, una sala conferenze e una piccola mostra sulla progettazione e realizzazione del centro Ingresso del Centro Casa Bwènaado All’interno si trova il patrimonio archeologico e culturale dei Kanak La divisione delle Case Casa Jinu casa destinata alle sculture monumentali simboleggianti la rinascita della tradizione Casa Kanakè al suo interno è presente un presentazione audiovisiva della cultura Kanak Casa Pèrui ospita un bar-ristorante Casa Umate spazio utilizzato per esposizioni temporanee Casa Mwà Vèè in questa casa è presente la biblioteca del centro culturale Casa Ngan Vhalik costruita per la proiezione di presentazioni audio- visive Casa Malep dedicata alla memoria di Jean-Marie Tjibaou Casa Vinimoi sala dedicata all’esibizione dei progetti architettonici del centro Casa Eman sala dedicata alle conferenze e alla lettura, con la presenza di dispositivi multimediali Sezione del Teatro e delle sale attigue Corridoio principale, scale a chiocciola Auditorium Servizi quali bagni, zone stoccaggio merci, montacarichi Sezione della Casa Mwà Vèè Biblioteca Sale espositive temporanee, galleria tecnica, laboratorio dei libri, patio Corridoio principale e scale a ciocciola Aree di stoccaggio della biblioteca, montacarichi Sala di lettura Aree espositive corridoio principale Garage automezzi Sezione aree espositive Tuttavia, per tutte le sensibilità contestuali degli architetti, inevitabili incoe- - zione tecnologica delle strutture e l’artigianato tradizionale esposto al loro in- terno illustra un problema concettuale che mina il tenue senso del patrimonio e dell’identità del Centro. Questo è un tema non intenzionale, ma comunque adeguato, dato il complesso contesto politico della commissione, che non è mai stato completamente risolto attraverso l’architettura. È stato proposto che la tecnologia del Centro agisca da mediatore tra messaggi culturali con- trastanti, impulsi di progettazione e obiettivi sistemici, ma è probabilmente La disconnessione tecnologico-tradizionale è un aspetto di una più ampia ten- la gente di Kanak. Mentre la forma del Centro è astrattamente bella e rispet- tosa dell’ambiente, è inevitabilmente estranea alla cultura locale della Nuova - partengono. Anche i materiali di cui sono fatti i gusci, destinati a somigliare alla tavolozza materiale naturale della tradizionale architettura Kanak, sono stati importati sull’isola per il progetto. Per una cultura che cerca il suo posto in un mondo sempre più ostile e globalizzato, può trovare poco conforto per questo problema nella sua nuova casa, non importa quanto spettacolare pos- sa essere la sua architettura. 5.5 Materiali e tecniche costruttive Il legno scelto è l’iroko: è un legno stabile, resistente all’attacco delle termiti e può essere usato anche sotto forma lamellare. Richiede inoltre poca manu- delle costruzioni locali. Pur nella omogeneità del modello base, gli spazi rica- vati possono avere un carattere molto differente a seconda delle attività che vetro sono schermati da lucernari esterni. Grazie alla forte analogia formale con la vegetazione e gli insediamenti tradizionali del luogo, le capanne sono - ci, di tre dimensioni diverse. Le quattro più piccole hanno 8 metri di diametro e sono alte 18 metri. Le tre mediane hanno il diametro di 11 m e sono alte 22. Le tre grandi hanno il diametro di 13.5 m e sono alte 28. Queste costruzioni esprimono la relazione armoniosa con l’ambiente che caratterizza la cultura Kanak. Cad 2d e 3d dei tre tipi diversi di capanne Il legame non è solo estetico, ma anche funzionale: sfruttando le caratteri- stiche del clima della Nuova Caledonia, le capanne sono state dotate di un - alizzata una doppia copertura: l’aria circola liberamente tra due strati di rive- stimento in legno lamellare. L’orientamento delle aperture nel guscio esterno è stato studiato per sfruttare gli alisei provenienti dal mare, o per indurre le lucernari. In condizioni di leggera brezza, questi si aprono per favorire la ven- tilazione; all’aumentare del vento si chiudono, a partire da quelli più in basso. La soluzione è stata progettata con l’aiuto del computer, e sperimentata nella galleria i vento grazie a modelli in scala. Questo sistema di circolazione dell’a- ria dà anche “voce” alle capanne. Tutte insieme fanno un particolare suono; che è quello dei villaggi Kanak. Schizzo progettuale del centro culturale Le varie evoluzioni e cambiamenti delle case Kanak Vari dettagli della casa Kanak presa come costruzione singola Schema della ventilazione naturale all’inter- no delle case Kanak 5.6 Tecniche di progettazione e i principi compositivi “case” e spiazzi alberati, di funzioni e percorsi, di pieni e vuoti. L’accesso al Centro Jean-Marie Tjibaou avviene tramite un percorso pedonale snodato lungo la costa, che segna una sorta di cambio di dimensione: parte dal par- cheggio, si insinua nella densa vegetazione indigena, porta alle scale che si Qui si trovano i servizi di accoglienza. Il Centro è organizzato in tre villaggi. Lungo il crinale del promontorio, una passeggiata coperta leggermente ar- cuata collega le parti del complesso. Questi dieci grandi spazi monotematici si aprono improvvisamente sulla strada interna del Centro offrendo un passag- gio da uno spazio compresso a uno spazio espanso e inatteso. I gusci ricurvi, sono disposti attorno ad un atrio coperto, proprio come in un villaggio tradizionale. Inoltre dalla pianta possiamo notare come R.Piano abbia strutturato il pro- getto del centro culturale, a prima vista molto complesso, secondo un modulo semplicissimo, dato dalla intersezione delle curve orizzontali e verticali crean- do una griglia rettangolare su cui poi ha basato la divisione degli spazi inter- ni, usando, a seconda delle necessità, più o meno rettangoli modulari. 6.2 S. Calatrava, Stazione Mediopadana Reggio-Emilia 2013 - - Superonda, Archizoom, 1966 La nuova stazione dell’alta velocità di Reggio Emilia, la Mediopadana, è un’enorme cattedrale dal design avveniristico ideata dall’archistar Santiago Calatrava; composta da una successione di portali d’acciaio che si ripetono in moduli sfalsati tra loro per dare quel particolare effetto ondeggiante. Le linee d’onda sulla pianta del pavimento e l’elevazione danno luogo a un volume sinusoidale tridimensionale. Con l’obbiettivo di sdoganare l’arte dai suoi con- Il divano Superonda progettato dal gruppo Archizoom Associati e uno dei primi divani senza un telaio convenzionale ossia senza scheletro. In nome di - oggetti progettati da Archizoom, ha lo scopo di ispirare la creatività e l’imma- ginazione. Foto dell’ingresso principale della stazione Foto del divano Superonda Il gruppo Archizoom e il loro divano Superonda Scorcio della struttura della stazione Mediopadana dalla forma a onda dinamica che si presenta avveniristico per entrambe le opere ma anche da un forte messaggio intrinseco che i loro progettisti hanno Il 30 St Mary Axe è il primo grattacielo ecologico di Londra, rappresenta un’isti- tuzione immediatamente riconoscibile per lo skyline della città. Questa sede progettata per la Swiss Re insurance è basata su un approccio tecnicamente, architettonicamente, so- cialmente e spazialmente radicale. Gene- rato da un piano circolare, con una geo- mentre si alza e si assottiglia verso l’apice. Circa cinquant’anni fa, nel settembre del 1963, l’inglese Edward Craven Walker fondò la società Mathmos, per produrre in larga scala un oggetto che aveva inventato pochi mesi prima e che aveva chiamato lava lamp: in pratica un conte- nitore dalla forma affusolata con l’aspet- to di un piccolo missile in cui una piccola quantità di cera colorata è immersa in un liquido colorato, il tutto illuminato e riscal- dato da una lampadina posta alla base. Volendo cercare gli aspetti che accomuna- no di questi due progetti, la risposta verrà sicuramente trovata analizzando l’aspetto estetico, e quindi, nella forma geometri- ca di cui entrambi si appropriano. è in- teressante notare come rimanendo sem- pre nella sfera semantica dell’aspetto ad accomunarli vi è anche un inscurimento della parte superiore e la sensazione di movimento e dinamicità che i due proget- ti trasmettono: uno per via del movimento della cera l’altro per un effetto ottico do- scure. N.Foster 30 St Mary Axe, Londra, 2004 - Lava lamp 1963 Edward Craven Walker foto aerea del grattacielo londinese Uno degli ultimi modelli di Lava lamp
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