Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Tesina Neorealismo: rapporti tra America e Italia, Guide, Progetti e Ricerche di Storia Del Cinema

tesina per esame di Cinema e Studi culturali con il prof Michele Fadda Unibo

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2021/2022

Caricato il 22/06/2023

ross_cal99
ross_cal99 🇮🇹

3.8

(6)

9 documenti

1 / 10

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Tesina Neorealismo: rapporti tra America e Italia e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! Neorealismo: rapporti tra America e Italia L’obiettivo di questo elaborato è quello di analizzare i rapporti cinematografici, e di conseguenza culturali, instauratisi tra l’America e l’Europa, più nello specifico l’Italia, durante il secondo dopoguerra. La “differenza ontologica tra cinema americano e cinema italiano”1 emerge sin dagli albori del cinema muto ed è stato un topos fondamentale sia per la critica cinematografica che per gli spettatori stessi. Il cinema italiano è associato a produzioni più “artistiche”, concezione influenzata anche dalla fama dell’Italia di “patria delle arti visive”2, che naturalmente si è contrapposta a una cultura popolare, che punta agli incassi, di cui si è fatta portavoce negli anni l’industria cinematografica americana. È opportuno riportare anche un solo esempio di film muto italiano che ha avuto grande successo in America e riassume l’idea di superiorità artistica dei film nostrani: mi riferisco a L’inferno (1911) diretto da Adolfo Padovan, Francesco Bertolini e Giuseppe De Liguoro per la Milano Films; è stato proiettato ovunque ed è stato il primo film che si è servito di una massiccia campagna pubblicitaria indirizzata specialmente a un pubblico più colto. Il periodo storico che ho deciso di analizzare e approfondire, il dopoguerra, è un momento delicatissimo per l’Europa e l’America: la seconda guerra mondiale è appena finita e, come per ogni guerra, i suoi protagonisti si sono divisi in vincitori e vinti. Dunque, da un lato si ha la potente e ricca America, portatrice di ideali di libertà e uguaglianza mentre l’Europa, che ne è uscita dilaniata, dovrà faticare il doppio per riprendersi economicamente e culturalmente. In questo contesto storico Hollywood ha avuto un ruolo fondamentale poiché la diffusione dei suoi film in Europa ha contribuito alla creazione dell’immaginario del sogno americano, influenzando di conseguenza anche lo stile di vita nel Vecchio Continente; il dominio nordamericano non è stato solo condizionato da fattori culturali ma anche, come spiega Wagstaff, avvantaggiato dalla “grandezza e dalla struttura monopolista del suo mercato domestico.”3 Le sale Europee pullulano di film di americani ma le sale d’oltreoceano scarseggiano di proiezioni europee, specialmente nel periodo del fascismo. Ed è in questa drastica situazione che i governi europei avvertono le collaborazioni tra società4 di paesi diversi come una vera e propria necessità: è forte il bisogno di ricostruire anche il settore cinematografico dei paesi sconvolti dalla guerra e di “creare un forte comune contro la nuova ondata di film hollywoodiani.”5 Come spiegato da Bernardini nel saggio “Le collaborazioni internazionali nel cinema europeo”, questo episodio porta a un rafforzamento del protezionismo nei confronti dei film nazionali regolato da accordi bilaterali tra i due governi. Ad esempio, sappiamo che i film realizzati in coproduzione sono considerati nazionali nei diversi paesi che hanno collaborato per la nascita della pellicola. Purtroppo, mancano numerosi dati economici e statistici attendibili sull’argomento; solo in Italia l’Archivio del cinema italiano 1 F. Lapolla, L’americanizzazione del cinema italiano 2 P. Bondella, Il cinema italiano visto dagli Stati Uniti 3 C. Wagstaff, Italian genre films in the world market 4 Le collaborazioni cinematografiche non sono nate nel secondo dopoguerra ma si tratta di un fenomeno diffuso già all’epoca del cinema muto. 5 A. Bernardini, Le collaborazioni internazionali nel cinema europeo dell’Anica (associazione che riunisce e tutela i produttori e i distributori italiani) ha “individuato per ogni film coprodotto le effettive quote di partecipazione di ogni paese e di ogni società.”6 L’obiettivo è quello di “far fronte allo strapotere dell’industria nordamericana”7. La questione delle collaborazioni europee diventa così una questione sia politica che economica: l’Anica chiede al governo di inserire i film nei trattati di commercio con gli altri paesi europei affinché gli scambi cinematografici possano diventare più rapidi ed efficienti; inoltre, le nazioni si impegnano ad allargare il bacino di paesi con cui collaborare e a creare l’Associazione Internazionale delle associazioni dei produttori di film (FIAPF). Ma queste collaborazioni non bastavano, Wagstaff sottolinea le problematicità della politica del “Motion Picture Export Association of America”8 per cui i film italiani ricevevano solo il 13% dei ricavati del box-office, una percentuale misera specialmente se consideriamo che l’esportazione di film italiani fosse quasi nulla. Una piccola parentesi sull’importanza delle collaborazioni europee è stata doverosa per inquadrare al meglio il periodo storico in cui il neorealismo nasce e si diffonde anche Oltreoceano. Concentrandoci inizialmente solo sull’aspetto economico si potrebbe affermare che il neorealismo è stato la soluzione a questa situazione spiacevole per il mercato cinematografico italiano. I film in questione, ricordiamo adesso solo un paio di titoli (i quali saranno approfonditi successivamente) come Roma città aperta (1945) di Rossellini e Sciuscià (1946) di Vittorio de Sica, i quali sono culturalmente “elevati” ma prodotti a bassissimo prezzo, il loro successo riportato nei botteghini americani (ricordo che Roma città aperta è stato proiettato a New York ininterrottamente per due anni) ha dunque non solo ripagato le spese di produzione ma ha anche favorito degli ottimi guadagni al mercato italiano. Il neorealismo si è rivelato la prova che si potevano produrre un “cinema d’arte” anche con scarsi mezzi; ciò che piace e attira gli americani è “l’abilità nell’utilizzare riprese in esterni, attori non professionisti, una fotografia in stile documentario e la capacità di trattare i temi dell’attualità sociale e politica senza rincorrere necessariamente agli aspetti più costosi delle produzioni hollywoodiane.”9 La reputazione che aveva la nuova corrente italiana è riassumibile da ciò che ha scritto Robert Hawkins nel 1952 in un suo pezzo per il New York Time Magazines: “After the war Italy had little or no money for movies, and pratically no movie industry [...] For lack of proper writers, [directors] worked without a script. For lack of satisfactory actors, they used the man on the street. The natural histrionic flair of the Italian people replaced exprerienced talent. They saw, created, shaped, improvised.”10 6 A. Bernardini, Le collaborazioni internazionali nel cinema europeo 7 A. Bernardini, Le collaborazioni internazionali nel cinema europeo 8 C. Wagstaff, Italian genre film in the worrld market 9 P. Bondella, Il cinema italiano visto dagli Stati Uniti 10 T. Balio, The Foreign Film Renaissance on American Screens accoglieranno proiezioni neorealiste e, dieci anni dopo, anche i film di Antonioni, Fellini, del primo Pasolini e della nuovelle vougue. Uno sconosciuto gestore di teatri yiddish, Joseph Burstyn, nel febbraio del 1946 presenta a New York il primo film neorealista, Roma città aperta, del maestro Rossellini, con il titolo Open City. Nonostante inizialmente l’uscita del film non aveva ricevuto un appoggio preventivo della critica e non si era servito di alcuna campagna pubblicitaria, il film, come già accennato in precedenza, è rimasto ininterrottamente in programmazione a New York per ben due anni. La risposta da parte della critica è stata eclatante, i critici e recensori scrivono che guardando il film hanno l’impressione di “origliare”, “cogliendo dal vivo il vero modo di parlare di esseri umani provati al di là di ogni sopportazione”.18 A Roma città aperta seguiranno altri capolavori come Sciuscià (De Sica), Paisà (Rossellini), Ladri di bicilette (De Sica), Il miracolo (Rossellini) e tanti altri. Ma, nonostante il favore di numerosi critici e cinefili, l’esportazione dei capolavori del neorealismo nel Nord America non ha inciso notevolmente sul piano finanziario, i mercati davvero redditizi sono stati quelli argentini, francesi e brasiliani mentre le esportazioni nei paesi anglosassoni si sono limitati a piccoli circuiti d’essai. Al problema dei profitti non significativamente incisivi per i distributori dovremmo aggiungere anche le controversie giudiziarie che hanno coinvolto Joseph Burstyn a causa dell’opposizione di un gruppo di cattolici e della censura nei confronti di alcuni film di Rossellini, a partire da Roma città aperta, fino ad arrivare alla “battaglia” che più ha lasciato il segno, ovvero quella contro il film Il miracolo (1946). Roma città aperta, considerato unanimemente il primo capolavoro neorealista italiano, ha dovuto superare le accuse di oscenità da parte della Legione Cattolica della Decenza poiché alcune tematiche portate in scena hanno fatto torcere notevolmente il naso: la protagonista (Anna Magnani) è una donna nubile e incinta, la quale non ha paura di parlare apertamente della sua gravidanza; la traditrice che collabora per la cattura e l’uccisione dei partigiani lo fa per ricevere della cocaina ed è anche raccontato un amore omosessuale tra due spie tedesche. Nonostante in Italia il film non abbia avuto problemi di nessun tipo, in America il titolo ha dovuto subire delle modifiche, diventando Open City nella versione anglosassone. È stato eliminato qualsiasi riferimento esplicito alla città di Roma, simbolo di un pudore cattolico legato alla presenza di Città del Vaticano oltre che per difendere la storicità e la grandezza della città. Ma questa piccola variazione del titolo ha causato un piccolo malinteso in quanto il solo aggettivo “open” sembrava alludesse a una “wide-open city where anything goes”19 e Burstyn, insieme al suo socio Mayer, hanno deciso di sfruttare questo piccolo dettaglio montando su una campagna pubblicitaria spingendo su una sensualità di fatto inesistente nel film, promuovendo il film come “Sexier than Hollywood ever dared to be!”.20 18 G. Fink, Vincitori e vinti, Il neorealismo italiano in America 19 G. Fink, Vincitori e vinti, Il neorealismo italiano in America 20 G. Fink, Vincitori e vinti, Il neorealismo italiano in America Il New York Board of Censors aveva permesso la proiezione del film con qualche taglio e la Mayer-Burstyn ha deciso di bypassare la PCA (Production Code Administration) per evitare ulteriori tagli. Ma la vera rivoluzione in campo di censura è stata attutata dalla battaglia combattuta tra Burstyn e la Legione Cattolica della Decenza per il film “Il Miracolo”, conclusasi con la vittoria di Burstyn e la Corte Suprema che ha ricordato ai registi di vivere in una società di uomini liberi, abbattendo ogni tipo di repressione culturale di tipo morale. Il miracolo è il secondo di un dittico intitolato L’amore (il primo episodio è intitolato La voce umana). A sua volta L’amore fa parte di una trilogia chiamata The ways of Love, insieme alle pellicole Jofroi (1934) di Pagnol e La Règle du jeu di Renoir (1939). La trilogia, che aveva l’obiettivo di rappresentare un aspetto diverso dell’amore per ogni film, è stata rappresentata per la prima volta presso il Teatro di Parigi nel 1950 e ha ricevuto una recensione entusiastica di Bosley Crowther, storico critico cinematografico per il New York Time. Il secondo film di Rossellini racconta una storia controversa e fin troppo audace per essere accolta con leggerezza in una nazione in cui il puritanesimo era talmente intrinseco da aver spinto, nel 1930, un gruppo di produttori a firmare il “Codice Hays”. Questo codice regolamentava ciò che poteva essere mostrato sul grande schermo, rispettando le linee guida dettate da una forte integrità morale. La pellicola “incriminata” racconta la storia di una pastorella ingenua (Anna Magnani) che incontra un viandante che scambierà per San Giuseppe (Federico Fellini) con cui consumerà un rapporto carnale che porterà a una gravidanza per Nannina. Le tematiche affrontate erano state considerate troppo oscene e provocatorie per la Legione Cattolica della Decenza e Edward T. McCaffey, commissario delle licenze di New York, aveva deciso di ritirarlo in quanto considerato “sacrilego”. Durante la vicenda Burstyn, il più importante produttore che ha portato il neorealismo in America, era sostenuto da Crowther. Il critico è stato uno dei maggiori dissidenti della censura e, quando la licenza di esibizione de Il miracolo era stata sospesa, aveva scritto un articolo per l’Atlantic Monthly contro le accuse mosse verso il film dal Cardinale Spellman. Nonostante la Chiesa volesse a tutti i costi controllare i film stranieri, la Corte Suprema, si è espressa a favore di Burstyn, rendendo libera la circolazione del film di Rossellini senza nessun tipo di tagli o censura. In merito a questa vittoria Crowther ha commentato “The greatest, most heartening thing about the Miracle case decision to the progressive elements in Hollywood is that it comes at a time when reavowal of democratic principles is most urgently in demand”.21 La sentenza è diventata un precedente storico per tutti i casi di censura cinematografica in America in quanto la Corte costituzionale estese ai film le protezioni costituzionali che erano riservate ai giornali, libri, riviste e altri organi di comunicazione, segnando uno spartiacque per la storia della libertà d’espressione. 21 T. Balio, The Foreign Film Renaissance on American Screens L’accanimento nei confronti dei film di Rossellini da parte dei cattolici e dei puritani americani è alimentato anche dallo scandalo Rossellini-Bergman, scoppiato poco dopo l’uscita del film Il miracolo in Italia ma prima dell’uscita del suddetto negli Stati Uniti. La relazione extraconiugale tra i due, e la gravidanza che ne era scaturita, non era ben vista ma, oltre alla questione meramente morale e conservatrice, bisogna tenere anche in considerazione la dicotomia Magnani-Bergman e tutto l’immaginario che si era creato attorno alle due donne. Le due donne incarnavano il topos della dark lady e della bionda vergine della letteratura americana settecentesca. La donna bruna e latina rappresentazione di Eros e Thanatos, in questo caso la Magnani, è riuscita a riscattarsi grazie alla vittoria dell’Oscar ma, per quanto riguarda la bionda vergine protestante, non c’è stata via di scampo: ha ceduto ai piaceri dell’Eros e i suoi film girati con Rossellini non possono essere accettati dai cattolici. Lo scandalo è iniziato durante la produzione del primo film che inaugura il sodalizio Rossellini- Bergman, Stromboli (1949), film che racconta di una donna che si ritrova costretta in un matrimonio infelice a vivere su un’isola anch’essa troppo stretta, quella di Stromboli, per l’appunto. La scena finale che vede la Bergman stesa sul pendio del vulcano mentre è intenta a fuggire dall’isola per dare un futuro migliore al figlio che porta in grembo è stata considerata oltraggiosa a tal punto da far muovere iniziative in Texas e in Tennesse per bandire non solo quel film, ma tutte le pellicole che hanno visto l’attrice svedese come protagonista. La recensione pubblicata sul New York Times da Jane Cianfarra parlava del film come “A typical Rosselinini neo-realist work. However, while in previous films the Italian director portrayed the despair and life in all its crudeness and ugliness, in this picture he is mainly concerned with a profound religious struggle to which he gives a simple dramatic solution.”22 La vita della protagonista è considerata esageratamente neorealista e la RKO (la casa di distribuzione che aveva finanziato il film) voleva addirittura distribuire una versione in cui avrebbe dovuto esserci una voce fuori campo per spiegare e giustificare il finale considerato troppo ambiguo. Inizialmente le proiezioni erano state interrotte ma successivamente la RKO aveva deciso di aprirle su larga scala per recuperare i finanziamenti tagliando quasi quaranta minuti dal film. Questa vicenda ha rovinato vertiginosamente le reputazioni della Bergman e di Rossellini. Ma i film neorealisti non hanno solo suscitato scandali, è il momento di ricordare anche delle opere che sono state ben accolte e che hanno rappresentato in America la quintessenza dell’Europa dilaniata dalla guerra appena finita, come “Sciuscià” (1946), titolo americano “Shoe Shine” e “Ladri di biciclette” (1948) entrambi di De Sica, “Paisà” (1946) di Rossellini e molti altri. Il film “Sciuscià” è stato prodotto da Paolo W. Tamburella, americano, che probabilmente ha suggerito anche la storia. Il film, la seconda collaborazione tra De Sica e Zavattini, è stato noleggiato in America dalla Lopert Pictures e ha fatto il suo debutto nel 1947. I protagonisti erano i bambini italiani senza una casa e orfani che popolavano le strade subito dopo la caduta del fascismo, questi bambini malvestiti e denutriti seguivano i soldati americani per le strade facendo l’umile lavoro di lustrascarpe. Ma ciò che colpisce davvero 22 T. Balio, The Foreign Film Renaissance on American Screens
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved