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TESINA SUL PROGRESSO, Tesine di Maturità di Filosofia

tesina superiori sul progresso

Tipologia: Tesine di Maturità

2012/2013

Caricato il 13/10/2013

erikina3
erikina3 🇮🇹

4

(8)

1 documento

Anteprima parziale del testo

Scarica TESINA SUL PROGRESSO e più Tesine di Maturità in PDF di Filosofia solo su Docsity! INTRODUZIONE La storia insegna che il corso delle vicende umane tende inarrestabile verso un continuo miglioramento della vita, sia sotto l’aspetto materiale sia morale, indica un mutamento nel tempo di un sistema sociale, economico, tecnologico, politico, ha da sempre caratterizzato la storia dell’uomo e creato attorno a sé concezioni e ideologie differenti. Ciò rende l'uomo fiducioso nel futuro e lo sprona ad andare avanti e spesso a lottare contro le ineluttabili asperità della vita: il suo obiettivo è il progresso, un miglioramento quanto più possibile elevato della propria condizione che gli dia la possibilità di realizzarsi, di rivelarsi a se stesso e di fargli comprendere il proprio ruolo, il senso della natura, il senso assoluto delle cose, il fine ultimo della rappresentazione del mondo. Quanto più l’uomo progredisce, tanto più si avvicina alla propria meta. Ma esiste una meta per l’uomo, ovvero una soglia massima del progresso davanti alla quale dovrebbe arrestarsi? L’uomo è spinto anche da questo interrogativo, ma intanto non può che continuare la sua corsa al progresso, verso la realizzazione di sé. Appena cent’anni fa, la qualità della vita nei paesi che oggi sono considerati più evoluti era piuttosto scarsa, poiché le vie di comunicazione, la medicina e le strutture pubbliche erano carenti. Ma sarebbe fin troppo facile, e forse anche poco interessante mettere a confronto le attuali condizioni di vita con quelle dell’Ottocento. L’idea della escalation del progresso ce la dà pienamente l’enorme divario tra gli armamenti utilizzati nella prima e nella seconda guerra mondiale, dopo soli trent’anni, con quest’ultima che si concluse con l’utilizzo di due bombe atomiche, sganciate per la prima volta, con effetti devastanti, su Hiroshima e Nagasaki. Terminata la guerra, l’uomo era chiamato ad un’opera di ricostruzione che rischiava non finire mai, ma che invece stimolò ulteriormente l’ingegno e la volontà degli uomini di scienza, tanto da passare a una nuova rivoluzione industriale: quella nanotecnologica. Nacquero così i computer, i robot, i mezzi per l’esplorazione spaziale, e inoltre la comunicazione raggiunse rapidamente livelli impensabili. Ciascun tipo di progresso, scientifico, tecnologico, ideologico, economico, sociale e politico ha sempre esercitato la propria influenza sulla formazione delle condizioni necessarie al cambiamento, all’evoluzione e al passaggio a un periodo successivo, sia che esso presentasse attributi migliori, sia che fossero peggiori; anche il cosiddetto “regresso”, quindi, deve essere considerato come una forma di progresso, come superamento di una precedente situazione in favore di una nuova. Nella mia esposizione è mia intenzione soffermarmi, non seguendo un ordine cronologico, su tre letterati e un artista in cui ricorre in modo significativo il tema del progresso: Verga, Leopardi, Marinetti e per finire l’arte di Boccioni, per presentare gli opposti punti di vista relativi al tema della trattazione. GIOVANNI VERGA: il progresso non crea felicità Il periodo storico in cui si sviluppa il movimento Verista, di cui Verga è uno dei maggiori rappresentanti, è quello della fine dell’800, caratterizzato da grandi scoperte scientifiche e dalla rivoluzione industriale. Il Verismo trova le sue radici in due movimenti estremamente importanti che si sviluppano in tutta Europa e in modo particolarmente in Francia. Il primo di questi è il positivismo, un movimento filosofico che crede nel 1 progresso continuo della scienza e che la scienza possa rappresentare una soluzione a tutti i problemi dell’uomo. Il secondo movimento è il Naturalismo, movimento letterario nato in Francia negli ultimi decenni dell’800 e rappresentato da grandi scrittori quali Emile Zola e Guy de Maupassant i quali tendono di applicare il metodo scientifico anche all’analisi del comportamento umano. La differenzia sostanziale tra il naturalismo francese e il verismo italiano sta nel fatto che mentre il naturalista descrive una società con i suoi limiti, le sue problematiche, i suoi lati oscuri, ma sicuramente di estrazione borghese, il verismo italiano e in particolare Verga, anche per le sue origini meridionali, ha una grande abilità nella descrizione degli emarginati, di quella classe di braccianti, di contadini e di agricoltori che dell’Italia unita erano sicuramente la parte più debole. Le principali caratteristiche del verismo sono riassumibili in quattro punti: 1. Il Regionalismo. Siccome l’Italia si è unita da poco tempo, la letteratura verista racconta e descrive realtà regionali diverse le une dalle altre. 2. Il Pessimismo. Alla base della letteratura del verismo c’è una concezione pessimista della vita e del destino dell’uomo. 3. L’ Impersonalità. Lo scrittore verista non compare mai dentro ai suoi testi e cerca di descrivere la realtà nel modo più oggettivo possibile senza commentarla o interpretarla, egli, quindi non è più il creatore di storie ma diventa un raccoglitore di storie che si fanno da sé. (In Verga diventa un principio di vita oltre che di poetica) 4. Il Linguaggio. Il linguaggio usato dagli scrittori veristi è estremamente adattato alla lingua nazionale e ha al suo interno molti regionalismi, termini derivati dai dialetti regionali Verga nasce a Catania nel 1840 da una famiglia piuttosto agiata e dopo aver vissuto l’esperienza dell’Unità d’Italia da ventenne, si trasferisce prima a Firenze e nel 1872 a Milano dove frequentando i salotti più brillanti e si avvicina agli scapigliati. La sua produzione letteraria inizia nel periodo dell’unificazione della Nazione e, nella Sicilia dell’epoca, dopo gli entusiasmi della raggiunta Unità d’Italia, diventano sempre più evidenti i vecchi e nuovi problemi del Meridione: i terreni rimangono nelle mani dei latifondisti, che non investono per migliorare e modernizzare le coltivazioni, i braccianti che all'arrivo di Garibaldi si erano illusi di poter migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro rimangono fortemente delusi, dilaga il brigantaggio e l’arretratezza del Sud rispetto al Nord aumenta notevolmente. Problematiche di difficile risoluzione, che mettono in crisi gli ideali risorgimentali e, in modo particolare, mettono in dubbio l’idea che l’Unità del Paese fosse veramente una tappa di quel progresso che sembrava investire il mondo intero. Verga, che da giovane era stato fervente fautore delle idee del Risorgimento, all’indomani della presa di Porta Pia scrive la novella “Libertà” (Novelle Rusticane 1883), in cui si legge una pesante critica al processo di unificazione nazionale. 2 anche di coniugare il concetto stesso di sviluppo con la fiducia in un possibile miglioramento oggettivo della società. Egli mostra una visione staticamente conservativa del passato rispettando quei valori morali di autentica umanità, che i nuovi miti del successo e del denaro vanno corrompendo: questo è evidente anche in Mastro Don Gesualdo quando egli stesso si ritrova solo e disperato proprio nel momento in cui sembra aver raggiunto il successo economico e sociale. GIACOMO LEOPARDI : Dal pessimismo cosmico al pessimismo combattivo Al contrario di Verga, Leopardi si occupa dell’idea di progresso estrapolandola dal contesto storico e sociale italiano e inserendola in una dimensione più ampia e, cioè, quella della condizione umana. La visione leopardiana del progresso è estremamente pessimistica; secondo Leopardi esso fa uscire l’uomo da uno stato di felicità conducendolo ad uno stato di dolore e sofferenza. La storia degli uomini non è progresso ma decadenza da uno stato di inconscia felicità naturale ad uno stato di consapevole dolore, messo in luce dalla ragione. Ciò che è avvenuto nella storia dell'umanità si ripete immancabilmente nella storia di ciascun individuo. Dall'età dell'inconscia felicità, dell'infanzia, dell'adolescenza e della giovinezza dove tutto sorride intorno e il mondo è pieno di incanto e di promesse, si passa all'età della ragione, all'età dell'arido vero, del dolore consapevole e irrimediabile. Questo aspetto del pessimismo leopardiano è detto pessimismo storico. La ragione è colpevole della nostra infelicità, in contrasto con la natura madre provvida, benigna e pia che cerca di coprire le tristi verità del nostro essere col velo dei sogni, delle fantasie e delle illusioni. Questa visione pessimistica del progresso viene poi estesa a livello universale. La natura non sarà più vista come “madre benigna” (come riteneva la scuola stoica) ma come indifferente e ostile all’uomo, sarà colei che avvolgerà l’uomo nelle illusioni, anche se l’ha creato con un’insaziabile voglia di progredire (pessimismo cosmico). Le opere da me scelte, Dialogo della Natura e di un islandese, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia e per finire La ginestra o fiore del deserto mettono in evidenza queste caratteristiche “terribili” della Natura. La Natura, ad esempio, non risponde alle numerose domande del pastore il quale osservando il suo gregge conclude che l’infelicità (generata dal progresso) è propria di ogni creatura. La possibilità del progresso viene quindi aprioristicamente negata. Indagando sulle cause dell’infelicità umana, Leopardi segue la tesi di Rousseau quando nel 1750 nel suo famoso Discorso sulle scienze e sulle arti condanna il progresso delle scienze e delle arti sostenendo che questo abbia corrotto gli uomini. Il filosofo afferma che le nostre anime si sono corrotte nella misura in cui le nostre scienze, le nostre arti hanno progredito verso la perfezione. Arti e scienze sono infatti la conseguenza di un' inutile curiosità e di uno stolto orgoglio, facendo uscire gli uomini dal felice stato di natura in cui si trovano. A tal proposito Rousseau sottolinea la 5 contrapposizione tra l’uomo vittima del progresso e il selvaggio. Egli scrive: “L’uomo selvaggio e l’uomo incivilito differiscono talmente nel fondo del cuore e delle inclinazioni, che ciò che forma la felicità suprema dell’uno ridurrebbe l’altro alla disperazione. Il primo non respira che quiete e libertà; non vuol che vivere e restare ozioso. Al contrario il cittadino, sempre attivo, suda, s’agita, si tormenta senza posa per cercare occupazioni ancor più laboriose, fatica fino alla morte, vi corre anzi per mettersi in grado di vivere, o rinuncia alla vita per acquistare l’immortalità”. Il Dialogo della Natura e di un islandese (1824) rappresenta la prima introduzione nel pensiero leopardiano di uno dei concetti più caratteristici del pessimismo cosmico: l’indifferenza e l’ostilità della Natura. Il protagonista è un islandese, che abita un luogo molto ostile all’uomo; egli non vuole infastidire nessuno e contemporaneamente non vuole essere infastidito e, quindi, decide di isolarsi ma a questo punto è la Natura che gli crea disagio. L’islandese vuole girare il mondo alla ricerca di un luogo non ostile e adatto all’uomo. Durante il suo viaggio incontra la Natura la quale, dopo aver udito la sua storia, gli risponde affermando che il mondo non è stato creato per l’uomo. L’islandese a questo punto ribatte, avvalendosi di un esempio logico, che l’uomo non le ha chiesto di collocarlo nell’universo e che, se questa è stata una scelta della Natura, allora è suo compito badare alla sua felicità ed evitare in tutti i modi i suoi patimenti. Come risposta a tali ragionamenti la Natura dice che l’universo è un perpetuo circuito di creazione e distruzione e che il patimento fa parte di questo ciclo. L’islandese non fa in tempo a chiedere alla Natura a chi giova il patimento dell’intero universo che viene, secondo alcuni, sbranato da due leoni affamati o, secondo altri, mummificato da una tempesta di sabbia. Al protagonista viene quindi negata non solo ogni prospettiva di miglioramento della propria condizione ma anche la possibilità di vivere senza impedimenti esterni. La Natura, sempre e dovunque indifferente se non ostile ad ognuno dei suoi figli, è incapace di procurar loro quella felicità che è il fine di ogni essere vivente e che sarebbe lo sbocco più naturale di un reale progresso umano. Per quanto riguarda il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia (1829-1830), esso è il canto che meglio esprime il pessimismo cosmico di Leopardi: in ogni tempo e in ogni luogo, ciò che caratterizza l’esistenza è il dolore e l’infelicità. In quest’opera il poeta non parla in prima persona ma fa parlare il pastore nomade dell’Asia che di fronte alla luna, che lo segue in tutti i suoi spostamenti, si pone degli interrogativi sul senso dell’esistenza e sulla posizione dell’uomo all’ interno dell’universo. Le domande del pastore rimangono, però, senza risposta. Dall’osservazione della realtà che lo circonda (il gregge), il pastore arriva a concludere che il destino di ogni creatura, uomo o animale, è il dolore. Il poeta in questo canto rappresenta l’uomo di fronte al mistero esistenziale dell’intero universo, rappresenta l’uomo sperduto e incapace di spiegarsi la ragione dell’esistenza delle cose e del proprio destino. E’ ne La ginestra o il fiore del deserto (1836), composta in una villa alle falde del Vesuvio e pubblicata postuma all’ultimo posto nella raccolta dei Canti, che Leopardi ci lascia il suo testamento poetico e morale. Motivo centrale del canto è il diverso comportamento della ginestra e dell'uomo nei confronti della natura. La ginestra, l’umile pianta che fiorisce sull’arida schiena del Vesuvio, spande intorno il suo profumo, quasi a consolare lo squallore di luoghi così solitari, e allorché dal cratere del vulcano scendono i torrenti di lava, essa, consapevole della propria fragilità e debolezza, si lascia travolgere, senza resistenza ma senza viltà. L’uomo, al contrario, pur essendo una creatura altrettanto fragile, debole ed insignificante in mezzo ad una natura ostile, invece di chiedere alla ragione e alla scienza la verità sul suo stato, ritorna alle credenze religiose tradizionali e si proclama signore e padrone dell’universo. Agli occhi del Leopardi l’uomo è stolto, perché nutre tanto orgoglio per le proprie scoperte e le proprie conquiste, mentre non si rende conto di quanto siano insignificanti. Egli ha dunque una sola vera ricchezza: 6 la sua dignità, ed è questa che deve difendere ad ogni costo, perché è l'unica cosa che lo distingue veramente dall'animale, vissuto e morto senza sapere nulla di sé. Perciò Leopardi chiama superbo e sciocco il proprio secolo, e indica agli uomini la sola via che possa alleviare i loro mali: stringersi in un patto di fraternità e di solidarietà per resistere meglio alle forze avverse della natura, che è madre per averci generato, ma crudele matrigna peri mali che a piene mani versa su di noi. Quindi, Leopardi articola i suoi interventi in forma di: critica, polemica, proposta. Egli critica le ideologie contemporanee e il modello di sviluppo sociale a cui guardavano i gruppi riformistici. Leopardi si considera straniero nel suo tempo, rifiutando le mode ed i miti d'attualità, tra cui quello del "progresso" del genere umano. Per quanto concerne la polemica , si batte contro la pretesa di instaurare una felicità collettiva e contro tutti quelli che promettono vane speranze di progresso e felicità. Ed ecco quindi la proposta, il messaggio di solidarietà, di eroismo, per affrontare con lucidità la realtà, la coscienza del vero. Il suo ultimo appello alla fraternità è rivolto a tutti gli esseri umani: l'unico mezzo per sfuggire all'unica vera nemica comune (la Natura) è quello di cooperare in una lotta comune lasciando da parte inutili conflitti fratricidi. (Pessimismo combattivo) La ginestra è metafora dell’uomo intelligente e consapevole della propria debolezza e inferiorità. Il fragile fiore è contrapposto perciò allo stupido orgoglio degli uomini che si illudono di essere i padroni dell’universo. La ginestra un giorno soccomberà inevitabilmente come del resto ogni altro essere vivente alla forza della natura ma almeno lo farà senza la viltà o senza l’orgoglio di chi pretende di essere immortale, in questo perciò la ginestra è infinitamente più saggia dell’uomo perché non ha la presunzione di volersi sottrarre al naturale corso degli eventi. Concludendo, il messaggio che Leopardi ci lascia nella Ginestra può essere così riassunto : gli uomini devono guardare in faccia il destino, con magnanima consapevolezza, opporsi ad esso costruendo un mondo veramente umano, fondato sulla solidarietà nel dolore, la compassione, la fraternità, e combattere uniti contro la natura matrigna. IL PROGRESSO VISTO DAI FUTURISTI: IL MANIFESTO DI MARINETTI 7 CONCLUSIONI: La vita è divenire. Ogni giorno, riflettendo su me stessa, non posso fare a meno di chiedermi che cosa ne sarà del mio futuro, di cosa mi aspetterà domani, e mi accorgo di come tutto possa dipendere e cambiare radicalmente anche da un singolo, minuscolo evento. Attualmente è molto difficile vedere periodi felici e favorevoli nel futuro delle nuove generazioni, ma questo timore viene sopraffatto dalla fiducia nei mezzi umani che sino ad ora, nell’intera storia dell’uomo, hanno cambiato innumerevoli volte le condizioni della società in cui vivevano, e dunque anche oggi l’uomo ha la possibilità di cambiare e prepararsi un avvenire migliore; ciò, tuttavia, sarà possibile solo a fronte di grandi sforzi e notevole impegno. Deve ritornare, nella mentalità dei giovani d’oggi, quello spirito di sacrifico e quella forza di volontà che tante volte hanno caratterizzato la società umana in passato; e allora, forse, un futuro anche per noi, magari migliore, sarà più probabile. Mi piace concludere con le parole che Alessandro Bergonzoni ha pronunciato lo scorso 15 giugno, in Piazza Santo Stefano qui a Bologna in occasione della rassegna “La Repubblica delle Idee”: “Fare il possibile non serve più, è l’impossibile che urge” 10 INDICE INTRODUZIONE pag. 1 GIOVANNI VERGA: il progresso non crea felicità pag. 2 GIACOMO LEOPARDI : dal pessimismo cosmico al pessimismo combattivo pag. 6 IL PROGRESSO VISTO DAI FUTURISTI: il manifesto di Marinetti pag. 9 CONCLUSIONI: la vita è divenire pag. 12 11
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