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Tesina sul ruolo dell'Italia nella prima guerra mondiale, Tesine universitarie di Storia Contemporanea

Tesina sul ruolo dell'Italia nella prima guerra mondiale

Tipologia: Tesine universitarie

2017/2018

Caricato il 26/06/2018

emanuela.solimei
emanuela.solimei 🇮🇹

3.2

(6)

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Scarica Tesina sul ruolo dell'Italia nella prima guerra mondiale e più Tesine universitarie in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! L’ITALIA NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE Non si può più negare che l'interventismo dell'Italia nella prima guerra mondiale sia stato sostanzialmente determinato da forze sociali e politiche che si iscrivevano nel clima e nelle motivazioni dell'imperialismo. La partecipazione dell'Italia nel conflitto ebbe inizio il 24 maggio 1915, circa dieci mesi dopo l'avvio della guerra. Le ragioni più profonde dell'interventismo risiedono nei cambiamenti subiti dalla struttura economica, sociale e politica dell'Italia che furono causati dalla politica interna del nuovo gabinetto Zanardelli-Giolitti del 14 febbraio 1901. Giolitti, che già era stato eletto primo ministro nel 1892, dopo un periodo di allontanamento, il 3 novembre 1903 ritornò al governo, ma questa volta si risolse per una svolta radicale: si oppose, come prima, alla ventata reazionaria di fine secolo, ma lo fece dalle file della Sinistra e non più del gruppo Crispino come fino ad allora aveva fatto. L’insieme delle posizioni politiche qualificate come egualitarie e progressiste, diametralmente opposte rispetto a quelle della destra, fecero si che la politica di Giolitti tentasse di riconoscere la legittimità dell'organizzazione operaia e contadina. Giolitti programmava, infatti, di estendere il consenso nei riguardi del governo presso queste aree popolari, e in particolare presso quelle aristocrazie operaie che, grazie ad una migliore retribuzione salariale e, quindi, a un migliore tenore di vita, raggiungevano il reddito minimo che consentiva il diritto di voto. Giolitti era convinto che non fosse utile a nessuno tenere bassi i salari perché: da un lato non avrebbe consentito ai lavoratori di condurre una vita dignitosa, dall'altro avrebbe strozzato il mercato provocando una sovrapproduzione. Questa politica prese il nome di “giolittismo". Tale intento però si inseriva nella trama giuridica di uno Stato che non aveva mai né affermato né riconosciuto il diritto fondamentale della libertà di associazione. Giolitti si dovette dimettere e il suo successore, Salandra, tentò di proseguire con il medesimo programma politico. Il governo Salandra era succeduto al governo Giolitti per reazione alla crescente forza della sinistra rivoluzionaria: per marcare il centro dei suoi interessi, Salandra tenne per sé il ministero dell'Interno , un dicastero del governo italiano che ha competenza sull'ordine pubblico in quanto autorità nazionale di pubblica sicurezza. Ma ormai la classe dirigente liberale, soprattutto dopo l’impresa di Libia (la guerra italo-turca combattuta dal Regno d'Italia contro l'Impero ottomano tra il 29 settembre 1911 e il 18 ottobre 1912, per conquistare le regioni nordafricane della Tripolitania e della Cirenaica) e il suffragio universale maschile, ma anche a causa della crisi economica che aveva investito l'Italia nel 1913 e delle agitazioni massicce del movimento operaio organizzato, apparve decisa ad accantonare il riformismo giolittiano e a reagire in maniera massiccia alle richieste operaie. Allo scoppio del conflitto mondiale, tra fine luglio e primi di agosto 1914, l’Italia era ancora legata alla Germania e all’Austria per mezzo della Triplice Alleanza, rinnovata nel 1912. A nulla servirono le sollecitazioni da parte del capo di stato maggiore dell’esercito Cadorna per intervenire a fianco degli austriaci. Ma a quel punto, Sonnino, destinato a diventare di lì a poco ministro degli esteri, non sapeva se continuare a proclamare la neutralità. All'inizio di agosto, quindi, Roma assisteva agli eventi, e valutava le alternative disponibili. Era tuttavia chiaro che entrare in guerra al fianco di Vienna e Berlino, dopo un'eventuale vittoria, significava per l'Italia ottenere difficilmente adeguati compensi. Il mancato preavviso circa l'ultimatum austriaco alla Serbia era lì a dimostrare che l'atteggiamento collaborativo dei due alleati era manchevole. Il patto della Triplice alleanza infatti indicava che qualora l'Austria o l'Italia avessero occupato territorio nei Balcani, tale occupazione non doveva avere luogo se non dopo un preventivo accordo con l'altra potenza, così da compensarla. Si poteva mantenere la neutralità ma tale atteggiamento era soggetto ad un rischio determinante, ovvero una decisiva vittoria tedesca sul fronte francese, eventualità che avrebbe portato Vienna a conservare Trento e Trieste per decenni ed imporre la propria egemonia su tutti i Balcani, chiudendo all'Italia ogni possibilità di espansione commerciale e militare. Una terza alternativa consisteva in una neutralità negoziata con Vienna: le conseguenze pratiche non differivano da quelle di una neutralità non negoziata ma, per lo meno, si sarebbe ottenuto il Trentino. Fu quindi il governo Salandra-Sonnino a dover affrontare, scoppiata la guerra mondiale e proclamata la neutralità italiana, una stagione di conflitto violento fra la maggioranza neutralista e una minoranza interventista molto aggressiva, che paradossalmente comprendeva e unificava in sé la destra e la sinistra, schiacciando il centro giolittiano. Lo scontro fra neutralisti e interventisti, che precede l’entrata in guerra, è molto importante per capire la crisi del liberalismo giolittiano e l’avvento, poi, della dittatura fascista. Erano per la neutralità i liberali giolittiani, che costituivano ancora la maggioranza del parlamento, i cattolici e i socialisti. Il leader massimalista Mussolini era all’inizio per la neutralità, ma, nel giro di pochi mesi, diventò il più acceso degli interventisti e abbandonò il partito, perché vide nella guerra la possibilità di suscitare la rivoluzione socialista; come lui, e per gli stessi motivi, furono interventisti i sindacalisti rivoluzionari. Il fronte interventista era minoritario in parlamento e minoritario anche nel paese, ma era estremamente agguerrito e aveva un leader culturale come Gabriele D’Annunzio nel quale si riassumevano tutte le inquietudini di una cultura ansiosa di uscire dal grigiore giolittiano, che si mise alla testa della propaganda interventista, tenne alcuni discorsi nei quali invitava la gente a dar fuoco alla casa di Giolitti e a mettergli anche un cappio al collo, adoperando un linguaggio che sarà poi ripreso, in modi meno letterariamente sofisticati, da Mussolini. C’erano anche, nel campo interventista assieme ai socialisti riformisti di Bissolati, i democratici repubblicani e radicali, legati all’eredità risorgimentale mazziniana, che vedevano nella guerra lo strumento per spazzare via gli imperi centrali baluardo della reazione europea, nemici di quella libertà dei popoli per la quale si erano battuti i patrioti mazziniani del Risorgimento. Insieme con Salandra, a Sonnino ciò che stava più a cuore era la restaurazione del liberalismo oligarchico, e diffidava dei nuovi partiti popolari, socialisti o cattolici, radicali o repubblicani. Dunque, il governo italiano e le forze interventiste si proponevano un duplice scopo: la definitiva sconfitta del giolittismo, e per ciò con esso la creazione di un nuovo blocco di potere che fosse omogeneo e funzionale rispetto ai fini di politica estera, e l'espansione nei Balcani e nel Medio Oriente. In ogni caso l'Italia restava neutrale e la Triplice Alleanza restava salda, in quanto patto che permettesse la difesa dell'Italia. Perciò il governo se favorì la costituzione di un fronte interventista, non si fuse mai completamente con esso, ma badò a salvaguardare la propria autonomia, cioè la libertà di manovra del governo. Il disegno della guerra italiana, nel decidere l’intervento, fu determinato dal disegno politico che animò il ceto dirigente liberale conservatore. Gli interventisti nella primavera del 1915 intensificarono la loro azione di propaganda a favore della guerra, organizzando manifestazioni e grandi raduni che anticiparono le liturgie di massa fasciste e naziste. Il 26 Aprile 1915 il governo firmò il patto di Londra impegnandosi in un accordo segreto, stipulato tra il governo italiano e i rappresentanti della Triplice Intesa, un sistema di accordi politico-militari tra la Gran Bretagna, la Francia e la Russia culminato nell'accordo anglo-russo del 1907, con i quali l'Italia si impegnò entro un mese a scendere in guerra contro gli Imperi Centrali, in cambio di cospicui compensi territoriali (l’accordo prevedeva l’assegnazione all’Italia di Trento e Trieste, l’Altro Adige, l’Istria, la Dalmazia e alcune colonie tedesche in Africa) non completamente riconosciuti nel successivo trattato di Versailles alla fine del conflitto. In maggio ci furono violenti scontri fra neutralisti e interventisti. La conclusione di quello che è stato chiamato ironicamente il “radioso maggismo” cioè l’agitazione di piazza per l’entrata in guerra capeggiata da D’Annunzio,
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