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Tesina sul tema della crisi delle certezze, Tesine di Maturità di Filosofia

Qui si possono trovare i collegamenti su questo tipo di tematica

Tipologia: Tesine di Maturità

2022/2023

Caricato il 08/05/2023

annajudo04
annajudo04 🇮🇹

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Scarica Tesina sul tema della crisi delle certezze e più Tesine di Maturità in PDF di Filosofia solo su Docsity! TESINA SULLA CRISI DELL'UOMO E DELLE SUE CERTEZZE ARTE:espressionismo ed E.Munch (quadri "L'URLO","ANGOSCIA","DISPERAZIONE"). FILOSOFIA:Kierkegaard:"Il concetto di angoscia" e "Malattia mortale". LATINO:"Le Confessiones" di S.Agostino. GRECO:"A sè stesso" di Marco Aurelio. ITALIANO:ermetismo,Montale e Ungaretti. STORIA:primo dopoguerra in Italia e crisi del 1929. EDUCAZIONE FISICA:la forza. FISICA:la fisica nucleare. MATEMATICA:lo studio della funzione. ARTE-FILOSOFIA: La crisi esistenziale che colpì gli uomini all'inizio del 900 fu presente soprattutto in ambito artistico dove in quel periodo nascevano le Avanguardie. Queste erano dei movimenti artistici che segnarono una rottura con l'arte precedente per i loro caratteri di rinnovamento e sperimentazione e il loro modo di vedere nell'opera una funzione sociale. Una di queste fu l'espressionismo nato nel 1905 in Francia con il gruppo dei Fauves (= belve) e a Dresda con quello dei Die Brucke(= il ponte) che però presentavano differenze sostanziali fra loro. I primi infatti rappresentarono il lato armonico di questa corrente artistica in quanto si concentrarono molto sul colore,distribuendolo con pennellate grosse contrastanti fra loro ed evitando gradazioni e sfumature per creare effetti di chiaroscuro e di volume,ottenendo così immagini "piatte" simili a quelle primitive,considerate vere,spontanee ed istintive. Ciò lo si nota nelle opere del loro prinicipale esponente Matisse che però,presentando una personalità artistica unica,si allontanò in parte da questo stesso gruppo in quanto voleva esprimere con la sua arte serenità attraverso la"semplificazione delle idee e delle forme".Dal lato tedesco invece,artisti come Kirchner(che riuscì a attuare una quasi totale trasposizione delle forme in colore e morì suicida),Heckel e Nolde,influenzati dagli stili primitivi,romanico,gotico,dalla plastica africana e dai materiali della tradizione popolare tedesca (es.:la xilografia),elaborarono una pittura in contrapposizione con la società conservatrice locale che presentava un colore che doveva esprimere e non significare. Proprio per questo usarono quelli densi e accesi in maniera da incastrarli sulla tela suscitando così sgradevoli sensazioni in riferimento alla realtà di bruttezza e degrado umano. In questo furono influenzati dalla pittura di Ensor("L'entrata di Cristo a Bruxelles"1888-89,rappresentante Cristo in mezzo al quadro con un'espressione rassegnata a causa della folla lì presete che,con cartelloni e falsi sorrisi,simboleggia la falsità della società e fà perdere ogni valore cristiano e religioso al quadro) e di Munch,"il veggente ispirato,che della società prevede il destino tragico,l'ineluttabile caduta".Fu insieme a V. Gogh(ripetilo che te lo chiederanno,soprattutto "campo di grano con corvi") il vero padre dell'espressionismo tedesco,del quale anticipò tutte le tematiche:dall'angoscia esistenziale alla crisi dei valori etici e religiosi,dalla solitudine all'incombere della morte,dall'incertezza del futuro alla disumanizzazione di un società borghese e militarista. Egli del resto visse una vita condizionata da malattie e problemi famigliari e professionali,in quanto nel 1892 la sua mostra a Berlino fu stroncata dalla critica,dando vita alla secessione(= prevede il distacco di gruppo d'artisti dalle istituzioni ufficiali,dalle accademie e dalle loro mostre per riunirsi in gruppi autonomi) di Berlino,la terza dopo quella di Monaco con Von Stuck e quella di Vienna con Klimt.Nonostante questo venne apprezzato dai giovani avanguardisti e fu così vicino all'espressionismo tanto che,in periodo nazista,la sua arte venne considerata "degenerata" come la loro. Nelle sue opere quindi permane un tormento che affonda le sue radici in una dimensione psichica molto più profonda e angosciante di qualsiasi altro pittore,una dimensione che non presenta vie di fuga,nemmeno il suicidio. Questo però fu influenzato dalla cultura nordica a lui contemporanea che presentava in ambito letterario i drammi di Ibsen e di Strindberg e in quello filosofico il danese Kierkegaard.Non è un caso infatti che la ricerca filosofica di quest'ultimo,così come l'arte di Munch,nasca in risposta ad un'esistenza dolorosa e mentre il primo nel suo Diario scrisse di un "grande terremoto" che ha sconvolto la sua vita e di un "castigo di Dio" che si è abbattuto sulla sua anima,l'artista norvegese afferma allo stesso tempo che le sue opere si basano sul perchè non è uguale agli altri,sul perchè ci fu una maledizione sulla sua tomba e sul perchè fu gettato nel mondo senza poter scegliere. Tutto questo dolore emerge nella sua opera più famosa che è "L'urlo",nata da un'esperienza autobiografica dell'autore come sottolinea sul suo Diario: "Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura." Dal punto di vista linguistico invece presenta una commistione fra linguaggio biblico(attraverso citazioni esplicite o meno ed immagini quali "le orecchie del mio cuore") e letterario(caratterizzato da un ritmo a volte vivace altre patetico),tanto che le pagine sono ricche di figure retoriche quali le anafore,gli ossimori e le antitesi (ed altre) che spiccano nel discorso finale dove parla dell'incontro con Dio definendolo "bellezza tanto antica e tanto nuova" che "eri con me,ed io non ero con te".Molte sono le esclamazioni e interrogazioni per manifestare l'ansia di raggiungerlo,per mettere fine alla sua angoscia.(SE DEVI PORTARE UN TESTO TI SUGGERISCO L'INCIPIT DELL'OPERA PRESENTE NEL PRIMO LIBRO CHE E' FACILE) Come accennato precedentemente l'opera si allontana da quelle classiche di ammonimento filosofico - morale del suo tempo che,pur muovendo da un'esperienza individuale,erano costruite secondo schemi dottrinali che rispondevano all'esigenze spirituali della filosofia stoica e non riproducevano la totalità di un'esperienza di vita. Una di queste opere è l'"A sè stesso" di Marco Aurelio,il cosiddetto imperatore-filosofo che non incarnava la realizzazione del sogno platonico della sapienza al potere ma l'attuazione della pratica filosofica come antidoto al potere,considerato fondo di ansia,turbamento e crisi interiore. Egli ebbe una vita molto movimentata,caratterizzata dalle ribellioni nell'Impero Romano del II secolo d.C.(quando era imperatore "solitario" dopo la morte del fratello Lucio Vero,fratello che governava con lui) e nella sua opera (12 libri) emerge una riflessione asistematica dell'anima,dominata da un pessimismo di fondo derivata dalla concezione fatalistica della realtà,governata da un'ineluttabile necessità alla quale l'uomo non può sottrarsi e che deve cercare di interiorizzare per adeguarsi nel modo più indolore possibile. Influenzato dallo stoicismo,nella sua opera costante è la presenza della morte,vista come necessità somma e liberazione del "taedium vitae" che porta Marco Aurelio a parlare della caducità che contraddistingue l'essere umano e la sua esistenza. Ma l'uomo non deve "lasciarsi vivere" in attesa della morte ma lottare per conquistare la serenità interiore tramite la filosofia e per cui la ragione,partecipe del divino,accumuna tutti gli uomini e guida gli uomini ad una consapevole e virile accettazione del dovere,imposto dagli dei. Lo stesso ruolo imperiale è per lui un dovere imposto e SUBITO che cerca di compiere nel migliore dei modi nonostante il peso che esso comporta,pensando che anche il sommo potere è temporaneo e svanirà e che per questo non deve allontanare l'uomo dal vero bene,che è interiore. Lo stile si adatta ai contenuti e il lessico è ricco di tecnicismi,parole colloquiali e spesso scurrili che insieme creano una sintassi spezzata,nervosa,precisa ma spesso oscura ed ellittica e per ciò il suo è stato definito il linguaggio dell'anima,spesso oscuro e ricco di forme e costruzioni indefinite. ITALIANO-STORIA: Alla fine quindi M. Aurelio propone una cura per l'uomo afflitto dalla crisi esistenziale e,rifacendosi allo stoicismo,va contro il "lasciarsi vivere" che era classico degli inetti e che nel 900,con la caduta di ogni ideale,pervade l'animo dell'uomo dell'epoca che ormai non crede più in niente e nessuno,vedendo nella vita solo angoscia,tristezza e disperazione. Ciò portò alla nascita di correnti di pensiero come l'ermetismo,nel quale rientrano artisti come Quasimodo,Saba,Montale,Ungaretti e altri minori come Gatto che in passato furono considerati "ermetici" mentre la critica moderna li definisce "poeti puri" poichè la loro è una lirica essenziale,che rifiuta l'esteriorità illusoria e la falsa apparenza,fondata sulla magia della parola(si rifiuta una poesia celebrativa proprio per una pura e priva di insegnamento) ed questa poesia è rivolta a scrutare il mistero infinito del vivere,anche attraverso il ricco gioco di analogie che,come diceva Ungaretti,legano tra loro immagini senza fine. In questo modo si creava una poesia chiusa,allusiva,non chiara e dal messaggio quasi indecifrabile soprattutto in Montale ed Ungaretti mentre Saba fa scelte linguistiche diverse,scegliendo parole chiare e di uso quotidiano. Per questo Francesco Flora definì tale corrente "ermetismo",sostantivo che deriva da Ermete,dio proprio delle scienze occulte e quindi non chiare. Sul loro modo di scrivere influirono molto i simbolisti francesi(puntavano sulla parola allusiva che secondo Mallarmè,poeta decadente,doveva depurare la parola dalla valenza e dal significato assunto nel tempo per ridarle quello originale) e da riviste quali "La Ronda";"Solaria" "La Voce" che teorizzavano la prosa d'arte e il frammento lirico,puntando quindi tutto il lavoro del letterato sulla distillazione della parola. Infine si nota come questi poeti puntino sulla forza evocatrice della poesia e si concentrino su un discorso esistenziale per evitare di compromettersi con il Regime e di farsi celebratori delle sue conquiste come fecero molti poeti mediocri del suo tempo(Quasimodo era comunista e Montale si rifiuta di iscriversi al partito). Montale fu uno degli esponenti di spicco di tale corrente e fu un critico musicale per il CORRIERE D'INFORMAZIONE,scrisse per il CORRIERE DELLA SERA,ricevette un nobel e fu fatto senatore a vita mentre sotto il regime perse diversi incarichi pubblici a causa della sua idea politica. Fin dagli inizi, la sua poesia appare tutta tesa a indagare il mistero dell'esistenza. Si tratta di una poesia scarna, essenziale, che non si lascia sedurre da alcun mito decadente e che giunge ad un'unica certezza: non esistono certezze, e la vita è un enigma imperscrutabile. Per questo aspetto la poesia di Montale è stata accostata a quella di Leopardi. Nelle sue opere mature Leopardi distrugge ogni ideologia progressista e rappresenta con chiarezza l' "arido vero" della vita, l'illusorietà di ogni fede; allo stesso modo, Montale non crede in alcun messaggio salvifico ed è convinto che l'artista non possa che lanciare agli uomini dei messaggi in negativo: "ciò che (noi) non siamo e ciò che (noi) non vogliamo".Già presente nella prima raccolta del 1925, "Ossi di seppia"(già il titolo è una dichiarazione poetica:gli ossi di seppia sono quei rifiuti marini che il mare deposita sulla battigia e simboleggiano l'arida e dissecata condizione esistenziale dell'uomo),ambientata in larga misura nel paesaggio delle Cinque Terre, assai familiare al poeta; non si tratta però di una lirica descrittiva, in quanto tutti i particolari della natura che vengono evocati assumono un valore emblematico: la natura, cioè, diventa simbolo della sofferenza umana universale. Ecco, allora, le colline aride, il rivo strozzato, la foglia riarsa, tutti emblemi del male di vivere, secondo quella tecnica del correlativo oggettivo, già sperimentata da T. S. Eliot in "The waste land". Correlativo oggettivo: la natura è in pena per l'uomo in pena. L'opera si pone in una linea di continuità rispetto alla poesia di Pascoli e dei crepuscolari.:in primo luogo, anche Montale infatti rifiuta la poesia aristocratica che predilige solo temi scelti, elevati (e questa scelta appare con chiarezza nella lirica proemiale intitolata "I limoni"); non attendiamoci, però, in Montale le atmosfere sfatte, i paesaggi grigi dei crepuscolari, e neanche la commozione a volte esibita da Pascoli, che rievoca il proprio nido: Montale è uno "storico dagli occhi secchi" (come diceva Orazio), che contempla con impassibile rigore la desolata condizione esistenziale dell'uomo,che deve vivere seguendo la "divina indifferenza",fregandosene di tutto e tutti come fanno gli dei;anche se spesso egli dice che la vita è come una rete e l'uomo cerca in alcuni momenti una "maglia rotta" in essa per avere un attimo di felicità. Ancora a Pascoli e al fanciullino può far pensare la precisione linguistica di Montale: in effetti, egli usa un lessico da trattato naturalistico, sfoggiando una precisione da trattato enciclopedico; manca, tuttavia, in Montale, la curiosità del fanciullo che scopre la natura per la prima volta. Montale vuole evocare la realtà in tutti i suoi aspetti e in modo rigoroso, e fa quella scelta di plurilinguismo che era stata propria di Dante, mentre invece Ungaretti è più vicino alla scelta monolinguistica di Petrarca. [Montale è stato accostato a un pittore suo contemporaneo, De Chirico, per le atmosfere che riesce a creare: all'apparente oggettività della rappresentazione fa riscontro un'estrema inconsistenza.] La poesia di Montale è ricchissima di citazioni dantesche, soprattutto la terza raccolta, "La bufera e altro": Montale è infatti un buon conoscitore di Dante (così come Eliot), e come nelle poesie di Dante è frequentissima la presenza di figure femminili mute, di donne-angelo, così Montale si rivolge vanamente a donne misteriose, alla ricerca di una risposta ai suoi interrogativi esistenziali. La donna in Montale, come negli stilnovisti, è portatrice di salvezza, e Montale la immagina come la conoscitrice della verità, e proprio per questa sua prerogativa, ella può aiutare l'uomo nella sua angoscia. [La donna amata da Montale per molti anni, Elsa Brandeis, era una americana ebrea a cui piaceva Dante.] Nel 1939, Montale pubblica la sua seconda raccolta, intitolata "Le occasioni", che rappresenta il tempo della memoria: egli si abbandona ai ricordi, ricerca nella sua mente frammenti di vissuto, volti di donne, oggetti all'apparenza insignificanti, scorci di paesaggio. Sono queste le "occasioni" per cercare di fare luce sul senso del passato e, attraverso di esso, per illuminare il presente enigmatico. Stiamo parlando di memoria, ma non attendiamoci un Montale che cede alle lacrime: Montale controlla ogni abbandono sentimentale e questo ritorno al passato si svolge in una cornice di totale disincanto. Tuttavia, anche nel passato domina lo stesso caos del presente, per cui da esso non può giungere alcuna luce per dare un senso all'oggi, anzi, il passato tende a sfuggire dalla memoria. Non c'è, dunque, in Montale, come invece c'è in Proust, la gioia del tempo ritrovato, ma il passato sfuma in una indistinta nebbia di memoria. Solo nel 1956 viene pubblicata la terza raccolta, "La bufera ed altro", titolo che allude alla lunga stagione di odi, di violenze, di lotte, che si è conclusa da pochi anni e aveva raggiunto il suo apice nella Guerra Mondiale. La poesia di Montale si è sviluppata, fino ad ora, in una dimensione esistenziale, con qualche raro accenno alla contemporaneità (ad esempio, nella lirica "Dora Markus", che fa parte della seconda raccolta, "Le occasioni", del 1939 si allude al veleno nazista che sta appestando l'Europa). Ora, invece, la raccolta "La bufera ed altro" apre anche a un discorso di tipo politico-civile, in quanto si esprimono esplicite condanne contro le nefande ideologie nazifasciste e le tante torture portate dal conflitto. Anche in questa raccolta, tuttavia, la cifra prevalente del discorso montaliano rimane legata al destino di pena dell'uomo, rimane cioè in una dimensione squisitamente individuale, né Montale intende farsi portavoce di messaggi sociali o politici, come afferma esplicitamente in una delle liriche conclusive, "Piccolo testamento", in cui scrive di non credere ad alcun "chierico rosso o nero", di non prestare fiducia, cioè, ad alcuna fede politica o religiosa. Dell'ultima stagione di Montale ricordiamo la raccolta "Satura", del 1971, che rappresentò una svolta decisiva nella poetica di Montale, tant'è vero che lo stesso poeta afferma che le prime tre opere rappresentano il diritto e la quarta il rovescio della sua personalità. "Satura" richiama una raccolta mista che riprende da Orazio il tono epigrammatico e sentenzioso. Non è mutata la concezione della vita di Montale, solo che dall'alto dei suoi ottant'anni, sempre convinto dell'assurdità del vivere, egli devia la sua riflessione verso la Satura (l'ironia) e dà alla sua disperazione la leggerezza del paradosso (versi scherzosi e ironici). Un nucleo consistente di liriche, "Xenia" (dal greco, significa "dono per gli ospiti"), è dedicato alla moglie scomparsa chiamata affettuosamente "mosca", che egli rievoca in momenti insignificanti della vita in comune, ma senza mai cadere nella lacrima. Giuseppe Ungaretti fu un altro ermetista di tutto rispetto che scrisse la prima raccolta, "Il porto sepolto", nel 1916; il titolo allude al porto sepolto di Alessandria d'Egitto, città natale del poeta, e, metaforicamente, significa quanto c'è in noi di oscuro, di indecifrabile. Seguì, nel 1919, la raccolta "Allegria di naufragi". Ambedue queste opere confluirono poi, nel 1931, in un'unica raccolta "L'allegria", che ebbe la prefazione di Benito Mussolini. Ne "L'allegria" dominano le esperienze biografiche della Prima Guerra Mondiale, quando Ungaretti combatté come fante sul Carso; egli ci presenta la guerra nel suo crudo orrore, demistificando così le affermazioni dissennate degli interventisti e dei futuristi che nel Manifesto affermavano che la guerra era la sola igiene del mondo. In queste poesie domina l'io lirico: Ungaretti parte da una tragica esperienza individuale, ma poi la universalizza, facendola divenire esperienza di una intera umanità. Con il titolo "Allegria di naufragi" Ungaretti allude al naufragio delle guerre e alla sofferta allegria dei reduci che, come naufraghi, ritornano alle loro case e si riappropriano della vita. Il naufrago, però, per riappropriarsi delle cose che gli sono ormai divenute straniere, deve rinominarle, dare ad esse un nome: partendo da questo presupposto, si comprende, allora, la ricerca ossessiva di Ungaretti riguardo alla singola parola, di cui egli vuole riscoprire e ritrovare il significato fonico primitivo, l'originaria valenza semantica. Per sottolineare come ogni singola parola viene dal poeta sottratta al silenzio, al buio, Ungaretti scrive versi spezzati, ricchi di pause, inframmezzati da spazi bianchi, che stanno ad -la grandezza del muscolo o meglio il numero di fibre da cui è composto;più tale numero è grande e più forza viene sviluppata; -il tipo di tali fibre:in natura infatti esistono quelle bianche e quelle rosse e un muscolo che presenta in maggior numero le prime rispetto alle seconde,svilupperà più forza; -l'elasticità e la viscosità delle componenti contrattili del muscolo; -il numero di impulsi nervosi emessi dai ricettori motori(più ve ne sono e meglio è) e quindi dal lavoro svolto dall'apparato nervoso,senza dimenticare inoltre quello svolto dall'apparato cardio-respiratorio; -la coordinazione di ogni singola parte del muscolo che permette il giusto alternarsi fra fase di riposo e fase attiva; -la collaborazione fra muscolo agonista,antagonista e sinergico che agevola il lavoro svolto dal muscolo principale che sarebbe il primo dei tre(ad esempio nel sollevamento pesi il muscolo agonista è il bicipite,l'antagonista è il tricipite mentre i flessori dell'avambraccio sono quelli sinergici); -le risorse energetiche (ATP) e il loro modo d'utilizzo(con l'allenamento costante infatti non solo tali riserve aumentano ma migliora anche il loro modo e soprattutto la loro velocità di utilizzo); -in ultimo incidono molto sulla produzione della forza le altre capacità,quali la resistenza,la coordinazione,la velocità,che permettono di svolgere correttamente l'esercizio senza sviluppare contrazioni inutili. Inoltre è importante ricordare che la forza,e di conseguenza tutti i fattori che su essa incidono,può essere migliorata attraverso l'allenamento che in questo ambito prende il nome di tonificazione e i suoi esercizi si dividono in: -esercizi (di tonificazione) a carico naturale:quando si usa il proprio corpo come peso (flessioni,sollevamenti alla sbarra) o ci si mette in posizione specifiche per aumentare la difficoltà dell'esercizio e sviluppare in seguito tensioni e sforzi maggiori; -esercizi (di tonificazione) con sovraccarichi:sono quelli in cui vengono usati pesi esterni (manubri,assi d'acciaio,bottiglie di plastica piene di sabbia ecc.). FISICA NUCLEARE I NUCLEI DEGLI ATOMI Dall’esperienza di Rutherford sappiamo che le dimensioni del nucleo, che si trova al centro di un atomo con Z elettroni, sono molto più piccole di quelle dell’atomo e che la carica del nucleo è +Ze . Successivamente Rutherford e Chadwick eseguirono numerose esperienze, nelle quali facevano urtare delle particelle alfa (che sono nuclei di elio) contro nuclei di atomi più pesanti, per esempio oro e platino. Essi limitarono le loro osservazioni alle particelle alfa di grande energia cinetica che subivano deviazioni consistenti. Erano sicuri che in questo caso le particelle erano arrivate a una distanza molto piccola dal nucleo. Trovarono così che, quando questa distanza è dell’ordine o inferiore a 1410 m, le particelle alfa sono soggette, oltre che alla forza di Coulomb, anche ad altre forze che ne modificano la traiettoria e che sono dette forze nucleari . Esperienze di questo tipo, eseguite successivamente con notevole precisione sui nuclei di tutti gli elementi del sistema periodico facendo uso di particelle cariche accelerate artificialmente, permisero di stabilire che il nucleo atomico è un piccolo corpo, grosso modo sferico, il cui diametro è dell’ordine di 1410 m, circa cinquantamila volte più piccolo del diametro di un atomo. I PROTONI E I NEUTRONI Di che cosa sono fatti i nuclei? Nel 1919 Rutherford fece un esperimento: un fascio di particelle alfa veniva fatto passare attraverso uno strato di gas azoto. Rutherford osservò che un nucleo di azoto, colpito da una particella alfa, la cattura e si trasforma in un nucleo di ossigeno, emettendo una particella diversa da quella incidente. La particella emessa, che ha massa kgxmp 27106726,1  (1836 volte la massa dell’elettrone) e carica + e (uguale e di segno contrario a quella dell’elettrone), è stata chiamata protone. Nel 1932 Chadwick fece un’altra scoperta. Bombardando con particelle alfa del berillio (Be), egli scoprì che i nuclei di questo elemento si disintegrano, emettendo una nuova particella fino ad allora sconosciuta. Il neutrone, così venne chiamata la particella scoperta, è elettricamente neutro e la sua massa è di pochissimo superiore a quella del protone. La scoperta del neutrone permise di comprendere la struttura dei nuclei, ognuno di essi è costituito da un certo numero di protoni e di neutroni che interagiscono tra loro con forze attrattive di nuovo tipo dette, appunto forze nucleari. NUMERO DI MASSA E NUMERO ATOMICO Ogni nucleo è caratterizzato da un numero di massa indicato dalla lettera A , e da un numero atomico indicato dalla lettera Z. Il numero atomico Z rappresenta il numero di protoni, che in un atomo elettricamente neutro è uguale al numero di elettroni, mentre il numero di massa A rappresenta il numero di nucleoni, cioè la somma del numero Z di protoni e del numero N di neutroni che costituiscono il nucleo: A = Z + N Per esempio, il nucleo dell’atomo di alluminio (Z = 13 , A = 27) è costituito da Z = 13 protoni e N = 27 – 13 = 14 neutroni. Esso è indicato con il simbolo Al27 13 . Tutte le volte che due nuclei hanno lo stesso valore di Z, ma diversi valori di A si dice che essi sono isotopi dell’elemento di numero atomico Z. Poiché la forza nucleare che tiene legati nel nucleo protoni e neutroni è molto complicata, è utile applicare il modello semiquantistico: tale modello è corpuscolare ma tiene conto del principio di indeterminazione, della quantizzazione di Bohr e del fatto che i protoni e i neutroni sono fermioni di spin ½. La scoperta della radioattività naturale In un dizionario pubblicato nel 1896, alla voce uranio si potevano leggere queste parole: “metallo pesante, di nessun pregio, praticamente inutile”. Ma proprio in quell’anno, il francese Henri Becquerel (professore di fisica presso il Musée d’Histoire Naturelle a Parigi), mentre cercava di evidenziare la possibile emissione di raggi X da parte di alcuni metalli resi fluorescenti dalla luce, scoprì quasi casualmente che i Sali di uranio avevano la proprietà di annerire le lastre fotografiche anche quando le lastre erano completamente racchiuse dentro ad un involucro opaco alla luce. Inizialmente pensò che il fenomeno fosse connesso con la fluorescenza indotta dalle onde luminose, poi intuì che l’annerimento delle lastre doveva essere provocato da qualche radiazione, penetrante come i raggi X, emessa spontaneamente dall’uranio senza alcuna preventiva eccitazione del materiale uranifero. Dedusse quindi che i sali di uranio emettono spontaneamente radiazioni penetranti, che non sono capaci di eccitare il meccanismo della visione, ma che hanno però la proprietà di impressionare le lastre fotografiche. In seguito venne sperimentato che i sali d’uranio non erano le uniche sostanze radianti. Questo fenomeno venne definito radioattività naturale. Le particelle  hanno numero atomico Z = 2 e peso atomico 4 (cioè sono costituite dall’insieme di 2 protoni e 2 neutroni); le particelle  sono elettroni. Perciò quando un nucleo radioattivo di numero atomico Z e numero di massa A, emette una particella , l’atomo che si ottiene a seguito del decadimento ha numero atomico Z – 2 (la sua carica diminuisce di 2 unità) e numero di massa A – 4 (la sua massa diminuisce di 4 unità). Quindi la disintegrazione può essere rappresentata dalla seguente reazione nucleare: α 4 2 4A 2Z A Z QHeXX    dove X rappresenta un generico elemento radioattivo di numero atomico Z e numero di massa A e αQ l’energia della reazione nucleare, chiamata energia di disintegrazione. I processi che avvengono con liberazione di energia (Q > 0) rappresentano reazioni esoenergetiche, mentre quelle che avvengono con assorbimento di energia (Q < 0) rappresentano reazioni endoenergetiche. Invece, quando un nucleo radioattivo A Z X emette una particella , l’atomo che si ottiene presenta numero di massa inalterato (la sua massa non diminuisce in modo apprezzabile, dato che la massa dell’elettrone è trascurabile rispetto a quella del nucleo), mentre la sua carica (e quindi il numero atomico) aumenta di 1 unità. La disintegrazione  può essere rappresentata dalla seguente reazione nucleare: β A 1Z A Z QeXX    Poiché nel sistema periodico gli elementi sono ordinati secondo il numero atomico (che coincide con la carica nucleare), ne deriva che l’emissione di una particella  provoca lo spostamento di due posti verso le caselle di numero atomico inferiore, mentre l’emissione di una particella  dà luogo allo spostamento di un posto verso le caselle di ordine superiore. Esempio: il radio (Ra) ha numero atomico 88 e peso atomico 226, i suoi nuclei non sono stabili ed emettono particelle . Un atomo che emette particelle  ha massa atomica 226 – 4 = 222 e numero atomico 88 – 2 =86. In tale stato prende il nome di radon (Em). Anche il radon non è stabile ed emette particelle . Per la perdita di una particella , l’atomo di radon si trasforma in radio A (RaA), di massa atomica 222 – 4 = 218 e numero atomico 86 – 2 = 84. Anch’esso è radioattivo ed emette particelle . Il radio A si trasforma in radio B (RaB) di massa atomica 214 e numero atomico 82. Quest’ultimo a sua volta è radioattivo, ma emette particelle , dando luogo a un atomo di radio C (RaC), il quale ha ancora massa atomica 214, ma carica 82 + 1 =83. Infine, l’atomo di radio C si trasforma in quello del radio C’ (RaC’) per emissione ancora di una particella . Il radio C’ ha massa atomica 214 e numero atomico 84. Il radio A e il radio C’, avendo diversa massa atomica ma uguale numero atomico, sono isotopi. Legge del decadimento radioattivo Vogliamo introdurre la relazione che esprime l’attività di una sostanza radioattiva in funzione del tempo. In base alle leggi della meccanica quantistica il decadimento spontaneo di un nucleo è un processo puramente casuale; quindi, mentre è praticamente impossibile determinare l’istante in cui un particolare nucleo si disintegra, si può invece predire la probabilità che un certo numero di atomi di una data specie si disintegri in un dato intervallo di tempo. Consideriamo un campione costituito da un numero N0 molto grande di atomi con nucleo radioattivo di un isotopo radioattivo. Dopo un piccolo intervallo di tempo Δt un certo numero di atomi è decaduto e di conseguenza il numero di atomi dell’elemento originario è variato di una quantità che indichiamo con – ΔN. Qualunque sia la natura dell’isotopo, il numero di atomi decaduti è proporzionale al numero Nt di atomi inizialmente presenti e all’intervallo di tempo Δt, cioè: tNN t  (1) dove  è una costante di proporzionalità caratteristica dell’elemento considerato ed è chiamata costante di decadimento o di disintegrazione. Se indichiamo con R la velocità di decadimento, cioè il rapporto tra il numero di nuclei che decadono in un intervallo di tempo Δt e l’intervallo di tempo stesso, si ha che: t N R    dove il segno meno sta ad indicare che N diminuisce all’aumentare di t. Tenendo conto della velocità di decadimento, la (1) può essere scritta nella forma: )()( tNtR  (2) e mediante un calcolo integrale si ottiene: t t eNN 0  (3) Quest’ultima è detta legge del decadimento e mostra come, partendo da N0 atomi, il numero Nt di atomi presenti all’istante t, che non si sono cioè ancora disintegrati, decresce esponenzialmente nel tempo. La legge del decadimento può essere rappresentata mediante la seguente curva: TeN N 0 0 2  cioè Te 2 1  e, prendendo i logaritmi naturali di ambo i membri, si ha: 2logT da cui:  693,0 T Da quest’ultima si può osservare che, come la costante di disintegrazione , il periodo di dimezzamento varia con la natura dell’isotopo considerato. Unità di misura Riportiamo nella tabella che segue, le masse dell’elettrone, del protone e del neutrone espresse in kilogrammi e in unità u ( Kg101,66043u 1 -27 ). Particelle Massa a riposo m0 (Kg) u Elettrone 9,109·10-31 0,549·10-3 Protone 1,67252·10-27 1,007276 Neutrone 1,67482·10-27 1,008675 Per quanto riguarda l’energia, nel SI l’unità usata in campo atomico è l’elettronvolt (eV), corrispondente all’energia posseduta da 1 elettrone in un punto di un campo elettrico dove il potenziale è di 1 volt. Poiché la carica dell’elettrone vale: coulomb101,60210 -19e ed inoltre: 1joule1volt coulomb 1  abbiamo che: J101,602101VC101,60210eV 1 -19-19  Si usano i seguenti multipli: eV10(KeV)lt elettronvo Kilo 3 eV10(MeV)lt elettronvo Mega 6 eV10(GeV)lt elettronvo Giga 9 Facendo i calcoli di trasformazione, si trova che: J101,60210MeV 1 -13 Equivalenza tra massa ed energia e sue conseguenze Una delle conseguenze della teoria della relatività di Einstein è la seguente (una delle più sconvolgenti scoperte della fisica moderna): dotare un corpo di energia cinetica equivale ad incrementare la sua massa. Questo significa che ogni volta che un corpo viene messo in movimento, il lavoro della forza provoca un incremento della sua massa; naturalmente, quando il corpo si ferma, la perdita di energia provoca una corrispondente diminuzione della sua massa. Se consideriamo che l’energia cinetica non è che una delle tante forme di energia, e che tutte le forme di energia possono trasformarsi l’una nell’altra, il principio di equivalenza può essere esteso a tutti i tipi di energia. Possiamo dunque formulare il principio di equivalenza tra massa ed energia in questa forma più generale: ogni volta che ad un corpo viene fornita una quantità di energia E di qualunque specie, la massa del corpo aumenta di una quantità: 2c E m  dove c (pari a 2,99792 ·108 m/s) è la velocità di propagazione della luce nel vuoto. Possiamo chiederci come mai nei fenomeni macroscopici non si avvertono le variazioni di massa dei corpi in corrispondenza degli scambi energetici. Per rispondere facciamo un esempio: se un corpo la cui massa è 1 Kg viene sollevato ad un’altezza di 1000 m, l’energia potenziale che gli viene fornita è: J 9810100081,91  mghU g la corrispondente variazione di massa risulta: g 101,09kg 101090 s m )103( J 9810 10-16 2 2 28    m pari circa a un decimiliardesimo di grammo. Nessuna bilancia sarebbe in grado di rilevare una tale variazione di massa. Ecco perché il principio di equivalenza tra massa e energia non fu mai evidenziato sperimentalmente, prima che Einstein lo scoprisse per via puramente teorica. Per i fenomeni dove intervengono le particelle elementari , si può evidenziare sperimentalmente tale principio. Infatti le energie che possono essere impartite ad una particella sono molto elevate nei confronti della massa della particella stessa. Se la massa è una forma di energia, allora anche un corpo, la cui massa a riposo è m0, possiede, quando è fermo, una quantità di energia pari a: (ricordando che Kg101,66043u 1 -27 ) cui corrisponde un’energia: MeV 22,210 /1,602103568,59J 103563,64J )1099792,2(10396,51 -13-16-1628-322  cmE Per ottenere l’energia espressa direttamente in MeV possiamo osservare che: J1049232,1m/s)10(2,99792 Kg101,66043u 1 1028-27  MeV 5,931eV10 9,31477eV 1060210,1 1049232,1 u 1 8 19 10       e quindi possiamo scrivere MeV 5,931 mE Nel nostro esempio abbiamo: MeV 22,2MeV 5,931002388,0 E Quanto precedentemente detto, lascia intuire che esiste la possibilità di ottenere energia dalle reazioni nucleari. Se riconsideriamo il processo di fusione di un protone e di un neutrone, alla fine della reazione, il nucleo ottenuto ha una massa minore della somma delle masse delle particelle reagenti. La differenza di massa si libera, sottoforma di energia raggiante, nell’ambiente esterno. Questo risultato vale in modo generale: in ogni reazione nucleare, nella quale i nuclei ottenuti hanno una massa inferiore a quella dei nuclei reagenti, si produce una quantità di energia che, secondo la reazione di Einstein, è: 2cmE  LO STUDIO DI UNA FUNZIONE Dati due insiemi A e B si dice funzione da A verso B una relazione che associa ad ogni elemento di A uno e un solo elemento di B. Se A e B sono insiemi di numeri reali, allora si parla di funzioni reali di variabile reale. Se la funzione mette in relazione l’elemento x E A con y E B, si scrive y=f(x); l’elemento y associato a un dato elemento x si dice “immagine” di x, mentre x si dice “contro immagine” di y. Una funzione si dice: Iniettiva: se ogni elemento di B è immagine al più di un elemento di A. Suriettiva: se ogni elemento di B è immagine di almeno un elemento di A. Biunivoca: se è sia iniettiva e suriettiva. Inversa: se y=f(x9 è uguale a x=f^-1(y) Le funzioni matematiche si dividono a seconda del tipo di equazioni che le costituiscono: Algebriche: funzioni descritte da un’equazione y=f(x), contiene un numero finito di operazioni. Trascendenti: tutte le funzioni che non sono algebriche, come le esponenziali e le trigonometriche. Le funzioni algebriche possono essere: razionali intere: se l’equazione y=f(x) è un’equazione polinomiale. razionali fratte: se l’equazione si puo’ ricondurre a un rapporto tra polinomi y=f(x)/g(x) irrazionali: se tra le operazioni da eseguire sulla variabile x compaiono estrazioni di radice n-esima In matematica per studio di funzione si intende quell’insieme di procedure che hanno lo scopo di analizzare una funzione al fine di determinare alcune caratteristiche qualitative. Uno studio di funzione correttamente condotto permette infatti di tracciare il grafico relativo. Campo di esistenza È l’insieme di tutti i valori che, attribuiti alle variabile indipendente x, consentono di calcolare mediante la legge y=f(x) il corrispondente valore di y. Significa individuare l’insieme dei valori x che ammettono un’immagine di y. Funzioni razionali intere: y=f(x) il campo di esistenza coincide con R. Funzioni fratte: y=f(x)/g(x) si pone g(x)≠0 Funzioni irrazionali (radici) Se n(indice di radice) è pari f(x)≥0 Se n è dispari, il campo di esistenza coincide con il campo di esistenza del radicando Funzioni logaritmiche y=loga(f(x)); argomento sempre positivo, f(x) >0 Simmetria Se nella simmetria rispetto all’asse y l’equazione della funzione rimane invariata, cioè se f(x)=-f(x), il grafico della funzione è simmetrico rispetto all’asse y; la sua equazione rimane invariata. In questo caso la funzione si definisce pari. Si definisce funzione dispari se f(-x)=-f(x). Quindi il grafico della funzione sarà simmetrico rispetto all’origine. Intersezione con gli assi I punti di intersezione si determinano risolvendo dei sistemi Studio del segno Studiare il segno di una funzione significa determinare in quali intervalli essa assume valori positivi e in quali valori negativi Per studiare gli intervalli di positività è necessario risolvere f(x)>0 CRISI DELL’UOMO E DELLE SUE CERTEZZE It al ia n o Montale: “Spesso il male di vivere ho incontrato” Ungaretti: “Veglia” S. Agostino “Le Confessioni”: “Incipit” Marco Aurelio Primo dopoguerra Crisi del 1929 Kierkegaard “Il concetto di angoscia” A rte Espressionismo E.Munch: “L’urlo” I limiti La forza Fisica nucleare
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