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Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini, Sintesi del corso di Storia Moderna

Riassunto del saggio di P. Burke relativo al significato storico delle immagini nella storia dell'arte

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 29/06/2021

elenab1980
elenab1980 🇮🇹

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Scarica Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! 1 TESTIMONI OCULARI. IL SIGNIFICATO STORICO DELLE IMMAGINI “Un’immagine dice più di 1.000 parole” Con questa frase introduttiva il saggio di Peter Burke ci introduce all’importanza delle immagini come prove storiche, in grado di ampliare il repertorio di fonti disponibili per gli storici delle ultime generazioni. Tuttavia, si parla di invisibilità del visivo, un fenomeno che sta ad indicare che gli storici per molto tempo non hanno preso sul serio il valore documentario delle immagini, considerandole soltanto delle semplici illustrazioni da inserire nel testo, spesso senza alcun commento. Dobbiamo attendere la metà degli anni Sessanta per una svolta pittorica quando la fotografia assume il ruolo di testimonianza di storia sociale in grado di dare uno spaccato della vita quotidiana delle persone comuni. Le immagini, come i testi e le testimonianze orali, rappresentano una sorta di “prova” storica, in quanto sono delle vere e proprie testimonianze oculari che mettono lo spettatore davanti alla storia. Dato che le immagini sono dei testimoni muti, possono sollevare una serie di problematiche in merito all’attendibilità dell’immagine stessa. A prescindere dalla sua qualità estetica, ogni immagine può fornire una testimonianza storica e soprattutto ogni oggetto del passato ha qualcosa da raccontare a chi studia la storia. Da sottolineare le grandi innovazioni nella produzione di immagini, con notevoli ripercussioni storiche: • La diffusione delle immagini a stampa nel Quattrocento e Cinquecento; • La diffusione della fotografia, cinema e televisione nell’Ottocento e Novecento. Si verifica pertanto un mutamento nell’aspetto delle immagini, ed un incremento esponenziale del numero delle immagini a disposizione della gente comune, rispetto al Medioevo. Con l’era della fotografia, la macchina fotografica mette a disposizione una pluralità di copie della stessa immagine, che tende pertanto a perdere l’aura tipica dell’opera d’arte. 1 Fotografie e ritratti La tentazione del realismo, ovvero scambiare un’immagine per la realtà, è molto forte nel caso di immagini e ritratti. Partendo dal presupposto che la macchina fotografica non mente, si verifica un contrasto fra la soggettività della narrazione e l’oggettività della fotografia, cioè il suo “valore documentario”. La fotografia documentaria si diffonde negli Stati Uniti durante gli anni Trenta, con riferimento a scene della vita quotidiana di gente comune, soprattutto poveri, una vera e propria fotografia sociale, che pone l’accento sul lavoro minorile, sugli incidenti sul lavoro e la vita nei bassifondi. Tuttavia, nelle prime fotografie realizzate negli anni Ottanta dell’Ottocento, con macchine fotografiche su cavalletto ed esposizioni di venti secondi, i fotografi costruivano le scene, indicando alla gente dove collocarsi e quale posa assumere. Per questo possiamo affermare che le fotografie non sono mai prove storiche, ma materiale storico esse stesse. Preziose testimonianze sono le fotografie aree, che combinano i dati di una fotografia con quelli di una pianta, rendendo possibile la ricognizione del passato. 2 Il ritratto dipinto è un genere artistico che riflette un sistema di convenzioni che ha subito un lento mutamento nel corso dei secoli. Le pose ed i gesti dei personaggi, così come gli accessori e gli oggetti rappresentati accanto a loro, assumono un forte significato simbolico. Possiamo quindi affermare che il ritratto è una forma simbolica. Lo scopo era quello di rappresentare il soggetto secondo una luce favorevole; non a caso per farsi ritrarre si indossavano gli abiti migliori. Anche la posa del soggetto era rivolta verso la migliore presentazione del sé, che veniva enfatizzata dagli accessori raffigurati insieme al soggetto. Il ritratto, che sia un dipinto o una fotografia, offre una sorta di “temporanea immunità dalla realtà” in quanto illusione sociale, in grado di rappresentare una performance speciale del soggetto raffigurato. Si tratta pertanto di un’incredibile testimonianza per ricostruire la storia del mutamento sul modo di rappresentare lo stesso genere di persona. Esemplificativo è il celebre ritratto di Luigi XIV che rappresenta il sovrano appoggiato allo scettro come una sorta di bastone da passeggio, e la corona appoggiata sul cuscino: un’invenzione che si tramuterà in convenzione per i successivi ritratti dei sovrani francesi. Nel Novecento il genere del ritratto di stato subirà poi una profonda trasformazione. Se i dipinti sono stati paragonati a finestre o a specchi, le immagini possono essere considerate il riflesso del mondo visibile o del mondo sociale. Quindi è possibile utilizzare un’immagine come prova storica procedendo ad un’analisi articolata in tre punti: • L’arte può fornire prove della realtà sociale che i testi ignorano; • L’arte di rappresentare è spesso meno realistica di quanto appaia e tende pertanto a distorcere la realtà; • Il processo di distorsione è una testimonianza di fenomeni come mentalità, ideologie ed identità, e costituisce una prova dell’immagine mentale o metaforica di sé e degli altri. Anche se le immagini da una certa prospettiva, si dimostrano inattendibili, è sufficiente cambiare il punto di vista per renderle testimonianze interessanti, in quanto un’immagine può fornire la prova di ciò che non viene espresso a parole. Come un detective, anche lo storico deve prestare attenzione anche ai più piccoli dettagli. Ricordiamo il metodo elaborato da Giovanni Morelli, per identificare l’autore di un dipinto nei casi di incerta attribuzione. Con il suo metodo sperimentale, Morelli si concentrava su un attento esame dei piccoli dettagli, come la forma di mani ed orecchie, sostenendo che ogni artista tendeva a riprodurle in un modo peculiare. L’interpretazione delle immagini attraverso l’analisi dei dettagli è attualmente nota come iconografia. 2 Iconografia e iconologia Le immagini sono concepite per comunicare: da un lato ci dicono qualcosa, ma da un altro sono mute. L’interpretazione delle immagini prende il nome di iconografia o iconologia. I termini iconografia e iconologia vengono rilanciati negli anni Venti e Trenta del Novecento nel mondo della storia dell’arte. Per gli iconografi i dipinti non vanno solo guardati, vanno anche “letti”, per capire il simbolismo nascosto negli oggetti quotidiani raffigurati in un dipinto. Erwin Panofsky, celebre iconografo, pubblicò nel suo saggio tre livelli di interpretazione corrispondenti a 3 livelli di significato dell’opera stessa: 5 L’uso devozionale delle immagini non era sempre gradito e questo porterà alla nascita di movimenti iconoclastici: prima a Bisanzio intorno al VIII secolo, poi nell’Europa occidentale nel corso del Cinquecento. Per ricostruire le opinioni della gente comune che non hanno lasciato testimonianze scritte, è utile la ricostruzione proveniente dagli atti collettivi di distruzione delle immagini sacre. Anche il fenomeno della polemica religiosa si diffuse ampiamente grazie ai protestanti, che nei primi anni della Riforma, fecero notevole uso delle immagini attraverso le xilografie, economiche e facilmente trasportabili e comprensibili anche dalla popolazione non alfabetizzata. Si trattava di un repertorio di umorismo popolare che metteva in ridicolo la Chiesa cattolica, con l’intento di combatterla. Lucas Cranach, amico di Lutero, con la sua officina produsse numerose stampe polemiche che mettevano in contrasto la semplicità della vita di Cristo con il lusso della Chiesa. L’immagine del Papa veniva quindi associata all’avidità, denaro, sfoggio di potere e alla figura del diavolo. Lutero, al contrario, veniva raffigurato come un eroe o un santo, circondato da un’aureola e accompagnato dalla colomba dello Spirito Santo. In un periodo di limitato alfabetismo, pertanto le immagini ci offrono una testimonianza più ricca dei testi disponibili. Alcuni studiosi sostengono che la riforma ha rappresentato un momento di crisi dell’immagine, un passaggio dal culto dell’immagine al culto della parola. Ipotesi confermata dalla diffusione dei movimenti iconoclastici nell’Europa del Cinquecento. Possiamo affermare che le immagini sacre conservarono molto del loro potere tanto nell’Europa protestante quanto in quella cattolica. Le visioni sono un’ulteriore testimonianza della sopravvivenza dell’immagine; si tratta per lo più di visioni araldiche che inducono a pensare che i luterani stavano sviluppando una propria cultura delle immagini. In ambito cattolico, il concilio di Trento riaffermò solennemente l’importanza delle immagini sacre, il culto delle reliquie ed i pellegrinaggi. Le immagini servivano a riaffermare le dottrine messe in questione dai protestanti. Ed ecco che le estasi ed apoteosi dei Santi, sottolineano la differenza tra comuni mortali e Santi. Lo stile teatrale delle immagini che si diffonde in età barocca rappresenta il bisogno di persuadere l’osservatore, come una sorta di risposta emotiva, inconscia, una propaganda a favore della Chiesa Cattolica contro le teorie protestanti. 4 Potere e protesta L’arte religiosa si è sviluppata nei primi secoli del cristianesimo attraverso un processo di appropriazione di elementi provenienti dall’arte romana. La posa frontale degli imperatori e dei consoli venne infatti adattata a rappresentare Cristo e la Vergine in Maestà, mentre le aureole imperiali diventarono attributo dei santi. Dal Medioevo ai giorni nostri invece si è verificato il processo inverso, ovvero appropriazione e adattamento delle forme religiose a scopi laici. La metafora e il simbolo hanno giocato un ruolo fondamentale nella politica per lungo tempo. Anche la personificazione, che è stata usata sin dai tempi dell’antica Grecia, rappresenta concetti astratti come Giustizia, Vittoria, Libertà, raffigurate come figure femminili. Dalla Rivoluzione Francese in poi furono fatti molti tentativi per tradurre in linguaggio visivo gli ideali della libertà, eguaglianza e fraternità. La Libertà in particolare ha sviluppato una sua specifica iconografia che prende spunto da quella classica e viene adattata di volta in volta a seconda delle circostanze politiche e del talento dell’artista. Il celebre dipinto di Delacroix, La Libertà guida il popolo mostra la personificazione della Libertà per metà come una dea modellata su una statua greca, e per metà come una donna del popolo con il tricolore in mano e un moschetto nell’altra e il cappello frigio a simboleggiare la 6 rivoluzione, mentre l’uomo con il cappello a cilindro rappresenta invece la classe operaia, facilmente riconoscibile da un’attenta analisi dei particolari del suo abbigliamento. La Statua della Libertà che protegge il porto di New York trasmette un potente messaggio ideologico da ricercare nei piccoli dettagli iconografici: le catene spezzate ai piedi della statua attributo tradizionale della Libertà, e la torcia che allude alla concezione dello scultore con la Libertà che illumina il mondo. Il messaggio politico è impresso nell’iscrizione scolpita sulla tavoletta: 4 luglio 1776. È la Rivoluzione Americana ad essere celebrata e non quella francese. Fin dall’antichità classica, in occidente, il sovrano veniva rappresentato come un eroe. Ricordiamo ad esempio la statua di Augusto di dimensioni colossali oggi conservata al Museo Gregoriano Profano a Roma dove l’imperatore indossa l’armatura e tiene in mano una lancia o stendardo, mentre l’altro braccio è sollevato nell’atto di proclamare la vittoria. Anche i piccoli dettagli raffigurati nella corazza rinforzano ulteriormente il messaggio. Le immagini dei sovrani sono spesso realizzate in uno stile trionfalistico; non a caso le dimensioni, spesso colossali, sono parte stessa del messaggio che si voleva trasmettere. Le statue equestri, ricordiamo il celebre Marco Aurelio esposto in Campidoglio a Roma, rappresentano la metafora dell’analogia fra il governare e lo stare in sella. I regnanti erano visti come immagini, come icone e la loro postura, le vesti, gli attributi che le circondavano contribuivano a dare un senso di maestà e di potere. Le statue o ritratti di stato non rappresentavano il sovrano con abiti di tutti i giorni, ma con l’abito dell’incoronazione, oppure con un’armatura o addirittura come un antico romano. Queste rappresentazioni risalgono ad un’epoca dominata dalla figura del monarca assoluto. Ma dopo il 1789 si verifica un cambiamento ed altri ideali prendono posto in una visione democratica del capo di stato: virilità, giovinezza e atletismo del leader. Ad esempio, Mussolini amava farsi fotografare nell’atto di correre; molti presidenti degli Stati Uniti sono stati fotografati mentre giocavano a golf; altri politici sono stati fotografati mentre visitano le fabbriche e parlano agli operai. I nuovi mezzi di comunicazione hanno certamente contributo ad aumentare la leggenda del grande leader: Hitler, Mussolini e Stalin hanno legato indissolubilmente le loro immagini ai manifesti e alla radio che amplificava i loro messaggi; da non dimenticare anche l’importanza del cinema. Nel Novecento il leader è spesso raffigurato in uniforme, chiaro rimando all’armatura medievale, oppure talvolta anche a cavallo. Spesso durante le dimostrazioni venivano fatte sfilare per strada come delle icone, gigantografie di Lenin, Stalin, Hitler, Mussolini, Mao, Ceausescu e tanti altri. In questo caso parliamo di arte totalitaria. L’iconoclastia non è soltanto un fenomeno religioso; esiste anche un’iconoclastia politica o vandalismo, termine coniato durante la Rivoluzione Francese a seguito della distruzione di numerosi monumenti legati all’Ancien Regime. Le tecniche sviluppate per la polemica religiosa durante il periodo della Riforma furono messe al servizio della politica. Nel periodo che va dall’invenzione del giornale a quello della televisione, le caricature e le vignette hanno dato un contributo fondamentale al dibattito politico incoraggiando la gente comune a partecipare agli affari di stato. 5 La cultura materiale e le immagini Le immagini sono di grande aiuto nella ricostruzione della vita quotidiana della gente comune; basta pensare ad esempio al valore delle immagini nella storia dell’abbigliamento. Anche la storia della tecnologia risulterebbe altamente impoverita se gli storici dovessero fare affidamento solo sui testi disponibili. Gli storici dell’agricoltura, della tessitura, della stampa, della guerra, della navigazione e di numerose altre attività pratiche, hanno attinto alle prove figurative per ricostruire aratri, telai, 7 presse, pistole e numerosi altri strumenti di lavoro. Il vantaggio principale della testimonianza offerta dalle prove figurative è quello di comunicare velocemente e chiaramente i dettagli di un processo complesso come ad esempio la stampa. I numerosi volumi dell’Enciclopedie si rivelarono un testo di consultazione che poneva la conoscenza degli artigiani sullo stesso piano degli studiosi, dove le numerose illustrazioni presenti non erano basate sull’osservazione diretta, ma su una versione riveduta di illustrazioni precedenti. Le testimonianze visive sono di particolare rilevanza e forniscono molti indizi per ricostruire l’aspetto delle città. Alla metà del Seicento le vedute cittadine divennero un genere pittorico in alcune città dei Paesi Bassi; successivamente nel Settecento si diffusero ampiamente. In quest’epoca erano molto diffuse anche le stampe raffiguranti scene di vita cittadina, così come le incisioni e le acquetinte. I pittori olandesi sono stati fra i primi a dipingere vedute di città e di interni indizio determinante per ricostruire la cultura olandese dell’epoca, dominata dalle città e dai mercanti, che incoraggiava l’arte della descrizione dove i dettagli delle immagini diventano prove di particolare valore. Gli storici dell’architettura fanno uso delle immagini allo scopo di ricostruire l’aspetto degli edifici prima della loro demolizione, del loro ampliamento o restauro. Dipinti, stampe e fotografie sono ampiamente utilizzati dagli storici per ricostruire l’aspetto delle città in un determinato periodo storico, anche se alcuni artisti talvolta arricchivano le loro opere con architetture di fantasia frutto della loro immaginazione. Oppure a volte le città venivano ripulite dagli artisti come in una sorta di abbellimento per evitare sfocature dovute al movimento delle figure nel caso della fotografia. Pertanto, diventa determinante ricollocare le immagini nel loro contesto originale al fine di evitare interpretazioni errate. Con la raffigurazione di interni domestici l’effetto realtà è ancora più forte di quello delle vedute cittadine. La porta, frontiera tra zone pubbliche e private, è al centro dell’interesse di alcuni pittori olandesi del Seicento che si specializzarono proprio in opere di questo genere in grado di dare un’istantanea della scena e di coinvolgere lo spettatore. Ovviamente da non dimenticare che questa immediatezza è frutto di un’illusione, in quanto quello che vediamo è inevitabilmente una ricostruzione, frutto delle modifiche avvenute nel corso dei secoli. I dipinti che raffigurano interni domestici vanno intesi come un genere artistico dotato di proprie regole; ad esempio, nel Quattrocento in Italia le scene di interni sono ambientate su uno sfondo religioso. Da un attento studio dei dettagli nelle immagini degli interni di case, taverne, caffè, aule scolastiche, botteghe, chiese, biblioteche, teatri emergono particolari molto interessanti soprattutto se confrontati tra di loro. Anche le immagini utilizzate nelle pubblicità possono essere di aiuto per gli storici per ricostruire elementi perduti nella cultura del Novecento e per lo studio degli atteggiamenti nei confronti dei beni di lusso. In Europa alla fine del Settecento cominciarono a diffondersi le prime pubblicità attraverso immagini. Una seconda fase nella storia della pubblicità si verificò verso la fine dell’Ottocento con la diffusione dei manifesti, grandi litografie a colori che venivano affissi nelle strade per pubblicizzare prodotti di vario genere. Soltanto a partire dal Novecento i pubblicitari si rivolsero alla psicologia del profondo, utilizzando le cosiddette tecniche “subliminali” di persuasione. Il modo in cui attraverso l’associazione dell’immagine visiva con vari oggetti si costruisce un’immagine mentale di un determinato prodotto, è un procedimento di manipolazione consapevole da parte delle agenzie pubblicitarie, ma inconsapevole da parte degli osservatori. 10 basta pensare allo stereotipo del terrorista che evoca un’immagine di violenza estrema e dissennata, spesso legata ai termini fanatismo, estremismo, fondamentalismo. Nell’ultimo ventennio del Novecento il concetto di orientalismo termine utilizzato per descrivere gli specialisti occidentali delle culture del Vicino, Medio, Estremo Oriente, ha acquisito una sfumatura peggiorativa. Questo cambiamento semantico è dovuto in gran parte al critico letterario Edward Said ed al suo libro che descrive l’orientalismo come l’insieme delle istituzioni create dall’Occidente per la gestione delle proprie relazioni con l’Oriente. Le sue idee possono essere utilizzate anche per analizzare i dipinti di soggetto orientale, accomunati da una presenza massiccia di stereotipi e da un’attenzione esasperata per il sesso, crudeltà, pigrizia e lusso orientale. Anche le fotografie, testimonianze della vita sociale nel mondo musulmano dell’Ottocento, continueranno a portare avanti alcuni di questi stereotipi e lo stesso avverrà per i film. Possiamo affermare che l’orientalismo di Said rientra in un fenomeno più ampio, ossia la percezione stereotipata di una cultura da parte di un’altra. La presenza di uno stereotipo è evidente anche nelle immagini non europee che raffigurano gli occidentali; ad esempio, una fiaschetta giapponese raffigura un portoghese con i pantaloni gonfi come palloni, enfatizzando questa caratteristica dell’abbigliamento occidentale. In questo caso possiamo parlare di occidentalismo. Un processo di distinzione e distanziamento si incontra anche all’interno di una stessa cultura; è il caso degli uomini contrapposti alle donne, i giovani contrapposti ai vecchi, la classe media in rapporto alla classe operaia, il nord in rapporto al sud. David Teniers il Giovane, si specializzò in immagini dell’Altro e dipinse streghe, contadini e alchimisti, bersagli satirici prediletti dell’epoca. Il caricaturista spesso usa e rinsalda un pregiudizio già esistente: è il caso delle rappresentazioni degli ebrei che spesso venivano raffigurati con un copricapo a punta, nell’atto di gesticolare volgarmente e rappresentati fisicamente simili al diavolo. Interessante è l’evoluzione della raffigurazione della strega, solitamente brutta ed associata ad animali come capre, gatti o al diavolo. Nel Cinquecento e Seicento è spesso raffigurata nell’atto di cuocere o mangiare bambini, probabile frutto di una contaminazione legata all’immagine dei cannibali. La metamorfosi finale nella figura della strega avviene nel Settecento ed Ottocento, quando diventa una vecchia rugosa col cappello a punta e una scopa, circondata da diavoletti, immagine ancora presente nella fantasia popolare. A partire dal XII secolo le immagini occidentali di pastori e contadini delle campagne, sono visti e ritratti in modo grottesco dagli abitanti delle città. La diffusione di questi stereotipi nel Trecento e Quattrocento lascia intuire un divario fra città e campagna che aumentava di pari passo con l’urbanizzazione. Questa tradizione comica si protrarrà fino al Seicento anche nelle immagini di feste contadine e fiere paesane. Soltanto a partire dal Settecento e Ottocento il selvaggio contadino sarà nobilitato o idealizzato in una rappresentazione fedele degli usi e dei costumi. Abbiamo visto come le immagini dell’altro, piene di pregiudizi e stereotipi, sembrano minare dalle fondamenta l’idea di poter fare affidamento sulle immagini considerandole come delle “prove”. Pertanto, è corretto considerare le immagini come testimonianza di un incontro e delle reazioni da parte dei membri di una determinata cultura e di ciò che veniva considerato “estraneo”. 8 Narrazioni visive Le immagini costituiscono un’importante fonte d’informazione sull’organizzazione e la collocazione di avvenimenti, tra cui battaglie, assedi, resi, trattati di pace, scioperi, rivoluzioni, concili 11 ecclesiastici, assassini, incoronazioni, visite in città di sovrani o ambasciatori, pubbliche esecuzioni, ed altri eventi. Nell’era della fotografia la memoria di avvenimenti viene associata alle loro immagini visive. Nell’era della televisione la percezione degli avvenimenti correnti è ormai inseparabile dall’immagine televisiva. Nell’era del cinema per gli spettatori diventa possibile immaginare di partecipare agli eventi stessi. La conseguenza più importante del diffondersi delle immagini a stampa è la possibilità di rappresentare e divulgare gli avvenimenti contemporanei mentre la memoria degli eventi è ancora fresca, rendendo queste immagini l’equivalente pittorico del giornale o dei fogli informativi. I dipinti narrativi pongono problemi sia ai pittori sia a chi intende leggerli; ad esempio, il problema di rappresentare una sequenza dinamica in forma di scena statica, condensando azioni successive in una singola immagine. La riduzione di una sequenza a una singola scena pone l’osservatore di fronte a problemi interpretativi. In molti casi il pittore anticipando queste difficoltà, inserisce nel dipinto una spiegazione sotto forma di iscrizione trasformando l’immagine in un “iconotesto”. Nell’Antica Roma le monete alludevano ad avvenimenti contemporanei e sono una vera e propria testimonianza di questi avvenimenti. La scelta e la presentazione degli avvenimenti da commemorare rappresentano la natura del regime nel periodo in cui vengono realizzate, mentre l’analisi su un lungo periodo è indicativo dei cambiamenti avvenuti. In Europa tra il Cinquecento ed il Seicento aumentano le immagini della vita pubblica e si diffonde la medaglia politica commemorativa degli eventi pubblici che possono essere considerate dei veri e propri strumenti di propaganda politica. Oltre ad imprimere gli avvenimenti, influenzavano la percezione dei contemporanei soprattutto nel caso delle rivoluzioni, in quanto spesso cominciavano a circolare nel momento stesso in cui la rivoluzione era in atto. Un esempio famoso è quello della presa della Bastiglia: dopo solo due settimane dall’evento circolavano delle stampe con immagini e testi che giustificavano l’attacco alla fortezza. Fra le raffigurazioni di avvenimenti storici sicuramente il posto d’onore è occupato dalle scene di battaglia, che a partire dall’Ottocento circolavano sotto forma di copie a stampa. Un problema ricorrente che si verifica nella difficoltà di osservare un combattimento a distanza ravvicinata e produrre immagini eroiche ha determinato l’incremento dell’utilizzo di figure prestabilite, stereotipi provenienti dalla cultura classica. Lo scopo era quello di raffigurare il combattimento nel modo più drammatico possibile. Da non dimenticare che le scene di battaglia costituiscono un vero e proprio strumento di propaganda dato che permettono di ritrarre il comandante in una luce eroica. Nel Rinascimento i condottieri venivano ritratti in piena battaglia, mentre successivamente il comandante appare dopo la vittoria mentre domina con lo sguardo il campo di battaglia. Il panorama invece emerge come genere pittorico verso la fine del Settecento e spesso le scene di battaglia trovano posto accanto ai panorami più popolari; in questo modo si riusciva comunque a trasmettere almeno in parte l’idea della complessità della battaglia. Alcuni artisti erano privi di un’esperienza diretta del combattimento, altri invece erano stati soldati in prima persona oppure inviati al fronte proprio per documentare e registrare gli eventi. La guerra di Crimea venne registrata per immagini da una serie di artisti; da quel momento in poi ogni guerra di una certa importanza aveva il suo gruppo di fotografi e più recentemente le sue troupes televisive. A partire dal Cinquecento l’interesse si focalizza invece su una singola battaglia, risultato della crescita dell’interesse per le testimonianze visive. Assistiamo ad una rivoluzione militare dovuta all’evolversi 12 dell’arte della guerra dove si passava da immagini “ardenti” in grado di coinvolgere lo spettatore dal punto di vista emotivo, ad immagini “fredde” che avevano un solo scopo narrativo. Tuttavia, questo non sempre coincide con un maggiore realismo, anzi spesso il mutamento delle convenzioni della narrazione visiva favorisce la trasmissione di informazioni di un certo tipo a scapito di altre privilegiando ciò che si supponeva fosse accaduto rispetto a quello che era accaduto realmente. Sempre in Occidente si assiste al passaggio da uno stile eroico ad uno stile antieroico; le battaglie venivano viste dal basso, dal punto di vista del soldato comune oppure da quello delle conseguenze della guerra sui civili. Ricordiamo ad esempio la celebre foto Attacco al napalm di Hung Cong Ut dove è visibile una bambina vietnamita che corre per strada urlando terrorizzata. Ancora una volta le immagini svelano dettagli che spesso sono omessi dai resoconti verbali. Cercare di raccontare una storia mediante una singola scena crea dei problemi che possono essere risolti mostrando due o più scene dello stesso avvenimento, come in una sorta di sequenza narrativa raffigurando il prima e il dopo. Le immagini realizzate a scopo propagandistico si servono spesso dell’artificio della serie. Dalla serie di immagini alla striscia continua il passaggio è breve. Dal Rinascimento in poi le sculture sulla Colonna sono state utilizzate come fonti sia per ricostruire la storia della campagna militare, sia per l’abbigliamento e l’equipaggiamento dell’esercito. Nel Cinquecento lo sviluppo dell’arte dell’incisione e l’importanza delle processioni nella vita politica e in quella religiosa incoraggiarono la produzione di numerose strisce che illustrano avvenimenti importanti. Una striscia narrativa di eccezionale importanza è la celebre Tappezzeria di Bayeux, lunga circa settanta metri, che celebra la conquista dell’Inghilterra da parte dei normanni. Nonostante l’iscrizione “HIC HAROLD REX INTERFECTUS EST” (Qui fu ucciso re Aroldo), il significato della scena non è del tutto chiaro in quanto presenta immagini doppie, espediente narrativo utilizzato forse per indicare il trascorrere del tempo, come due scatti in diversi momenti della stessa storia. Fondamentale, pertanto, collocare la narrazione nel contesto: la Tappezzeria di Bayeux fu realizzata in Inghilterra con istruzioni provenienti dalla Normandia e fu commissionata dal fratello di Guglielmo il Conquistatore, l’arcivescovo Oddone di Bayeux. La missione di Aroldo presso Guglielmo il Conquistatore culmina con il giuramento di fedeltà sulle sacre reliquie, giudicate una montatura al fine di mostrare il potere di Guglielmo e gli obblighi di Aroldo verso di lui. Nonostante l’arazzo sia stato cucito da aghi inglesi, siamo di fronte ad una storia scritta dai vincitori. Il valore potenziale di testimonianza storica del film, come della fotografia è ormai da tempo fuori discussione; numerosi sono i film girati all’epoca della Prima guerra mondiale ed i cinegiornali settimanali diffusi ampiamente tra gli anni Dieci e Cinquanta del Novecento, fino ad arrivare al sopravvento della televisione nella quotidianità. Nel caso della storia orale, la registrazione audio su nastro è considerata una fonte attendibile. Il problema ancora una volta è quello di valutare questo tipo di testimonianze per far fronte al problema dell’autenticità. Nel caso del film assume particolare rilevanza scoprire eventuali interpolazioni, data la pratica del montaggio e la relativa facilità con cui le immagini possono essere inserite nella sequenza. Nel caso dei film di guerra assume un’importanza cruciale la collocazione ed elementi come il fuoco, la luce, in grado di enfatizzare alcuni aspetti a scapito di altri. Un altro processo di selezione avviene in studio, dove i registi sottopongono il loro testo ad un editing scegliendo alcune immagini e scartandone altre. È il mezzo
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