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Testimoni Oculari Peter Burke Riassunto, Appunti di Storia Moderna

riassunto dettagliato dell'intero libro di Burke, testimoni oculari

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 07/05/2023

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agnese-tomassoli 🇮🇹

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Scarica Testimoni Oculari Peter Burke Riassunto e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! INTRODUZIONE – LA TESTIMONIANZA DELLE IMMAGINI Questo volume verte essenzialmente sull’uso di immagini come prove storiche. Nonostante tutto comunque, molti storici ancora non prendono abbastanza sul serio il valore documentario delle immagini, al punto che in una recente discussione si è giunti a parlare di “invisibilità del visivo”. Quando si ricorre alle immagini, infatti, si tende per lo più ad adoperarle semplicemente come illustrazioni, che come documento. Effettivamente però bisogna constatare che sarebbe impossibile, ad esempio, parlare della preistoria europea senza i dipinti rupestri, come della storia egizia senza le pitture tombali. L’impiego delle immagini da parte di alcuni storici in realtà risale a tempo fa. Ad esempio già nel XVII i dipinti delle catacombe romane vennero studiati come prove per la storia del primo cristianesimo. Quando si riferiscono ai loro documenti gli storici parlano di fonti, termine che, secondo Reiner, potrebbe essere sostituito con l’espressione “tracce”, nel senso della presenza di tracce passate nel presente. In questo senso tale termine si riferisce tanto ai documenti, ai libri, agli edifici quanto ai vari tipi di immagine → dipinti, sculture, incisioni e fotografie. Queste ultime ci consentono di “immaginare” il passato in modo più vivido. La tesi essenzialmente di questo libro è che le immagini, proprio come i testi e le testimonianze orali, rappresentano delle “prove” storiche di grande importanza dal momento che costituiscono delle testimonianze oculari. Inutile dire però che il ricorso alle immagini come prova solleva una serie di problemi → le immagini sono testimoni “muti”, è difficile tradurre in parole il contenuto della loro testimonianza e quindi a volte si può incorrere in mal interpretazioni. È per questo motivo che alcune immagini più di altre costituiscono una prova più attendibile, perché hanno meno “punti deboli”. CAPITOLO 1 – FOTOGRAFIE E RITRATTI Sin dagli albori, la fotografia viene vista come un ausilio al lavoro storiografico. Il problema per gli storici è fino a che punto queste immagini possano essere considerate attendibili. Lo scrittore Valéry ha sollevato una questione con una domanda → questo fatto così com’è raccontato, potrebbe essere stato fotografato? Quindi questo implica un contrasto tra la soggettività della narrazione e l’oggettività della fotografia, quindi il suo valore documentario. L’espressione “fotografia documentaria” ha cominciato a diffondersi negli Stati Uniti nel corso degli anni trenta in riferimento a scene della vita quotidiana di gente comune, soprattutto di poveri. Per alcuni si parlava di “fotografia sociale”. Questi documenti vanno e andavano però collocati nel loro contesto, cosa non sempre semplice nel caso di fotografie dato che i soggetti fotografati sono spesso sconosciuti e le fotografie stesse vengono estrapolate dal contesto originario. Quelle foto in particolare vennero scattate con lo scopo di pubblicizzare alcune campagne di riforma sociale, contro il lavoro minorile o gli incidenti sul lavoro. Ogni fotografo si era sentito libero di scegliere soggetto, grana, filtro, lenti a seconda della propria sensibilità. Alcuni fotografi sono intervenuti più di altri nel sistemare oggetti e persone, come quelli che ad esempio nello scattare foto sulla realtà della Guerra civile spagnola, avevano “sistemato” attori per farli apparire come cadaveri. Proprio come nel caso della fotografia, molti di noi sono tentati di vedere nei ritratti la riproduzione accurata di un particolare oggetto o soggetto così come appariva in un determinato momento. Esistono diversi motivi per cui in realtà non pensarla al 100% così. Innanzitutto il ritratto è un genere artistico che come altri riflette un sistema di convenzioni soggette a mutamento. Le pose e i gesti, come anche gli oggetti o gli accessori dei soggetti rappresentati seguono uno schema e sono spesso carichi di significato simbolico. In tal senso il ritratto è una forma simbolica. In secondo luogo le convenzioni non sono arbitrarie, ma vogliono rappresentare il soggetto in una determinata maniera, spesso in una luce favorevole. È anche possibile, soprattutto nei ritratti precedenti al 1900, che i soggetti siano stati colti in quello che era l’aspetto migliore del loro comportamento, più elegante del solito oltretutto. Il ritratto quindi mira a registrare quello che viene definito la “presentazione del sé”, in un processo in cui soggetto e artista sono complici. A seconda del soggetto e del periodo, poi, le convenzioni della rappresentazione del sé erano più o meno informali. Alcuni oggetti simbolici fanno riferimento a ruoli sociali specifici. Che siano dipinti o fotografie ciò che i ritratti registrano non è la realtà quanto un’illusione sociale, né la quotidianità, ma una performance speciale e proprio per questo offrono una testimonianza di incredibile valore. Questo risulta importante soprattutto nel momento in cui si ha la possibilità di studiare una serie di ritratti lungo un arco di tempo sufficientemente ampio e quindi di rilevare come sia cambiato il modo di rappresentare lo stesso genere di persone, i re ad esempio. Ad esempio il ritratto di Rigaud raffigurante Luigi XIV con l’abito indossato per l’incoronazione rappresentò un passo verso l’informalità → ecco perché la corona sul cuscino anziché sul capo del sovrano e la sua postura, appoggiato allo scettro come se si trattasse di un bastone da passeggio. Al contrario, dopo la rivoluzione del 1830 che segnò il passaggio dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale, il nuovo sovrano Luigi Filippo venne raffigurato in maniera relativamente modesta, con l’uniforme della Guardia nazionale anziché con quello dell’incoronazione. I dipinti vengono spesso paragonati a finestre o specchi e qualcuno dice che possano essere come fotografie, ma in realtà abbiamo visto che neanche quelle possono essere considerate riflessi della realtà. Quindi come si può usare un’immagine come prova storica? - L’arte può fornire prove di aspetti della realtà sociale che i testi ignorano - Ma l’arte di rappresentare è spesso meno realistica di quel che appare e piuttosto che riportare la realtà, la distorce. Quindi bisogna tenere conto delle intenzioni degli artisti e non essere fuorviati. La svolta pittorica degli storici è arrivata in un’epoca di dibattito, in cui sono state messe in questione le opinioni sulla realtà e sulla rappresentazione e coloro che ne hanno messo in discussione la relazione hanno segnato punti a spese dei realisti o positivisti. Questo perché hanno sottolineato l’importanza delle convenzioni artistiche e anche come persino il movimento del “realismo” abbia la sua retorica. Hanno anche sottolineato il “punto di vista” di foto e immagini, che quindi vengono considerate fonti inattendibili e al tempo stesso, cambiando punto di vista, testimonianze interessanti. Ad esempio, le immagini ottocentesche degli harem europei possono dirci poco o nulla del mondo dell’Islam, ma hanno molto da dirci sulle fantasie degli europei che le creavano, le compravano o le vedevano nelle mostre e nelle pagine dei libri. L’immagine del condottiero sconfitto che si incontra nell’arte europea dell’inizio dell’Ottocento, ad esempio, sta a simboleggiare la nobiltà o il romanticismo della sconfitta, che poi era uno dei modi in cui quell’epoca vedeva se stessa, o più esattamente come si vedevano alcune élite. Come suggerisce questo, è errato a volte intendere le immagini e l’arte in generale come la semplice espressione dello “spirito come è già stato detto, questo implicherebbe affermare che i periodi storici siano omogenei quando non è così. In breve, il metodo può essere criticato perché troppo specifico per certi versi e troppo vago per altri. Il secondo e terzo punto individuati da Panofsky sembrerebbero avere poco a che fare con i paesaggi, ma proprio per questo motivo il paesaggio ci permettono di individuare sia i punti forti che quelli deboli dell’approccio iconografico e iconologico. Uno dei punti di forza consiste nell’aver stimolato sia i geografi che gli storici dell’arte a leggere in modo nuovo il paesaggio fisico. L’iconografia del territorio stesso è evidente nel caso di giardini e parchi. Ci sono paesaggi tipici o simbolici che con la loro caratteristica vegetazione rappresentano anche un’intera nazione. Ma i punti deboli risultano altrettanto evidenti. I pittori di paesaggi, infatti, sembrano preoccuparsi più di fornire ai “lettori” un piacere estetico che di comunicare un messaggio. Alcuni di loro addirittura rifiutano il significato e si concentrano sulle sensazioni visive. Monet, ad esempio, quando dipinse la veduta di Le Havre, la intitolò semplicemente Impressione: aurora. Tuttavia, ciò che sembra ovvio in una determinata cultura deve essere sottoposto ad analisi in altre. Nel caso del paesaggio gli alberi, i campi, le rocce, i fiumi, tutto crea negli osservatori delle associazioni, consapevoli o inconsapevoli, osservatori che chiaramente provengono da luoghi ed epoche differenti. In alcune culture ad esempio la natura selvaggia ha luce negativa, mentre in altre è oggetto di venerazione. Per esempio, il termine “paesaggio pastorale” è stato coniato per descrivere i dipinti di Giorgione, Lorrain e altri, in quanto esprimono una visione idealizzata della vita dei campi, in particolare della vita dei pastori, in un modo che può essere ricollegato alla tradizione occidentale della poesia bucolica di Teocrito, Virgilio ecc. I paesaggi dipinti, come questi, possono addirittura influenzare la percezione dei paesaggi reali. Nell’Inghilterra di fine settecento, per esempio, i turisti guardavano il Lake District definendolo pittoresco, come avrebbero fatto se si fossero trovati a commentare un quadro di Lorrain. Il paesaggio potrebbe anche evocare associazioni di natura politica, arrivando perfino ad esprimere un’ideologia, come il nazionalismo. Il principe Eugenio di Svezia fece parte di un gruppo di artisti che negli anni intorno al 1900 scelse di dipingere la natura nordica; si può dire che in quel periodo la natura venisse tramutata in un simbolo della madre patria. I dipinti delle campagne vengono in questo periodo, anche in Inghilterra, interpretati come un modo per criticare la modernità che minacciava le campagne. Allo stesso modo in paesaggi dipinti durante la rivoluzione industriale, vengono interpretati come anti- industriali, in quanto lasciano fuori le fabbriche. Negli stessi anni si assistette ad un rinnovato entusiasmo per la natura selvaggia. Sembra come se la minaccia della distruzione della natura fosse una condizione necessaria per il suo apprezzamento. Nell’ottocento la natura era anche spesso chiamata a simboleggiare i regimi politici. Il pensatore conservatore Burke ha descritto gli aristocratici britannici come “grandi querce”, contrapponendo la costituzione inglese, che nasceva naturalmente come un albero, a quella francese, ottenuta artificialmente. I paesaggi imperiali evocano invece il tema dello spossessamento. L’assenza di figure nel paesaggio americano è stata considerata indice dell’esistenza di un significato più profondo dei dipinti europei. Ad esempio nei paesaggi della Nuova Zelanda venivano dipinti con l’assenza degli aborigeni, come se si volesse esprimere l’idea di una terra vergine o la teoria che sia quel territorio, che l’Australia e il Nordamerica fossero “terra di nessuno”, legittimando in questo modo la colonizzazione ad opera degli europei. CAPITOLO 3 – IL SACRO E IL SOPRANNATURALE Le immagini giocano un ruolo cruciale nel creare l’esperienza del sacro in numerose religioni e documentano i diversi modi di intendere il sovrannaturale i periodi e culture differenti. Nella cultura occidentale non si incontrano immagini di spettri prima del trecento e sono rare le rappresentazioni di diavoli prima del duecento. La figura del diavolo, coperto di peli, con corna, zampe, coda, ali di pipistrello e forcone è stata elaborata in un lungo arco temporale. Per lo storico delle religioni una serie cronologica di immagini riferite ad un unico tema costituisce una fonte molto importante → esempio. Pale di altari. Attraverso le immagini, strumenti di indottrinamento, oggetti di culto, stimoli alla mediazione e armi nelle controversie, gli storici possono ricostruire esperienze religiose del passato. Il possesso di alcune nozioni religiose è un prerequisito per la maggior parte degli occidentali che vogliono comprendere immagini sacre provenienti da altre culture. Nel cinquecento, ad esempio, gli europei che visitavano l’India consideravano demoni le immagini delle divinità indiane. Questa propensione a considerare diaboliche le religioni non cristiane venne rafforzata dal fatto che questi “mostri” dalle tante braccia o dalla testa di animale rompevano gli schemi occidentali della raffigurazione del divino. Ad esempio di fronte all’immagine del dio Shiva danzatore, gli osservatori occidentali possono non comprendere che si tratti di una danza cosmica. Allo stesso modo la tradizione cristiana risulta oscura a chi le è estranea. L’iconografia era importante all’epoca perché le immagini erano dei mezzi di indottrinamento, di trasmissione della dottrina religiosa. C’era la convinzione che gli analfabeti potessero leggere nelle immagini quello che non potevano leggere nella Bibbia, ma in realtà questa viene spesso criticata per il fatto che alcune fossero molto complesse da comprendere per la gente comune e quindi servisse la spiegazione orale del clero. Le immagini costituirono più di un semplice mezzo di diffusione della conoscenza religiosa, ad esse stesse a volte venivano attribuiti miracoli. Nel cristianesimo orientale ad esempio le icone occupano un posto speciale, che siano esposte singolarmente o insieme sull’iconostasi. Il culto delle immagini si incontra anche nel cristianesimo occidentale. I fedeli affrontavano anche lunghissimi pellegrinaggi per poter ammirare certe immagini, vi si inginocchiavano davanti, le baciavano chiedendo loro delle grazie. L’immagine di Santa Maria dell’Impruneta, per esempio, era spesso portata in processione per far piovere o proteggere i fiorentini da eventuali pericoli politici. Le immagini votive non sono una prerogativa della religione cristiana, se ne incontrano nei santuari giapponesi, e rivelano preoccupazioni molto simili a quelle della prima era cristiana. A partire dal medioevo le immagini sembrano avere avuto un ruolo sempre più importante nella vita religiosa. Dal 1460 prese a circolare una serie di illustrazioni a stampa raffiguranti storie tratte dalla Bibbia, mentre la devozione domestica fu sempre più spesso accompagnata dai dipinti di proprietà privata. Questi ultimi erano diversi sia per forma che per funzione dalle altre icone, si concentravano su quello che è stato definito il primo piano drammatico, ovvero su un momento particolare della storia sacra. Le immagini devozionali hanno giocato un ruolo importante anche nella consolazione degli ammalati e dei moribondi e dei condannati a morte. Le nuove forme di immagine sacra sono state messe in relazione anche alla diffusione di alcune pratiche di meditazione religiosa. Le Meditazioni sulla vita di Cristo includevano un’intensa visualizzazione degli avvenimenti sacri mediante la concentrazione su piccoli dettagli. Nel caso della Natività, per esempio, il testo incoraggiava i lettori a immaginare il bue e l’asinello e la Vergine inginocchiata davanti al figlio. Le immagini positive dei santi in Paradiso avevano la loro controparte negativa nelle immagini dell’Inferno e dei diavoli. Il mutamento delle immagini dell’Inferno e dei diavoli per esempio può costruire un aiuto per ricostruire la storia della paura. Come si è visto, prima del XII secolo le immagini dei diavoli sono rare, quindi come sono diventate comuni? - Nuove convenzioni che stabilivano cosa potesse essere rappresentato e cosa no - Cambiamenti nelle religioni o sulle emozioni collettive L’uso devozionale delle immagini non era gradito a tutti. Questo perché c’era la paura che le persone potessero venerare più le immagini in quanto tali che ciò che esse rappresentavano. Questo generò diversi movimenti iconoclastici. Una strategia alternativa sia al culto che alla distruzione delle immagini sacre è il ricorso ai mezzi visivi come arma nella polemica religiosa. Nei primi anni della Riforma i protestanti fecero uso delle immagini, in particolare di xilografie, nel tentativo di raggiungere la maggior parte della popolazione, sia quella alfabetizzata che non. Queste fonti visive registrano la riforma dal punto di vista della gente comune. L’artista Cranach, amico di Lutero, produsse numerose stampe di intento polemico, come il famoso Passionale di Cristo e dell’Anticristo, che metteva in contrasto la vita semplice di Cristo con la magnificenza e il lusso del suo vicario (il Papa). L’immagine del papa viene quindi associata all’avidità del denaro, allo sfoggio del potere e quindi alla figura del diavolo. (Cristo lava i piedi ai suoi discepoli, mentre il papa offre il suo affinché lo bacino). Alcuni storici hanno sostenuto che la Riforma abbia rappresentato un momento di crisi dell’immagine, un passaggio da quello che potrebbe essere chiamato culto dell’immagine al culto della parola. Alcuni luoghi infatti riportarono non solo momenti di iconoclastia ma anche della cosiddetta “iconofobia”, nel senso di ripudio di tutte le immagini. Comunque l’importanza delle immagini sopravvisse sia nella cultura cattolica che protestante, anzi si ritiene che addirittura i protestanti stessero sviluppando una loro propria cultura delle immagini. Anche la cultura cattolica delle immagini aveva subito dei mutamenti, spesso sfociati però nell’accentuarsi di quelle caratteristiche che tanto venivano criticate dai protestanti. Le estasi e le apoteosi dei santi, per esempio, sembravano volte a sommergere l’osservatore e a sottolineare la differenza tra le persone sante e i comuni mortali. Si possono considerare come una sorta di risposta alla critica protestante e quindi come una “propaganda” cattolica. CAPITOLO 4 – POTERE O PROTESTA L’arte religiosa affrontata finora si è sviluppata nei primi secoli del cristianesimo attraverso un processo di appropriazione di elementi dell’arte imperiale romana. La posa frontale degli imperatori e dei consoli in trono venne adattata a rappresentare Cristo e la Vergine. Dal Medioevo in poi gran parte del “movimento” si è svolto al contrario, quindi con un’appropriazione e un adattamento delle forme religiose a scopi laici. Ad esempio, l’immagine di Elisabetta I ritratta come la regina vergine, sostituì l’immagine Sono poi molti gli eroi minori commemorati con una statua sulla pubblica piazza. La popolazione delle statue è maggiormente maschile. L’eccezione alla regola sono le statue della regina Vittoria, di Florence Nightingale alla Waterloo Station e di Edith Cavell a St Martin’s Place. Le ultime due devono il loro posto nel club delle statue al fatto di essere andate in guerra come infermiere. Immagini sovversive L’iconoclastia non è solamente un fenomeno religioso. Esiste un’iconoclastia politica o “vandalismo”. Quest’ultimo venne coniato da Grégoire, sostenitore della Rivoluzione francese, ma estremo oppositore di quelli che lui riteneva esserne gli eccessi. Lui comunque sostenne la tesi portata avanti dagli iconoclasti → le immagini diffondono valori. Egli affermò che i monumenti dell’Ancien Régime erano contaminati dalla mitologie e recavano il marchio del realismo e del feudalesimo e ne sostenne la rimozione, ma non la distruzione. Voleva che venissero ricollocati in dei musei. Molte altre rivoluzioni politiche hanno invece distrutto i monumenti associati ai regimi precedenti. Ad esempio la rivoluzione russa venne accompagnata dalla distruzione delle statue degli zar, come la caduta del muro di Berlino. In Cina invece, nonostante nei campus universitari vennero distrutte molte statue di Mao Tse-tung, l’atto iconoclastico più noto fu ad opera dei conservatori e non dei radicali → fu infatti l’esercito a distruggere nel 1989 la dea della democrazia eretta in piazza. In alternativa a questi movimenti, l’attività sovversiva può essere svolta dalle immagini stesse, come anche da un monumento pubblico. Ad esempio, se oggi diamo per scontata la statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori, al momento in cui fu eretta aveva uno scopo preciso → essere posta nel punto esatto in cui era stato arso nel 1600, era una sorta di sfida al Papa e un monumento all’anticlericalismo. Le tecniche sviluppate per la polemica religiosa vennero sfruttate anche per la politica. Dal 1789 la propaganda visiva ha occupato un ampio spazio nella storia politica moderna. Ciò nonostante, l’uso politico dell’immagine non va ricondotto allo sforzo di manipolare l’opinione pubblica. CAPITOLO 5 – LA CULTURA MATERIALE E LE IMMAGINI In questo capitolo si darà più spazio alle “prove”, cioè all’uso delle immagini nel processo di ricostruzione della cultura materiale del passato. Le immagini sono di grande aiuto nella ricostruzione della vita quotidiana della gente comune, dalle abitazioni all’abbigliamento. La ricca serie di ex voto, ad esempio, provenzali, raffiguranti scene di vita quotidiana consente agli storici di studiare la continuità e il cambiamento nel costume dei diversi gruppi sociali di quella regione. Anche la storia della tecnologia risulterebbe impoverita se gli storici fossero obbligati a fare affidamento soltanto sui testi. Gli storici dell’agricoltura, della tessitura, della stampa, della guerra, dell’estrazione mineraria, della navigazione e di altre attività pratiche, hanno attinto in modo massiccio alle prove figurative per ricostruire l’uso di aratri, telai, presse, archi, pistole ecc., così come per registrare i cambiamenti graduali o improvvisi nel loro design. Un vantaggio della testimonianza offerta dalle prove figurative è quello di comunicare velocemente e chiaramente i dettagli di un processo complesso che altrimenti un testo descriverebbe in modo assai più lungo. Le vedute di città Gli storici delle città si sono a lungo interessati a ciò che talvolta chiamano “la città come artefatto”. Sullo sfondo di alcuni dipinti sono quindi presenti alcuni elementi importanti per ricostruire l’aspetto di una particolare città in un particolare periodo storico. Alla metà del Seicento, le vedute cittadine, così come quelle naturali, divennero un genere pittorico indipendente, dapprima nei Paesi Bassi, con le vedute di Amsterdam. All’epoca molto diffuse erano anche le stampe raffiguranti scene di vita cittadina, così come le incisioni e le acquetinte di particolari edifici o tipi di edificio, come le vedute dei collegi di Oxford e Cambridge. Il fatto che i pittori della Repubblica olandese siano stati fra i primi a dipingere vedute di città e di interni è un importante indizio per ricostruire la cultura olandese dell’epoca. Questa cultura, dominata dalle città e dai mercanti, era una cultura in cui veniva altamente apprezzata l’osservazione del dettaglio. Nel caso delle vedute cittadine, sono molto utili agli storici anche per la ricostruzione delle stesse prima di eventuali guerre, ampliamenti, restauri, demolizioni. Ci si serve di dipinti, in generale di immagini, anche per vedere com’erano alberi, animali, al tempo rispetto al momento presente. Ovviamente la scelta di usare questo tipo di immagini non è esente da pericoli. I pittori e gli stampatori non lavoravano pensando agli storici del futuro. A volte gli artisti dipingevano architetture di fantasia o “capricci”, quindi costruzioni che non ebbero alcuna vita al di là del disegno. Anche se gli edifici e il resto viene rappresentato in modo abbastanza realistico, questo non toglie che si possano riscontrare problemi di interpretazione, come del resto accade anche per le fotografie. Questo perché le immagini vengono tolte dal loro contesto originale, che sia esso sociale, politico, di un particolare evento. Gli interni e l’arredamento Nel caso della raffigurazione di interni domestici, l’effetto “realtà” è ancora più forte che nelle vedute cittadine. Occorre fare uno sforzo quando, di fronte ad un dipinto che raffigura persone o spazi intimi, bisogna distaccarsi dall’idea che quello che stiamo guardando sia un’illusione, capire che nonostante sia molto semplice immedesimarsi nell’ambiente siamo di fronte ad una ricostruzione. Per quanto concerne i dipinti raffiguranti interni, essi vanno intesi come un genere artistico dotato di proprie regole riguardo ciò che deve e non deve essere rappresentato. Nel quattrocento, in Italia, gli interni appaiono sullo sfondo di scene religiose. Nei Paesi Bassi del seicento, anche gli interni divennero un genere a sé, con convenzioni proprie. → maggiormente intento → celebrazione della quotidianità Ovviamente anche in questo campo i dettagli sono molto importanti. Esempio, il letto a baldacchino che viene raffigurato nella scena di morte di Edoardo il Confessore offre una testimonianza che non può essere eguagliata da nessun altro documento contemporaneo. I dipinti rinascimentali, gli schizzi e le xilografie raffiguranti studiosi nei loro studi, sono stati utilizzati come prove per ricostruire il tipo di strumenti di cui disponevano gli umanisti, i loro scrittoi, le loro librerie. Pubblicità Le immagini usate nella pubblicità possono risultare di aiuto agli storici futuri per ricostruire elementi perduti della cultura materiale del Novecento, ma al momento sono più utili per lo studio degli atteggiamenti passati nei confronti di beni di lusso. Il Giappone in questo senso è stato uno dei pionieri, come stanno a testimoniare i riferimenti a prodotti di marca come il saké in alcune stampe di Utamaro. In Europa alla fine del settecento si assistette all’ascesa della pubblicità attraverso le immagini. Una seconda fase della storia della pubblicità si ebbe alla fine dell’ottocento con l’ascesa del manifesto. Ne vennero prodotti tantissimi per pubblicizzare commedie, sale da ballo, biciclette, saponi e quant’altro. Tuttavia solo nel novecento i pubblicitari si rivolsero alla psicologia del profondo allo scopo di attrarre le menti dei consumatori in modo inconsapevole, facendo uso delle cosiddette tecniche subliminali della persuasione. Negli anni cinquanta ad esempio vennero inserite durante la proiezione di film negli USA delle immagini con delle specifiche marche di gelato. Il pubblico non faceva caso a quelle immagini, ma comunque il consumo dei gelati era aumentato. Il processo di manipolazione è ovviamente consapevole da parte delle agenzie pubblicitarie, ma è inconsapevole alla maggior parte degli osservatori. Esempio, macchina sportiva Jaguar associata a qualità come la virilità, il potere, come anche le sigarette ecc. Problemi e soluzioni Gli esempi degli ultimi due paragrafi portano diversi tipi di problema. Il problema principale è che rimane in sospeso il problema delle intenzioni dell’artista, ovvero se rappresenti il mondo visibile in modo fedele o se lo idealizzi o ne offra addirittura un’allegoria. Un altro problema è la formula visiva, e un terzo è quello dell’immagine che richiama o “cita” un’altra immagine, l’equivalente visivo dell’intertestualità. Un altro problema è quello della possibile distorsione della realtà che viene rappresentata. Rimane poi il problema del capriccio. I vedutisti talvolta si compiacquero di creare fantasie architettoniche. Un esempio complesso della problematica insita nella lettura delle immagini di interni è dato dalla serie di dipinti secenteschi dell’artista olandese Saenredam che delle chiese ritrasse gli interni. All’epoca queste chiese venivano impiegate per la fede calvinista, eppure nei dipinti si possono notare alcune immagini cattoliche e talvolta anche delle persone impegnate in dei riti cattolici, come anche un sacerdote che officia il rito, al posto del pastore protestante. Nei dipinti l’artista ha quindi restaurato le chiese nel loro precedente aspetto cattolico. Queste offrono una testimonianza della persistenza del cattolicesimo olandese, piuttosto che dell’aspetto delle chiese di quel tempo. Un aspetto positivo è dato dal fatto che spesso le immagini mostrano dettagli della cultura materiale che la gente dell’epoca dava per scontati e quindi che trascurava di menzionare nei testi. Ex. i cani. Le immagini rivelano anche l’uso degli oggetti. CAPITOLO 6 – VEDERE LA SOCIETÀ L’ambizione del fotografo tedesco Sander era quella di ritrarre la società attraverso le foto di individui emblematici. In maniera analoga il fotografo americano Stryker ha presentato agli storici quelle che chiamava foto documentarie come un nuovo mezzo per catturare elementi importanti ma fugaci della società. Il paragone può anche essere esteso ai pittori. Molti pittori potrebbero essere definiti storici sociali in base al fatto che le loro immagini registrano forme di comportamento sociale, in occasione di feste o nella quotidianità. Tutti gli storici hanno studiato le prove fornite da queste immagini mostrando una grande attenzione al dettaglio. Gli artisti olandesi del seicento furono maestri in questo genere. I maggiori soggetti di rappresentazione erano scene della vita di tutti i giorni e occasioni familiari. Non sappiamo per quale motivo gli artisti olandesi abbiano scelto questi soggetti e li abbiano dipinti in questo modo, ma Bingham, ad esempio, dichiarava di produrre documenti storici. Dipingere, secondo lui, aveva il potere di perpetuare la registrazione di eventi con chiarezza. Le sue opere ritraggono la vita della sua regione, il Missouri e si basavano sia sull’osservazione diretta che indiretta, di altre immagini. Per rendersi conto della sua concezione di testimonianza dell’arte è utile esaminare alcuni esempi. paritario è spesso stato gerarchico. Le persone ritratte possono essere viste in maggiore o minore distanza, in una luce satirica, amorevole, comica, sprezzante, rispettosa. Quello che vediamo è quindi il ritratto di un’idea, di una visione della società. L’importanza della distanza sociale poi risulta particolarmente evidente nei casi in cui l’artista o il fotografo sono estranei alla cultura che cercano di ritrarre. CAPITOLO 7 – STEREOTIPI DELL’ALTRO Solo di recente gli storici hanno iniziato a prestare attenzione all’idea dell’Altro, i primi sono stati i francesi, che hanno parlato di autre. Nel caso di gruppi che si confrontano con altre culture sono ricorrenti due opposte reazioni → una è negare o ignorare la distanza culturale, di assimilare gli altri a noi o ai nostri vicini mediante l’analogia, l’altro quindi viene visto come un riflesso di sé. È attraverso questo procedimento che l’esotico viene reso comprensibile, ovvero addomesticato. L’altra reazione è il contrario della prima, è la consapevole o inconsapevole costruzione di un’altra cultura come l’opposto della propria. In questo modo i propri simili vengono alterizzati. Il primo procedimento, di assimilazione dell’altro, può essere esemplificato in modo chiaro grazie a due esempi, in entrambi i casi incisioni olandesi del seicento. Nella prima un indiano brasiliano viene rappresentato con il classico corredo di archi e frecce. In questo modo gli indiani erano identificati con i barbari del mondo antico. In un’altra incisione un lama tibetano viene ritratto come un sacerdote cattolico e la sua collana da preghiera come un rosario. Il testo che accompagna l’immagine si spinge anche oltre l’assimilazione, dove si paragonano alcuni elementi a cose simili di altre culture. Quando ha luogo un incontro tra culture diverse è probabile che ogni immagine della cultura dell’altro risulti stereotipata. La parola stereotipo ci ricorda il legame tra le immagini visive e quelle mentali. Lo stereotipo non può essere completamente falso, ma spesso esagera alcuni aspetti della realtà, omettendone al contempo altri. È in questo ambito che si fa anche riferimento alla parola e al concetto di sguardo che si usa per analizzare o guardare, appunto, un’immagine. Nel caso delle immagini, per esempio, degli indiani di America, si tende spesso ad usare uno sguardo, quindi un punto di vista, occidentale, colonizzatore. Lo sguardo esprime poi spesso degli atteggiamenti di cui l’osservatore non è sempre consapevole, atteggiamenti di odio, paura, desiderio proiettati sull’altro. Alcuni tipi di stereotipi sono positivi, come nel caso del buon selvaggio, cioè sostanzialmente un’immagine classica riportata in auge nel cinquecento sviluppata accanto a quella contrapposta del cannibale. Purtroppo, però, nella maggioranza dei casi gli stereotipi relativi agli altri, gli ebrei visti dai cristiani, i musulmani dai cristiani, i neri dai bianchi e così via, sono stati e continuano ad essere ostili e nel migliore dei casi condiscendenti. Uno psicologo andrebbe probabilmente alla ricerca della paura sottesa dall’odio e della proiezione inconscia sull’altro di aspetti indesiderati di se stessi. Forse è per questo che gli stereotipi assumono spesso la forma di inversione dell’immagine che si ha dell’osservatore. Razze mostruose L’esempio classico di questo processo è quello delle cosiddette razze mostruose, che secondo gli antichi greci vivevano in alcune regioni remote come l’India, l’Etiopia o il Catai, uomini dalla testa di cane, quelli senza testa, uomini con una sola gamba o cannibali. Con ogni probabilità le razze mostruose devono la loro invenzione alla necessità di illustrare le teorie sull’influenza del clima, secondo le quali chi vive in luoghi troppo freddi o troppo caldi non possa essere del tutto umano. Ciò nonostante può essere interessante trattare queste immagini non come invenzioni, ma come esempi di una percezione distorta e stereotipata delle società lontane. I popoli lontani venivano ritenuti mostruosi sotto ogni punto di vista. Per un’immagine realistica del cannibalismo possiamo rifarci ad esempio ad una xilografia assai diffusa in Germania negli anni successivi all’arrivo dei portoghesi in Brasile, nel 1500. Al centro della stampa si possono osservare alcune parti di un corpo umano mutilato appeso ad un ramo, mentre un selvaggio all’estrema sinistra addenta un braccio. Questa immagine ci dà la falsa impressione che la carne umana costituisse il normale alimento quotidiano di tutti gli indiani, aiutando a diffondere la definizione di cannibali in riferimento all’intero continente. Questa stampa contribuiva a quello che è stato chiamato il mito dell’antropofagia, cioè il processo in cui una cultura disumanizzava l’altra sostenendo che i suoi membri si nutrissero di carne umana. Tutt’oggi continuiamo a vedere gruppi distanti da noi in termini stereotipati, semplicemente in modi diversi rispetto a quelli appena citati. Basti pensare al vocabolo terrorista, che normalmente evoca un’immagine di violenza estrema. Ma se il terrorista venisse ridefinito guerrigliero, recupererebbe un volto umano e delle motivazioni comprensibili. Il terrorismo viene poi associato ad altre immagini peggiorative come quella del fanatismo, estremismo e fondamentalismo, immagini, soprattutto verso l’islam, così ostili che sono in qualche modo contigue alla mentalità definita orientalista. Orientalismo Nell’ultimo ventennio del novecento, il concetto di orientalismo ha acquisito una sfumatura peggiorativa. Inizialmente era un termine neutro, impiegato per descrivere gli specialisti occidentali delle culture del Vicino, Medio ed Estremo Oriente. Questo cambiamento semantico è dovuto soprattutto ad un uomo, il critico letterario Said e al suo libro Orientalismo. Lui descrive l’orientalismo come l’insieme delle istituzioni create dall’Occidente per gestire le proprie relazioni con l’Oriente. In alternativa, ne parla come se fosse un “sogno ad occhi aperti dell’Europa sull’Oriente” o il “modo da parte dell’Occidente di esercitare una sorta di dominio sull’Oriente”. Le sue idee possono essere usate per analizzare dei dipinti aventi come soggetto il Medio Oriente, accomunati da una presenza massiccia di stereotipi e da un’attenzione esasperata per il sesso, la crudeltà, la pigrizia e il “lusso orientale” cioè harem, terme, odalische, schiavi e quant’altro. Gli stereotipi vengono perpetuati anche in opere letterarie o in fotografie. Ovviamente gli atteggiamenti verso l’Oriente non furono motolitici, ma variarono a seconda dell’artista. E per complicare il discorso non mancarono anche quelli che possono essere definiti “orientalisti orientali”, artisti che, ad esempio, utilizzavano lo stile occidentale per dipingere scene della propria cultura. Un’altra distinzione da fare è quella fra uno stile esotizzante romantico e quello che viene chiamato stile documentario o etnografico. Quest’ultimo sarebbe lo stile da testimone oculare, di cui si è già parlato. Anche le immagini non-europee degli europei testimoniano in modo evidente la presenza di uno stereotipo culturale. Anche i cinesi, ad esempio, avevano delle visioni di razze mostruose, come lasciano trasparire alcune xilografie del seicento, in cui si incontrano alcune immagini di uomini senza testa. Gli stessi tratti risultano presenti anche in immagini africane raffiguranti portoghesi. In questo senso si potrebbe parlare di occidentalismo, anche se poi in realtà non arrivò mai ad essere quello che Said chiama insieme delle istituzioni al servizio del dominio politico ed economico. Nell’ambito occidentale la xenofobia si espresse attraverso immagini che raffiguravano come mostri o quasi i popoli di altre nazioni. Il dipinto di Hogart La porta di Calais, ad esempio, trae la propria forza dalla tradizione degli stereotipi inglese riguardanti i francesi. Il francese emaciato ricorda all’osservatore che la povertà e la monarchia assoluta erano associate alla mentalità britannica mentre il frate allegro e grassottello evoca l’immagine negativa del papato. L’Altro fra noi Un processo analogo di distinzione e distanziamento si incontra anche all’interno di una determinata cultura. Gli uomini hanno spesso definito se stessi in un rapporto di opposizione all’immagine che avevano delle donne, sostenendo per esempio che “gli uomini non piangono”. I giovani definiscono loro stessi rispetto ai vecchi, la classe media rispetto a quella operaia e così via. Un esempio di alterizzazione è quello nei confronti delle donne, che si può vedere dalle immagini di prostitute, donne seducenti, rappresentate come “diverse” dagli uomini che le guardano, per arrivare ad un caso più estremo che è quello dell’immagine della strega, solitamente brutta e spesso associata ad animali o al diavolo. Nel cinque e seicento le streghe venivano sempre più raffigurate nell’atto di cuocere o mangiare bambini, accusa che si trova anche nei testi dell’epoca, fra l’altro, ma questo cambiamento in particolare può essere stato dovuto ad una contaminazione delle immagini con quelle dei cannibali in Brasile e altrove. La metamorfosi finale della strega l’ha resa una vecchia rugosa col cappello a punta e una scopa, che è l’immagine che ancora oggi esiste nell’immaginazione popolare. I “villani” Un altro caso di immagini dell’altro all’interno di una determinata cultura, è rappresentato dalle raffigurazioni cittadine di abitanti della campagna. A partire dal XII secolo, nelle immagini occidentali di pastori e contadini questi ultimi vengono ritratti in modo grottesco, così da distinguerli nettamente dalle persone di ceto sociale più elevato, che poi erano i fruitori di queste immagini. Nel tre e quattrocento la diffusione di questi stereotipi negativi, in cui i contadini vengono dipinti grassi e tozzi nell’atto di fare gesti volgari, lascia intuire un divario fra città e campagna che andava di pari passo con l’urbanizzazione. Le famose Nozze di contadini, ad esempio, di Bruegel il Vecchio a prima vista possono sembrare solo un esempio di arte della descrizione, ma numerosi piccoli dettagli suggeriscono un intento comico o satirico. Il bambino in primo piano con un cappello troppo grande per lui, il commensale sullo sfondo col viso quasi del tutto coperto dall’anfora da cui beve. Questa tradizione comica si protrasse fino al seicento nelle immagini di fiere contadine e di feste paesane. Nel sette e ottocento a questa ne subentrò un’altra, come il selvaggio, il contadino inizia ad essere nobilitato o idealizzato. Oppure, come nel caso dei pittori orientalisti, lo sguardo non fu grottesco o idealizzante, ma divenne etnografico, interessato alla registrazione degli usi e costumi. Le immagini dell’altro, piene di pregiudizi e stereotipi, sembrano minare l’idea di poter fare affidamento sulle immagini considerandole come prove dell’aspetto reale di altre culture o sub-culture. Quello che documentano più che altro è il loro incontro e le reazioni a tale incontro da parte dei membri di una cultura particolare. CAPITOLO 8 – NARRAZIONI VISIVE Le immagini costituiscono una fonte importante d’informazione sull’organizzazione e la collocazione di avvenimenti grandi e piccoli come battaglie, assedi, rese, trattati di pace e quant’altro. Nell’era della fotografia la memoria di avvenimenti particolari si associò sempre di più alle loro immagini visive. Ancora di più, dall’avvento dell’era televisiva, la percezione degli avvenimenti correnti è virtualmente inseparabile dalla loro immagine televisiva. Immagini di questo tipo sono molto utili per ricostruire quanto è accaduto, sebbene non si possa partire dal presupposto che si tratti di registrazioni complete, sarebbe più opportuno considerarle sommari. La Tappezzeria di Bayeux Una striscia narrativa di eccezionale importanza, lunga circa settanta metri, è la Tappezzeria di Bayeux, che è stata spesso chiamata in causa da parte degli storici che si sono occupati della conquista dell’Inghilterra per mano dei normanni e degli eventi che hanno condotto a tale avvenimento. I resoconti moderni della battaglia di Hastings descrivono solitamente la morte di re Aroldo come il risultato di una ferita di freccia all’occhio. Questo dettaglio è dovuto da una scena della tappezzeria, in cui il re viene raffigurato mentre cerca di sfilarsi una freccia dall’occhio sotto un’iscrizione che recita “qui fu ucciso re Aroldo”. Nonostante l’iscrizione il significato della scena non è chiaro. Secondo alcuni l’immagine non ritrarrebbe Aroldo e il re morente sarebbe in realtà la figura in terra alla destra del guerriero, o ancora potrebbe essere che entrambe le figure rappresentino Aroldo. Ovviamente per l’interpretazione bisogna collocare l’opera nel contesto e capire a chi fosse indirizzata e quale fosse l’intenzione. La Tappezzeria venne realizzata in Inghilterra, ma secondo istruzioni che probabilmente provenivano dalla Normandia. Stando alla tradizione, la Tappezzeria venne commissionata dal fratello di Guglielmo il Conquistatore, l’arcivescovo Oddone di Bayeux e l’importanza attribuita a quest’ultimo nella narrazione sembrerebbe avvalorare questa ipotesi. Le scene che ritraggono la missione di Aroldo presso Guglielmo sono state giudicate una montatura, al fine di mostrare il potere di Guglielmo e gli obblighi di Aroldo nei suoi confronti. Il film come testimonianza Per una narrazione più fluida e un maggiore effetto realtà o per una maggiore illusione di attualità ci si può rivolgere al cinema e ai cinegiornali settimanali che ebbero grande diffusione fra gli anni dieci e cinquanta del Novecento. Huizinga si pronunciò contro il progetto sostenendo che i film non erano in grado di dare un serio contributo alla conoscenza storica, in quanto ciò che queste immagini mostravano o non era importante o già noto. Il modo migliore per confutare questa tesi è quello di offrire esempi concreti. Come fonte storica per la guerra civile spagnola ad esempio sono stati impegnati i cinegiornali inglesi e un film girato dall’esercito britannico nell’aprile del 1945 è stato usato come prova durante il processo di Norimberga. Perfino i film girati sul posto però non possono essere documenti completamente attendibili. Data la pratica del montaggio e la relativa facilità con cui le immagini di luoghi o avvenimenti diversi vengono introdotte in sequenza, il problema può essere scoprire le alterazioni. Lo scopo di queste ultime può essere fuorviare lo spettatore o possono essere anche fatte in buona fede. + fuoco, luce, inquadrature per enfatizzare alcuni aspetti rispetto ad altri. CAPITOLO 9 – DAL TESTIMONE ALLO STORICO In alcuni casi la narrazione visiva può essere considerata storia essa stessa ricreando il passato attraverso le immagini e interpretandolo in vario modo. Il pittore come storico Sebbene la tradizione di rappresentare gli eventi storici sotto forma di immagini sia lunga, l’interesse dei pittori nella ricostruzione accurata di scene del passato sia stato particolarmente forte in occidente tra la rivoluzione francese e la prima guerra mondiale. L’ascesa del dipinto storico ha coinciso più o meno con l’ascesa del romanzo storico di Scott o Manzoni, un genere in cui l’autore non solo racconta una storia ambientata nel passato, recente e remoto, ma anche tenta di evocare e descrivere il modo di vita e la mentalità della gente che viveva in quel periodo. Questo tipo di dipinto storico richiedeva una buona dose di ricerca, per questo i pittori possono essere definiti storici. Hanno anche dato un contributo all’interpretazione del passato. La storia presa a soggetto era solitamente quella nazionale, ispirata al nazionalismo. Delle interpretazioni così del passato meritano di essere sottolineate due caratteristiche. Innanzitutto i paralleli impliciti tra passato e presente. Ad esempio nel Salon parigino del 1831 il pittore Delaroche espose un ritratto di Cromwell con il corpo di Carlo I, inserendo così un riferimento indiretto alla storia francese, con Luigi XVI come parallelo di Carlo I. Una seconda caratteristica fu il graduale slittamento verso la storia sociale o verso gli aspetti sociali della politica. Il film come interpretazione Nel 1916 in Inghilterra venne pubblicato un volume dal titolo The Camera as Historian, la macchina da presa come storico. Data l’importanza della mano che regge la macchina in realtà sarebbe più corretto di parlare di “regista come storico” o meglio ancora di “coloro che realizzano il film”, dato che il film è il risultato del lavoro di un’impresa ricca di figure. Non va dimenticato che il film è un iconotesto, in quanto mostra messaggi stampati per aiutare o indirizzare l’interpretazione delle immagini da parte dello spettatore. Fra questi uno dei più importanti iconotesti è il titolo del film, che influenza le aspettative del pubblico. Il potere del film consiste nella sua capacità di dare allo spettatore l’impressione di essere testimone degli avvenimenti, ma questa sua capacità del tutto illusoria costituisce anche il rischio insito nel mezzo. Il regista infatti modella l’esperienza per riportare quanto accaduto, ma facendolo anche in un modo che possa essere apprezzato dal pubblico. Non bisogna dimenticare che la storia filmata, come quella dipinta, rimane un atto interpretativo. Giustapporre ad esempio Nascita di una nazione, di Griffith, a Via col vento, significa vedere la guerra civile americana e la successiva ricostruzione in due modi differenti, anche se entrambi i film presentano gli avvenimenti dal punto di vista dei bianchi del sud. Un film storico è l’interpretazione della storia, che sia opera di un regista professionista o di uno storico professionista, come Aldgate, che ha diretto un film sulla guerra civile spagnola. Ciò nonostante, la storia filmata trova una soluzione al problema che abbiamo incontrato quando dicevamo del voler volgere l’immagine in parole. La capacità del cinema di rendere presente il passato e di evocare lo spirito di un’epoca passata è evidente. Il problema è capire quanto venga sfruttata questa capacità e come. Da questo punto di vista può essere illuminante paragonare e mettere a confronto film ambientati in epiche distanti con quelli ambientati in epoche recenti. Tra i due risultano più accurati i secondi. Il Luigi XIV di Rossellini Un altro tentativo di rievocare l’atmosfera di un’epoca remota è La presa del potere di Luigi XIV di Rossellini. Come base si è servito della biografia del re scritta nel 1965 dallo storico Erlanger, di testi dell’epoca e di memorie dell’epoca. Questo film è stato girato in quello che si potrebbe definire “stile da testimone oculare”. In questo senso si intendono quindi il rifiuto del montaggio e la decisione di affidare il ruolo del protagonista ad un attore dilettante. Inoltre il film mette a frutto in modo efficace le testimonianze figurative dell’epoca in questione. Dal punto di vista storico il film è particolarmente degno di nota per due motivi. In primo luogo, il suo interesse per la vita quotidiana in un’epoca, gli anni sessanta, in cui la “storia del quotidiano” non godeva ancora di seria considerazione. Il film illustra l’asserzione secondo cui l’intera dimensione della vita quotidiana con la sua moltitudine di azioni transitorie può essere mostrata solo sullo schermo. Il film ad esempio si apre con una scena in cui lo spettatore viene posto davanti alla gente comune che sulle rive del fiume parla di avvenimenti politici. O ancora si vedono i pasti reali e il modo in cui vengono preparati nelle cucine. Sono molto presenti gli animali. In secondo luogo il regista si è concentrato sul modo in cui il re sia riuscito a prendere il potere e mantenerlo, focalizzando la sua attenzione sul teatro di corte di Versailles e su come il re se ne sia servito per domare la nobiltà. La scena finale del film però mostra il re mentre toglie parrucca e abiti, viene quindi presentato come semplice essere umano che contempla la propria mortalità. Storia contemporanea La maggior parte dei film storici di qualità ha per soggetto un passato relativamente recente. Nelle successive righe quindi sarà trattata la storia del Novecento e il ruolo svolto dai registi cinematografici nell’aiutare i loro contemporanei a interpretare avvenimenti che tutti avevano vissuto. La battaglia di Algeri, di Pontecorvo, è uscito nel 1966, poco dopo gli avvenimenti di cui tratta. Il film non impiega nessuna sequenza tratta da cinegiornali, nemmeno dà l’impressione di assistere ad uno. Le scene di torture e uccisioni si basavano sulle ricerche effettuate negli archivi della polizia. Questo film offre un’immagine forte di un’interpretazione marxista del processo storico come lotta tra oppressori e oppressi in cui questi ultimi sono destinati a vincere. Pontecorvo ha reso la sua narrazione più complessa affidando un ruolo fondamentale a una figura positiva della fazione “sbagliata”, il colonnello Mathieu. Altri film Ciascuno di questi illustra l’importanza del punto di vista nelle narrazioni visive. Conseguono molti effetti più efficaci grazie ai campi lunghi, ai primi piani, a visioni dal basso e dall’alto, immagini associate ecc. CAPITOLO 10 – OLTRE L’ICONOGRAFIA? Possibili alternative all’iconografia e iconologia. Esistono tre possibilità → - Approccio psicoanalitico - Approccio strutturalista-semiotico - Approccio improntato alla storia sociale dell’arte Psicoanalisi L’approccio psicoanalitico si focalizza non sui significati consci, ma sui simboli inconsci e sulle associazioni inconsce del genere identificato da Freud nel suo L’interpretazione dei sogni. Certe considerazioni freudiane del sogno offrono delle chiavi interpretative di alcuni dipinti. I concetti di transfert e di condensazione che Freud sviluppò analizzando il lavoro onirico sono importanti anche nelle narrazioni visive. Di fronte ad esempi come harem, uno psicoanalista potrebbe suggerire che quelle siano visualizzazioni di fantasie sessuali, mentre altre immagini stereotipate, come cannibali, streghe, sono proiezioni sull’altro dei desideri repressi del sé. Anche la discussione dell’immaginario sacro ha sollevato la questione delle fantasie inconsce e della persuasione occulta. Non suscita quindi meraviglia il fatto che chi creava le immagini ricorresse a degli espedienti cercando di controllare l’interpretazione dei loro artefatti da parte del pubblico. Alcuni di questi tentativi sono di natura pittorica, come l’inquadratura o l’enfasi data ad un personaggio piuttosto che ad un altro, mediante le differenze di misure o di colore. Un altro è l’immagine nell’immagine, che invita l’osservatore a fare dei paragoni. Oppure le reazioni possono essere influenzate o manipolate attraverso dei mezzi testuali, dalle iscrizioni sulle medaglie alle didascalie nelle fotografie. Riassunto del messaggio del volume sull’uso delle immagini con valore di prova. Come abbiamo visto si tratta di una testimonianza spesso ignorata e qualche volta addirittura negata. Il critico Bann, ha scritto di recente che “l’immagine visiva non prova nulla, o qualsiasi cosa provi è talmente ininfluente che non mette conto includerla nell’analisi storica”. La testimonianza delle immagini è talvolta liquidata sulla base del fatto che tutto quello che mostrano non è altro che l’insieme delle convenzioni rappresentative vigenti in una determinata cultura. C’è un conflitto tra positivisti, che ritengono che le immagini trasmettano informazioni attendibili sul mondo esterno, e gli scettici o strutturalisti, che ritengono il contrario. Questi ultimi concentrano la loro attenzione sull’immagine stessa, sulla sua organizzazione interna, sulla relazione tra le parti di cui si compone e fra un’immagine e le altre dello stesso genere, mentre i primi tentano di gettare uno sguardo attraverso l’immagine per cogliere la realtà che si trova oltre. Invece di definire le immagini “attendibili” o “non attendibili”, si può seguire una “terza via” → interessarsi ai gradi o modi di attendibilità e all’attendibilità in relazione a scopi diversi. Questo significa pensare che nel caso delle immagini le convenzioni filtrano informazioni che provengono dal mondo esterno, ma non lo escludono. Solo di rado, come nel caso delle razze mostruose, gli stereotipi sono così rozzi da escludere del tutto qualsiasi informazione. Le testimonianze sul passato offerte dalle immagini sono di grande valore perché integrano e confermano le prove provenienti da documenti scritti. La loro testimonianza è rilevante soprattutto quando i testi sono scarsi e reticenti, nel caso dell’economia informale, per esempio, o dei cambiamenti nella sensibilità. Nei casi della storia economica e sociale, le immagini offrono prove particolarmente importanti di pratiche quali il commercio ambulante che di rado lasciano traccia in quanto di natura non ufficiale. Resta il problema di come leggere queste testimonianze. Lo scopo del libro era dimostrare che spesso le immagini sono ambigue e polisemiche. Un tema ricorrente è stato quello della varietà, tanto delle immagini quanto delle possibilità degli storici di usarle in relazione ai loro diversi interessi. Riformulazione dei problemi interpretativi che ricorrono con regolarità in contesti differenti. 1. Le immagini non danno accesso direttamente al mondo sociale, bensì alla visione che di quel mondo hanno i contemporanei. Il punto di vista maschile sulle donne, dei ceti medi sui contadini ecc. Gli storici non possono dimenticare le spinte opposte che muovono chi realizza immagini e si trovano a rappresentare un mondo, ora idealizzandolo e ora criticandolo. 2. La testimonianza delle immagini deve essere collocata nel contesto o in una serie di contesti (culturale, politico, materiale ecc.), che comprendono le convenzioni artistiche della rappresentazione di determinati aspetti in un determinato tempo e luogo. 3. Una serie di immagini offre una testimonianza più attendibile di quella fornita dalle immagini singole. 4. Nel caso delle immagini, come in quello dei testi, lo storico deve leggere tra le righe, prestando attenzione ai dettagli e usandoli come indizi per ricavare informazioni che i creatori delle immagini non sapevano di sapere o convinzioni che non sapevano di avere.
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