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Totalitarismo: Comunismo, Fascismo, Nazismo, Appunti di Storia

I regimi totalitari: definizione totalitarismo; autoritarismo differenze; Unione sovietica; Italia; Germania.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 17/11/2021

valeriachianca
valeriachianca 🇮🇹

4.5

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37 documenti

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Scarica Totalitarismo: Comunismo, Fascismo, Nazismo e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! IL TOTALITARISMO: COMUNISMO, FASCISMO E NAZISMO. I REGIMI TOTALITARI. LA DEFINIZIONE DI TOTALITARISMO. Il comunismo staliniano, il fascismo e il nazismo vengono indicati come regimi totalitari. Il concetto di totalitarismo fu coniato dai liberali per sintetizzare le condizioni in cui si trovavano gli italiani sotto il regime fascista, che controllava ogni aspetto della loro vita. Mussolini lo riprese e lo adottò affermando che il fascismo si contraddistingueva proprio per una fiera volontà totalitaria. Esprimeva l’intenzione di subordinare l’intera vita sociale e culturale del Paese allo Stato, il quale era in simbiosi con il Partito (fascistizzazione delle istituzioni). Elementi caratterizzanti del totalitarismo: ePrevede la costruzione di un’ideologia organica e coerente. Il cittadino subisce condizionamenti fisici e psicologici affinché aderisca a tale ideologia, posta alla base dell'educazione delle nuove generazioni; eLa vita politica è interamente controllata da un partito unico, lo Stato elimina qualunque forma di opposizione; ell capo del regime è un dittatore depositario dell'intero potere dello Stato e costruisce un culto della propria persona; ell totalitarismo legittima le proprie azioni mediante un uso sapiente dei mezzi propagandistici di massa sui quali esercita un monopolio; eLe masse sono tenute in costante mobilitazione attraverso una serie di organizzazioni che condizionano la gestione del tempo di lavoro e del tempo libero (celebrazioni, ritualità quotidiane e uso di uniformi); eL'economia è sottoposta al controllo dello Stato, forte burocratizzazione dell'apparato produttivo; *Un sistema organizzato di repressione degli oppositori rende impossibile la contestazione del regime (detenzione, tortura, eliminazione fisica). DIFFERENZE RISPETTO ALL’AUTORITARISMO. | regimi totalitari sono diversi dai regimi autoritari, poiché questi ultimi esercitavano un controllo stretto, ma non esclusivo come quello attuato da comunismo sovietico, fascismo e nazismo. La definizione del concetto di totalitarismo non riscuote il consenso unanime degli storici, ma è universalmente utilizzata per analizzare i tre grandi regimi di massa: stalinismo, fascismo e nazismo. L’UNIONE SOVIETICA. STALIN AL POTERE. Il 21 gennaio 1924 muore Lenin e si accende una lotta per la successione tra i suoi collaboratori. Si distinsero due linee politiche alternative, che facevano capo a Trockij e Stalin. Diverse concezioni della rivoluzione e della stessa società comunista: Trockij, a capo dell’Armata Rossa, sosteneva che fosse necessario finanziare e armare la “rivoluzione permanente”, diffondendo la rivoluzione sovietica al di fuori dei confini nazionali. I bolscevichi trockisti intendevano distruggere il capitalismo e giungere all'affermazione globale del comunismo. Stalin, riteneva che il governo avrebbe dovuto concentrarsi sul consolidamento del comunismo russo e valutare solo in un secondo momento la possibilità di esportare la rivoluzione (“socialismo in un solo Paese”) per salvaguardare le conquiste sovietiche. | due leader avevano personalità differenti: Trockij godeva di grande prestigio popolare come comandante dell’Armata Rossa ed esercitava una notevole influenza sui giovani; Stalin aveva un grande seguito all’interno del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Lenin aveva espresso perplessità su Stalin, poiché lo considerava brutale e troppo rigido. Stalin riuscì ad avere la meglio sull’opposizione trockista e consolidò il proprio ruolo di capo dell’Unione Sovietica. Trockij fu oggetto di una virulenta campagna denigratoria e fu deposto dal comando dell'esercito; fu espulso dal partito e due anni dopo mandato in esilio; nel 1940 fu assassinato da un sicario. PIANIFICAZIONE DELL'ECONOMIA. La vittoria di Stalin comportò un'accelerazione sul programma di industrializzazione dell’Unione Sovietica. Fu messo in discussione il sistema di economia mista della Nep e si optò per un maggior intervento statale sull'industria e sull'agricoltura (sistema precedentemente combattuto perché trockista-> forzatura del sistema industriale sovietico per modernizzarlo). Stalin ricorse alla Gosplan, una Commissione statale per la pianificazione, con il compito di indicare le linee di sviluppo dell'economia nazionale stendendo un piano di intervento quinquennale con l’obiettivo di trasformare l’economia sovietica da agricola a industriale. Le campagne avrebbero dovuto subire un cambiamento altrettanto rapido per porre l'agricoltura al servizio del nuovo sistema di fabbrica ed evitare la restaurazione del capitalismo. Stalin articolò tre piani quinquennali di produzione. Il primo piano 1928- 1932: la programmazione dello sviluppo dell’Urss fu guidata dal Gosplan, che decideva quali beni dovevano essere prodotti, in quali quantità e da quali fabbriche, a partire da quali risorse e materie prime. LO SVILUPPO INDUSTRIALE. Il piano di industrializzazione fu un successo: triplicarono le produzioni e la disoccupazione risultava notevolmente ridotta. L'Unione Sovietica era diventata la seconda potenza industriale del mondo dopo gli Stati Uniti. Il primo piano quinquennale generò un processo di inurbamento (afflusso di contadini verso le città). Questo comportò grandi disagi per gli alloggi e i servizi e creò difficoltà alla stessa industria, la quale attirava manodopera di origine contadina, con una preparazione inadeguata. Inoltre l'industria fu orientata in modo quasi esclusivo ai settori pesanti (siderurgico), non produceva sufficienti beni di consumo. Il tenore di vita degli operai era estremamente basso e i costi sociali dell’industrializzazione molto elevati. L'agricoltura rimase arretrata dal punto di vista tecnico e continuò a produrre meno del necessario per soddisfare il fabbisogno alimentare del Paese. La produzione agricola rimase inadeguata anche quando la collettivizzazione delle campagne fu completata ed ogni opposizione dei contadini vinta. L'apparato burocratico centrale era soggetto a sprechi e corruzione. La produttività degli operai era scarsa. Si diffuse il movimento “stachanovista” tra operai e fabbriche che esprimevano attraverso il lavoro la più alta dedizione al regime. Stachanov era un minatore che divenne un simbolo del lavoratore sovietico ideale, battendo i record individuali nell’estrazione del carbone durante un turno di lavoro: lo “stachanovismo” divenne un modello ampiamente propagandato dal regime. | grandi sacrifici e il basso livello di salari e consumi alienarono molti consensi al governo anche da parte delle masse operaie: lo stalinismo ricorse quindi ai più brutali strumenti della dittatura per mantenere saldo il proprio potere. LA COLLETTIVIZZAZIONE FORZATA. Alla fine del 1929 Stalin intraprese un'azione di governo per trasformare l'agricoltura, applicando la stessa rigida pianificazione utilizzata per l'industria. Il governo sovietico lanciò una battaglia contro i contadini agiati, i kulaki, e avviò la costituzione di grandi aziende agricole collettive, i kolchoz e i sovchoz. La popolazione rurale oppose una strenua resistenza alla collettivizzazione, che li privava della propria autonomia, della possibilità di scegliere che cosa seminare e soprattutto dell'opportunità di guadagnare attraverso la vendita del raccolto. | piccoli proprietari terrieri furono costretti con la forza a trasformarsi in lavoratori delle fattorie collettive. Molti contadini si rifiutarono di seminare per non dover consegnare il prodotto alle aziende collettive; arrivarono anche a uccidere il proprio bestiame. Stalin decise di reprimere la ribellione con l’esercito: almeno due milioni di kulaki vennero deportati e costretti ai lavori forzati. L'opposizione dei contadini fu tale che la produzione tornò al di sotto dei livelli dell'anteguerra. La quota di raccolta incamerata dallo Stato rimase altissima e divennero usuali le requisizioni supplementari di parte della produzione per destinarla all'approvvigionamento urbano e ai mercati esteri; in Ucraina si diffuse una terribile carestia che provocò 6 milioni di morti per fame. LA PROPAGANDA STALINISTA. | grandi progressi dell’industria sovietica rafforzarono la posizione di Stalin e esponenti di rilievo di rilievo del partito, dei soviet e dei sindacati persero ogni potere. Gli oppositori di Stalin, che attraverso campagne stampa chiedevano di modificare gli interventi decisi dal dittatore, furono presentati come avversari del popolo nell’ambito della lotta di classe. Stalin fu esaltato come difensore dell'eredità di Lenin, depositario dei valori più autentici della rivoluzione. La cultura e la scienza dovettero adeguarsi ai dettami ideologici del regime attraverso la dottrina del “realismo socialista” (tutte le espressioni artistiche dovevano avere un valore sociale e politico). Tutte le arti divennero strumenti di propaganda (cinema, letteratura, pittura e scultura). Stalin divenne agli occhi di tutti l’unico artefice dello sviluppo dell'Urss e della costruzione del comunismo favorendo e incoraggiando la diffusione di un vero e proprio culto della sua personalità. Riuscì a esercitare una “ipnosi di massa”, presentandosi come il rassicurante “piccolo padre” della Patria, l’unico in grado di prendersi cura dei suoi figli-concittadini. IL MONOPOLIO DELLA COMUNICAZIONE. Il giornalismo, sulla carta stampata e attraverso la radio e il cinema fu considerato una “scuola degli adulti”. | mezzi di comunicazione di massa, come la radio e il cinema, diventarono uno strumento essenziale per parlare alle masse e trasmettere loro le idee del regime. La stampa fu pienamente sottomessa a un rigido dirigismo e la pubblicazione delle notizie fu subordinata al vaglio dell'Ufficio per la stampa e la propaganda, che fu poi trasformato nel Ministero della cultura popolare. La radio fu controllata grazie all'Ente Italiano audizioni radiofoniche e l'industria cinematografica incoraggiata a scopo di propaganda; fu creato l’Istituto Luce, che preparava cinegiornali settimanali proiettati prima di ogni spettacolo in tutte le sale del paese. Il regime costruì Cinecittà, un imponente complesso di teatri che divennero il principale centro di produzione cinematografica del Paese. Lo Stato investì ingenti risorse per finanziare pellicole di carattere propagandistico. La penetrazione del regime nella vita quotidiana avvenne anche attraverso i motti di Mussolini: una forma di comunicazione poco costosa e molto efficace che contribuì a dare al regime il monopolio assoluto sulla formazione delle opinioni degli italiani. IL FASCISMO E I SUOI MITI. Il fascismo creò una simbologia e adottò una strategia di comunicazione capaci di penetrare nel pensiero del cittadino medio. Tra i riti della quotidianità vi furono l'obbligo del saluto fascista, a braccio teso e mano aperta, o l'introduzione del “voi” al posto del “lei”. Tra i simboli più diffusi vi fu il fascio littorio, che comparve ovunque (muri, manifesti, giornali). Il fascio, nel quale le verghe erano legate insieme e diventavano indistinguibili, raffigurava la desiderata unità degli italiani sotto la leadership di Mussolini. Si diffuse il mito di Roma, in base al quale, rifacendosi ai trionfi di Roma, il fascismo voleva costruire un’identità italiana dominante. La figura di Mussolini assunse il ruolo di duce, rivendicandone l’ascendenza romana. Mussolini si accreditò come il capo supremo dal quale derivava ogni decisione in vista del bene collettivo; intendeva presentarsi come “novello Cesare”. Divenne oggetto di un culto della personalità che rendeva indiscutibili le sue idee. Assunsero grande importanza anche le feste civili e le ricorrenze del fascismo, durante le quali tutti erano obbligati a indossare la divisa dell’organizzazione di appartenenza e a convergere nelle piazze per ascoltare i discorsi di Mussolini diffusi attraverso gli altoparlanti. | molteplici strumenti con i quali il regime cercò di accreditarsi agli occhi dell'opinione pubblica hanno fatto parlare di una vera e propria macchina del consenso che permise a Mussolini di raccogliere un appoggio generalizzato e convinto. LA POLITICA ESTERA DI MUSSOLINI. Uno degli ambiti nei quali il mito della romanità fu ripreso con più vigore fu quello della politica estera, in connessione con l'aspirazione del fascismo alla costruzione di un impero italiano. Fu un processo lento. Mussolini aveva promosso la fine della contesa tra Francia e Germania (Patto di Locarno) e aveva ricevuto l'apprezzamento dei conservatori inglesi. L'Italia aveva anche rafforzato i suoi rapporti con l’Austria e, di fronte alla notizia di un tentato colpo di Stato nazista durante il quale il cancelliere austriaco Dollfuss fu ucciso, Mussolini inviò al confine italo-austriaco quattro divisioni per fermare Hitler ed evitare l'annessione dell’Austria alla Germania, proibita dagli accordi raggiunti alla Conferenza di Pace di Parigi. L'intervento a difesa dell'Austria era coerente con la politica di collaborazione con Francia e Regno Unito che l’Italia aveva intrapreso. Essa culminò nell'accordo di Stresa in funzione antitedesca raggiunto dalle tre potenze. L'intesa: eRiaffermava i punti del patto di Locarno; eGarantiva l'indipendenza dell'Austria messa a rischio i nazisti; eSosteneva che i firmatari avrebbero reagito a nuove violazioni del trattato di Versailles da parte della Germania. Mussolini decise pochi mesi dopo di dare alla politica estera italiana una svolta aggressiva: l’esercito italiano attaccò e conquistò l'Etiopia partendo dalle basi somale ed eritree nel 1935. Nonostante alcune nette vittorie degli italiani, la guerra rischiò di diventare una campagna di logoramento a causa della guerriglia messa in atto dagli etiopi e dalla mancanza di strade e collegamenti lungo i quali far avanzare le truppe italiane e i rifornimenti. Gli italiani ricorsero all’uso dei gas e dei bombardamenti aerei anche contro i civili. Il 9 maggio Mussolini annunciò dal balcone di Piazza Venezia la nascita dell'impero dell’Africa orientale italiana. Il fascismo aveva vendicato la sconfitta di Adua. La scelta colonialista dell'Italia si dimostrava in contrasto con le tendenze internazionali di riduzione degli imperi europei; tuttavia Francia e Regno Unito si dimostrarono accomodanti e Mussolini poté rivendicare di aver riportato l’Italia al ruolo di grande potenza. L’unica reazione contraria all’azione italiana fu espressa dalla Società delle Nazioni, che colpì Roma con l'embargo e il boicottaggio internazionale dei prodotti italiani. Le sanzioni economiche si dimostrarono però inefficaci: l'embargo non comprendeva materie prime essenziali e non vi aderirono Germania e Stati Uniti, che continuarono a rifornire l’Italia. L'organizzazione diede così una prova della sua incapacità di governare il disordine internazionale. Mussolini denunciò l’ostilità della Società delle Nazioni come prova della volontà delle potenze democratiche di impedire all'Italia di guadagnarsi il posto che meritava nella scena internazionale. Il duce lanciò una campagna in nome dell’autarchia, invitando gli italiani a consumare solo merci nazionali e a produrre di più per avvicinarsi all'obiettivo dell’autosufficienza alimentare e manifatturiera (poneva l’Italia nella prospettiva di un'economia di guerra). Nello stesso 1936 Mussolini ricercò l’alleanza con Hitler e suggerì al governo austriaco di trovare un accordo con quello tedesco. Sottoscrisse il cosiddetto Asse Roma-Berlino: un'intesa di natura ideologica e politica tra dittature di destra. IL RAZZISMO E L’ANTISEMITISMO FASCISTA. L’avvicinamento alla Germania influenzò anche la politica interna del fascismo, il cui nazionalismo espresse una tendenza discriminatoria e razzista. Essa emerse anche in relazione alle questioni derivanti dalla conquista dell’Etiopia, con le quali si pose il problema della purezza della stirpe, a causa dell'abitudine degli italiani di accompagnarsi con donne etiopi. Si diffuse il “razzismo di eliminazione”, ossia la posizione secondo la quale l’inferiorità dell'altro giustificava la sua esclusione dalla vita collettiva o la sua eliminazione. Nel 1938 la politica razziale del regime fu appoggiata dagli intellettuali attraverso il Manifesto degli scienziati razzisti, nel quale si sosteneva l’esistenza di razze umane biologicamente distinte e si rivendicava l’esistenza di una razza ariana italiana, una razza superiore dalla quale erano esclusi gli ebrei. L'antisemitismo fascista passò al mondo legislativo con la legge n. 728, che affermava che gli appartenenti alla razza ebraica, identificati su base biologica e non religiosa, fossero da discriminare. Gli insegnanti ebrei furono sospesi dalla docenza e gli alunni ebrei furono costretti a iscriversi in scuole separate. In seguito una norma ampliò i divieti sul matrimonio, rendendo illegali le nozze tra ariani e appartenenti ad altre razze. Infine anche gli ebrei italiani subirono la persecuzione razziale finalizzata al loro sterminio. LA LUNGA ATTESA DELL’ANTIFASCISMO. Fare propaganda contraria al fascismo appariva uno sforzo vano e pericolosissimo a causa dell’azione dell’Ovra e del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. La maggior parte degli antifascisti rimase in attesa degli eventi, sperando che il duce compisse qualche passo falso o che le condizioni della politica internazionale cambiassero. Tra i liberali, il principale oppositore al fascismo fu Benedetto Croce, troppo noto per essere messo a tacere dallo squadrismo. Promotore del Manifesto degli intellettuali antifascisti, denunciò con forza i pericoli insiti nella dittatura mussoliniana. Tra i cattolici, don Luigi Sturzo riparò all'estero, mentre De Gasperi fu costretto a rifugiarsi in Vaticano. Nacque a Parigi la Concentrazione antifascista, a cui appartenne anche Turati: essa raccoglieva numerosi fuoriusciti (costretti all'esilio) e svolse un ruolo importante nel testimoniare l'esistenza di uno schieramento politico contrario al fascismo. Sorse inoltre il movimento di Giustizia e Libertà, creato da Rosselli e Lussu, che avevano come obiettivo l'insurrezione popolare contro il fascismo e la nascita di una Repubblica democratica. Rosselli e suo fratello furono uccisi da sicari francesi di destra pagati dal fascismo. L'opposizione più attiva al regime venne dai comunisti: essi crearono in Italia una fitta rete di cellule clandestine. Tuttavia l'ampia distribuzione di materiale propagandistico non procurò ai comunisti l’appoggio attivo e consistente della popolazione. Il maggior esponente del movimento fu Gramsci, secondo il quale la caduta del fascismo sarebbe arrivata solo grazie alla rivolta generalizzata della nazione, guidata dal proletariato. Venne incarcerato, condannato a vent'anni di detenzione e morì in prigione. Allora il leader divenne Togliatti. Il movimento antifascista si rivelò diviso sulle responsabilità dell'avvento del regime e sulla linea d'azione da seguire. Solo con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’antifascismo riuscì ad agire in modo compatto per diffondere una cosciente opposizione a regime. LA GERMANIA. L’IDEOLOGIA DEL NAZISMO. L'impianto ideologico del nazismo fu elaborato da Hitler durante i mesi della carcerazione a causa del tentato Putsch di Monaco, stese il Mein Kampf, il manifesto del movimento, in cui teorizza una società politica basata sul concetto di Volk (popolo); lo Stato era da lui concepito come una “comunità di popolo” fondata sulla purezza biologica, cioè sulla razza dei suoi appartenenti. La condizione imprescindibile per rinnovare la potenza e la Germania era l'omogeneità razziale dei tedeschi, i più diretti discendenti degli ariani. E si diffuse un'immagine stereotipata dell’uomo ariano, alto, biondo e con gli occhi azzurri: gli abitanti del Nord-Europa furono considerati gli esponenti di un'antica razza superiore alle altre. Tutti coloro che non avevano ascendenza ariana dovevano essere espulsi dalla comunità di popolo. La comunità ebraica costituiva una razza negativa, capace di danneggiare la purezza dei tedeschi. Hitler aveva due obiettivi: il ricongiungimento all’interno dei confini della Germania di tutte le popolazioni di lingua tedesca; e la conquista di uno spazio vitale nel quale installare i coloni ariani. Questo piano prevedeva l'evacuazione non solo degli ebrei, ma anche degli slavi, considerati una razza adatta al lavoro servile. PIENI POTERI AHITLER. Una volta ottenuta la carica di Cancelliere, Hitler chiese a Hindenburg lo scioglimento immediato del Reichstag e nuove elezioni. Pochi giorni prima delle consultazioni il Reichstag andò distrutto in un incendio (a mettere in pratica l'attentato furono i nazisti, ma non ci sono prove certe). Essi riversarono la responsabilità dell'episodio sui comunisti e Hindenburg firmò un decreto che sospendeva i diritti dei citta consentiva arresti ed esenzioni a tempo indeterminato. | seguaci di Hitler approfittarono del provvedimento per scatenarsi in violenze contro tutti gli oppositori. Hitler ottenne l’appoggio dei cattolici, che gli conferì pieni poteri per quattro anni, cancellando la democrazia tedesca. HITLER FUHRER DELLA GERMANIA. Ebbe inizio l’opera di “allineamento”: il rapidissimo adeguamento delle istituzioni agli obiettivi e alle idee del nazismo. Il programma nazista si attuò attraverso le seguenti misure: eLa Costituzione fu sospesa; el sindacati furono sciolti e tutti i partiti politici aboliti; eLa Nsdap divenne l’unico anello di congiunzione tra Hitler e i tedeschi; el governi e i parlamenti furono sciolti e le autonomie locali sacrificate in nome dell'accentramento amministrativo e politico; eLa magistratura fu asservita al regime (emetteva sentenze di morte contro gli oppositori del nazismo); eGli elementi sgraditi furono espulsi dall'amministrazione pubblica e rimpiazzati con personale fidato. Nel 1933 si tennero nuove elezioni politiche e la Nsdap ottenne il 92% dei suffragi. Hindenburg morì e Hitler divenne capo del Paese, del governo e delle forze armate, che furono costrette a giurare fedeltà. La carica di presidente fu sostituita dal titolo di Fuhrer. | tedeschi confermarono questa decisione in un plebiscito. Egli fu per la Germania il capo del Terzo Reich. IMponeva una forma di autorità non prevista dalla Costituzione, basata sulla propria persona.
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