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traduzione letterale di Eneide IV di Virgilio. Completa e corretta., Traduzioni di Letteratura latina

Traduzione di tutta il IV libro dell'Eneide, fatta personalmente e confrontando traduzioni ufficiali (che però non sono letterali, mentre i prof richiedono una grande aderenza al testo latino).

Tipologia: Traduzioni

2021/2022

Caricato il 02/02/2022

Luci1.
Luci1. 🇮🇹

4.5

(20)

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Anteprima parziale del testo

Scarica traduzione letterale di Eneide IV di Virgilio. Completa e corretta. e più Traduzioni in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! 1-5 Ma la regina ferita già da tempo da un grave affanno, nutre la ferita nelle vene e è presa da un fuoco occulto. Ritorna nell’animo la grande virtù dell’uomo e il grande onore della stirpe, il volto e le parole stanno fissi, irremovibili, nel petto e l’affanno non concede alle membra un dolce riposo. 6-30 L’Aurora del giorno dopo illuminava la terra con la lanterna di Febo (sole) e aveva rimosso dal cielo l’umida ombra, quando lei fuori di se (non sana) parla così alla sorella fedele (che ha comune sentire):” Anna sorella, che terribili visioni fanno paura a me incerta! Che ospite straordinario questo che è giunto nelle nostre dimore, come si mostra nell’aspetto (quanto è nobile nell’aspetto), quanto forte di petto e di armi! Credo certo, e la mia fiducia non è vana, che sia di stirpe divina. Il timore svela/dimostra gli animi non nobili. Ah! Da quali fati egli è stato gettato di qua e di là! Quali guerre compiute (sopportate fino alla fine) cantava! Se non ci fosse fisso e irremovibile nell’animo che non voglio unirmi in matrimonio con qualcuno, dopo che il primo amore ha deluso me ingannata con la morte; se non provassi disgusto per il letto e le fiaccole nuziali, forse avrei potuto soccombere a questa sola colpa. Anna, infatti lo confesso, dopo la morte dell’infelice marito Sicheo e dopo la casa macchiata del delitto del fratello, solo questo ha toccato i miei sensi e ha fatto vacillare il mio animo. Riconosco i segni dell’antica fiamma. Ma preferirei che il fondo della terra si aprisse prima davanti a me o il padre onnipotente mi spingesse prima verso le ombre attraverso il fulmine, alale ombre dell’Erebo pallido e alla notte profonda, prima che, oh Pudore, io ti violi o infranga le tue leggi. Colui che per primo unì me a sé, ha portato via il mio amore; egli lo tenga con sé e lo conservi nella tomba”. Detto così riempì l’orlo del vestito di lacrime sgorgate all’improvviso. 31-53 Anna risponde “O (tu) cara più che la luce per la sorella, triste ti consumerai da sola per tutta la giovinezza e non conoscerai i dolci figli e le gioie di Venere? Credi che le ceneri e i Mani sepolti (spoglie mortali) si curino di ciò? Che sia così/e va bene, un tempo nessun uomo convinse te ferita, ne quello di Libia ne prima quello di Tiro; fu respinto Iarba e altri condottieri che la terra d’Africa, ricca di trionfi, nutre: ti opporrai anche a un amore gradito? Non ti vengono in mente nei territori dichi ti sei stabilita? Da una parte le città dei Getuli, popolo insuperabile in guerra, e dei Numidi violenti accerchiano e la Sirti inospitale; dall’altra la regione deserta per la siccità e i Barcei che infuriano diffusamente. Che cosa dovrei dire delle guerre che sorgono da Tiro e delle minacce fraterne? Certo io ritengo che, essendo protettori gli dei e Giunone favorevole, le navi troiane abbiano tenuto questa rotta per il vento (spinte dal). Oh sorella, quanto grande tu vedrai/distinguerai questa città, che regno (vedrai) sorgere con un tale matrimonio! Avendo unito le armi dei troiani, a che grandi imprese si innalzerà la gloria cartaginese! Tu soltanto chiedi il perdono degli dei e, celebrati i sacrifici, dedicati all’ospitalità e inventa scuse (allaccia pretesti) per trattenerlo, finché nel mare infuriano la tempesta e Orione piovoso, e le navi sono distrutte, finché il cielo non è favorevole.” 54-67 Con queste parole incendiò l’animo con amore immenso, e diede speranza alla mente dubbiosa e vinse il pudore. All’inizio si recano nei templi e chiedono il favore divino attraverso gli altari; sacrificano (pecore) scelte bidenti, secondo la tradizione, a Cerere legifera (datrice di leggi), a Febo e al padre Sicheo e prima di tutti a Giunone, che si prende cura dei vicoli matrimoniali. La bellissima Didone, tenendo lei stessa una coppa nella mano destra, la versa in mezzo alle corna di una bianca vacca, oppure si aggira per gli altari ricchi davanti alle statue degli dei; e ripete ogni giorno le offerte (rinnova il giorno con le offerte) e guardando a bocca aperta (con trepidazione) nei petti squarciati delle vittime consulta le viscere palpitanti. Oh menti ignare dei sacerdoti! A che giovano a lei fuori di sé le preghiere, a cosa i templi? La fiamma divora le tenere midolla (interiorità, l’intimità del cuore) nel frattempo e nel petto vive una ferita silenziosa/occulta. 68-89 L’infelice Didone arde e vaga furiosa per tutta la città, come una cerva colpita da una freccia, che incauta da lontano nei boschi cretesi un pastore ha colpito, cacciandola con i dardi e ha lasciato, senza saperlo, la freccia alata: quella nella fuga attraversa le selve e le balze dittee, la freccia letale rimane fissa nel fianco. Ora conduce Enea con se in mezzo alle mura (città), e mostra le ricchezze le ricchezze sidonie (fenicie) e la città già pronta: inizia a parlare e si blocca a metà del discorso; ora desidera gli stessi convivi, al calar del giorno (quando calava il giorno), e chiede con insistenza/sollecita di ascoltare le fatiche di Troia di nuovo e di nuovo pende dalle labbra di lui che racconta. Poi quando si sono congedati e la luna, oscuratasi a sua volta, fa calare la luce e le stelle tramontando invitano/persuadono al sonno, lei da sola piange nella casa vuota e si stende sui triclini lasciati. Essendo lontana lei sente e vede lui lontano, o tiene in grembo Ascanio, presa dalla somiglianza al padre, nel tentativo di ingannare il suo indicibile amore. Non si innalzano le torri già iniziate, i giovani non si esercitano con le armi e non preparano porti o fortificazioni sicure per la guerra: restano in sospeso le opere interrotte e la grande minaccia delle mura (le grandi mura minacciose) e le impalcature che raggiungono il cielo. 90-104 Non appena la cara moglie di Giove si accorge che lei è presa da un tale flagello, e che l’onore non tratteneva/opponeva la follia, la Saturnia (Giunone) si rivolge/assale Venere con tali parole: “in verità tu e tuo figlio riportate in verità una grande gloria e grandi trofei di guerra, un grande e memorabile nome, per il fatto che una sola femmina è vinta dall’inganno di due dei. E proprio a me non sfugge di certo che tu temendo le nostre mura hai avuto sospetti delle alte case di Cartagine. Ma quali saranno i limiti/termini o a cosa/dove tendiamo con una tale contesa? Perché piuttosto non stringiamo una pace eterna e dei patti nuziali? Hai avuto ciò che hai desiderato con tutto l’animo: Didone arde amando/d’amore e ha assorbito nelle ossa il furore. Dunque governiamo assieme questo popolo e con pari poteri, sia consentito (a Didone) di servire il marito Frigio e di affidare alla tua destra i Tiri come dote”. 105-128 A lei (infatti si accorse che aveva parlato con animo ingannatore, per volgere il regno di Italia sulle coste libiche) così Venere in risposta inizia (a parlare): “chi fuori di sé/pazzo nega tali cose/proposte o preferisce combattere una guerra contro di te? Purché la sorte segua i fatti che tu dici (segua ciò che tu dici, una volta realizzati). Ma mi ritrovo in dubbio a causa dei fati, se Giove voglia che i Tirii e coloro che partirono da Troia (profughi) abbiano una sola città e se approva che si mischino i popoli e si stringano patti. Tu sei sua moglie, a te è consentito tentare il suo animo con le preghiere. Vai avanti: ti seguirò”. Così allora risponde la regina Giunone. “io mi occuperò di questa cosa, ora, stai attenta, ti mostrerò con poche parole in che modo possa realizzarsi ciò che attendiamo/ciò che preme. Enea e la sventurata Didone si preparano ad andare a cacciare nel bosco insieme, quando il titano di domani avrà mostrato il primo sorgere e avrà illuminato/scoperto la terra con i raggi. Io spargerò dall’alto su di loro un nuvolone (pioggia forte) nero con grandine mista mentre i cavalieri si affannano/allarmano e accerchiano il bosco con le reti e scuoterò ogni parte del cielo con i tuoni. I compagni si sparpaglieranno e la notte opaca nasconderà: Didone e il comandante troiano giungeranno alla stessa grotta. Io sarò presente e, se la tua volontà sarà per me sicura, li unirò in matrimonio stabile e consacrerò lei come sua (la darò in sua proprietà); queste saranno le nozze. Citerea (venere) annuì, non opponendosi (a Giunone che chiedeva) alle richieste e sorrise degli inganni scoperti. 129- 159 Nel frattempo l’aurora sorgendo lasciò l’Oceano. Sorto il sole la gioventù esce dalle porte; (ci sono) reti a maglie larghe/rade, lacci, larghi spiedi da caccia di ferro e i cavalieri massili e la forza odoratrice dei cani corrono. Gli illustri/principi cartaginesi aspettano sulle soglie la regina che indugia nella stanza e (il cavallo) considera Ascanio che cresce e la speranza nell’erede Iulo (Ascanio), al quale è destinato il regno d’Italia e la terra romana.”. avendo parlato con tali parole, il Cilleno abbandona l’aspetto mortale in mezzo al discorso (cioè non lascia il tempo di rispondere) e sparisce lontano dagli occhi nella leggera aria. 279-295 Ma davvero Enea restò senza parole, folle per quella vista e i capelli si drizzarono per il terrore e la voce si arrestò nella gola. Brucia di andarsene con una fuga e di lasciare quelle dolci terre, sconvolto da un tale ammonimento e una tale volontà degli dei. Ahimè che cosa dovrebbe fare? Ora con quale discorso oserebbe circuire la regina furiosa? Quale inizio adopererebbe? E distribuisce il pensiero veloce ora da una parte ora dall’altra, lo trascina in varie parti e lo volge verso ogni proposito. A lui incerto questa decisione sembrò la migliore: chiama Mnesteo e Sergesto e il forte Seresto, (ordina) che allestiscano in segreto la flotta, che raccolgano i compagni sulla spiaggia, che preparino le armi/attrezzature e che nascondano quale fosse il motivo per rinnovare le cose (??). Nel frattempo egli, dal momento che la nobile Didone non sa e non teme che si possa spezzare un così grande amore, tenterà le vie (di avvicinarsi/farsi vicino) e (tenterà) quali momenti siano i più piacevoli per parlare, quale modo (sia) favorevole (per parlare) alle circostanze. Velocemente tutti si dispongono felici agli ordini e fanno le cose che sono ordinate. 296- 330 Ma la regina percepì l’inganno (chi potrebbe ingannare un’amante?) e per prima coglie le mosse future, temendo tutte le cose, anche sicure/innocue. La Fama empia riferì le stesse cose (che aveva percepito) a lei furiosa, che si armava la flotta e si preparava la rotta. Nb usa infiniti?? Si infuria mancante nell’animo (con animo smarrito) e agitata delira impazzita per tutta la città, come una baccante agitata dal movimento degli oggetti sacri, quando, udito Bacco (il grido per Bacco x metonimia), le feste triennali la spronano e con le grida la chiama il Citerone notturno. Alla fine si rivolge a Enea con queste parole per prima (di propria iniziativa): “hai anche sperato di poter nascondere, perfido, una tanto grande empietà e di andare via dalla mia terra di nascosto? E né il nostro amore né la destra data da te un tempo, né Didone destinata a morire di morte violenta ti trattiene. Anzi in verità muovi la flotta anche nella stagione invernale e ti affretti ad andare nell’alto mare in mezzo alle tempeste, o crudele? Ma come? Se non ti dirigessi verso territori altrui e case sconosciute, e se rimanesse (fosse in piedi) l’antica Troia, ti dirigeresti verso Troia nel mare tempestoso dalle flotte? Forse fuggi me? Io prego te per queste lacrime, e per la tua destra (dal momento che nient’altro ormai io stessa ho lasciato a me misera) per la nostra unione, per le nozze iniziate, se qualcosa di te ho meritato giustamente, o a te fu dolce qualcosa di mio, abbi pietà della casa che cade, se adesso alle preghiere è un qualche luogo (se le preghiere hanno un qualche considerazione), e abbandona questa idea. A causa tua i popoli Libici, i tiranni Numidi, mi odiano, i Tiri mi sono ostili; a causa tua lo stesso pudore è perduto, e la buona reputazione di prima, per la quale soltanto mi avvicinavo alle stelle. Oh ospite, a chi abbandoni me moribonda? Poiché rimane questo solo nome del marito. Che cosa aspetto? Forse finché mio fratello Pigmalione distrugga la città o il Getulo Iarba mi porti con sé prigioniera? Almeno se prima della fuga ci fosse stata una qualche prole generata da me con te, se un qualche piccolo Enea giocasse con me nella stanza, il quale tuttavia richiamasse te nell’aspetto, certo non mi sembrerei completamente presa e abbandonata”. 331-361 Disse. Quello teneva gli occhi fissi per gli ammonimenti di Giove e tenace premeva l’affanno nel petto. Infine con poche parole rispose: “io mai negherò, regina, che tu ti sei resa meritevole (hai avuto) moltissimi meriti che potresti elencare parlando, e non mi pentirò di ricordarmi di Elissa finché io stesso sarò memore di me, finché lo spirito (soffio vitale) reggerà queste membra. Parlerò brevemente della questione. Io non ho sperato di nascondere questa fuga con l’inganno, (non pensarlo!) e non ho mai posto davanti fiaccole di coniuge (nuziali) né ho stipulato questi patti (ne sono giunto per questi patti). Se i miei fati permettessero a me di trascorrere la vita secondo il mio volere e di risolvere gli affanni/i dolori a mio piacimento, per prima cosa abiterei/onorerei nella città troiana e le dolci reliquie dei miei, sarebbe in piedi l’Alto palazzo di Priamo e avrei eretto con la mia mano la Pergamo rinascente/nuova per i vinti. Ma ora Apollo Grineo e gli oracoli di Licia ordinano di prendere la grande Italia, questo è l’amore, questa è la patria. Se le rocche cartaginesi e la vista della città libica attraggono te libica, infine che ostilità c’è (perché sei ostile) che i Teucri si stabiliscano nella terra ausonia? Anche a noi (è) lecito cercare regni stranieri. L’immagine sdegnata del padre Anchise, ogni volta che la notte copre la terra con le umide ombre, ogni volta che sorgono le stelle infuocate, ammonisce me nel sonno e mi atterrisce; (mi ammoniscono) il figlio Ascanio e l’offesa a una persona cara, che privo ingiustamente del regno di Esperia e dei territori fatali. Adesso anche il messaggero degli dei mandato da Giove in persona (lo giuro su entrambe le teste) ha portato un ordine per i cieli veloci (velocemente). Io stesso ho visto il dio chiaramente nella luce/nella luce splendente ? che oltrepassava i muri e ho percepito la voce con queste orecchie. Smetti di tormentare/incendiare me e te con le tue lamentele: non cerco l’Italia di mia volontà. 362-392 Già da tempo lei guardava di traverso (ostile) volgendo gli occhi di qua e di là lui che diceva tali cose e lo passava in rassegna/esaminava tutto con gli occhi silenziosi (silenziosa) e così rispose, infiammata: “tu non hai genitori divini, né Dardano fu il fondatore della stirpe, oh infedele, ma ti generò il Caucaso, ispido per le dure rocce e le tigri ircane avvicinarono a te le mammelle. Infatti perché fingo e a che cose peggiori mi conservo/tengo da parte? Forse con il mio pianto lui ha provato dolore? Forse ha girato gli occhi? Forse vinto ha versato lacrime, ha avuto pietà di colei che lo ama? A quali (offese) potrei preferire queste? Ormai, ormai né la grandissima Giunone né il padre Saturnio (figlio di saturnio) guardano queste cose con occhi giusti. Da nessuna parte la lealtà è sicura. Io raccolsi lui misero gettato sulla spiaggia e, pazza, lo posi in una parte del regno, ho sottratto dalla morte la flotta abbandonata e i compagni. Ahimè, sono condotta infiammata dal furore (da una furia rabbiosa)! Ora il profeta Apollo, ora i responsi della Licia, e ora il messaggero degli dei mandato da Giove in persona portano comandi terrificanti attraverso i cieli. È chiaro che/evidente gli dei del cielo hanno questa fatica e questa preoccupazione turba loro quieti. Non ti trattengo, e non ribatto alle tue parole: va! Segui l’Italia, spinto dai venti, dirigiti verso un regno attraverso le onde/mare; certo io spero che in mezzo agli scogli tu subirai la punizione/pagherai la punizione, se la giustizia degli dei può qualcosa, e spesso chiamerai Didone per nome. Io assente ti seguirò con i fuochi neri e, avendo la gelida morte diviso le membra dall’anima, come ombra (mia) comparirò in ogni luogo. Oh miserabile/crudele, sconterai le punizioni; io lo saprò/verrò a sapere e questa notizia verrà a me nel più profondo infero/averno”. Con queste parole interruppe il discorso a metà e fuggì la luce, malata, e si allontana e si sottrae al suo (di lui) sguardo, lasciandolo molto incerto per la paura e sul punto di/ con l’intenzione di dire molte cose. Le ancelle raccolgono e riconducono il suo corpo svenuto nella camera marmorea e lo ripongono sul letto. 393-407 Ma il pio Enea, sebbene bramasse placare la donna addolorata consolandola, e respingere gli affanni (di lei) con le parole, pur soffrendo molto e vacillante nell’animo per il grande amore, tuttavia persegue gli ordini degli dei e torna a vedere la flotta. Allora veramente i Teucri si adoperano e da tutta la spiaggia trascinano in mare le alte navi. La carena (nave) unta (di pece) galleggia e dai boschi portano remi frondosi e legno non lavorato per l’entusiasmo della partenza. Avresti potuto vederli che si trasferivano e che si affrettavano da tutta la città, e anzi come quando le formiche saccheggiano una grande quantità di farro, previdenti per l’inverno e lo ripongono nella tana: va per i campi la nera moltitudine e trasportano la preda per una strada angusta attraverso l’erba, una parte trascina i grossi cereali facendo forza con le spalle, una parte riunisce le schiere e castigano le soste, tutto il sentiero è in fermento per il lavoro. 408-436 Quale sentimento allora fu il tuo, Didone, nel vedere tali cose, che lamenti facevi quando scorgevi dalla cima della rocca che le spiagge brulicavano ampiamente e quando vedevi che tutto il mare era turbato dalle tante grida davanti ai tuoi occhi! Oh crudele Amore, a cosa non induci i cuori mortali! Di nuovo è costretta a ricorrere alle lacrime, di nuovo a cercare di sedurlo pregandolo e a sottomettere, supplice, l’orgoglio all’amore, affinché non lasci nulla di non sperimentato/non provato, lei che morirà inutilmente. “Anna, tu vedi che si affrettano intorno a tutta la spiaggia, e che si raccolgono da tutte le parti; ormai la vela chiama i venti, i marinai festosi hanno messo corone sulle poppe. Se io ho potuto aspettarmi questo dolore così grande, potrò sopportarlo, sorella. Tuttavia esegui per me sventurata questa sola cosa, Anna; infatti quello spergiuro venerava solo te, affidava a te anche i pensieri più segreti, solo tu conoscevi l’approccio e i tempi favorevoli per l’uomo. Va, sorella, e supplice implora l’orgoglioso nemico. Io non ho giurato con i Danai (greci) di distruggere il popolo troiano in Aulide né ho mandato la flotta a Pergamo e non ho profanato le ceneri e le spoglie mortali del padre Anchise: perché rifiuta di calare le mie parole nelle orecchie crudeli? Dove corre? Conceda questo ultimo favore (dono) all’infelice amante: aspetti una partenza agevole e venti propizi. Ormai non prego l’antico connubio, che lui ha tradito, né che si privi del bel Lazio e abbandoni il regno; chiedo un po' (poco) di tempo, riposo e intervallo per il furore, finché la mia sorte insegni a me vinta a soffrire. Quest’ultimo favore io prego (abbi pietà di tua sorella), il quale, quando me lo avrà fatto, glielo darò in cambio con la mia morte. 437-449 Con queste parole pregava e la sventurata sorella riferisce e ripete quei tali pianti. Ma quello non era mosso da nessun pianto e non sentiva nessuna voce con malleabilità: i fati si oppongono e il dio chiude all’uomo le tranquille orecchie. E anzi come quando i venti alpini gareggiano tra di loro con i soffi ora di qua ora di là a squarciare la quercia robusta dall’antico legno; si alza uno stridore e, essendo scosso l’albero, le alte foglie ricoprono la terra; ma la stessa (quercia) rimane sullo scoglio e tende tanto la cima all’aria eterea quanto le radici nel tartaro: non altrimenti/diversamente era percosso l’eroe di qua e di là dalle costanti parole e sente vivamente l’affanno nell’illustre cuore; la mente rimane immobile; le lacrime (delle donne) scorrono vane. 450-473 Allora veramente l’infelice Didone atterrita dal destino invoca la morte: prova fastidio a guardare la volta del cielo. Affinché porti a termine di più l’impresa e abbandoni la vita, vide, mentre poneva i doni sugli altari fumanti di incenso (orribile a dirsi), che i liquidi sacri diventavano neri e che i vini versati diventavano sangue funesto (di cattivo auspicio). Non rivelò questa visione a nessuno, neanche alla sorella stessa. Inoltre c’era nel palazzo un tempio di marmo per l’antico marito che venerava con straordinaria lode, legato con pelli bianche e rami votivi: da là sembrarono di sentire voci e parole dell’uomo che la chiamava, quando la notte oscura avvolgeva la terra; e sembrò che il gufo solo con il canto funebre spesso si lamentasse dalla sommità e esprime/conduce lunghi lamenti in pianto; e inoltre molte predizioni di antichi sacerdoti terrorizzano con terribili ammonimenti. Lo stesso crudele Enea perseguita nel sonno la donna fuori di sé; e sempre gli sembra di essere lasciata da sola, sempre le sembra di percorrere una lunga strada non accompagnata e di cercare i Tirii in una terra abbandonata: come Penteo folle vede le schiere delle Eumenidi (delle Furie)e gli si mostrano il sole doppio e Tebe doppia, o come quando Oreste figlio di Agamennone perseguitato sulle scene, fugge la madre armata di fiaccole e di serpenti neri e sulla soglia si siedono le Dire vendicatrici (erinni). 474-503 Dunque quando, sopraffatta dal dolore, fu presa dalla follia (dalle furie) e decise di morire, con se stessa valuta il tempo e il modo e rivoltasi (avendo incominciato con parole) alla triste sorella cela con l’aspetto la decisione e rasserena la speranza con la fronte: “Sorella, ho trovato la strada (rallegrati sorella) che mi restituisca lui o liberi da lui me che lo amo. Ai confini dell’oceano e dove tramonta il sole c’è l’estrema 630-641 Così disse e rivolgeva la mente a ogni parte/pensiero, cercando di strappare via quanto prima la luce odiata. Allora brevemente si rivolse a Barce, la nutrice di Sicheo, e infatti una cenere (urna funeraria x metonimia) nera teneva nell’antica patria (Tiro) la sua (nutrice): “cara nutrice, fai presentare qui mia sorella Anna, dille che si affretti a aspergere il corpo con acqua corrente (di fiume) e che conduca con sé le vittime e le cose prescritte per l’espiazione. Così venga e tu stessa ricopri le tempie con le sacre bende. È nell’animo/mente di compiere i sacrifici, che ho preparato e iniziato secondo il rito, a Giove Stigio (Plutone), e di porre fine agli affanni e di affidare alle fiamme il rogo con l’immagine dell’uomo dardano”. Così disse. Quella affrettava il passo con l’entusiasmo da vecchia. 642-671 Ma Didone, tremante e stravolta dai progetti terribili, volgendo gli occhi sanguinei e chiazzata di macchie sulle guance tremanti e pallida per la morte futura, irrompe nella parte interna della casa e sale furibonda gli alti gradini e sguaina la spada dardania, dono non chiesto per questo uso. Qui, dopo che vide la veste Iliaca e il noto letto, avendo indugiato un po' per le lacrime e il pensiero, si stese sul letto e disse le ultimissime parole: “Dolci spoglie, finché i fati e gli dei lo permettevano, accogliete questa anima e liberate me da questi affanni. Ho vissuto e ho compiuto il cammino che la Sorte mi aveva affidato e ora la mia nobile immagine andrà sotto terra. Ho costruito la città nobile, ho visto (sorgere) le mie mura, vendicando il marito ho punito il fratello nemico: felice, ahimè troppo felice, se soltanto le navi dardane non avessero mai toccato le nostre spiagge. Disse e avendo premuto il volto sul letto disse: “morirò invendicata, ma che io muoia così così giova andare sotto terra; che veda con gli occhi il crudele dardano questo fuoco dal mare e porti con se i funesti presagi della mia morte”. Aveva parlato, e le ancelle videro lei che cadeva sulla spada in mezzo a tali parole e la spada spumante di sangue e le mani cosparse. Un grido si alza nell’alta casa; la Fama va delirante per la città devastata. Le case fremono di lamenti e gemiti e grida femminili, il cielo risuona di grandi pianti, non diversamente che se introdottisi i nemici tutta Cartagine o l’antica Tiro crollasse e le fiamme furenti si propagassero per le case degli uomini e degli dei. 672-692 La sorella sbigottita sentì (la notizia) e atterrita con una affannosa corsa colpendosi le guance con le unghie e il petto coi pugni, corre in mezzo e chiama la morente per nome: “oh sorella, questo era quel rito? Supplicavi me con l’inganno (volevi ingannarmi)? Il rogo stesso, i fuochi e gli altari preparavano a me questa cosa? Di cosa per primo mi lamenterò io abbandonata? Hai disprezzato morendo la sorella compagna? Oh magari avessi chiamato me allo stesso destino: magari lo stesso dolore e lo stesso tempo avessero portato via entrambe con il ferro. Ho anche costruito con queste mani e ho invocato a gran voce gli dei patri, così che/affinché io crudele fossi lontana da te che giacevi (morta)? Hai ucciso me e te, sorella, e il popolo e i padri/nobili Sidoni e la tua città. Lasciate/permettete che io lavi le ferite con l’acqua, e, se ancora un qualche ultimo respiro aleggia/rimane, che io lo raccolga con le labbra”. Dicendo così aveva salito gli alti gradini e abbracciata la sorella morente la stringeva/riscaldava al petto con lamenti e con la veste asciugava il sangue nero. Lei avendo tentato di sollevare gli occhi pesanti, di nuovo viene meno; stride una ferita profonda nel petto. Tre volte sollevandosi e facendo forza sul gomito si alzava, tre volte ricadde sul letto e cercò la luce con gli occhi che vagavano nell’alto cielo e gemette avendola trovata. 603-705 Allora Giunone onnipotente avendo pietà del travaglio lungo e della morte difficoltosa mandò dall’Olimpo Iride, affinché sciogliesse l’anima che lottava e le membra avvinte (all’anima). Infatti, poiché non moriva ne per il destino né per morte meritata, ma misera (moriva) prima del tempo e accesa da un improvvisa follia, non ancora Proseprina aveva tagliato da quella testa il biondo capello e aveva consacrato la persona all’Orco Stigio. Dunque Iride rugiadosa con le ali d’oro trascinando per il cielo mille colori che variavano per il riflesso del sole vola e si fermò sul capo: “Io porto a Dite (plutone/inferi) queste cose consacrate e sciolgo te da questo corpo”. Così parlò e taglia con la destra il capello: in un solo momento tutto il calore abbandonò e la vita volò via nell’aria.
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