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Trappole per Topoi, Bruno Capaci (2022) - Capitolo 2 e approfondimenti, Appunti di Didattica generale e speciale

Riassunto COMPRENSIBILE della seconda unità di "Trappole per topoi", di Bruno Capaci (vale a dire la parte centrale del libro, che viene chiesta agli esami). Completo e ben approfondito in tutti quei punti in cui il libro non è chiaro a proposito degli argomenti di cui sta parlando, come le trame delle opere citate. Include uno schema finale delle tecniche retoriche.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 03/03/2023

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Scarica Trappole per Topoi, Bruno Capaci (2022) - Capitolo 2 e approfondimenti e più Appunti in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! Bruno Capaci Trappole per Topoi – Capitolo 2 CAPITOLO 2 - Generi del discorso e non solo letteratura 2.1 Il genere giudiziario  I tre generi fondamentali della retorica sono o Genere giudiziario: ha la funzione di accusare o di difendere. “Cesare ha commesso un’ingiustizia o no?” o Genere deliberativo: ha la funzione di persuadere o di dissuadere. Quindi si declina nelle azioni pratiche, spesso di natura politica. “Cesare dovrebbe attaccare la Gallia o no?” o Genere epidittico: vuole esporre e dimostrare le qualità di una persona o una cosa. Quindi compare soprattutto nei discorsi commemorativi. “Cesare era un grande uomo (o no)?”  Il genere giudiziario è il genere del discorso proprio delle controversie discusse davanti ad un giudice, è rivolto al passato e contribuisce a definire il concetto di giustizi e ingiustizia, quindi che senso abbia danneggiare il prossimo andando contro la legge.  A volte i delitti sono preterintenzionali (la cui gravità va oltre l’intenzione del colpevole) o Per abitudine (ὲθος, èthos consuetudine). Derivano dal vizio (κακὶα, kakìa) o Per sfuggire il dolore e cercare il piacere (ὸρεξις, òrexis aspirazione, desiderio, appetito) (possiamo parlare anche di πὰθος, pathos). Derivano dalla mancanza di controllo (ακρασὶα, akrasìa).  Volontario e deliberato (fatto di proposito) (λογισμὸς, loghismòs calcolato)  Volontario e non deliberato (θυμὸς, thumòs istinto)  Volontario ma dipendente dal desiderio materiale in senso stretto (επιθυμὶα, epithumìa brama)  Questi movimenti psicologici sono del tutto ὰλογα, àloga (privi di logos), ma possono entrare in contatto con il λὸγος, lògos e per questo non possono riguardare gli animali, ma solo gli esseri umani, ossia animali dotati di λὸγος, lògos.  Aristotele spiega che o Sono predisposti a commettere atti ingiusti  Chi pensa di non essere scoperto e/o punito  Chi pensa di sapersi difendere in tribunale (perché ha denaro/ amici/ bravi avvocati) o Sono predisposti a subire atti ingiusti  Chi prova vergogna a denunciare le ingiustizie  Chi non sa difendersi e/o non ha esperienza in tribunale o Si può delimitare un atto ingiusto con le cinque classiche domande dello Storytelling: CHI ha commesso COSA? QUANDO e DOVE è accaduto il fatto? COME è accaduto il fatto? PERCHÉ è accaduto (volontario o involontario)?  Argomento tipico del genere giudiziario è poi il precedente che decide su atti della stessa specie. Il precedente autorizza un collegamento tra sentenze su casi omogenei, formando una giurisprudenza specifica. In questo modo si assicura alle parti gli stessi doveri e diritti, sia che la situazione sia favorevole o sfavorevole. Così si inseriscono le varie situazioni in categorie di appartenenza tra loro non omogenee, ma che meritano lo stesso trattamento. Si crea così un principio egualitario.  Accanto alle prove tecniche reali (ricavabili attraverso λὸγος (lògos) ragionamento, ὲθος (èthos) consuetudini e πὰθος (pàthos) movente, dichiarazioni), compaiono spesso in tribunale degli entimemi apparenti (vedi gli esempi degli omicidi alla pagina precedente). In tribunale, infatti, si può discutere sui criteri di verosimiglianza. Ad esempio: o Per dimostrare che alcuni fatti sono avvenuti anche se sembrano inverosimili, cercando di dimostrare che il reale può superare le soglie della verosimiglianza o Per dimostrare che alcuni fatti che sembrano verosimili non sono in realtà avvenuti, cercando di dimostrare che quello che per opinione comune sembra certo, in realtà non lo è. o Entimemi apparenti possono talvolta essere usati come διαβολὴ, termine che significa generalmente “calunnia”, ma che può declinarsi in tre significati:  Quando si riferisce ad un’azione compiuta significa “attacco personale”  Quando si riferisce all’effetto che sulla vittima significa “cattiva reputazione”  Quando si riferisce al risultato negli ascoltatori significa “pregiudizio”  Tipica pratica del tribunale è l’interrogazione, una modalità retorica specifica che mira a incentivare la confessione del presunto reo, a rilevare le contraddizioni nel suo discorso, ma anche a metterne in luce l’ὲθος èthos in positivo o in negativo davanti a un giudice (chiedere a un pentito in quanti processi ha testimoniato può accrescerne l’affidabilità)  L’epichèia (dal greco ἐπιείχεια, epiéicheia equità, senso della misura) è un concetto teorizzato da Aristotele a proposito della concezione del giusto. Allude allo scarto che esiste tra la norma scritta legale e un tipo superiore di giustizia flessibile che tiene conto delle circostanze particolare. Ricorrendo all’epicheia, il giudice può mostrare comprensione e indulgenza se il giudizio si rivela moralmente ingiusto o intollerabile. Qui si colloca il principale interesse della letteratura  Un processo mette in discussione fin dal primo momento la propria veridicità e legittimità o Status translations. Si pone la possibilità che l’accusato o lo stesso giudice siano illegittimi. (La ricusazione del giudice avviene raramente ma esiste in diritto) o Status coniecturae. Si pone il problema della realtà dell’azione di cui l’imputato è accusato. o Status fintionis. Si classifica il fatto commesso definendone la portata penale: se un delitto è volontario, colposo, preterintenzionale eccetera. o Feci sed iure. L’imputato dichiara che ritiene di aver agito secondo il diritto.  Qualitas absoluta (lex potentior). “Cause di forza maggiore”. Il delitto è avvenuto per obbedienza a Dio, o per assecondare una legge superiore e interiorizzata. Vedi il terrorismo o i nazisti a Norimberga. L’ambito è quello della Remotio (rimozione, tirarsi indietro)  Qualitas assumptiva.  Feci sed meruit: perché se lo meritava. Si dichiara che il fatto compiuto è una giusta punizione per la precedente offesa. Si parla di Deprecatio (maledizione)  Feci sed profui: perché il fatto andava a vantaggio mio o di una collettività. Si usa una Comparatio e una Deprecatio (intesa stavolta come “supplica, richiesta di scuse”).  Il potere di accusa della letteratura è forte perché si basa sulle prove tecniche reali, pertinenti agli ambiti di λὸγος, ὲθος e πὰθος (lògos, èthos e pàthos). Lo scrittore è in ultima istanza l’avvocato che difende con ardore la verità. all’epichèia e diventare ιπιεικὲς, ipieikés quindi capace di dare un giudizio che supera la legge scritta o Farinata è il vincitore della battaglia di Montaperti tra Guelfi e Ghibellini, ma la strage di fiorentini da lui qui compiuta è rivalutata e inserita da Dante in un’ottica più ampia: con questa battaglia si era posto temporaneo rimedio ad una guerra fratricida che avrebbe distrutto Firenze. E infatti quando al convegno ghibellino di Empili si valutò se distruggere o meno Firenze, fu proprio Farinata a impedirlo. In questo discorso il tutto viene dichiarato più importante della singola parte: l’argomenti di inclusione vince su quello di divisione. o Oltre all’argomenti di divisione noi sappiamo anche che i Fiorentini e i loro rivali hanno “peccato” dell’argomento di transitività: credere che i nemici dei propri nemici fossero amici. Corso Donati, per combattere i Bianchi, aveva fatto entrare a Firenze Carlo di Valois (fratello del re di Francia) con 1200 cavalieri che portò Bonifacio VIII a controllare le magistrature della città (esiliando tra gli altri Dante).  Il discorso di Brunetto Latini o Il maestro di Dante è un maestro di retorica: nel suo Tresor ha trasposto pagine del De inventione di Cicerone e della Retorica ad Herennium. L’insegnamento del maestro è quello di dicere e dittare, cioè di insegnare e di ripetere gli insegnamenti di altri. o Brunetto era anche un esponente di rilievo del governo dei priori delle arti di Firenze. Era stato esiliato come Dante dopo la sconfitta guelfa di Montaperti del 1260 e si era rifugiato a Parigi (ecco perché il Tresor è in francese, ed ecco perché il “contro natura” della lingua). o Brunetto Latini, in quanto maestro di retorica, sottolinea il paradosso di un popolo che scaccia chi fa del bene per lui, come Dante e come se stesso. o Sempre in questo passo Brunetto Latini incoraggia Dante a “star lontano dai loro costumi”. E da qui prende piede la futura invettiva ironica di Dante narratore al canto XXVI “Godi Fiorenza”  Mosca dei Lamberti (Inferno XVIII, quindi nel capitolo dopo l’invettiva) o Mosca dei Lamberti è un ghibellino che si trova insieme ai seminatori di discordia, nella IX bolgia dell’VIII cerchio, mutilato da un demone. o “Cosa fatta capo ha” è una frase diventata detto memorabile per Mosca dei Lamberti che significa sostanzialmente “Ciò che è accaduto è accaduto” e si usa per tagliare corto. Sarebbe stata pronunciata da Mosca per incoraggiare l’uccisione di Buondelmonte dei Buondelmonti, delitto che diede origine alla divisione tra Guelfi e Ghibellini. o Davanti a Mosca, Dante pronuncia un insulto/ maledizione per ferirlo ancora di più, ricordandogli che il suo gesto ha causato la morte di tutta la sua famiglia. Dante – Passi citati e parafrasati Inferno XXVIII, 101-109 – Dante maledice Mosca dei Laberti E un ch’avea l’una e l’altra man mozza, levando i moncherin per l’aura fosca, sì che ’l sangue facea la faccia sozza, gridò: «Ricordera’ti anche del Mosca, che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”, che fu mal seme per la gente tosca». E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»; per ch’elli, accumulando duol con duolo, sen gio come persona trista e matta. (Riferito al capitolo 2.7.7) Paradiso XI, 74 -84 – San Tommaso elogia il matrimonio tra San Francesco e la Povertà Ma perch’io non proceda troppo chiuso, Francesco e Povertà per questi amanti prendi oramai nel mio parlar diffuso. La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo facieno esser cagion di pensier santi; tanto che ‘l venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo. Oh ignota ricchezza! Oh ben ferace! Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro dietro a lo sposo, sì la sposa piace. E un altro, che aveva entrambe le mani mozzate e levava i moncherini in aria facendo ricadere il sangue sul suo volto, gridò: «Ti ricorderai anche di Mosca dei Lamberti, che disse - ahimè! - "Cosa fatta capo ha" che causò tanto male alla gente di Toscana». E io aggiunsi: «E causò anche la fine della tua famiglia»; e allora lui, aggiungendo dolore a dolore, se ne andò come una persona triste e fuori di sé. Ma affinché io non parli in modo troppo oscuro, intendi in tutto il mio discorso che questi amanti furono Francesco e la Povertà. La loro concordia, il loro lieto aspetto, l'amore, la meraviglia e il loro dolce sguardo producevano negli altri dei santi pensieri al punto che il venerabile Bernardo di Quintavalle fu il primo a togliersi le calzature e corse dietro a quella pace (seguì il santo) e, pur correndo, gli sembrava di essere lento. O ricchezza sconosciuta! O bene fecondo! Egidio e Silvestro si tolgono anch'essi i calzari e seguono lo sposo (Francesco), tanto piace la sposa (Povertà). Inferno XXVII, 100-105 – Bonifacio Ottavo trae in inganno Guido da Montefeltro E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti; finor t’assolvo, e tu m’insegna fare sì come Penestrino in terra getti. Lo ciel poss’io serrare e diserrare, come tu sai; però son due le chiavi che ’l mio antecessor non ebbe care”. Paradiso XXVII, 22-24 – San Pietro dichiara illegittimo il potere di Bonifacio Ottavo Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio, che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, Inferno XXVI, 1-9 – L’invettiva ironica Dante narratore contro Firenze Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande! Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne Sali. Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai di qua da picciol tempo di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. Inferno VI, 49-54 – La presentazione di Ciaccio Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco, seco mi tenne in la vita serena. Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: per la dannosa colpa de la gola, come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. Egli mi disse: "Il tuo cuore non abbia timore: io ti assolvo (tutti i peccati commessi) fino ad ora (compreso il consiglio fraudolento), purché tu mi mostri come devo fare per abbattere la rocca di Palestrina. Io posso chiudere e aprire il cielo (condannare e assolvere), come ben sai; infatti due sono le chiavi che il mio predecessore (Celestino V) non ebbe care" (perché aveva abdicato). Colui (Bonifacio VIII) che usurpa il mio posto, il mio posto, il mio posto che è vacante, anche se solo nella presenza di Cristo … Rallegrati, Firenze, perché sei così famosa da percorrere il mare e la terra, e il tuo nome è conosciuto persino all'Inferno! Tra i ladri incontrai cinque tuoi cittadini, tali che a me viene vergogna e tu certo non acquisti onore. Ma se vicino al mattino si fanno sogni veritieri, di qui a poco tempo tu riceverai il castigo che tutte le città, anche quelle piccole come Prato, ti augurano. E lui rispose: «La tua città, che è tanto piena di invidia che ormai ha raggiunto il limite, mi ospitò nella vita terrena. Voi fiorentini mi chiamaste Ciacco: a causa della colpa della gola, come vedi, sono fiaccato dalla pioggia. 2.2 Il giudiziario nel Decameron  La retorica nel Decameron è fondamentale: chiunque sappia padroneggiare la parola con disinvoltura detiene un primato intellettuale, sia che si tratti di un uomo colto, sia che si tratti di un malfattore. Questa “illusione umanistica” si stabilisce perché la società si basa su fondamenta mercantili, un mondo dove il linguaggio è fondamentale per contrattare. Al contempo però si rinnovano, democraticizzandoli, i codici dell’amor cortese e dello stilnovismo: chiunque ha cuor gentile se sa parlare bene. Nel Decameron, dunque, si scontra una ragione pratica e una nostalgia per i codici cavallereschi dell’honestum, che in Francia daranno vita due secoli dopo all’honnete homme.  Il silenzio nel Decameron è importante quanto la parola: può suggellare un’intesa, mostrare assenso, o creare tensione e rifiuto.  In Boccaccio la parola è anche azione. E ogni parola non è gratuita, ma dettata da una necessità (ad esempio una donna che deve respingere un nobiluomo senza offenderlo). Soprattutto nella giornata I (tema libero, regina Pampinea) e VI (i motti di spirito, regina Elissa). Qui la brevitas fa appello alla retorica per diventare memorabile. 2.2.1 Confessare con tante iperboli, negando l’evidenza  Il sacramento della confessione è la modalità più simile al genere giudiziario. Lo si nota nella novella di Ser Ciappelletto (giornata I, novella 1, narrata da Panfilo, a tema libero, regina Pampinea)  Nella prima novella del Decameron l’usuraio assassino Ser Ciappelletto imposta una conversione fondata su iperboli accrescitive sui propri meriti e negative sulle proprie colpe (al contrario di come vorrebbe la dottrina cristiana). Così dopo la sua morte viene fatto santo. o Il fine pratico delle menzogne di Ser Ciappelletto è non mettere in una cattiva luce ulteriore gli usurai lombardi (già malvisti in città) che lo stanno ospitando in punto di morte. Dunque si tratta di ricambiare il debito dell’ospitalità.  Ciappelletto stravolge la disamina dei comandamenti con delle Iperboli: non ha peccato di gola, ma ha solo assaggiato qualche erbuzza; ha bevuto tanta acqua quanto un ubriacone beve vino; non ha mai rubato, ma anzi ha redarguito gli usurai affinché smettessero di rubare  Ciappelletto afferma di aver usato la maldicenza solo per denunciare i misfatti. o Si avvale di un Argomento della dissociazione: una norma astratta come la legge umana o divina (non usare la maldicenza), talvolta in un caso concreto particolare può non essere la migliore da applicare (se la uso per denunciare i misfatti). L’argomento di dissociazione è la tecnica retorica che permette di distinguere due elementi che sono normalmente ritenuti inconciliabili, oppure confusi nella stessa nozione, ribadendo determinate coppie oppositive, normale e norma, apparenza e realtà, opinione e scienza, lettera e spirito. Esempio generale perfetto: un bastone immerso nell’acqua appare curvo, ma noi sappiamo che è dritto. Questo perché dobbiamo dissociare le due cose: è curvo all’apparenza, è dritto nella realtà. Così esiste una legge divina, ma bisogna ammettere anche l’esistenza di una sua applicazione particolare pratica.  Ciappelletto ammette tristemente che, quando era bambino, ha offeso sua madre. Si tratta della struttura logica della Doppia gerarchia: più un individuo è contrito per un peccato veniale, un peccato da nulla, più sarà considerato virtuoso.  Per un effetto a catena la voce del morituro, attraverso quella del frate, attraverso la vox populi, arriva ad elevare Ciappelletto a santo. 2.2.2 Una strategia fondata sulla testimonianza della parte lesa e l’epicheia del giudice  La novella di Tedaldo (giornata III, novella 7, narrata da Emilia, tema “ottenere ciò che si desidera”, regina Neifile) o Tedaldo degli Elisei è un giovane nobile innamorato di monna Ermellina, una donna sposata. Quando la donna smette all’improvviso di voler giacere con lui, Tedaldo, malinconico, se ne va per Ancona, cambia nome e diventa un mercante sempre più ricco. Quando torna a Firenze, alberga accanto alla casa della donna e scopre che suo marito, Aldobrando Palermini, è appena stato accusato di aver ucciso “Tedaldo”, poiché amante di sua moglie, e per questo condannato a morte. La sera Tedaldo origlia una conversazione tra alcune persone che parlano di come hanno ucciso “Tedaldo” e di come siano riusciti a far ricadere la colpa su Aldobrando. Allora Tedaldo si reca travestito da Ermellina e, spacciandosi per un profeta, le chiede come mai in passato avesse lasciato all’improvviso il suo amante: quella risponde di aver seguito il consiglio di un frate. Dopo aver pronunciato una critica contro i frati moderni, Tedaldo rivela la propria identità e spiega a Ermellina che suo marito Aldobrando è stato incastrato. Aldobrando, salvatosi dalla condanna a morte, afferma di non aver mai creduto alle maldicenze che volevano Tedaldo e Ermellina amanti; dunque, ignaro, permette loro di tornare amanti. Si scopre infine che l’ucciso era in realtà il fante Faziuolo da Pontremoli, che somigliava molto a Tedaldo. o Tedaldo pronuncia una dura requisitoria contro il sistema giudiziario (lo stesso che aveva esiliato Dante). Afferma che i retori, che dovrebbero essere indagatori della verità, talvolta dimostrano il falso, pur definendosi ministri della giustizia e di Dio, quando invece sono servitori del diavolo.  La novella di Madonna Filippa (giornata VI, novella 7, narrata da Filostrato, tema “motti di spirito”, regina Elissa) o Madonna Filippa, di Prato, è sposata con Rinaldo de’ Pugliesi, ma lo tradisce con Lazzarino de’ Guazzagliotri, un nobile giovane di quella città. Il marito li coglie in fragrante, ma non li uccide con un delitto d’onore e li cita in tribunale. Tutti incoraggiano Filippa a non presentarsi, perché sarebbe condannata a morte. Ma Filippa si presenta lo stesso, portando al suo seguito molto consenso.  L’argomento della coerenza tra atto e persona sta nel fatto che Filippa si prenda le proprie responsabilità, rimanendo coerente a se stessa e decidendo di presentarsi in tribunale piuttosto che non farlo (e ammettendo così implicitamente di avere torto).  L’argomento del sacrificio sta nel fatto che Filippa si presenta in tribunale pur sapendo che la sua condanna a morte è molto probabile. In questo modo Filippa costruisce un proprio ὲθος encomiabile. o Il podestà giudice stesso, davanti a questo modo di porsi, ha già un giudizio favorevole nei confronti di Filippa e le fa capire che, se negherà il fatto, verrà assolta. Ma Filippa si rifiuta di farlo: non vuole essere assolta tramite un espediente perché ciò gioverebbe al suo onore. Ammette dunque di aver commesso adulterio. Aggiunge però che quando era stata approvata la legge che condannava a morte le adultere, le donne non erano state chiamate a dire la loro e che quindi si trattava di una legge radicalmente ingiusta.  Filippa non vuole sottrarsi al processo, ma prendere parte attiva all’interno delle decisioni giuridiche. o Infine, chiede al marito se sia mai venuta meno ai doveri coniugali, soddisfandolo sia a letto, sia fuori dal letto. Quando il marito risponde che la moglie non gli ha mai fatto mancare niente, Filippa risponde con il motto di spirito: “Lui si è preso da me tutto quello che voleva, ma cosa avrei dovuto fare con quello che è avanzato? Gettarlo ai cani?”.  L’allusione è al fatto che, mentre la moglie soddisfava sempre a sufficienza il marito, il marito non faceva lo stesso con la moglie.  Come per l’avveduto mercante è necessario evitare ogni tipo di spreco affinché gli affari diano i frutti sperati, ugualmente per una moglie che sia degna del suo ruolo è indispensabile sfruttare a pieno la vivacità erotica di cui la natura l’ha dotata, affinché l’amore coniugale non ne risenta. Gli avanzi, dunque, non possono essere gettati via, né in ambito commerciale, né in campo sentimentale.  Madonna Filippa ricorre all’argomento del ridicolo, suscitando così la risata del pubblico.  La retorica di Filippa è quella degli “uditori particolari”. Il pubblico di amanti e amate non può che essere d’accordo con l’argomentazione di Filippa. Sono tutte persone che, una volta stabilito l’“argomento di “reciprocità” dell’amore (chiamiamolo così), vivono la loro vita coerentemente ad esso.  Baldassarri spiega che in questo modo si interrompe il rapporto tra giudice (o una legge divina superiore) e accusata e si crea un collegamento tutto laico tra l’intelligenza di Filippa e la comunità dei suoi concittadini, che ritengono troppo dure le leggi. La legge scritta cede all’epicheia di quella non scritta.  Il ragionamento di Madonna Filippa è un entimema apparente, perché parte da due premesse di cui una è altamente opinabile: una moglie che ha adempito ai doveri coniugali è legittimata a tradire il marito.  L’adempimento del contratto matrimoniale, insomma, si misurerebbe soltanto sulla base puramente giuridica. La fides non è compromessa da una soddisfazione amorosa extraconiugale, perché la lealtà della relazione non di fonda sul fatto di essere oggetto di proprietà, ma un soggetto di doveri liberamente contratti e generosamente compiuti (come ha ammesso la parte lesa stessa, il marito tradito ma sempre soddisfatto).  Questo ricorda una visione estremamente moderna della cultura giuridica, con gli accordi prematrimoniali. o Madonna Filippa fa dunque approvare una legge affinché vengano condannate a morte solo le donne che hanno commesso adulterio per soldi (e le prostitute in generale).  Si entra nel genere deliberativo: l’abolizione della pena capitale nei confronti delle adultere è determinata dal popolo pratese con un intento pratico-politico di cambiare le cose.  Anche qui si trova l’epieicheia: una legge si cambia perché una donna ha fatto ridere il pubblico e il podestà, con argomenti di solido buonsenso geleotto.  La novella di Guido Cavalcanti (VI, 9) o Quando dei giovani al cimitero lo scherniscono chiedendogli “Che cosa ci ricavi dal dimostrare che Dio non esiste?”, Cavalcanti risponde che quelli possono criticarlo solo a casa loro e scavalca una tomba con un salto leggero che viene preso come esempio anche da Calvino. o Messer Betto dei Brunelleschi interpreta la novella affermando che Cavalcanti intendeva sottintendere: “Visto che i letterati sono come morti, qui al cimitero sono a casa mia”. Tuttavia, questo ragionamento è un entimema apparente: chi l’ha detto che i letterati sono come morti? Sicuramente non sappiamo se Cavalcanti intendesse proprio quello. 2.2.3 Lex potentior e argomento di contraddizione nella requisitoria di Ghismonda  Analizziamo la novella di Ghismunda (giornata IV, novella 1, narrata da Fiammetta, tema degli amori infelici, re Filostrato)  Tancredi, principe di Salerno, ama ossessivamente sua figlia Ghismunda e, dopo che questa rimane vedova, fa di tutto per impedirle di risposarsi. Ma la donna si innamora del giovane paggio Guiscardo e intrattiene una relazione con lui grazie a un passaggio segreto. Un giorno Tancredi fa visita a Ghismonda e, non trovandola, aspetta ad aspettarla dietro un baldacchino, dove si addormenta. La figlia entra senza vederlo e riceve l’amante. Il padre si sveglia e decide di non dire 2.3.2 Idee principali e idee accessorie: Cesare Beccaria oltre il divorzio tra prova e tropo  Beccaria, come in Dei Delitti e delle pene propone un collegamento dalla quantità del dolore inferto al torturato alla qualità della punizione preventivata, nelle Ricerche sulla natura dello stile propone un collegamento tra le sensazioni espresse alla qualità estetica dello stile. (Audegean 2014) Nelle Ricerche Beccaria infatti espliciterà la natura di quello stile lucido e impietoso che ha portato i Delitti al successo.  L’opera di Beccaria non è giudiziaria in senso stretto perché il pubblico scelto. Fuggendo dai tecnicismi e ragionando in riferimento alla filosofia in modo lineare e accattivante, si sta rivolgendo più agli illuministi che ai giudici europei.  Nel trattato sulla retorica, Beccaria spiega che non vuole parlare solo dello stile delle parole, ma dello stile delle idee. Un’idea o un sentimento principale (quello centrale che volgiamo comunicare) è reso forte quando attorno ad essa ci sono altre idee o sentimenti accessori (ne bastano tre o quattro) che rafforzano quello principale. o Vedi capitolo 2.3.5 (capitolo XVI dei Delitti): l’idea principale che la tortura sia ingiusta è sostenuta da 4 idee accessorie. o Quindi lo stile non è soltanto una questione che emerge nel momento dell’esposizione orale (elocutio), ma che va tenuta da conto anche nella fase di creazione di un discorso (inventio). o Platone obbietterebbe che lo stile e i sentimenti collaborano al falso (come quelli rappresentati a teatro). Ma Cicerone risponderebbe che è necessaria un’armonia tra lingua e cuore, tra lo spirito del senso e la carne delle parole. Ecco tradotti in ottica settecentesca da Beccaria i principi ciceroniani dell’oratore:  Docere e Probare: informare a proposito del fatto e dimostrare la propria tesi  Delectare: esporre i fatti piacevolmente  Movere e Flectere: coinvolgere emotivamente l’ascoltatore e “piegarlo” ad una certa emozione o Così nell’inventio di Beccaria vediamo che il tropo (la figura retorica) dialoga con la prova (il dato oggettivo che si vuole comunicare). Metafora e ragionamento sillogistico non solo non si contrappongono ma si aiutano a vicenda. o D’altronde, come abbiamo detto, serve anche il πὰθος per perseguire la “scienza dell’uomo” 2.3.3 L’argomento di dissociazione: la distinzione tra colpa e peccato e il genere deliberativo  Ferdinando Facchinei, frate vallombrosiano, pubblicò a Venezia un libro in cui tacciava i Delitti di eresia. Così nella prima ristampa dell’opera (1765) Beccaria argomentò contro queste accuse e iniziò con il distinguere tre tipi di virtù: quella politica (che è variabile), quella naturale (che sarebbe sempre limpida se solo l’imbecillità e le passioni degli uomini non la oscurassero) e quella religiosa (che è costante perché rivelata e conservata da Dio)  Questa distinzione di virtù ci dà uno spunto per capire come l’opera di Beccaria rispecchi l’ontologia aristotelica, la quale ammetteva nella molteplicità del reale (che raramente è certo, ma spesso è appunto variabile) la presenza di: o Necessario: ciò che non può essere diversamente da com’è o Verosimile: ciò che accade per lo più in un certo modo, ma che può anche essere diversamente da com’è. Per Aristotele la deliberazione umana (la decisione che cambia le cose) riguarda solo le cose che non sono definitive e assolute (altrimenti che cavolo devo cambiare?).  La conoscenza del “per lo più” è l’unico modo per conoscere tutte quelle realtà che per loro stessa natura non hanno un carattere assoluto e definitivo (quindi la maggior parte di quelle che ci sono nel mondo), per esempio il diritto di punire con la tortura o la differenza tra peccato e delitto. o Il discorso è lo stesso che faceva Kant: è impossibile concepire una realtà esterna senza tener conto di valori etico-politici specifici. “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”. Bisogna insomma smettere di separare la conoscenza generale dall’etica particolare. o Il che non è altro che un enorme argomento di dissociazione. Bisogna distinguere la legge generale (umana o divina che sia) dalla sua applicabilità concreta e particolare. A volte una legge prestabilita come la tortura non è la cosa migliore da applicare.  Il genere deliberativo (cambiare le cose) si lega al genere forense (giudiziario) nella misura in cui la ragione deliberativa non è puramente strumentale e utilitaria, ma comprende anche una visione di ciò che è giusto e buono per la collettività.  La pratica della tortura confonde delitto e peccato. Un delitto è un danno riportato alla società, ma non può essere espiato o risarcito con la pena della tortura. In questo modo Beccaria separa (dissocia) la dimensione legale dalla dimensione religiosa. 2.3.4 “Una crudeltà consacrata dall’uso”: l’argomentazione come sostituzione della violenza  Il capitolo XVI dei Delitti si apre con l’affermazione del titolo, che significa: la tortura è in uso soltanto per tradizione, perché la praticano tante persone da tanto tempo. È un ragionamento che nasce dal luogo retorico della quantità e dall’argomento ad populum: un aspetto quantitativo di una cosa autorizza il passaggio dal “normale” alla norma, diventando un valore condiviso dal popolo. Ma l’etica non si misura sull’esperienza.  Beccaria afferma che le leggi, statiche, devono essere rimodulate in virtù di un rapporto più appropriato con la giustizia, che si declina nei molteplici e dinamici casi del quotidiano.  Gli ispiratori illuministi di Beccaria o Pietro Verri, Orazoine panegirica sulla giurisprudenza milanese (1763) o Montesquieu, Lo spirito delle leggi. Le leggi hanno uno spirito che deve rispondere allo spirito del loro tempo, della realtà. o Helvetius, De l’esprit, Dello spirito. Critica alla metafisica. o Rousseau, Il contratto sociale. (vedi dopo)  I Delitti di Beccaria diventano un catalizzatore per tutti gli oppositori al sistema vigente nell’Europa del Settecento, fondando le basi per un suo superamento. Si pone come un atto rivoluzionario.  Meyer, allievo di Chaim Perelman (maestro di retorica da cui prendiamo tutti gli “argomenti” citati in queste pagine), spiegava sulla scia del maestro che “la retorica acceca e affranca l’uomo dalla violenza”, perché si può tentare di ottenere qualcosa ricorrendo o alla violenza o al discorso. Perelman spiegava questa sua “teoria dell’organizzazione” nel dopoguerra, in un momento di crollo del sistema borghese liberale. Intermezzo: Postilla  L’idea principale che la tortura sia ingiusta è sostenuta da 4 idee accessorie 1. La tortura è inutile sia che l’accusato sia colpevole, sia che non lo sia.  Se l’accusato è colpevole, deve essere punito secondo la legge  Se l’accusato è innocente, non deve essere sottoposto a ingiuste sofferenze 2. La tortura non serve ad appurare la verità, perché si basa letteralmente sulla resistenza al dolore dell’accusato 3. La tortura non ripara al reato commesso, perché un reato non è un peccato che può essere espiato, non esiste “purgazione dell’infamia” 4. La tortura è inefficace per estorcere una confessione, perché l’imputato innocente è pronto ad accusarsi ingiustamente pur di sottrarsi alla pena immediata 2.3.5 Idea numero 1 – L’inutilità della tortura: l’argomento di incompatibilità e in dubio pro reo  Il torturatore non è né un giudice né un esecutore e non può punire l’imputato prima che questo sia stato giudicato colpevole o meno.  È l’argomento della reciprocità: se è giusto che un uomo venga giudicato attraverso le leggi, allora è giusto che il giudice applichi le leggi per giudicare l’uomo (e non parta da una tortura preliminare prima del giudizio).  Il principio è quello di “in dubio pro reo”, espresso anche nel comma 2° dell’articolo 27 della costituzione: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.  Quello di chi sostiene la tortura è un argomento di contraddizione, perché sostiene una condanna senza appello.  Insomma, bisogna risolvere l’argomento di incompatibilità tra: il fatto che la legge preveda delle punizioni per i colpevoli e il fatto che la tortura punisca gli imputati prima che siano stati dichiarati colpevoli o Beccaria ricorre all’argomento di dissociazione (noi lo abbiamo sempre usato per vedere i punti di incontro tra generale e particolare, ma si può usare anche per due opposti sullo stesso piano come quelle citate). Bisogna distinguere le punizioni che la legge prevede per i colpevoli (utili), dalle punizioni che la tortura prevede per gli imputati (fallaci): non sono la stessa cosa.  Beccaria individua insomma una mancanza di epicheia (umanità, ragionevolezza e equità) come connessione tra “legge comune” (κοινὸς, quella della tortura, non scritta) e legge particolare (giuridicamente fissata, quella del giusto legale).  Rousseau, Il patto sociale. Ogni individuo quando entra a far parte della società accetta di alienare i suoi diritti umani naturali, rimettendosi allo Stato. Rinunciano ad una parte della propria libertà per godere della restante parte con sicurezza e tranquillità. o Aristotele nei Topici 1 ragionava proprio sulla misura del bene in base a quello che si è “sacrificato” per raggiungerlo. Un sacrificio che si giustifica con un argomento di paragone: il bene raggiunto è superiore al bene sacrificato, sulla base pragmatica del beneficio o il fine che ne traggo io o la comunità. (Pensa al sacrificio di Leonida) o La carica rivoluzionaria del pensiero di Beccaria sta nel fatto che in questo modo mette in discussione l’εθος (inteso come abitudini, ma qui più che mai inteso anche come “etica”) delle istituzioni, del potere sovrano esecutivo. Il patto sociale teorizzato da Rousseau si incrina: perché affidare i miei diritti ad uno Stato che si contraddice nell’applicazione delle leggi? o Joseph von Sonnenfels, consigliere giurista della corona Asburgica, spiegava che non si può infliggere un male “certo e privo di resistenza” per ottenere un vantaggio “lontano e incerto” 2.3.6 Idea numero 2 (e 4) – Resistenza morale e forza fisica: l’argomento pragmatico e il fine delle pene  Dal punto di vista dell’argomento pragmatico, le conseguenze della tortura non sono utili operativamente, perché non scoprono la verità, ma la commisurano soltanto sulla base della resistenza fisica al dolore del condannato. Il dolore diventa il “crociuolo” (la croce) della verità.  La sofferenza può provocare la confessione di molti, soprattutto dei più deboli. Ma questa confessione può essere falsa: non vale il principio secondo cui “Confessio est regina probationum”: la confessione è la prova regina.  Con la tortura si crea una metonimia perversa e perniciosa (nociva in modo grave e irreparabile) tra la sincerità morale e la resistenza fisica.  Verri fa l’esempio della Peste del 1630 a Milano dove, a furia di mettere a morte senza giudizio e senza processo degli innocenti presunti untori, non si era voluta vedere la vera causa della pestilenza, vale a dire la discesa dei Lanzichenecchi tedeschi. 2.4 Il saggio processuale del nipote di Beccaria: Manzoni e la Storia della Colonna infame Un riassunto della Colonna Infame  La mattina di venerdì 21 giugno 1630 due donne, Caterina Rosa e Ottavia Bono, vedono dalle finestre della sua casa in via Vetra, un uomo con un mantello avvicinarsi alle porte e ai muri delle case poste di fronte alla sua finestra (per ripararsi dalla lieve pioggia). La donna è convinta di vederlo scrivere e poi ungere i muri con un unguento scuro – che in realtà era inchiostro. Lo accusa quindi di essere “uno di quelli”, un untore e di spargere la peste per diffonderla e uccidere altre persone. Il suo però è solo un dubbio, ma la vox populi e i giudici lo trasformano presto in certezza.  I muri vengono subito bruciati e imbiancati. La polizia crede alle testimonianze e arresta un sospetto, Guglielmo Piazza, commissario di sanità, che secondo le due donne avrebbe incontrato l’untore. La sua sicurezza e il fatto che non era fuggito furono presi come indizi di colpevolezza. Frugando nella sua casa non si trovò nulla, altro indizio di colpevolezza. Gli chiesero se sapesse che erano state unte delle mura in Porta Ticinese e alla sua risposta negativa si oppose il fatto che questa affermazione “non era verosimile”. Gli chiesero i nomi dei deputati parrocchiali che aveva visto il giorno precedente e Piazza afferma di non ricordarseli, poiché in quanto commissario di sanità ne vede moltissimi ogni giorno.  Per i due giorni successivi, Piazza viene torturato alla corda: gli si slogano le braccia e le mani alla corda. Eppure non confessa nulla, anche perché non ha ancora ben chiaro di che cosa sia accusato. Sotto la pressione degli inquisitori che gli promettono l’impunità e la libertà (rifacendosi ad una grida a favore di chi infamasse gli untori), confessa mentendo di aver ricevuto l’unguento pestilenziale da Giangiacomo Mora, un barbiere di umili origini, che vende, fra le altre cose, balsami che servono teoricamente per curare alcune malattie. Piazza lo conosce solo di vista.  Il Mora, credendo che le accuse su di lui siano quelle di aver prodotto i suoi balsami curativi senza licenza, oppone resistenza e straccia la ricetta degli unguenti, e così facendo accresce a dismisura i sospetti su di lui. Viene subito arrestato e portato in galera. Perquisita la casa davanti agli occhi sbigottiti della moglie e dei quattro figli, gli inquirenti trovano e sequestrano strani liquami.  Durante il processo il Mora si difenderà dicendo che non sono preparati pestilenziali bensì che si tratta di ranno (un miscuglio di cenere e acqua bollente usato per lavare i panni). Ma i giudici e gli esperti nominati dal tribunale, dopo molte incertezze e molti dubbi, dichiarano l’unguento una pozione pestilenziale atta a prolungare e diffondere la peste.  A questo punto non c’è più scampo né per il Mora né per il Piazza. In particolare al Piazza viene affidato come avvocato in tribunale un notaio criminale che aveva rinunciato all’incarico, per questo si trovava senza difensore. Entrambi, perseguitati dagli inquirenti e sfiniti da continue torture morali e fisiche, cedono alle promesse dei torturatori che gli assicurano la libertà qualora denuncino altri complici. Denunciano allora altri presunti complici, tra cui: o Girolamo Magliavacca Foresaro, il quale si rifiuterà categoricamente e con coraggio di confessare il falso sotto tortura. o L’oste Stefano Baruello, che cerca di denunciare l’ex-governatore di Milano in persona, Don Gonzalo de Cordòba, che era fuggito dalla città per non essere processato in seguito ad una sconfitta militare. Baruello interpreta la fuga come atto colpevole, creando un complotto di fantapolitica. Parlerà poi anche di rituali magici e personaggi misteriosi, tanto da essere esorcizzato in tribunale. Baruello morirà di peste dopo aver accusato sotto tortura altra gente innocente e sotto la proposta di remissione della pena (l’unica che fu fatta in modo ufficiale). In punto di morte, in carcere, confesserà a un detenuto di aver detto solo cazzate o Un certo Pietro da Saragozza la cui identità non verrà mai accertata. o Giulio Sanguineti e Girolamo Turcone, considerati i mandanti dell’unzione, che resistettero ai tormenti e uscirono dal processo. o Il maestro di scherma Vedano, l’unico tra tutti quelli citati qui che conosce di persona il Padilla (vedi qui sotto). Anch’egli resiste alla tortura e viene scagionato.  Il processo sembra quindi assumere una dimensione più consistente con coinvolgimenti insospettabili come quello di Giovanni Gaetano Padilla, figlio del comandante della guarnigione spagnola a Milano, additato come possibile capo degli untori. Quando il comandante chiede che il processo sia sospeso affinché suo figlio possa confrontarsi direttamente con gli accusatori gli viene risposto che il popolo si sarebbe opposto e che Giovanni non aveva di che temere per le accuse di infamia a lui rivolte. Quando il Padilla viene accusato dichiara che il danno della diffamazione non colpisce tanto lui quanto la stessa Giustizia. (Gli atti di questo processo al Padilla vennero conservate da Gabriele Verri, figlio di Pietro, e pubblicate 174 anni dopo l’episodio come “Summarium offensivi contra Don Johannem Cajetanum de Padilla”. Da lì attinse il Manzoni per tutta la vicenda della Colonna Infame)  Ma le promesse di libertà e perdono, fatte ai due imputati dagli inquirenti, non vengono avvallate dai giudici che sentenziano, il 27 luglio dello stesso anno, la condanna a morte dei due principali imputati. Entrambi vengono atrocemente torturati a morte il 1 agosto del 1630. Con loro vengono uccisi gli altri cinque imputati. Solo il figlio del comandante spagnolo viene ritenuto innocente, dopo che gli furono concessi due anni per preparare la propria difesa (contro l’unico giorno di proroga che era stato concesso per esempio al Piazza tra il 21 e il 22 giugno). Assolvendo il presunto capo, si ammette implicitamente di aver ucciso degli innocenti. Il Padilla, tra l’altro, sarà condannato qualche anno dopo per aver organizzato una congiura ai danni di Filippo IV.  Dopo l’esecuzione della sentenza e sempre per ordine del tribunale viene rasa al suolo la casa del Morra, ritenuto il più colpevole degli imputati e sopra alle ceneri della casa viene eretta a futura memoria una colonna con un’iscrizione latina, che dovrà ricordare, a tutti coloro che la guardano, l’infamia dei propagatori di peste. La colonna è stata rimossa nel 1778. 2.4.0 Introduzione  Manzoni passa dall’astratto dell’opera di suo nonno Beccaria al concreto di un caso particolare ambientato all’epoca dei Promessi Sposi.  Manzoni afferma che l’arretratezza culturale e giuridica del Seicento non presupponeva necessariamente il realizzarsi di tante atrocità, come invece poteva sottintendere Pietro Verri quando nelle Osservazioni sulla tortura attribuiva alcune responsabilità allo “spirito del tempo”.  Piazza e Mora furono condannati con un intento esemplare e persecutorio, atto a soddisfare un sentimento popolare. Forse tutto il processo era stato solo il tentativo di dare una parvenza giuridica a una paura popolare.  Le conseguenze per i due imputati fu una condanna non solo ingiusta, ma inappellabile, una morte tra atroci sofferenze e l’infamia sulla famiglia data dalla colonna infame. o Come spiega Goffman, la necessità di erigere un monumento a ricordo della colpa del Mora si inquadra nella dialettica tipica del Seicento dei simboli opposti, tra stigma e “status”: contrappongo una colonna alla colpa dell’untore.  Il processo aveva avuto luogo a partire da dichiarazioni inverosimili, estorte con la tortura e sotto promessa di impunità, sena nemmeno chiarire i moventi degli imputati. Insomma, è un processo che non si fonda sulla verosimiglianza delle prove, ma sulla loro inverosimiglianza, come se Renzo fosse stato torturato per aver fornito un racconto inverosimile all’osteria della Luna Piena.  L’innocenza viene problematizzata: non basta essere innocenti, ma bisogna anche evitare di collaborare – pur sotto tortura – con il proprio persecutore, se non gli si vogliono fornire le prove che ancora non possiede per condannarci.  Anche l’imputato dunque è sottoposto ad una prova etica: la sua personalità viene corrotta dalla detenzione immotivata, proprio come la Monaca di Monza. Ecco la differenza tra Girolamo Magliavacca e Guglielmo Piazza. 2.4.1 “Cose che in un romanzo sarebbero tacciate di inversimili”  Le prove che portano la polizia in prima istanza ad arrestare Guglielmo Piazza si basano semplicemente sulle testimonianze di persone che ripetono il racconto di Caterina Rosa. Già Beccaria spiegava che quando le prove di un fatto dipendono l’una dall’altra e si provano tra di loro, il fatto è molto poco probabile che sia davvero accaduto (o lo si riuscirebbe a dimostrare anche in altri modi).  Riparare alle presunte incoerenze della prima testimonianza del Piazza con la tortura significa riparare alle incoerenze di una persona tranquilla ponendola in uno stato di ancora maggiore turbamento.  Nella sua ricerca Manzoni scopre che gli stessi giudici che avevano torturato il Piazza dopo un solo giorno di interrogatorio ritenevano il fatto straordinario. Esso è da attribuire al fatto che tutta Milano riteneva il Piazza colpevole e lo sapeva nelle mani dei giudici, dunque si aspettava che facessero qualcosa. Il tutto è dettato da un sentimento comune di paura che disarticola il pensiero razionale della collettività: i giudici percepiscono questo clima e affrettano le indagini e le procedure  Manzoni dimostra che la tortura è un processo che vuole portare l’imputato a contraddire la dichiarazione fatta prima di essa e dunque a renderlo un testimone non attendibile.  Al Piazza viene promessa falsamente l’impunità, in cambio di denunciare dei complici. L’imputato, insomma, dovrebbe dimostrare la propria innocenza a partire dal fatto di essere colpevole e di avere dei complici. Non si tratta di indulgenza, ma di arbitrio (controllo) assoluto da parte dei giudici.  Nei Promessi Sposi, quando Renzo torna a Milano e batte con foga sulla porta della casa in cui Lucia aveva soggiornato prima di essere condotta al Lazzaretto, si imbatte in una passante che, come Caterina Rosa, lo fissa convinta che l’uomo, per quel suo gesto, sia un untore. 2.4.2 Riparlare degli orrori conosciuti: argomenti retorici del processo  La prima finalità della Colonna Infame dichiarata da Manzoni è dimostrare la responsabilità dei giudici milanesi, che non avevano utilizzato la tortura secondo le prescrizioni dell’epoca.  In primis i giudici credevano all’unzione come pratica di diffusione del contagio. Ma questo non basta a giustificare il fatto di credere che Piazza e Mora fossero untori.  I giudici, come abbiamo già detto, agiscono in risposta all’aspettativa popolare, ponendosi come rappresentanti di una presunta “parte lesa”, il popolo, quando invece dovrebbero porsi come “super partes”.  La retorica della gente è quella del “segno non necessario” tra il generale e il particolare. La gente, presa dal pathos del contagio, si aspetta (spera) un segno, un indizio che dimostri che i due accusati (particolari) siano davvero untori.  I giudici non sono in grado di dissociarsi (argomento di dissociazione) tra il timore di nuocere alle apparenze del popolo e il timore di colpire con una pena ingiusta un innocente.  I giudici, la polizia, il notaio, i fiscali, perfino il Senato, dichiarano inverosimile ciò che viene testimoniato su base ovvie e rendono verosimile l’inverosimile. Credere l’inverosimile è un assunto comune della psicologia collettiva durante una tragedia pubblica, ma porta ad assumere atteggiamenti violenti, emarginanti. Se il potere pubblico non risponde a questo panico in modo adeguato, rischia di diventare lui stesso un nemico  Sia il Piazza sia il Mora sono oggetto di una teoria del complotto: essendo entrambi lateralmente legati ad una professione sanitaria, avevano interesse nel propagare la malattia.  La ricerca del colpevole ad ogni costo, del burattinaio che tira le fila nell’ombra, portano lo stesso Piazza a denunciare il Padilla. Il luogo dell’irreparabile (pronunciare decisioni di portata definitiva) non è affidabile se la persona che parla non si trova in uno stato di libertà di coscienza. o Litoti: “Aver la bottega saccheggiata per me è un pensiero poco allegro”. La litote è usata per creare un Understatement, che dissimula leggerezza: una mezza affermazione, una dichiarazione con lo scopo di attenuare o minimizzare l’importanza di una notizia, senza tuttavia negarla né smentirla. Argomento volutamente alieno all’enfasi retorica.  Bisogna considerare che il discorso del mercante è interessato. A lui permette la conservazione di uno status quo, visto che possiede una bottega a Milano. Ad essa il mercante si riferisce con affetto e malinconia.  Il mercante poi spiega che i rivoltosi avevano approfittato della rivolta per saccheggiare la città (argomento pragmatico) e che si rischiava di superare il limite “se dal rubare il pane fossero passati a rubare il vino”, quindi beni di maggior pregio (argomento di direzione). L’effetto argomentativo è quello della conglobatio: metto tutto nello stesso calderone, accumulo di elementi, riferiti tutti insieme a tutti i rivoltosi senza distinzione.  Con una “enumeratio”, un periodo accumulativo e tutto nominale, il mercante elenca gli avvenimenti del Forno delle Grucce. Qui il mercante rievoca l’immagine di un crocifisso messa sulla finestra, simbolo religioso che si contrappone alle immagini del saccheggio.  Con una “sermocinatio” il mercante inserisce nel suo discorso il discorso diretto dei prelati che rassicurano la folla, nominandoli per nome e cognome per dare prova di familiarità e incrementando la credibilità del proprio racconto con un elemento di realtà.  Ostentando le proprie conoscenze dirette di Milano, il mercante sta creando un argomento di autorità su sé stesso, sempre più accreditato davanti ai presenti che a Milano non ci sono stati.  Solo quando il racconto del mercante si sovrappone alle vicende che già conosciamo, il lettore e Renzo si rendono conto del margine di falsità di cui sono pregne. La dispositio del racconto rivela solo alla fine, per creare suspense, che il forestiero a capo dei rivoltosi si è liberato dall’arresto.  Il mercante nel suo discorso contrappone una Giustizia personificata, con la G maiuscola, a un oscuro sconosciuto, che sarebbe Renzo. Come ogni dietrologia politica, si cercano responsabilità chiare in un nemico oscuro.  Qui però si rivela una delle prime falle nel discorso: se dello sconosciuto non si sa nulla, come lo si può ritenere uno dei capi della rivolta? Per avvalorare questa tesi, il mercante si inventa che Renzo abbia esplicitato dei propositi ribelli ben più temibili come quello iperbolico di “ammazzare tutti i signori”. Anche qui però il mercante non esagera ed edulcora l’affermazione plateale aggiungendo che era stata pronunciata “per galanteria”, cioè con leggerezza.  Il discorso del mercante su Renzo è un ragionamento induttivo: dal suo caso particolare si cerca di risalire alle cause generali di tutta la rivolta. Per farlo, il mercante si avvale di esempi e illustrazioni (vedi il “fascio di lettere” ritrovato addosso a Renzo, che spiegherebbe il complotto).  Con un distorto “luogo a persona” usato come “vituperatio” (vituperio), il mercante cerca di tracciare il profilo di Renzo: “gente che non ha né casa né tetto e trovano da alloggiare e da rintanarsi”. (Il luogo a persona, tipico soprattutto del genere epidittico, è quello che ricostruisce di un individuo gli elementi di nascita, patria, sesso, età, condizione sociale, ethos e professione). Così al paradigma del “vir clarus” succede quello dell’“homo obscurus”  Il discorso del mercante si conclude con un bel luogo dell’esistente. Il luogo dell’esistente premia il reale sul virtuale e si fonda su una constatazione realistica, a costo di essere banale. Così il mercante conclude con affermazioni che premiano la concordia tra autorità pubblica e ceto mercantile, rifiutando il caos e la rivolta.  Alla fine del capitolo il narratore definisce colloquialmente “ciarlone” il mercante. Insomma, ci fa capire che il tizio, passando dal negotium all’otium, si era dato a facili semplificazioni cercando di spiegare la storia e Manzoni lo fa capire ai suoi lettori.  Ma gli avventori dell’osteria pendono comunque dalle sue labbra: molti che prima dicevano di voler andare a Milano, ora se ne vogliono restare a casa. Inoltre iniziano a bisbigliare di come si sarebbero comportati con prudenza se si fossero trovati nei tumulti: il terrore del disordine deve essere esorcizzato anche nell’ipotetico. 2.5.3 Il Giudice di Fabrizio De Andrè  Fin dallo Spirito delle leggi di Montesquieu, il potere della legge risulta indipendente dagli altri. La prova etica è richiesta non solo all’imputato, ma anche e soprattutto al giudice, che dovrebbe essere super partes e prescindere dalla vox populi.  De Andrè in Don Raffaè allude alle sottili seduzioni psicologiche che gli uomini del crimini organizzato esercitano su chi li frequenta, anche in carcere.  Ne Il Giudice si parla di un giudice nano che, libero dai condizionamenti dell’esistenza, gode nel mettere a morte i suoi antichi umiliatori: “un piacere del tutto mio”. La sua sentenza però non è esplicitamente corrotta: anche la legge ha vinto sulle ingiustizie. Quindi la canzone rivela una notevole complessità di significato.  Nella canzone si ricorre a tropi (figure retoriche), rime, allusioni, paradossi.  La canzone fa parte dell’album Non al denaro, non all’amore né al cielo, in cui propone nove canzoni ispirate ad altrettanti componimenti tratti dall’Antologia di Spoon River, raccolta poetica di Edgar Lee Masters che presenta degli epigrafi-epitaffi dedicati agli abitanti della cittadina immaginaria di Spoon River.  Il testo della canzone riprende la brevitas propria del genere obituary (necrologio).  La canzone ripercorre la vita del giudice con una efficace “precursio”, che rallenta fino a contarne le ore e i minuti.  Vi è anche un parallelismo religioso dato dalle rime cattedrale/ male/ tribunale, che mette in parallelo il giudizio divino, la morale umana e il giusto della legge.  Nel brano domina il luogo dell’essenza (che mette in luce ciò che è universale ed eterno rispetto a quanto è vaariabile ed accidentale). Ci si chiede quale sia la vera altezza del giudizio e di chi lo emette. Il giudice nano, nell’ansia del su riscatto, non ha mai pensato alla statura di Dio e del suo giudizio a cui è impossibile non genuflettersi nell’ora dell’addio, cioè della morte. “Lo sguardo, che a fatica si rivolge tanto in alto e proprio perché non ha sospettato l’esistenza di quella che Dante chiamava “la faccia del perdono di Dio”, si abbassa di nuovo sul paradosso che ci rende minimi nella ricerca di ogni grandezza.” 2.6 Il genere deliberativo  È proprio del discorso politico.  È orientato verso il futuro verso il quale tendono le decisioni da prendere nel presente.  Consiglia ciò che è utile e sconsiglia ciò che è dannoso, nell’ottica di tutta la comunità.  Parla a tutti, ma non necessariamente sostiene le ragioni di tutti.  Affronta le tematiche dell’utile, del bene, della felicità. Quindi deve conoscere le relative ἔνδοξα (opinioni comuni a proposito di ciò che è bene). I beni a loro volta si dividono in: o Ομολογοὺμενα, sui quali si trova maggiore accordo, quale totale o Αμφισβητὴσιμοι, sui quali c’è una controversia, che si argomentano a partire da topoi di carattere generale, non validi per sempre, ma validi “per lo più”.  Il superamento dello stallo sulle decisioni da prendere si ottiene grazie al luogo di qualità espresso da una votazione o dal luogo di qualità di un capo di particolare prestigio/ eminenza/ esperienza/ tecnica.  Come argomento fondamentale ha l’inclusione delle parti nel tutto e la divisione del tutto nelle sue parti. Non si può deliberare senza prescindere da questa analisi. o Un esempio è il discorso di Obama alle elezioni del 2008, in cui afferma che la sua elezione è merito di bianchi, neri, rossi e blu, gay e etero, ispanici, disabili, non disabili, nativi americani eccetera. Più che ricorrere a una “bondig rhetoric” (che crea legami con chi è simile) punta a una “bridging rhetoric” (che allarga l’area del consenso). o Lo stesso fa Martin Luther King quando parla di ri-orientare l’elettorato verso l’accettazione dei valori condivisi a partire dai diritti civili comuni a tutti.  Niccolò Machiavelli fa sapiente uso di retorica deliberativa, per esempio nel XXIII capitolo del Principe: Quomodo adulatores sint fugendi (in che modo siano da evitare gli adulatori). Qui si pone il problema un principe che, dovendo ricevere un consiglio sul da farsi (una delibera) dai suoi servitori, non solo deve essersi scelto dei buoni servitori in prima istanza, ma deve anche distinguere lui stesso il migliore tra i consigli, che potrebbero essere dettati dall’adulazione. o Il segretario è una delle figure che meglio incarnano la retorica del genere deliberativo. Lo era Machiavelli stesso, lo era Pier Delle Vigne (citato da Dante nel canto XIII dell’Inferno), che serrava e disserrava le chiavi del cuore di Federico II. o Il principe deve avere la virtù della celeritas, come un centauro: la velocità, la prontezza di reagire ai sovvertimenti della sorte. La stessa che deve dimostrare nel prendere decisioni, rimettendosi con prudenza ai consigli dei suoi segretari (ma senza diventare prudente a causa di quelli). Deve insomma conservare il proprio arbitrio deliberativo. 2.6.1 Il presente del genere deliberativo  Nel secondo dopoguerra, soprattutto con le prime testimonianze dei sopravvissuti ai campi di concentramento, diventa d’obbligo tener presente la “memoria”, che è una fase presente nella retorica fin dal mondo classico.  A questo pensava Perelman quando scriveva il suo Trattato dell’argomento, proponendo la nuova retorica come argine alla violenza delle ragioni totalitarie, in quanto non ragionevoli. Bisogna riappropriarsi dell’arte della parola pubblica che non tratti i suoi interlocutori come oggetti, ma che tenga presente la loro libertà di giudizio e il loro assenso. o Nello stesso periodo, invece, Prezzolini sosteneva l’idea della retorica come incitamento alla violenza, passando dal logos al pathos in modo un po’ eccessivo.  All’inizio del Novecento la società rese l’intellettuale un titolista della politica e della vita, un inventore di tropi da mettere sui volantini, che ideasse semplificazioni sintattiche efficaci per diffondere una retorica spesso rivolta alla violenza. cultura industriale libera e liberista. Questa cultura industriale viene presentata come un dogma dal quale non è più possibile prescindere. o Attraverso l’anafora si crea un ritmo incalzante, come un indice puntato ai comunisti che ripete: “Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nell’individuo, non credono nel profitto.” E culmina con un’iperbole “Non credono in niente”. o La retorica avvelenata richiama gli untori della politica manzoniana.  Il discorso attira tutti quegli italiani che hanno sempre storto la bocca davanti alla politica, concentrandosi su religione, famiglia e lavoro. Dopotutto l’Italia ha una tradizione parlamentare recente e non sempre condivisa. Così il luogo del superamento si pone come una soluzione per superare il retaggio vetusto e entrare nella modernità.  Così Berlusconi traccia un orizzonte idilliaco, al limite del favolistico, che però diventa punto di riferimento per l’elettorato di centro-destra. Sul finale, qui sotto riportato, incide l’esigenza di pensare all’hic et nunc e rilancia la speranza in un nuovo miracolo italiano come il boom degli anni 60. o “Da imprenditore, da cittadino, e ora da cittadino che scende in campo, senza nessuna timidezza, ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato vi dico che è possibile farla finita con una politica di chiacchiere incomprensibili, stupide baruffe e di politicanti senza mestiere. Vi dico che è possibile realizzare insieme un grande sogno. Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo costruire insieme per noi e per i nostri figli un nuovo miracolo italiano.” 2.6.3 Deliberare e giudicare: Giulio Cesare di Shakespeare  Il Giulio Cesare rappresenta per la sua epoca un modello di oratoria repubblicana, che ispirerà Voltaire e Alfieri nell’ottica del classismo eroico post-illuminista.  Una congiura è vincente quando le debolezze del singolo sono compensate dalla forza del gruppo, a cui si aderisce attraverso un argomento di sacrificio.  Invece che ricorrere ad un argomento ad verecondiam (cioè sottomettere i congiurati ad un’autorità più alta di loro), Bruto rifiuta di farli giurare, rimettendo la propria fiducia in loro sulla base della loro coscienza. “Giurino i sacerdoti, i vili, i malfidati, quelli che sono di dubbia fede. Un Romano tiene fede alla parola data anche senza giurarla.”  Domina il luogo dell’essenza: ogni congiurato che si tirasse indietro sentirebbe di tradire Roma e se stesso.  Al discorso di Bruto ai congiurati si contrappone, nello stesso Atto (il Secondo), la paura di Cesare, alimentata da una serie di presagi, tra cui il sogno allegorico premonitore avuto da sua moglie Calpurnia: una statua di Cesare che sprizza sangue come una fontana e i Romani che vi intingono le proprie mani. Decio lo rassicura con un argumentum ad hominem (cioè un argomento che mira a persuadere una persona precisa o un gruppo ristretto di persone): il sogno rappresenta il popolo di Roma che si abbevera alla linfa vitale di Cesare. 2.6.4 Se sia lecito o meno uccidere un tiranno: la prova etica di bruto  La contesa di Bruto e Antonio sul cadavere di Cesare, davanti al popolo, è un momento di oratoria tra il giudiziario e l’epidittico. Bruto mira a un mutamento della situazione a favore della sua parte di Roma, ma non vuole persuadere come nel deliberativo: utilizza piuttosto diverse strategie del genere giudiziario e accusa Cesare per scagionare se stesso, come un processo.  La disputa tra Bruto e Antonio si gioca sul fatto che Cesare fosse o meno un tiranno. Se era un tiranno, che ha usurpato la libertà repubblicana, allora era lecito ucciderlo. Ma se aveva voluto servire Roma, allora Bruto è praticamente un terrorista, privo di copertura ideologica.  La prova etica della congiura è espressa nel discorso di Bruto: la morte di Cesare rappresenta un sacrificio a Roma, perché Cesare troppo spesso è stato confuso con Roma immeritatamente e ora l’ordine va ristabilito per poter tornare ad appartenere a Roma e non a Cesare.  Il primo presupposto di credibilità dell’orazione di Bruto è una prova etica: egli ha credito agli occhi dell’uditorio in nome del proprio passato di fedele repubblicano. Con un chiasmo, invita i romani “a crederlo sull’onore e ad avere rispetto del suo onore per potergli credere”, apostrofandoli come “romani, concittadini, amici”.  Bruto afferma una verità paradossale con un argomento di comparazione iperbolico: Se qualcuno tra i cesaricidi amava Cesare, non lo amava quanto lo amò Bruto. Al che il lettore, come il pubblico, si chiede come mai Bruto abbia ucciso Cesare. Bruto ricorre a una occupatio (anticipa l’obiezione) con un argomento di dissociazione: ha amano Cesare meno di quanto abbia amato Roma. o Bruno sente di aver ricevuto un mandato da parte dello Stato. Numerose erano le lettere a lui indirizzate, tra cui la più incisiva recitava: “Colpisci! Bruto. Tu dormi: svegliati!”  Bruto continua con una complicata dubitatio (domanda retorica) formata da due antitesi in reversio (l’una l’opposto dell’altra): “Avreste preferito Cesare vivo e noi (la Repubblica) morti? O noi vivi e Cesare morto?”  Con la frase “Fu ambizioso e l’ho ucciso” l’elogio funebre viene trasformato nella deprecazione di un suo difetto, l’ambizione.  Per concludere, con un climax anaforico, Bruto ripete “a chi è così vile da essere schiavo”: “Se uno c’è, parli: ché lui ho offeso”. Così si crea il paradosso tale per cui chi contraddirà Bruto, non ama la propria patria. In questo modo si prepara un terreno spinoso per il discorso di Antonio che sta effettivamente per parlare. 2.6.5 La requisitoria di Antonio: parallelismi, epifore e allusio  Il discorso di Bruto si conclude con una generale acclamazione del popolo. Ora tocca all’orazione di Antonio. Cassio vorrebbe impedirgli di parlare, conoscendo le sue doti oratorie. Bruto però si sente un restauratore: non vuole negare il diritto alla memoria di Cesare perché esso è una virtù romana tradizionale, che va preservata. Allora concede ad Antonio di parlare, purché lo faccia dopo di lui e con il suo dichiarato permesso, e senza scagliarsi contro i cesaricidi.  Antonio non si scaglierà con i cesaricidi in modo esplicito. Eppure, l’elogio funebre delle virtù di Cesare gli permette di fare una vituperatio implicita ai suoi assassini. Inoltre, parlare dopo Bruto gli permette di creare un’antanaclasi, capovolgendo le informazioni di chi lo ha preceduto, pur senza accusarlo apertamente.  Il genere del discorso funebre vedrà il suo massimo splendore con Menandro retore in epoca imperiale, ma Shakespeare anticipa le tecniche di Menandro nel discorso di Antonio, creando come uno spartiacque retorico tra due epoche.  La salutatio di Antonio è parallela e opposta a quella di Bruto: “Amici, cittadini, romani”. Il pathos privato domina su quello pubblico, la pietas per l’amico morto supera la pretesa di chi lo ha ucciso in nome dello Stato.  Antonio dichiara: “Sono venuto a seppellire Cesare, non a farne l’elogio. Il male che l’umo fa gli sopravvive; il bene spesso resta sepolto con le sue ossa”. Una frase in cui è implicita l’accusa di ingratitudine nei confronti di Bruto.  Antonio poi afferma che parlerà con il beneplacito di Bruto e degli altri congiurati, che sono tutti uomini d’onore: è evidente l’ironia di pensiero.  Prima di tutto Antonio descrive il suo amico con un climax: buono, leale, giusto. Dopodiché espone tramite l’illustrazione le prove della generosità (vedi le numerose vittorie e gli schiavi regalati alla città) e del disinteresse (vedi il triplice rifiuto della corona di re) di Cesare nei confronti di Roma.  Quindi Antonio ripete le stesse parole di Bruto con un’epifora (dire le stesse parole con un significato diverso): “Ma Bruto dice che era ambizioso e Bruto è un uomo d’onore”. Posta in questi termini, l’accusa di Bruto appare debole. Chiamarlo “uomo d’onore” è di nuovo ironico, tanto che la terza volta Antonio aggiungerà l’inciso “Bruto – lo sappiamo – è un uomo d’onore”.  Antonio non contesta Bruto direttamente, ma punta il dito sul popolo romano, rimproverandogli di non saper piangere colui che un tempo ha amato. Il presupposto dell’ingratitudine, tipico delle repubbliche nei confronti dei loro magistrati, dà inizio ad un’apostrofe solenne: Antonio volta le spalle al pubblico e accusa la personificazione del Senato, colpevole di aver abbandonato Roma.  Antonio afferma che “la ragione ha abbandonato gli uomini”, con una sineddoche che attribuisce a tutta l’umanità ciò che è riferito al romano.  Con una improvvisa ellissi, Antonio interrompe bruscamente il discorso, affermando che il suo cuore non ha più nulla da dire, stretto dal lutto. Non c’è congedo: la salma di Cesare parla da sé.  Antonio si pone come un antiretore: contrappone alla visione generale di Bruto la sua, privata, inconclusa, afferma di non essere un bravo oratore, di parlare come viene, con cose che tutti sanno.  Il silenzio lascia serpeggiare il dialogo tra il pubblico, che inizia a vociare insinuando i primi pareri favorevoli a Cesare.  Poi Antonio riprende la parola. Con una allusio accenna al testamento di Cesare. Pone il suo cadavere sul tableau. E descrive l’assassinio di Cesare con tragicità. La fine di Cesare è rappresentata con un’ipotiopsi (una descrizione vivida), come la caduta di un enorme colosso, con il quale tutta Roma cadde. L’allusio funziona: tutti si sentono coinvolti. Lo stesso Cassio parlando con Bruto aveva descritto Cesare come un colosso circondato da omuncoli.  Il chiasmo finale è un capolavoro che elogia Bruto con ironia e fa balenare l’idea della vendetta: “Se io fossi Bruto e Bruto fosse Antonio, egli saprebbe come infiammarvi alla vendetta.” 2.6.6 Consalvo VIII da “sindaco di Mirabella” a nuovo Vicerè 2.6.8 L’exploit oratorio di Consalvo  A un certo punto della sua carriera politica, Consalvo viene scelto per tenere un discorso in un teatro romano che metta in discussione il modello di società egualitaria del socialismo. Il pubblico, per lo più borghese e aristocratico, è già favorevole alla causa e ha bisogno soltanto di leggerezza e argomenti immediati. Fa eccezione il loggione pieno di operai (ovviamente socialisti) che ascolta in silenzio, in un clima così teso da richiedere le forze dell’ordine.  Consalvo inizia raccontando alcuni aneddoti letterari: un critico che sosteneva la superiorità di Tasso su Ariosto viene colpito a morte e dichiara di non aver mai letto Tasso (così sarebbero i politici che si fingono esperti di qualsiasi cosa); il parrucchiere di Voltaire cerca di dargli consigli di prosodia e si sente rispondere di fare il parrucchiere e non il poeta (e così sarebbe Consalvo quando cerca di parlare con i politici). Con queste due battute Consalvo inizia una captatio benevolentiae nei confronti del pubblico, mettendosi dalla loro parte, e non nella schiera di politici.  Consalvo aggiunge di aver letto molti sul socialismo, ma di non esser riuscito a chiarirsi le idee. Luogo ad ignorantiam che lo avvicina anche ai meno intellettuali (dopo essersi avvicinato agli intellettuali con le battute letterarie).  Consalvo chiama “romanzi” i libri sul socialismo, come a voler distinguere (luogo dell’esistente e argomento di dissociazione) la società utopica dei socialisti dalla società concreta dei conservatori. Il mondo dei conservatori, seppur peggiore, sarà sempre migliore di un mondo che non esiste. Il mondo dei socialisti è un adynaton dove tutti sono pronti ad acquistare i beni più poveri come gli strofinacci per garantire l’eguaglianza sociale. (Federico Ranaldi ride e inorridisce insieme a questa affermazione che, pur essendo semplicistica, fa molta presa sul pubblico)  Consalvo passa poi a ragionare più seriamente sulle conseguenze di una società egualitaria. Con una dissociazione, distingue il concetto di giustizia dal concetto di uguaglianza, che a suo dire non possono coesistere in una società come quella borghese dove regna la libertà e l’originalità di ogni persona. La premessa di aiutare le classi meno agiate secondo Consalvo è giusta. Quella di appiattire ogni legittimità individuale in nome dell’uguaglianza, non lo è. A tal proposito si appella con passione letteraria agli ideali di esclusività e bellezza.  Con una magistrale antanaclasi e argomento di sacrificio, Consalvo dichiara che il privilegio di classe della sua famiglia ormai non vale più niente, ma che almeno esiste il privilegio della bellezza, della forza, della scienza, della ricchezza, risultato virtuoso del proprio valore e dei propri meriti, possibile grazie alla diversità umana.  Con un luogo della contraddizione, Consalvo aggiunge che l’ideologia socialista non può distribuire equamente la ricchezza ai lavoratori perché la qualità e la quantità del lavoro sono diverse in base al lavoro; che non può portare alla crescita della produzione perché i lavoratori non avranno una ricompensa diversificata se aumenteranno la produzione. Con un argomento di comparazione, Consalvo spiega che capitale e lavoro non si possono separare. Si rifà al monologo di Menenio Agrippa sulle parti del corpo nella società romana.  Consalvo contrappone al socialismo l’economia dell’impresa come fonte di ricchezza che permette ai dipendenti di arricchirsi più di altri. Si delinea così un mito del self-made man.  Con una occupatio, Consalvo confuta le due principali possibili obiezioni dei socialisti o Che la formazione dei capitali sia illegittima. Ma questo può accadere anche nelle società socialiste, dove il capitale continua ad esistere. o Che non tutti i capitalisti siano anche i più abili. Ma come ad un tavolo da gioco c’è chi ha più fortuna di altri. Tema questo Machiavellico.  Il discorso di Consalvo non piace ai socialisti. Uno di loro lo pugnala sulla soglia di casa. La ferita è seria, ma non letale ed è il colpo di fortuna che serviva a Consalvo per essere finalmente consacrato come eroe politico, vittima degli eversori socialisti, simbolo, uomo forte. E diventa ministro degli interni per il governo Giolitti. Ma dopo il disastro coloniale in Libia sarà costretto a dimettersi. 2.6.9 La retorica apocalittica di Federico Ranaldi  Se la vittima di Consalvo nei “Viceré” è Benedetto Gilente, quella nell’“Imperio” è Federico Ranaldi, prima spin doctor (organizzatore della campagna elettorale) poi apocalittico.  Ranaldi, giornalista della Cronaca corregge i trafiletti anonimi di Consalvo che lo avevano fatto definire “simpatico” dalla Vanieri. Egli non viene distrutto da un’azione degli Uzeda, ma eroso in vent’anni di contatto con il cinismo e la disillusione della vita politica di Roma.  La disillusione di Ranaldi si è evoluta in nichilismo: ritornato a Salerno, suo paese natale, si abbandona, ispirato dagli attentati anarchici, a fantasticare di un partito di “biofobi” (che odiano la vita) e “geoclasti” (che distruggono il mondo). Il terrorismo politico lascia il posto a un terrorismo planetario, vicino al giudizio universale.  Ranaldi, in puro spirito leopardiano, medita sul fatto che il benessere concesso all’uomo è quello della morte, conclusione del dolore e delle illusioni. È il paradosso amaro ed escatologico di un senso della vita nella morte.  Con la tecnica dell’amplificazione, Federico denuncia l’odio per la vita e per il mondo intero, in un climax sempre più incalzante di distruzione che procede per accumulazione e asindeto: “a pezzo a pezzo, coi loro formidabili arnesi, vorranno insterilire, rovinare, frantumare, polverizzare tutto ciò che sta in un angolo del mondo, il monte, la collina, il promontorio, la pendice, l’isola, il campo.”  Il suo ragionamento si fonda su una strana e ossimorica dissociazione tra la disperazione degli uomini e la morte che appiana ogni dolore. Una sorta di eutanasia del mondo alla Eren Yeager.  Anna Ursino, la fidanzata di Federico, è la ginestra alla fine del suo pensiero leopardiano, la fragile presenza dell’umano che, alla cinica disperazione apocalittica, oppone la solidarietà degli affetti. Alla fine del discorso di Federico sui geoclasti, Anna con ingenuità antiretorica chiede: “Che cosa vi hanno fatto perché diciate così?” e la sua domanda riporta con i piedi per terra tutto il discorso, come Franziska nell’ultimo racconto del Viaggiatore.  Con sensibilità femminile, Anna si indaga sulle cause reali che spingono Federico Ranaldi a parlare così e le individua nella delusione dovuta all’incontro con la vita pubblica. E fa leva sulla mozione degli affetti in antitesi all’idea della morte, come Ludmilla. La soluzione etica ed esistenziale del romanzo. La sua presenza è l’approdo dalla fantasia di morte ad un segno di tangibilità carnale che l’autore offre al suo pubblico dopo averlo scortato nei mondi prismatici della parola.  Il romanzo si conclude bruscamente lasciando aperto l’intreccio, che si conclude nel privato di un matrimonio. E forse non c’era bisogno di una continuazione. 2.7 Genere epidittico  Come spiega Laurent Pernot le frasi pronunciate in un discorso epidittico significano qualcosa anche quando non significano niente o non sono originali, perché assolve ad una funzione rituale e celebrativa.  “Epidittico” significa letteralmente “dimostrativo”, perché è un discorso che dimostra (oltre all’abilità dell’oratore) pregi e difetti dell’oggetto dell’orazione (che può anche essere uno stile di vita o un’abitudine morale). Insomma, incita non solo al bene ma al vivere bene (come dice Emmanuelle Danblon). Eppure il giudizio su tale oggetto trova tutti d’accordo, è una res certa, una realtà assodata.  Il genere epidittico rappresenta l’incontro tra pathos, ethos e logos: il giudizio del pubblico si basa sul legame emozionale tra bello e giusto espresso. La tradizione ci può aiutare a capire quali sono dei modelli efficaci di immagini o di tecniche che sono state ritenute buone e belle. Ad esempio sacrificarsi per un amico è bello e buono, tradirlo è brutto e malvagio. Quindi collega presente e passato, ma lo fa anche per stabilire un modello valido al futuro. (Tutto il genere dunque è un argomento pseudologico del modello)  Quindi è il meno argomentativo dei tre generi, il meno decisionale, ma è anche il più emozionale, il più figurativo, il più giusto dal punto di vista etico. Non riflette sulla giustizia di un’azione come il giudiziario (perché tutti concordano sui valori di cui si parla, belli o brutti che siano), non stimola all’azione urgente come il deliberativo, ma piuttosto mette il pubblico in una disposizione di azione (il pubblico concorda che in generale è bene o male agire in un certo modo).  Parlando di una res certa, il genere epidittico non utilizza tecniche polemiche, ma piuttosto la amplificatio: a partire da una virtù di nascita di un individuo, si individuano tante altre virtù nelle opere da lui compiute.  È un genere a metà tra il discorso educativo e quello di propaganda. Il suo abuso può trasformare posizioni contestabili in valori universali o rendere assolute delle posizioni di parte, facendole apparire come espressione di tutta la collettività. 2.7.2 Elogio dei rigatoni  La pubblicità non prende solo le regole del genere deliberativo, cioè quelle del consiglio, ma assorbe anche alcuni elementi del genere epidittico, elogiando il prodotto, i destinatari o un certo stile di vita (ethos).  La pubblicità dell’8 per mille alla chiesa cattolica è costruito sull’antimodello (sul ribaltamento di un modello): il contributo non va alle opulente gerarchie romane, ma all’aiuto dei più bisognosi.  La Barilla nelle sue pubblicità ha esplorato la retorica della società italiana che si adegua ai tempi, osservando lo sviluppo delle relazioni tradizionali dalla tavola familiare al single che cucina per la nuova compagna (fino a includere tutta l’Italia del lockdown in una grande famiglia).  All’inizio degli anni 80, con l’imporsi della dieta mediterranea, ci fu la necessità di sdoganare a livello commerciale la pastasciutta. La Barilla chiamò Fellini. Il regista della Dolce Vita realizzò uno spot intitolato “Alta società” in cui una coppia elegante in un ristorante francese, davanti al maitre che elenca l’altisonante menù in francese, ordina “Rigatoni”. (Peccato per il cringe sincero degli attori che sembrano dei disagiati e lo slogan non-sense: “E noi come un’eco rispondiamo «Barilla!» - Barilla, ti fa sentire sempre al dente”). https://www.youtube.com/watch?v=CTdN_MKARLE 2.7.3 La dedica all’Italia e agli italiani  Durante il Coronavirus la Barilla dedica all’Italia un altro famoso spot, dal titolo “L’italia che resiste”, un monologo epidittico di Sophia Loren che celebra un momento di coesione nazionale in una situazione tragica. https://www.youtube.com/watch?v=848kapapk8I 2.7.8,9 Elogio del passato e vituperatio del presente, L’elogio della tomba e della nuova scienza  I Sepolcri di Foscolo sono un componimento ricco di exempla e illustrazioni, con scene drammatiche e macabre, che attraversa l’elegiaco e il sublime. Lo stile è coltissimo, polemico, sottile.  Il testo è chiaro dal punto di vista del significato e del ragionamento (perspicuitas), ma è complicato dall’ordo artificialis (ordine artificiale con cui si organizzano le frasi e le sequenze), anche se quando la complessità diventa eccessiva, sopraggiungono parole chiave emozionali che richiamano significati più immediati.  L’oggetto dei Sepolcri è orientato al valore da assegnare alla vita. Il terrore della morte materiale è superato dalla tradizione, fatta dal retaggio di affetti, idee e opere che i morti lasciano ai vivi. Il centro dell’opera è proprio un confronto tra la dissipazione (ciò che dell’eredità umana viene disperso) e la tradizione (ciò che diventa patrimonio privato e collettivo). Da un lato la fossa comune dove non si distinguono i resti delle persone (tra cui anche il Parini), dall’altro il monumento funebre che ospita i grandi che sono stati scelti per rappresentare la civiltà (come Alfieri).  L’elogio del passato riprende la pietas per gli antichi, mentre il presente è criticato con una vituperatio. Il presente criticato è quello dell’età napoleonica. o Foscolo compose “I sepolcri” in seguito all’emanazione dell’Editto di Saint-Cloud nel 1804, voluto da Napoleone, il quale stabiliva che le sepolture dovessero avvenire al di fuori delle mura cittadine e non più all’interno delle chiese. o La classe dirigente napoleonica è amministrata da ricchezza e paura. Con un argomento di dissociazione, Foscolo colloca da un lato i morti che ritornano in vita grazie alla “corrispondenza di amorosi sensi”, dall’altro lato i vivi che restano sepolti nelle adulate regge, come sepolcri imbiancati. o In questa divisione tra vivi e morti, Foscolo accomuna tra i vivi (il volgo) sia i ricchi nobili sia i plebei.  La tradizione è posta al centro dei Sepolcri, in cui Foscolo traccia il breve elogio dei grandi del passato attraverso delle perifrasi. o Dante è “il Ghibellin fuggiasco” di cui si ricordano “il carme e l’ira” o Petrarca è “il dolce di Calliope labbro” che veste amore del velo della poesia o Machiavelli è colui che “temprando lo scettro a regnatori” ne denuncia lacrime e sangue (una reinterpretazione anti-principe) o Vittorio Alfieri, un modello di coerenza anti-cortigiana (in linea con il Machiavelli reinterpretato), ritratto come un eroe della letteratura, un intellettuale atipico, ma al contempo l’antonomasia dell’intellettuale, libero ed insofferente dei vincoli servili cari agli altri letterati. Egli è sepolto al sacrario di Santa Croce. o Michelangelo è colui che “nuovo Olimpo alzò in Roma a’ Celesti” o Galileo è colui che “rotarsi più monti e il sole irradiarli immoto” (antitesi esplicativa del moto di rivoluzione terrestre) o Newton (figlio scientifico di Galileo) è “l’angolo che percorre con volo esatto e sicuro il cielo delle nuove stelle”. o Oratio Nelson, due volte vincitore di Napoleone ad Abukir e Trafalgar, è un genio militare citato accanto al genio scientifico di Newton, entrambi inglesi. Dopotutto cultura e scienza sono da sempre indissolubili per Foscolo. o Ateniesi e Persiani che combattono nella battaglia di Maratona sono l’immagine che chiude la carrellata. I Persiani, sudditi di un re, si scontrano con pochi e coraggiosi Ateniesi, sudditi della libertà. Il luogo di qualità vince su quello di quantità. Sono descritti in potenti versi accumulativi e accrescitivi. 2.7.10 Omero  La principale “petitio” dei Sepolcri, dunque, è la richiesta di proteggere i padri.  Nell’opera, Cassandra, con una prosopopea (rievocare una figura assente o morta), si rivolge alle piante cresciute a proteggere la tomba di Priamo ed evoca la figura dello stesso Omero, un mendico cieco (due iperboli), stremato tra le rovine. La protezione vera viene dalla poesia, la sola in grado di preservare la memoria che si fa mito.  Omero è il modello ideale di testimonianza profetica e poetica che dà voci ai morti. Egli non vede il mondo dei vivi, ma ascolta la voce dei morti. La sua presenza rianima la desolazione delle rovine, che si commuovono personificate.  L’incedere lento di Omero è accompagnato da una serie di inarcature che formano due lunghi periodi sintattici prevalentemente paratattici, sul ritmo discendente dell’endecasillabo. […] Un di vedrete mendico un cieco errar sotto le vostre antichissime ombre e brancolando penetrar negli avelli e abbracciar l’urne e interrogarle. Gemeranno gli antri secreti e tutta narrerà la romba Ilio, raso due volte e due risorto splendidamente su le mute vie per far più bello l’ultimo trofeo ai fatati l’elidi. […] 2.7.11,12 La tomba vuota dei Finzi-Contini, Il dialogo dei morti  Il romanzo di Giorgio Bassanti, Il giardino dei Finzi Contini è intrinsecamente funebre. Il tempo della narrazione (1957) è lontano diciotto anni dal tempo delle vicende narrate (1939): la memoria non basta per percorrerli. È necessario interrogare i morti, e questa è la funzione omerica assunta da Giorgio, il personaggio narrante e protagonista dell’opera.  L'inizio del romanzo è ambientato nel 1957 presso la necropoli etrusca di Cerveteri, vicino a Roma, dove il protagonista Giorgio - narratore interno - si trova in gita domenicale assieme ad un gruppo di amici. Il suo pensiero, osservando le tombe etrusche, corre, per associazione d'idee, al cimitero ebraico di Ferrara, in via Montebello e alla tomba monumentale dei Finzi-Contini. Essa è una tomba vuota: rappresenta un’intera famiglia, ma solo Alberto vi è sepolto: gli altri parenti sono morti nei campi di sterminio. Relegata in una parte abbastanza remota ma comunque visibile, la tomba riporta alla memoria di Giorgio il tragico destino che ha travolto i membri di questa famiglia, oramai dimenticata. o La tomba vuota si fa prosopopea di tutti i Finzi-Contini, a partire dall’antenato ricco proprietario terriero Moisè, che l’aveva fatta costruire. Attraverso il ricordo, Giorgio “dialoga” con queste prosopopee. Il genere è quello “obituary” (necrologio) che prevede l’apostrofe ai defunti.  I Finzi Contini, che il narratore frequenta da ragazzo, sono una famiglia dell'alta borghesia facente parte della comunità ebraica di Ferrara. Abitano in una grande abitazione con un ampio giardino, dove i giovani rampolli della famiglia, Alberto e Micòl, invitano gli amici a giocare a tennis dopo essere stati esclusi dai circoli di tennis della città in seguito alle leggi razziali. Qui il protagonista si invaghisce di Micòl, che dopo un bacio lo respinge, causando una sua presa di distanza dalla famiglia.  Ma presto le vicende quotidiane della vita dei giovani verranno stravolte dall'incedere degli accadimenti storici. I fratelli Finzi Contini saranno destinati a soccombere: Alberto morirà per una grave malattia nel 1942, mentre Micòl, assieme al resto della famiglia andrà incontro alla deportazione, in seguito alla quale troverà una tragica morte.  Il vagheggiamento della morte è un tema ricorrente del romanzo e diventa quasi una presenza allegorica. o Nel racconto della Pasqua ebraica del 39, festeggiata a casa di Giorgio, il protagonista vede i propri genitori e la sorellina seduti a tavola e li osserva attraverso il punto di vista di Giorgio cresciuto di 18 anni, quindi ha l’impressione di vederli già tutti invecchiati nel suo ricordo. Il parallelismo è con la festa del Kippur (durante la quale i vivi indossano le effigi dei morti). o Quando Micòl e Giorgio si trovano da soli in una carrozza e sembrerebbe il momento per un gesto romantico, la rampolla dei Finzi-Contini inizia a parlare della morte, ragionando sui diversi stili di vivere la morte. In questa scena la carrozza sembra la pretesa di non voler morire e di viaggiare spensierati e si contrappone al sandolino (il relitto di una barchetta) che si intravede abbandonata attraverso i vetri appannati, che è la consapevolezza di dover morire. Micòl commenta che ci vuole uno stile nel morire.  La morte è anche una profezia sottesa a tutto il romanzo. Durante una gita a Venezia, facendo un gioco tipo seduta spiritica con un nappo (un calice, che in realtà viene mosso o da Micòl o da Alberto), i Finzi-Contini si interrogano sul futuro. Il nappo risponde con un secco No alla laurea di Alberto e con incertezza al matrimonio di Micòl. Aggiunge poi che le forze del bene vinceranno, grazie a Stalin (che però arriverà dopo la loro morte) (suggestione questa suggerita ai ragazzi da un loro amico comunista). I Finzi-Contini, dunque, si muovono nell’assenza di futuro. o Manzoni . Il mercante di Milano a Gorgonzola sottintende di avere più autorità dei suoi interlocutori perché era presente a Milano fisicamente, a differenza loro. o Shakespeare . Argomento “ad verecondiam” (sottomissione timorosa). Bruto sottomette i congiurati non con un giuramento, ma con la fiducia nella loro parola di Romani, che ha un’autorità più alta.  Argomento della coerenza. Rimango coerente a me stesso. o Boccaccio . Madonna Filippa decide di presentarsi in tribunale e sostenere le proprie ragioni piuttosto che non farlo e ammettere di avere torto.  Argomento di transitività. Se due cose condividono la stessa proprietà, allora sono simili. o Dante . I Guelfi Neri di Corso Donati credono (sbagliando) che i Francesi siano loro alleati soltanto perché entrambi sono avversari dei Guelfi Bianchi.  Argomento di direzione. Mostro le possibili conseguenze di continuare nella stessa direzione. o Manzoni . Il mercante di Milano a Gorgonzola spiega che, se fossero andati avanti così, i rivoltosi sarebbero passati dal rubare il pane al rubare il vino (cioè le cose preziose), il che sarebbe stato grave.  Argomento ad populum. Qualcosa è giusto perché è consuetamente condiviso dal popolo o Beccaria . La tortura è “normalizzata” perché è una consuetudine sociale.  Argomento ad hominem. Diretto a persuadere una persona specifica o Shakespeare . Decio rassicura Cesare dicendo che il sogno premonitore da lui fatto in realtà non rappresenta la sua morte, ma la sua gloria. Luoghi comuni  Luogo ad personam / a persona. Scredito l’avversario per il tipo di persona che è e non per i suoi argomenti. Oppure al contrario conferisco valore alle mie parole solo per il tipo di persona che sono. Spesso questo luogo procede descrivendo in ordine alcuni aspetti biografici della persona designata. o Tipico della retorica politica. o Manzoni . Il mercante di Milano a Gorgonzola traccia un profilo distorto di Renzo. o Berlusconi . Si pone come un grande imprenditore di successo. o Dante . Luogo della “nascita”. Mi concentro in particolare sulle qualità conferite all’individuo sulla base del posto dove è nato. Così fa San Tommaso per San Francesco d’Assisi (d’Ascesi).  Luogo dell’essenza. Il contrario dell’argomento pragmatico: metto in luce il lato profondo, filosofico, universale di un atto o di un ragionamento. o Shakespeare . Bruto afferma che per i congiurati tirarsi indietro significherebbe tradire Roma. o De André . Nel brano “Il giudice” si riflette sull’essenza della giustizia: qual è la vera “altezza” di un giudizio e di chi lo emette, oltre le apparenze concrete della statura del giudice?  Luogo dell’esistente. Simile all’argomento pragmatico, ma basato su affermazioni generali: è il luogo comune per eccellenza. o Manzoni . Il mercante di Milano a Gorgonzola conclude il suo discorso affermando che, nel concreto, la concordia è meglio del caos. o De Roberto . Consalvo conclude il suo ragionamento dicendo che il mondo dei socialisti, impossibile, sarà sempre peggiore del mondo dei conservatori, concreto, per quanto quest’ultimo sia brutto.  Luogo dell’irreparabile. Una decisione di portata definitiva. o Boccaccio. Ghismunda dichiara e decide di uccidersi. o Beccaria . Una decisione irreparabile come quella di denunciare un innocente non è affidabile se la persona che parla non si trova in uno stato di libertà di coscienza.  Luogo della quantità. Un ragionamento ha senso per via della sua quantità. Può essere parallelo all’argomento ad populum. o È il luogo che conferisce valore a una votazione di maggioranza. o Beccaria . La tortura è accettata soltanto perché, per tradizione, la praticano tante persone. o Beccaria e Manzoni . Evidenziano la fallacia nel ragionamento secondo il quale un individuo reo di un delitto è probabilmente reo di altri cento delitti.  Luogo della qualità. Un ragionamento ha senso per via della sua qualità. Può essere parallelo all’argomento di autorità. o È il luogo che conferisce valore alla decisione di un dirigente. o Foscolo . Nei Sepolcri la carrellata di esempi è chiusa da quello degli Ateniesi, che sono superiori ai Persiani poiché i primi sono sudditi della libertà (la democrazia), mentre i secondi sono sudditi di un re. o Doverosa introduzione alla retorica: Gli entimemi  Entimema. Un sillogismo che ha una o entrambe le premesse non certamente vere. o Entimema reale. Un entimema che si basa su premesse che, per quanto incerte, potrebbero essere logicamente collegate alla loro conseguenza. Serve a Persuadere. “Scotti: hai la febbre” o Entimema apparente. Un entimema che si basa su premesse che non possono essere logicamente collegate alla loro conseguenza. Serve a Suadere.  Corax 1. Un entimema apparente fondato su opinioni generalmente condivise. “Non puoi aver rubato: sei troppo buono”  Corax 2. Un entimema apparente fondato su opinioni paradossali. “Non posso aver rubato: sono troppo cattivo, quindi sarei il primo sospettato” Spiegazione  L’entimema è un sillogismo retorico. È un ragionamento che si presenta come perfettamente logico e concatenato, ma che può rivelarsi fallace, poiché si basa su premesse la cui veridicità non è certa, ma solo probabile. “Amo mio figlio perché sono suo padre” o Le premesse su cui si basa un entimema sono quelle accreditate dall’opinione comune (ἔνδοξα), per questo si chiamano “endossali”. Si fonda insomma su opinioni considerate generalmente valide, credibili, verosimili.  Attraverso la nozione di entimema, Aristotele spiegava la differenza tra dialettica e retorica: o La dialettica, ossia l’arte di organizzare il discorso, si fonda sui sillogismi, cioè i ragionamenti logici inconfutabili. o La retorica, ossia l’arte di persuadere attraverso il discorso, si fonda anche sugli entimemi, cioè i ragionamenti non per forza logici e inconfutabili, ma convincenti.  Un entimema, quando è appurato come vero, ha lo stesso valore di un sillogismo. o Non a caso da Boezio in poi la parola “entimema” diventa un sinonimo di “sillogismo senza una premessa”. o Aristotele specificava che un entimema si differenzia da un sillogismo per due motivi: salta un passaggio (sottintende una premessa) e si basa su premesse probabili.  Il che comunque non significa che un entimema sia sempre falso. Anzi, distinguiamo: o Entimema Reale (o semplicemente Entimema). La premessa di dubbia veridicità è logicamente concatenata con le conseguenze. “Hai il respiro affannoso, quindi hai la febbre”, può rivelarsi un’affermazione effettivamente corretta, anche se non ha veridicità certa. Umberto Eco afferma che gli Entimemi Reali servono per persuadere: convincere. E in particolare convincono ad agire in un certo modo a partire dal ragionamento. o Entimema apparente. La premessa di dubbia veridicità non è logicamente concatenata con le conclusioni. “Ho buon gusto perché sono italiano” (sottintendo la premessa endossale: tutti gli italiani hanno buon gusto, che però non è universalmente vera). Umberto Eco afferma che gli Entimemi Apparenti servono per suadere: sedurre.  Gli entimemi apparenti si rifanno all’ambito del verosimile. Infatti, può capitare che ciò che è verosimile si riveli non essere la verità. Anzi, il verosimile per definizione non può mai essere totalmente assoluto (Aristotele, Retorica II, 1402 a-b): è qualcosa di molto probabile, ma non certo. Anche ciò che sembra inverosimile può rivelarsi reale in alcuni casi. Corace distingue due tipi di verosimile (entrambi comunque sono entimemi apparenti, quindi non hanno validità logica e consequenziale). o Corax I: Verosimiglianza reale, si fonda su un “verosimile necessario”, generalmente condivisa e accettabile. “Sono troppo buono per aver commesso un omicidio” (perché realisticamente le persone buone tendono a non commettere omicidi)
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