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Mezzi di impugnazione: tipi, termini e distinzioni, Sbobinature di Diritto Processuale Civile

Diritto processuale civileProcedura GiudiziariaImpugnazione

Una dettagliata analisi dei mezzi di impugnazione, distingue i mezzi ordinari e straordinari e spiega come il termine per impugnare è collegato alla conoscenza legale della sentenza. Inoltre, il documento discute della differenza tra mezzi di gravame e mezzi di impugnazione e fornisce esempi di censure che possono essere mosse in un appello. Utile per chi sta studiando diritto processuale italiano.

Cosa imparerai

  • Come funziona il termine per impugnazione?
  • Qual è la differenza tra mezzi di gravame e mezzi di impugnazione?
  • Che tipi c' sono di mezzi di impugnazione?

Tipologia: Sbobinature

2018/2019

Caricato il 27/08/2019

piera88
piera88 🇮🇹

4.8

(4)

11 documenti

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Scarica Mezzi di impugnazione: tipi, termini e distinzioni e più Sbobinature in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Mezzi di impugnazione Sentenza sul c.d. filtro in appello C’è una prima distinzione tra mezzi: 1. ordinari -> la proposizione impedisce il passaggio in giudicato formale della sentenza e sono proponibili se la sentenza non è passata in giudicato formale (appello, cassazione, revocazione ordinaria, regolamento di competenza) N b. giudicato formale (art. 324) e giudicato sostanziale (art. 324) 2. straordinari -> proponibili anche dopo il passaggio in giudicato (opposizione di terzo e revocazione straordinaria) Ma la proponibilità è collegata ad un termine? Si: a. nell’impugnazione ordinaria -> il termine per impugnazione decorre da quando si realizza conoscenza legale della sentenza e distinguiamo un • termine lungo (6 mesi), decorre dalla pubblicazione della sentenza in cancelleria (non da quando biglietto di cancelleria al difensore). Se la sentenza è resa a norma dell’art. 281-sexies, il giudice da lettura del dispositivo e della concisa motivazione in udienza e la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che contiene la sentenza (dies a quo), poi pubblicata in cancelleria • termine breve (30 gg per l’appello, 60 gg per ricorso cassazione o revocazione sentenze pronunciate in sede di cassazione), legato all’attività di impulso che una delle parti può intraprendere, cioè all’attività di notificazione della sentenza. Dal giorno in cui la sentenza è notificata, decorre il termine per impugnare, poiché la notificazione produce la conoscenza legale della sentenza. La logica è quella di avere una funzione di accelerazione, non di allungare il termine per impugnare. La sentenza è stata pubblicata, già incombe il termine lungo, a ridosso dello scadere dei 6 mesi, una delle due parti notifica la sentenza ed i 30 gg ad es. vanno a cadere dopo il termine lungo…qual è il termine? Il termine lungo opera comunque, importa in ogni caso una decadenza per il termine a impugnare. La notificazione fa decorrere il termine per impugnare a carico di tutte le parti; b. nell’impugnazione straordinaria -> c’è un termine rispetto alla opposizione di terzo revocatoria (art. 404, co. 2) e rispetto alla revocazione straordinaria, solo che è peculiare e discende dalla ratio di questi mezzi legati alla denuncia di vizi che discendono da vicende esterne al processo (es. dolo del giudice o di una delle parti in danno dell’altra; collusione in danno di terzi, aventi causa, creditori; scoperta sopravvenuta di prove; dichiarazione della falsità delle prove su cui si è fondata la decisione) -> il termine decorre dalla conoscenza di questo vizio “esterno”, cioè non desumibile dalla lettura della sentenza. Nell’atto di impugnazione dovrò indicare quando ho avuto conoscenza legale del vizio e provare che l’ho conosciuto in quel momento. L’opposizione di terzo ordinaria (art. 404, co. 1) invece è senza termine, perché qui l’esigenza è quella del terzo che voglia vedere rimossa anche tra le parti una sentenza che va a pregiudicare un suo diritto autonomo, incompatibile e prevalente rispetto a quello dedotto in giudizio Altra distinzione è quella tra mezzi di gravame e mezzi di impugnazione. Prima l’appello tendeva ad essere più vicino al mezzo di gravame, mentre l’impugnazione in cassazione era l’impugnazione in senso stretto. Questa rigida contrapposizione ormai non ha più ragion d’essere. Mezzo di gravame = strumento con il quale si può lamentare l’ingiustizia della decisione precedente e provoca una sorta di automatico passaggio di tutta la controversia in primo grado di fronte al giudice di secondo grado, che la riaffronta tutta con una decisione che va in toto a sostituirsi a quella di primo grado -> ci si potrebbe anche limitare semplicemente a contestare la correttezza del giudizio di primo grado per farlo ridecidere tutto al giudice del gravame (c.d. impugnazioni automaticamente devolutive e rescissorie). Mezzo di impugnazione = è necessario denunciare specifici vizi della sentenza predeterminati dal legislatore, perché il giudice dell’impugnazione non conosce automaticamente di tutta la causa, ma solo i mezzi di impugnazione fatti valere -> giudizio di impugnazione articolato in fase rescindente (sulla fondatezza del motivo di impugnazione) e, eventualmente, rescissoria (rinnovazione del giudizio) -> quella rescissoria nella cassazione è tendenzialmente affidata a un giudice di rinvio. Se andiamo a vedere la riforma del 2012, il fatto che l’appello sia un mezzo di gravame puro non trova sicuramente conferma. In realtà non era neanche vero prima del 2012, ma a maggior ragione non lo è oggi. L’appello tende ad avvicinarsi sempre di più alla logica dell’impugnazione in senso stretto (alcuni parlano di appello cassatorio). Una distinzione tra appello e cassazione ovviamente c’è, ma è quella tra mezzi a critica libera e a critica vincolata. La cassazione, come la revocazione, è un mezzo di impugnazione a critica vincolata , perché è il legislatore a predeterminare quali sono le censure, i motivi di impugnazione che si possono muovere e la parte deve avere cura di incasellare le sue censure in uno dei motivi predeterminati dal legislatore. In questo tipo di giudizio a critica vincolata, il giudice dell’impugnazione anzitutto verifica se rispondenza tra censura e motivo predeterminato, valutando la fondatezza di quest’ultimo (fase rescindente). Nell’appello, che è un mezzo di impugnazione a critica libera, bisogna comunque articolare motivi di censura, solo che non c’è un elenco predeterminato dal legislatore. Questo nonostante l’art. 342, n. 1 e 2. L’appello non ha una fase rescindente e una fase rescissoria secondo lei: il motivo di impugnazione è richiesto (la parte deve dire dove si annida l’errore del giudice), ma in sé è sufficiente a provocare una rinnovazione del giudizio. Le impugnazioni in senso stretto come la cassazione provocano che, se il motivo è infondato, si ha solo una fase rescindente; mentre nell’appello, anche se il giudice respinge il motivo di impugnazione, la sua decisione sostituirà quella di primo grado (= se lo accoglie). Per proporre l’appello non basta limitarsi a dire che il giudice di primo grado ha errato, perché la Cassazione e il legislatore richiedono che sia articolato con indicazione di motivi di impugnazione a pena di inammissibilità. Infatti, i mezzi di impugnazione esistono non perché il giudice di secondo grado sia migliore rispetto a quello di primo grado, ma perché il giudice di impugnazione si trova con un materiale già sgrossato dal giudice di primo grado. Il motivo di impugnazione serve a far capire, da parte di colui che impugna, in quali punti della sentenza il primo giudice abbia errato. Quindi, il motivo di impugnazione è elemento essenziale al raggiungimento dello scopo dell’atto di impugnazione e l’indicazione del motivo di censura dovrebbe essere requisito a pena di nullità dell’atto di immaginazione senonché, dal momento che la proposizione di impugnazione va sottoposta a termini, la sanabilità di questo tipo di vizio è impensabile e la mancata indicazione porta a inammissibilità. L’inammissibilità è particolarmente grave perché porta alla non sanabilità e determina la conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza impugnata. In conclusione, anche per il giudizio di appello, oggi il legislatore all’art. 342 ha codificato un orientamento giurisprudenziale, per cui l’l’indicazione dei motivi di censura, che è libera, è richiesta a pena di inammissibilità e posso censurare sia errori in senso stretto processuali sia errori di giudizio. Quando si deducono censure soltanto processuali, nullità del procedimento, lo si deve fare in quanto si alleghi che l’errore processuale sia un sintomo della ingiustizia della decisione (l’infedeltà di una regola processuale in quanto tale non è rilevante) e quindi che, se la violazione processuale non vi fosse stata, la decisione avrebbe potuto avere un contenuto diverso. Addirittura la Cassazione dice che sarebbe necessario per l’impugnante dimostrare il concreto pregiudizio derivato alla parte. Questo perché le regole processuali servono per poter confidare nella giustizia della decisione. Adesso guardiamo all’orrido art. 342 come sostituito nell’estate del 2012. L’art. 342 richiede l’indicazione dei motivi (codificazione di una regola già giurisprudenziale) e delle parti di sentenza (che prima si riteneva implicita nell’indicazione del motivo) che si intende appellare. Il n. 1 riguarda la ricostruzione del giudizio del fatto e devo spiegare dove è l’errore. Il n. 2 riguarda la violazione della legge sostanziale e processuale e la sua rilevanza (v. sopra). Il n. 1 e il n. 2 spiegano cosa devo dedurre nel formulare il motivo di impugnazione, ma è diverso da una elencazione tassativa come quella che abbiamo nel ricorso per cassazione. Quindi, devo riportare la parte di sentenza e l’indicazione del motivo di impugnazione a pena di inammissibilità. Ma un atto di impugnazione è privo di inammissibilità anche in altre ipotesi tradizionali. È ammissibile quando: • è proposto nei termini di legge (la sospensione feriale non vale per le controversie di lavoro) • la parte non ha fatto acquiescenza • la parte ha legittimazione a impugnare e interesse ad impugnare. Acquiescenza (art. 329) = la parte non deve aver fatto accettazione espressa della sentenza (attraverso un negozio processuale unilaterale) o tacita (non deve aver posto in essere atti incompatibili con la volontà di impugnare -> non c’è acquiescenza quando la parte soccombente dà attuazione ad una sentenza che è esecutiva, es. paga, né quando la parte nel dare attuazione a una sentenza non esecutiva si riserva il potere di
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