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trascrizione video lezioni n 34, Appunti di Psicologia Sociale

trascrizione delle video lezioni in n 34 di teorie e metodi della psicologia sociale nuova edizione

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 15/05/2019

seth8gennaio
seth8gennaio 🇮🇹

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Scarica trascrizione video lezioni n 34 e più Appunti in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! Psicologia sociale La cognizione sociale Appunti dalla videolezione 1 col prof. Luciano Arcuri Argomenti: 1. Che cosa è la cognizione sociale 2. Quali sono i modelli e i costrutti di riferi- mento 3. In che settore della psicologia sociale si col- loca la cognizione sociale 4. Quali sono le radici teoriche da cui origina 5. Quali sono i metodi di indagine che vengono impiegati Che cosa è la cognizione sociale È un insieme di modelli per lo studio delle strutture cognitive e dei processi di elaborazione dell’in- formazione sociale. Tentiamo di capire in che modo gli individui attribuiscono un senso alle loro esperienze e inter- pretano il comportamento proprio e degli altri. Per fare questo analizzeremo il funzionamento: – delle strutture cognitive: i sistemi di rappresentazione mentale che ci permettono di interagire con il mondo delle nostre esperienze e con il mondo fuori di noi – dei processi di elaborazione dell’informazione sociale: quei processi interni all’individuo che partono dalla presa in carico delle informazioni provenienti dall’esterno ne fanno una integra- zione, combinazione e trasformazione per dar luogo a prodotti in uscita: giudizi, valutazioni, comportamenti. Modelli per lo studio delle strutture cognitive Quando parliamo di strutture cognitive parliamo di strutture di rappresentazione della conoscenza che ci consentono di ritagliare la realtà all’interno di contenitori: gli schemi. Essi ci permettono di in- teragire in maniera semplice e rapida con gli altri, come: – gli schemi di persona e di ruolo – schemi di sé – schemi di eventi Schemi di persona e di ruolo Gli schemi di persona riguardano il modo nel quale noi utilizziamo queste strutture di conoscenza per farci un’idea degli altri e, con gli schemi di ruolo, per farci un’idea delle loro azioni. Schemi di sé Quella particolare sfera di esperienze e cognizioni che stanno dentro di noi. Schemi di eventi Si tratta di strutture di rappresentazione di azioni e di sequenze ordinate di azioni, nell'ambito di uni- tà signifcative: gli eventi. Una lezione universitaria, ad esempio, è un evento e all'interno di questo evento possiamo individuare una serie di componenti, gli schemi di eventi ci consentono di organizzarle e utilizzarle. Modelli per l’analisi dei processi di elaborazione dell’informazione sociale In particolare parleremo della formazione delle impressioni di persona, all’interno di questa categoria utilizzeremo: – il processo di categorizzazione – il processo di attribuzione causale La cognizione sociale - 1 – i processi inferenziali – i processi di memoria Si tratta di quattro modalità diverse con le quali la nostra mente prende in carico le informazioni pro- venienti dall'esterno, le organizza, le combina, le integra e da queste conoscenze codifcate produce meccanismi di tipo inferenziale e attiva processi di memoria. I processi di categorizzazione: dalla categorizzazione degli oggetti fisici alla categorizzazione sociale Li realizziamo quotidianamente quando, ad esempio, entrando in un ambiente, passando per una via, organizziamo le informazioni di tipo visivo e le semplifchiamo, inserendo cioè in particolari contenitori tutti gli eventi, tutti gli oggetti, tutte le persone che corrispondono a certe caratteristiche. Donne, uomini, giovani, anziani, italiani, extracomunitari: con questi termini noi non facciamo altro che ridurre la complessità delle nostre interazioni sociali ad operazioni semplici, usando contenitori veloci da utilizzare. I processi di formazione delle impressioni di persona Vediamo allora i processi di formazione delle impressioni di persona individuando: – le fasi del processo – le possibili forme di integrazione – le teorie implicite Incontrare una persona che non abbiamo mai visto precedentemente e riuscire nell'arco di pochissi- mi secondi a costruire un'impressione riguardante quella persona che non abbiamo mai visto: è sim- patica, antipatica, disponibile, poco disponibile, sono tutte operazioni che realizziamo in maniera molto semplice a partire da un insieme di dati particolarmente poveri; non sappiamo nulla, eppure quelle prime informazioni sono suffcienti per costruire quella che si chiama un’impressione di per- sona. Tanto che successivamente saremo in grado di prevedere se quella persona, in un incontro successi- vo, sarà più attenta o meno attenta nei nostri confronti. Faremo delle ipotesi su come quella persona si comporterà. Non solo, ma a partire da alcune informazioni che quella persona ci manifesta, noi riusciremo, con l'uso delle cosiddette teorie implicite, ad inferire un qualche cosa che non è visibile: in che misura, ad esempio, una persona che ci sembra piacevole ci risulta anche simpatica; in che misura una persona che si manifesta attenta e pensierosa può essere considerata intelligente. I processi di attribuzione causale – psicologia del senso comune – locus della causalità – l’attribuzione di responsabilità I meccanismi dell'attribuzione causale sono dei meccanismi complessi e, per larga parte, del tutto in- consapevoli. Psicologia del senso comune La psicologia del senso comune studia il modo con il quale ciascuno di noi, nelle attività quotidiane, utilizza quello che possiamo chiamare il senso comune: il desiderio di interpretare la realtà sulla base di semplici regole, di semplici sistemi di coordinazione degli eventi, individuando delle relazioni di causa ed effetto, a volte in modo raffnato altre in modo grossolano. Locus della causalità Una delle attività che ciascuno di noi realizza, nel tentativo di interpretare la realtà che lo circonda, è quella di individuare il locus della causalità. Non ci limitiamo a registrare e a considerare come un dato del mondo tutti gli eventi di cui siamo testimoni, ma sono eventi per cui abbiamo bisogno di una interpretazione, di una spiegazione e quindi di cercare di capire perché qualcosa è capitato in una certa maniera e con certe conseguenze: l'individuazione delle cause degli eventi. Attribuzione di responsabilità Da qui si passa al terzo tema quello dell'attribuzione di responsabilità: qualcuno ha prodotto, con La cognizione sociale - 2 Auto-descrizione e auto-valutazione: il sé Parleremo anche dei settori in cui questi processi intraindividuali sono rivolti all'analisi del sé. Organizzazione delle credenze e delle valutazioni: gli atteggiamenti Vedremo anche come questi processi intraindividuali entrano in gioco nell'organizzare credenze e valutazioni che costituiscono quel costrutto che gli psicologi sociali chiamano gli atteggiamenti. Giudizio e decisione E vedremo poi come questi stessi processi entrino in gioco nell'ambito delle situazioni di giudizio e di presa di decisione. Ruolo esercitato sull’andamento dei processi cognitivi: - dai fattori ambientali e di contesto - dai fattori culturali Per quanto riguarda l'analisi e l'interpretazione del ruolo esercitato sull'andamento dei processi co- gnitivi, vedremo quale sarà il ruolo dei fattori ambientali e di contesto così come vedremo il ruolo dei fattori di tipo culturale. I processi di tipo cognitivo, benché di tipo prevalentemente intraindividuale, subiscono un’enorme infuenza dai fattori di tipo ambientale e di contesto in cui l'individuo si trova. Uno dei più formidabili elementi di contesto ambientale è il fattore di tipo culturale. Vedremo alcuni esempi di infuenza di questi fattori sull'andamento dei processi. Quali sono le radici teoriche da cui origina la cognizione sociale Approccio elementarista e approccio olistico I riferimenti flosofci hanno a che fare con 2 approcci: – l’approccio elementarista – l’approccio olistico. L'approccio di tipo elementarista fa riferimento alla corrente di pensiero che ha caratterizzato il ‘700 inglese: l’empirismo inglese (Hume). L'approccio di tipo olistico ha una radice riferibile al lavoro di Kant e alla soggettività della mente per come Kant la interpreta. Dall’approccio elementaristico deriva una tradizione associazionista che è quella che ha caratterizza- to le prime fasi di sviluppo delle conoscenze psicologiche; mentre invece dall’approccio di tipo oli- stico deriverà la tradizione della psicologia della Gestalt (K. Lewin). Kurt Lewin Faremo un brevissimo riferimento a Lewin e ai costrutti della sua teoria del campo, essendo egli uno dei padri fondatori della psicologia in generale e uno dei più grossi psicologi sociali. Si tratta di due possibili combinazioni che si ritrovano nell'ambito della teoria del campo di Lewin: – la relazione esistente tra l'individuo e la situazione: come le azioni di un individuo possano essere interpretabili sia alla luce dei fattori di tipo endogeno, ma come queste azioni siano anche il risultato di un intervento di fattori di tipo situazionale – il rapporto tra motivazione e cognizione: il modo in cui le nostre cognizioni funzionano, si sviluppano e danno luogo a dei risultati è anche frutto di una spinta di tipo motivazionale, senza la quale le cognizioni non avrebbero nessuno tipo di risultato. Molti dei nostri comportamenti sono il risultato della fruttuosa combinazione tra cognizione e motivazione. La cognizione sociale - 5 Quali sono i metodi di indagine che vengono impiegati Introspezione In psicologia i primi esperimenti, le prime indagini empiriche compiute nell’800 erano basate sostan- zialmente sul metodo introspettivo, e cioè veniva dato al soggetto sperimentale il compito di rico- struire e di esporre l'andamento dei propri processi di pensiero, immaginando che questo fosse il me- todo che più direttamente poteva intervenire nei processi che avevano un andamento interno. Era un metodo che aveva un certo interesse per quel periodo, ma che mostrò dei forti limiti. Analisi delle risposte comportamentali C'è stata poi un'altra infuenza di derivazione flosofca: l'utilizzazione dell'analisi delle risposte com- portamentali. È stato un secondo modo di affrontare i modelli di analisi del comportamento, di deri- vazione behaviorista. Per evitare le diffcoltà di interpretazione del metodo introspettivo, la soluzione era quella che derivava da questa assunzione: non mi interessa quello che capita in questa sorta di «scatola nera» che è la mente della persona, le uniche cose su cui posso focalizzare la mia attenzio- ne, in quanto osservatore esterno imparziale, è il comportamento realizzato da quella persona in re- lazione a certe condizioni stimolo. I meccanismi dell’apprendimento e così via, erano interpretati uti- lizzando prevalentemente l’analisi delle risposte di tipo comportamentale. Distinzione tra processi controllati e processi automatici Affronteremo l'analisi dei processi di tipo cognitivo facendo una fondamentale distinzione tra proces- si di tipo controllato e processi di tipo automatico. Si tratta di due grosse categorie di processi che ci consentiranno di effettuare confronti, paragoni, dif- ferenziazioni, e che ci permetteranno di realizzare una valutazione di tipo processuale del percorso delle idee nella mente di ciascuno di noi. La cognizione sociale - 6 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli dettagliati; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Psicologia sociale I processi cognitivi. Da quelli controllati a quelli automatici Appunti dalla videolezione 2 col prof. Luciano Arcuri Argomenti: 1. l’infuenza dei processi automatici nella vita di ogni giorno 2. che cosa intendiamo per processo automatico 3. quali sono le differenze rispetto al processo controllato 4. il ruolo dei processi automatici nel giudizio sociale 5. il continuum basato sul potenziale di inibizione L'influenza dei processi automatici nella vita di ogni giorno Vediamo l’infuenza dei processi automatici verifcando il loro funzionamento in diversi ambiti della nostra esperienza, per esempio: – automaticità nei sentimenti e nei pensieri – automaticità nell’individuare scopi e intenzioni Nella nostra esperienza quotidiana le molte azioni che realizziamo possono essere imputabili ad uno dei due processi: automatici o controllati. Provate ad immaginare una semplice situazione: entro in un negozio e sulla base di operazioni consapevoli di confronto, analisi, ricordo, acquisto un prodotto, per esempio un casco di banane: faccio una ricognizione sulla frutta che mi sembra migliore, sul rapporto qualità prezzo e alla fne opero una scelta opportuna. Tutto questo è una serie di operazioni che ho realizzato in maniera intenzionale e consapevole. Ancora un esempio: guidare nel traffco mentre faccio anche altro, mentre parlo col vicino di guida, oppure sto pensando a qualche problema. Alla fne di queste operazioni non mi sono reso contro del- le attività motorie che ho realizzato: guidare, accelerare, frenare, ecc. tutte operazioni che ho realiz- zato per larga parte con comportamenti automatici. In psicologia sociale, avremo la possibilità di individuare situazioni in cui i giudizi nei confronti degli altri, oppure le attività volte a realizzare uno scopo, non sono sempre frutto di processi di tipo con- trollato, ma qualche volta sono il frutto di meccanismi che avvengono con processi automatici. Esempi di ricerca sull’influenza dei processi automatici nella manifestazione di comportamenti, scopi intenzioni Esperimento di Carver (1983): priming semantico di ostilità/neutralità e successivo comportamento di insegnante punitivo Nell’esperimento di Carver e collaboratori, abbiamo un soggetto sperimentale che deve effettuare un compito di priming semantico: compaiono una serie di parole sullo schermo, e la persona deve prendere una decisione sintattica o lessicale rispetto ad altre parole che compaiono successivamente. Mentre le seconde parole sono quelle su cui il soggetto deve prestare attenzione, le prime parole di tipo priming sono degli stimoli ai quali il soggetto non deve prestare attenzione. Il dato è però che malgrado questa «non attenzione» intenzionale, pure sono stimoli che entrano nell’ambito della mappa delle informazioni e possono avere delle infuenze su comportamenti successivi del soggetto. Anche se il soggetto non riesce a collegare una possibile relazione tra i suoi comportamenti e queste parole prime a cui era stato esposto precedentemente. Nell’esperimento, le parole prime appartenevano a due possibili aree concettuali: l’area dell’ostilità I processi cognitivi. Da quelli controllati a quelli automatici - 1 L’effetto di mera esposizione Uno stimolo (un viso umano, un oggetto), presentato più volte, diventa uno stimolo che verrà giudi- cato più positivamente. Il solo fatto di essere presentato più volte, determina una sorta di mobilitazio- ne verso l’alto nella scala della valutazione. Non sono consapevole che ciò che infuenza il mio giu- dizio è il numero di volte che io ho avuto modo di rapportarmi rispetto quello stimolo. Qualche volta siamo consapevoli degli stimoli ma non degli effetti Qualche volta siamo consapevoli delle condizioni che determinano un vissuto di tipo emozionale, ma non siamo in grado di interpretare in maniera corretta un effetto di tipo emozionale prodotto dal- lo stimolo. Uno stimolo ci pare più o meno piacevole in relazione ad una interpretazione più o meno corretta per esempio degli indicatori di tipo psicologico o fsiologico (lo vedremo nella teoria bifatto- riale delle emozioni). Ruolo del sovraccarico cognitivo Quanto più impegnamo le persone in situazioni in cui si attivano processi automatici, tanto più possiamo impegnare quelle persone in attività di tipo diverso. Come si realizza il sovraccarico cognitivo: – la velocità di presentazione dell’informazione – la quantità di informazione da integrare e ricordare – pressione temporale per l’emissione della risposta – presentazione di un compito in contemporanea sono tutte situazioni che, se impiegate opportunamente in paradigmi sperimentali, fanno in modo che la persona che sta giudicando stimoli, che sta facendo valutazioni, fatalmente passi da processi di tipo strategico controllato a processi di tipo automatico. Quindi: quanto più riusciamo a portare la persona dai processi strategici a processi automatici, tanto più andremo alla radice dei giudizi e dei sistemi di valore della persona, indipendentemente dalla sua capacità di controllo. Dalla distinzione tra automatico e controllato a quella tra implicito ed esplicito: il continuum del potenziale di inibizione Strumenti di tipo implicito ed esplicito per registrare le risposte delle persone. Tradizionalmente in psicologia sociale le risposte che i soggetti ci danno, hanno a che fare con stru- menti che riguardano diverse modalità di risposta. La variabile cruciale che noi possiamo analizzare è il grado di controllo da parte della persona sulla risposta da lei effettuata. Il continuum del potenziale di inibizione, che è questo nuovo modello, ci fa vedere la relazione tra processi automatici versus processi controllati e tra misure di tipo esplicito ed implicito. Abbiamo qui una serie di possibili strumenti che sono stati utilizzati in psicologia sociale per registra- re le risposte delle persone, per esempio in situazioni di somministrazione di un questionario, o di analisi di un comportamento. I processi cognitivi. Da quelli controllati a quelli automatici - 4 Razzismo vecchia maniera Per esempio in una particolare modalità di comportamento come il caso del razzismo vecchia manie- ra: ci sono persone che non hanno problemi nel celare il loro razzismo nei confronti dei gruppi ester- ni. Queste persone possono manifestare il loro atteggiamento in maniera palese, e lo fanno sulla base di strumenti che direttamente accedono a questi contenuti di conoscenza:«Penso molto bene del mio gruppo, penso molto male del gruppo con cui mi confronto». La discriminazione palese C’è poi la discriminazione palese, ma anche ci sono strumenti che via via ci consentono di ottenere risposte in maniera più o meno diretta. Per esempio: ho una serie di ricompense e posso utilizzare queste ricompense per dare dei premi ai membri del mio gruppo o a membri dell’altro gruppo. Senza chiedere direttamente: «Cosa ne pensi del tuo gruppo - Cosa ne pensi dell’altro gruppo», posso verifcare qual è la logica che la persona utilizza nell’allocare queste ricompense a membri del proprio gruppo o a membri di un gruppo esterno. Scale di razzismo moderno Sono scale che pongono l’individuo di fronte ad affermazioni che celano il loro reale contenuto. Scale di pregiudizio latente Andare non solo alla componente manifesta e vistosa del pregiudizio, ma cercare di cogliere le com- ponenti più di tipo implicito, meno controllate e vistose. La distanza di seduta Provate a chiedere a una persona che tipo di atteggiamento ha con un membro di una minoranza, ad esempio: «Cosa ne pensi dei neri», la persona può darci indicazioni in termini espliciti, ma noi pos- siamo creare una situazione in cui mettiamo due persone: un bianco e un nero uno vicino all’altro e chiediamo alle persone di interagire. La nostra analisi è riguardante il comportamento del bianco. E allora la distanza di seduta è la distanza che la persona bianca ritiene accettabile nei termini di un’interazione con un nero. Si è visto che le persone che hanno più atteggiamenti di pregiudizio nei confronti dei neri, mantengono una distanza di seduta più lontana rispetto al nero. I bias di tipo linguistico Ci dicono che il modo in cui ci comportiamo linguisticamente per descrivere i comportamenti del nostro gruppo e di gruppi esterni, sono un’indicazione del modo in cui noi valutiamo il nostro e il gruppo esterno. Si tratta di una tecnica più indiretta e meno esplicita. Il contatto oculare Quanto tempo dedico a guardare una persona negli occhi. Anche in questo caso quanto più io accet- to il confronto l’interazione con quella persona, tanto più a lungo avrò questo contatto oculare; quan- to più voglio aumentare la distanza con la persona, tanto più frequentemente dislocherò il contatto oculare. Il continuum del potenziale di inibizione: esempi Come vedete passiamo da risposte deliberate esplicite e consapevoli, quelle dei primi item di questa scala, a risposte sempre meno deliberate meno esplicite meno consapevoli. L’inibizione nel caso di un razzista prima maniera, sarà molto facile: se io non voglio manifestare il mio pregiudizio sarò sempre in grado di censurare le mie risposte. Quando invece vado a queste mi- sure di tipo indiretto, risulterà sempre più diffcile inibire le mie risposte: ci stiamo spostando da pro- cessi controllati a processi sempre più di tipo automatico. Abbiamo poi in questa scala [V. fgura a dx a pag. 4]: - i comportamenti non verbali, - chi ha detto che cosa, - il compito della persona famosa, - i meccanismi di associazione implicita, - il compito Stroop, - il priming semantico, e - le reazioni fsiologiche. Ci muoviamo velocemente nell’ambito dei processi per larga parte di tipo automatico e non controllato e per i quali non si ha l’inibizione e le risposte non saranno più deliberate né esplicite né I processi cognitivi. Da quelli controllati a quelli automatici - 5 consapevoli. Chi ha detto che cosa Posso presentare alla persona delle affermazioni prodotte da membri dell’ingroup e da membri dell’outgroup. Pensate a un tavolo di discussione tra bianchi e neri. Se io sono una persona che ha una forte componente di pregiudizio, sarò portato ad aumentare il numero di errori entro la razza e a diminuire il numero di errori tra le razze. Il contenitore bianchi e neri è un contenitore molto effciente e allora se mai ci saranno degli errori da attribuire, questi errori saranno prevalentemente all’interno degli stessi contenitori: se faccio un errore nell’attribuire una frase a un nero l’attribuirò ad un altro nero, se faccio un errore nell’attribuire una frase a un bianco l’attribuirò ad un altro bianco. Esistono dei blocchi, delle categorie tra loro impermeabili, attraverso le quali le frasi sbagliate non passano. Il compito della persona famosa Posso chiedere a un gruppo di italiani del nord e del sud di riconoscere degli esemplari di persone famose che tipicamente sono settentrionali o meridionali. Se ci sono casi in cui meridionali e settentrionali si percepiscono come appartenenti a due gruppi diversi, quello che succede è esattamente quello riportato nel grafco. Sono particolarmente bravo nell’individuare degli esemplari positivi del mio gruppo: una persona famosa ammirevole piacevole ecc., viene riconosciuta con tempi di latenza molto bassi. Se la persona è del mio gruppo ma ha delle condotte di tipo negativo, più diffcilmente riesco a riconoscerla come appartenente al mio gruppo. I risultati sono speculari per quanto riguarda il gruppo opposto: sono più bravo a riconoscere una persona dell’altro gruppo quando questa mette in atto dei comportamenti di tipo negativo; sono più lento a riconoscerla come appartenente all’outgroup, quando mette in atto comportamenti di tipo positivo. Priming semantico Abbiamo situazioni in cui partecipanti bianchi e neri debbono giudicare delle parole di tipo positivo e negativo, avendo come stimolo prime il volto di un nero e il volto di un bianco. I volti di un nero attivano, per un partecipante bianco, particolari facilitazioni per riconoscere parole di tipo negativo. Hanno un punteggio di diffcoltà maggiore nel caso in cui la parola positiva sia preceduta dal volto di un nero. I partecipanti neri, a loro volta, realizzano una prestazione che è speculare rispetto a quella dei partecipanti bianchi: hanno una velocità alta nel riconoscere un termine di tipo negativo quando è preceduto dal volto di un bianco. Conclusioni I processi automatici per larga parte infuenzano la nostra condotta, i nostri giudizi, e le nostre scelte. Il dato talvolta inquietante è che tali processi avvengono sulla base di meccanismi per i quali noi non abbiamo consapevolezza. Quindi qualche volta siamo convinti di agire sulla base di scelte di tipo razionale, mentre invece le nostre scelte sono frutto di processi i cui prodromi sono per noi inconsapevoli. È importante quindi sapere che esiste questa fascia di processi, ed essere consapevoli dei possibili pericoli per quanto riguarda il giudizio sociale. I processi cognitivi. Da quelli controllati a quelli automatici - 6 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli dettagliati; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Gli schemi semplificano il lavoro di analisi dei flussi di informazione, ma in ogni semplifi - cazione è nascosta una perdita. Se vedo un oggetto una persona o un evento, e dopo poco tempo riconosco l’oggetto la persona o l’evento, non ho bisogno continuare a prestare molta attenzione a quello che sta accadendo o che sto vedendo, perché avendo ormai classifcato l’evento la persona o l’oggetto, ho maturato un sistema di aspettative su cosa farà la persona o succederà in seguito all’evento e posso riservare minore attenzione al compito di analisi. Questo ha un costo, la semplifcazione eccessiva, perché non tutti gli esemplari riferibili allo schema sono analoghi e se sono presenti informazioni che si discostano dallo schema, se non sono particolarmente evidenti, vengono perse. Esempio del vigile urbano che non dà la multa Per esempio: vedo un vigile urbano che tira fuori il taccuino per fare una multa a una macchina ma poi, sconsolato, lo ripone perché vede che proprio non c’era posto dove parcheggiare e prosegue la sua strada. Ecco: se questo comportamento non è particolarmente evidente (per esempio accompa- gnato da una verbalizzazione), quando ricorderò l’episodio è probabile che mi sbagli, che ricordi che il vigile si sia comportato in maniera stereotipica cioè abbia multato le macchine in divieto. Se io per- do le informazioni che non sono coerenti con lo schema, gli schemi diventano conservatori, resistono al cambiamento. L’informazione non coerente con lo schema viene disattesa, quella coerente con lo schema viene ricordata e notata. Ogni volta che utilizzo uno schema, questo diventa via via sempre più radicato nella mia memoria a lungo termine e diventa sempre più diffcile modifcarlo. In questo caso lo schema si è comportato in modo conservatore. Qualsiasi comportamento non stereotipico viene notato poco, o ignorato, e a quel punto diventa impossibile modifcare la concezione che ho ad esempio dei vigili urbani. Il ruolo dell’attivazione Per poter essere impiegato uno schema deve essere «attivato». Ogni oggetto, ogni evento che si presenta ai nostri occhi, non ha un’unica possibilità di interpretazio- ne, spesso esistono possibilità di classifcazioni diverse per la stessa persona, per lo stesso evento. Un vigile urbano può anche essere visto come romano, europeo, italiano, maschio, ecc. A seconda di come lo classifco utilizzerò uno schema interpretativo diverso per il suo comportamento. Per capire come viene codifcata una persona è necessario prestare attenzione al concetto di attivazione. In ogni istante della nostra vita ognuno degli schemi che possediamo in memoria è caratterizzato da uno «stato di attivazione» Possiamo immaginarlo come il livello di carica di una batteria: nella nostra memoria abbiamo tanti concetti, ad ogni concetto è associata una carica. Questa è una metafora di tipo energetico, ma la formalizzazione scientifca è in termini di probabilità: maggiore è lo stato di attivazione di una strut- tura di conoscenza (lo schema), più elevata è la probabilità che venga impiegata per elaborare le in- formazioni in ingresso. Quindi quale schema verrà utilizzato per classifcare un oggetto, un evento, dipende dal suo livello di attivazione. Data una diversa possibilità di codifca dello stesso evento, della stessa persona, la strut- tura di conoscenza che di fatto interviene per la codifca è quella che in quel momento ha una mag- giore probabilità. Questa probabilità è data dalle interazioni col mondo in cui viviamo, ognuno di noi in un certo istan- te ha certi concetti caricati con una certa probabilità di intervenire più di altri. Ciò che ascoltiamo, facciamo, vediamo, ecc. va ad attivare particolari concetti e non altri. Una volta attivato, il concetto rimane attivato per un certo tempo e poi il livello decresce nel tempo e magari un altro aumenta il suo livello di attivazione. Situazioni diverse attivano schemi diversi per la stessa persona Supponiamo di trovarci di fronte ad una persona come quella della foto. Possiamo immaginarci due scenari: I processi di elaborazione dell’informazione sociale - 3 Situazione di attivazione di tre concetti, tre schemi con i quali codifcare l’informazione in ingresso. Potremmo decidere che è un giovane, un terrorista, oppure uno studente. Situazione 1 Supponiamo di aver appena visto un telegiornale dove abbiamo ascoltato la notizia di un attacco terroristico. Questa notizia ci ha modifcato il livello di attivazione dei nostri schemi e in quel preciso istante il concetto di terrorista è più carico rispetto a quello di giovane e di studente. Se noi incontriamo ora la persona della foto, lo codifchiamo come terrorista, ignorando che possa essere uno studente o un giovane. Situazione 2 Supponiamo di essere appena stati all’università, abbiamo lo schema università mondo studentesco altamente saliente in memoria, e sarà il concetto di studente ad essere più carico e ad avere una maggiore probabilità di intervenire nella successiva codifca delle informazioni. Incontrando quella stessa persona della foto in questa situazione, con ogni probabilità la riconoscerò come studente. Nella Situazione 1 tutto ciò che non sappiamo di questa persona, viene supplito da tutto ciò che noi sappiamo dei terroristi e quindi cominceremo a preoccuparci e ad osservarla con sospetto. Nella Situazione 2 invece, è lo schema di studente che viene applicato a quella persona: tutto ciò che non ci è immediatamente evidente di quella persona, viene supplito da tutte le informazioni contenute nello schema di studente. Il ragionamento euristico Un agente intelligente deve essere in grado di usare le conoscenze di cui è dotato per elaborare altre conoscenze, per orientare il suo comportamento e per risolvere problemi di varia natura. «Agente intelligente» perché la problematica si applica alla psicologia animale, all’intelligenza artifciale, alla psicologia cognitiva, alla psicologia sociale. E’ un problema comune, si tratta di utilizzare le conoscenze di cui si dispone per risolvere problemi; e questo lo fanno, umani, animali, e sistemi automatici, ovviamente con esigenze e modalità diverse. Se passiamo al lato umano e sociale possiamo dire che in particolare una persona deve essere in gra- do di affrontare rapidamente con successo i problemi che derivano dalla sua interazione quotidiana col mondo sociale in cui vive. Nella soluzione dei problemi sono possibili due strategie: – analisi sistematica delle possibilità – ragionamento euristico Analisi sistematica delle possibilità Stiamo uscendo di casa e non troviamo più le chiavi: è un problema di interazione col mondo in cui viviamo. Di fronte al problema «Cerca le chiavi», possiamo costruirci un albero che descrive l’intero spazio del problema. Le chiavi possono essere in 3 stanze diverse, su superfci di- verse ecc. Si passa all’analisi di tutte le stanze e la ricerca si arresta solo quando troveremo le chiavi. È una strategia sistematica, prevede che tutti i rami vengano esplorati uno dopo l’altro e si arresta solo quando arriva alla soluzione. Posso anche esplorare i rami in profondità oppure in orizzontale. I processi di elaborazione dell’informazione sociale - 4 Esplorazione sistematica in orizzontale Scorciatoie euristiche Quello che però gli esseri intelligenti fanno, al contrario delle macchine, è utilizzare delle scorciatoie. Per esempio posso decidere a priori che le chiavi devono essere in cucina, questo permette al mio sistema cognitivo una semplifcazione dello spazio del problema. Oppure un’altra euristica è: «Le chiavi sono in qualche cassetto», esploro tutti i cassetti delle stanze senza analizzare le superfci e i chiodi. Queste euristiche rappresentano una scommessa: in base a qualche ricordo, ipotizzo che le chiavi debbano essere dentro un cas- setto, ma non è detto: possono semplifcare il problema, ma possono anche renderlo insolubile. Le euristiche nel giudizio sociale Buona parte dei comportamenti che attuo nel contesto sociale in cui vivo, in realtà sono risposte a situazioni problematiche: Come mi devo rivolgere a una persona appena conosciuta? Devo darle del lei o del tu, mi avvicinerò o starò ad una certa distanza?... Sono problemi da risolvere per regolare la propria interazione con il contesto sociale. Ci accorgiamo di aver utilizzato delle euristiche solo nel momento in cui queste ci portano al risultato «sbagliato», cioè diverso da quello cui si sarebbe giunti attraverso un ragionamento sistematico. Ma torniamo al problema delle chiavi e alla situazione in cui penso che siano in un cassetto, ma non le trovo in nessuno: allora mi accorgo che la mia euristica era sbagliata, ha portato ad un fallimento. Allo stesso modo in un ambiente sociale, posso fare delle gaffe dando del tu a una persona avendo adottato l’euristica: «È giovane, allora gli do del tu», per poi accorgermi che è il preside di facoltà. Utilizzo delle euristiche in psicologia sociale Questo stesso ragionamento viene usato anche in psicologia sociale per scoprire come le persone sono giunte a un risultato, come hanno pianifcato il loro comportamento. Vengono sfruttati gli errori che le persone commettono: dall’errore riusciamo a risalire alle euristiche che avevano usato per pianifcare il proprio comportamento. Mentre il comportamento corretto in realtà ci dice molto meno. L’analisi degli errori nella formulazione di giudizi sociali e nella presa di decisioni, ha portato alla de- scrizione di alcune forme molto diffuse di ragionamento euristico. Proprio l’analisi degli errori che le persone compiono, quando valutano un’altra persona o pianifcano il comportamento di interazione sociale, ha portato ad evidenziare le più diffuse euristiche di giudizio: – euristica della rappresentatività – euristica della disponibilità – riferimento al sé Euristica della rappresentatività Le informazioni tipiche infuenzano il giudizio più di informazioni atipiche. Dovendo decidere se una persona fa parte di una categoria, se Mario è un avvocato, e sapendo che Mario è loquace, il fatto che loquace sia una caratteristica tipicamente rappresentativa degli avvocati, mi fa propendere che Mario sia effettivamente un avvocato. Tra i vari tratti, sono quelli più tipici di una categoria quelli che hanno più probabilità di essere im- piegati nel giudizio. Questa tendenza sistematica è l’euristica della rappresentatività. Euristica della disponibilità La facilità con cui le informazioni vengono recuperate dalla memoria viene utilizzata come indice di frequenza. Se un tassista osserva un turista guardarsi in giro con aria smarrita, potrebbe essere un possibile clien- I processi di elaborazione dell’informazione sociale - 5 Esplorazione sistematica in profondità Esplorazione euristica – da un lato noi riusciamo facilmente ad interagire con persone appena conosciute, – dall’altro questo sistema, che appare così effcace, si rivela come particolarmente soggetto ad errori. La ragione sta nel fatto che la percezione sociale è governata da sistemi di pensiero effcaci ma im- precisi. Il loro compito è quello di raccogliere e organizzare il fusso ininterrotto di informazioni che arrivano dall’ambiente sociale. Immaginate quello che avviene mentre si cammina in una strada affollata: riusciamo a capire più o meno che lavoro fanno le persone che incontriamo, dove sono dirette, perché sono vestite in quel modo: quindi noi organizziamo questo fusso di informazioni. Nell’interazione sociale, la mente umana funziona come un sistema di elaborazione delle informazioni, l’analogia è quella del compu- ter: il computer analizza le informazioni digitali, la mente umana organizza le informazioni prove- nienti dall’ambiente in cui vive. Il sistema che governa la percezione di persone è: – fessibile – effcace – euristico – parzialmente inconsapevole – ampiamente automatizzato È flessibile Deve poter valutare bambini e adulti, uomini e donne, persone simili a noi e persone molto diverse, qualsiasi essere umano. Efficace Deve metterci in grado di interagire in maniera appropriata con le persone che incontriamo. Immagi- nate di entrare in un ambiente sconosciuto: in un capannone dove assemblano frigoriferi. In questo ambiente dovete rapidamente trovare strategie comportamentali per agire senza creare pericolo per voi stessi e senza creare danni. Parallelamente, il sistema di percezione delle persone, ha un compito analogo nella percezione degli ambienti sociali: abbiamo bisogno di capire nel più breve tempo pos- sibile, chi abbiamo di fronte per poter modulare il nostro comportamento in funzione di quella perso- na: dare del tu o del lei, non commettere gaffe, ecc. Euristico Deve fornirci un risultato attendibile, anche se abbiamo scarse informazioni disponibili. Parzialmente inconsapevole Non deve costringerci a pensare attivamente alle operazioni coinvolte, altrimenti non riusciremmo a fare nient’altro. Ampiamente automatizzato: routine iper-apprese Per non sovraccaricare il sistema di elaborazione, ci si avvale di routine di elaborazione iper-apprese. Quando impariamo a guidare l’automobile, i primi tempi dobbiamo concentrarci attivamente su ogni nostro movimento, dopo un certo periodo queste operazioni diventano routine iper-apprese: non ri- chiedono più la stessa attenzione, infatti poi riusciamo pure a parlare con la persona che ci sta ac- canto, ascoltare la radio,... e contemporaneamente guidare. Nel sistema di elaborazione delle informazioni che governa la percezione di persone, avviene la stes- sa cosa: all’inizio, ad esempio al primo incontro con un medico, impariamo molto da quest’interazio- ne, poi nei successivi incontri sapremo come comportarci correttamente senza più bisogno di con- centrarci sull’analisi delle informazioni provenienti dalla persona che abbiamo di fronte. La percezione sociale come processo sequenziale [modello sequenziale di Gilbert] Il sistema che governa la percezione di persone lo possiamo descrivere come un sistema di operazio- ni sequenziali. La percezione degli altri - 2 La percezione sociale può essere descritta come un processo in 3 stadi ciascuno caratterizzato da di- verse operazioni: – stadio 1: categorizzazione dello stimolo – stadio 2: caratterizzazione dello stimolo – stadio 3: correzione della prima impressione Stadio 1: categorizzazione dello stimolo La categorizzazione consiste in una prima interpretazione dei dati senso- riali: apparenza fsica e comportamento. Ad esempio qui non vediamo un uomo che solleva le braccia, ma un uomo che esulta. La categorizzazione è quindi un procedimento in base al quale il dato immediato di sensazio- ne percettiva riceve una prima interpretazione, un primo signifcato. Stadio 2: caratterizzazione dello stimolo E’ un processo durante il quale vengono inferite le caratteristiche disposizionali capaci di elicitare il comportamento osservato. Esempio: esulta vistosamente perché è un tipo passionale. Troviamo quella che è una spiegazione per il suo comportamento. Questo modello sequenziale ci dice che la prima spiegazione che diamo è di tipo disposizionale: ricerchiamo la caratteristica di personalità in grado di spiegare ciò che abbiamo osservato. Stadio 3: correzione della prima impressione La correzione modifca le conclusioni raggiunte dalle operazioni condotte analizzando le caratteristi- che della situazione. Esempio: non è un tipo passionale, ma ha appena saputo di aver vinto una grossa cifra. La persona che noi disposizionalmente avevamo immaginato come persona esuberante, in realtà in questo caso esulta perché ha vinto una grossa cifra. Abbiamo trovato una spiegazione alternativa alla prima ana- lizzando non più la persona ma il il contesto, noi troviamo una nuova spiegazione che può essere coerente o può sconfermare la prima. Se le risorse sono scarse, la correzione verrà omessa, la valutazione di un individuo sarà quella detta- ta dalla prima impressione. La correzione della prima impressione richiede molte risorse cognitive Questo avviene perché l’analisi della situazione è un’operazione che dal punto di vista di risorse mentali coinvolte, è più onerosa: ci occorre molta più attenzione, per analizzare le caratteristiche della situazione in cui l’azione ha avuto luogo e correggere la prima impressione. Spesso nella vita quotidiana ognuno di noi è coinvolto contemporaneamente in più compiti: leggere un libro e con- temporaneamente ascoltare una canzone alla radio, oppure cerco le chiavi e contemporaneamente parlo col vicino di sedia, in tutti questi casi l’attenzione (che è la nostra quantità di risorse d’elabora- zione disponibili), viene suddivisa fra i diversi compiti in esecuzione. Quindi spesso non abbiamo a disposizione tutte le risorse di elaborazione disponibili per portare a termine un compito di percezio- ne sociale. Le prime due operazioni del processo sequenziale, che sono relativamente automatiche, verranno portate a compimento senza sforzo, sarà invece più diffcile portare a termine un’operazione di corre- zione. Quindi se siamo parzialmente impegnati con qualcos’altro ci fermeremo all’impressione ini- ziale. Nel caso in cui la nostra mente sia sgombra da altri pensieri, avremo modo di correggere l’im- pressione iniziale dopo aver valutato le caratteristiche della situazione in cui il comportamento ha avuto luogo. Esperimento di Gilbert: correzione della prima impressione e compito interferente Nell’esperimento di Gilbert [1989], due gruppi osservano un flmato con un individuo di cui essi de- vono valutare il reale atteggiamento. I soggetti del primo gruppo hanno piena disponibilità di risorse di elaborazione, gli altri svolgono, durante la visione del flmato, un compito interferente che sottrae attenzione. Quello che viene osservato è un individuo che è chiamato a scrivere e poi leggere ad alta La percezione degli altri - 3 voce un testo contro-attitudinale, cioè un testo che sostiene posizioni che sono diverse dalle sue: ad esempio è a favore di un intervento militare, ma gli chiedono di scrivere un testo contro la guerra. Viene chiesto ai soggetti di valutare qual è il reale atteggiamento di questa persona. Il primo gruppo che ha piena disponibilità delle risorse attentive porta a termine il compito di valuta- zione e giudizio sociale senza interferenze: categorizzano l’individuo, gli attribuiscono una disposi- zione un atteggiamento sulla base del comportamento osservato. Inizialmente gli attribuiranno un atteggiamento coerente con ciò che legge, ma prendendo consapevolezza che questo individuo è stato chiamato a scrivere e leggere un testo contro-attitudinale correggeranno la prima impressione e saranno capaci di dire invece che questa persona ha un atteggiamento in realtà contrario a ciò che legge. Il secondo gruppo di soggetti osserva il flmato in una condizione in cui parte della loro attenzione è distolta da un compito da eseguire in contemporanea. Questi soggetti riescono a svolge- re le prime due tappe del processo di formazione di impressione di personalità: categorizzano la per- sona, trovano una spiegazione disposizionale al comportamento osservato, quindi immaginano che questa persona sia contraria all’intervento militare [cioè abbia un atteggiamento coerente con ciò che legge], ma poi non riescono a correggere l’impressione iniziale perché la loro attenzione è distolta dal compito interferente. Non riescono a prendere in considerazione tutte le caratteristiche della situazione di cui avrebbero bisogno per correggere l’impressione iniziale. Risultati: nell’esperimento di Gilbert i due gruppi danno della persona osservata un’immagine molto diversa. Il primo gruppo con piena disponibilità di risorse cognitive dà un’immagine reale della persona osser- vata, il secondo gruppo con possibilità di attenzione ridotta invece descrive la persona come coeren- te con il testo contro-attitudinale di cui hanno sentito la registrazione. Le valutazioni dei due gruppi sono profondamente diverse perché l’operazione di correzione è complessa: l’individuo deve ipotiz- zare contemporaneamente due possibili origini del comportamento osservato e scegliere fra le due. Un corollario evolutivo al modello sequenziale Da un punto di vista evolutivo questa è un’operazione molto complicata che può essere portata a ter- mine solo quando l’individuo ha raggiunto quella che Piaget chiamava fase del pensiero logico-for- male. Quindi il modello sequenziale di formazione di impressione di personalità, ha come corollario un’ipotesi evolutiva: se non si è raggiunto lo stadio logico-formale non è possibile operare la corre- zione. Questo vuol dire che bambini più piccoli si dovrebbero fermare al secondo stadio, mentre bambini più grandi dovrebbero concludere il processo. Mostrando uno stesso flmato a bambini di di- verso livello di sviluppo si nota come solo i più maturi riescano a correggere l’impressione iniziale. Il ruolo delle aspettative Informazioni provenienti dalla nostre esperienze passate Oltre ai dati sensoriali, usiamo come fonte di informazioni le nostre esperienze passate. Ciò che già sappiamo costituisce un quadro di riferimento piuttosto ricco in cui collocare ciò che andiamo sco- prendo. E’ vero che abbiamo dal mondo sociale in cui viviamo una massa di informazioni che il nostro siste- ma organizza e seleziona istante per istante, ma è anche vero che ciò che osserviamo acquista un senso sulla base di quanto già sappiamo. Le informazioni che abbiamo raccolto nella nostra memoria a lungo termine, sono in grado di guida- re il processo di formazione di impressione di personalità. Poter contare su di un sistema di memoria ha vantaggi: con poca informazione riusciamo ad avere una visione articolata; ma anche svantaggi: si rischia di attribuire ad una persona caratteristiche che non possiede. Una prima fonte: le associazioni fra caratteristiche psicologiche come teorie implicite di personalità Una prima fonte di informazione che possiamo recuperare dalla memoria è data dall’associazione fra caratteristiche psicologiche, per esempio generoso/onesto. Nella nostra vita abbiamo frequentemente esperito in maniera associata le caratteristiche generoso e La percezione degli altri - 4 Psicologia sociale La formazione di impressioni complesse Appunti dalla videolezione 5 col prof. Stefano Boca Argomenti: 1. modelli confgurazionali e modelli alge- brici 2. il modello del continuum 3. il modello basato sul ricordo di esemplari Modelli configurazionali e modelli algebrici di formazione di impressioni di per- sonalità Sono un po’ i precursori storici di quelli che sono i modelli più accreditati che descrivono i meccani- smi di pensiero dell’impressione di persone e del giudizio sociale. Ciò che andiamo scoprendo di una persona è in grado di modifcare il valore che attribuiamo a quan- to veniamo a conoscere successivamente? Ci chiediamo se l’impressione che ci fornisce la sequenza di informazioni: intelligente affettuoso e tirchio è equivalente a: tirchio affettuoso e intelligente. Inver- tendo l’ordine dei fattori ci chiediamo se cambia il giudizio che formuliamo di una persona. A secon- da della risposta che diamo a questa domanda, abbiamo due modelli teorici completamente diversi della percezione sociale: – se rispondiamo sì avremo i modelli confgurazionali, in particolare quello di S. Asch (1947) – se rispondiamo no avremo i modelli algebrici, formulati per la prima volta da N. Anderson (1981) Il modello configurazionale di Asch È un modello di impostazione gestaltista: i singoli componenti di una fgura complessa si integrano fra loro in base ad un principio di buona forma (Gestalt). Stiamo parlando di percezione di caratteri- stiche di una persona, la fgura nel nostro caso non è un oggetto fsico, ma è quello che noi immagi- niamo che una persona sia. Asch ha lavorato alla fne degli anni ‘40, nei suoi primi esperimenti i soggetti leggono liste di tratti e poi sono chiamati a fornire una descrizione della persona. Asch forniva ai soggetti alcune indicazioni come per esempio quelle che abbiamo visto prima: intelligente-affettuosa-tirchia, oppure tirchia-intel- ligente-affettuosa. Asch chiedeva di fornire una descrizione della persona di cui avevano raccolto al- cuni piccoli pezzi di informazioni dalla lettura di queste liste di tratti. Questo compito non è innatu- rale, infatti tutti i soggetti intervistati sono stati in grado di portare a termine rapidamente il compito: formarsi un’impressione complessa a partire da pochi elementi di informazioni, è un compito che le persone trovano naturale anche nell’artifcialità di un laboratorio di psicologia. Quello che viene pro- dotto è il risultato di un meccanismo di pensiero assolutamente comune, tant’è che non s’inceppa neanche di fronte ad un compito quale «Formati un’impressione di personalità a partire dalla cono- scenza del fatto che una persona è: intelligente, affettuosa e tirchia». Risultati: i soggetti non si limitano a rievocare i tratti menzionati dallo sperimentatore magari utilizzando dei sinonimi, ma traggono inferenze da quanto udito e completano la descrizione della persona resti- tuendo un’impressione di personalità ricca e complessa. In questo modello l’interazione dinamica fra i tratti, fa emergere le caratteristiche centrali delle personalità e attorno a queste si organizzano in modo coerente tutte le altre informazioni e inferenze. Secondo Asch, dati pochi tratti essenziali questi diventano un nucleo organico e a questo nucleo ogni altra informazione viene agganciata. Non solo l’informazione che noi scopriamo dall’ambiente in cui operiamo, ma anche tutte le informazioni che deduciamo da queste. Quindi queste informazioni de- La formazione di impressioni complesse - 1 dotte dalle prime entrano a far parte della impressione complessiva di personalità. Il risultato di questo processo è un percetto unitario in cui non sono più riconoscibili i singoli frammenti che han- no contribuito alla sua costruzione. Queste informazioni si integrano, diventano un’amalgama indis- solubile allo stesso modo in cui gli elementi fgurali si integrano nella percezione di un oggetto nella psicologia della Gestalt. Il modello algebrico di Anderson Di diverso avviso è invece Anderson, egli parte da premesse teoriche che sono radicalmente diverse da quelle di Asch. È un teorico della psicofsica, studia il modo in cui il sistema cognitivo elabora le informazioni provenienti dall’ambiente, e studia attraverso quali leggi è possibile legare variazioni ambientali a variazioni nella percezione del mondo. L’approccio di Anderson è conosciuto come In- formation Integration Theory (1981-91): la percezione sociale è l’integrazione algebrica dei singoli elementi di informazione. L’impressione di personalità che una persona ci restituisce è esattamente la somma del valore associa- to ai tratti di personalità che riconosciamo in lei. Si tratterebbe di un’algebra cognitiva che prende i singoli pezzi di informazioni li somma e ottiene un valore fnale. In questo valore sono perfettamente riconoscibili i singoli pezzi di informazione che hanno portato alla sua costruzione, non c’è più una fusione, ma un’addizione. Sono due le caratteristiche fondamentali del modello di Anderson: – prospettiva funzionale l’assunto in base al quale i pensieri e le azioni hanno uno scopo. La percezione sociale non avviene nel vuoto, quando noi abbiamo a che fare con un’altra persona ciò che abbiamo in mente di fare con questa persona, guida la nostra impressione che ci formiamo di lei. – algebra cognitiva le modalità di integrazione degli input percettivi possono essere descritte da operazioni alge- briche. Sapendo cosa vogliamo da una persona, noi utilizzando le informazioni che questa persona ci fornisce, aggregandole le une alle altre attraverso meccanismi che sono descrivibili attraverso dei calcoli algebrici, otteniamo un valore fnale che costituisce il giudizio che noi formuliamo relativamente a questa persona. Tutte le operazioni compiute sono descrivibili in termini algebrici. Approfondiamo queste caratteristiche del modello. Il continuum approccio – evitamento La prospettiva funzionale cioè il fatto che pensieri e azioni hanno uno scopo, fornisce i valori di rap- presentazione e l’algebra cognitiva porta ad un’analisi di questi valori. Il modello assume che questi siano descrivibili come una posizione lungo un continuum approccio - evitamento. L’interazione con una persona ha uno scopo e quindi a seconda di come noi ci poniamo nei confronti di un’altra per- sona, dei nostri scopi, le caratteristiche che questa persona ci rivela di sé, ricevono una valutazione, un peso algebrico, che è descrivibile come valore numerico. Attraverso l’applicazione di regole alge- briche questi valori vengono integrati e quello che noi otteniamo è un altro valore numerico, che è il giudizio della persona. Buona parte dei nostri giudizi possono essere descritti come la posizione lungo un continuum bipo- lare: buono-cattivo, approccio-evitamento. Più il valore dedotto si colloca vicino al polo approccio del continuum buono, migliore sarà il mio giudizio nei confronti di questa persona. Più vicino il mio giudizio si colloca nei confronti del polo evitamento del polo cattivo, peggiore sarà il mio giudizio nei confronti di quella persona. Sostanzial- mente, dice Anderson, ciascun giudizio che io do su questa persona, anche se a parole può essere più o meno ricco e colorato, di fatto può essere identifcato come una posizione su un continuum: mi piace - non mi piace, approccerò questa persona - cercherò di evitarla. Invarianza del significato attribuito ai tratti Gli studi di Anderson, come quelli di Asch, prevedevano la formazione di impressioni a partire da tratti. Ogni tratto riceve una valutazione non modifcabile, questa caratteristica del modello viene co- La formazione di impressioni complesse - 2 nosciuta come invarianza di signifcato. Quando diciamo che un tratto ha una valutazione non modifcabile, non diciamo che il tratto «intel- ligente», ha sempre lo stesso signifcato: sono gli scopi di una persona a determinare il valore di un tratto. Ma nel momento in cui noi abbiamo attribuito un valore a un tratto, da quel momento nel pro- cesso di integrazione questo tratto non modifcherà la propria valenza. Per cui di una persona sapere che è «intelligente, affettuosa e tirchia» oppure sapere che è «tirchia, intelligente e affettuosa» è esat- tamente la stessa cosa. Il modello algebrico alla prova Anderson costruisce liste di tratti e le presenta ai soggetti, ma a differenza degli esperimenti di Asch, qui la variante cruciale riguarda il giudizio sul valore di ogni singolo tratto che i soggetti forniscono prima che i tratti vengano utilizzati per descrivere una persona. Si valuta a priori per ogni soggetto quanto giudica vicino al polo positivo l’aggettivo intelligente, af- fettuoso e dove colloca lungo il continuum l’aggettivo tirchio. Dopodiché il giudizio su quella perso- na sarà la media ponderata dei valori dei singoli tratti che sono attribuiti a questa persona. In questo senso modifcare l’ordine degli addendi non modifca il risultato fnale. Quello che Anderson mostra è che il giudizio complessivo di favore - sfavore di una persona, di cui sono note alcune caratteristiche, può essere stimato a partire dalla conoscenza del valore attribuito da ciascun soggetto ai singoli tratti. Il passaggio a modelli più recenti: la mente lavora sia in modo olistico (Asch), che analitico (Anderson) Siamo di fronte a un paradosso: da un lato le persone riportano spontaneamente che a seconda del- l’ordine con cui vengono conosciute le informazioni, il giudizio varia anche pesantemente. In realtà Anderson fa vedere come controllando a priori il peso dei tratti, in realtà ci sia una sensazione sog- gettiva di variazione che non è verifcata nei fatti. Questo perché, dice Anderson, il processo di integrazione delle informazioni non è un processo co- sciente, è un processo che avviene in maniera automatica nella mente dell’individuo. Mentre quando poi le stesse persone sono chiamate a descrivere il modo in cui sono giunte ad una impressione com- plessiva di una persona fanno riferimento a teorie implicite, a come la gente immagina che le cose debbano andare, ma non descrivono quelli che sono i loro reali processi di pensiero. Tant’è che sa- pendo a priori quanto pesano i tratti, è possibile stimare con una certa precisione il valore complessi- vo che viene attribuito ad una persona. In realtà la controversia tra questi due approcci non può essere risolta a favore di uno o dell’altro, dato che la differenza di base dei due approcci è tale e tanta che questi modelli non sono empirica- mente confrontabili in modo diretto. Modelli più recenti assumono invece che la mente umana possa funzionare in entrambe le modalità in funzione di alcuni parametri. Nei modelli recenti abbiamo riconosciuto il fatto che la mente umana possa lavorare in modo olistico come prevedeva Asch, e possa lavorare in modo analitico come prevedeva Anderson e che le persone siano in grado di fare l’una cosa e l’altra e quale sia poi il modo scelto per giungere ad un’impressio- ne complessiva dipenda in realtà da alcuni parametri della situazione in cui il processo di percezione di persone ha luogo. Modello del continuum tra informazioni individuali e categoriali (Fiske Neuberg 1990) È il più noto modello contemporaneo di formazione di impressioni di personalità costruito specifca- tamente per rendere conto delle diverse modalità che la mente umana può adottare nel momento in cui è chiamata a formarsi un’impressione globale della persona che ha di fronte. È stato sviluppato da Fiske e Neuberg nei primi anni ‘90. Esisterebbe secondo Fiske e Neuberg un continuum, cioè una possibilità graduata, che va da un uti- lizzo esclusivo di informazioni categoriali (che descrive le modalità di formazione di impressione di personalità previste dal modello di Asch), fno a un’integrazione di informazioni individuali (che rap- La formazione di impressioni complesse - 3 corretto, tendono quindi a formarsi un’immagine accurata e basata sulle informazioni specifche individuali di Frank. Il modello basato sul ricordo di esemplari Vediamo un altro modello che ha un approccio diverso, che non è più in continuità con i modelli di Asch e Anderson, ma propone un modo nuovo di visualizzare, di concepire, i meccanismi che porta- no alla formazione di impressioni di personalità, è il modello basato sul ricordo di esemplari. Primo assunto: rappresentazioni di esemplari specifici La memoria contiene rappresentazioni di esemplari specifci che possono essere interrogate e utiliz- zate per la formulazione di giudizi anche senza che il soggetto ne sia consapevole. Ognuno di noi nella propria vita ha conosciuto centinaia di persone e di ognuna di queste persone conserva una traccia nella propria memoria, non è detto che sia una traccia sempre rievocabile inten- zionalmente. Chiamiamo questa traccia: esemplare in memoria. Secondo assunto: somiglianza dello stimolo con gli esemplari L’effetto degli esemplari conosciuti sui giudizi o decisioni dipende dalla loro somiglianza con lo sti- molo target; la somiglianza non è una caratteristica fsica fssa, ma contestuale. Dovendo emettere un giudizio su una persona che incontro, se io tutte le persone simili a questa che ho già conosciuto in passato le ho valutate positivamente, anticipo per questa persona un giudizio positivo. Anche non avendo elementi specifci per farlo, ma semplicemente per il fatto che assomiglia a persone piacevoli che ho conosciuto in passato. Terzo assunto: i fattori sociali influenzano lungo le dimensioni della somiglianza con lo stimolo I fattori sociali che sono noti infuenzare il giudizio, lo fanno infuenzando le dimensioni dello sti- molo lungo le quali viene valutata la somiglianza. Una persona che io incontro può essere simile ad altre che io ho in memoria, per come si veste, per come cammina, per l’accento, per come è pettinata. Gli esemplari che io utilizzo per formulare un giudizio su questa persona dipendono dalle dimensioni lungo le quali io valuto la somiglianza. Esempio. Il giudizio che io formulerò su Stefano risente maggiormente della somiglianza con Sergio, perché ha due caratteristiche in comune rispetto a Giovanni e Paola. Gli esemplari simili che io ho incontrato in passato vengono recuperati dalla memoria e usati per formulare il giudizio su Stefano. Questi esemplari sono stati memorizzati non soltanto come lista di caratteristiche, ma a ciascuno di essi è appiccicato anche un giudizio. Supponiamo che io abbia trovato piacevole aver interagito con Sergio, ora in- contrando Stefano che assomiglia a Sergio, posso anticipare che anche Stefano sia una persona allegra e tenderò a valutare positivamente anche Stefano dal momento che assomiglia a una persona che io nel passato ho giudicato positivamente. Dopo che l’ho incontrato, anche Stefano troverà un posto nella mia memoria a lungo termine e an- che lui verrà utilizzato per giudicare altre persone che via via andrò incontrando. Il parametro fondamentale: la somiglianza In questo modello, quello che decide il giudizio che io formulo su una persona, è la somiglianza con esemplari già conosciuti in passato. Esperimento di Lewicki (1985): riconsegna del questionario al collaboratore che non as - somiglia allo sperimentatore sgarbato Lewicki, ha messo direttamente alla prova il ruolo della somiglianza nella formulazione di giudizi: i soggetti venivano chiamati, con un fnto pretesto, a compilare alcuni questionari di personalità. La formazione di impressioni complesse - 6 Un gruppo veniva trattato in maniera formale dallo sperimentatore, mentre con l’altro gruppo lo spe- rimentatore si comportava in maniera sgarbata. I soggetti di entrambi i gruppi erano poi chiamati a ri- consegnare il questionario compilato a uno dei due collaboratori dello sperimentatore, a quello libe- ro. In realtà al momento della consegna erano liberi entrambi. Un collaboratore era vestito comunemente, l’altro aveva una serie di somiglianze fsiche e di abbi- gliamento con lo sperimentatore che li aveva maltrattati. A chi verrà riconsegnato il questionario? Se la somiglianza con esemplari passati in memoria è effettivamente un criterio di giudizio, dovrem- mo notare una discrepanza fra le due condizioni sperimentali. E in effetti i soggetti del gruppo sperimentale preferivano riconsegnare il questionario all’assistente che non assomigliava allo sperimentatore. Questo dato testimonia il fatto che implicitamente il collaboratore che assomigliava allo sperimenta- tore, nella condizione in cui i soggetti erano stati maltrattati, riceveva un giudizio negativo. Riceveva una valutazione di tipo negativo sulla base della sua somiglianza con lo sperimentatore. Questo esperimento prova che la somiglianza con gli esemplari che noi abbiamo memorizzato in passato, può essere un criterio con cui vengono formulati i giudizi di persone che noi andiamo via via incontrando. La formazione di impressioni complesse - 7 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli dettagliati; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Psicologia sociale Le persone interpretate alla luce del loro comportamento Appunti dalla videolezione 6 col prof. Stefano Boca Argomenti: 1. l’attribuzione causale 2. le inferenze corrispondenti 3. differenza attore - osservatore L’attribuzione causale Quando incontriamo un’altra persona non ci limitiamo a formarci un’impressione di personalità, ma altrettanto importante per modulare l’interazione sociale con questa persona è capire cosa sta facendo e perché si sta comportando così. Fino ad ora abbiamo visto quali sono i meccanismi che portano una persona a costruirsi un’immagine di chi ha di fronte, un’immagine che può funzionare da parametro di riferimento per regolare il nostro comportamento nei confronti della persona che abbiamo testé incontrato. Ma il processo non si ferma all’impressione di personalità, il passo successivo è quello di capire che cosa sta facendo questa persona, in quali operazioni è impegnato, qual è il corso di pensieri che la muove in quel momento, verso cosa è diretta, quali sono i suoi scopi. In questo modo noi possiamo regolare meglio i nostri comportamenti nei confronti di questa persona. I meccanismi che governano questa fase di preparazione dell’interazione sociale, sono chiamati attribuzione causale. Il motivo fondamentale che innesca processi di attribuzione causale è la percezione di incongruenze. Se le cose vanno esattamente come noi ci aspettiamo, non c’è bisogno di ragionarci troppo sopra. Noi cerchiamo di scoprire le ragioni di un comportamento che noi osserviamo nel momento in cui siamo di fronte a una cosa inattesa: notiamo in una persona degli atteggiamenti, comportamenti, dei modi di porsi che non sono esattamente in linea con quanto ci aspettiamo da lei. Ad esempio: il dirigente di un uffcio, solitamente formale ed impeccabile, colto mentre si infla un dito nel naso. A questo punto è necessario dare una spiegazione di questa sua azione.. Oppure: uno studente, solitamente svogliato e perditempo, ottiene un ottimo risultato ad una prova d’esame. Quindi l’immagine che il docente si era creato, si rivela inadatta a spiegare un comportamento osservato. L’osservazione di fatti incongruenti con un’immagine che avevamo costruito, innesca questi processi che chiamiamo attribuzione causale. Gli stessi processi che abbiamo descritto possono essere utilizzati non soltanto con altre persone, ma anche nei confronti di noi stessi. Ognuno di noi possiede oltre ad un’immagine delle persone con cui interagisce, anche un’immagine molto ricca, articolata, di sé stesso. Quindi anche da noi stessi ci aspettiamo delle cose e non delle altre. Quando ci succede qualcosa di inatteso, cerchiamo spiegazioni per quello che ci è successo. Per esempio: solitamente siamo persone che ogni mattina senza bisogno della sveglia ci alziamo entro le 7; ma questa mattina, aprendo gli occhi, abbiamo scoperto che era quasi mezzogiorno. Non soltanto agli altri possono capitare cose che non ci aspettiamo, ma anche a noi stessi. Supponiamo di essere delle persone calme compassate quiete, ci troviamo in coda al supermercato una persona ci supera, e ci scopriamo ad inveire contro questa persona chiedendole bruscamente di ritornare al suo posto in coda. Ma se abbiamo un’immagine di noi, che siamo persone che non si arrabbiano per delle quisquilie, ecco che osservando in noi comportamenti inattesi, anche nei nostri confronti si innescano processi di attribuzione causale. Le persone interpretate alla luce del loro comportamento - 1 sono i vincoli sociali comunemente accettati. La violazione delle regole fa sì che noi riconosciamo in quel comportamento un’origine legata alle disposizioni interne di questa persona che sono talmente pregnanti da violare le regole culturali, e immediatamente possiamo fare un’attribuzione causale sull’origine del comportamento e sulla responsabilità della persona. Ruoli sociali: un comportamento difforme dal ruolo è più informativo Un comportamento conforme al proprio ruolo non ci dà molte informazioni un comportamento difforme dal ruolo ci dice molto di più. È un po’ analogo a quanto detto prima. Se osserviamo una persona che si comporta sulla base del proprio ruolo: un vigile che dà informazioni a un turista, questo non ci dice che il vigile è una persona gentile, perché è nel suo ruolo dare informazioni ai turisti. Viceversa se osserviamo un impiegato di banca che dà informazioni a un turista, possiamo dire che è una persona gentile perché non è nel ruolo dell’impiegato di banca fornire informazioni a un turista. Ciò che è conforme al proprio ruolo è atteso, e non ci dice nulla sulle disposizioni interne di una persona, ciò che si discosta dal ruolo ci dice molto di più sulle sue disposizioni interne. Storia del sergente e del colonnello e valutazione della loro gentilezza In un esperimento fu messa alla prova questa capacità del ruolo sociale di essere più o meno informativo. I soggetti ascoltavano una storiella in cui un tenente chiedeva a un sergente (quindi a un sottoposto), o a un colonnello (quindi a una persona di grado superiore), di aiutarlo a spingere un cannone rimasto impantanato. Alla fne della storia si chiedeva ai soggetti quanto gentile era stata la persona che aveva aiutato. La storia era la stessa, ma cambiava il grado, il ruolo della persona che veniva in soccorso. I soggetti nella stragrande maggioranza dei casi valutavano il colonnello come più gentile del sergente. Perché è nel ruolo del sergente obbedire ad un tenente, invece non è nel ruolo di un colonnello aiutare un un sottoposto. In sintesi: ciò che conferma un’aspettativa (culturale o di ruolo) è poco diagnostico, è poco utile ai fni della ricerca di una spiegazione; ciò che contraddice un’aspettativa lo è molto di più. I comportamenti mutano di significato a seconda dei parametri situazionali Da quanto detto sull’attribuzione di responsabilità e sulle inferenze corrispondenti, è possibile tracciare un quadro sulla dinamica: persona - situazione, nella spiegazione che le persone trovano degli eventi di cui sono stati testimoni. Perché si parla di dinamica? Perché lo stesso comportamento può ricevere, in tempi diversi, in contesti diversi, spiegazioni diverse. Quindi non è che ogni comportamento ha sempre lo stesso signifcato, ma i comportamenti osservati mutano di signifcato a seconda di altri parametri per esempio dei parametri situazionali. Si tratta quindi di una dinamica, una variazione nel tempo, e studiare questa variazione nel tempo ci consente di capire quali sono le variabili attraverso cui muta la spiegazione di un comportamento che abbiamo osservato in una persona o in noi stessi. Esempio di uno studente che ha avuto un risultato basso a un esame. La tabella riassume le possibilità di spiegazione del risultato ottenuto. La spiegazione può essere rintracciata all’interno dell’attore sociale o all’esterno dell’attore sociale: – quella interna ha a che fare con lo studente – quella esterna ha a che fare con il compito d’esame. La spiegazione può essere data facendo ricorso a variabili, caratteristiche, tratti, di tipo stabile o instabile e questo nel caso sia di attribuzione interna o esterna. Infne la variabile che ha dato origine all’esito dell’esame potrebbe essere controllabile o incontrollabile. Le persone interpretate alla luce del loro comportamento - 4 Attribuzione interna: – interna - stabile - controllabile = sforzo abituale (studente svogliato, non studia) – interna - instabile - controllabile = sforzo temporaneo (riguarda una mancanza di preparazione solo per quell’esame specifco) – interna - incontrollabile - stabile = attitudine, propensione (forse inadatto a quel tipo di studi, fno a quando non cambia tipo di studi resta incontrollabile) – interna - instabile - incontrollabile = umore (pessimo umore il giorno dell’esame) Attribuzione esterna: – esterna- stabile - controllabile = ostacolo (diffcoltà con quel professore) – esterna - instabile - incontrollabile = aiuto (non sono riuscito a prendere i foglietti che avevo in tasca) – esterna - stabile - incontrollabile = diffcoltà (troppo diffcile per me) – esterna - instabile - incontrollabile = fortuna (proprio con le domande che io non sapevo) Differenza fra attore e osservatore Dagli errori prodotti nelle strategie euristiche ai meccanismi di pensiero dell’interazione sociale Capire le ragioni che hanno portato alla messa in atto di comportamenti di cui siamo stati testimoni può essere descritto come un compito di problem solving. Nella ricerca di spiegazioni non ci comportiamo come degli scienziati vagliando accuratamente tutte le possibilità in modo sistematico, piuttosto tendiamo a semplifcare lo spazio del problema utilizzando quelle che abbiamo chiamato euristiche di ragionamento (o giudizio). Di fronte a un problema, tendiamo a semplifcare e ad utilizzare delle scorciatoie di ragionamento. Questo modo di agire produce distorsioni sistematiche nel modo di risolvere i problemi di interazione sociale. Gli errori sistematici vengono tollerati perché sono ampiamente compensati dai vantaggi offerti dalle euristiche di pensiero in termini di effcienza dei processi. L’interazione sociale è una procedura molto dinamica, veloce, ho bisogno di raggiungere in fretta delle soluzioni, per regolare il mio comportamento nei confronti delle persone che incontro e quindi non posso vagliare sistematicamente tutte le possibilità. Ho bisogno di trovare delle scorciatoie di pensiero, ho bisogno di semplifcare lo spazio del problema e di concentrarmi su alcune possibili strade che sembrano le più probabili. Ovviamente questo può portare a degli errori, e ci accorgiamo di aver messo in atto delle strategie euristiche, proprio nel momento in cui non troviamo la soluzione che ci aspettavamo. Proprio utilizzando gli errori specifci prodotti dalle euristiche di pensiero nel ragionamento sociale, gli psicologi sono riusciti a ricostruire, quelli che sono i meccanismi di pensiero tipicamente coinvolti nelle procedure di interazione sociale. Errore fondamentale di attribuzione: dare all’attore la responsabilità del comportamento Quello che è stato osservato è che: in prima istanza tendiamo ad attribuire il comportamento osservato a caratteristiche disposizionali interne delle persone. Questo meccanismo è: l’errore fondamentale di attribuzione. Il comportamento che noi osserviamo in un’altra persona in prima istanza, viene attribuito a delle caratteristiche che sono proprie della persona che abbiamo di fronte. Una persona che raccoglie una lattina vuota, è un’ecologista; due persone che litigano per un posteggio, sono persone irascibili. Può essere così e può non essere così. Questa tendenza sistematica è un’euristica di giudizio: in prima istanza tendiamo a dare all’attore le responsabilità del comportamento osservato. Self serving bias Quando invece si tratta di trovare spiegazioni ad episodi che ci hanno visti protagonisti, le cose vanno in modo diverso; quello che succede è che tendiamo ad essere più indulgenti con noi stessi. Per quanto riguarda il nostro comportamento non siamo così immediati nel cercare spiegazioni disposizionali. Se ci arrabbiamo alla coda di un supermercato, a un posteggio, non siamo così pronti Le persone interpretate alla luce del loro comportamento - 5 a dire che ci siamo arrabbiati, perché noi siamo persone irascibili. Utilizziamo spiegazioni disposizionali solo per dar conto dei nostri successi, mentre ricorriamo a spiegazioni situazionali per spiegare le ragioni di eventuali insuccessi. Questo particolare riguardo verso noi stessi è conosciuto col termine self serving bias, ed ha una spiegazione motivazionale: sono delle distorsioni sistematiche di pensiero, il risultato dell’applicazione di euristiche, che hanno lo scopo di favorire noi stessi. Ognuno di noi ha l’interesse a mantenere elevato il livello di autostima, darsi delle spiegazioni disposizionali per i nostri fallimenti ci porterebbe a ritenerci degli incapaci minando così il livello di fducia nelle nostre possibilità. Di fronte a un successo: ho fatto canestro da metà campo dico «Sono un mago», se invece faccio un incidente dirò che la strada era scivolosa. Per i nostri successi tendiamo ad invocare spiegazioni di tipo disposizionale per i nostri insuccessi tendiamo a trovare spiegazioni situazionali. Differenza attore-osservatore La tendenza sistematica a trovare spiegazioni disposizionali per il comportamento altrui e situazionali per il proprio, prende il nome di differenza attore-osservatore ed è moderata dal giudizio positivo o negativo sui comportamenti messi in atto. Per quanto riguarda le spiegazioni del nostro comportamento tendiamo a trovare una causa interna ai comportamenti positivi ed una esterna per quelli negativi. Per quanto riguarda le spiegazioni che diamo dei comportamenti di un’altra persona tendiamo regolarmente a trovare spiegazioni di tipo interno, cioè disposizionale. Questo quadro sinottico permette di fare una previsione empirica che è stata puntualmente verifcata in numerose ricerche. In genere riteniamo che le altre persone sono più coerenti e più prevedibili di noi stessi proprio perché il comportamento degli altri è sempre frutto di disposizioni interne, noi pensiamo di sapere come gli altri si comporteranno, mentre quando si tratta di prevedere il nostro stesso comportamento, riconosciamo per noi stessi una variabilità superiore e quindi pensiamo di essere meno prevedibili degli altri. Le persone interpretate alla luce del loro comportamento - 6 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli dettagliati; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com La tesi che tenteremo di dimostrare e il metodo che sarà usato La tesi È la seguente: colui che percepisce non si attende dai membri di un gruppo lo stesso grado di coerenza che si attende dai tratti delle personalità di un individuo. Quello che vogliamo dimostrare è che pur essendo un analogo processo di percezione sociale, l’aver a che fare con individui e l’aver a che fare con gruppi porta a risultati diversi, questo è un indice che probabilmente anche le procedure mentali sottostanti sono diversifcate. Il metodo di analisi È sempre lo stesso per tutti i confronti che faremo: – vengono fornite a gruppi diversi di soggetti le stesse informazioni dicendo che si riferiscono tutte ad uno stesso individuo o ad uno stesso gruppo – viene analizzata la rappresentazione che ne deriva Noi forniamo delle informazioni sempre uguali, e diciamo che queste informazioni pertengono ad un individuo o descrivono un gruppo. Poi chiediamo ai soggetti di formarsi un’impressione di un individuo o di un gruppo. Le informazioni di base sono esattamente le stesse, eventuali differenze nella rappresentazione dell’individuo e del gruppo sono necessariamente legate al fatto che l’oggetto, il target, da valutare era diverso. Se queste differenze esistono, vuol dire che probabilmente i processi mentali coinvolti nei due processi sono differenziati. Punti di contatto o disaccordo tra la situazione individui e la situazione gruppi Ripercorriamo i 4 principi che abbiamo enunciato e per ciascuno di essi vediamo i punti di contatto o disaccordo fra le due modalità di rappresentazione (quella di individui o quella di gruppi). Principio 1: proprietà disposizionali Il paradigma per lo studio della correlazione illusoria Gli esperimenti di correlazione illusoria prevedono che vengano presentate una serie di informazioni, tipicamente relative a due gruppi di individui e di questi due gruppi uno è molto più numeroso di un altro. Le informazioni presentate sono positive e negative e la proporzione di informazioni negative sul totale delle informazioni per ciascun gruppo, è identica. Cioè per il gruppo di maggioranza supponiamo il 20% delle informazioni sono negative, e per il gruppo di minoranza il 20% delle informazioni presentate sono negative. Il problema è che le informazioni negative sono molto più salienti per il gruppo di minoranza, proprio per un effetto di una correlazione illusoria: il gruppo di minoranza, pur avendo la stessa proporzione di informazioni negative, riceve un’immagine più negativa del gruppo di maggioranza. Esperimenti di correlazione illusoria Questo paradigma (nato per la ricerca sulla percezione di gruppo), è stato applicato anche alla percezione di individui. Esperimenti di correlazione illusoria: – nella valutazione dei gruppi si nota una sovrastima dei comportamenti negativi che porta ad una valutazione globalmente negativa dei gruppi minoritari – quando invece le informazioni positive e negative sono riferite a due individui (nella stessa proporzione), ciò che osserviamo è una sottostima dei comportamenti negativi negli individui cioè l’effetto di correlazione illusoria si inverte. Abbiamo visto come questo fenomeno di scissione fra percezione di individui e percezione di gruppi, si verifca utilizzando un tipico esperimento nato nella percezione dei gruppi, ora facciamo la prova opposta: usiamo una modalità nata per la percezione degli individui e trasportiamola nella La percezione degli individui e dei gruppi - 3 percezione dei gruppi. Il compito classico per la formazione di impressioni di personalità consiste nella formazione di impressioni a partire da liste di tratti. L’effetto recency nei gruppi Quello che abbiamo osservato è: – un effetto recency [= attualità] nella formazione di impressioni nei gruppi – un effetto primacy nella formazione di impressioni di individui [Vedi pag. 1] Esso è legato al fatto che informazioni relative a un individuo vengono elaborate, nella formazione di impressione di personalità, secondo una modalità on-line che non coinvolge la memoria a lungo termine, ma in cui semplicemente le informazioni disponibili vengono integrate una dopo l’altra, per cui le prime informazioni ricevute sono le più importanti nel determinare l’informazione globale. Coi gruppi è l’opposto. C’è un effetto recency: sono le ultime informazioni ricevute ad essere le più importanti nella formazione dell’impressione collettiva di un gruppo a partire da una serie di tratti che si dice essere stati osservati in individui diversi tutti però facenti parte dello stesso gruppo. Perché c’è questo effetto recency? L’effetto recency è legato al fatto che la formazione di impressione di un gruppo non avviene in modalità on-line, ma comporta il ricorso a strutture cognitive che stanno nella memoria a lungo termine. Proprio perché queste informazioni devono essere recuperate dalla memoria, sono le ultime recuperate ad essere quelle più importanti nella formazione dell’impressione complessiva. Ripeto: le liste di tratti erano identiche, le stesse informazioni si riferiscono a individui o a gruppi, se le stesse informazioni vengono riferite a gruppi si ha un effetto recency, se le stesse informazioni vengono riferite a un individuo si ha un effetto primacy. Principio 2: coerenza attesa I soggetti di un esperimento leggono descrizioni di episodi comportamentali della lunghezza di un singolo paragrafo e al termine della lettura di ogni episodio sono chiamati a dare una valutazione (su una scala di personalità), del protagonista. Metà dei soggetti era informata che il protagonista era sempre lo stesso, l’altra metà sapeva che si trattava di tutte persone diverse, membri però di uno stesso gruppo sociale. Viene analizzato il grado di similarità tra le diverse valutazioni completando sempre le stesse scale. I risultati mostrano come le valutazioni dei protagonisti degli episodi tendano ad essere più simili tra di loro nel primo caso rispetto al secondo. Nel caso in cui le stesse storielle sono imputate tutte a un’unica persona le valutazioni del protagonista sono più simili di quanto avvenga di quando le storielle hanno per protagonisti persone diverse, ma membri di un unico gruppo. Questo dato di ricerca rivela come la coerenza attesa tra i comportamenti di una persona sia maggiore di quella attesa tra i comportamenti delle persone che fanno parte di un gruppo. Principio 3: impressione organica In un esperimento in cui le stesse informazioni venivano descritte come relative ad un individuo o ad un gruppo di persone, i soggetti erano chiamati a rievocare quanto appreso. Qui abbiamo a che fare con un compito di memoria, si forniscono alle persone delle informazioni e si chiede poi di rievocarle. Anche qui ci sono due gruppi di soggetti: a un gruppo si dice che le informazioni appartengono a un unico individuo, all’altro gruppo viene detto che le informazioni hanno a che fare con individui diversi membri di un unico gruppo. La rievocazione è libera: viene chiesto di rievocare La percezione degli individui e dei gruppi - 4 semplicemente quante più informazioni possono. Il compito interferente serve per svuotare la memoria di lavoro. Variabile dipendente Si voleva verifcare quanto i soggetti riescono a ricordare descrizioni di un individuo o di diversi individui dello stesso gruppo. Ordine di rievocazione Analizzando l’ordine di rievocazione si vede che i tratti dello stesso individuo o dello stesso gruppo tendono ad essere rievocati insieme. Questo fenomeno è più marcato nella condizione individuo rispetto alla condizione gruppo. Quindi: tratti riferiti allo stesso individuo e tratti riferiti a più individui dello stesso gruppo, tendono ad essere ricordati a blocchi, ma il fenomeno è più marcato nella condizione individuo rispetto alla condizione gruppo. Quantità di ricordo Se analizziamo la quantità di ricordo (che ci informa su quali sono i processi sottostanti): nella condizione in cui le informazioni sono viste come descrittive di uno stesso individuo, c’è un miglior ricordo. Vuol dire che è intervenuta nella fase di codifca dell’informazione in memoria, una struttura organica coerente schematica, in grado di guidare poi il ricordo e il recupero dalla memoria di queste informazioni. Questa struttura è intervenuta in maniera più massiccia nel ricordo delle caratteristiche di individui, rispetto al ricordo delle caratteristiche di gruppi. Principio 4: informazioni discordanti Ricordiamo come nella percezione di persone, la comparsa di informazioni discordanti con l’impressione iniziale desse luogo a tre diverse conseguenze: – analisi dettagliata – tentativo di spiegazione – miglior ricordo Esperimento 1: profondità di analisi I soggetti leggevano descrizioni che potevano essere riferite ad un individuo o ad un gruppo. Le descrizioni comparivano una alla volta sullo schermo e il soggetto stesso decideva quando passare alla successiva premendo un tasto. Veniva registrato il tempo trascorso a leggere ogni singola informazione. Risultati I soggetti trascorrono più tempo sulle informazioni incongruenti. Questo risultato è più marcato nel caso siano immaginate come descrittori di un singolo individuo. Se un’informazione è giudicata incoerente, il soggetto trascorre più tempo prima di premere il tasto e passare alla videata successiva: ha analizzato più dettagliatamente l’informazione incongruente. Le informazioni incongruenti portano quindi ad un’analisi dettagliata, ma quest’analisi è ancora più marcata nel caso in cui queste incongruenze si riferiscano ad un singolo individuo rispetto a un gruppo di individui. Esperimento 2: spiegazioni causali Vediamo cosa succede per il fatto che informazioni incongruenti danno luogo a processi di tipo attribuzionale. L’esperimento è analogo al precedente, ma l’informazione fornita era costituita da brevi frasi che terminavano con dei puntini di sospensione e si chiedeva ai soggetti di completare la frase. Queste descrizioni potevano essere: – congruenti o incongruenti con l’impressione iniziale – essere riferite o ad un unico individuo o ad un unico gruppo. I soggetti tendono a completare le informazioni incongruenti fornendo spiegazioni: la comparsa di La percezione degli individui e dei gruppi - 5 Psicologia sociale Impressioni e realtà Appunti dalla videolezione 8 col prof. Stefano Boca Argomenti: 1. come le impressioni plasmano le interpretazioni e resistono alle controprove 2. la profezia che si autoavvera 3. conseguenze dell’appartenenza a gruppi discriminati Come le impressioni plasmano le interpretazioni e resistono alle controprove Dato che le impressioni di persona si formano attraverso l’intervento di processi on line sono i primi dati a fornire un quadro alla luce del quale ogni nuova informazione viene interpretata. Le primissime cose che scopriamo di una persona sono l’ancora che ci permette di agganciare ad esse tutte le altre cose che successivamente veniamo a sapere di questa persona. Come descritto in questo diagramma: – se le nuove informazioni sono congruenti con la prima impressione: rafforzano la prima impressione. – se le nuove informazioni sono incongruenti innescano processi attribuzionali: cerchiamo una spiegazione per quello che abbiamo osservato, che mantenga per quanto possibile inalterata l’impressione iniziale. L’intervento dei processi attribuzionali Dare una spiegazione è di fatto una difesa verso i cambiamenti nella prima impressione. Per cambiare opinione i processi attribuzionali devono essere incapaci di riconciliare l’informazione incongruente con l’impressione iniziale. Tipicamente i processi attribuzionali funzionano molto bene, cioè sono capaci di trovare delle spiegazioni specifche per i comportamenti incongruenti che lasciano inalterata l’impressione iniziale. L’impressione iniziale è modifcabile, ma soltanto nella misura i cui i processi attribuzionali si rivelano incapaci di riconciliare l’impressione iniziale e le nuove informazioni incongruenti che siamo venuti a conoscere. L’intervento degli schemi di persone In secondo luogo, quando l’informazione viene depositata nella memoria a lungo termine, l’accesso e il recupero sono mediati da strutture schematiche. Abbiamo incontrato una persona, attraverso meccanismi on-line ci siamo formati un’impressione, l’abbiamo arricchita di nuove informazioni, le incongruenze sono state riconciliate con l’impressione iniziale attraverso meccanismi attribuzionali, dopodiché l’impressione di questa persona costruita on line viene spostata nella memoria a lungo termine, ci ricorderemo in futuro di questa persona. La codifca in memoria, lo spostamento dell’impressione iniziale alla memoria a lungo termine, è mediata da strutture schematiche, da schemi di persone. Esempio Supponiamo che Mario Grasso sia un medico. Nell’atto di codifcare, trasferire, nella memoria a lungo termine l’impressione iniziale di Mario Grasso, utilizziamo uno schema, lo stereotipo del medico. Dovendo recuperare Mario Grasso dalla memoria lo recuperiamo come esemplare della categoria medici. Impressioni e realtà - 1 Difficoltà a modificare lo schema (lo stereotipo) A questo punto per cambiare opinione su Mario Grasso occorrerebbe modifcare lo stereotipo del medico. Questo risulta molto diffcile dal momento che gli schemi sono effcienti nel codifcare le informazioni ad essi coerenti, ma tendono a trascurare le informazioni incoerenti. Succede che tutto quanto è coerente con lo stereotipo viene prelevato dalla memoria di lavoro e depositato nella memoria a lungo termine trascurando le informazioni non coerenti con lo stereotipo, dovendo poi recuperare Mario Grasso dalla memoria, tutto quanto non ci ricordiamo di Mario Grasso viene supplito dalle informazioni generiche su come tipicamente i medici sono. Cioè le informazioni stereotipiche su: il medico, vengono integrate in maniera indistinguibile con le informazioni specifche di Mario Grasso. Recuperando quindi Mario Grasso dalla memoria ci portiamo appresso anche delle informazioni che non sono specifche di Mario Grasso: nella rievocazione non sono più capace di distinguere quale caratteristica era specifca di Mario Grasso e quale invece gli abbiamo aggiunto come caratteristica tipica del medico. Difficoltà a riconoscere un esemplare atipico di una categoria Un’altra strategia potrebbe essere quella di riconoscere Mario Grasso come esemplare atipico della categoria in cui è incluso, ma per farlo dobbiamo avere informazioni suffcienti su questo specifco individuo e, come abbiamo appena visto, questa operazione non è semplice. Per poter defnire Mario Grasso sì come medico, ma come un medico diverso da come un medico tipicamente è, abbiamo bisogno di informazioni specifche che lo distinguono, ma quest’operazione è diffcile perché le informazioni incongruenti con l’impressione iniziale, sono quelle che i processi attribuzionali tentano di riconciliare con la prima impressione. Quindi è necessario proprio che abbiamo una grossa mole di informazioni incongruenti per poter riconoscere Mario Grasso come un medico diverso dal solito medico. La profezia che si autoavvera Vediamo ora quello che accade quando alla formazione di impressioni segue un’interazione sociale con la persona che abbiamo di fronte. Corretta o sbagliata che sia, il nostro comportamento sarà guidato dall’impressione che di quella persona ci siamo formati. Non abbiamo altra scelta che orientare il nostro comportamento sulla base della prima impressione, non abbiamo altra scelta che comportarci con questa persona coerentemente con come immaginiamo questa persona debba essere. Quindi la prima impressione guida il comportamento. La conseguenza più evidente di questo modo di agire è il fenomeno della profezia che si autoavvera. La profezia che si autoavvera (o autoadempie), è determinata dal fatto che, senza rendercene conto, tendiamo a sollecitare nella persona comportamenti coerenti con l’impressione che di lei ci siamo formati. Immaginiamo di aver defnito Simona come una persona divertente. E’ naturale che questa impressione ci porti a chiedere a Simona di raccontarci episodi divertenti della sua vita, questo produce il comportamento atteso: Simona racconta storie divertenti, e conferma la nostra impressione che ci eravamo fatto di Simona. A questo punto la nostra profezia, la nostra ipotesi di Simona come persona divertente si è autoavverata. Simona produce comportamenti divertenti, perché è effettivamente una persona divertente? Forse. Ma forse semplicemente per il fatto che noi le abbiamo chiesto di raccontarci delle storielle divertenti e gliel’abbiamo chiesto perché immaginavamo che Simona fosse una persona divertente. Questo ciclo si ripete, e man mano che si ripete rafforziamo la nostra immagine che abbiamo di Simona divertente. La profezia che si autoavvera è un fenomeno che ha delle ricadute evidenti in ogni ambito dell’interazione sociale. Impressioni e realtà - 2 In ogni posto dove c’è interazione tra persone, noi possiamo assistere al fenomeno della profezia che si autoavvera. Le nostre prime impressioni a un certo punto diventano realtà: non è la realtà che produce delle impressioni, ma le nostre impressioni infuiscono sulla realtà, e fanno in modo che la realtà si conformi alle nostre impressioni. La profezia che si autoavvera a scuola: l’effetto pigmalione [Rosenthal 1968] È l’esperimento capostipite di una serie di ricerche che hanno sempre confermato questi risultati: l’effetto pigmalione non è altro che il fenomeno della profezia che si autoavvera calato nell’ambiente scolastico. Una scuola raccoglieva alunni provenienti sia da contesti socioeconomici elevati che svantaggiati, indirizzati in corsi differenziati: rapidi, medi o lenti. La selezione era fatta sulla base di criteri intellettivi, ma poi se andiamo a vedere come erano distribuiti, ci accorgiamo che nelle classi «lente» la percentuale di alunni provenienti da classi sociali svantaggiate era molto più elevata rispetto ai corsi di studio cosiddetti «rapidi». Rosenthal intervenì in questo contesto somministrando agli alunni un test di intelligenza e comunicando agli insegnanti delle classi prima e seconda, quali erano gli allievi che si collocavano nella fascia del 20% di QI più elevato. Il test era somministrato realmente, ma Rosenthal buggerò gli insegnanti perché gli allievi indicati come più intelligenti furono sorteggiati a caso. Il grafco seguente mostra l’aumento del quoziente di intelligenza per gli alunni ritenuti più intelligenti e meno intelligenti nelle due classi che avevano preso parte alla ricerca a due anni dalla prima somministrazione. Quello che si osserva è un aumento del QI più marcato, sia nella classe 1a che nella classe 2a, per gli alunni che gli insegnanti ritenevano più intelligenti. Ovviamente siccome la selezione era stata del tutto casuale, il QI di base era su per giù uguale nei due gruppi, ma il fatto che gli insegnanti ritenessero più intelligenti alcuni alunni, ha portato ad un aumento del QI negli alunni inizialmente classifcati come «più intelligenti». Questo è l’effetto pigmalione, l’effetto della profezia che si autoavvera. Siccome gli insegnanti pensavano che quegli studenti fossero «più intelligenti», si sono comportati con loro, anche inconsapevolmente, in maniera diversa: riponendo in loro più aspettative, dando loro più fducia, facendoli sentire più importanti, e questo ha prodotto di fatto un aumento reale del QI in quegli alunni che partivano da una base analoga a quella degli altri. Questo ha implicazioni evidenti per quando riguarda le politiche scolastiche. La profezia che si autoavvera sul lavoro: l’effetto Hawthorne [Mayo 1927] Un gruppo di psicologi sperimentali del lavoro venne incaricato dalle aziende Hawthorne di scoprire nei reparti di produzione le migliori condizioni di lavoro (ambientali e psicologiche) dei dipendenti, per aumentarne il livello di produttività. Gli psicologi cominciarono col variare sistematicamente le condizioni lavorative misurando le variazioni nella produzione dei reparti. Gli psicologi si aspettavano di trovare quei parametri che fossero in grado di migliorare la produzione e, ottimizzando tutti i fattori, costruire con essi il miglior ambiente di lavoro possibile. I risultati invece furono sorprendenti: qualsiasi cambiamento introdotto portava ad un incremento della produzione. Il caso più evidente era la variazione dei livelli di illuminazione nei reparti: se si aumentava l’illuminazione, il livello di produzione aumentava, se si diminuiva l’illuminazione, il livello di produzione aumentava ugualmente. Qualsiasi variazione era in grado di aumentare il livello di produttività. Non era quindi la variabile manipolata ad essere responsabile dei cambiamenti Impressioni e realtà - 3 sperimentale. Lo stesso compito svolto dai neri in una situazione di minaccia porta a prestazioni più basse. Ancora una volta siamo di fronte ad un effetto di profezia che si autoavvera legato all’induzione di minaccia prodotta dalla presenza di uno stereotipo che vede un particolare gruppo come defcitario in una specifca abilità. Effetti di minaccia indotta dallo stereotipo sono stati documentati: sulle donne Gli stessi effetti sono stati documentati su una serie di gruppi di persone per esempio le donne: esse accusano una fessione della performance intellettiva, ascrivibile in questo caso all’attivazione dello stereotipo che le vede svantaggiate nella sfera matematica e scientifca. Se noi presentiamo a donne un compito di matematica e induciamo ad un gruppo di loro uno scopo di minaccia, lo stesso compito riceve prestazioni più basse: l’induzione di minaccia porta a cali specifci in compiti di matematica dal momento che esiste uno stereotipo della donna che la vede meno dotata in matematica. Effetti di minaccia indotti dallo stereotipo sono stati documentati: su anziani e individui con background socioeconomico svantaggiato Entrambe questi categorie di persone sono a rischio di confermare lo stereotipo negativo circa le loro abilità intellettive, lo stereotipo che li vede meno dotati intellettualmente. Quando questo stereotipo viene loro ricordato, cioè quando c’è un’induzione di minaccia legata allo stereotipo, ecco che effettivamente le loro prestazioni di tipo intellettivo calano. Le conseguenze emotive dell’appartenenza ad un gruppo discriminato (Testa, Crocker, Major 1988) Le conseguenze emotive dell’appartenenza ad un gruppo stigmatizzato, contrariamente al senso comune, non sono negative in quanto i fallimenti possono essere imputati al fatto di essere stati discriminati. Le conseguenze cognitive dell’appartenenza ad un gruppo discriminato sono negative: l’effetto di minaccia porta effettivamente ad un calo di prestazioni lungo quelle dimensioni in cui pensiamo di essere discriminati, ma sul lato emotivo le cose vanno in un modo diverso contrariamente al senso comune. Testa, Crocker Major (1988) chiesero ad un gruppo di studentesse di scrivere un tema la cui qualità sarebbe stata valutata da un giudice di sesso maschile Alcune ragazze erano state preventivamente informate che questo giudice nutriva dei forti pregiudizi sulla capacità delle donne di scrivere un tema ben fatto, oppure che il giudice non nutriva pregiudizi sulle donne. Alla fne fu fornito un test per misurare l’autostima. Quello che succede è che una valutazione scarsa è in grado di abbassare l’autostima, ma lo fa soltanto se le donne immaginano che questa scarsa valutazione arrivi da un giudice che non ha pregiudizi nei confronti delle donne. Mentre se le donne pensano che questa valutazione scarsa provenga da un giudice pregiudiziale nei confronti delle donne non hanno cali di autostima. Un giudice senza pregiudizi fa calare l’autostima perché il fallimento può essere imputabile solo a noi stessi. Mentre se la scarsa valutazione proviene da un giudice con pregiudizi, non minaccia l’autostima perché la donna può dire: «Questo giudice mi ha valutato male non tanto perché ho fatto un tema brutto, ma perché è lui che ha pregiudizi». Fanno un’attribuzione di tipo esterno e mantengono salda l’autostima. Impressioni e realtà - 6 L'autostima risultò bassa solo nella cella del disegno sperimentale contrassegnata con × CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli dettagliati; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Psicologia sociale Il sé come oggetto di conoscenza Appunti dalla videolezione 9 col prof. Luciano Arcuri Argomenti: 1. la percezione di quella parte di mondo che è dentro di noi 2. i metodi per affrontare questo problema 3. i più interessanti contributi di ricerca 4. i più interessanti risvolti di tipo applicativo La percezione di quella parte di mondo che è dentro di noi Cominciamo da quei momenti cruciali dell’esistenza in cui la persona si interroga: «Chi sono io realmente? - Che emozione sto provando in questo momento? - Ma io che cosa so fare?» Si tratta di domande semplici, ma problematiche se la persona non ha risposte affdabili, precise, e capaci di convincerla delle sue competenze, delle sue abilità, dei suoi sentimenti, del suo essere un animale sociale in grado di gestire il rapporto con gli altri. È possibile dare una risposta scientifca a domande come queste? Per questo dobbiamo introdurre il concetto di sé. Il concetto di sé si riferisce all’insieme dei pensieri e dei sentimenti che maturiamo a proposito di noi stessi e defniscono ciò che ciascuno di noi ritiene di essere. Tutte le decisioni, tutte le azioni quotidiane che realizziamo, prendono forma a partire da una serie di assunzioni riguardanti il che cosa e il come siamo. Quando dobbiamo prendere una decisione rischiosa, partiamo dalla valutazione circa le nostre risorse e capacità a fronteggiare situazioni di diffcoltà; quando invece decidiamo di assumere un atteggiamento prudente è perché abbiamo la consapevolezza che non siamo in grado di esporci a eventuali pericoli e siamo consapevoli del disagio che ci provoca una situazione di diffcoltà. Decidere di interagire con una persona estroversa, signifca ritenerci in grado di interagire con quella persona. Prendere tutte queste decisioni, implica che noi dobbiamo conoscere qualcosa di preciso a proposito di come noi siamo. La duplice faccia del sé: il sé come conoscitore (io), il sé come oggetto di conoscenza (me) Il sé come conoscitore (io), si riferisce a quella componente del sé, che ha a che fare con l’individuo in quanto capace di agire, capace di funzionare in termini di elaboratore di informazioni a proposito di sé stesso. Il sé come oggetto di conoscenza rappresenta la componente del me. Il sé conoscitore è un fusso di consapevolezza dei nostri processi, invece l’oggetto della nostra consapevolezza è il me. L’io è dunque la componente di tipo attivo, attore che agisce essendo consapevole delle proprie percezioni interne ed esterne. In aiuto abbiamo la metafora del computer: il programma è la componente di tipo attivo, la componente di elaborazione, i dati sono l’oggetto di conoscenza. Possiamo fare un ulteriore confronto: – gli aspetti di tipo procedurale corrispondono all’io agente di conoscenza, – gli aspetti di tipo dichiarativo delle nostre conoscenze corrispondono al me oggetto di conoscenza. Il contributo di William James Torniamo alle origini parlando del contributo di James agli inizi del ‘900, il quale distingue tra un me materiale, un me sociale, un me spirituale: Il Sé come oggetto di conoscenza - 1 – me materiale: caratteristiche e conoscenze che un individuo possiede a proposito di sé stesso in quanto oggetto materiale: come sono io, gli aspetti del mio corpo, ma anche come vedo i miei vestiti attorno a me, come vedo gli oggetti che popolano la mia casa, le mie proprietà. Pensiamo al senso di appartenenza verso nostri oggetti di uso quotidiano: l’orologio che porto da anni rappresenta una sorta di prolungamento di questo me di tipo materiale; – me sociale: insieme di molteplici immagini che ci derivano da avere delle interazioni con altri signifcativi. Il me sociale si differenzia in una serie di percezioni che riceviamo dagli altri a seconda degli ambienti: un me sociale interagente in una situazione di lavoro, un me sociale interagente in una situazione di divertimento, o in una situazione familiare e così via; – me spirituale: insieme di conoscenze che l’individuo possiede rispetto alle sue caratteristiche psicologiche, ai suoi tratti, alle sue disposizioni, ai suoi atteggiamenti, alle sue motivazioni, ai suoi valori. Il sé come struttura schematica Si tratta della struttura che interviene quando elaboriamo l’informazione riguardante il sé. Quali sono i modi con i quali prendiamo contatto con i nostri successi, i nostri insuccessi, le nostre prestazioni, avendo a disposizione uno schema cognitivo che rappresenta l’immagine che noi abbiamo di noi stessi. In che maniera il concetto di sé che possediamo infuenza l’elaborazione dell’informazione, è questo il problema da cui è partita Hazel Markus, in un esperimento famoso. L’esperimento di Hazel Markus: schemi di sé indipendenti, dipendenti, o aschematici E’ stato chiesto a delle persone di rispondere ad un questionario, in cui veniva accertato la dimensione fondamentale che caratterizzava lo schema di sé delle persone. Hazel Markus era riuscita ad individuare un questionario che permetteva alle persone di defnirsi come: indipendenti, dipendenti, oppure schematici: – dipendenti provate a pensare ad una persona che si defnisca tollerante, compiacente nei confronti degli altri: tipicamente è una persona che si colloca lungo la dimensione della dipendenza, cioè mi sento legato agli altri; – indipendenti provate a immaginare ad una persona che si percepisca come individualista, assertiva, tipicamente è una persona che si colloca nell’indipendenza; – aschematici esistono poi tanti altri che non si collocano né nella dimensione della dipendenza né della indipendenza e questi vengono defniti aschematici. Utilizzando soggetti appartenenti a queste 3 categorie, sono state presentate poi delle parole e le persone dovevano velocemente decidere se quelle parole li descrivevano oppure no. Come si vede dal grafco, le persone dipendenti utilizzano molte più parole descrittive riguardanti la dipendenza per descriversi. I soggetti indipendenti invece usano molte più parole legate al concetto di indipendenza per descrivere se stessi. Il dato interessante sono i tempi di latenza, cioè la velocità con cui le persone decidono che un tratto le caratterizza oppure no: – di fronte ad aggettivi indipendenti le persone dipendenti impiegano molto tempo per dire che quel tratto non le caratterizza – di fronte ad aggettivi indipendenti le persone Il Sé come oggetto di conoscenza - 2 A seconda delle situazioni manifesteremo un interesse per un confronto, oppure avremo diffcoltà a confrontarci con gli altri. Per conoscere noi stessi abbiamo bisogno di un confronto con gli altri. Teoria del confronto sociale di Festinger Prevede particolari prestazioni dei soggetti quando seguono questa particolare motivazione: ho necessità di avere una sorta di indicazione circa l’affdabilità e l’accuratezza delle mie opinioni ed avere una sorta di sicurezza rispetto alle mie abilità. Tipicamente questa è la situazione nella quale noi ci confrontiamo con gli altri. Come la situazione di uno studente che ha incertezze e dubbi sulla propria preparazione al momento dell’esame, questa è la tipica situazione in cui cerca il confronto con le opinioni delle altre persone. Il confronto ha proprio la funzione di aumentare il grado di affdabilità delle nostre conoscenze e opinioni. Questo principio funziona anche in altri contesti, per esempio quello politico: è molto più rassicurante confrontarsi e avere una convalida con chi ha le nostre stesse opinioni. La mia convinzione diventa ancora più forte se scopro che ci sono tanti altri che la pensano come me. È una tendenza selettiva alla ricerca di consenso attraverso i meccanismi di confronto sociale. E’ ovvio che il confronto è interessante quando si realizza con i pari, ma anche con chi sentiamo superiore o inferiore. Confronto sociale con i pari, verso l’alto o verso il basso I meccanismi del confronto sociale ci dicono che noi preferiamo i pari che abbiano lo stesso tipo di opinione, lo stesso schema di sé. Ma ci sono situazioni di confronto ad esempio con i superiori (considerati come un traguardo da raggiungere): questo confronto serve a testimoniare che la persona diventa sempre più brava, più abile, nella misura in cui la differenza con chi ci è superiore diventa sempre più ridotta. Oppure in situazioni di diffcoltà, di pericolo. Questa è la situazione in cui preferiamo il confronto verso il basso: sono confronti che ci garantiscono circa il fatto che noi abbiamo un differenziale di tipo positivo che ci salvaguarda rispetto ad altri. In queste situazioni preferiamo un confronto che difenda la nostra immagine. Confronto sociale verso il basso nei malati terminali (S. Taylor) C’è un dato interessante e inquietante allo stesso tempo che deriva da una ricerca clinica della percezione del sé nell’ambito dei malati, anche terminali. Secondo Shelley Taylor i malati di cancro preferiscono parlare dei loro problemi con persone che essi sanno essere in una condizione peggiore della propria. Quindi il malato di cancro realizza una condizione di confronto verso il basso che gli consente di mantenere una parte di positività dell’immagine che di se stesso ha. Le definizioni di sé in culture differenti: interdipendenza e indipendenza (Triandis) La dimensione che stiamo analizzando è quella dell’interdipendenza in contrapposizione alla dimensione dell’indipendenza; in realtà parliamo di un’unica dimensione, e vedremo uno strumento per rilevare il senso di interdipendenza versus indipendenza. Questa tematica deriva da un’analisi di tipo interculturale che ha caratterizzato la psicologia degli ultimi 20 anni. Lo psicologo Triandis (1989), ha diviso il mondo (secondo alcuni in maniera grossolana), individuando due forme possibili di cultura: culture di tipo individualista e culture di tipo collettivista. – Culture di tipo individualista: sarebbero basate sulla valorizzazione dell’immagine di sé come indipendente. Rappresentano sé stessi come diversi, separati, unici, rispetto a tutti gli altri, in questo caso si valorizza l’indipendenza è l’unicità. La valorizzazione dell’indipendenza a che fare con quella parte del mondo che Triandis individua nella cultura occidentale. – Culture di tipo collettivista: visione del sé come interdipendente e quindi la valorizzazione dei legami tra individui, la valorizzazione del fatto di appartenere ad un contesto e di sentirsi parte di questo contesto. Il Sé come oggetto di conoscenza - 5 Come nelle culture orientali. Pensando alla situazione italiana possiamo individuare la presenza di queste due possibili culture confrontando: – le comunità urbane: basate sul valore dell’indipendenza, il sé differenziato dagli altri. – le comunità rurali, di tipo contadino: valorizzano il senso di appartenenza e il riferimento costante ad un gruppo. Esempi di item possono mettere in luce l’adeguarsi ad un valore piuttosto che ad un altro: «La felicità mia dipende dalla felicità di chi mi circonda», questo è un riferirsi ad un contesto, anche per vivere dei sentimenti. «La mia identità personale, indipendente dagli altri, è molto importante per me», si tratta di accentuare il polo dell’indipendenza. Conclusioni Il concetto di sé è un’interfaccia tra pubblico e privato. Il funzionamento dello schema di sé: abbiamo visto le infuenze che si realizzano sull’elaborazione delle informazioni e quindi l’emergere di questo concetto di unicità o pluralità del sé. Il Sé come oggetto di conoscenza - 6 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli dettagliati; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Psicologia sociale La molteplicità dei sé Appunti dalla videolezione 10 col prof. Luciano Arcuri Argomenti: 1. Il sé nella prospettiva temporale: processi di recupero del sé situato nel passato, la memoria autobiografca 2. Il sé nella prospettiva temporale: prospettive del sé nel futuro, i sé possibili La memoria autobiografica: il sé nel passato come ricostruzione Vedremo in che modo questo sé viene reso attivo alla ricerca di una relazione tra le prestazioni, competenze, atteggiamenti, valori, del passato e del presente. Questo perché abbiamo bisogno di individuare delle tendenze temporali, vogliamo trarre delle inferenze sullo sviluppo e i progressi delle nostre capacità, e verifcare il grado di coerenza della nostra visione del mondo. Tenendo presente che tema dominante è la costruzione e ricostruzione del nostro passato. Esempio di processo ricostruttivo, la propria posizione politica: – la ricostruzione della propria posizione politica – la possibile teoria invocata: quella della stabilità. Supponiamo che a un individuo venga chiesto di ricordare come egli era politicamente 10 anni prima. Ossia di ricostruire quella rappresentazione di sé che riconduce alle dimensioni di tipo ideologico, all’emergere di certi valori sociali nei quali l’individuo si riconosce. Ed è plausibile che l’individuo non ricordi le specifche opinioni politiche espresse 10 anni prima, ma che comunque ricordi l’orientamento politico tendenzialmente come stabile, non mutato. Esempio di processo ricostruttivo, il peso corporeo: – la ricostruzione del proprio peso corporeo prima di una cura – la possibile teoria invocata: il cambiamento Cosa succede quando a una persona viene chiesto di ricordare il suo peso corporeo prima di una dieta che sta seguendo ormai da qualche mese? Quella persona metterà a confronto due rappresentazioni di sé, per quanto concerne quella particolare dimensione del giudizio riguardante il peso corporeo. Ci aspettiamo che pur non ricordando il proprio peso corporeo di alcuni mesi prima, il soggetto invochi una teoria del cambiamento, in base alla quale egli si considera diverso rispetto al presente e quindi tende a differenziare la sua immagine che ha sott’occhio rispetto all’immagine che lui ricorda riguardante il passato. Possiamo dire che la teoria invocata è stata la teoria del cambiamento. L’ipotesi generale di queste ricerche, teoria del cambiamento e della stabilità Il proprio passato è ricostruito considerando come punto di riferimento il presente. Quindi il passato viene caratterizzato come simile o diverso sulla base del tipo di teoria che viene invocata. Perciò il passato è signifcativamente diverso rispetto al presente, se viene fatta valere la teoria del cambiamento. Viene invece considerato simile se invece si impone una teoria della stabilità. Capite che questo processo di ricostruzione dà luogo ad errori che riguardano il sé nel passato e la psicologia sociale si interessa degli errori di ricordo a proposito del sé nel passato. Gli errori di ricordo a proposito del sé nel passato: uso passato di tabacco, alcool, marijuana (Collins e collaboratori 1985) Per esempio un errore è sottostimare i cambiamenti quando viene adottata la teoria della stabilità. La ricerca di Collins e collaboratori (1985) sul ricordo dell’uso di tabacco alcool e marijuana, fatto da La molteplicità dei Sé - 1 alle caratteristiche del momento di partenza. Il sé possibile nell’adolescente Pensiamo a un adolescente che vive in proiezione del futuro il suo entrare nel mondo degli adulti: obiettivi di cambiamento verso l’alto, di cambiamento verso uno status superiore, con motivazione intensa. Il sé possibile nel pensionato La proiezione invece del futuro di una persona che è andata in pensione. Tipicamente la proiezione verso il futuro per questa persona ha a che fare con lo sviluppo di possibili timori a proposito della differenza tra un prima e un dopo. Così come l’adolescente vive come eccitante la possibilità di realizzarsi in un futuro per essere qualche cosa di diverso dal presente, così la persona pensionata vive in maniera timorosa il fatto di essere diverso rispetto al passato. Alcune delle sindromi depressive che si verifcano in questo momento, sono proprio legate a questo timore di essere diverso rispetto al passato che era caratterizzato da effcienza, abilità, produttività. E queste sindromi spesso accentuano una differenza, in termini di inabilità incapacità ineffcienza, tra passato e presente. Il gioco di questi sé possibili tra presente, passato e futuro, ha delle forti ricadute sul vissuto emotivo di chi sta vivendo quelle situazioni. I sé possibili che derivano dalle rappresentazioni di aspettative di altri socialmente significativi Il caso di un adolescente e le aspettative dei genitori Immaginiamo che ci sono altri che hanno dei progetti rispetto alla nostra vita: un genitore che ha progetti nei confronti del fglio. Una possibile articolazione del sé di quell’adolescente ha perciò a che fare con l’aspettativa socialmente signifcativa che gli proviene dai propri genitori. Cosa vorrò fare in futuro? Cosa gli altri si aspettano che io faccia? Una dettagliata rappresentazione di un possibile sé futuro consente chiarezza dell’obiettivo e di come raggiungerlo A questo proposito esistono esperimenti di Markus e Nurius (1986) che mettono in luce questa situazione: quanto più chiara e dettagliata è la rappresentazione di un possibile sé nel futuro, tanto più evidente e delimitato è l’obiettivo a cui le sue azioni dovranno tendere. Se ho dei progetti ben circostanziati rispetto a un futuro che intravedo come possibile, tanto più facilmente sarò in grado di individuare gli obiettivi precisi per raggiungere questo risultato, e gli strumenti e le azioni che mi consentiranno di raggiungere questi obiettivi. Questo la dice lunga sulla capacità che ciascuno di noi dovrebbe avere nell’ipotizzare dei sé futuri possibili e raggiungibili, perché questa è l’unica modalità che ci consentirà di trovare le azioni opportune per raggiungere i nostri obiettivi. Caratteristiche degli scopi efficaci Gli scopi diventano effcaci quando: – sono chiari, – di ragionevole e non eccessiva diffcoltà, – quando si riferiscono a dimensioni importanti della condotta e sono focalizzati sul sé. Nelle strategie che dobbiamo adottare nella nostra condotta di tipo sociale, obiettivi troppo ambiziosi possono produrre dei risultati di tipo negativo, proprio perché gli obiettivi debbono sempre essere raggiungibili e bisogna sempre trovare la strategia per raggiungerli. Focalizzarsi sul sé e non su miti di tipo esterno È l’operazione più sensata che possiamo fare: come sono, quali sono le mie caratteristiche, e che cosa posso permettermi in termini di obiettivi raggiungibili. La molteplicità dei Sé - 4 Come possono variare motivazione e perseveranza in un compito, a seconda dei sé possibili che riusciamo ad evocare (Markus e Ruvolo 1989) La ricerca è basata su questo paradigma: i partecipanti devono immaginare un loro possibile futuro, devono immaginare se stessi come: – aventi successo in un lavoro, – come fortunati nella realizzazione di un lavoro, – come falliti nella realizzazione di un lavoro malgrado l’impegno – o per la cattiva sorte. I partecipanti dopo aver evocato questo tipo di scenario, sono impegnati in un compito che ha lo scopo di misurare la loro perseveranza nei tentativi di soluzione di un problema. Si tratta di realizzare un compito e questo compito non è risolvibile. (Molte delle situazioni sperimentali che gli psicologi utilizzano, sono situazioni in cui ingannano i soggetti). Il compito (per esempio di tipo logico), è tale per cui la soluzione non può essere trovata. La variabile che viene misurata è perciò la perseveranza nei tentativi di soluzione del problema. Il tempo dedicato ai tentativi di soluzione, è un indicatore del grado di perseveranza realizzato dalla persona. I risultati. Il gruppo di partecipanti che aveva immaginato un impegno lavorativo coronato da successo era quello che maggiormente si impegnava nel compito di perseveranza. Le persone che avevano evocato e fatto diventare come parte di sé, un futuro di successo dei propri obiettivi, erano talmente infuenzate da questo futuro evocato e virtuale, da diventare più motivate e perseveranti in un compito reale che poi avevano dovuto affrontare. Le persone che avevano evocato una situazione di insuccesso e di insoddisfazione erano quelle che poi nel compito avevano dimostrato la minor capacità di perseveranza. Il fattore di motivazione che hanno informazioni su un sé possibile positivo Al di là delle situazioni di tipo sperimentale c’è una sorta di lezione che dobbiamo trarre: immaginate il possibile fattore di motivazione che è inserito in informazioni che noi diamo a un allievo quando prevediamo per lui/lei un futuro di successo, di realizzazione dei propri obiettivi, e così via. E’ plausibile che quella persona non solo sia in grado di acquisire queste informazioni come delle speranze rispetto al futuro, ma di utilizzare queste speranze come elemento capace di farlo perseverare nei compiti attuali in cui egli è coinvolto. Quindi i sé possibili, positivi e negativi, hanno infuenza su prestazioni attuali delle persone. Conclusioni – Siamo degli storici revisionisti quando ricordiamo noi stessi – La focalizzazione sulle dimensioni presenti del sé, produce conseguenze sui progetti riguardanti il futuro. Nell’ambito di questi sé possibili che caratterizzano il nostro vissuto riguardante noi stessi lungo la dimensione temporale, a seconda delle teorie che sposiamo: – teoria della stabilità – teoria del cambiamento, ci porteranno ad effettuare delle stime inaccurate del passato. Per quanto riguarda il presente rispetto il futuro: delle immagini che evocano il futuro, di tipo positivo o negativo, hanno delle infuenze precise sul grado di motivazione che realizziamo nei compiti riguardanti il presente. Sono due grosse lezioni da trarre. La molteplicità dei Sé - 5 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli dettagliati; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Psicologia sociale La valutazione del sé. Il concetto di autostima Appunti dalla videolezione 11 col prof. Luciano Arcuri Argomenti: 1. il ruolo delle motivazioni 2. le possibili ambiguità delle misure 3. le fonti dell’autostima 4. sé fattuale, sé imperativo, sé ideale Il concetto di autostima Abbiamo visto che le persone organizzano le conoscenze a proposito di sé utilizzando una struttura che abbiamo chiamato: concetto di sé, ecco che allora le persone, oltre ad attribuirsi caratteristiche, tendono anche ad associare loro una valutazione. Possiamo dire che la valutazione collegata alle caratteristiche che ci attribuiamo, è il nucleo fondamentale su cui si organizza il concetto di autostima. Se combiniamo i pensieri e i sentimenti che defniscono il concetto di sé con le valutazioni ad essi associate, emerge un costrutto teorico importante, quello di autostima. Dobbiamo tenere presente che l’operazione si attua in modo assolutamente inconsapevole. Se mi attribuisco la capacità di essere loquace o la capacità di interagire in modo favorevole con le altre persone, si tratta di capire se queste due caratteristiche vengono da me giudicate in maniera positiva o in maniera negativa. Ebbene, se io mi attribuisco la caratteristica di loquacità e attribuisco a questa caratteristica una valenza di tipo negativo, plausibilmente la mia autostima tende a decrescere. L’autostima si concretizza nel valore negativo o positivo che la persona attribuisce in generale a sé stessa: un’operazione in cui ci sono degli addendi che danno luogo al concetto di sé e vengono ponderati da una valutazione. «L’autostima è quel sentimento riferito al sé che nasce dal confronto tra il sé reale e il sé ideale che l’individuo possiede» (William James) Un individuo immagina che in una situazione ideale le caratteristiche che lui dovrebbe possedere sono particolarmente altre. In questo caso, c’è una forte discrepanza tra le caratteristiche attribuite al sé nella situazione concreta e le caratteristiche che una persona vorrebbe riconoscersi in una situazione ideale. Tanto più forte è questa discrepanza, tanto più forte è il dislivello tra sé reale e sé ideale, ecco che aumenterà l’impressione negativa e diminuirà l’autostima provata dalla persona. Le possibili ambiguità delle misure Una tecnica classica: il self report Come si misura l’autostima? Una tecnica classica è il self-report: il partecipante giudica se stesso su una serie di tratti. E’ quello che capita quando una persona viene interrogata per una ricerca: ha davanti un insieme di tratti di personalità (aggettivi o altro), che corrispondono a dimensioni diverse della personalità, per ciascuno di questi tratti la persona deve dire in che misura lo contraddistingue e in che grado associa dei valori di tipo positivo o negativo a quei tratti. Quanto ritengo positivo o negativo l’essere loquace, l’essere assertivo, e così via. Un’altra possibilità è quella di rispondere a delle domande a delle affermazioni d’opinione, che corrispondono a stati delle persone quando ragionano rispetto alla propria autostima. Il dato è che quanto più grande è l’autostima tanto più chi propone il giudizio su di sé lo fa in maniera da accrescere in forma tendenziosa la propria immagine. E questo è un problema di validità delle misure ottenute con questi self-report di tipo diretto: pensa a te e poi dimmi come ti senti con i tratti che ti La valutazione del Sé. Il concetto di autostima - 1 Le discrepanze tra i diversi sé Le persone quindi non si limitano a veder convivere questi diversi sé, ma operano dei confronti e delle comparazioni che danno luogo a possibili situazioni felici o, più spesso, infelici. Le discrepanze che l’individuo percepisce tra i diversi sé danno luogo a: – conseguenze affettive per l’individuo – l’individuo tenta una sua riduzione – ma se l’incoerenza rimane, a seconda del confronto, ne derivano vissuti emozionali diversi. Immaginiamo una situazione nella quale una persona attribuisce a sé stessa la caratteristica di essere stonato (sé effettivo), nello stesso tempo immagina un sé ideale dotato di una perfetta intonazione. Questa è una situazione che diffcilmente può essere ridotta, e se l’incoerenza rimane: «Vorrei tanto essere intonato, ma ahimè sono stonato», ne derivano dei vissuti emozionali non sempre favorevoli. Discrepanza tra sé effettivo e sé ideale: – disappunto – insoddisfazione – tristezza. Discrepanza tra il sé effettivo e il sé imperativo: – agitazione – ansia – inquietudine Ad esempio: «Non ho voglia di studiare uno strumento musicale, ma i miei genitori immaginano che io dovrei imparare uno strumento musicale» Misura del grado di incoerenza nelle rappresentazioni del sé in studenti delle scuole medie E’ stata fatta una verifca sperimentale utilizzando degli studenti delle scuole medie: dovevano creare una lista di attributi che essi immaginavano costituire il loro sé effettivo: «Gli attributi che senti come descrittivi di te in questo momento», il loro sé effettivo. Ma dovevano indicare anche il loro sé ideale e quello imperativo utilizzando la stessa lista di parole. Attributi e tratti che avrebbero voluto possedere (sé ideale), e quelli che avrebbero voluto possedere anche in relazione ai desideri dei genitori (sé imperativo). Come sono state calcolate queste misure? Per ogni report realizzato da un soggetto, il numero di coppie di attributi che risultavano antagonisti nei diversi confronti costituisce una misura del grado di incoerenza nelle rappresentazioni del sé. In che misura vorrei essere loquace mentre mi descrivo come taciturno: questa è una situazione di antagonismo data una coppia di attributi, loquacità e silenziosità. Si tratta di una misura del grado di incoerenza e tra le diverse rappresentazioni del sé. Dopo un mese, i partecipanti rispondono a due scale: – una sulla depressione – una sull’ansia. Si trattava di una semplice ricostruzione del grado in cui si sentivano depressi o in ansia. Queste due scale erano le variabili che poi si sarebbero correlate con i punteggi di incoerenza ottenuti precedentemente. I risultati: – hanno dimostrato che all’aumentare dell’incoerenza tra sé effettivo e sé imperativo (Sono così, ma i miei genitori mi vorrebbero in modo diverso), aumentava anche il punteggio di ansia – le persone, invece, che hanno coerenza tra sé effettivo e sé imperativo vivono tranquillamente questa situazione senza reazioni di ansia – quando invece l’incoerenza si realizza tra sé effettivo e sé ideale si ha un aumento del grado di depressione: c’è una correlazione tra aumento di incoerenza tra sé effettivo e sé ideale e aumento della depressione. Si tratta di due reazioni emotive che sono qualitativamente diverse e che nascono da confronti che sono indicatori di situazioni diverse (sé reale - sé ideale; sé reale - sé imperativo). La valutazione del Sé. Il concetto di autostima - 4 Le discrepanze prospettive nel futuro Le discrepanze possono anche essere anticipate. La discrepanza rispetto al sé ideale viene valutata a seconda che l’individuo ritenga di poterla risolvere oppure no. Esempio sulla carriera di uno studente: «Oggi ho avuto un risultato di tipo negativo mentre in realtà desideravo un risultato positivo». Il risultato negativo ha a che fare con il sé reale; il desiderio di un risultato positivo ha a che fare con un sé ideale. Questa differenza, che pesa dal punto di vista emotivo, è una differenza che io posso colmare oppure no: quale sarà nel futuro la relazione tra il mio sé reale e il mio sé ideale? – Se la differenza permarrà ci saranno conseguenze negative; se invece ad esempio coinvolgerò le mie motivazioni, userò la tecnica di studio giusta, ecc., riuscirò a colmare questa differenza tra sé ideale e sé reale. In questa situazione, un’eventuale differenza nel futuro potrà essere ridotta. – Mentre invece se alcuni sono consapevoli di possedere le abilità per colmare la discrepanza, ma riconoscono di non averlo ancora fatto, sono in una situazione di vantaggio: ho tutte le possibilità di colmare una discrepanza, ma riconosco di non averlo ancora fatto. Sono nella condizione per mobilitare tutte le mie motivazioni e superare questo gap che si è creato. – Altri ritengono che qualsiasi sia lo sforzo, non sarebbero comunque in grado di risolvere il problema. Tipicamente questa è la situazione più diffcile da sopportare, perché induce una sorta di sensazione di impotenza. Le sindromi di depressione partono da constatazioni di questo tipo e sono caratterizzate da senso di impotenza. Una condizione sulla quale è diffcile intervenire. Conclusioni – L’autostima è molto importante per analizzare le reazioni dell’individuo di fronte a successi e insuccessi. – L’autostima nasce da confronti con possibili diverse dimensioni del sé. L’esito di questo confronto dà luogo a vissuti emotivi diversi e prevedibili. – Gli strumenti per la misura dell’autostima possono produrre risultati diversamente attendibili. Quello che abbiamo visto fino ad ora – Il sé rappresenta qualcosa di impegnativo e di importante che raccorda ciò che sta all’interno di noi, ma anche ciò che sta all’esterno di noi. Possiamo parlare del sé come una sorta di costrutto, di interfaccia, tra il mondo interno e il mondo esterno. Gli psicologi della personalità affrontano l’analisi del sé basandosi soprattutto sulle dimensioni di tipo interno. Noi invece, essendo più ancorati ai comportamenti di tipo sociale, sottolineiamo l’importanza degli schemi di sé e del concetto di sé per ancorare le emozioni i vissuti di tipo interno e il modo con il quale noi ci rapportiamo nelle situazioni di interazione sociale. – Parlando di memoria autobiografca abbiamo fatto un confronto tra sé nel passato, sé nel presente e sé nel futuro. – Abbiamo visto che quando parliamo di confronti rispetto agli altri, ecco che emerge questa dimensione che ci consente di rapportarci agli altri in situazioni nelle quali qualche volta privilegiamo il confronto verso lo status superiore, qualche volta privilegiamo il confronto verso lo status inferiore o nei confronti di pari. – Abbiamo altre situazioni in cui le varie possibilità di interazione tra interno ed esterno sono giostrate sulla base delle strategie di autopresentazione che gli individui mettono in campo. – Parlando del concetto di autostima abbiamo sottolineato che l’autostima qualche volta è una corretta descrizione dello stato e dei pensieri interni dell’individuo, qualche volta invece è una sorta di tendenza a proporre un’immagine di sé in termini positivi, utilizzando una strategia di autopresentazione. La valutazione del Sé. Il concetto di autostima - 5 Abbiamo anche visto come l’autostima possa risultare come un autoinganno che ciascuno di noi in particolari condizioni è portato ad utilizzare. – Abbiamo fatto una ricognizione delle diverse espressioni del sé e delle diverse modalità con cui questi confronti, rispetto a noi e rispetto agli altri, si realizzano. La valutazione del Sé. Il concetto di autostima - 6 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli dettagliati; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com La tendenza sistematica a giudicare il nostro contributo importante: esempio del contributo alla famiglia del marito e della moglie (Kuiper e Derry, 1982) Le persone elaborano i tratti di personalità positivi attribuiti al sé in maniera più rapida e facile, e li ricordano meglio. Ad esempio succede che: – le persone preferiscono ricordare i loro successi più che gli insuccessi – giudicano il loro contributo più importante nella realizzazione di un qualche successo C’è un esempio di ricerca riguardo questo motivo di auto accrescimento. Provate a chiedere a marito e moglie di descrivere qual è il loro contributo nella gestione della situazione familiare (chi lava i piatti, chi prepara da mangiare, chi porta la spazzatura nel bidone, quante volte mi alzo se il fglio piange, ecc.). Ebbene, se voi chiedete alle persone di individuare, ciascuna separatamente, qual è il contributo personale nella realizzazione di queste attività [indicandolo con un punteggio] su una scala che va da 0 a 100, se le due persone lavorano separatamente in modo onesto e affdabile, dovremmo trovare che la somma dei due contributi è pari a 100. Risultati. Se noi chiediamo separatamente di individuare il loro contributo ad una certa attività scopriamo che la somma è sempre superiore a 100. Entrambi sono convinti di impegnarsi di più di quanto non venga riconosciuto dal partner. La cosa non ha solo a che fare con l’incomunicabilità tra i coniugi, ma ha anche a che fare con la nostra tendenza sistematica a giudicare il nostro contributo più importante nella realizzazione di un qualche successo. – Nel caso, invece, di tratti negativi, essi sostengono di condividerli con tanti altri. Chiedete alle persone di indicare con quanti altri condividono un tratto di tipo negativo : scoprirete che le persone sono molto aperte ad attribuire anche ad altri un tratto di tipo negativo. – Nel caso di tratti positivi, di solito le persone ritengono di condividerli con pochi. Questo signifca che la tendenza all’auto accrescimento si realizza nel condividere con altri le situazioni in cui ho degli insuccessi o dei tratti di tipo negativo; nel considerare invece come specifci della mia condizione quei tratti che mi rappresento come positivi. La ricerca di Buitten sulla piacevolezza delle lettere che compongono il proprio nome C’è un dato che emerge da una ricerca realizzata da Buitten, il quale chiedendo alle persone di giudicare il grado di piacevolezza associato alle lettere dell’alfabeto (quanto ti piace la A, la B, ecc.), ha scoperto che le persone tendevano a valutare più positivamente quelle lettere che erano contenute nel loro nome e cognome, rispetto alle lettere che non ne facevano parte. Non c’era in queste persone nessuna volontà di tipo esplicitamente narcisistico, ma c’è una tendenza che si manifesta in operazioni apparentemente lontane: siccome quella lettera la considero piacevole, guarda caso ne emerge una considerazione che indica che giudico positivamente il mio nome. Questo è quello che possiamo immaginare, e tutto questo avviene a livello implicito. Anche le previsioni circa il futuro sono influenzate da queste tendenze all’autoaccrescimento. Se chiediamo di stimare le probabilità di vivere esperienze positive, nella maggioranza scopriremo che ci sarà una tendenza che testimonia la presenza di questo autoaccrescimento. Ad esempio, ciascuno di noi ritiene di avere maggiori probabilità degli altri di: – trovare un lavoro piacevole – riuscire ad ottenere un buono stipendio – avere un fglio superdotato intellettualmente. Situazioni che ci dicono che anche nelle prospettive riguardanti il futuro emerge questa tendenza all’autoaccrescimento. Se chiediamo invece di stimare le probabilità di vivere esperienze negative, ritengono di essere meno soggette degli altri: Le motivazioni del Sé - 3 – ad avere incidenti d’auto – ad essere vittime di azioni delittuose – ad ammalarsi – a diventare depressi. Esiste una tendenza sistematica a considerare più positivi gli esiti di successo, e una tendenza sistematica a considerare come poco probabili degli esiti di insuccesso. Una verifica empirica: soggetti ansiosi e strategia difensiva al feedback negativo di un test (Frey 1988) Frey ha utilizzato dei soggetti che precedentemente erano stati classifcati come ansiosi o non ansiosi. Queste persone dovevano fare delle stime a proposito della propria intelligenza. Una volta che queste stime erano state operate, i soggetti venivano fatti partecipare ad un gioco, nel quale c’era una sorta di inganno nei confronti del soggetto: porre le persone di fronte ad un test e dare poi un feedback di risultato indipendentemente dalla prestazione effettiva del candidato. Per esempio, in un test di intelligenza dare un feedback al di sopra o al di sotto dell’aspettativa. Ci troviamo di fronte ad una situazione in cui le persone mettono in gioco la loro autostima proprio perché sperano di ottenere un’immagine di tipo positivo da un test di intelligenza. Vediamo come si comportano i soggetti ansiosi rispetto a quelli non ansiosi. L’ipotesi: è che il maggior bisogno di mantenere l’autostima sia quello che caratterizza i soggetti ansiosi. La variabile dipendente: è ancora una volta una variabile che attiene a comportamenti successivi. La persona può scegliere informazioni che discreditano l’uso del quoziente di intelligenza, ha a disposizione un insieme di articoli scientifci che dimostrano che i test d’intelligenza non funzionano. Allora la quantità degli articoli scelti per testimoniare che i test non funzionano è una variabile dipendente che ha a che fare con una strategia autodifensiva. I risultati. I numeri indicano il numero medio di pubblicazioni contrarie all’uso dei test di intelligenza scelte dai soggetti dopo una prestazione con feedback peggiore o migliore. I non ansiosi: manifestano una scelta di pubblicazioni scientifche sempre di 1,8 quindi non modifcano le loro strategie comportamentali in dipendenza del feedback che hanno ottenuto. Mentre i soggetti ansiosi: sono quelli che chiedono la maggior quantità di strumenti che mettono in crisi la diagnosticità dei Q.I. rispetto alla condizione [nella slide]: migliore. Gli ansiosi danno luogo a strategie comportamentali diverse a seconda che la loro autostima è entrata o no in crisi. La motivazione all’autoaccrescimento è particolarmente forte nel caso dei soggetti ansiosi. Il valore funzionale dell’autoaccrescimento Perché si manifesta questa tendenza sistematica ad esagerare le caratteristiche positive di sé? Esistono delle prove di tipo empirico circa il fatto che la sistematica positività delle impressioni e dei giudizi che riguardano il sé, è frutto di una sorta di autopromozione che gli individui realizzano a vantaggio della propria immagine. Questo fenomeno nasconde un signifcato funzionale [adattivo]: è proprio grazie a queste tendenze sistematiche a favore del sé che il tono positivo e affettivo del proprio vissuto tende a mantenersi alto in intensità e le prospettive riguardanti il futuro si proiettano come favorevoli con un livello di aspirazione che si mantiene elevato. Le condizioni che danno luogo a giudizi positivi o a giudizi meno ottimistici sono quelle che mettono in crisi l’autostima delle persone e quindi questa è una possibile situazione verso la depressione. Il Le motivazioni del Sé - 4 valutare più le informazioni negative rispetto al sé è il segno che questo meccanismo sta entrando in crisi mentre si affaccia il pericolo della sindrome di tipo depressivo. Quindi possiamo dire che in questa tendenza all’autoaccrescimento, anche se è una tendenza a barare a proporre un’immagine di sé che non corrisponde al vero, c’è un forte valore adattivo: – gli individui si mantengono sereni – si prendono cura degli altri se c’è questa tendenza all’autoaccrescimento. Convivere con un’immagine positiva di noi stessi, produce delle conseguenze positive in termini di umore e di capacità di interazione, anche se questa immagine positiva di noi stessi non corrisponde al vero. Le persone che convivono felicemente con un’immagine positiva: – trovano energia per impegnarsi in lavori creativi – e viene favorito l’adattamento sociale e personale. Sono tutte situazioni in cui emerge il valore funzionale di questa tendenza all’autoaccrescimento: avere un’immagine positiva di sé, non fa altro che consentire all’individuo di interagire più positivamente con le proprie situazioni e con le situazioni con gli altri. L’autodifesa C’è anche un’altra motivazione che sta alla base dell’autoaccrescimento, la tendenza all’autodifesa: – noi abbiamo una preferenza per informazioni che discreditano fonti di feedback negativi nei nostri confronti – se la nostra autostima è minacciata preferiamo i confronti verso il basso. Nel primo caso: la preferenza per informazioni che discreditano fonti di feedback negativo, è già stata dimostrata dalla ricerca presentata prima (Frey, riguardo le reazioni dei soggetti ansiosi), che ci dice che le persone tendono a discreditare le fonti che hanno prodotto questo feedback negativo. Nel secondo caso: quando poi c’è la necessità di convivere con esiti di tipo negativo, allora il confronto che realizzeremo sarà verso il basso. Il meccanismo di autodifesa viene a realizzarsi quando di fronte ad un feedback negativo noi abbiamo la possibilità di uscire da una situazione di disagio effettuando dei confronti con persone che hanno ancora più di noi avuto dei feedback negativi. La tendenza autodifensiva è maggiore dopo un fallimento e se l’autostima è minacciata in persone con bassa autostima o forte componente di tipo ansioso. Bassa autostima e feedback negativo sono le combinazioni che danno luogo alla mobilitazione di tendenze all’autodifesa. Una ricomposizione delle motivazioni Abbiamo esaminato: – la tendenza alla coerenza – la tendenza all’autoaccrescimento come è possibile che funzionino contemporaneamente motivazioni così diverse? Se noi abbiamo una tendenza alla coerenza non possiamo che limitarci ad analizzare i dati (le autodescrizioni, i nostri comportamenti), per come si manifestano oggettivamente. È quindi un motivo per essere affdabili nella descrizione dei propri tratti. In altre situazioni invece, esiste un altro motivo altrettanto imperiosamente sempre presente: l’autoaccrescimento. Come facciamo a far convivere questi due motivi? L’uno legato alla conoscenza reale delle mie caratteristiche, l’altro all’enfatizzazione e all’autoaccrescimento delle mie caratteristiche. Le motivazioni del Sé - 5 Il risultato. I partecipanti che non erano informati degli effetti dell’adrenalina erano quelli che in misura maggiore si dichiaravano e si comportavano da arrabbiati o da euforici a seconda delle modalità di azione del complice incontrato. Se il complice aveva manifestato o rabbia o euforia, così i partecipanti reagivano alla situazione manifestando o rabbia o euforia. Solo però i partecipanti che non erano stati informati sugli effetti dell’adrenalina. Si tratta di una situazione che ci dice quanto sia importante avere delle informazioni rispetto alla interpretazione del nostro vissuto emotivo. Capire i propri vissuti emozionali (Dutton e Aron 1974) La problematica è sempre la stessa: l’interpretazione del nostro vissuto di tipo emotivo è un qualche cosa che si innesta, si aggiunge e si integra a partire da una situazione di arousal cioè da una attivazione fsiologica che è, per così dire, una base poco chiara, poco affdabile, riguardante l’espressione emotiva. La situazione: turisti maschi attraversano un ponte traballante su un canyon. Sono quelle tipiche vacanze con situazioni di pericolo e quindi si verifca il comportamento di questi turisti maschi che hanno appena attraversato un ponte traballante sul canyon e quindi con una forte componente di paura. Voi capite che in una situazione del genere aumenterà il battito cardiaco, aumenterà la frequenza di respirazione e così via, si tratta di una condizione di arousal che i soggetti stanno vivendo. Dopo che il ponte è stato attraversato, in una delle condizioni, c’è una ragazza che si avvicina e chiede loro di compilare un questionario a proposito delle bellezze della natura. Poi chiede di ricontattarla per telefono nel caso vogliano avere informazioni sul progetto. Si tratta ancora una volta di una sorta di inganno: alla ragazza non interessa avere informazioni sulle bellezze naturali, la ragazza è solo una particolare condizione della situazione stimolo per verifcare in che misura le persone che hanno appena attraversato il ponte interpretano questo stato di attivazione fsiologica in presenza della ragazza. Le situazioni sperimentali sono di due tipi: – l’approccio avviene subito dopo l’attraversamento del ponte - intenso arousal - – l’approccio avviene dopo che il partecipante si è riposato - debole arousal - il partecipante ha avuto quindi modo di tranquillizzarsi, di bere qualcosa. Variabile dipendente: – contare il numero di contatti telefonici tentati con la ragazza per avere informazioni sull’esito del questionario e su approfondimenti diversi. Non è escluso che il fatto di telefonare fosse anche una modalità con cui riprendere contatto con una ragazza incontrata precedentemente. I dati di ricerca sono presentati nel grafco dove abbiamo la variabile dipendente cioè la percentuale di uomini che telefonano. Come vedete esistono diversi dati di frequenza a seconda che l’intervista sia avvenuta subito dopo l’attraversamento del ponte oppure a distanza di tempo. Questo signifca che le persone che vivevano una situazione di arousal particolarmente intensa e che si trovavano ad interagire con una piacevole ragazza, plausibilmente attribuivano questa situazione di arousal al grado di piacere che essi vivevano nel trovarsi di fronte alla ragazza. Questa è la possibile interpretazione di questa differenza ottenuta in termini di telefonate realizzate successivamente. La ragazza era la stessa sia nella condizione di intenso arousal che di debole arousal , la differenza è dovuta ad una modalità diversa con cui le persone hanno interpretato la loro situazione di attivazione fsiologica. Il sé in azione. Come dirigere le emozioni e il comportamento - 2 Le strategie di autopresentazione Vedremo quali sono i meccanismi mediante i quali le persone controllano e direzionano le loro azioni selezionando situazioni e individui con cui interagire. Questi meccanismi consentono l’adozione di strategie che ci permettono di gestire una immagine «pubblica», così come consentono di presentare se stessi in modo da raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti Una serie di problemi che analizzeremo vedendo le strategie di autopresentazione. Si tratta di un insieme di comportamenti che sono importanti quando siamo proiettati verso l’esterno nelle interazioni con gli altri socialmente signifcativi. Ad esempio la situazione di un individuo che deve interagire nei confronti di un pubblico parlando: una situazione che deve affrontare ponendosi l’obiettivo da un lato di essere effcace e dall’altra di presentare il meglio di se stesso. In questo caso l’attenzione nei confronti di sé e l’attenzione nei confronti degli altri è un gioco di continui rimandi e le strategie di autopresentazione sono per l’appunto una componente di questi rimandi. Il ricercatore che più ha affrontato questo problema è Snyder (1974) il quale ha individuato una sorta di distinzione tra le persone considerate: – ad alto automonitoraggio – a basso automonitoraggio Le persone ad alto automonitoraggio si percepiscono come fessibili, abili nel diventare parte di qualsiasi situazione sociale, capaci di dimenticare o far scomparire i loro tratti più intimamente caratteristici, se questi entrano in contrasto con le richieste dell’ambiente. Per esempio una situazione in cui un individuo deve interagire all’interno di un contesto festoso (un matrimonio, una riunione di amici), e supponete che questa persona abbia vissuto un’esperienza spiacevole poco prima. Se quella persona è dotata di una buona capacità di automonitoraggio della propria condotta è in grado di mostrare il meglio di sé sulla base delle richieste di tipo ambientale malgrado il tono di umore depresso. Le strategie di autopresentazione adottate dalle persone ad alto automonitoraggio sono queste: se la situazione in cui si trovano richiede conformismo, tendono ad adeguarsi alle opinioni del gruppo, mentre se la situazione richiede indipendenza di giudizio, essi diventano non conformisti Si tratta di persone particolarmente sensibili nel cogliere le caratteristiche e le richieste dell’ambiente in cui si trovano. Per coloro che amano la produzione cinematografca la fgura che meglio rappresenta questo tipo di situazione è Zelig interpretato da Woody Allen tanti anni fa: Zelig era una sorta di camaleonte sociale in grado di sintonizzarsi in maniera perfetta rispetto alle esigenze e richieste di tipo ambientale. Le persone a basso automonitoraggio si percepiscono come non capaci, né motivate a regolare il loro comportamento espressivo: – non sono in grado di modifcare né vogliono modifcare le manifestazioni di tipo espressivo ed emozionale: sono triste e non ho nessun imbarazzo a mantenermi triste indipendentemente dalle richieste di tipo ambientale. – non in grado di manifestare un comportamento che non rispecchi gli stati interni, sia quelli momentanei sia quelli stabili – incapaci di nascondere atteggiamenti, tratti di personalità, emozioni È un tipo ideale sostanzialmente antagonista e opposto rispetto al personaggio ad alto automonitoraggio. Le strategie di autopresentazione adottate dalle persone a basso automonitoraggio sono: – mantenere la loro opinione e comportarsi nella stessa maniera anche nelle situazioni in cui tale coerenza può risultare costosa – preferire accompagnarsi a persone che a loro assomigliano Mentre la persona ad alto automonitoraggio sceglie gli amici e i partners in base ai contesti in cui si trova, la persona a basso automonitoraggio è per così dire socialmente fedele e socialmente legata al Il sé in azione. Come dirigere le emozioni e il comportamento - 3 principio della somiglianza: mi accompagno con persone che mi assomigliano. Items della scala di automonitoraggio Alcuni esempi di items utilizzati per registrare il grado di automonitoraggio che le persone nelle loro manifestano, per esempio una persona deve indicare se si sente rappresentata da un item come questo: – trovo diffcile imitare il comportamento di altre persone (chi si riconosce in questo item è una persona a basso automonitoraggio), – non sempre sono la persona che appare agli altri (tipicamente questo è un item che caratterizza una persona ad alto automonitoraggio), – in situazioni differenti,o con persone diverse, mi comporto come se fossi di volta in volta una persona diversa (alto automonitoraggio). Quando il me diventa il fuoco dell’attenzione Si tratta di un tema particolarmente interessante che è stato messo a punto nell’ambito di questo modello teorico: l’autoconsapevolezza oggettiva. Si tratta di una situazione in cui: – il sé può diventare l’oggetto dei propri pensieri in particolari circostanze – viene effettuato un confronto tra il sé attuale e gli standard interni Per esempio, improvvisamente ci rendiamo conto di noi stessi come nella situazione di guardarsi allo specchio. Questa situazione che fa emergere quella componente del sé che è oggetto di conoscenza: il me. Si tratta di situazioni in cui la persona è portata a realizzare una sorta di confronto tra il sé attuale per come compare in questa situazione di autoconsapevolezza oggettiva, rispetto agli standard interni che la persona possiede. Quante volte ci è capitato ad esempio di confrontare questa nostra immagine che compare allo specchio con l’immagine interiorizzata alla quale noi eravamo affezionati. Dagli esiti di questo confronto possono emergere delle considerazioni che l’individuo fa o tipo positivo o di tipo negativo. L’autoconsapevolezza oggettiva – i valori del sé diventano salienti; – è più probabile comportarsi in accordo con le norme sociali condivise, ad esempio: la presenza di uno specchio rende meno probabili i furti (Beaman 1979); – accentuazione di possibili disagi legati a discrepanze nelle rappresentazioni di sé, è la situazione in cui diventa evidente una discrepanza tra la rappresentazione di sé e questa immagine di sé per la quale improvvisamente si diventa consapevoli. In situazioni del genere l’autoconsapevolezza può essere ridotta attraverso l’assunzione di sostanze. Dati di ricerca che ci dimostrano che le persone con un alto livello di autoconsapevolezza bevono più alcolici dopo un fallimento. Potete capire quali sono le situazioni che determinano questo stato di cose: ad esempio ad una persona che si guardi allo specchio, ad una che contempli una fotografa che la ritrae, ad una che senta la propria voce, o di una che improvvisamente si rende conto di far parte di una minoranza. Si tratta di situazioni che favoriscono l’emergere di situazioni di autoconsapevolezza oggettiva. Di solito situazioni di questo tipo producono una diminuzione della propria autostima. Quante volte ci è capitato ad esempio di sentire la nostra voce registrata e di avvertire una serie di infessioni dialettali, una serie di difetti di pronuncia ecc. dei quali non eravamo assolutamente consapevoli. Questa è la tipica situazione in cui c’era un sé rappresentato idealmente di noi come abili e corretti parlatori e c’è un sé oggettivo che improvvisamente ci dice quali siano i nostri difetti e le nostre mancanze. È una situazione che produce e manifesta una discrepanza tra i due sé e questo tende a rapportare una diminuzione della nostra autostima. Il caso che abbiamo citato ora e cioè la possibilità di diminuire l’autoconsapevolezza oggettiva Il sé in azione. Come dirigere le emozioni e il comportamento - 4 Psicologia sociale Il sé e la regolazione delle condotte sociali Appunti dalla videolezione 14 col prof. Luciano Arcuri Argomenti: 1. il fenomeno del completamento simbolico 2. l’attenzione che gli altri dedicano a noi 3. Come affrontiamo gli eventi che minacciano il sé Il fenomeno del completamento simbolico Si tratta di un fenomeno che si realizza quando una persona desidera possedere una certa identità senza aver ancora completato il percorso che ne garantisce il conseguimento. Per esempio le persone che immaginano di poter diventare degli psicologi: anche se non possiedono ancora il simbolo che ne rappresenta il defnitivo possesso, l’acquisizione della laurea, saranno motivate a compensare questo stato di incompletezza con dei simboli di tipo sostitutivo. La cosa non riguarda solo i futuri possibili psicologi ma riguarda per esempio gli adolescenti che stanno pensando al loro futuro professionale, al loro futuro sportivo, e così via: «Vorrei diventare un grande suonatore di basso elettrico, un mezzo fondista che vince una olimpiade» ecc. In situazioni del genere le persone si identifcano in qualche obiettivo da raggiungere anche se non possiedono le caratteristiche di una identità perfettamente raggiunta. Wicklund e Gollwitzer sono gli autori che hanno messo a punto il modello e una serie di ricerche per studiarlo. Quando una specifca identità non è stata ancora raggiunta, aumenta la probabilità di ostentare simboli sostitutivi e tanto maggiore è la distanza tra l’identità presente e l’identità auspicata, tanto maggiore è il bisogno di ostentare i simboli sostitutivi. Ad esempio noi possiamo realizzare il completamento simbolico di una identità non ancora raggiunta, perché vogliamo comunicare in maniera diretta chi siamo. Ad esempio il ragazzino che indossi una t-shirt con una serie di scritte o di adesivi «Anche se tu non lo sai io ho un interesse a presentarmi come appartenente ad un certo gruppo» Questi indicatori di appartenenza stanno ad indicare che il ragazzino vuole comunicare una identità sociale acquisita o in fase di acquisizione. Lo possiamo realizzare anche in maniera indiretta per esempio con il cibo: quante volte la scelta di un cibo in un ristorante non è tanto legata al desiderio di mangiare qualcosa quanto di ostentare una immagine sociale «Sono una persona raffnata, sono di gusti delicati, che può spendere tanto o può spendere poco» e così via. Sono tutte situazioni in cui la scelta di particolari comportamenti ha a che fare con una auto-presentazione della propria identità personale e sociale. A proposito degli studi sul completamento simbolico vale la pena ricordare quelli realizzati sui boy- scout: tanto più bassa è la posizione nella gerarchia rappresentata tanto maggiore è il ricorso a simboli tipici dei boy-scout. La persona che si trova realizzata in termini di identità sociale, in quanto appartenente ad un gruppo, non ha bisogno di ostentare particolari simboli: è sicura della propria identità. La persona che invece è appena entrata nel gruppo ha bisogno di rassicurarsi per quanto riguarda questa appartenenza categoriale e sociale, per cui utilizza tanti simboli per rafforzare questo suo senso di identità non pienamente realizzata. Dietro il completamento simbolico ci stanno tante possibili varianti e tante possibili situazioni. Ad esempio la persona che abbia cominciato a praticare uno sport: tanto più quella persona è abile e capace di gestire la sua identità di sportivo, tanto meno ha bisogno di ostentare simboli che la dichiarino come appartenente al gruppo degli sciatori o al gruppo dei tennisti. Quanto invece la persona è più inesperta, recentemente inserita nel gruppo, tanto più ha bisogno di ostentare simboli che la facciano riconoscere come membro del gruppo degli sportivi. Ed ho l’impressione che questo particolare fenomeno rappresenti la fortuna economica di tanti negozi sportivi: tanto più la persone sono insicure della loro prestazione tanto più acquistano prodotti di alto pregio per garantirsi Il sé e la regolazione delle condotte sociali 1 un’identità non ancora realizzata. Ricerche di Wicklund dimostrano che sono diversi i contesti in cui possiamo mettere in luce questo fenomeno di completamento simbolico. E’ stato per esempio verifcato che nell’ambito dei produttori di vino tedeschi i produttori che più recentemente sono entrati nel mercato, sono anche quelli che in maniera più vistosa utilizzano delle etichette colorate, per indicare che le loro bottiglie provengono dalle loro cantine. Mentre i produttori di più antica tradizione, quelli che non debbono garantirsi una identità professionale e sociale, utilizzano delle etichette sulle bottiglie molto più sobrie. Sono tante le situazioni in cui il completamento simbolico gioca un ruolo nel modifcare e nell’arricchire la caratteristiche dei nostri comportamenti o le caratteristiche della nostra immagine di tipo fsico. L’attenzione che gli altri dedicano a noi Teniamo presente che queste tematiche che riguardano il sé, sono tematiche che fanno scoprire questa situazione di interfaccia tra il mondo interno ed il mondo esterno a cui l’individuo si rapporta: il sé serve non tanto per manifestare emozioni comportamenti e così via, ma anche per rapportarsi rispetto agli altri. Qualche volta diventano particolarmente problematiche le modalità con le quali noi ci consideriamo oggetto di attenzione da parte degli altri: l’effetto spotlight. È l’effetto in base al quale noi ci sentiamo come colpiti da un raggio luminoso. Il problema allora è «Quanto gli altri pensano a noi e ci osservano?» e c’è un sistematico effetto di sovrastima. Chiediamo alle persone di fare una previsione di quanto gli altri li hanno osservati, li hanno valutati, ricordano i loro tratti i loro comportamenti e così via. Ad esempio potremmo chiedere ad una persona: «Ieri come eri vestito?» E la persona ci dice come era vestito. Possiamo poi chiedere: «Dovresti immaginare quante altre persone che tu hai incontrato ieri potrebbero ricordare il vestito che avevi». E quindi attiviamo questa sorta di pensiero che gli individui possono realizzare: «In che misura sono stato osservato ieri mentre mi trovavo in un contesto sociale» Il dato che si ottiene è un chiaro e sistematico effetto di sovrastima. Le persone si sentono osservate, si sentono ricordate nei loro comportamenti più di quanto non capiti in realtà. Potete fare un semplice esperimento replicando questa indagine e cioè chiedendo alle persone «Come eri vestito ieri» e poi chiedendo ai partecipanti all’interazione sociale come era vestito ieri Giovanni. Se voi confronterete come Giovanni ricorda di essere stato osservato e confrontate questo ricordo con il ricordo effettivo delle persone: quanti hanno ricordato il vestito di Giovanni, scoprirete che c’è un chiaro effetto di sovrastima. Le persone ricordano molto meno di quanto non pensi o tema Giovanni a proposito dei suoi comportamenti. Voi capite che questo fenomeno ha una particolare importanza in quanto regolatore delle condotte sociali e come si possano manifestare dei rischi per una attenzione percepita come eccessiva. La situazione che possiamo analizzare è quella della persona che per questo effetto spotlight si sente osservata, percepita, valutata in maniera eccessiva e comunque in maniera decisamente superiore rispetto a quanto possa effettivamente capitare. È la situazione in cui possono manifestarsi fenomeni anche di tipo patologico: «Io mi sento osservato, valutato, temo per la mia indipendenza, temo per la mia privatezza» e così via. Sono le tipiche situazioni delle persone che avvertono come una minaccia l’osservazione che gli altri realizzano nei loro confronti. Il dato è che non si tratta tanto di una osservazione reale e oggettiva, quanto un pericolo che viene avvertito dalle persone che si sentono osservate più di quanto non capiti in realtà. L’illusione di trasparenza È un fenomeno speculare rispetto a quello che abbiamo osservato, e si manifesta quando le persone sovrastimano quanto gli altri capiscono ciò che le persone stanno pensando o provando. Immaginate una situazione del genere: io sto provando una particolare situazione d’ansia, di felicità e così via. Ciò che io penso è che questa manifestazione sia talmente chiara nella sua espressione che Il sé e la regolazione delle condotte sociali 2 tutti la riconosceranno come ansia o come felicità. Addirittura posso immaginare che se sto pensando qualcosa di piacevole/spiacevole, conveniente/sconveniente gli altri siano in grado di leggere il mio pensiero. L’illusione di trasparenza è quel fenomeno che si manifesta quando ci sentiamo per così dire di vetro e ci sentiamo trasparenti nelle nostre manifestazioni, emozioni, vissuti, pensieri. Una verifca sperimentale: veniva chiesto al soggetto di bere 5 differenti bibite, una di queste era disgustosa. La persona doveva cercare di non manifestare alcuna reazione di tipo visibile, doveva bere davanti ad uno o più osservatori queste 5 bevande e tentare per quanto possibile di non manifestare modifcazioni di tipo espressivo nel momento in cui la bevanda bevuta era disgustosa. La domanda sostanzialmente era questa: «Quanti osservatori hanno capito quale fosse la bibita disgustosa?» Cioè stimare il grado in cui questa espressione del volto poteva essere stata interpretata come connessa alla bibita di tipo disgustoso. Il risultato, la variabile dipendente, era appunto la stima della percezione di trasparenza, quanto gli altri sono riusciti a interpretare quale era la bevanda disgustosa che ho bevuto. Ebbene: le persone stimano 2 volte tanto la loro trasparenza, cioè stimano il doppio rispetto al reale. Gli osservatori esterni sono molto meno abili nel capire la bevanda disgustosa di quanto invece le persone che hanno bevuto attribuiscano a loro in termini di abilità di decodifcazione. Ovviamente l’illusione di trasparenza ha una particolare traduzione in situazioni di tipo sociale: provate ad immaginare un ansioso e la sua prestazione nel parlare in pubblico. La situazione di parlare in pubblico è una situazione particolarmente sgradevole ed inquietante per una persona ansiosa. Io non solo vivo l’ansia come un’emozione presente nel momento in cui parlo al pubblico ma ho ovviamente anche il timore che gli altri capiscano l’ansia che sto provando. Si tratta di una sorta di gatto che si morde la coda perché il provare l’ansia, ma anche l’attribuire agli altri la capacità di percepire l’ansia che sto provando, modifca la mia situazione peggiorandola nel senso che aumenta la mia autoconsapevolezza a proposito dell’ansia e quindi aumenta di fatto le mie condotte di tipo ansioso. Le incomprensioni interpersonali Un altro fenomeno particolarmente interessante è quello che deriva per l’appunto sempre dall’illusione di trasparenza e riguarda le incomprensioni che si realizzano nelle situazioni di tipo interpersonale. Provate a chiedere ad una persona di esprimere delle emozioni, dei sentimenti, delle sensazioni e provate a chiedere alla stessa persona di stimare quanti osservatori sono stati effettivamente in grado di capire le emozioni espresse. Ciò che risulta è che di solito (e questo lo abbiamo già verifcato) c’è una sovrastima del numero di persone in grado di capire che cosa la persona sta esprimendo. Tutto questo ha un esito inquietante quando analizziamo il fenomeno delle incomprensioni di tipo interpersonale. Se le persone sovrastimano la chiarezza con cui inviano certi segnali ad esempio: «Non ho detto nulla ma ho fatto intendere che ero arrabbiato» In qualche modo ho espresso con chiarezza uno stato emotivo che doveva essere capito dal mio interlocutore. Ma se tutto questo avviene, se io sono convinto di avere espresso con chiarezza questo mio stato emotivo, fnirò per interpretare una non adeguata risposta dell’interlocutore come disinteresse. «Io ho espresso chiaramente il mio disappunto, se tu non reagisci in maniera adeguata, non è tanto perché io non mi sono fatto capire, perché io ho espresso chiaramente questo, ma perché tu manifesti disinteresse per i miei stati di tipo emotivo» Le incomprensioni interpersonali qualche volta derivano dal fatto che è solo incapacità di decodifcare i segnali, non tanto disinteresse. Nelle coppie Le conseguenze nelle relazioni di coppie dove esiste una relazione positiva tra la capacità di interpretare le espressioni non verbali del partner e la qualità del rapporto. Quanto più le persone sono in grado di comunicare in maniera adeguata e di capire in maniera adeguata, il loro rapporto non può che diventare migliore; quando invece si realizza il fenomeno Il sé e la regolazione delle condotte sociali 3 farmaco che inibisce e cioè determinerà un insuccesso proprio perché potranno attribuire al farmaco l’esito dell’insuccesso. Voi capite che esiste questa possibilità di riattribuzione. Quando le persone completano un’identità ancora non interamente posseduta: il fenomeno del completamento d’immagine Il sé e la regolazione delle condotte sociali 6 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli per aiutare la memoria; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Psicologia sociale Da dove siamo partiti e dove siamo arrivati parlando di cognizione sociale Appunti dalla videolezione 15 col prof. Luciano Arcuri Argomenti: 1. come abbiamo defnito questo settore della psicologia sociale 2. i settori della psicologia sociale dove si sono collocate le analisi e le interpretazioni dei modelli della cognizione sociale 3. i processi che consentono di elaborare l’informazione sociale 4. una particolare componente dei sistemi di rappresentazione: il sé 5. il sé in azione 6. alla fne del percorso Come abbiamo definito questo settore della psicologia sociale Abbiamo defnito la psicologia della cognizione sociale un insieme di modelli per lo studio : – delle strutture cognitive – dei processi di elaborazione dell’informazione sociale. Si tratta di un complesso di modelli che fanno riferimento ai modi con i quali la rappresentazione sociale viene codifcata nel sistema mentale dell’individuo ed i modi attraverso i quali queste conoscenze, questi schemi, intervengono nei processi di elaborazione dell’informazione sociale. Abbiamo analizzato il ruolo degli schemi, dei processi di combinazione, integrazione, selezione, memoria che si realizzano. Abbiamo verifcato alcune ipotesi di ricerca con dei risultati che hanno confermato il ruolo di tipo concettuale di queste strutture cognitive ed il ruolo di tipo processuale dei meccanismi che portavano gli individui a realizzare certi risultati in termini di valutazioni, credenze, atteggiamenti ecc. Settori della psicologia sociale dove si sono collocate le analisi e le interpretazioni dei modelli della cognizione sociale Sono: – i processi di formazione di impressioni di persona – la categorizzazione sociale – le teorie dell’attribuzione causale – i meccanismi di giudizio e decisione Sono argomenti centrali della psicologia sociale e per ciascuno di questi abbiamo individuato settori di applicazione, di indagine e i risultati sperimentali ottenuti Sui processi di formazione di impressioni di persona abbiamo visto: – - i modelli confgurazionali e i modelli algebrici – I modelli basati sul ricordo di esemplari La situazione da cui siamo partiti era quella classica della psicologia sociale: la formazione delle impressioni di persona, il modo in cui gli individui prendono atto delle caratteristiche, qualità, disposizioni, delle persone che incontrano per la prima volta. È un settore di indagine di particolare complessità: si tratta di situazioni apparentemente semplici ma che coinvolgono invece una serie di attività e di meccanismi, ad esempio quello su quali sono i modi con cui organizziamo pezzi di informazione diversi riguardanti le persone che incontriamo per la prima volta; in che misura avere la consapevolezza che una persona è abile, intelligente, disponibile, estroversa, ecc. dà da luogo ad una impressione unitaria. Da dove siamo partiti e dove siamo arrivati parlando di cognizione sociale 1 I modelli di tipo confgurazionale, come quello di Asch, sono modelli che prevedono certe modalità di funzionamento nella organizzazione di questi elementi d’informazione a riguardanti le impressioni di persona. I modelli confgurazionali si contrappongono ai modelli algebrici. come il modello di Anderson, che ha utilizzato modelli di ricerca capaci di mettere in luce modi di processamento diversi dai modelli confgurazionali. Parti di ragione e parti di torto sono presenti sia nei modelli confgurazionali così come in quelli algebrici e sappiamo che esistono modelli che integrano le caratteristiche di ambedue, per esempio il modello di Susan Fiske cioè del continuum nella formazione di impressioni di persone rappresenta questa integrazione dei due modelli Abbiamo anche visto modelli basati sul controllo di esemplari, come il modello di Elliot Smith, per dimostrare come in alcune situazioni il tipo di impressione che ci formiamo sulle persone che incontriamo per la prima volta è anche il risultato di una sorta di match di confronto fra le caratteristiche di quella persona con le caratteristiche di prototipi che abbiamo depositati in memoria. Ci sono evidenze sperimentali che ci dicono che la mente umana qualche volta funziona sulla base del ricordo di esemplari Abbiamo poi affrontato il problema delle capacità inferenziali delle persone quando queste persone sono in grado di collegare i tratti ai comportamenti. Si tratta dei modelli dell’attribuzione causale ormai noti da molto tempo, di cui ricordiamo alcune componenti basilari: – il modello delle inferenze corrispondenti – il fenomeno della differenza attore osservatore – e il ruolo dell’errore fondamentale di attribuzione Il modello delle inferenze corrispondenti prevede il modo in cui gli individui organizzano le informazioni riguardanti i tratti posseduti da un individuo e il grado in cui esse sono proiettate in previsioni riguardanti comportamenti corrispondenti. In che misura tratti, disposizioni e situazioni intervengono nel produrre un certo comportamento; in che misura un tratto è diagnostico di possibili comportamenti futuri. Il dato è che la mente umana funziona in maniera effciente nel trovare possibili relazioni causali che collegano i tratti ai comportamenti di tipo futuro, e il modello di John Devis delle inferenze corrispondenti è un buon descrittore di questo funzionamento della mente umana) La differenza attore osservatore fa emergere le prospettive ed angolature mediante le quali prendiamo contatto con la realtà circostante. Le differenze attore osservatore danno luogo a differenze dei meccanismi di tipo attribuzionale; ad esempio: è diverso il sistema di attribuzione usato da un individuo che agisce e che in quanto attore deve spiegare gli esiti del proprio comportamento facendo riferimento a spiegazioni di tipo interno o esterno, da quello dell’osservatore esterno che osserva le azioni dell’attore. Abbiamo due prospettive diverse per spiegare un unico comportamento : quello dell’attore; è interessante capire come le diverse prospettive mettano in atto meccanismi di attribuzione talvolta contrastanti) L’errore fondamentale di attribuzione: è l’errore che sembra caratterizzare i meccanismi attribuzionali ed in base al quale noi siamo portati ad utilizzare spiegazioni di tipo interno (cioè attribuire a cause di tipo interno) le azioni che vediamo realizzate da parte di un attore che stiamo osservando. L’errore fondamentale di attribuzione deriva dal fatto di non considerare adeguatamente il ruolo dei fattori ambientali e situazionali che circondano l’attore e che in alcune circostanze hanno forti implicanze nel determinare i risultati di un’azione. Dovendo trovare fattori interni o esterni come capaci di spiegare una certa azione, l’errore fondamentale di attribuzione sta appunto nell’enfatizzare fortemente il ruolo dei fattori interni. I principi che regolano la percezione interpersonale – l’elaborazione on line – il principio della coerenza – il principio della globalità Sappiamo che le persone che attivano questi processi di formazione di impressioni di persona sono in Da dove siamo partiti e dove siamo arrivati parlando di cognizione sociale 2 I meccanismi di autoregolazione della condotta sociale attraverso l’immagine di sé: – il costrutto di automonitoraggio (Snyder), che differenziava fra low self-monitor e high self- monitor cioè fra persone a basso ed alto livello di automonitoraggio e abbiamo verifcato il modo in cui le due tipologie di persone reagiscono ed utilizzano in maniera diversa strategie di autopresentazione) – l’autoconsapevolezza oggettiva quel fenomeno si riferisce alle situazioni in cui improvvisamente diventiamo consapevoli della nostra immagine, delle nostre caratteristiche e così via – il sé e i meccanismi di completamento dell’identità sociale – il completamento simbolico: il raggiungere tramite particolari immagini, tratti, caratteristica fsica, un’identità sociale che non si è ancora pienamente realizzata) – l’effetto spot light cioè il sentirsi al centro dell’attenzione, l’attribuire agli altri particolare interesse per le nostre caratteristiche e comportamenti – l’illusione di trasparenza:sentirsi come un oggetto vetro capace di manifestare in maniera piena i nostri stati interni. Abbiamo visto come questi due meccanismi diano luogo a fraintendimenti, ad errate valutazioni dell’interesse degli altri – il sé e gli eventi minacciosi: – mancanza di controllo e impotenza appresa nei confronti degli agenti esterni, il modello di Seligman ha dimostrato l’impotenza appresa come precursore di una situazione di depressione) – come difendersi dagli eventi minacciosi – una strategia paradossale: le condotte autolesive. Le persone qualche volta per proteggere la propria immagine realizzano condotte apparentemente contraddittorie, per esempio: domani c’è un esame impegnativo, sono insicuro circa l’esito dell’esame, ho delle lacune, ecc. Come posso reagire rispetto a questa situazione di incertezza? Posso utilizzare due strategie: – mi impegno notevolmente e tento comunque di mettere il massimo. Però se io ho messo il massimo impegno e l’esame è andato male ciò sarà negativo per la mia autostima: forse non sono portato a questi studi. Una situazione molto diffcile da gestire. – un’altra possibile soluzione di tipo autolesivo, paradossalmente disfunzionale in realtà qualche volta è molto funzionale: per esempio stasera invece di studiare mi ubriaco e domani mi trovo in una situazione di diffcoltà, se l’esame andrà male potrò sempre attribuire a questa mia condotta poco funzionale l’esito dell’esame. Se non avessi bevuto, se avessi studiato, l’esame sarebbe andato bene. Quindi immaginare che un insuccesso può essere attribuibile a cause esterne piuttosto che a cause interne: la mia motivazione che non mi supporta. Alla fine del percorso Abbiamo analizzato problemi quotidiani apparentemente di semplice interpretazione. L’opinione comune: «Perché la cognizione sociale parla di come le persone si comportano normalmente? Le persone si comportano normalmente perché sono degli esseri pensanti, ragionevoli, non c’è problema nel modo in cui si comportano. Il problema emerge invece quando c’è il comportamento insolito ed inatteso. Queste stranezze ci creano problema ed abbiamo bisogno di una spiegazione e di interpretazioni particolari». Questo è un modo errato col quale affrontare il problema. Abbiamo tentato di dimostrare che la cognizione sociale propone una serie di modelli e concetti che ci permettono di interpretare nello stesso modo sia il comportamento che consideriamo normale sia il comportamento che consideriamo eccezionale ed inusuale: non abbiamo bisogno di strumenti di interpretazione diversi. I modelli della cognizione sociale, se applicati in maniera corretta, sono in grado di tener conto sia della cosiddetta normalità che della cosiddetta anormalità. Questo è uno degli elementi più qualifcanti dei modelli che abbiamo affrontato. Da dove siamo partiti e dove siamo arrivati parlando di cognizione sociale 5 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli per aiutare la memoria; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Psicologia sociale Atteggiamenti. Introduzione Appunti dalla videolezione 16 con la prof. Lucia Mannetti Argomenti: 1. cosa sono gli atteggiamenti 2. defnizione 3. tre componenti dell’atteggiamento 4. struttura Che cosa sono gli atteggiamenti e perché ci interessano Parliamo spesso nelle conversazioni quotidiane di atteggiamenti positivi o negativi verso oggetti diversi: diciamo comunemente che abbiamo un atteggiamento positivo verso l’attività fsica, i mezzi pubblici o spesso parliamo di atteggiamenti con riferimento a personaggi politici, a partiti, a iniziative politiche. Gli atteggiamenti sono le nostre valutazioni nei confronti dei diversi elementi del mondo sociale. Ci interessano perché riteniamo che conoscere gli atteggiamenti delle persone ci aiuti a prevedere la loro condotta. Tutti noi preferiamo muoverci in un ambiente relativamente conosciuto, sapere cosa ci può succedere quando facciamo certe cose oppure facciamo certe affermazioni e conoscere gli atteggiamenti delle persone che ci circondano contribuisce a rendere prevedibile questo ambiente e le reazioni che le nostre azioni potranno suscitare. Per questo motivo gli atteggiamenti sono un aspetto interessante nella vita quotidiana e sono interessanti anche per gli psicologi sociali sia per queste loro presunte relazioni con la condotta, sia perché gli psicologi sociali cognitivisti hanno negli ultimi 20-25 anni messo in evidenza come gli atteggiamenti esercitino un’infuenza sul modo in cui percepiamo la realtà esterna e in cui prendiamo decisioni. Gli atteggiamenti intervengono in scelte riguardanti: – la salute: il nostro atteggiamento favorevole o negativo nei confronti di condotte salutari o di condotte che portano rischi: alimentazione, fumo, assunzione di droghe, e così via. – i consumi: la scelta dell’abbigliamento è fortemente infuenzata da atteggiamenti variabili in funzione delle categorie sociali e delle fasce d’età. Ad esempio nella moda gli atteggiamenti non sono certamente fra quelli più stabili. Questo anche per effetto delle comunicazioni pubblicitarie del settore che tendono, per incrementare le vendite, a suscitare in noi atteggiamenti sempre diversi e introdurre nuovo prodotti. – la politica: continuamente leggiamo articoli o assistiamo a dibattiti di uomini politici e esprimiamo valutazioni nei confronti di uomini politici. Gli atteggiamenti politici riguardano anche le diverse iniziative, leggi, interventi statali, ecc. – relazioni tra gruppi e tra nazioni: gli atteggiamenti intervengono anche in decisioni importanti che prendono persone di potere e capi di stato. Come abbiamo visto, gli atteggiamenti possono avere una notevole importanza ed esercitare infuenza sulla vita quotidiana. I contenuti dei quali ci occuperemo – defnizione di atteggiamenti loro strutture e funzioni – formazione e cambiamento degli atteggiamenti nel senso che gli psicologi sociali nel corso degli anni hanno focalizzato la loro attenzione su processi diversi, inizialmente si sono occupati di processi di tipo affettivo e motivazionale e Atteggiamenti. Introduzione 1 successivamente, con l’affermazione del paradigma cognitivista, si sono occupati in modo più approfondito di processi cognitivi che sono coinvolti nel cambiamento di atteggiamenti. – i processi che ostacolano il cambiamento gli atteggiamenti hanno una loro resistenza al cambiamento, noi tendiamo a mantenere gli atteggiamenti preesistenti e solo con una grande diffcoltà li modifchiamo – relazione fra atteggiamenti e comportamento una ragione dell’interesse verso gli atteggiamenti risiede proprio nel fatto che si suppone che l’atteggiamento possa essere utile per prevedere il comportamento e quindi che in una certa in una certa misura l’atteggiamento infuenzi il comportamento; individueremo le condizioni nelle quali questa relazione è più forte e quelle nelle quali la relazione tende ad indebolirsi – tecniche di misura degli atteggiamenti intorno agli anni ’30 i primi psicologi sociali hanno elaborato le prime tecniche di misura degli atteggiamenti che hanno contribuito alla diffusione della disciplina e sono state applicate a temi di notevole interesse negli Stati Uniti in quell’epoca come le relazioni intergruppi, interetniche, e la previsione del comportamento elettorale. - infuenza sociale e atteggiamenti noi non siamo mai soli né quando ci formiamo atteggiamenti né quando siamo esposti a informazioni e comunicazioni volte a modifcarli; è quindi importante inserire i processi di formazione e cambiamento degli atteggiamenti nel contesto sociale soprattutto nei piccoli gruppi con particolare riferimento al contributo di classici come Sherif e Asch. - atteggiamenti verso gruppi e categorie sociali (pregiudizi e stereotipi) vengono spesso chiamati pregiudizi, negli ultimi anni lo studio di questi atteggiamenti si è focalizzato sulla componente cognitiva che viene indicata col termine «stereotipi». Da un lato gli stereotipi possono infuenzare il nostro comportamento in modo inconsapevole e dall’altro possono infuenzare le prestazioni delle persone che sono oggetto dello stereotipo. Definizione di atteggiamento Tendenza psicologica che viene espressa valutando una particolare entità con un qualche grado di favore o sfavore (Eagly, Chaiken 1993): è la defnizione di atteggiamento oggi più condivisa. Si tratta di una defnizione che si differenzia dalle precedenti. Per esempio Allport nel ’35 aveva sottolineato nella defnizione di atteggiamento il fatto che si trattava di uno stato di prontezza mentale e neurologica organizzato nel corso dell’esperienza. In questa defnizione di Allport erano presenti due puntualizzazioni che avevano un effetto limitante: da un lato si faceva riferimento a delle basi neurologiche e dall’altro si faceva riferimento ad uno specifco processo di formazione degli atteggiamenti che era quello dell’apprendimento. Nella defnizione che abbiamo riportato non c’è questo tipo di limitazione, non si fa riferimento a uno specifco processo di formazione degli atteggiamenti e quindi noi utilizziamo l’etichetta atteggiamento indipendentemente dal processo con il quale questa tendenza psicologica è stata acquisita. Parlare di tendenza psicologica fa riferimento sia a qualche entità non direttamente osservabile, sia al fatto che questa entità ha una sua durata variabile: vi sono atteggiamenti che hanno una certa stabilità e possono durare tutto l’arco della vita di una persona, mentre ci sono atteggiamenti di durata più limitata come quelli nell’ambito della moda. La seconda parte della defnizione sottolinea due aspetti importanti: da un lato l’atteggiamento deve contenere una componente valutativa: l’atteggiamento è una valutazione e dall’altro la valutazione deve riguardare un’entità, deve avere un oggetto. Un oggetto effettivamente materiale (tavolo, automobile, casa), ma può anche essere un oggetto di tipo astratto (ideologia, attività, autori di romanzi). Gli atteggiamenti non sono: – semplici informazioni, prive di implicazioni valutative – stati o disposizioni personali (umori o tratti di personalità i quali non hanno necessariamente un oggetto verso il quale sono diretti, e non esprimono una valutazione) Atteggiamenti. Introduzione 2 e viene quindi utilizzato come modello di riferimento nel senso che ci aiuta a ricordare che i processi di formazione possono essere di tipo diverso e che anche i processi che poi utilizzeremo per indurre un cambiamento di atteggiamenti possono utilizzare prevalentemente aspetti cognitivi, affettivi o comportamentali. La struttura degli atteggiamenti Vediamo adesso come gli psicologi sociali immaginano che questa struttura sia rappresentata nella mente utilizzando un modello che si è affermato nell’ambito delle scienze cognitive, cioè il modello reticolare, la rappresentazione a rete. Si assume che le reazioni valutative si leghino, nella mente della persona, all’oggetto dell’atteggiamento formando dei legami relativamente stabili. Ad esempio abbiamo qui rappresentato l’atteggiamento nei confronti di un oggetto: il mare. Il mare può essere associato a elementi affettivi (il rilassamento, l’allegria, il sentirsi liberi), a elementi di tipo comportamentale (mangiare pesce, nuotare, incontrare persone nuove, vivere all’aperto) e ad un elemento di tipo cognitivo (l’informazione sul costo di questa vacanza). STRUTTURA La struttura degli atteggiamenti non va immaginata come una struttura che resta stabile e immodifcabile e a livello di atteggiamenti si applica un’idea affermatasi nella psicologia cognitiva, la distinzione tra elementi disponibili in memoria ed elementi accessibili. Caratteristiche della struttura: - la struttura degli atteggiamenti non è statica - l’atteggiamento di una persona può apparire diverso in occasioni diverse Come abbiamo già detto, la struttura degli atteggiamenti non è statica e soprattutto questa distinzione tra elementi accessibili e disponibili serve a chiarire e a giustifcare il fatto che possiamo osservare che la manifestazione e l’espressione di un atteggiamento di una stessa persona può essere diversa da situazione a situazione. Disponibilità e accessibilità: E’ necessario distinguere: - elementi cognitivi disponibili, presenti in memoria che noi siamo in grado di ricordare se ci sforziamo - elementi cognitivi accessibili in un determinato momento sono quelli che ci vengono facilmente in mente in una data situazione In questo caso abbiamo la struttura di un altro atteggiamento, l’atteggiamento verso un particolare modello di telefonino. Vediamo che ci sono una serie di legami con componenti di tipo emotivo–affettivo, comportamentali (come mandare sms) e con componenti cognitive (la pesantezza, le funzioni, la disponibilità in diversi modelli, il fatto che è desiderato e quindi spesso rubato). Se questa è l’intera struttura disponibile in memoria, noi possiamo vedere che in una situazione particolare come rappresentata in fgura solo alcuni di questi elementi possono essere accessibili. Quindi il nostro ipotetico adolescente, che aveva una struttura disponibile molto ampia in una particolare situazione, è consapevole particolarmente del numero di funzioni che il telefonino ha, del fatto che si possono inviare facilmente nuovi sms e anche del riferimento alla facilità di furto e la disponibilità di diversi colori. Le reazioni affettive più salienti in questo caso sono il riferimento alla tenerezza che si può provare per questo modello di telefonino e quindi in questa situazione Atteggiamenti. Introduzione 5 l’atteggiamento è caratterizzato da un numero di elementi positivi prevalente su quelli negativi (unico aspetto negativo è quello legato al furto) e quindi, se questo fosse lo schema dell’atteggiamento accessibile nel momento in cui il ragazzo ha a disposizione la cifra necessaria per acquistare questo nuovo modello di telefonino, noi possiamo immaginare che il ragazzo lo comprerebbe. Questa distinzione tra elementi disponibili ed accessibili è interessante ed importante del tutto analoga a quella che gli psicologi sociali cognitivi utilizzano quando si parla del concetto di sé e si distingue tra un concetto di sé globale e un concetto di sé operativo, cioè quello che in una specifca situazione è in funzione, è attivato. Quindi gli aspetti del sé che certe particolari situazioni attivano. Su questo aspetto della maggiore salienza torneremo in seguito con riferimento ai processi di cambiamento degli atteggiamenti. Accessibilità dipende: - dalle richieste della situazione - dalle caratteristiche della struttura cognitiva della persona Vediamo brevemente quali sono i fattori che possono infuenzare l’accessibilità degli elementi cognitivi in genere e, nel caso specifco, degli elementi dell’atteggiamento. Una prima serie di fattori sono i cosiddetti fattori situazionali, le richieste della situazione. Ad esempio nel caso dell’atteggiamento del nostro giovane verso il telefonino le caratteristiche legate agli amici, il fatto che gli amici lo abbiano già o lo considerino un modello alla moda è un elemento che può essere saliente quando il ragazzo si trova in una situazione con i coetanei, mentre l’aspetto del costo può essere un elemento saliente nel momento in cui il ragazzo sta al tavolino a fare il conto del suo budget, sa quali sono le cose che vuole comprare (casco nuovo e telefonino) e quindi l’aspetto del costo può essere particolarmente saliente. Quindi una serie di fattori situazionali possono modifcare la salienza degli elementi dell’atteggiamento: questi fattori in alcuni casi sono sfruttati dagli psicologi sociali nel senso che si creano delle situazioni sperimentali che rendono più saliente una caratteristica o meno saliente un’altra. Si parla di procedure di priming. Un secondo assieme di fattori sono invece le caratteristiche della struttura cognitiva della persona, quindi la maggiore o minore salienza di un atteggiamento o di un elemento dell’atteggiamento in questo caso dipende dalle relazioni che questo atteggiamento ha con la struttura cognitiva della persona: se l’atteggiamento verso il telefonino in ipotesi fosse collegato al concetto di sé del nostro adolescente, alcuni aspetti di questo atteggiamento, per esempio la valutazione del design del telefonino come particolarmente alla moda, avanzato o trendy potrebbe essere una caratteristica che diventa saliente quando il giovane rifette sulla propria immagine e non su come può fare per essere più ammirato o apprezzato dai suoi compagni. Quindi in generale le caratteristiche degli atteggiamenti che sono collegati alla struttura del sé della persona sono sempre considerati i più salienti, si parla come vedremo in seguito di atteggiamenti che hanno un elevato coinvolgimento con l’io o con l’immagine personale del soggetto. Atteggiamenti. Introduzione 6 CRITERI REDAZIONALI: -appunti assemblati con frasi pronunciate dal docente; -integrazione delle slide col testo; -nessuna rielaborazione dei contenuti; -sottotitoli per aiutare la memoria; -rendere un estratto fedele e completo; -parentesi quadre per le aggiunte. - a.a. 2010/2011 - PER INFO E SEGNALAZIONI: franco490@gmail.com Psicologia sociale La struttura e le funzioni degli atteggiamenti Appunti dalla videolezione 17 con la prof. Lucia Mannetti Argomenti: 1. struttura intra-attitudinale 2. struttura inter-attitudinale 3. le funzioni degli atteggiamenti Struttura intra-attitudinale e inter-attitudinale, a che cosa ci si riferisce Quando si parla della struttura intra-attitudinale: ci riferiamo alle relazioni fra i vari elementi che compongono un atteggiamento. L’atteggiamento è rappresentato con un modello reticolare e quindi i vari elementi sono collegati tra loro da linee rette che rappresentano questi legami; occuparsi quindi della struttura intra-attitudinale, vuol dire concentrarsi sulle relazioni tra i diversi elementi degli atteggiamenti. Quando si parla di struttura inter-attitudinale: ci riferiamo alle relazioni che un atteggiamento ha con altri atteggiamenti o con altri elementi cognitivi all’interno della mente. Gli psicologi sociali ritengono che le diverse caratteristiche che questa struttura può avere, possano spiegare perché alcuni atteggiamenti hanno una maggiore infuenza sulla condotta e su altri processi cognitivi e altri atteggiamenti hanno un’infuenza minore. Struttura intra attitudinale Nella mente delle persone gli atteggiamenti sono rappresentati come un continuum valutativo con un polo negativo ed uno positivo? In effetti questo tipo di rappresentazione è quella che noi psicologi sociali abbiamo in mente quando misuriamo gli atteggiamenti. Ma è questo il modo in cui le persone si rappresentano l’atteggiamento? Le risposte degli autori a questa domanda sono state di tipo diverso. Teoria delle due categorie contrapposte (Judd e Kulik 1980)) Sostiene che le persone tendono a rappresentarsi gli atteggiamenti come due categorie (contenitori in memoria) opposte: prima categoria [posizioni non condivise]: sono presenti tutte le informazioni che sono rilevanti per l’oggetto che la persona non condivide ma che sa che sono condivise da altri, quindi le posizioni di atteggiamento diverse dalla propria seconda categoria [posizioni condivise]: sarebbero concentrate tutte le informazioni rilevanti per quell’oggetto che la persona condivide. Quindi questa proposta suggerisce una rappresentazione non di continuum, ma una rappresentazione in categorie contrapposte. Anche questa rappresentazione non è tuttavia condivisa dalla maggior parte degli autori e ci sono alcuni (Pratkanis 1980), che sostengono che può essere una rappresentazione adatta solo a certi tipi di atteggiamenti e in particolare agli atteggiamenti che riguardano oggetti controversi, oggetti per i quali esiste un notevole dibattito pubblico e quindi è facile per ciascuno di noi venire a conoscenza di posizioni diverse dalla propria. Nel caso in cui invece noi pensiamo ad atteggiamenti verso oggetti di scarsa attenzione e dibattito pubblico è molto più probabile che le persone si rappresentino soltanto le informazioni che loro stessi condividono, non avendo notizie sulla posizione degli altri. Quindi dovrebbero esserci rappresentazioni diverse a seconda dell’atteggiamento e della notorietà dell’oggetto. La struttura e le funzioni degli atteggiamenti 1
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