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Tre Corone (Dante - Petrarca e Boccaccio), Sintesi del corso di Letteratura

Vita e Opere di Dante Vita e Opere di Petrarca Vita e Opere di Boccaccio

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 04/03/2021

studente.unina
studente.unina 🇮🇹

4.4

(45)

20 documenti

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Scarica Tre Corone (Dante - Petrarca e Boccaccio) e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura solo su Docsity! DANTE ALIGHIERI Dante nella storia letteraria “fa parte per sé stesso”. Ciò che ancora sorprende leggendo le sue opere è l’assoluta originalità: dalla Vita Nuova fino al capolavoro della Commedia. A fondamento della Vita nuova sta l’idea di raccontare le proprie rime giovanili all’interno di un racconto in prosa. Il Convivio nasce da un’operazione apparentemente analoga: infatti, egli raccoglie le canzoni allegorico e morali composte negli anni precedenti. Il De Vulgari Eloquentia potrebbe apparire meno innovativo se non fosse per la sua assoluta originalità. Infine, la Commedia rappresenta un’invenzione potente e visionaria. C’è un altro aspetto che accomuna l’opera dantesca e ne sancisce un ruolo cruciale ovvero il riconoscimento del volgare come lingua nazionale di cultura. La nascita del poeta è da collocare intorno al 1265, sappiamo che la madre Bella muore durante la sua infanzia e che il padre Alaghiero pochi anni più tardi. Inoltre, all’età di nove anni, stando al racconto della Vita Nuova, ha il primo incontro con Beatrice. Dante nel 1277 contrae promessa sposa Gemma di Manetto Donati, dalla quale avrà quattro figli. Non abbiamo informazioni specifiche sui suoi studi, senz’altro sappiamo che apprende le arti del Trio (Grammatica, Retorica e Dialettica) presso un doctor gramatice (Brunetto Latini). L’11 giugno 1289 l’esercito guelfo fiorentino sbaraglia i ghibellini e negli stessi anni Dante si afferma come poeta d’amore in volgare, con una produzione di rime che, grazie a Cavalcanti, passa dai primi esperimenti in cortese alla scoperta di una poetica raccontata nella Vita Nuova. La vicenda poetica e intellettuale di Dante si colloca sotto il segno dell’amicizia con Guido Cavalcanti. Nel racconto della Vita Nuova, Dante afferma che quando aveva diciotto anni scrisse A ciascun’ alma, che inviò a numerosi poeti per chiedere il loro parere. Tra coloro che risposero, ci fu Cavalcanti che diede il pieno riconoscimento delle qualità poetiche del giovane. Altri sonetti, scambiati negli anni successivi, documentano la loro amicizia a partire da Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io. Cavalcanti è fondamentale per la formazione del giovane poeta, infatti, i frutti di tale influenza sembrano essere profondi e durevoli. Nella Vita Nuova non solo celebra apertamente il suo amico, ma gli dedica l’opera stessa. Tuttavia, il rapporto fra Guido e Dante è stato a lungo soggetto di numerose discussioni. Di fatti, come si vedrà nella vita nuova approda una poetica e una concezione dell’amore diversa rispetto a quella di Cavalcanti. Una tale rottura, tra i due, è sottolineata nel sonetto di Guido “I’ vegno ‘l giorno a te ‘nfinite volte”, in tale sonetto Guido esprime sin dal principio una stima profonda e sincera e nel finale stempera il rammarico in un saluto lieve e sorridente.  LA VITA NUOVA La produzione giovanile compresa tra i primi anni Ottanta e i primi anni Novanta è quella destinata ad essere inserita nella Vita Nuova. I risultati più significativi sono da identificare come le rime chiamate “poetica della lode”, esse costituiscono il punto di arrivo di un percorso che anche se contrapposto alla precedente trazione cortese e guittoniana, è contraddistinto da una forte vocazione sperimentale. I primi esperimenti lirici sono ancora da identificare in senso cortese, sia sul piano linguistico sia sul piano tematico. Troviamo l’esempio nella canzone “La disperata libro dove, dopo un anno, il dolore per la sua morte è ancora vivo. La storia del rinnovamento interiore ispirato dall’amore per Beatrice è la storia stessa della poesia di Dante. Per comprendere la novità dantesca bisogna pensarla in rapporto con l’ideologia cortese, basti pensare a Madonna, dir vo voglio di Giacomo da Lentini. L’esempio supremo di questa lode dantesca è il sonetto Tanto gentile e tanta onesta pare, in cui Dante descrive la meraviglia suscitata dal passaggio di Beatrice. L’apparizione della gentilissima è avvolta in un’aura miracolosa in contrapposizione con il sonetto Cavalcantiano (chi è questa che ven) che si conclude con i limiti dell’intelletto umano, mentre quello dantesco culmina con una manifestazione di grazia data dalla donna amata. Nel 1295 Firenze passa sotto il controllo delle Arti Principali, tra questi c’è Dante che entra a far parte dell’Arte dei Medici e degli Speziali. Negli anni successivi Firenze è sconvolta dal conflitto fra due grandi famiglie: quella dei Neri e quella dei Cerchi; Dante non si schiera apertamente poiché Cavalcanti è uno dei maggiori esponenti della fazione dei Neri. Il conflitto si accanisce sempre di più e Dante nel gennaio 1302 è condannato alla confisca dei beni e al rogo tant’è che non farà più ritorno a Firenze trovando ospitalità presso Arezzo. Con la morte di Bonifacio VIII, sembrano riaprirsi le speranze di un suo rientro a Firenze. Dante allora decide di far parte per sé stesso non schierandosi né dalla parte dei Bianchi né dei neri; minacciato ormai da entrambi le due fazioni, Dante trova rifugio in Veneto iniziando a lavorare contemporaneamente alla stesura del Convivio e del De vulgari Eloquentia. Dante, in questo periodo, non interrompe la strada della sperimentazione poetica e inizia la produzione delle rime della maturità. Nel Convivio, Dante afferma che le rime d’amore composte per la donna gentile hanno un significato allegorico ed esprimono il suo amore per la filosofia. Dante per me rime petrose sperimenta per la prima volta un linguaggio lirico artificioso ed espressivo emulando il trobador provenzale Arnaut Daniel. L’amore per la donna Pietra è una passione ossessiva e sensuale, alimentata da un desiderio inappagato che tormenta il poeta.  IL CONVIVIO Il Convivio è un prosimetro che consiste in un autocommento alle canzoni composte negli anni precedenti. L’operazione sembra simile a quella della Vita Nuova, ma rispetto al libello vengono rappresentati contenuti filosofici e di alta maturità. La stesura dell’opera si colloca nei primi anni di esilio del poeta. Egli non porta al termine il Convivio probabilmente per dedicarsi alla Commedia. Nel primo libro Dante espone le finalità dell’opera, ovvero si propone di offrire ciò che egli, che non è un filosofo, ha raccolto dai sapienti accompagnando ciò con le sue canzoni e da un commento. Il secondo e il terzo trattato sono tesi per rivendicare l’amore per la filosofia mettendo essa in contrapposizione con la donna. Nel quarto trattato Dante commenta le canzoni delle Dolci Rime affrontando il tema della nobiltà e affermando che la nobiltà non può derivare dal possesso di ricchezze come crede il volgo. La conclusione dantesca, quindi, affida il titolo nobiliare non solo agli aristocratici ma anche alle nuove classi mercanti.  DE VULGARI ELOQUENTIA Dante inizia a dedicarsi alla stesura del De vulgari Eloquentia intorno al 1304, quando già aveva iniziato la stesura del Convivio. Come il medesimo non sarà portato al termine. Stando alle dichiarazioni contenute nel trattato, avrebbe dovuto contenere quattro libri: il primo introduttivo; il secondo tratta del volgare illustre in rapporto alla teoria medievale degli stili; il terzo si sarebbe dovuto occupare della prosa illustre; e il quarto, infine, avrebbe trattato dello stile comico proprio del volgare mediocre. Il trattato si apre con una riflessione: la maggiore nobiltà del volgare rispetto al latino. Per Dante, infatti, il volgare è una lingua naturale, mentre il latino è una lingua artificiale elaborata dai dotti per avere un linguaggio regolato da norme. La parte centrale del libro è dedicata ad un’ampia ricognizione dei volgari della penisola italiana finalizzata alla ricerca del volgare illustre. Egli, nel suo trattato, individua quattordici volgari dei quali nessuno appare a Dante degno di essere identificato come illustre. Dal severo giudizio dantesco si salvano solo il bolognese Guinizzelli e gli stilnovisti. Al principio del secondo libro Dante riconosce l’uso del volgare ai soli poeti dotati di ingegno e di dottrina. Individua, quindi, argomenti tipici della propria poesia, che sono salvezza, amore e virtù. Nel secondo libro condanna aspramente i seguaci di Guittone accusandoli di essere esempio di ignoranza. Il trattato, come abbiamo detto, resta incompiuto probabilmente per la stesura della Commedia. La salita al trono di Enrico VII di Lussemburgo pone in Dante le speranze che il nuovo imperatore possa portare l’ordine e la giustizia. Dopo aver ricevuto la corona imperiale, l’imperatore assedia Firenze ma con forze Nel nono cerchio sono puniti i fraudolenti verso chi si fida: i traditori dei parenti, della patria, degli ospiti e dei benefattori. Tra quest’ultimi ci sono Bruto, Cassio e Giuda.  PURGATORIO Agli antipodi di Gerusalemme sorge, circondata dall’Oceano, la montagna del Purgatorio. Esso accoglie gli spiriti dei peccatori che si pentirono prima di morire, guadagnandosi così la possibilità di accedere successivamente al Paradiso. Viene preceduto dall’Antipurgatorio diviso in sette cornici ovvero i sette peccati capitali. Le anime, nel loro cammino di espiazione, percorrono tutte le cornici, come fa Dante stesso. Giunte sulla spiaggia traghettate da un angelo nocchiero, le anime sono accolte da Catone l’Uticense. L’Antipurgatorio ospita gli scomunicati e i negligenti. Nelle prime tre cornici si purifica l’amore rivolto verso il male: superbia, invidia, ira. Nella quarta si trovano gli accidiosi ovvero coloro che ebbero scarso amore per il bene. Nella quinta, sesta e settima, infine, si purificano i colpevoli di eccessivo amore per i beni terreni. Qui Virgilio svanisce, cedendo il ruolo di guida a Beatrice.  PARADISO Il paradiso, descritto come una dimensione senza tempo e luogo, riflette le concezioni del sistema tolemaico: è immaginato come costituito dalle sfere concentriche dei cieli, che prendono il nome dei sette pianeti: il cielo della Luna, con gli spirti che mancarono ai voti; il cielo di Mercurio, con gli spiriti che operarono il bene per desiderio di gloria; il cielo di Venere, con gli spiriti amanti; il cielo del Sole, con gli spiriti sapienti; il cielo di Marte, con gli spiriti combattenti della fede; il cielo di Giove, con gli spiriti giusti; il cielo di Saturno, con gli spiriti contemplativi. Seguono quindi il cielo delle stelle fisse e il Primo mobile. Dante, accompagnato da Beatrice ha la mistica visione di Dio. Nel secondo canto dell’inferno, Dante manifesta a Virgilio i suoi timori, non ritenendosi degno di una simile impresa. Fino ad allora solo due uomini avevano avuto quel privilegio: Enea e San Paolo. Dante, quindi, si sta mettendo alla pari dei suoi predecessori. Infatti, il poema epico l’Eneide rappresenta per Dante il suo modello ideale. Il suo autore, Virgilio, viene scelto come guida attraverso l’Inferno e il Purgatorio e viene chiamato, al momento della sua scomparsa “dolcissimo padre”. Per Dante, questo poema è sacro ed aspira per la Commedia ad essere la sua erede in volgare. Il primo canto dell’Inferno racconta l’inizio del viaggio oltre mondo. Nel mezzo del cammino della vita, Dante si ritrova in una “selva oscura”, dopo aver smarrito la “diritta via”. In preda alla paura, si dirige verso la sommità di un colle illuminato dal sole, nel quale riconosce una possibile salvezza. Il cammino viene però ostacolato dall’apparizione di tre fiere: una lonza, un leone e una lupa che gli impediscono di proseguire. In soccorso sopraggiunge Virgilio. I primi commentatori riconobbero nella Commedia un valore allegorico: la selva rappresenta la condizione di smarrimento del peccato; la diritta via è quella cristiana del bene; il colle è simbolo di salvezza; le tre fiere appresentano le tre tentazioni diaboliche che possono impedire il raggiungimento della stessa salvezza. La narrazione dantesca è infatti densa di allusione e di riferimenti sia alle Sacre Scritture, sia alla letteratura classica: il primo verso è una citazione biblica di Ezechia; l’immagine della selva rimanda alle Confessiones di Agostino. L’allegoria è un procedimento proprio della cultura medievale, che consiste nel riconoscere significati “altri” rispetto a quelli espressi dalla lettera del testo. Come le Scritture, anche la Commedia è polisemica: presenta diversi livelli di senso. A differenza dell’Eneide, il protagonista della Commedia non è un eroe classico ma un Io Cristiano, che narra in prima persona una propria esperienza esistenziale. La prima persona di Dante riflette un “io” complesso. E’, infatti, importante distinguere Dante-autore da Dante- personaggio. Il primo è l’auctor che racconta, in qualità di narratore onnisciente, il viaggio come un’esperienza vissuta e conclusa. Il secondo è il viator, il personaggio protagonista del viaggio, la cui prospettiva è tutta interna al racconto e muta con il progredire della narrazione. L’edificazione della Commedia implica un confronto costante con la tradizione filosofica e teologica. Dante non solo rielabora le soluzioni del pensiero antico, ma affronta quasi tutte le questioni filosofiche dibattute al suo tempo: la predestinazione della grazia, il libero arbitrio, la natura e le funzioni dell’anima umana. L’intrinseca varietà della materia esige un linguaggio altrettanto mutevole e plastico, capace di rappresentare tanto la degradante realtà infernale quanto la sublime trascendenza delle sfere celesti. Dante riesce anche in questo creando un plurilinguismo dantesco evidente soprattutto nel lessico. La base linguistica del poema è costituita dal fiorentino che viene adoperato in tutte le sue varianti, alternando forme arcaiche a forme moderne. Inserendo anche i cosiddetti dialettismi volgari. Non meno elaborate sono le strutture sintattiche e retoriche, tra le quali spicca la figura della similitudine. Esse si presentano in un’eccezionale varietà di forme: da quelle fulminanti a quelle articolate. quale avviare una restaurazione dei valori morali perduti. Per questi motivi, il rapporto con Avignone va deteriorando: Petrarca si sente estraneo in un luogo da lui considerato come una moderna Babilonia dominata dal vizio e contro cui si scaglierà in molti suoi scritti. Il 1337 è l’anno in cui si trasferisce a Valchiusa, poco distante da Avignone. Valchiusa diventa una sorgente di ispirazione e un luogo per la sua solitudine intellettuale, qui infatti, scrive la maggior parte di opere che lo terranno impegnato tutta la vita. La passione di Petrarca per i libri ha un duplice aspetto. Vi è la ricerca delle opere da raccogliere come testimonianza della cultura passata e vi è l’intento di intrattenere un vero e proprio colloquio con i testi dei grandi autori classici: i classici come modelli da cui trarre esempi virtuosi. con questi due aspetti nasce quello che è stato chiamato l’Umanesimo di Petrarca, ovvero l’approccio scientifico ai testi, la comprensione profonda della loro problematica storica. Del lavoro che Petrarca realizza sui codici abbiamo notizia dalle numerose postille che pone ai margini dei testi che studia. Un esempio di questo atteggiamento filologico lo troviamo nell’operazione di restauro degli Ab urbe condita libri di Tito Livio, egli riesce ad assemblare tutte le deche allora conosciute ed il risultato è un codice unico che viene conservato nel British Museum di Londra. Ad un intento simile risponde anche un altro importante manoscritto: il cosiddetto Virgilio Ambrosiano dove sono raccolte le principali opere di Virgilio (Eneide, Bucoliche, Georgiche), a cui si aggiunge l’Achilleide. Si tratta di un libro a cui Petrarca tiene molto, infatti, porta il manoscritto sempre con sé. Nella solitudine di Valchiusa, Petrarca comincia a lavorare alle sue prime opere latine: il poema epico in esametri Africa, dedicato alla seconda guerra punica e alla figura di Scipione l’Africano; e la raccolta De viris illustribus. l’imitazione di Virgilio è evidente: le due opere si presentano quasi complementari. Il primo settembre 1340 riceve contemporaneamente due inviti a essere insignito della laurea poetica: il primo viene dal senato di Roma e il secondo da Parigi. Alla fine, la scelta ricade su Roma per amore della patria e poiché è definita “capo del mondo e regina delle città”. Dopo tre giorni a Napoli, l’8 aprile del 1341 ha luogo la cerimonia in cui Petrarca viene incoronato poeta in Campidoglio. Subito dopo l’incoronazione, Petrarca si stabilisce per un anno intero a Parma. Qui riprende a lavorare all’Africa, un poema epico giunto a noi incompiuto: dei dodici libri, Petrarca ne compone nove. Il classicismo petrarchesco consiste nella ricerca di ciò che è “umano e comune a tutte le genti” e con l’Africa queste riflessioni acquisteranno un ver e proprio manifesto ideologico. A un intento simile risponde l’altra opera latina De viris illustribus, iniziata nel 1338, l’opera prevedeva le biografie di 23 condottieri romani, da Romolo a Catone. Quest’opera, come la precedente, resta incompiuta. Nel 1342 Petrarca torna ad Avignone dove inizia la stesura dei Rerum memorandum libri, che prosegue poi qualche anno dopo quando ritorna a Parma. Nell’opera si espongono aneddoti relativi a personaggi illustri del passato e del presente i fatti vengono divisi in base a quattro virtù: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza. A differenza delle altre opere Petrarca li lascerà incompiuti senza alcun rimpianto. Nel 1343 accadono due avvenimenti traumatici: muore Roberto d’Angiò, re di Napoli e il fratello Gherardo entra nell’ordine dei certosini. Emergono ora quelle inquietudini che scandiscono tutte le grandi raccolte . Per Petrarca, l’idea di morte che incombe in ogni uomo ne minaccia l’esistenza. Alla fine del 1345 Petrarca è di ritorno in Provenza, qui scrive una prima versione del trattato De vita solitaria, che poi arricchisce di aggiunte per oltre due decenni. Quest’opera può essere considerata una sorta di controfigura cristianizzata e vengono affrontati tutti temi che caratterizzano la produzione petrarchesca: non solo in tema della solitudine, ma anche la dedizione completa alle lettere, lo studio degli antichi. Il 1347 è un Anno di cambiamenti sul piano politico e in generale con i rapporti che Petrarca intrattiene con i rappresentanti del potere: la protezione dei Colonna inizia a risultare insufficiente. Inizia un restauro della repubblica con una vera e propria rivoluzione. Petrarca reagisce scrivendo una lettera a Cola di Rienzo ma la caduta del nuovo repubblicano distrugge il sogno di Petrarca di vedere una rinascita romana e ciò porta ad un’inevitabile rottura con i Colonna. Nel 1346-1348 Petrarca compone la parte sostanziale delle dodici egloghe del Bucolicum carmen, il modello a cui si ispira è sicuramente quello virgiliano delle Bucoliche. È interessante notare molte questioni della vita di Petrarca, come l’amore per Laura. Nel 1348 la peste dilaga in Italia: qui muoiono molti suoi amici e in particolare muore Giovanni Colonna e Laura. In quello che ormai è diventato il suo libro della memoria, Petrarca annota la morte di Laura. Le opere di questi anni riflettono la crisi che Petrarca è chiamato ad affrontare e alla quale risponde attraverso la ricerca di una scrittura che lo svincola dalla storia. IL SECRETUM Il dialogo con sé stesso spinge Petrarca a concepire un’opera in cui riportare i movimenti fluttuanti del proprio animo. L’azione del Secretum è ambientata tra il 1342- 1343, la l’avvio alla composizione risale al 1347 a Valchiusa: si tratta di una stesura particolarmente complessa. Esso è concepito come una confessione personale, infatti, il sottotitolo è “libro sul segreto conflitto dei miei affanni”. L’idea di base è quella di un libro senza pubblico destinato a rimanere presso l’autore. Prende come modelli Consolatio Philosophiae di Boezio e Confessiones di Agostino. Il Secretum mette in scena un dialogo tra Francesco e Agostino in cui si proiettano la realtà biografica di Nel 1368 Petrarca si stabilisce a Padova sotto la protezione di Francesco I da Carrara, qui nascono gli ultimi progetti letterari: le Seniles dove decide di raccogliere l’epistolario dell’ultima parte della sua vita un un’opera di 17 libri contenenti 127 lettere. Gli argomenti privilegiati sono quelli della vecchiaia e della morte. In quest’opera la politica ricopre un ruolo importante e lo testimoniano alcune lettere, ma le lettere più importanti sono quelle con Giovanni Boccaccio dove Petrarca difende la sua scelta di stabilirsi dai Visconti e dove Boccaccio invia a Petrarca un pezzo della sua opera il Decameron. Tra il 1366-1367 Petrarca porta al termine il De remediis utriusque fortunae, questo libro è dedicato al tema della libertà dell’individuo di esercitare la virtus. Nel primo libro, la Ragione interviene a correggere gli eccessi di Gioia e Speranza. Petrarca segue ancora una volta una sintesi tra etica pagana e fede cristiana. La prima richiede all’uomo di individuare a sé il proprio centro e la propria verità; la seconda riconosce che il soggetto non può liberarsi una volta per tutte delle passioni che lo animano. Lo scrittoio di Petrarca si divide a lungo tra la produzione in latino e quella in volgare. Mentre continua a perfezionare le sue opere latine, Petrarca lavora alla raccolta dei Fragmenta, continuando a rifinire i testi e la sequenza. Inoltre, porta a termine i Trionfi. Da ciò possiamo notare che il bilinguismo petrarchesco è radicale: mentre il latino è la lingua sia della poesia che della prosa, il volgare viene riservato esclusivamente alla poesia. RERUM VULGARIUM FRAGMENTA I Rerum vulgarium fragmenta sono il grande capolavoro di Petrarca. Ai Fragmenta, Petrarca riconduce tutti i suoi diversi testi in volgare che in segreto compone negli anni in relazione alla passione per Laura e li riordina secondo il processo del Secretum. La preistoria del libro è rappresentata dai numerosi testi che Petrarca compone sin dai primi anni Trenta, in contemporanea con la stesura delle sue prime opere Africae e De viris. Petrarca scrive in volgare testi nutriti dall’amore per Laura, o piegati all’omaggio di protettori e solidali. Queste composizioni si accumulano sparse tra le carte petrarchesche per diversi anni fino a quando il poeta non decide di riordinarle in una struttura unitaria. Il primo dato concreto lascia intravedere un primo ordinamento del progetto nel 1342, ma il vero e proprio progetto inizia a formarsi tra il 1347 e il 1350 con circa 150 componimenti. Da qui in avanti il libro avrà una tematica più narrativa: verrà raccontata Laura in vita e in morte, dividendo le due parti. I Fragmenta diventano, quindi, la grande raccolta in cui ricompone la storia dell’amore per Laura. La morte della sua amata è l’episodio che innesca la parabola, ovvero un punto di svolta poiché rappresenta per il poeta “il punto esterno ed elevato da cui osservare l’esperienza passata per tradurla in racconto”. Negli anni successivi lavora costantemente ai Fragmenta, sempre in parallelo alle sue opere latine. Petrarca interviene spesso sul codice aggiungendo correzioni, postille, aggiunte fino alla sua morte. Nonostante i ripensamenti, il progetto resta coerente: la preparazione di un testo unitario in cui esprimere la propria anima. Per la prima volta nella storia della poesia, i singoli componimenti hanno un significato a sé compiuto, che consente di leggerli separatamente l’uno dall’altro. Il modello più diretto da cui prende spunto è senz’altro la Vita Nuova di Dante. Dante, infatti, era stato il primo a racchiudere i suoi componimenti amorosi in un’opera unitaria. Nella Vita Nuova, però, la catena narrativa è assicurata soprattutto dalla presenza delle prose. La Vita Nuova conferisce a Petrarca lo spunto su cui lavorare, scrivendo della vita, della morte e del ricordo di Laura. Il Canzoniere è formato da 366 liriche, o meglio, di 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. I componimenti 1-263 fanno parte della sezione in vita di Laura; i componimenti 264-366 quella in morte. Oltre all’elemento strutturale, vi è anche quello retorico su cui il libro si organizza: cioè il dialogo ideale tra l’io lirico e la sua ispiratrice. La prima parte ha come sfondo l’innamoramento di Laura, sullo sfondo di questa parte viene evocato il mito di Apollo e Dafne, la ninfa che sfugge ad Apollo e si trasforma in un alloro pur di non cadere nel suo possesso. Nella prima parte vi è il presentimento della morte di Laura, infatti, viene annunciata nel sonetto 267 e in quello dopo si dimostra in tutta la sua drammaticità. È questo il momento della svolta, che costringe il poeta a una revisione di tutta la sua vita e della sua esperienza amorosa. Da qui nasce un sentimento aspro che, secondo il poeta, lo porta lontano da Dio per poi trovare la conversione espressa dalla preghiera della Vergine, ovvero la canzone con cui si chiude il libro. “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” è il sonetto iniziale e consiste nel porre le premesse della vicenda: il testo, infatti, scava l’io interiore che dilaga e riflette su sé stesso. Tale riflessione si basa sulla divaricazione del passato e del presente. Ora, mentre scrive, egli riconosce di essere un uomo diverso da quello che era prima. L’amore porta ad una condanna morale poiché comporta la dispersione del sé in frammenti dove è impossibile riconoscersi. L’uomo del passato è vittima delle perturbazioni dell’animo che lo porta ad avere vergogna per sé stesso, infatti, in ottica cristiana peccare non significa far del male agli altri bensì a sé stessi. Per l’innamorato-poeta tornare a guardare il passato non significa null’altro che scrivere. La scrittura è infatti il mezzo attraverso il quale l’anima si ricompone e possiamo notare che varia è la struttura del libro poiché varia è la coscienza di chi scrive. L’io lirico si presenta diverso da quello del passato, ma solo in parte, perché nonostante il pentimento e la conversione, il suo sentimento non si è del tutto estinto. - Triumphus Cupidinis (in 4 parti); - Triumphus Pudicitie; - Triumphus Mortis (in 2 parti); - Triumphus Famis (in 3 parti); - Triumphus Temporis; - Triumphus Eternutatis; Nel Triumphus Cupidinis, il narratore vede il carro di Amore, vestito come un condottiero romano, dietro al quale c’è il lungo corteo con gli amanti celebri di età classica. A questo punto appare l’enigmatico personaggio di Laura che entra a far parte della parata di amore. Nel Triumphus Pudicitie, la Pudicizia è impersonata da Laura, che trionfa su Amore, costringendolo alla prigionia. Segue il Triumphus Mortis, dove sopraggiunge la Morte ad uccidere Laura. Dopo la morte, la donna appare in sogno al narratore, confessando di averlo sempre amato ma di essere stata costretta a negare i suoi sentimenti. Il Triumphus Famis è la parte in cui subentra la Fama a rassicurare gli uomini perché è in grado di sconfiggere la morte. Nel Triumphus Temporis, il Sole, indignato per l’arroganza della Fama che presume di dare l’immortalità, accelera il suo corso vitale fino alla morte. Nell’ultima visione, il Triumphus Eternitatis, l’io narrante, di fronte alla consapevolezza della fine a cui tutti sono destinati, si chiede a chi può affidare il proprio spirito e si rende conto che solo Dio può assicurare la pace. Il libro, insomma, si apre e si chiude con la figura di Laura, ripercorrendo a ritroso il percorso svolto con i Fragmenta. La visione che chiude il libro consiste nella vittoria sull’eternità. La città celeste è la realizzazione di una pace possibile solo nell’aldilà, vissuta dalle anime che con la resurrezione hanno ripreso la loro veste corporea. L’esito della visione di Petrarca sta nel mistero della resurrezione, dove il tempo e la morte vedranno annullata la loro azione e dove le anime non possono più patire i morsi del tempo. Le condizioni di salute del poeta vanno peggiorando fino a quando tra il 18 e il 19 luglio 1374 lo sopraggiunge la morte. GIOVANNI BOCCACCIO Giovanni Boccaccio può apparire come uno scrittore con due teste: le opere giovanili, scritte in volgare, sembrano contrastare le opere senili, redatte in latino. Il passaggio dalle prime alle seconde sarebbe dovuto, secondo alcuni studi, all’incontro con Francesco Petrarca, avvenuto nel 1350, e all’assunzione dei voti, con conseguente ingresso nello stato clericale nel 1360. Con la sua esperienza letteraria, egli ha inoltre superato la contrapposizione tra cultura alta in latino e cultura bassa in volgare. L’incontro con un ambiente raffinato e piuttosto evoluto dal punto di vista culturale e letterario lo spinse ad impegnarsi nella letteratura mezzana, come il suo più grande progetto il Decameron dove è possibile riconoscere l’alto e il basso. Giovanni Boccaccio nasce nel 1313 a Firenze o a Certaldo. Figlio naturale di Boccaccio di Chellino, agente della compagnia mercantile dei Bardi. A Firenze trascorre l’infanzia e qui inizia la sua formazione primaria fino a quando non si trasferisce con il padre a Napoli, dov’è avviato alla pratica mercantesca. Ben presto, però, si manifesta in lui la vocazione per gli studi letterari e dopo essere costretto a lavorare altri sei anni come apprendista giuridico, Boccaccio mostra in maniera evidente la sua passione per la poesia, arrivando a scrivere qualche raccontino senza ancora conoscere bene le prime regole grammaticali e andando contro i voleri del padre inizia lo studio della letteratura. Questo racconto autobiografico fornisce due preziosi indicazioni oltre a rilevare la matrice fiorentina nella sua formazione: la conoscenza del mondo mercantile e l’avviamento allo studio del diritto. A Napoli, in quegli anni vi è la presenza dell’aristocrazia di origine francese, il cui comportamento è improntato al codice cortese rappresentato soprattutto da opere di grande successo, come la storia di Tristano. La capitale angioina è anche un centro di produzione culturale di prim’ordine, grazie alla presenza di dotti che hanno un ruolo fondamentale nella crescita intellettuale del poeta. In sintesi, nella formazione di Boccaccio agiscono contemporaneamente due ambienti: da una parte, il mondo fiorentino, in lingua volgare, basato sulla conoscenza diretta delle attività pratiche; dall’altra parte, quello napoletano, in cui sono compresenti il codice cortese e il livello alto degli studi universitari con la cultura latina. Nella scrittura boccacciana si rivela per prima quella aristocrazia di stampo francese, come dimostra la Caccia raffigurano le Virtù. Lo schema sarà ripreso nella novella della V giornata del Decameron, dedicata a Cimone, un rozzo giovanotto originario di Creta, che grazie all’amore s’ingentilisce diventando in pochissimo tempo quasi un signore. Boccaccio inaugura anche il Cantiere dell’Amorosa visione, un poema allegorico in terzine dove attraverso lo schema della visio, il poema illustra la sala di un castello dove sulle pareti sono rappresentati i seguaci della Sapienza e il trionfo d’Amore. Passa poi ad applicarsi a Ninfale fiesolano, poemetto pastorale in ottave dedicato alle mitiche origini di Firenze, essa ruota intorno all’amore tra il pastore Africo e la ninfa Mensola. Nell’insieme le opere degli anni Quaranta mostrano un avvicinamento alla cultura fiorentina e ciò è dovuto anche ai numerosi viaggi realizzati per il Comune che rafforzano l’identità culturale dell’autore. La devozione a Dante è visibile anche in Buccolicum carmen, una corrispondenza poetica in esametri latini dove viene reinterpretato il modello delle Bucoliche di Virgilio. Nell’opera, Boccaccio trascrive in chiave allegorica la propria posizione rispetto ai fatti che agitavano il Regno di Napoli. Gli eventi storici che caratterizzano la metà del secolo incidono sul lavoro letterario boccacciano. La terribile epidemia della peste nera che si sviluppa rapidamente dal 1347, arriva a Firenze nel 1348 devastando la città e avviando processi di disgregazione dell’ordine. Si può parlare di un’autentica catastrofe culturale che spinse la popolazione a adottare comportamenti esasperati: si rinnegavano figli, uccidevano ebrei e le minoranze. Da qui Boccaccio inizia a raccogliere quei materiali narrativi che avrebbero dato vita al Decameron. Le cento novelle sono infatti contenute dentro un racconto esterno, che non solo offre una rappresentazione dettagliata del morbo, ma ne fa il presupposto dell’opera ovvero il suo nucleo centrale. L’autore definisce “orrido cominciamento” le prime scene del Decameron, infatti, l’introduzione della prima giornata è ampiamente dedicata alla descrizione della peste, di cui sono evidenti gli aspetti medico-sanitari, ma soprattutto effetti politici. Le reazioni popolari sono diverse: chi si chiude in casa con amici nutrendosi di buon cibo e chi evita ogni lussuria. Utilizzando un linguaggio tragico, con uno stile elevato, pieno di latinismi e di forme complesse, Boccaccio spiega che durante l’epidemia la religione e le leggi hanno perso ogni autorità. Il modello di Boccaccio è l'Historia Longobardum di Paolo Diacono, in cui nel secondo libro è raccontata la peste che divampa in Italia nel VI secolo d.C. Qui il nostro autore trova rappresentato quello spettacolo di paura e disperazione cui egli stesso ha assistito: le case vuote che, rimaste prive di abitanti, sono lasciate ai cani. Nonostante le somiglianze tematiche, l'opera di Boccaccio e quella di Diacono appartengono a due mondi assai diversi. La società cui guarda il secondo è agraria e pastorale, un mondo dove le case vuote contano meno delle greggi rimaste sole nei pascoli. In questo quadro si spiega la scena dell'incontro di sette giovani donne in Santa Maria Novella, con la loro decisione di andare a rifugiarsi in una villa di campagna invitando tre giovani uomini con loro. L'incontro in chiesa sigla il passaggio dalla pesta alla vita lieve, dalla distruzione alla ricostruzione. Boccaccio profondamente segnato dalla peste, comincia a ideare il progetto del Decameron e nello stesso tempo avviene l'incontro con Petrarca. L'incontro nel 1350, dovette essere importantissimo, poiché Boccaccio aveva ammirato Petrarca fin dagli anni giovanili. Il sodalizio tra i due autori è subito intenso e si stringe ulteriormente negli anni successivi. L’amicizia tra i due mostra anche incomprensioni soprattutto per quanto riguarda il rapporto con Dante: Giovanna lo guarda con ammirazione e lo venera, Francesco, al contrario, lo guarda con sospetto: il poeta della Commedia è ingombrante. Nonostante le divergenze, l’ammirazione di Boccaccio per l’amico resta solida nel tempo. IL DECAMERON La peste assume un ruolo decisivo nel Decameron, in quanto è lo sfondo per le sette giovani donne e dei tre giovani uomini che decidono di rifugiarsi in campagna. È possibile che Boccaccio abbia iniziato a scrivere le novelle prima della diffusione del morbo, ma solo dopo la peste decise di inserirle in questa cornice. Possiamo quindi affermare che la scrittura dell’opera inizia nel 1349 e finisce nel 1360. Ci furono varie edizioni e secondo Branca la diffusione del Decameron avvenne tramite alcuni copisti che lo copiarono per piacere personale. Vittorio Branca, convinto dell’importanza dei copisti, definì l’opera come una “epopea dei mercanti”, amata e diffusa soprattutto nell’ambiente mercantesco, soprattutto fiorentino. Boccaccio si cimenta, così, nella narrazione in breve. L’autore non si limita s enunciare i due temi principali (amore e fortuna), ma segnala la molteplicità dei casi che verranno narrati. In effetti, come conferma la conclusione, la raccolta boccacciana è ispirata alla varietà: di temi, di personaggi, di stili e di registri espressivi. Ancora nel proemio afferma di aver voluto narrare cento novelle: “raccontare cento novelle o favole o parabole o istorie che dire le vogliamo”. Il sistema di regole è presentato nel lungo discorso, col quale Pampinea, la più autorevole delle donne, convince le sue compagne a spostarsi dalla città per andare in campagna. La decisione di lasciare la città è presentata con una serie di termini di grande rilievo: allegrezza, piacere, festa. Onestà è un lemma di grande importanza nello sviluppo di tutta l’opera, sul quale i giovani s’interrogheranno spesso e al quale s’impegneranno ad aderire costantemente. Il terzo cerchio è rappresentato dalle novelle: due giorni hanno per tema l’amore in chiave tragica e con lieto fine; ben tre giornate sono dedicate alla comicità; la seconda giornata da rilievo alla fortuna; la terza si basa sull’industria, cioè sul valore individuale; la prima e la nona giornata sono a tema libero. Dentro quest’ampia tematica si collocano le vicende dei personaggi, tra le tipologie privilegiate vi è senza dubbio il mondo mercantile, di cui sono rappresentate anche le caratteristiche meno esemplari. Lo si vede nella novella di Ser Cepparello, un violento che sfrutta in maniera indegna la professione di notaio. La raffigurazione dei mercanti non è rappresentata sempre in modo negativo, ad esempio, Andreuccio da Perugia che è rappresentato con simpatia. La categoria più frequentemente descritta in termini negativi è però quella dei religiosi: tranne poche eccezioni, monaci e abati agiscono per fini del tutto mondani, indifferenti alle regole del sacerdozio, infatti, la loro caratteristica principale è l’ipocrisia. Insieme all’ipocrisia, un’altra caratteristica dei personaggi del Decameron è la lussuria. Il sesso caratterizza anche il mondo religioso femminile, come mostra il successo di Masetto da Lamporecchio. Non mancano gli strati più umili, infatti, vi sono numerosi personaggi dal mondo dei lavoratori, di cui l’autore registra con sensibilità i differenti tipi di professione: l’ortolano, lo stalliere, i contadini, il fornaio e i servi come Chichibio. Una figura professionale che nell’opera boccacciana gode di particolare privilegio è quella degli artisti, di cui sono in evidenza l’ingegno e l’abilità intellettuale. È il caso di Giotto che viene raffigurato con un fulminante scambio di battute col giurista Forense da Rabatta. La narratrice Neifile dedica ampio spazio alla presentazione del pittore, che ammira per l’alta qualità illusionistica. Nella sesta giornata, dedicata ai motti, appare Guido Cavalcanti, il cui viene visto come un loico e viene visto all’interno di un cimitero. Firenze occupa un ruolo importantissimo nel Decameron, non solo perché vi è ambientata un quarto delle novelle, ma anche perché la città stabilisce l’orizzonte della cultura. Tra i principali caratteri di questo orizzonte va considerata la contrapposizione netta col contado. La contrapposizione è forte anche nei confronti delle città rivali, come mostra la novella 5 della VIII giornata, in cui il fiorentino Maso del Saggio organizza una beffa oltraggiosa ai danni di un giudice. Un ultimo aspetto notevole delle novelle ambientate a Firenze riguarda il trattamento dello spazio: l’attenzione onomastica, la precisione topografica, l’orientamento polemico e situazionale. La cortesia rappresenta il perno etico e ideologico del Decameron. La prontezza d’ingegno, giovinezza, la disponibilità all’amore sono i principali punti qualificanti dell’opera. Boccaccio s’immette in questa linea caratterizzata da una stratificazione più articolata del mondo feudale. Nell’etica cortese è fondamentale la misura, ossia il controllo razionale, la riflessione della situazione e delle persone con cui si ha a che fare, come nel caso di Nostagio o di Federigo. Altro elemento importante della cortesia sta nella contrapposizione tra villania e avarizia. La cortesia è registrata anche nel registro comico, dove abbiamo l’innamoramento da lontano. Ma il trattamento più complesso della cortesia riguarda la X giornata dedicata alla magnanimità, cioè alla grandezza d’animo, le novelle di questa giornata illustrano perfettamente come la cortesia sia la virtù che presiede alle forme dell’interrelazione umana. La forma “epopea dei mercanti” si deve a Vittorio Branca poiché definisce il Decameron un racconto delle origini. Un mondo nuovo dove si esaltano quelle doti umane come la giovinezza e la reattività. In effetti, la conoscenza che Boccaccio aveva dell’ambiente dei commerci e della nuova realtà economica si riversa nella sua opera. Tra le altre cose, il Decameron è senza dubbio una grande esaltazione delle capacità espressive dell’uomo. L’arte della parola è infatti presente in tutta l’opera, a partire dal cerchio esterno dove l’autore promette di raccontare cento novelle fino al terzo cerchio dove la totalità delle novelle si basa sulla capacità di utilizzare le risorse del linguaggio. In virtù di queste capacità le parole hanno un ruolo importante nella beffa, dove la comicità nasce dall’abilità oratoria dei beffatori e dal punto di vista della vittima, i cui i pensieri e i giudizi sono spesso riportati nelle novelle. Negli stessi anni del Decameron risale l’influenza di Petrarca e l’influenza latina. A questo scopo, Boccaccio si impegna su due fronti di scrittura: le opere erudite e le raccolte narrative d’impianto storico. Il primo gruppo è costituito dalle Genealogia deorum gentilium, un trattato di mitologia a cui Bpccaccio lavorò per oltre venti anni. Il secondo gruppo comprende invece il De casibus virorum illustrium, che raccoglie una serie di esempi fatti da uomini illustri. E il De mulieribus claris, opera nata sull’ispirazione di Petrarca e costituita da 106 biografie di donne divenute celebri per le loro grandi virtù.
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