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TUTTO L'ESAME DI STORIA ROMANA (libro: Marcone e Geraci "STORIA ROMANA"), Sbobinature di Storia Romana

Riassunto completo di tutto quello che c'è da sapere per l'esame di storia romana, 30 assicurato. All'interno troverete anche paragrafo per paragrafo le fonti relative. Contenuto: -Introduzione allo studio della materia -Fonti per la storia romana -Qualche nozione introduttiva - “ POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA”: L’Italia preromana, Gli Etruschi, Roma. - LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI: La nascita della repubblica, Il conflitto tra patrizi e plebei, La conquista dell’Italia, La conquista del Mediterraneo. - LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI: Dai gracchi alla guerra sociale, I primi grandi scontri tra fazioni in armi, Dal primo triumvirato alle idi di marzo, Agonia della repubblica. -L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO: Augusto, I Giulio Claudi, L'anno dei 4 imperatori flavi, Il II secolo. -CRISI E RINNOVAMENTOLa crisi del III secolo e le riforme di Diocleziano, Da Costantino a Teodosio. -LA FINE DELL'IMPERO: tutto.

Tipologia: Sbobinature

2023/2024

In vendita dal 13/02/2024

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Scarica TUTTO L'ESAME DI STORIA ROMANA (libro: Marcone e Geraci "STORIA ROMANA") e più Sbobinature in PDF di Storia Romana solo su Docsity! STORIA ROMANA INDICE Introduzione allo studio della storia romana …………………………………………................... 3 Fonti per la storia romana ………………………………………………………………………… 10 Qualche nozione introduttiva ……………………………………………………………………… 13 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” L’Italia preromana ………………………………………………………………………................ 14 Gli Etruschi ………………………………………………………………………………………... 15 Roma ……………………………………………………………………………………................ 17 Date importanti parte prima ……………………………………………………………………….. 25 PARTE SECONDA: LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI La nascita della repubblica ………………………………………………………………............... 26 Il conflitto tra patrizi e plebei ………………………………………………………………............ 30 La conquista dell’Italia ……………………………………………………………………………. 34 La conquista del Mediterraneo ……………………………………………………………………. 38 Date importanti parte seconda …………………………………………………………………….. 45 PARTE TERZA: LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI Dai gracchi alla guerra sociale ……………………………………………………………………. 44 I primi grandi scontri tra fazioni in armi ………………………………………………………….. 50 Dal primo triumvirato alle idi di marzo ……………………………………………………………. 54 Agonia della repubblica …………………………………………………………………………… 58 Date importanti parte terza ………………………………………………………………………… 61 PARTE QUARTA: L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO Augusto …………………………………………………………………………………………… 62 I Giulio Claudi …………………………………………………………………………………….. 65 L’anno dei quattro imperatori e i Flavi ……………………………………………………………. 68 Il II secolo …………………………………………………………………………………………. 70 Date importanti quarta parte ………………………………………………………………………. 74 2 Le fonti documentarie “primarie” possono essere scritte o monumentali. Le prime (documenti, lettere, orazioni), trattano direttamente gli avvenimenti storici o costituiscono esse stesse parte dei fatti storici. Il materiale documentario che a noi oggi è pervenuto è solo un’infima parte dell’immensa mole un tempo prodotta; tuttavia, un buon numero di papiri, contenenti contratti, transazioni e questioni economiche in genere, è stato conservato dalle sabbie del deserto egiziano. Tra il materiale documentario primario si impone un’altra distinzione quella tra atti pubblici e i documenti privati. Del primo gruppo ne fanno parte tutti i trattati tra gli stati, gli atti dell’autorità costituita e quelli dei magistrati; in poche parole tutti i documenti afferenti la vista pubblica di uno Stato. Ne sono un esempio i trattati internazionali come quelli di Roma e Cartagine (riportati da Polibio), importanti per comprendere i meccanismi con cui Roma attuava la sua politica nel mediterraneo. Per Roma il materiale giuridico è molto vasto va dall’età arcaica con il Lapis Niger e le Leggi delle XII Tavole, fino alle raccolte giuridiche tardoantiche dal Codex Theodosianus al Codex Iustinianus del 534 d.C., completato dalla raccolta delle Novellae (comprendente le leggi emanate dopo il 534), delle Institutiones (una sorta di manuale per gli studenti di diritto) e dei Digesta (corpus che riunisce le opere dei giuristi classici, i cui responsi su varie questioni legali erano considerati particolarmente autorevoli, tanto da poter essere citati nei tribunali). Questa immensa costruzione giuridica, accorpata nel famoso Corpus Iuris Civilis, venne recepita dal medioevo occidentale e considerata il fondamento del diritto europeo. Tra i documenti amministrativi, vi sono le liste consolari (i Fasti), nonché un importante documento che contiene la lista completa di tutte le cariche civili e militari di tutte le province delle due partes dell’Impero, ovvero la Notitia Dignitatum, risalente agli inizi del V sec. d.C., di grande rilievo per la storia amministrativa e burocratica della romanità tardoantica. Altri documenti amministrativi sono le lettere che Plinio il Giovane scrisse a Traiano e le risposte di quest’ultimo (contenute nel X libro dell’epistolario pliniano), perché forniscono interessanti notizie sull’amministrazione delle province in età imperiale. Vi sono anche le orazioni, ai ricordi e ad altro materiale del genere, che pur essendo sempre riflesso degli avvenimenti di una data epoca, sono dominati dalle concezioni politiche di chi li ha prodotti. Il genere delle “memorie”, che Roma ereditò dalla tradizione ellenistica degli hypomnémata, fu ripreso da personalità politiche di primissimo piano, quali Silla, Cicerone e Cesare, i cui Commentarii sulla guerra gallica e sulla guerra civile possono essere considerati dei diari di guerra, improntati a grande immediatezza e nitore nell’espressione. Le orazioni, quali fonti storiche, si distinguono tradizionalmente in politiche e giudiziarie. A volte il confine tra i due generi è molto tenue, specie nell’oratoria classica greca (Demostene). A Roma, fu Catone il Censore (234-149 a.C.) ad introdurre l’oratoria nella sua opera storiografica, le Origines, dove riportò i discorsi da lui stesso pronunciati. Ma il picco massimo dell’oratoria romana fu raggiunto da Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.): grazie alle sue orazioni (e all’epistolario), possediamo una grande quantità di materiale importantissimo per la conoscenza della storia tardorepubblicana. Ad esempio, le Verrine ci consegnano un’immagine formidabile dell’amministrazione della prima provincia romana (la Sicilia) e dei sistemi di tassazione messi in atto dal governo romano sul suolo siciliano. Vi sono anche i “discorsi di occasione”, sebbene nati per una circostanza ufficiale e per ciò stesso infarciti di retorica, non devono tuttavia essere disdegnati in toto quali fonti utili per lo storico: ricordiamo, ad esempio, il Panegirico di Plinio a Traiano, o l’elogio a Roma del retore Elio Aristide, importante perché ci mostra – seppur in modo idealizzato – il modo con cui nel II sec. d.C. si guardasse a Roma, il centro del potere, nel mondo greco da essa dominato. Tra le fonti panegiristiche vi sono i Panegyrici Latini, un corpus di dieci discorsi, opera per lo più di retori gallici, la cui opera si colloca tra il 289 (data approssimativa del discorso più antico), al 389, data cui risalirebbe l’ultimo panegirico, pronunciato per Teodosio I. Riflesso di epoche agitate della storia di Roma sono i pamphlet, nella forma di “lettera aperta” o di satira politica, com’è nel caso dell’Apocolocyntosis Divi Claudii di Seneca, una satira feroce, mista di prosa e versi, contro il defunto imperatore Claudio. Una “lettera aperta” sono le apologie, scritte dai primi autori cristiani per difendere presso gli imperatori persecutori la bontà della nuova fede (ad es., per il II sec., ricordiamo Giustino, che indirizzò due Apologie 5 ad Antonino Pio, Marco Aurelio e Lucio Vero, criticando le procedure giudiziarie impiegate contro i cristiani). FONTI SECONDARIE Alla lacunosità e all’episodicità delle fonti documentarie suppliscono le fonti secondarie per eccellenza, quelle storiografiche, che ci restituiscono una narrazione continua di interi periodi storici, per i quali, alle volte, non si hanno altre testimonianze se non proprio quelle fornite da storici come Tacito, Cassio Dione, o biografi come Svetonio. La storiografia come genere nacque in Grecia, dove per la prima volta si ebbe coscienza del valore del proprio passato, e nacque nel VI sec. a.C. con Ecateo di Mileto, anche se il primo vero storico dell’Occidente fu Erodoto di Alicarnasso, che basò le sue Storie sull’idea di fondo di uno scontro epocale tra greci e barbari, tra Oriente e Occidente. La grecità classica è figlia della storiografia ellenistica la prima opera storica in greco che si diffonda sul “fenomeno romano” (più noto, nella storiografia moderna, col termine di “imperialismo”), ovvero su quel processo per cui Roma, con una rapidità prodigiosa (dal 220 al 168 a.C.), riuscì a conquistare tutto il mondo abitato (l’ecumene). Stiamo parlando dei 40 libri delle Storie di Polibio di Megalopoli (in Arcadia), membro della Lega Achea, deportato in Italia nel 167 a.C., insieme ad altri mille prigionieri, e qui, per i suoi meriti culturali, entrato a far parte del circolo di Scipione Emiliano. Polibio ha avuto l’indiscusso merito di considerare per primo la storia del Mediterraneo come storia unitaria, “universale”; egli era convinto che dalla storia si possano ricavare esempi preziosi per l’agire politico, egli è considerato il fondatore della cosiddetta “storiografia pragmatica”, concentrata sulla narrazione degli eventi politici, dove non si lascia spazio alla fantasia. La sua opera storica, conservata solo in parte, si riallaccia cronologicamente a quella di Timeo di Tauromenio, che tra IV e III sec. aveva scritto una storia dell’Occidente (Sicilia, Italia, Cartagine), fermandosi al 264 a.C. Continuatore delle Storie polibiane (che si arrestano al 144 a.C.), fu Posidonio di Apamea, che giunse fino all’età di Silla. La sua opera è purtroppo perduta, ma si servì ampiamente di essa Diodoro Siculo, autore, in età augustea, di una Biblioteca storica (in 40 libri, solo in parte pervenutici), che, come dice lo stesso titolo, è di carattere compilatorio (e proprio per questo preziosa per lo storico moderno, perché da essa si possono ricostruire correnti storiografiche antiche altrimenti perdute). L’attività storiografica era strettamente connessa all’agire politico: uomini politici furono i primi storici romani, quali Fabio Pittore, Cincio Alimento, Catone il Censore. Queste opere, nel loro impianto generale, seguivano la tradizione annalistica, ovvero la registrazione anno per anno degli avvenimenti considerati salienti per la storia dello Stato romano; si tratta di un’impostazione che ha condizionato la storiografia romana fino alla fine della repubblica e oltre. Fabio Pittore scrisse la sua opera in greco, in mostrando da un lato l’influsso indiscusso della storiografia ellenistica, dall’altro la visione cosmopolita che ormai Roma aveva acquisito in seguito ai contatti con la cultura greca; ma la scelta del greco dipese anche dall’esigenza di giustificare il punto di vista romano al resto del mondo mediterraneo riguardo allo scontro epocale che aveva visto protagoniste Roma da un lato e Cartagine dall’altro (Fabio scrisse intorno al 200 a.C.). Un netto spostamento dal punto di vista romanocentrico ad uno “italico” è evidente nella prima opera storica scritta in latino, le Origines di M. Porcio Catone (non pervenuteci), uno scritto volto ad indagare, come suggerisce il titolo, non solo le origini di Roma, ma anche delle altre città italiche (infatti in esso l’autore parla di Liguri, Galli, Etruschi, Veneti). La monografia storica fa la sua comparsa nell’ultimo secolo della repubblica e raggiunge il suo punto più alto con uno storico di età cesariana, particolarmente coinvolto nella politica del grande dittatore: G. Sallustio Crispo, autore di due monografie (La congiura di Catilina e La guerra giugurtina) e delle Storie (avvenimenti dal 78 al 67 a.C., in 5 libri, perduti, tranne qualche frammento contenente per lo più discorsi). Sallustio ha saputo tratteggiare a forti tinte due momenti epocali della Roma repubblicana, ma soprattutto nella Coniuratio Catilinae è riuscito a cogliere gli ultimi, sinistri bagliori di un ordinamento statale ormai fortemente in crisi e destinato ad un inesorabile tramonto, come lo storico aveva compreso con spirito di amara rassegnazione. 6 Vi è poi l’opera di Tito Livio (59 a.C. - 17 d.C.), ovvero i 142 libri Ab urbe condita (cioè dalla fondazione di Roma), che per le fasi più antiche della storia romana si rifanno alla tradizione annalistica, mentre dalla terza deca in poi fonte privilegiata diventa il greco Polibio. L’opera di Livio (che, vista la mole, non ci è giunta interamente: dell’opera originale possediamo per intero solo i libri 1-10 e 21- 45, 35 libri in tutto; il resto ci è noto grazie alle Periŏchae, riassunti essenziali, che vennero composti in varie epoche e che possediamo per tutti i 142 libri, tranne il 136 e il 137; o ad autori che lo utilizzarono, come Anneo Floro), venne per tutta l’età medievale e rinascimentale considerata la “storia romana” per eccellenza e la sua veridicità indiscutibile; solo a partire dal tardo 1600 e poi dal 1700, la critica storica – si ricordi soprattutto il De Beaufort - ha cominciato a riconoscere e accettare la fallacia del racconto liviano su molti punti della storia di Roma repubblicana, specie per i primi cinque secoli (fallacia che rimonta comunque alle fonti stesse usate da Livio, ovvero gli annalisti più antichi). Con Augusto si afferma sempre di più il bilinguismo, ovvero, vengono composte sempre più opere di storia romana in greco, segno della coscienza, da parte degli intellettuali del tempo, di appartenere ad un vasto Stato monarchico non più solo romano, ma greco-romano. Dionigi di Alicarnasso scrisse in greco una Storia arcaica di Roma, dalle origini al 264 a.C., in 20 libri, di cui si sono conservati i primi dieci e parte dell’XI. Altri storici si volsero alla storiografia universale, come il gallo voconzio Pompeo Trogo (della cui opera, le Storie filippiche in 44 libri, possediamo un compendio di un non meglio conosciuto Giuniano Giustino di II-III sec. d.C.); o Nicolao Damasceno, autore di una Storia universale in 144 libri, dalle origini alla morte di Erode il Grande (4 a.C.). La personalità del princeps diventa sempre più il centro focale dell’interesse storiografico in età imperiale: così Velleio Patercolo, nei suoi Ad Marcum Vinicium libri duo, tratta sommariamente la storia romana a lui precedente e si sofferma ad esaltare oltremodo il principe allora regnante, Tiberio. Ma il ritratto più efficace e insieme “violento” del periodo in cui regnarono i Giulio-Claudii e i Flavii è stato delineato in modo mirabile da Cornelio Tacito in due opere storiche: le Storie e gli Annali, dalla morte di Augusto a quella di Nerone nel 68 d.C. Al fondo della narrazione, vi è la visione cupamente pessimistica di Tacito nel considerare l’Impero come un male necessario di contro al disordine delle guerre civili; ma è impossibile per lui non rimpiangere l’autentica libertas di età repubblicana, nonostante egli operasse nell’età dell’optimus princeps Traiano. Nel II sec. d.C. si assiste ad una ripresa di attività culturale nel mondo greco come quella di Appiano di Alessandria, che scrisse una Storia romana (originariamente in 24 libri), divisa geograficamente in base agli scenari di guerra che avevano visto i romani protagonisti. Un altro storico di rilievo è, in età severiana, Cassio Dione, il quale scrisse (in greco) una Storia romana in 80 libri, dalle origini al 229 d.C., molto importante come testimonianza soprattutto per l’età contemporanea all’autore - a noi nota grazie a Giovanni Xiphilino e di Giovanni Zonara . Notevole anche la Storia dell’Impero romano dopo Marco Aurelio di Tiberio Claudio Erodiano, in cui si narrano gli eventi dell’Impero dalla morte di Marco Aurelio all’avvento di Gordiano III. All’inizio del IV sec. d.C. fa la sua comparsa la teoria ecclesiastica, che vede il suo iniziatore in Erodiano di Cesarea, il quale scrisse appunto una Storia ecclesiastica, introducendovi direttamente materiale documentario, consegnando così ai posteri preziose testimonianze di indiscussa autenticità. La sua opera venne continuata, nell’età di Teodosio II, da Socrate, Sozomeno e Teodoreto, e più tardi da Evagrio Pontico. Dalle suggestioni di “teologia della storia” elaborate da Agostino di Ippona, nacquero le Storie contro i pagani del prete spagnolo Orosio (nel 417 d.C.), atte a dimostrare che l’Impero pagano era stato costellato da una serie ininterrotta di calamità, e questo per replicare alle accuse dei pagani, che consideravano l’abbandono della vecchia religione di Stato la causa primaria dei disastri abbattutisi su Roma e culminati nel sacco di Alarico del 410. Ammiano Marcellino, è l’autore di Res Gestae in 31 libri, con le quali si ricollegava alle Storie di Tacito. Noi possediamo solo i libri 14-31, che trattano del travagliato periodo dei Costantinidi (tra cui spicca Giuliano, un vero eroe per questo storico), e dei successori di questi, fino al 378 d.C. (anno della disfatta di Adrianopoli, in cui perse la vita l’imperatore Valente). Non ci è purtroppo pervenuta un’altra opera importante, e gli Annales, composti alla fine del IV secolo da Virio Nicomaco Flaviano senior, che comprendevano almeno tutta la storia imperiale, fino al 383 d.C. Per il V secolo, ricordiamo la Storia nuova di Zosimo (in greco), uno storico pagano oltremodo critico nei confronti di Costantino, ma la cui narrazione storica (fino ad Onorio e ad Arcadio) è abbastanza attendibile. 7 Le informazioni che gli storici possono ricavare dalle monete antiche includono: l'autorità che ha emesso la moneta, eventi storici commemorati, aspetti religiosi, propaganda politica ufficiale e dati cronologici. Il diritto di battere moneta era legato al riconoscimento dell'indipendenza politica o all'autonomia, e le monete recavano spesso l'effigie del sovrano come simbolo di sovranità. Le monete non prodotte dalle zecche ufficiali dello Stato erano considerate false e il possesso o lo scambio di queste era severamente punito. Le monete commemoravano spesso eventi storici speciali, come la repressione della rivolta in Giudea con la legenda "IVDAEA CAPTA" durante l'epoca flavia. Le raffigurazioni e le leggende sulle monete forniscono anche informazioni sulle divinità protettrici e sulla politica religiosa promossa dagli imperatori. Ad esempio, le monete di Commodo spesso raffigurano Ercole, mentre quelle di Aureliano mostrano il Sol Invictus. Le monete romane dell'Impero erano basate su un sistema bimetallico, con monete d'argento (denarii) e monete d'oro (aurei). Nel tempo, l'argento subì una costante svalutazione, promossa da imperatori come Nerone per favorire i piccoli commerci. La svalutazione del denario continuò nel III secolo fino a quando Diocleziano fu costretto ad intervenire con un editto sui massimi prezzi. Un punto di svolta avvenne con Costantino, che nel 324 d.C. introdusse il solidus, una moneta d'oro che diventò la base della ricchezza nell'Impero romano e nel Medioevo occidentale. La circolazione delle monete romane in tutto l'Impero testimonia della vastità degli scambi commerciali e rappresenta una fonte importante per la storia economica dell'antichità. 10 FONTI PER LA STORIA ROMANA I popoli dell’Italia antica e le origini di Roma Le fonti per la storia arcaica di Roma presentano seri problemi di utilizzazione. I primi storiografi romani furono Fabio Pittore e Cincio 11 Alimento (seconda guerra punica, scrittore in greco) e più tardi Marco Porcio Catone (scrittore in latino con le sue Origines). Questa tradizione fu rielaborata nel corso del I secolo d.C. in due opere: la prima è “Storia di Roma arcaica” di Dionigi di 12 Terenzio Marrone e in Valerio Massimo i suoi massimi esponenti. Frammenti che ci trasmettono informazioni su questa età di Roma si ritrovano anche in opere posteriori come “La Repubblica” di Cicerone, le “Questioni Romane” di 15 Plutarco e le “Istituzioni” del giurista Gaio. Da ricordare anche il contributo delle opere di poesia come, ovviamente, L’Eneide di Virgilio e i Fasti di Ovidio FONTI PER LA STORIA ROMANA I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA Le fonti per la storia arcaica di Roma presentano seri problemi di utilizzazione. I primi storiografi romani furono Fabio Pittore e Cincio Alimento (seconda guerra punica, scrittore in greco) e più tardi Marco Porcio Catone (scrittore in latino con le sue Origines). Questa tradizione fu rielaborata nel corso del I secolo d.C. in due opere: la prima è "Storia di Roma arcaica" di Dionigi di Alicarnasso (fino al 264 a.C.) e la seconda è "Storia di Roma dalla sua fondazione" di Tito Livio. Il quadro delle fonti storico-narrative si può concludere citando le raccolte di "Vite" dello scrittore greco Plutarco di Cheronea, corne le Vite di Romolo e le Vite di Numa. La preistoria di Roma è narrata in un breve opuscolo dal titolo "L'origine del popolo romano" tramandandoci assieme al "Liber de Caesaribus" di Aurelio Vittore. Importante è consultare anche la tradizione aria che vede in Marco Terenzio Marrone e in Valerio Massimo i suoi massimi esponenti. Frammenti che ci trasmettono informazioni su questa età di Roma si ritrovano anche in opere posteriori come "La Repubblica" di Cicerone, le "Questioni Romane" di Plutarco e le "Istituzioni" del giurista Gaio Da ricordare anche il contributo delle opere di poesia come, ovviamente, L'Eneide di Virgilio e i Fasti di Ovidio. Qualche opera di autori greci ci trasmette informazioni riguardo i popoli dell'Italia preromana, come 16 in Esiodo o nelle "Storie di Erodoto. Tra i documenti epigrafici ricordiamo su tutti il Cippo del Foro e il Vaso di Dueno. DALLA PRIMA REPUBBLICA ALL’ETÀ DEI GRACCHI Uno dei racconti principali di questo periodo è l'opera di Dionigi di Alicarnasso, inoltre la prima decade di Tito Livio si è interamente conservata ed arriva fino al 293 a.C. Accanto a questi due racconti si accosta la Biblioteca storica di Diodoro Siculo: di questi libri si conservano solo quelli che trattano degli anni fra il 480 e il 302 a.C. Importanti le Vite di Publicola, Coriolano, Camillo e soprattutto Pirro di Plutarco. Tra le fonti narrative è importante ricordare Appiano di Alessandria: hanno rilevo della sua "Storia Romana" i libri sulle "Guerre italiche", "Guerre Sannitiche" e "Guerre Celtiche". Tra gli autori annalistici da ricordare Cassio Emina e Calpurnio Pisone Frugi. Per quanto concerne invece la letteratura antiquaria, da ricordare le "Notti attiche" di Aulo Gallio. Per lo sviluppo delle istituzioni romane col passaggio alla Repubblica da ricordare il manuale di diritto romano noto come "Enchiridium" di Pomponio. 264-133 a.C. La fonte migliore per questo periodo è lo scrittore di origini greca Polibio. Nato Megalopoli in Arcadia, deportato a Roma al termine della terza guerra macedonia contro Perseo, entrò in contatto con l'elitè culturale romana, stringendo in particolare amicizia con Scipione l'Emiliano. Polibio si propose di scrivere una storia che aveva come filo conduttore l'ascesa di Roma e che copriva il periodo 264-146 a.C. (le tre guerre puniche). Dal 218 a.C. si affianca a Polibio il già ricordato Tito Livio. Di interesse i libri di Appiano riguardo le "Guerre iberiche", "Guerre puniche", "Guerre illiriche", "Guerre siriache" e la "Guerra annibalica". Accanto alle fonti narrative importati sono anche le opere del genere biografico come quelle di Cornelio Nipote (Vite dei Condottieri) e del già menzionato Plutarco. L'ETÀ DEI GRACCHI La maggior parte delle opere di questo periodo sono andate perdute; perdute sono le opere di Pisone Frugi, Fanno, Gallio, Gladio Quadrigario, Valerio Anziate, Licinio Macro, Elio Tuberone. Continuatore di Polibio è lo scrittore greco Stradone la cui opera si estendeva fino alla morte di Giulio Cesare. Importanti anche le informazioni che ci derivano dai frammenti di Velleio, Floro, Eutropio, Paolo Orosio. Le uniche raccolte un po' più consistenti sono le Vite di Plutarco. Altro importante documento epigrafico è la Tabula Bambina, il Senate Consultum Popillianum de Pergameni. DAI GRACCHI ALLA GUERRA SOCIALE Dei libri di Livio che trattano questo periodo si conservano solo pochi riassunti nelle Perioche. Poche anche le informazioni da Diodoro Siculo, Cassio Dione ed Appiano. Utili le Vite di Mario e Silla e come sempre fonte di molte informazioni sono le opere di Cicerone. Ricordo tre unici documenti epigrafici, la "Sententia Minuciorum" e la "Tavola di Contrebiensis" e la "Legge latina della tabula Bantina" DALLA PRIMA GUERRA MITRIDATICA ALLA MORTE DI SILLA Le maggiori informazioni le ricaviamo da Appiano nella sue "Guerra mitridatiche" ed anche nella Vite di Plutarco. Dei libri di Livio conserviamo frammenti. Importanti le trattazioni di Floro. Sopravvivono frammenti dei libri di Cassio Dione e Diodoro Siculo. Per le questioni interne, utili le opere di Cicerone come l'orazione "Pro Sesto Roscio Amerino" (in difesa di questo Sesto Roscio nativo di Amelia accusato da un potente libero di Silla di parricidio) dove si tratta per esempio anche il tema delle liste di proscrizione. Per le testimonianze epigrafiche, ricordare la "Legge Osca della tabula Bantina" scritta sull'altra faccia della tavola menzionata precedentemente. DALLA MORTE DI SILLA AL CONSOLATO DI POMPEO E CRASSO. Importanti le Guerre Civili di Appiano e, sempre di Appiano, le Guerre mitridatiche e le guerre iberiche. Importanti anche i riassunti dei libri di Livio. DALLA GUERRA PIRATICA DI POMPEO ALLA GUERRA GALLICA DI CESARE 17 metodo “cristiano” di computazione del tempo venne introdotto nei documenti pubblici a Partire dal VII secolo; espandendosi poi in tutta Europa a Partire dal X. La consuetudine di contare anche gli anni prima della nascita di Cristo venne introdotta solo nel XVIII secolo. A Roma, prima del metodo cristiano, a Partire dall’era repubblicana, ciascun anno fu indicato tramite i magistrati eponimi, tramite dunque la menzione di due consoli. Era diffuso, inoltre, tra gli storici greci, il confronto tra l’era delle Olimpiadi, un intervallo di 4 anni. Gli ambienti dotti di Roma Antica, tuttavia, preferivano computare il tempo ad urbe condita (dalla fondazione di Roma). In epoca imperiale, nei testi epigrafici prevalse l’uso di annotare il numero progressivo dei rinnovi (annuali) dei poteri tribunizi di ciascun imperatore. Il calendario romano repubblicano era basato su un anno di 355 giorni, suddiviso in 12 mesi e cominciava dal primo di marzo. Ad anni alterni venivano introdotti da 22 a 23 giorni in febbraio, ed i 5 giorni rimanenti venivano uniti alla fine del periodo aggiuntivo. Questo processo aveva lo scopo di eguagliare anno civile e solare. ONOMASTICA ROMANA I romani hanno notoriamente tre nomi: il pre-nomen (nome di battesimo), il nomen (nome della gens) ed il cognomen (soprannome). Quest’ultimo, poi, divenne ereditario tra gli aristocratici per distinguere le varie famiglie appartenenti ad una stessa gens. Ciò non toglie che, comunque, molti romani famosi non avessero il cognomen, basti pensare a Marco Antonio o a Caio Mario. In caso di adozione, l’adottato assumeva i tria nomina del padre adottivo, per esempio Caio Ottaviano, adottato da Cesare, divenne: Caio Giulio Cesare Ottaviano. Le donne romane di nascita libera ricevevano come nome solo il gentilizio paterno, al femminile, e continuavano a portarlo anche da sposate; di regola, non avevano il pre-nomen. Gli schiavi erano comunemente denominati con un unico nome. Se liberati, assumevano un pre- nomen ed il gentilizio dell’ex padrone e portavano, infine, come cognomen il loro ex nome da schiavi. IL MONDO DI ROMA Il mondo romano è stato definito: uno, duplice e molteplice. “Uno” poiché ne furono elementi unificanti l’amministrazione, la cittadinanza, l’esercito ed il diritto; “duplice”, poiché il mondo romano non fu esclusivamente latino; “molteplice” poiché Roma era composta, in buona sostanza, da un miscuglio di diverse civiltà. L’ITALIA PREROMANA 20 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” L’ITALIA DELL’ETA’ DEL BRONZO E DELL’ETA’ DEL FERRO Nella penisola italiana si assiste nell’arco di circa due millenni, dal III al I millennio a.C., ad uno sviluppo di notevoli proporzioni. Tra l’età del bronzo medio e l’età del ferro si passa da una situazione caratterizzata dalla presenza di una miriade di gruppi di piccole dimensioni al sorgere di forme complesse di organizzazione. L’Italia dell’età del bronzo i contraddistingue per la sua uniformità. I sii risultano sparsi un po’ ovunque nella penisola, ma in numero maggiore lungo la dorsale appenninica, per questo tale cultura è stata denominata “appeninica”. Vi è in questo periodo un incremento demografico, il numero degli insediamenti si riduce, mentre quelli che sopravvivono si estendono in misura notevole, cosa che implica uno sfruttamento più intensivo delle risorse disponibili. Questo fenomeno è evidente nella cultura “terramatricola” sviluppata nella pianura emiliana tra XVIII e XII secolo a.C.; tale cultura diede vita a degli insediamenti di capanne poggiate su un’impalcatura di legno , che aveva lo scopo di creare una sorta di difesa dagli attacchi di animali selvatici e dal terreno acquitrinoso. Con il termine “terremare” si intendono i grossi tumuli di terra grassa e scura formatasi nel corso dei secoli da questi insediamenti. Tali villaggi avevano per lo più forma trapezoidale, circondati da un argine con un fossato ed attraversati da due strade perpendicolari tra loro. Nel corso dell’età del bronzo si assiste ad un’intensa circolazione di prodotti e anche di persone. La presenza greca, tecnologicamente e culturalmente più evoluta, si fa vedere in tutta la penisola. Tali contatti favorirono il formarsi tra le popolazioni indigene, di popolazioni più consistenti, con differenziazioni al loro interno e poteri politi più forti. Con l’inizio dell’età del ferro l’Italia presenta un quadro differenziato di culture, un primo criterio di differenziazione è la modalità di sepoltura: la cremazione per l’Italia settentrionale fino alla Campania e l’inumazione per tutto il resto della penisola. Tra le varie culture si segnalano quella dei “Golasecca” in Piemonte e in Lombardia, la “Cultura Este” nelle vicinanze di Padova e quella “Villanoviana” in Etruria e in Emilia. La cultura villanoviana, dal nome di una necropoli ritrovata nei pressi di Bologna, presenta caratteri molto vicini alla cultura degli Hallstatt. Gli uomini villanoviani erano in grado di produrre utensili e armi in ferro, e abitavano in insediamenti che avevano ormai assunto la forma di villaggi; le loro sepolture consistevano in urne destinate al raccoglimento delle ceneri dei defunti e in tombe a pozzo. La presenza di tutte queste culture ha un risvolto anche nel quadro linguistico, le varie lingue venivano divise in due grandi famiglie: quelle indoeuropee come il latino, il fallisco (Lazio), il celtico e il massapico, e quelle non indoeuropee come l’etrusco, il ligure, il retico e il sardo. Vi erano anche dei dialetti: quello umbro-sabino nel centro nord, quello osco nel centro sud e un terzo poco noto linguisticamente ovvero quello dei Siculi e degli Enotri. Un posto importante lo occupano anche l colonie della Magna Grecia, fondate nell’Italia meridionale a partire dal VIII secolo a.C., lungo ola costa nacquero diverse colonie (Taranto, Crotone, Siracusa, Agrigento) che, anche senza entità politiche unitarie, esercitavano un’influenza decisiva sulle popolazioni indigene; in Sicilia svolgono un ruolo importante anche le colonie fenice (Palermo ad esempio). Un altro ruolo importante è svolto dalla civiltà dei Sardi, chiamata anche civiltà “nuragica”, dalla costruzione tipica il “nuraghe”, ovvero una torre a forma di tronco di cono, si pensa che esse avessero in origine una funzione difensiva. I PRIMI FREQUENTATORI DEL’ITALIA MERIDIONALE Le fonti letterarie e storiografiche ci forniscono alcune notizie sulle origini dei popoli italici; queste notizie si devono soprattutto a storici greci che però iniziano a scrivere solo nel V secolo a.C. Dionigi di Alicarnasso scrive di Roma al tempo di Augusto e nella sua opera “Storia di Roma Arcaica” racconta dei primi frequentatori dell’Italia settentrionale. Egli afferma che gli Arcadi, primi tra gli Elleni, una volta dopo aver attraversato il mar adriatico, si stanziarono in Italia, condotti da Enotrio (figlio di Licaone e nato circa 17 generazioni prima della guerra di Troia). Egli raggiunse il mar tirreno e avendo trovato delle ottime condizioni per prosperare decise di stabilirsi lì con tutto il suo equipaggio; la regione così venne chiamata Enotria ed Enotri e le sue genti. Un riferimento agli Enotri viene fatto anche da Aristotele della sua opera “Politica”. 21 GLI ETRUSCHI La documentazione fornisce dei pareri molti discordanti sull’origine di questo popolo. Erotodo (V secolo a.C.) insiste per la provenienza dall’Asia Minore; Dionigi di Alicarnasso la nega e sostiene l’autoctonia. Altri autori li connettevano ai Pelasgi. Le trasformazioni che portarono alla fioritura della civiltà etrusca sembrano essere il risultato di una dinamica interna derivando direttamente dalla precedente cultura “villanoviana”, nonostante gli influssi esterni. Erotodo “Le storie”, Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica” e Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione”. La popolazione che più di tutte lasciò un segno da un punto di vista storico e archeologico furono gli Etruschi, chiamati Tirreni dai Greci e Tusci o Etruri dai romani. Ciò che sappiamo di loro deriva soprattutto dalle iscrizioni e dalle pitture sulle tombe, oltre che da alcune opere romane profondamente influenzate da loro. Gli Etruschi si diffusero dapprima in Toscana nel IX secolo a.C., poi estesero il loro dominio in Pianura Padana, fondando alcune città come Felsina (Bologna), Mantova e Piacenza, arrivando ad occupare gran parte perfino Roma tra il VIII e il VI secolo. Due date hanno segnato l’arretramento etrusco nella penisola italica:  509 a.C. anno in cui gli Etruschi furono cacciati da Roma;  464 a.C. anno in cui la loro flotte venne distrutta a Cuma dai siracusani. L’Etruria venne definitivamente conquistata dai romani tra il IV e il III secolo a.C. Il popolo etrusco era diviso in città-stato: le più celebri sono state Tarquinia, Chiusi, Vulci, Veio, Cerveteri (all'epoca Cere), Perugia, Cortona, Arezzo, Volterra, Fiesole. Il governo delle città etrusche mutò nel tempo. In origine, il sovrano, detto lucumone, era eletto a vita e amministrava il potere giudiziario e militare assieme a un consiglio di anziani. Nel VI secolo a.C. lo stato divenne una repubblica di tipo aristocratico retta da magistrati (detti zilhat e maru) che venivano eletti attualmente. Pur non essendo un unico stato, gli Etruschi fondarono una confederazione di dodici città, che si riuniva ogni anno vicino al lago di Bolsena, nel santuario del dio Voltuma.   Il popolo etrusco era diviso in schiavi e liberi; lavorava principalmente il metallo e praticava l'agricoltura e l'artigianato, trattando soprattutto la ceramica. Sviluppò specializzazione nella produzione e nella decorazione vascolare, in particolare nella realizzazione dei buccheri, delle brocche di ceramica nera chiuse con coperchi a forma antropomorfa zoomorfa. Sulla religione, gli Etruschi erano politeisti e veneravano delle divinità antropomorfe di derivazione greca (Zeus divenne Tinia, Era prese il nome di Uni, Atena fu chiamata Minerva - nome adottato poi anche dai Romani, Ermes era Turms e così altri). Furono gli Etruschi a diffondere la pratica della divinazione, cioè della predizione del futuro attraverso l'osservazione del volo degli uccelli o del fegato degli animali morti durante un sacrificio, elemento che verrà fatto proprio dai romani. Poiché la maggior parte delle fonti sugli Etruschi sono state scritte da fonti romane e greche, le informazioni sulle loro battaglie sono limitate e spesso non precisamente datate. Principali avversari degli Etruschi furono i greci dell'Italia meridionale e i romani, su cui esercitarono (nel periodo dei re Tarquini) anche una lunga fase di egemonia ma dai quali furono successivamente sconfitti. Gli Etruschi furono in parte assimilati dai romani ma in parte a loro volta ne influenzarono la cultura e i costumi. Alcune delle più importanti battaglie degli Etruschi che sono state registrate nella storia includono:  La battaglia di Alalia (535) a.C. circa): Gli Etruschi e I Cartaginesi hanno combattuto contro i Greci per il controllo delle isole della Corsica e della Sardegna. La battaglia si è conclusa con una vittoria dei cartaginesi e degli Etruschi, che hanno costretto i Greci ad abbandonare le isole.  La battaglia di Populonia (498) a.C. circa): gli Etruschi hanno combattuto contro i Greci per il controllo della città portuale di Populonia. La battaglia si è conclusa con urna vittoria degli Etruschi, che hanno mantenuto il controllo della città.  La battaglia di Cuma (474 a.C.): gli Etruschi affrontano, al largo di Cuma, la flotta siracusana di lerone I, che ebbe la meglio nello scontro. I siracusani fermano cosi definitivamente l'espansione etrusca nella Magna Grecia. Della difficoltà etrusca traggono beneficio sia i romani che i sanniti e i galli. 22 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” La versione più conosciuta della nascita di Roma viene dalla legenda dei gemelli Romolo e Remo, discendenti di Enea di Longa e Lavinio. Nella contesa per la corona, Romolo ottiene la benedizione divina e traccia cosi i confini della città il 21 aprile del 753 d.C. Leggenda di Enea La prima importante menzione nella lettura greca dell’arrivo di Enea in Italia compare nell’opera di Ellanico di Lesbo; in tale versione la figura di Enea appare affiancata a quella di Ulisse (che secondo alcune tradizioni ebbe un ruolo nella fondazione di Roma), direttamente ad Enea Ellanico va attribuita la fondazione di Roma. Nella tradizione romana l’eroe traiano era piuttosto il fondatore di Lavinio (l’attuale Pratica di Mare), alla quale Enea diede il nome della sua nuova sposa Lavinia, figlia del re Latino. La vicenda è raccontata nell’opera di Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica”. Alba Longa Essa fu fondata dal figlio di Enea, Ascanio (detto Iulo), trent’anni dopo Lavinio; la città era legata al prodigio di una scrofa bianca che avrebbe dato alla luce 30 maialini. L’interpretazione è presente nelle “Origini” di Catone e viene poi ripresa da Virgilio nell’”Eneide”, dopo un numero di anni pari a quello della prole della scrofa i troiani si sarebbero trasferiti da Lavinio a una nuova sede (la città non è stata ancora identificata con esattezza); dalla dinastia dei re albani, discendenti di Ascanio, sarebbe nato Romolo fondatore di Roma. La stessa Alba Longa venne distrutta dal terzo re di Roma Tullo Ostilio. Virgilio “Eneide”- Catone “Origini” – Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” Le varie scoperte archeologiche ci hanno svelato il contesto della nascita di Roma da un punto di vista non mitologico, ma storico. Furono infatti i Latini, una popolazione di origine indoeuropea, che iniziarono a stanziarsi nel territorio, che era particolarmente appetibile grazie alla sua posizione comoda al fiume Tevere, che con i suoi oltre 400 chilometri univa la costa del Tirreno agli Appennini e permetteva il commercio di varie merci, tra cui il preziosissimo sale. Poco oltre il punto in cui il Tevere si incontrava con il fiume Aniene si sviluppavano sette colli, e ogni colle presentava dei villaggi: il Quirinale e il Viminale, l'Aventino e il Celio, l'Esquilino e il Campidoglio e il Palatino. Su quest'ultimo sono stati ritrovati resti di insediamenti datati X-IX secolo a.C. e anche resti di ceramiche greche dell'VIII secolo a.C. Tra I'VIII e il VII secolo a.C. i villaggi dei colli Palatino, Esquilino, Celio e Viminale e poi tutti gli altri si unirono e formarono un unico nucleo fortificato per difendersi dalle popolazioni limitrofe, creando così una Lega detta Settimonzio. Il settimonzio Il settimonzio è il rituale festivo dell’11 settembre che riguarda “sette monti” di Roma; vale a dire le sette alture che corrispondono ai primitivi insediamenti romani. Varrone “La lingua latina” Il Palatino, di altitudine di circa 50 m, ha la forma di un grosso dado di pianta trapezoidale. In origine esso era articolato in tre alture, separate da avvallamenti: il Palatium, che ospitava il Circo Massimo, il Germalo con il Foro e il Campidoglio e la Velia con il Colosseo. Roma sorgeva sul basso corso del Tevere, al confine tra due aree etnicamente differenti: la zona etrusca e il Lazio antico formavano allora una regione molto più piccola di quella del Lazio attuale; nel periodo in cui si colloca la formazione di Roma la differenza etnica, culturale e linguistica tra Etruschi e Latini era già ben definita. Problema della datazione Plutarco riassume convenientemente in una pagine della sua “Vita di Romolo” la leggenda delle origini di Roma, è Dionigi di Alicarnasso a metterci davanti alla questione della datazione di Roma: tra le diverse ipotesi ricordate da Dionigi è particolarmente importante quella di Timeo di Tauromenio, che istituiva un sincronismo tra la fondazione di Roma e quella della sua principale rivale Cartagine. Plutarco “Vita di Romolo” – Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica” Il periodo monarchico di Roma durò circa 250 anni, perché l'ultimo rex romano fu deposto dal popolo nel 509 a.C. La storia tradizionale ricorda sette rex benché, quasi sicuramente, ne fossero stati molti di più: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio (di origine latino-sabina), Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo (di origine etrusca). I primi quattro rex romani sono ricordati soprattutto per la creazione di istituzioni e per il consolidamento dei confini. Secondo la tradizione, Romolo fondò le prime istituzioni giuridiche, politiche e militari, introducendo il matrimonio monogamico e rese i terreni proprietà privata di ogni capofamiglia, che poteva darlo in eredità ai figli. Numa Pompilio introdusse il culto di Giano e istituì i primi collegi sacerdotali; stabili, inoltre, il calendario "numano", di 12 mesi e 355 giorni, in cui si teneva anche traccia delle feste della 25 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” repubblica. Tullo Ostilio invece si dedicò principalmente all'attività militare, conquistando Alba Longa. La tradizione militare fu portata avanti anche da Anco Marzio, che fondò la colonia di Ostia sulle coste del Lazio; inoltre, il rex fece costruire il primo ponte sul Tevere, il Sublicio. I re successivi furono di origine etrusca. Il primo Tarquinio Prisco fece costruire il tempio di Giove Capitolino, il Circo Massimo e la Cloaca Massima (una prima rete di fognature). Servio Tullio, fece costruire le mura serviane e portò a 300 il numero dei senatori romani, introducendo anche delle assemblee (ii comizi centuriati) in cui potevano partecipare anche i cittadini (in base al loro stato economico). L’ultimo re Tarquinio il Superbo è ricordato come un tiranno crudele e le sue azioni portarono al crollo della monarchia. Romolo (753 – 713 a.C.) Plutarco “Vita di Romolo” – D. Alicarnasso “S. R. A.” – Varrone “Lingua latina” – Livio “Storia di Roma dalla sua Fondazione” Numa Pompilio (713 – 670 a.C.) Plutarco “Vita di Numa” Tullo Ostilio (670 – 638 a.C.) Livio “Storia di Roma dalla sua Fondazione” Anco Marcio (638 – 616 a.C.) Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma Arcaica” Tarquinio Prisco (616 – 578 a.C.) Livio “Storia di Roma dalla sua Fondazione” – D. Alicarnasso “S. R. A.” Servio Tullio (578 – 534 a.C.) Tacito “Annali”- D. Alicarnasso “S. R. A.” Tarquinio il Superbo (534 – 509 a.C.) Livio “Storia di Roma dalla sua Fondazione” IL MURO DI ROMOLO Gli scavi effettuati nel 1988 hanno portato alla luce i resti di una palizzata e più a valle di un muro databile intorno al VIII secolo. Secondo Andrea Carandini, nella palizzata si deve vedere la line dell’originale solco di confine, detto pomerio, e nel muro arcaico in scaglie di tufo , largo circa 120 cm, il “muro di Romolo”; il racconto tradizionale risulterebbe così confermato, verso la metà del VIII sec. il sacerdote Romolo avrebbe tracciato con l’aratro i limiti della città attraverso un vero e proprio rito di fondazione. IL POMERIO E I RITI I FORMAZIONE Il rito di fondazione viene raccontato da Marco Terenzio Varrone, un antiquario (studioso latino che a partire dal II secolo a.C. si dedicò alle ricerche sugli aspetti del passato romano) latino attivo nel I secolo a.C. Varrone racconta che nella fondazione di una città un’importanza fondamentale dal punto di vista religioso era rivestita dal pomerio. Esso era in origine la linea sacra che ne delimitava il perimetro in corrispondenza delle mura; in un secondo tempo servì a designare una zona di rispetto che separava le case dalle mura stesse, dove non era possibile né seppellire né piantare. Il pomerio non sempre coincideva con le mura, in quanto esso era tracciato secondo la procedura religiosa, le mura invece corrispondevano a esigenze di difesa in rapporto al territorio; poteva per questo accadere che fra le due linee vi fosse una notevole distanza. L’area del pomerio era limitata da cippi infissi nel terreno a seguito da una cerimonia religiosa tenuta dal pontefice massimo. In caso di ampliamento di quest’area, i vari cippi venivano conservati, in quanto oggetti sacri. Varrone “Lingua latina” – Tacito “Annali” LO STATO ROMANO ARCAICO Alla base dell’organizzazione sociale dei Latini ci fu una struttura in famiglie (gens), alla cui testa stava il pater, la figura avente un potere assoluto su tutti i suoi componenti, compresi gli schiavi e i clienti, ovvero quanti si trovavano in una condizione di inferiorità e avevano quindi bisogno del sostegno di un capo autorevole. Patroni e clienti A raccontare di questo rapporto particolare ci pensarono Dionigi di Alicarnasso e Plutarco; essi sono concordi nell’affermare che la relazione tra i due gruppi assumeva come modello quella del rapporto fra padri e figli e che l’istituzione del patronato contribuì in modo significativo al mantenimento della pace sociale. Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica” – Plutarco “Vita di Romolo” Tutte le famiglie che riconoscevano lo stesso antenato costituivano la gens, un gruppo organizzaro politicamente e religiosamente; essa era una componente di grande rilievo in età arcaica e conservò un ruolo importante nella vita politica. 26 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” La popolazione ello stato arcaico era suddivisa in gruppi religiosi e miliari, detti curie: le curie comprendevano tutti gli abitanti del teritorio ad esclusione degli schiavi. La loro iorigine è molto incerta, si sa che praticavano i loro riti religiosi e che rappresentarono il fondamento dell’assemblea cittadina più antica, quella dei comizi centuriati. Non conosciamo la loro funzione in età arcaica ne se fossero organizzate su base territoriale o su base gentilizia. In epoca più tarda ai comizi centuriati rimasero attribuite determinate funzioni inerenti il diritto civile, il compito di votare la lex de imperior che conferiva potere al magistrato eletto. Le tribù originariamente erano tre: Tities (o Titienses), Ramnes e Luceres; durante il predominio etrusco però lo stato romano si organizzò secondo criteri più precisi: ogni tribù venne divisa in 10 curie e da ogni tribù vennero scelti 100 senatori (300 erano quelli che formavano l’asssemblea degli anziani). Ogni tribù era tenuta a fornire un contingente di cavalleria e uno di fanteria rispettivamente cento e mille uomini. La componente fondamentale dell’esercito, la legione, risultava quindi composta da tremila fanti e da trecento cavalieri. Dionigi di Alicarnasso “S. R. arcaica” – Varrone “Lingua latina” - Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” LA MONARCHIA ROMANA La principale caratteristica della monarchia romana era la selettività: l’elezione del re era demandata all’assemblea dei rappresentanti delle famiglie più in vista. Originariamente il re doveva essere affiancato da un consiglio di anziani, formato dai capi delle famiglie più ricche e nobili (patres); questi rappresentavano quello che poi sarebbe stato il senato. Della realtà storica di fase monarchica rimangono due testimonianze:  rex sacrorum, un sacerdote che aveva il compito di dare realizzazione ai riti prima eseguiti dal re;  interrex, il magistrato che subentrava nel caso di indisponibilità di entrambi i consoli; Il potere del re doveva trovare una limitazione di fatto in quello detenuto dai capi delle gentes principali. Il re era anche il supremo capo religioso e nella celebrazione del culto veniva affiancato dai collegi dei sacerdoti; tra questi il più importante è quello dei pontefici: erano i depositari e gli interpreti delle norme giuridiche, prima che si giungesse alla redazione di un corpus di leggi scritte. Il collegio degli àuguri aveva il compito di interpretare la volontà divina allo scopo di propiziarsela, così da garantire il felice esito di un’impresa; quello delle vestali era composto da donne votate a castità trentennale, il cui compito era quello di custodire il fuoco sacro he ardeva perpetuamente nel tempio della dea Vesta. Un testo fondamentale erano i Libri Sibillini, che contenevano gli oracoli pronunciati dalla Sibilla di Cuma. Il culto di Vesta Il culto della dea Vesta mette in luce alcune caratteristiche fondamentali delle relazioni sociali a Roma. Dionigi di Alicarnasso dopo essersi chiesto se fosse stata creata da Numa Pompilio o da Romolo, insiste sulla vicinanza tra il culto romano e quello greco. Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica” PATRIZI E PLEBEI La massima incertezza regna sull’origine nella divisione tra patrizi e plebei.  Tra le ipotesi che sono state avanzate c’è quella che fa dei plebei i clienti dei patroni patrizi;  Un’altra interpretazione riconosce nei patrizi i Latini abitanti del Platino e nei plebei i Sabini insediati sul Quirinale;  Tra le ipotesi più accreditate vi è il fattore economico: i patrizi sarebbero stati i grandi proprietari terrieri, mentre i plebei corrisponderebbero alle classi degli artigiani e dei ceti emergenti economicamente, ma tenuti in una condizione di inferiorità rispetto alla rappresentanza politica. Nessuna di queste teorie appare soddisfacente. È probabile che la differenziazione tra patrizi e plebei sia il punto di arrivo di un’evoluzione sociale complessa. Patrizi e plebei Secondo Dionigi alla base divisione stava un modello greco, egli individuava in criteri di carattere censitario ed etico le condizioni per appartenere al patriziato. La posizioni della ricerca storica moderna sono meno nette: c’è un consenso più o meno generale sul fatto che la divisione tra patriziato e plebe si definì solo in modo graduale, in seguito ad un processo lungo e complesso, in cui entrarono in gioco numerosi fattori. Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica” 27 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” Il censo fu anche il criterio con cui si arruolavano i componenti del nuovo esercito serviano, che prese il nome di classis e che era formato da cittadini in grado di procurarsi un armamento pesante; con infra classem si designarono invece gli altri soldati, armati alla leggera. L’istituzione di quattro tribù territoriali (dette poi urbane), in sostituzione delle antiche tribù romulee, a base gentilizia, rispecchia l’evoluzione della società romana: le nuove ripartizioni corrispondo alle regioni nelle quali Servio Tullio suddivise la città, che ormai era stata definitivamente unificata. L’esquilino, e forse il Celio, entrarono a far parte di questa grande Roma che avvertì la necessità di dotarsi di una prima cerchia di mura, dette appunto “serviane”. LA FAMIGLIA La prima forma di aggregazione che si sostituisce al primitivo legame basato sui vincoli di sangue è l’organizzazione familiare. La nozione di “famiglia romana” comprendeva un raggruppamento sociale assai più ampio di quello che siamo abituati a intendere oggi. A rigore a Roma facevano parte di una medesima familia tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità di uno stesso capofamiglia, il paterfamilias, al quale spettava anche il controllo sui beni. Il vincolo di fondo della famiglia romana è rappresentato dal potere esercitato dal pater sulle persone che rispettavano la sua autorità. Di una famiglia facevano parte oltre che i figli generati dal matrimonio, ma anche tutti quelli che sceglievano di sottoporsi alla sua potestas. Nella sua forma più antica la famiglia romana presentava i caratteri tipici di una società prestatale: era infatti un’unità economica, religiosa e politica. Il fine principale di questa struttura era quello della propria perpetuazione. Queste condizioni ebbero anche effetto anche sulle norme giuridiche: certe caratteristiche del diritto romano s possono spiegare solo per la necessità di adottare gli elementi del primitivo diritto della famiglia. In età arcaica il primo diritto di un padre rispetto ai figli era quello di rifiutarli al momento della nascita. Persino i figli legittimi entravano a far parte della famiglia solo mediante un atto formale. Il loro accoglimento e rifiuto, veniva palesato dal padre con dei gesti pubblici (prendere i maschi tra le braccia o dare alla moglie l’ordine di allattarlo). L’alternativa era quella di esporli cosa che doveva avvenire più frequentemente se il neonato era una bambina, ovvero una persona “meno utile” per essere inserita in un contesto di economia agricola. Vi era anche il vincolo religioso, i riti familiari si trasmettevano da padre in figlio e la loro osservanza era doverosa. Gli antenati del ramo paterno furono i primi manes, oggetto di culto all’interno della famiglia romana. Il padre famiglia si accertava che le cerimonie venissero svolte in maniera corretta. Un maltro diritto romano era quello che l figlio rimanesse sotto l’autorità del padre fino a quando egli era in vita. Tra i diritti del padre vi era anche quello di diseredare i figli, infatti era possibile annullare il testamento per tutelare i figli legittimi; bastava dimostrare l’infermità mentale del defunto al momento in cui il testamento era stato redatto. Inoltre finché il padre era in vita il figlio non poteva disporre del proprio patrimonio; la vita quotidiana esigeva che un genitore provvedesse al mantenimento economico del figlio in proporzione al suo patrimonio e alle sue aspettative. I giovani che non riuscivano a vivere con quanto era loro concesso diventavano vittime degli usurai. LA DONNA Il ruolo della donna aristocratica, che riceveva un’educazione intellettuale che spaziava dalla letteratura alle arti della musica e della danza, non si esauriva nella sola vita domestica, con la sorveglianza del lavoro delle schiave e lo svolgimento di lavori più fini quali il ricamo o la tessitura. La moglie accompagnava il marito nella vita pubblica e contribuiva all’educazione dei figli; l’autorità della casa rimaneva sempre il marito. Il potere del marito sulla moglie, il manus, non conosce limiti: la può punire se ha commesso qualche mancanza, e ucciderla in caso di adulterio. La rigida tutela sulla castità delle donne spiega anche la severità con la quale venivano giudicati i comportamenti poco consoni; lo scopo di norme così austere è legato al concetto di matrimonio con il solo scopo di aver figli legittimi. I romani si dovevano sposare presto, ma la legge proibiva che le ragazze prendessero marito prima dei 12 anni. Toccava al padre cercare il marito alle figlie, che spesso venivano promesse in sposa ancora bambine: questo avveniva con la cerimonia della sposalia, accompagnata da una serie di riti. La felicità di una donna era strettamente legata alla sua capacità di avere figli, le donne sterili venivano spesso ripudiate e molte altre morivano prematuramente di parto. Un’importante alternativa era l’adozione, che era un’ottima opportunità nel caso i cui l’orfano era erede di un ricco patrimonio. 30 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” Il matrimonio era un’istituzione privata, esistevano forme diverse per contrarre un matrimonio: in origine era diffusa la confarreatio (divisione di una focaccia di farro), oppure la mancipatio (una sorta di compravendita). Il sistema più comune per sposarsi era però l’usus, ovvero l’ininterrotta convivenza dei coniugi per un anno. Il divorzio era un atto informale, mentre il ripudio era un atto semplicissimo e consisteva di fatto nella separazione dei due coniugi; tuttavia spesso avveniva a seguito di una decisione unilaterale dell’uomo. AGRICOLTURA E ALIMENTAZIONE Il processo di riorganizzazione dell’economia pastorale avviene in larga misura attorno all’VIII secolo a.C.; esso implica il passaggio da un regime di seminomadismo, con una transumanza disorganizzata, a uno di regolare trasferimento del bestiame in altura con modalità e spazi definiti. I popoli dell’Italia centrale iniziarono a costruire i loro ethnos. Nell’istituto della “primavera sacra” si conservava memoria della trasmigrazione verso i pascoli estivi, divenuta in età storica un trasferimento permanente di popolazioni impossibilitate ad avere uno sviluppo nei luoghi di origine. Il Tevere costituiva nell’antichità la linea di separazione tra due zone con caratteristiche diverse, quella etrusca a nord del fiume e quella laziale a sud; questa differenza inizia a farsi notare a partire dal IX-VIII secolo. Ad esempio un prodotto come il sale (proveniente dalle saline alla foce del Tevere) passava da Roma per essere trasportato verso l’interno, nel territorio sabino lungo il percorso della futura via Salaria. L’agricoltura del tempo era limitata dalle condizioni del terreno e dalla bassa qualità delle tecniche agricole. La documentazione mostra come le varie specie di cereali (farro e orzo principalmente) fossero associate a diversi legumi, in particolare con la veccia, che i romani chiamavano farrago. Lo scopo della farrago era assicurare un minimo di sopravvivenza, in età più evoluta essa cessò di alimentare le popolazioni e passò al bestiame per poi tornare in tavola durante l’età Medievale. Il cereale più coltivato era il farro che si seminava in quantità superiore al grano ma con resa minore: il prodotto in farina era più basso di quello in grano. Il farro veniva macinato solo dopo essere stato abbrustolito e battuto, e la sua farina era alla base della mola salsa (farina di grano tostato e alato) e della puls (piatto tipico romano). La puls era un piatto liquido o semiliquido (tra una pappa e una farinata), una sorta di antenato della polenta. L’agricoltura e l’allevamento sono compresenti secondo caratteristiche specifiche dovute alle particolari condizioni del territorio, tra di loro vi era un rapporto di interdipendenza. Le due attività dovevano essere complementari: il bestiame serviva a produrre il concime indispensabile per i terreni. Varrone “De re rustica” Il primo secolo della repubblica fu l’unico in cui Roma non trasse vantaggi dalle sue conquiste a favore dei consumi alimentari. A contribuire a ciò furono i Volsci nel Lazio meridionale all’inizio del V secolo, i quali si stanziarono nell’unico territorio che potesse fornire rifornimenti alimentari adeguati. LA PROPRIETÀ DELLA TERRA IN ROMA ARCAICA La questione di proprietà agraria è controversa; l’assegnazione dei lotti in proprietà privata, secondo le fonti, risalirebbe a Romolo, e se accettata implica una ricostruzione delle vicende della proprietà terriera in Roma arcaica di questo tipo: la prima forma di proprietà era limitata solo alla casa e all’orto circostante (heredium), mentre da essa era esclusa la terra arabile e quella per il pascolo. Vi era anche il sors, ovvero la proprietà trasmissibile per via ereditario o di lotto assegnato per sorteggio. La complementarietà tra piccola proprietà privata e propriazione collettiva della terra risale alle condizioni ambientali delle aree appenniniche e subappenniniche. L’IDEOLOGIA “INDOEUROPEA” NEI RACCONTI SULLE ORIGINI DI ROMA “Indoeuropei” è una denominazione con la quale si indica una popolazione vissuta in un’epoca remota in una regione della grande pianura russa. Tra il III e II millennio a.C. queste popolazioni si spostarono dai loro luoghi di origine, e in genere imposero la loro lingua ai popoli conquistati. Nel corso del II millennio a.C. si segnalarono indoeuropei in Anatolia (Ittiti), in Grecia (Micenei) e in Italia; indoeuropei erano anche gli antenati degli Indiani odierni, degli Iraniani, dei Celti e degli Slavi. 31 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” Lo studioso Georges Dumézil ha cercato di ricostruire il mondo indoeuropeo, secondo l’”ideologia trifunzionale”, ovvero la classificazione di questi popoli secondo tre funzioni principali: la potenza del sovrano, la forza fisica e la fecondità dell’uomo. Nel caso della storia romana lo studioso ha creduto di potervi trovare un’ereditarietà indoeuropea in una serie di episodi: ne è un esempio il tratto delle sabine, l’associazione del re Giove su due divinità minori (la stessa che avevano i popoli indoeuropei), inoltre associava la figura di Servio Tullio a quella di un sovrano indiano, soprattutto per quanto riguarda la regalità e l’organizzazione del censo. In generale Dumézil crede che si tratterebbe di scenari ereditati dal mondo indoeuropeo, che ciascuna cultura ha poi utilizzato secondo i propri parametri. LAPIS NIGER Grande scalpore suscito la scoperta avvenuta nel gennaio del 1899, nell’angolo settentrionale del Foro, di una pavimentazione in marmo nero distinta dal resto della pavimentazione. La scoperta venne subito associata ad una fonte letteraria che accennava l’esistenza di una “pietra nera nel comizio”, che contrassegnava un luogo funesto, forse la tomba di Romolo. Al di sotto del pavimento fu trovato un complesso monumentale, comprendente una piattaforma sulla quale vi era un altare; vicino ad esso vi era un tronco (risalente ad una colonna o ad una statua) nella quale vi era un’iscrizione in latino molto arcaico, dalle poche parole leggibili si tratta di una dedica fatta ad un re e che si minacciano pene terribili a chi avesse violato il luogo. LE ORIGINI DI ROMA SECONDO UN IMPERATORE ROMANO La tradizione sulle origini di Roma poneva in difficoltà anche gli antichi. Cicerone, nel I secolo a.C., riconosceva “l’oscurità” della storia romana arcaica; noi disponiamo della ricostruzione che di questa storia faceva un imperatore romano appassionato di antichità etrusche. Claudio nel 48 d.C. pronunciò un discorso a favore dell’ammissione nell’assemblea di alcuni rappresentanti della Gallia Comata, e per dimostrare la propensione di Roma verso gli stranieri. Il testo del discorso venne inciso su una tavola di bronzo collocata nei pressi di Lione, e il suo contenuto ci è noto anche dagli Annali di Tacito. LA GRANDE ROMA DEI TARQUINI Il quadro politico del Lazio alla venuta dei Tarquini appare condizionato dall’espansionismo ormano. Nel corso del VII secolo (secondo la tradizione) Tullo Ostilio distrutta Alba Longa avrebbe fatto passare sotto il dominio di romano tutta la zona che si estendeva tra Roma e il mare, e località comprese in quest’area furono prese da Anco Marcio. Queste conquiste aprirono la via al possesso delle saline che si trovavano nei pressi della costa, lungo la foce del Tevere; il controllo decisivo di Roma sul fiume è suggellato dalla costruzione di un ponte stabile in legno a valle dell’isola Tibertina. Il secolo dall’accessione al regno di Tarquinio Prisco e la cacciata di Tarquinio il Superbo, con le relative conseguenze, ha un riscontro in un documento eccezionale risalente al 508 a.C. Fu lo storico Polibio che ebbe accesso all’archivio di Roma, dove era conservato. Tramite il trattato tra Roma e Cartagine (ripreso da Polibio) si può dedurre che la crescita della potenza romana nel secolo dei Tarquini è esponenziale (20-90 km). Governo tirannico di Tarquinio il Superbo Il quadro posto da Livio per Tarquinio il Superbo è molto chiaro: il potere è ottenuto con la forza e mantenuto con essa stessa, l’esercizio della giustizia è dominato dall’arbitrio e dalla cupidigia, non vi è collaborazione con il senato, vi è un affiancarsi agli stranieri contro i suoi stessi cittadini, e la progettazione di grandi piani edilizi. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” DATE DA RICORDARE  XVII-XIV secolo a.C. età del bronzo medio 32 PARTE PRIMA: “I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA” A favore della datazione tradizionale è il primo trattato romano-punico concluso secondo Polibio nel primo anno della repubblica, la data polibiana riporterebbe al 508 a.C. Vi è inoltre una singolare cerimonia ricordata da Livio: secondo una legge il massimo magistrato della repubblica doveva infliggere un chiodo nel tempio di Giove Capitolino, ogni anno alle idi di settembre, anniversario della consacrazione del tempio, anche questo ci riporta al 508 a.C. Polibio “Storie” – Livio “Storia romana dalla sua fondazione” – Plinio il Vecchio ”Storia Naturale” I SUPREMI MAGISTRATI DELLA REPUBBLICA: I LORO POTERI E LIMITI Nel regime repubblicano i poteri del re passarono in blocco ai nuovi magistrati elettivi, la cui azione era limitata dall’annualità della carica e dalla sua collegialità. Polibio considerando le competenze dei consoli in politica interna ed estera, dedusse che questi magistrati costituivano una componente quasi monarchica nell’ordinamento istituzionale romano. Polibio “Storie” – Livio “Storia romana dalla sua fondazione” Durante la repubblica i poteri del re (come racconta Livio) passarono dal re a due consoli, o preatores. Essi venivano eletti dai comizi centuriati, e a loro spettava il comando dell’esercito, l’ordine interno della città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il potere di convocare il senato e le assemblee popolari, la cura del censimento, la compilazione delle liste dei magistrati. Alcune competenze religiose vennero trasferite ad un sacerdote (dal nome rex sacrorum), il quale però non poteva ricoprire alcun tipo di carica politica; ad egli presto vennero affiancati altri sacerdozi con maggior peso politico come i pontefici e gli àuguri. I poteri autocratici due consoli erano importanti limiti: la durata dalla loro carica, limitata a un anno, e il fatto che ciascuno dei magistrati aveva eguali poteri e poteva dunque opporsi all’azione del collega qualora la giudicasse dannosa per lo Stato. Un ulteriore restrizione era rappresentata dalla possibilità per ogni cittadino di appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console: si tratta della provocatio ad populum promulgata nel primo anno della Repubblica: il diritto di appello al popolo era ritenuto dagli antichi fondamento della libertà repubblicana non meno che il consolato stesso. LE ALTRE MAGISTRATURE Le varie esigenze dello Stato portarono alla creazione di nuove magistrature:  i questori: originariamente di numero due, assistevano i consoli nella sfera delle attività finanziarie. Inizialmente essi erano nominati dai consoli stessi, in seguito la carica divenne elettiva. I primi questori elettivi vennero eletti nel 447 a.C. e il loro numero si sarebbe progressivamente esteso con l’aumentare del dominio romano. Una classe particolare di questori erano i quaestores parricidii che istruivano le cause capitali; il collegio dei duoviri perduellionis si occupava del reato di alto tradimento. Tacito “Annali” – Digesto (pomponio)  i censori, i quali si occupavano di tenere il censimento e successivamente anche la redazione delle liste dei componenti del senato. La supervisione della condotta morale dei cittadini conferiva ai censori anche l’intervento nella vita pubblica e privata. Di regola essi venivano eletti ogni 5 anni e la loro carica durava 18 mesi. Cicerone “Le leggi” – Aulo Gellio “Notti attiche” LA DITTATURA In caso di necessità i poteri potevano venire affidati a un dittatore (dictator o originariamente magister populi): il quale non veniva eletto da un’assemblea popolare, ma nominato a propria discrezione da un console, da un pretore o da un interrex, su istruzione del senato. Egli era assistito da un magister equitum (“comandante della cavalleria”) da lui personalmente scelto e a lui subordinato; la sua durata era limitata ad un massimo di 6 mesi, anche se ci si aspettava che il dittatore deponesse la carica una volta che la situazione si fosse stabilita. Pomponio racconta l’essenza dell’origine della dittatura: la necessità di un comando unificato nelle impegnative guerre che la giovane repubblica di Roma si trovò a fronteggiare. Il fatto che il dittatore potesse utilizzare la pena di morte a suo piacimento, senza alcun tipo di opposizione, fece di questa magistratura uno strumento per il controllo della plebe. Digesto (pomponio) 35 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” I SACERDOZI E LA SFERA RELIGIOSA A Roma non si può tracciare una metta distinzione tra cariche politiche e massime cariche religiose, la stessa persona non poteva detenere una carica religiosa e una politica contemporaneamente. Un’eccezione è rappresentata dai flamini (oltre al rex sacrorum), i quali rappresentavano la personificazione del dio stesso. In particolare le tre supreme divinità della prima Roma repubblicana: Giove, Marte e Quirino, rappresentati rispettivamente dai flamines Dialis, Martialis e Qurinalis. Dodici flamini minori erano addetti al culto altrettante divinità. I tre più importanti collegi religiosi avevano poteri che superavano ampiamente la sfera culturale e coinvolgevano la politica.  Il collegio dei pontefici (guidato da un pontefice massimo), costituiva la massima autorità dello stato; esso eleggeva i tre flamini maggiori, controllava la tradizione e l’interpretazione delle norme giuridiche (e quindi sul calendario). Durante l’età repubblicana si diventava pontefici per cooptazione e a vita.  Il collegio degli àuguri assisteva i magistrati nel compito di trarre gli auspici e di interpretare la volontà degli dei, affinché un atto pubblico potesse essere considerato valido. Ciò avveniva mediante l’osservanza del volo degli uccelli o di eventi naturali (tuoni e fulmini).  I duoviri sacris faciundis, erano incaricati custodire i Libri Sibillini (un’antica raccolta di oracoli in greco). Nel caso in cui si verificassero eventi nefasti, segno che il rapporto tra la città e gli dei si era inclinato, il collegio poteva consultare tali libri per trovare una soluzione; soluzione che spesso era quella di introdurre un culto straniero. La denominazione del sacerdozio mutò col crescere del numero dei suoi componenti, che divennero inizialmente 10 e 15 alla fine dell’età repubblicana.  Gli auruspici, al pari degli àuguri, incaricati di chiarire la volontà divina mediante l’esame delle viscere animali.  I feziali, i quali avevano il compito di dichiarare guerra, attenendosi scrupolosamente alle predizioni divine. Essi si occupavano anche di altre attività diplomatiche come trasmettere una richiesta di riparazioni o un ultimatum o la conclusione di un trattato. Aulo Gellio “Notti attiche” – Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica”- Cicerone “Le leggi” Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” IL SENATO Il consiglio regio sopravvisse alla caduta della monarchia; durante l’età repubblicana la composizione era decisa prima dai consoli e poi dai censori che ne completavano i ranghi attingendo dagli ex magistrati. Il principale strumento del senato era l’auctoritas patrum, diritto che i senatori possedevano già in età regia. Il senatore aveva carica a vita, e potevano dispiegare la loro politica con continuità d’azione. Nel senato si concentrò l’esperienza politica della repubblica e trovò espressione compiuta e continuativa l’élite sociale ed economica di Roma, formata prima dal patriziato e poi dalla nobiltà patrizio-plebea. Polibio “Storie” LA CITTADINANZA E LE ASSEMPBLEE POPOLARI Oltre alle magistrature e al senato vi erano le assemblee popolari, questi organismi erano riservati ai maschi adulti di libera condizione e in possesso del diritto di cittadinanza. Si diveniva cittadini romani per diritto di nascita; sulla questione dei diritti civici Roma manifestò una notevole apertura, l’accoglienza nel corpo civico di elementi provenienti da città latine e comunità dell’Italia centrale non doveva essere affatto eccezionale. Ne è un esempio la migrazione dalla Sabina del clan dei Claudi: Appio Claudio (tra il regno di Romolo e il 505) si sarebbe trasferito insieme ai suoi 5000 familiari e clienti, venendo accolto nello stesso giorno nella cittadinanza e nelle file del patriziato. Inoltre anche i liberti (schiavi liberi) già nei primi anni della repubblica hanno ricevuto la pienezza dei diritti civili. 36 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” Durante l’età repubblicana i comitia curiata persero significato e la loro funzione di attribuire i poteri ai magistrati si ridusse ad una formalità; la lex curiata imperio non venne più votata dalle 30 curie, ma dai 30 littori che le rappresentavano. L’assemblea più importante è costituita dai comizi centuriati, fondati su una divisione della città in classi di censo e all’interno di queste, in centurie. Il meccanismo dei comizi centuriati prevede che le decisioni siano prese a maggioranza dalle unità di voto costituite dalle centurie, assicurando un consistente vantaggio per i membri più anziani. La funzione più importante di tale assemblea era quella elettorale: spettava a loro infatti eleggere i consoli e i magistrati superiori. Cavalieri Oltre 100.000 assi 18 centurie I Classe Oltre 100.000 assi 80 centurie (40 di giovani + 40 di anziani) II Classe Oltre 75.000 assi 20 centurie (10 di giovani + 10 di anziani) III Classe Oltre 50.000 assi 20 centurie (10 di giovani + 10 di anziani) IV Classe Oltre 25.000 assi 20 centurie (10 di giovani + 10 di anziani) V Classe Oltre 11.000 assi 30 centurie (15 di giovani + 15 di anziani) Ultimi per data di creazione sono i comizi tributi (447 a.C.) e a loro venne affidata l’elezione dei questori. In questa assemblea il popolo votava per tribù, e non mancarono le disuguaglianze: il numero delle tribù urbane rimase sempre fissato a 4 (stabilito secondo la tradizione da Servio Tullio), mentre il numero delle tribù rustiche crebbe da 16 (età regia) a 31 (241 a.C.). In tal modo la popolazione delle campagne si trovò ad avere nei comizi tributi un peso maggiore rispetto alla popolazione urbana. L’assemblea tributa aveva funzione elettorale e legislativa. I poteri delle assemblee popolari soggiacevano a diverse limitazioni: non potevano autoconvocarsi, non potevano assumere iniziative autonome. Spettava ai magistrati che le presiedevano indire l’adunanza, stabilire l’ordine del giorno e sottoporre al voto le proposte di legge, che l’assemblea poteva accettare o respingere. Nella ricostruzione ideale di Polibio le assemblee popolari, elemento democratico dell’ordinamento istituzionale, costituivano con i magistrati (elemento monarchico) e il senato (elemento aristocratico) la “costituzione mista” che ha avuto un’importanza centrale per le interpretazioni antiche e moderne della storia di Roma repubblicana: tale costituzione avrebbe preservato (con il suo bilanciamento di poteri in continua evoluzione) Roma dalla degenerazione istituzionale. Ricapitolando:  comizi tributi -> si vota per curie (30 curie su base territoriale o gentilizia)  centuriati -> le unità di voto sono stabilite dal censo e dall’età (193/194 centurie su base censitaria)  comizi tributi -> si votava per circoscrizioni elettorali (35 tribù su base territoriale, 4 urbane e 31 rustiche) Cicerone “La repubblica” – Aulo Gellio “Notti Attiche” – “Polibio Storie” 37 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” Ancora una volta è la violenza contro una giovane a far precipitare la situazione: le violenze di Appio Claudio su Virginia, una giovane figlia di un centurione dell’esercito, provocano una seconda secessione che costrinse i decemviri a deporre il potere. Il consolato viene ripristinato e i massimi magistrati dell’anno successivo (449 a.C. Lucio e Valerio), fanno approvare un pacchetto di leggi in cui si riconosce l’apporto della plebe nella lotta contro il tentativo rivoluzionario dei decemviri. La norma che proibiva i matrimoni tra patrizi e plebei venne abrogata pochi anni dopo (445 a.C.) in base ad un plebiscito Canuleio. Le leggi delle XII tavole In molti casi esse si limitano a codificare norme consuetudinarie, che spesso possono apparire molto gravi: ad esempio i ladri potevano essere uccisi se sorpresi a commettere il furto di notte o se tentavano di difendersi, ed era proibito l’eccesso di difesa da parte dell’aggredito. Alcune disposizioni delle tavole interessavano anche la vita pubblica, come il già citato divieto di matrimonio tra patrizi e plebei. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” IL plebiscito Canuleio Il divieto dei matrimoni tra le due classi trova giustificazione nel fatto che il sangue dei patrizi, i soli titolati ad interrogare la volontà degli dei attraverso gli auspici in qualità di magistrati, non poteva essere “contaminato”. Il discorso del tribuno alla plebe Canulei, fece giunge al cuore del problema; riaffermando il diritto del popolo ad eleggere qualunque cittadino di Roma (sia patrizio che plebeo) alle massime cariche, la principale obiezione al divieto di connubio veniva a cadere. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” TRIBUTI MILITARI CON POTERI CONSOLARI Il plebiscito fatto votare da Canuleio creò non pochi “disagi”: solo i patrizi si ritenevano titolari del diritto di prendere gli auspici per accertare la volontà degli dei, con le unioni miste diventava difficile escludere un plebeo, nelle cui vene scorresse almeno un po’ di sangue patrizio. Il patriziato visto minacciato il suo monopolio sul consolato ricorre ad un espediente: a partire dal 444 a.C. di anno in anno si sarebbe deciso se alla testa dello stato vi debbano essere due consoli provenienti dal patriziato o un certo numero di tribuni militari con poteri consolari (2 poi 4 fino a 6), i quali potevano essere anche plebei ma senza il potere di trarre dagli auspici. Questo ordinamento rimase in vigore fino al367 a.C. Rendendo accessibile alla plebe il tribunato, i patrizi perdevano il controllo sulla massima magistratura repubblicana; pare inoltre che i tribuni consolari siano stati affiancati ai consoli, non sostituiti. In ogni caso nessuna riforma sembrava poter risolvere il problema economico, ne è un esempio Spurio Melio, un ricco plebeo, che decise di distribuire a sue spese del grano ai poveri; questa azione venne intesa come cospirazione alla tirannia e Melio venne giustiziato. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” LE LEGGI LICINIE SESTIE La promulgazione del primo codice di leggi scritte e la nascita della nuova carica lasciavano ancora aperti i due nodi, politico ed economico; tale crisi si accentuò quando la minaccia dei Galli si allontanarono da Roma. Per rispondere alle necessità della plebe nel 387 a.C. il territorio di Veio e di Capena venne diviso in piccoli apprezzamenti e distribuito ai cittadini romani, si andarono così a crearsi 4 nuove tribù. Nonostante ciò la crisi economica non si alleviò: qualche anno dopo il patrizio Capitolino propose una riduzione o la totale cancellazione dei debiti ì e una nuova legge agraria; secondo i suoi avversari sperando di creare un regime personale, ancora una volta l’azione venne intesa come cospirazione alla tirannia e Capitolino venne liquidato. Era ormai chiaro che la risoluzione dei problemi di Roma sarebbe venuta da una riforma interna all’ordinamento repubblicano. Qualche anno dopo l’iniziativa tornò ai riformisti, in particolare a Licinio Stolone e Sestio Laterano (esponenti di due ricche famiglie plebee, che potevano contare sull’appoggio di alcuni esponenti del moderato patriziato). I due presentarono diverse proposte riguardanti il problema dei debiti, la distribuzione delle terre e l’accesso dei plebei al consolato; i patrizi resistettero mentre i due plebei (regolarmente eletti per diversi anni al tribunato), non avevano intenzione di ceder. Dopo una fase di anarchia politica, nel 367 a.C. Camillo, eroe della guerra contro Veio e vendicatore del sacco gallico, venne chiamato alla dittatura per risolvere la situazione ritenuta ormai insostenibile. 40 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” Le proposte di Licinio e Sestio vennero accolte come leggi, esse prevedevano in particolare che gli interessi che i debitori avevano già pagato sulle somme avute in prestito potessero essere detratti dal totale del capitale dovuto e che il debito residuo fosse estinguibile in tre rate annuali; stabilirono in oltre la massima estensione di terreno di proprietà statale che poteva essere occupato da un privato; sancivano l’abolizione del tribunato militare con podestà consolare e la completa reintegrazione alla testa dello stato dei consoli, uno dei quali sarebbe dovuto essere plebeo. Il compromesso diede anche la possibilità di precisare il quadro delle magistrature repubblicane; nel 366 a.C. vennero create due nuove cariche: il pretore, che aveva il compito di amministrare la giustizia tra i cittadini romani; dotato di imperium il pretore poteva essere messo (in caso di necessità) a capo dell’esercito, anche se i suoi poteri erano subordinati a quelli dei consoli. Nello stesso anno vennero eletti due edili curuli ai quali venne affidato il compito di organizzare i Ludi Maximi. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” VERSO UN NUOVO EQUILIBRIO Il processo per la stabilizzazione dell’equilibrio, nonostante le nuove leggi, era ancora molto lungo. Nel 366 a.C. l’ex tribuno della plebe Sestio Laterano avvalendosi della sua stessa legge divenne il primo console plebeo. Secondo Livio nel 342 un plebiscito diede la possibilità che entrambi i due consoli fossero plebei, nonostante a partire da quell’anno nei fasti troviamo comparire sempre un console plebeo e uno patrizio, la prima coppia di plebei appare solo nel 172 a.C. Con le leggi Licinie Sestie si era aperta la strada alle magistrature ai plebei, già nel 366 a.C. si decise che gli edili curuli sarebbero stati scelti ad anni alterni tra patrizi e plebei; 10 anni dopo venne eletto il primo dittatore plebeo Rutilo e successivamente divenne il primo plebeo a rivestire la censura; nel 339 a.C. il dittatore plebeo Filone fece passare una legge che toglieva al senato il suo diritto di veto e tre anni più tardi venne eletto pretore; nel 300 a.C. un plebiscito Ogulnio consentì ai plebei l’ingresso nei due grandi collegi sacerdotali dei pontefici e degli àuguri. Si aprì la strada per i plebei anche al senato; inoltre nel 326 a.C. secondo Livio (o 313 a.C. secondo Varrone) una legge Petelia aboliva la servitù per i debiti; inoltre la risposta ai problemi economici della plebe venne risolta dalle varie conquiste, che misero a disposizione grandi estensioni di terra, divise e assegnate individualmente o sfruttate per la creazione di colonie. LA CENSURA DI APPIO CLAUDIO CIECO Un’accelerazione al processo di riforma venne dalla censura di Appio Giulio Claudio nel 312-311 a.C.; nel compilare la lista dei senatori avrebbe incluso persone abbienti che non avevano ancora rivestito magistrature. Una seconda misura riguardò la composizione delle tribù: il suo scopo era quello di favorire i membri della plebe urbana, che costituivano la maggioranza dei votanti, consentendogli l’iscrizione ad una qualsiasi unità esistente. Entrambe le riforme però caddero. I consoli del 311 a.C. infatti rifiutarono di riconoscere la nuova lista di senatori Fatta da Appio Claudio e continuarono a nominare il senato secondo i vecchi elenchi. Si svilupparono nuovi criteri di valutazione del censo, il quale, fino ad ora calcolato in base ai terreni a al bestiame posseduto, fu valutato a partire da questa età anche in base al capitale mobile, in metallo prezioso, consentendo anche a coloro che non erano impegnati nelle tradizionali attività agricole di vedere il loro peso economico nell'ordinamento centuriato. All’edile Cneo Flavio suo cliente, appartiene la decisione di pubblicare le formule giuridiche da impiegare nei processi. Flavio avrebbe divulgato anche il calendario con i giorni fasti, durante i quali si poteva svolgere l'attività giudiziaria, e quelli nefasti dove si interrompeva. Alla censura di Appio Claudio è da attribuire la costruzione di due opere pubbliche: il primo acquedotto della città e la via che congiungeva Roma a Capua che dal censore prese il nome di Via Appia. Diodoro Siculo “Biblioteca Storica” - Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione”- Plinio il Vecchio “Storia naturale” 41 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” Appia. (Importante per la guerra sannitica). LA LEGGE ORTENSIA Il 287 a.C. viene considerato il punto di arrivo della lotta tra patrizi e plebei; tramite la legge Ortensia si stabilì che i plebisciti votati all’assemblea della plebe dovevano avere valore per tutta la cittadinanza romana; a partire da tale legge i comizi tributi e l’assemblea della plebe, i concilia plebis tributa, di fatto erano accumunati da un uguale sistema di voto per tribù e da uguali poteri; era identica anche la loro composizione, sebbene ai comizi tribuni prendessero parte anche i patrizi, che ovviamente erano esclusi dai concilia plebis: le due assemblee rimasero distinte dai magistrati che avevano il diritto di convocarle e presiederle; i consoli o i pretori per i comizi tributi e i tributi o gli edili per la plebe per i concili plebei. Gaio “Istituzioni” LA NOBILITAS PATRIZIO-PLEBEA Le leggi Licinie Sestie e le grandi conquiste della plebe chiusero per sempre l’età del dominio esclusivo dei patrizi sullo stato, al posto del patriziato si formò una nuova aristocrazia, formata dalle famiglie plebee più ricche più ricche e influenti e dalle stirpi patrizie che meglio avevano saputo adattarsi alla nuova situazione e unita da vincoli familiari, ideali e interessi comuni, a questa nuova élite si da il nome di nobilitas, e che venne a designare tutti coloro che avevano raggiunto il consolato o che discendevano in linea diretta da un console. Una sorta di “manifesto” degli ideali della nobilitas è l’elogio funebre di Lucio Cecilio Metello, tramandato a noi sa Plinio il Vecchio: Metello era stato un buon soldato e ottimo generale, aveva raggiunto le più alte cariche dello stato ed era stato un eccellente oratore, aveva acquisito una grande ricchezza in modo onorevole e aveva lasciato alla patria numerosi figli. L'accesso alle magistrature superiori era riservato ai membri di poche famiglie, anche se questo non si basava su norme scritte. Tanto esclusiva divenne la nobilitas che per i pochi personaggi che raggiunsero i vertici della magistratura pur non avendo antenati nobili venne coniata una definizione, quella di homines novi. Prima di intraprendere una carriera politica un romano doveva servire per almeno dieci anni nella cavalleria. Inizialmente il censo minimo per farvi parte era quello richiesto dalla I classe ma successivamente il limite venne elevato e per questo per intraprendere la carriera politica a Roma si doveva appartenere necessariamente ad una delle famiglie più facoltose. (O come nel caso degli homines novi godere della protezione di un qualche nobile influente). Plinio il Vecchio “Storia naturale” LA CONQUISTA DELL’ITALIA LA SITUAZIONE DEL LAZIO ALLA CADUTA DELLA MONARCHIA DI ROMA i plebisciti votati dall'assemblea della ple Tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C. buona parte delle città latine approfittarono delle difficoltà interne di Roma per togliersi dalla sua egemonia. Le città latine si strinsero in una lega i cui membri condividevano alcuni diritti:  lo ius connubi, il diritto di contrarre matrimoni legittimi con cittadini di altre comunità latine; 42 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” La prima guerra sannitica (343-341) si risolse rapidamente con un parziale successo dei romani a Capua. Roma però per una rivolta interna dell'esercito non poté fronteggiare bene la situazione e acconsentì alle richieste di pace avanzate dai sanniti. Il trattato riconobbe a Roma la Campania e ai sanniti Teano. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione”- Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica” LA GRANDE GUERRA LATINA Il patto del 341 porta ad un capovolgimento di alleanze, costringendo Roma ad affrontare i suoi precedenti alleati Latini, Campani e Sidicini, cui si aggiunsero i Volsci e gli Aurunci. Il conflitto che vide la luce nel 341-338 a.C. divenne noto come la grande guerra latina e fu durissimo, donando la vittoria ai Romani. Il quadro dell’Italia era il seguente: la Lega latina venne disciolta, alcune città vennero incorporate nello Stato romano, come municipi; altre conservarono un’indipendenza formale e i diritti che precedentemente avevano stabilito per sé, ma non poterono più intrattenere relazioni fra loro, unicamente con Roma. Lo status di “Latino” perse la sua connotazione etnica, arrivando a designare una condizione giuridica in rapporto coi Romani. I latini furono obbligati a fornire truppe a Roma in caso di necessita. Questi trattati consentirono a Roma di ampliare la propria egemonia e il proprio potenziale militare senza per questo costringerla ad assumersi i compiti di governo locale che le sue strutture politiche, rimaste sostanzialmente quelle di una città stato non erano in grado di reggere. Dal momento che i socii dovevano impegnarsi a mantenere a proprie spese i contingenti di truppe che fornivano, Roma inoltre potè mantenere il suo impegno finanziario relativamente litimato, senza essere costretta a richiedere un tributo diretto che le avrebbe attirato l’odio degli alleati. Al di fuori del Lazio, per quel che riguarda in particolare Volsci e Campani, Roma concesse parzialmente la cittadinanza, la civitas sine suffragio – i titolari erano tenuti agli obblighi dei cittadini romani, come il tributum, ma non avevano diritto di voto nelle assemblee popolari. Alla fine della grande guerra latina, Roma aveva legato a sé, tutte le regioni dalla sponda sinistra del Tevere (a nord) – al golfo di Napoli (a sud) – dal Tirreno (a ovest) – agli Appennini (a est): territorio non ampio come il Sannio ma più ricco e densamente popolato. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione”- Cicerone “Sulla legge agraria” LA SECONDA GUERRA SANNITICA La fondazione di colonie romane a Cales e a Fregelle, territori che i Sanniti consideravano di propria pertinenza, provocò una nuova crisi nei rapporti fra le due potenze. La seconda guerra sannitica (326-304 a.C.) vide fra le proprie cause il rapporto contrastante fra le masse popolari, a favore dei Sanniti, e le classi più agiate di sentimenti filoromani (una situazione che si presenterà regolarmente nelle città coinvolte nei conflitti fra Roma e avversari). I Romani sconfissero la guarnigione dei Sanniti a Napoli, conquistando la città, ma non riuscirono a penetrare a fondo nel Sannio: nel 321 a.C. vennero circondati al passo delle Forche Caudine e costretti alla resa; al cui seguito vi fu una momentanea tregua. Nel 316 a.C. si riapre lo scenario di guerra, dopo che i Romani attaccarono Saticula: le prime operazioni furono favorevoli ai Sanniti, che conseguirono una vittoria a Lentulae (interrompono comunicazioni con la Campania), poi Roma riprese la situazione in mano, attraverso una strategia a lungo termine, non sostenibile dalla Lega sannitica. Saticula fu conquistata nel 315 a.C., Fregelle venne ripresa, le comunicazioni con la Campania ristabilite grazie alla costruzione del primo tratto della via Appia e strinsero sotto assedio il Sannio grazie a colonie come Luceria fondate in Apulia. Ora, il compatto esercito a falange si era rivelato incapace di sostenere manovre su un terreno accidentato come il Sannio: la legione venne divisa in 30 reparti (manipoli), unione di due centurie, sebbene avessero perso il significato etimologico di “cento uomini”, era composta infatti da 60 soldati. La legione era schierata su tre linee, ognuna delle quali composta da dieci manipoli; i primi erano chiamati principes, poi gli hastati, e infine i triarii.Roma era così in grado di affrontare più agevolmente una minaccia su due 45 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” versanti, a side contro i Sanniti e a nord contro la coalizione degli Stati etruschi, i quali furono subito costretti a siglare una tregue (308 a.C.). Concentrati gli sforzi sul Sannio i Romani giunsero alla pace del 304 a.C. che rinnovava il precedente (del 354 a.C.), lasciando definitivamente il possesso di Fregelle e Cales a Roma. Sempre in questo periodo, gli Ernici vennero inglobati nello Stato romano senza diritto di voto, e gli Equi furono sterminati. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione”- Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica” LA TERZA GUERRA SANNITICA Terzo e ultimo scontro con Roma, da parte dei Sanniti, si riaprì nel 298 a.C. dando vita alla terza guerra sannitica quando i Sanniti attaccarono i Lucani. Il comandante supremo dei Sanniti, Gellio Egnazio, marciò a lungo, riuscendo a erigere una potente coalizione antiromana con Etruschi, Galli e Umbri e nel 295 a.C. avvenne lo scontro decisivo a Sentino. Gli eserciti dei consoli Quinto Fabio Rulliano e Publio Decio Mure, prevalsero su Sanniti e Galli, approfittando della mancanza dei reparti etruschi e umbri; i Sanniti, sconfitti nuovamente ad Aquilonia (293 a.C.) chiesero la pace tre anni più tardi. A nord invece ai Galli si offrì nuovamente la possibilità di penetrare nell’Italia centrale, ma il loro attacca congiunto con quello etrusco fu arrestato nel 283 a.C. nella battaglia del lago Vadimone. In questi anni i Romani risalirono sino all’Etruria settentrionale e marciarono verso l’Adriatico, sconfiggendo i Sabini e i Pretuzzi, confiscandone il territorio per dedurvi la colonia latina di Hadria. Conquistarono poi i territori appartenuti ai Senoni e nella parte settentrionale di questo territorio, nota come ager Gallicus venne fondata nel 268 a.C. la colonia latina di Rimini. I Piceni, vendendosi circondati tentarono una disperata guerra l’anno precedente, ma furono costretti alla resa pochi anni dopo. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione”- Polibio “Le storie” LA GUERRA CONTRO TARANTO E PIRRO Se i Sanniti non rappresentavano più una vera e propria minaccia per Roma, alcune popolazioni loro affini, come Lucani e Bruzi, conservarono la loro indipendenza, come la più potente città greca d’Italia, Taranto. Ne282 a.C. una città greca sorgente sulle rive calabresi del golfo di Taranto, chiese aiuto ai Romani, poi che minacciata dai Lucani. Roma inviò una flotta davanti alle acque di Taranto e nella città di fronte alla minaccia prevalse la fazione democratica sull’aristocrazia filoromana: i Tarantini marciarono su Turi, espellendone la guarnigione romana. Ma l’offensiva di Taranto non fu efficace e decise di ricorrere all’aiuto di un condottiero della madre patria greca. Pirro, re dei Molossi e comandante della Lega epirotica, diede alla sua spedizione il carattere di una crociata in difesa dei Greci d’Occidente, minacciati dai barbari (e troiani avversari dei Greci) Romani. Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia con 22 mila fanti, 3 mila cavalieri e 20 elefanti da guerra – per affrontare questo schieramento Roma arruolò per la prima volta i capite censi, nullatenenti, esenti dal servizio militare. Pesante fu comunque la sconfitta che subirono ad Eraclea, ma considerevoli furono le perdite da ambo le parti. Bruzi, Lucani, Sanniti si schierarono dalla parte di Pirro, il quale però non seppe sfruttare la sua posizione, fallendo nel tentativo di un’alleanza e congiungimento con gli Etruschi. Decise di intavolare trattative di pace, in cui chiedeva libertà e autonomia per le città greche dell’Italia meridionale e la restituzione dei territori conquistati alle tre popolazioni sue alleate, ma che furono respinte da Appio Claudio Cieco. A seguito del rifiuto da parte romana, Pirro assoldò mercenari, muovendo verso la Apulia settentrionale e si scontrò con l’esercito romano presso Ascoli Satriano nel 279 a.C. riuscendo a sconfiggerlo, al prezzo di gravi perdite. 46 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” Forte dell’immenso potenziale umano Roma sembrava poter resistere in modo continuato e senza alcun limite, al contrario di Pirro i cui rapporti con gli alleati dell’Italia meridionale si andavano deteriorando, specie in virtù delle onerose richieste economiche da lui effettuate per sanare le perdite e pagare le truppe mercenarie. Accolse così le domande di aiuto provenienti da Siracusa e ritenne che il possesso della ricca Sicilia avrebbe accresciuto la sua potenza; vi si recò, lasciando una guarnigione del suo esercito a Taranto. Nel 279 a.C. Roma e Cartagine stringono un’alleanza ch prevedeva la mutua collaborazione militare contro il comune nemico. Pirro riuscì comunque a far indietreggiare i Cartaginesi, pensando di invadere poi l’Africa, ma il progetto fallì non potendo più contare su molti appoggi da parte degli alleati italici, stanchi delle pesanti condizioni cui erano sottoposti. I Romani intanto i Italia avanzavano senza ostacoli e le popolazioni chiedendo disperatamente l’intervento del re epirota impedirono il compimento dell’impresa siciliana, il quale subì gravi perdite ad opera della flotta cartaginese. Le forze romane comandate dal console Manio Curio Dentato si scontrarono, nel 275 a.C., con le truppe nemiche nella località dove più tardi sarebbe stata fondata la colonia latina dal nome celebrativo, Benevento. Pirro capì che la guerra era ormai persa, con le sue truppe in fuga, ma decise di lasciare una guarnigione a Taranto per dare l’impressione di non aver completamente abbandonato gli alleati, pur tornando nell’Epiro con gran parte del suo esercito. Lanciatosi in nuove imprese militari in Grecia, morì nel 272 a.C. In quello stesso anno Taranto si arrese entrando nel novero dei socii di Roma. Polibio “Le storie”- Dionigi di Alicarnasso “Storia di Roma arcaica”- “Appiano le guerre sannitiche” Plutarco “Vita di Romolo” LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO LA PRIMA GUERRA PUNICA Nel 264 a.C. Roma controllava tutta l’Italia peninsulare, nei pressi dello stretto di Messina, gli interessi della potenza egemonica entravano in conflitto con quelli della precedente alleata, Cartagine. Lo scontro venne precipitato dalla questione dei Marmetini, mercenari di origini italica, impadronitisi di Messina, ma sconfitti da Ierone e le truppe siracusane. I Marmetini si appellarono all’aiuto della flotta cartaginese, preoccupati dell’espansione di Siracusa verso lo stretto: Ierone si ritirò e venne proclamato re di Siracusa. I Marmetini, stanchi però della tutela cartaginese, fecero appello ai Romani i quali qualche anno prima, a Reggio, avevano cacciato invasori come i Marmetini dalla città, non sapendo come comportarsi ora. Intervenire a favore di Messina voleva dire entrare in collisione con Siracusa e con Cartagine, che grazie ai suoi mezzi finanziari poteva mettere in campo grandi eserciti e potenti flotte. Far cadere l’appello dei Marmetini significava lasciare a Cartagine il controllo della zona strategica dello stretto e perdere l’occasione per entrare nella ricca Sicilia. La motivazione economica, spinse l’assemblea popolare a votare l’invio di un esercito in soccorso ai Marmetini. Si aprì così lo scenario della prima guerra punica (264-241 a.C.) che vide i Romani respingere da Messina, Cartaginesi e Siracusani (ora coalizzatisi). Nel 363 a.C. Ierone comprese l’innaturalezza dell’accordo con Cartagine e decise di siglare un pace, che lo lasciò in possesso di un ampio territorio della Sicilia orientale e libero di schierarsi con Roma. Grazie alla superiorità circa le forze navali Cartagine conservava un saldo controllo su molte località costiere e Roma decide così di costruire una grande flotta contando sull’aiuto dei socii navales che fornirono marinai e comandanti. Lo sforzo diede i suoi frutti nel 260 a.C. con la vittoria del console Caio Duilio sulla flotta nemica nelle acque di Milazzo. Roma volle sbarcare direttamente sulle coste africane e iniziò l’invasione nel 256 a.C. dopo che, la flotta romana sconfitta quella cartaginese presso capo Ecnomo, fece sbarcare l’esercito a capo Bon, in Africa. Marco Attilio Regolo, pur ottenendo diversi successi non seppe approfittare della situazione favorevole e nel 255 a.C. venne battuto da un esercito cartaginese comandato dal mercenario Santippo. La flotta romana incappò in una tempesta e nel 249 a.C. colla battaglia navale di Trapani Roma perse quasi del tutto le forze marittime; solo qualche anno più tardi grazie e prestiti dei cittadini più facoltosi riuscì a ricostruire una flotta, il denaro sarebbe stato restituito in caso di vittoria. 47 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” spedizione si scontrò con gli eserciti di Marco Livio Salinatore e Caio Claudio Nerone; venne sconfitta nel 207 a.C. presso il fiume Metauro: Asdrubale morì. Annibale, isolato da qualsiasi aiuto dalla madre patria, si vide costretto a ritirarsi nel Bruzio; mentre Scipione sconfiggeva gli eserciti cartaginesi di Spagna nella battaglia di Ilipa nel 206 a.C. Tornato in Italia Scipione fu eletto console nel 205 a.C. e iniziò i preparativi per l’invasione dell’Africa, forte dell’alleanza con il re della tribù numida dei Massili, Massinissa, in rivolta contro Cartagine. nel 204 a.C. le truppe romane sbarcarono in Africa e l’anno seguente Scipione e il re numida colsero un’importante vittoria nella battaglia dei Campi Magni; Scipione mirava ad eliminare per sempre la minaccia punica. Nel 202 a.C. presso Zama si svolse la battaglia che pose fine al conflitto, i Romani ottennero il successo. Nel 201 a.C. le trattative di pace prevedevano la consegna olistica della flotta cartaginese e il pagamento di una forte indennità e la rinuncia di territori fuori dall’Africa da parte di Cartagine e il dovere di chiedere permesso a Roma per dichiarare guerra. Polibio “Le storie”- Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” LA SECONDA GUERRA MACEDONIA Pochi anni dopo la conclusione della guerra con Cartagine, Roma si in un altro conflitto di grandi proporzioni contro Filippo V di Macedonia. Causa della guerra fu l’attivismo del re nell’area dell’Egeo e sulle coste dell’Asia Minore, che lo portarono a scontrarsi con il regno di Pergamo e la repubblica di Rodi. Le tensioni sfociarono nel 201 a.C. in una guerra aperta: Filippo fu battuto in una battaglia navale al largo di Chio, da Rodii e Pergameni ma vinse nelle acque tra Samo e Mileto; questo bastò a far capire che da soli non sarebbero riusciti a contrastare la minaccia macedone, si rivolsero a Roma. La volontà di vendetta contro un sovrano che alleandosi con Annibale all’indomani di Canne, aveva colpito Roma in un momento di grave crisi permise ai comizi centuriati di votare per la guerra. Si decise di inviare un ultimatum a Filippo V in cui gli si intimava di risarcire i danni commessi e di non attaccare gli Stati greci, che fu ignorato, ma che venne visto di buon occhio da Stati come Atene, comunque la città più influente della Grecia. Nel 200 a.C. l’esercito romano sbarca nella città nemica di Apollonia, a cui si aggiunse la Lega etolica e nel 198 a.C. il comandante Tito Quinzio Flaminino diede una svolta al conflitto. Uno a uno gli stati della Grecia si schierarono dalla parte dei liberatori che chiedevano la liberazione della Tessaglia, sotto il dominio macedone da Filippo II, e così anche la Lega achea da tempo alleata con la Macedonia. Le trattative del 198 a.C. intavolate da Filippo furono interrotte da Flaminino e nella battaglia di Cinocefale, in Tessaglia, l’esercito macedone venne annientato e il re costretto ad accettare le condizioni di pace. La Grecia liberata dall’egemonia macedone fu proclamata autonoma ma avente l’obbligo di versare tributi e di ospitare guarnigioni. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” LA GUERRA SIRIACA Il re di Siria intanto stava estendendo la sua egemonia sulle città greche della costa occidentale dell’Asia Minore, formalmente autonome. Le proteste di Roma che chiedeva la cessazione degli attacchi contro le città autonome dell’Asia Minore furono respinte dal re siriano, Antioco. Gli Etoli scontenti del mancato smembramento del regno macedone sostenevano che la Grecia avesse semplicemente cambiato padrone, così nel 192 a.C. invitarono Antioco III a liberare la Grecia dai falsi liberatori, ma questi venne duramente battuto l’anno seguente alle Termopili dai Romani, fuggendo in Asia Minore. Nel 190 a.C. Lucio Cornelio Scipione, fratello dell’Africano, col suo aiuto si prepararono ad invadere l’Asia Minore attraverso la Grecia, Macedonia e Tracia forti del sostegno di Filippo V; mentre la flotta romana a fianco di Rodii e Pergameni sconfiggeva ripetutamente nell’Egeo i Siriaci. Presso Magnesia sul Sipilo, l’esercito di Antioco venne distrutto e la pace venne siglata nella città siriaca di Apamea nel 188 a.C. I territori strappati a dominio siriano non vennero inglobati come nuove province ma spartiti tra i due fedeli alleati di Roma, il re di Pergamo Eumene II e la repubblica di Rodi. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione” LE TRASFORMAZIONI POLITICHE E SOCIALI 50 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” Il repentino ampliamento di orizzonti sotto il dominio romano, portò un cambiamento anche nell’assetto politico e sociale interno. Nota fu la vicenda del “processo agli Scipioni” (184 a.C.), che mostra i contrasti interni alla classe dirigente romana e i nuovi scenari di lotta politica che andavano costituendosi. Lucio Cornelio S. fu accusato di impossessarsi di parte dell’indennità di guerra di Antioco III, ma il veto di un tribuno della plebe impedì che questi fosse costretto a pagare un’onerosamulta. Contro l’Africano, venne poi attaccato di aver condotto trattative personali sempre con Antioco III, ma rifiutò di rispondere alle accuse ritirandosi in Campania e morendo nel 183 a.C. La vicenda era stata sostenuta da Marco Porcio Catone, che colpendo l’Africano, desiderava respingere l’individualismo che rischiava di mettere in pericolo la gestione collettiva della politica da parte della nobilitas. In questo clima viene promulgata la legge Villia del 180 a.C. che introdusse un’età minima per rivestire le diverse magistrature e un intervallo di due anni tra una carica e l’altra. Importante segnalare in questo periodo la diffusione del culto di Bacco, che il senato romano volle sradicare anche a costo di calpestare l’autonomia giurisdizionale delle comunità alleate dell’Italia; preoccupava infatti che i devoti a Bacco si fossero dati un’organizzazione interna che poteva configurarsi come un “tumore” statale all’interno e contro lo Stato romano. LA TERZA GUERRA MACEDONIA La pace di Apamea aveva espulso il regno di Siria dall’Egeo e sebbene il re macedone Filippo V fu alleato di Roma nella guerra siriaca il rapporto s’incrinò quando l’indomani di Apamea i desideri del re sulle città della costa trace vennero frustrati da Roma, su impulso di Eumene II. Nel 179 a.C. dopo la morte di Filippo si assiste alla successione di questi con il figlio Perseo, sbarazzatosi del fratello filoromano Demetrio. L’elemento democratico e nazionalista all’interno di molte città greche cominciò a volgersi a favore di Perseo. Nel 172 a.C. Eumene II si presentò a Roma con un lungo elenco di accuse contro il re macedone, alimentando i sospetti di alcuni gesti di sfida da parte sua. Fallite le trattative per un accordo nel 171 a.C. iniziarono le operazioni di guerra, ove nei primi anni i comandanti romani si distinsero per saccheggi in molte città greche. Intanto Perseo otteneva aiuti da parte della popolazione epirota dei Molossi e dal re d’Illiria Genzio. Nel 168 a.C. Genzio venne sconfitto rapidamente, mentre Perseo fu costretto da Lucio Emilio Paolo ad accettare battaglia campale nella località di Pidna, ove il suo esercito venne distrutto. Portato prigioniero in Italia Perseo, venne abolita la monarchia in Macedonia e divisa in quattro repubbliche che non potevano intrattenere alcun rapporto tra loro: i matrimoni tra gli abitanti di due diversi Stati erano proibiti, cosi come non era concesso possedere terreni o case in piu’ di uno Stato. L’Illiria fu divisa anch’essa in tre Stati, tributari di Roma, come i territori macedoni. Livio “Storia di Roma dalla sua fondazione”- Cicerone “I doveri” LA QUARTA GUERRA MACEDONICA E LA GUERRA ARCAICA Tuttavia i rapporti con l’area greca erano ancora in forte tensione, la quale sfociò nei tentativi di secessione di Sparta, che coincisero con una rivolta in Macedonia. Qui, Andrisco prevalse sulle deboli milizie repubblicane e riunì le forze macedoni sotto la bandiera monarchica. Pochi furono i suoi successi e venne eliminato nel 148 a.C. dal pretore Quinto Cecilio Metello. L’assemblea della Lega achea, governata da nazionalisti antiromani decise per la breve e disastrosa guerra: non riuscirono a impedire l’invasione del Peloponneso da parte di Metello; Corinto, principale città della Lega, venne saccheggiata e distrutta (146 a.C.). La Macedonia fu ridotta a provincia romana, in oltre in Grecia tutte le leghe furono sciolte e ovunque vennero instaurati regimi aristocratici fedeli a Roma. Pausania “Guida della Grecia” LA TERZA GUERRA PUNICA Mentre Corinto bruciava, veniva distrutta anche un’altra importante città del mondo antico, Cartagine. La città si era ripresa rapidamente dalla sconfitta precedente, ma quando Annibale, eletto nel 196 a.C. a uno dei due posti di magistrato massimo, fu accusato di ordire un’alleanza con Antioco III, egli fu costretto a fuggire in Oriente e il governo cartaginese assicurò la fedeltà a Roma. 51 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” Massinissa, approfittando del fatto che i confini con Cartagine non erano stati fissati in modo preciso, avanzò con pretese ambiziose sul territorio vicino dal canto loro i Cartaginesi erano impediti a dichiarare guerra senza l’approvazione romana. Nel 151 a.C. il partito per la guerra però riuscì a prevalere – l’esercito inviato contro il re numida venne distrutto e intanto a Roma si premeva per la distruzione della città nemica, in ordine alla violazione dei trattati del 201 a.C. Nel 149 a.C. l’esercito romano sbarcò in Africa e per evitare una guerra persa in partenza i Cartaginesi avevano già ceduto molti armamenti, poi quando venne chiesto loro di abbandonare la città e trasferirsi a 10 miglia dalla costa, decisero di resistere a oltranza. Nel 146 a.C. sotto il comando di Publio Cornelio Scipione Emiliano, figlio di Lucio Emilio Paolo, ma adottato dalla famiglia degli Scipioni si risolse il lungo assedio che vide la città saccheggiata e rasa al suolo: il suo territorio venne trasformato nella nuova provincia d’Africa Plutarco “Vita di Catone il Vecchio”- Appiano “Le guerre puniche” – Macrobio “I Saturnali” LA SPAGNA Ridotto all’obbedienza tutti gli Stati dell’Oriente ellenistico e distrutto Cartagine, Roma ora si trovava ad affrontare l’irrisolta situazione in Spagna, sebbene già dalla fine della seconda guerra punica i Romani vi si erano saldamente stabiliti, organizzandola in due nuove province di Spagna Citeriore (nord) e Ulteriore (sud). La sottomissione completa della penisola avvenne però solo con Augusto, in virtù della sfuggente guerriglia su un vasto e accidentato territorio che alimentava il malcontento per una guerra sporca, senza bottino e senza fine. M. Porcio Catone venne inviato in Spagna Citeriore, come console nel 195 a.C. e procedette alla sistematica sottomissione delle tribù nella valle dell’Ebro. Poi, Ti. Sempronio Gracco (padre) governatore del medesimo territorio tra il 180 a.C. e il 178 a.C. dopo alcuni successi militari cerco di rimuovere le ragioni dell’ostilità contro Roma – strategia coronata dalla conclusione di trattati di pace con alcune tribù celtibere. Nel 137 a.C. sotto le mura della celtibera Numanzia il console Caio Ostilio Mancino venne sconfitto e firmò una pace umiliante per Roma, trattato disconosciuto poi dal senato sì che la guerra numantina fu affidata al brillante comandante Scipione Emiliano, eletto per la seconda volta al consolato nel 134 a.C., il quale conquistò e distrusse la città l’anno seguente Appiano “Le guerre iberiche” DATE DA RICORDARE  496 a.C. Roma sconfigge i Latini nella battaglia presso il lago Regillo  493 a.C. Foedus Cassianum, trattato alleanza colla Lega latina  483 a.C. Prima guerra contro Veio.  449 a.C. Decemviri pubblicano leleggi delle XII tavole  445 a.C. Sono permessi i matrimonifra i due ordini (plebiscito Canuleio)  396 a.C. Roma sconfigge Veio, grazie a Marco Furio Camillo  390 a.C. Sacco di Roma, da parte dei Galli Senoni (sconfiggendo i romani presso il fiume Allia)  367 a.C. Leggi Licinie Sestie  343 a.C. Inizio della prima guerra sannitica  341 a.C. Fine della prima guerra sannitica + inizio della “grande guerra latina” 52 PARTE SECONDA: “LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI” Cicerone “La repubblica” - Cicerone “I doveri” - Cicerone “Le leggi” AGER PUBLICUS E LA RIFORMA AGRARIA DI CAIO LEIO Le guerre di conquista avevano fatto crescere l’ager pubblicus, terreno di probità dello Stato romano. Parti di esso erano concesse in uso a privati a titolo di occupatio: la proprietà restava sempre dello Stato. L'utilizzo era garantito dietro un pagamento del tutto irrisorio. La crisi della piccola proprietà tendeva a favorire la concentrazione dell’agro pubblico nelle mani dei proprietari terrieri ricchi e potenti. Di qui la necessità di una serie di norme che mirassero a restringere l'estensione di terreno pubblico che poteva essere occupato. Caio Lelio, amico di Scipione Emiliano, aveva proposto un progetto in tal proposto che trovò subito contrasto nel senato tanto che egli preferì rinunciare, e lo ritirò. TIBERIO GRACCO Membro della nobilitas, figlio di Tiberio Sempronio Gracco trionfatore in Spagna, Tiberio volle riprendere nell'anno del suo tribunato della plebe il tentativo di operare una riforma agraria tramite norme che limitassero la quantità di agro pubblico posseduto. Il progetto di legge, Proposto nel 133 a.C., fissava all'occupazione di agro pubblico un limite di 500 iugeri (125 ettari) con l'aggiunta di 250 iugeri per figlio fino a un massimo di 1000 iugeri. Un collegio di triumviri eletto dal popolo e composto da Tiberio il fratello Caio e il suocero che era princeps (Pulcro, presidente del senato) avrebbero avuto il compito di ripartire i terreni in eccesso da distribuire ai cittadini più poveri. Scopo principale della legge pare essere stata l’esigenza di ricostruire e recuperare il ceto dei piccoli proprietari terrieri. La grande aristocrazia si oppose perché grandi proprietari si ritennero espropriati di risorse che seppure abusivamente consideravano proprie; così il giorno in cui progetto doveva essere votato nei comizi tributi, il tribuno della plebe Marco Ottavio pose il suo veto impedendone l'approvazione (indotto dagli ambienti conservatori). Tiberio, dopo aver tentato di vincere le resistenze propose all'assemblea di destituirlo perché violava il bene del popolo. La legge fu così approvata, ma l'opposizione non si placò e Tiberio nel timore di perdere l'inviolabilità personale pensò di presentare la candidatura al tribunato anche per l'anno successivo. Fu allora facile per gli avversari insinuare che egli intendesse aspirare al potere personale. Nel corso di comizi elettorali in gruppo di avversari e senatori lo assalì e lo uccise insieme ai suoi sostenitori. Plutarco “Vita di Tiberio e Caio Gracco” – Velleio Patercolo “storia romana” - Cicerone “Bruto” DA TIBERIO A CAIO GRACCO La morte di Tiberio Gracco non pose fine all’attività della commissione triumvirale della riassegnazione di terre nel Piceno, in Lucania e Campania. Fu però ben presto chiaro il malcontento degli alleati latini e italici, ed interprete delle loro lamentele si fece Scipione Emiliano (marito di Sempronia, sorella dei Gracchi); morto improvvisamente in circostanze misteriose, Fulvio Flacco, membro del triumvirato agrario divenuto console, propose che tutti gli allegati che e avessero fatta richiesta potessero ottenere la cittadinanza romana o se avessero preferito conservare la loro condizione, almeno il diritto di appellarsi al popolo contro eventuali abusi di magistrati romani. L’opposizione alla proposta fu vastissima, tanto che essa non poté nemmeno essere discussa e Flacco preferì non insistervi. “Le guerre civili” CAIO GRACCO Nel 123 a.C. fu eletto tribuno della plebe, fratello minore di Tiberio. Nel corso di due mandati consuntivi riprese la riforma del fratello. La legge agraria fu ritoccata e aumentati i poteri della commissione triumvirale; poiché gran parte delle terre erano già state distribuite, Caio propose l'istituzione di nuove colonie di cittadini romani se ne Italia sia nel territorio della distrutta Cartagine. Una legge frumentaria assicurò ad ogni cittadino residente a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato. Grandi granai pubblici appositamente costruiti dovevano custodire le grandi quantità di cereale necessarie per le distribuzioni. Con una legge giudiziaria Caio volle limitare il potere del senato integrando un cospicuo numero di cavalieri nel corpo da cui attingere per la formazione degli albi dei giudici e riservando ai cavalieri il controllo dei tribunali permanenti cui erano affidati i processi di concussione e che perseguivano le malversazioni e le estorsioni dei magistrati ai danni dei provinciali. 55 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” In questo modo i senatori-governatori non sarebbero stati giudicati da giudici-senatori, ma da rappresentanti di quegli stessi cavalieri che prendevano in appalto le imposte e gestivano le grandi operazioni commerciali nelle provincie. Un altro provvedimento prevedeva che il senato dovesse decidere prima delle elezioni consolari quali tra le province dovessero essere classificate consolari (dunque da assegnare ai futuri consoli) per impedire che una scelta fatta dopo fosse influenzata da ragioni personali e politiche. Caio propose di estendere la cittadinanza romana ai latini e di concedere alcuni vantaggi giuridici agli altri italici. Approfittando dell'assenza di Caio, partito per l'Africa il senato si servì di un tribuno per contrastare le leggi di Caio, Marco Livio Druso e per creare scompiglio politico. Al suo ritorno a Roma Caio si rese conto che la sua popolarità era in declino e infatti non venne rieletto. A questo seguirono una serie di tumulti e disordini il senato fece ricorso alla procedura del senatus consultum ultimum affidando ai consoli il compito di tutelare il bene dello Stato con qualsiasi mezzo. I sostenitori dei Gracchi vennero uccisi e lo stesso Caio si fece uccidere da uno schiavo. Plutarco “Vita di Tiberio e Caio Gracco”- Appiano “Le guerre civili” SMANTELLAMENTO DELLA RIFORMA AGRARIA Poiché le riforme dei Gracchi rispondevano a problemi reali, gli ottimati non osarono abolirle, ma ne ridussero gli effetti. I lotti attribuiti furono dichiarati alienabili, venne posto fine alle operazioni di recupero e riassegnazione delle terre, lasciando i possessi legittimamente occupati agli attuali detentori, prima in concessione e poi in proprietà, e fu abolita la commissione agraria. PROVINCE, ESPANSIONISMO E NUOVI MERCATI Prima del 133 a.C. Roma aveva dedotto sei provincie: Sicilia, Sardegna, Corsica, Spagna Citeriore, Spagna Ulteriore, Macedonia e Africa. La deduzione di una provincia è da considerare eminentemente come “atto non di annessione, ma di guerra”, a ciò si deve aggiungere la natura istituzionale composita delle nuove acquisizioni, che comportava nuove condizioni con cui era inevitabile confrontarsi. Il magistrato fissava regolamenti e condizioni fiscali, e determinava l’ager publicus; l’insieme di questi elementi veniva definnito lex provinciae. Una delle leggi più note è la lex Rupilia, relativa alla Sicilia (132 a.C.), che faceva riferimento alla formula provinciae, una sorta di prospetto ufficiale che descriveva gli ambiti geografici, gli statuti e gli obblighi delle singole comunità che si trovavano all’interno della circoscrizione provinciale, ovvero la condizione giuridica e fiscale di ognuna di esse. Tra il 125 a.C. e il118 a.C. i romani, avvalendosi dell’alleanza con la greca Marsiglia, concentrarono il proprio impegno contro le tribù celto-liguri e galliche stanziate nel corridoio costiero della Gallia Meridionale, che consentiva loro il passaggio terrestre dalle regioni liguri verso le conquiste spagnole. Un momento importante fu costituito dalla fondazione del centro Aquae Sextiae (Aix en Provence) da parte di Caio Sesto Calvino. Due anni dopo Massimo e Enobarbo con le loro vittorie contro Allobrogi e Arverni, posero le basi per la nuova provincia narbonese; consolidato il possesso delle isole verso la Spagna furono conquistate anche le Baleari, le colonie di Palma e Pollenzia; al contempo iniziarono le campagne militari in Dalmazia. Strabone “Geografia” I COMMERCIATI ITALICI E L’AFRICA; GIUGURTA; CAIO MARIO Scipione Emiliano aveva regolato le questioni africane dopo la guerra punica, con la costituzione di una provincia piccola ma ricca che aveva buoni rapporti con il re della Numidia. Morto il figlio di Massinissa il regno fu conteso tra i tre eredi. Il più spregiudicato, Giugurta, uccise uno dei fratelli e l'altro fu costretto a rifugiarsi a Roma, dove chiese aiuto al senato, il quale optò per la divisione della Numidia tra i due fratelli (a Giugurta la parte occidentale e più vasta e a suo fratello quella orientale e iù ricca). Giugurta voleva impadronirsi anche della porzione del fratello e assediò la capitale del regno, Cirta. Giugurta presa la città fece uccidere non solo il fratello ma anche i romani e gli Italici che vi svolgevano le loro attività. Roma fu costretta a scendere in guerra nel 111 a.C. Le prime operazioni militari furono poco soddisfacenti per Roma, così vennero posti al comando il console Metello affiancato da Caio Mario. Il console sconfisse ripetutamente Giugurta ma non del tutto. In questo clima venne eletto Caio Mario al consolato e gli venne affidato il comando della guerra contro Giugurta. 56 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” Mario era un homo novus, molto abile politicamente. Aveva sposato Giulia, zia del futuro Giulio Cesare e si era in questo modo imparentato con un'antica anche se decaduta famiglia Patrizia. Sallustio “La guerra giugurtina” – Livio “Perioche” ARRUOLAMENTO NULLATENENTI E FINE DELLA GUERRA GIUGURTINA Il reclutamento legionario era limitato ai soli cittadini iscritti alle cinque classi censitarie, così per mancanza di truppe si era via via diminuito il censo minimo per l’attribuzione dei cittadini alla quinta classe fino a cifre irrisorie. Mario, bisognoso di nuove truppe per la guerra contro Giugurta e per le invasioni da parte dei Cimbri e Teutoni, aprì l'arruolamento volontario ai capite censi, cioè a coloro che erano iscritti sui registri del censo per la loro sola persona, senza il minimo bene patrimonial, dunque ai nullatenenti. Dopo Mario questa divenne una pratica regolare. Con il suo esercito Mario ritornò in Africa e dopo tre anni riuscì grazie a delle trattative diplomatiche a rompere l'alleanza tra Giugurta e il suocero Bocco re di Mauretania. Soprattutto grazie all'opera di Cornelio Silla, legato di Mario, Bocco tradì Giugurta e lo consegnò ai romani. La Numidia fu assegnata a un nipote di Massinissa, fedele a Roma, la parte rimanente a Bocco. Plutarco “Vita di Caio Mario” – Sallustio “La guerra giugurtina” CIMBRI E TEUTONI Nel frattempo due popolazioni germaniche Cimbri e Teutoni avevano iniziato un movimento migratorio verso sud, minacciando la nuova provincia in Gallia; furono affrontati al di là delle alpi dal console Carbone, inviato a proteggere i confini dell’Italia e soprattutto a difendere una zona molto ricca la Noreia, i Romani subirono una disastrosa sconfitta. Due anni dopo i Cimbri e i Teutoni comparvero in Gallia, minacciando la nuova provincia narbonese; i ripetuti tentativi di respingerli si risolsero in catastrofi, che culminarono nella disfatta di Arausio, dove il disaccordo tra il proconsole Cepione e il console Massimo costò all’esercito rimano una delle più grandi catastrofi della sua storia. Mentre a Roma cresceva l’incapacità dei generali di origine nobiliare e aumentava la paura verso i Cimbri e i Teutoni, Mario venne rieletto console in assenza e gli fu affidato il comando della guerra. Nell’attesa che i barbari si facessero avanti, Mario riorganizzò l’esercito: la legione non venne più divisa in 30 piccole unità, ma in dieci coorti di circa 600 uomini, ognuna delle quali era in grado di operare con una certa autonomia. La sua riorganizzazione militare toccò quasi tutti gli aspetti, dall’addestramento individuale all’equipaggiamento. Così quando i barbari ricomparvero i Romani si rivelarono in grado di sostenere l’urto; i due popoli si erano divisi, i Teutoni avanzavano nella Gallia meridionale e i Cimbri si accingevano a valicare i Passi delle Alpi Centrali. Mario affrontò prima i Teutoni a Aquae Sextiae, e l’anno dopo mosse contro i Cimbri e li sconfisse nell’odierna Vercelli. Plutarco “Vita di Caio Mario” ECLISSI POLITICA DI MARIO; SATURNINO E GLAUCIA Mario mentre era impegnato sul fronte militare avere creduto utile appoggiarsi a Saturnino, un nobile che era entrato in lotta con delle fazioni conservatrici, che usando come pretesto l'aumento del prezzo del grano, lo avevano sostituito con un proprio membro con l’incarico di printendente frumentario. Mario l’aveva aiutato ad essere eletto come tribuno alla plebe e in cambio Saturnino aveva fatto approvare una distribuzione delle terre in Africa; aveva poi proposto una legge frumentaria che riduceva il prezzo fissato da Caio Gracco; promulgò anche la lex de maiestate che puniva il reato di lesione dell’autorità del popolo romano, compiuto dai magistrati travalicando i poteri loro conferiti. Nel 100 a.C. Mario venne eletto al suo sesto consolato, Sturnino era stato rieletto tribuno della plebe Glaucia suo compagno di parte popolare, pretore. Saturnino contando sull'appoggio di Mario propose una legge agraria che prevedeva assegnazioni di terre in Gallia meridionale e in Sicilia; per bloccare eventuali opposizioni Saturnino fece approvare una clausola che obbligava i senatori a giurare di osservare la legge. Glaucia nel frattempo aveva restituito le giurie permanenti ai cavalieri. Saturnino ottenne la rielezione a tribuno anche per l'anno successivo mentre Glaucia si candidava al consolato. Durante le votazioni scoppiarono diversi tumulti. Durante i quali un avversario di Glaucia fu 57 I PRIMI GRANDI SCONTRI TRA FAZIONI IN ARMI MITRIDATE VI EUPATORE Durante la guerra sociale, c'era una situazione allarmante in Oriente. I Parti della dinastia degli Arsacidi avevano pian piano sottratto possedimenti al regno seleucide, fino ad occupare stabilmente, fino ad occupare stabilmente la Mesopotamia e la Babilonia. Nella penisola Anatolica vi era un forte frazionamento politico, Roma favorì la coesistenza di piccoli stati dinastici nella provincia dell’Asia. Mitridate VI divenuta re del Ponto era riuscito a stabilire accordi con la vicina Bitinia per dividersi le zone limitrofe, e stava espandendo il suo dominio. Il senato era molto attento alle sue mosse, Mitridate inoltre si era impossessato anche della Cappadocia dopo la morte di Saturnino. Nel 92 a.C. Silla, come pretore intervenne per ripristinare nella Cappadocia un re gradito ai romani. Approfittando della guerra sociale Mitridate aveva ripreso la sua missione espansionistica, facendo invadere nuovamente la Cappadocia da suo genero Trigane e spodestando dalla Bitinia il nuovo re. Verso la fine del 90 a.c. Roma decise di inviare in oriente una legazione, con l'incarico di rimettere sul trono dei paesi i legittimi re; la legazione non si limitò a questo, il re spodestato dalla Bitinia si ritenne autorizzato a condurre scorrerie nel territorio del Ponto. Mitridate scese così in guerra contro i romani, nella favorevole posizione di aggredito e di vittima. La sua azione ai fondò su un'opera di propaganda rivolta al mondo greco, al quale si presentò come sovrano "benefattore", sfruttando il malcontento verso romani in Oriente. Travolte le forze romane, fu presto padrone di tutta l'Asia. Per suo ordine più di 80.000 tra Romani e Italici, vennero massacrati. Anche l'isola di Delo (dove gli italici furono sterminati), caposaldo del commercio romano in oriente e la stessa Atene, aderirono al nuovo liberatore. Gran parte del mondo greco si sollevò contro il dominio romano. La sola Rodi rimase fedele a Roma. Roma decise di intervenire, affidando il comando della guerra a Silla. Appiano “Le guerre di Mitridate” IL TRIBUNATO DI RUFO, IL RITORNO DI MARIO; SILLA MARCIA SU ROMA A Roma il tribuno della plebe Rufo, amico di Druso si adoperava per privare Silla del comando della guerra e contemporaneamente riprendeva il problema dell'inserimento dei nuovi cittadini italici nelle tribù romane. Il governo era stato costretto a trasformare larghe masse di alleati in cittadini romani, e aveva al contempo cercato di evitare che essi potessero sconvolgere gli equilibri politici; infatti il fatto che essi dovessero venir 60 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” iscritti nella tribù poteva condurre a mutamenti radicali. Si era fatto ricorso all'espediente di immetterli in un numero limitato di tribù, per far si che i neocittadini potessero influire soltanto sul voto di poche tribù. Un’altra conseguenza della guerra di Mitridate era l’impoverimento complessivo tanto dello stato romano quanto dei singoli e per far fronte a questi problemi Rufo propose una serie di provvedimenti: il richiamo dall’esilio di quanti erano stati perseguitati per collusioni con gli alleati italici; l’inserimento dei neocittadini in tutte le 25 tribù; un limite massimo di indebitamento di 2000 denari per ciascun senatore oltre al quale ne sarebbe decretata l’espulsione dal senato. Infine fece approvare il trasferimento del comando della guerra contro Mitridate da Silla a Mario. Appresa la notizia, Silla marciò su Roma: le truppe si sentivano più legate al proprio comandante, con cui condividevano campagne e bottini, che allo Stato. Impadronitosi di Roma, Silla fece dichiarare i suoi avversari nemici pubblici: Sulpicio venne eliminato, Mario fuggì alla volta dell’Africa. Sbarcato nell’Epiro nell’87 a.C. Silla cinse d’assedio Atene, poi presa e saccheggiata. Poi, direttosi verso la Grecia centrale sconfisse le truppe pontiche a Cheronea e a Orcomeno, in Beozia (86 a.C.) Appiano “Le guerre civili” – Plutarco “Vita di Silla” Lucio Cornelio Cinna e l’ultimo consolato di Mario L’anno precedente, l’87 a.C., vide però al consolato Lucio Cornelio Cinna, che proponeva di iscrivere i neocittadini nelle 35 tribù: venne cacciato da Roma e in Campania venne raggiunto da Mario. Roma venne presa nuovamente, Silla dichiarato nemico pubblico e ci furono stragi atroci, delle quali furono vittime i più autorevoli sostenitori di Silla. Mario venne eletto console insieme a Cinna nell’86 a.C. In ordine a questo stato di cose, fu mandato un nuovo corpo di spedizione contro Mitridate in sostituzione di Silla che non rappresentava più lo Stato romano e Cinna venne rieletto console sino all’84 a.C. dando adito ad un’ampia opera legislativa; furono immessi nelle 35 tribù i neocittadini. Cinna morì ucciso dai suoi stessi soldati, presso Ancona per sbarcare poi in Grecia, preparandosi ad anticipare Silla che si apprestava a tornare. Appiano “Le guerre civili” CONCLUSIONE DELLA PRIMA GUERRA MITRIDATICA Nell’86 a.C. dunque due armate romane si trovarono in Grecia, l’una agli ordini di Silla, l’altra inviata da Cinna, agli ordini di Flacco. Esse non si incontrarono mai, ricacciando Mitridate in Asia + Silla preoccupato dell’evolversi della situazione a Roma si affrettò a sancire una pace, stipulata a Dardano, nella Troade, nel l85 a.C. a condizioni relativamente miti: Mitridate conservava il suo regno ma doveva evacuare il resto dell’Asia, inoltre dovette versare una forte indennità e consegnare la propria flotta. Le ostilità in Asia tuttavia non cessarono del tutto e Lucio Licinio Murena, governatore d’Asia, lasciato da Silla a capo dell’esercito dovette continuare a effettuare incursioni in territorio pontico, accusando Mitridate di prepararsi a riprendere le armi. Quest’ultimo reagì alle provocazioni sconfiggendo Murena e dilagando nuovamente in Cappadocia, fino a che i contendenti non furono fermati da un personale intervento di Silla. Appiano “Le guerre civili”- Plutarco “Vita di Silla” LE PROSCRIZIONI; SILLA DITTATORE PER LA RIFORMA DELLO STATO Sbarcato a Brindisi, in due anni Silla riuscì a prevalere sui suoi avversari, impadronendosi della Apulia, Campania e del Piceno; sconfisse Caio Mario il Giovane e s’impadronì di Roma grazie all’aiuto di Marco Licinio Crasso. Restavano da eliminare gli oppositori mariani in Africa e Sicilia, operazione in cui si distinse Cneo Pompeo. Poi, per rendere definitiva la sua vittoria, Silla introdusse le liste di proscrizione: elenchi di avversari politici, che chiunque poteva uccidere. Poi che entrambi i consoli dell’82 a.C. erano morti in conflitto, il senato nominò un interrex, il princeps senatus Lucio Valerio Flacco, il quale non designò nuovi consoli ma presentò ai comizi la proposta che nominava Silla dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae, senza alcun vincolo di durata temporale. L’opera riformatrice di Silla che già aveva, conosciuto il suo inizio nell’88 a.C. prima della guerra mitridatica, continuò rivoluzionando a vari livelli l’ordine politico e sociale, già segnato da profondi mutamenti in ordine alla concessione della cittadinanza agli alleati, l’aumento del numero delle province e la radicalizzazione della lotta politica. 61 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI”  Ogni proposta di legge avrebbe dovuto ottenere il consenso del senato prima di essere sottoposta al voto popolare.  I comizi centuriati dovevano divenire la sola assemblea legislativa legittima.  Il senato, segnato dai massacri e dalle proscrizioni, venne portato a 600 membri, con l’immissione di 300 cavalieri.  Il numero dei pretori fu alzato a otto, per far fronte alle necessità della moltiplicazione dei tribunali Il numero dei pretori fu alzato a otto, per far fronte alle necessità della moltiplicazione dei tribunali  Il numero dei pretori fu alzato ad 8, per far fronte alle necessità della moltiplicazione dei tribunali permanenti: tribunali, riservati ora al senato. Le competenze loro furono suddivise in modo che a ciascuno spettasse uno solo dei principali reati: 1. estorsione e concussione (de repetundis) 2. alto tradimento (de maiestate) 3. appropriazione di beni pubblici (de peculatu) 4. broglio e corruzione elettorale (de ambitu) 5. assassinio e avvelenamento (de sicariis et veneficiis) 6. frode testamentaria e monetale (de falsis) 7. lesione alle persone (de iniuriis)  Vennero regolamentati l’ordine di successione alle magistrature e le età minime per accedervi.  Furono ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, limitando il loro diritto di veto e annullando quello di proporre nuove leggi.  Il pomoerium fu esteso lungo la linea tra Amo e Rubicone, comprendendo le terre italiche ove era diffusa perlopiù la cittadinanza romana. Compiuta la riorganizzazione dello Stato, Silla abdicò la dittatura, nel 79 a.C. si ritirò in Campania e ivi morì l’anno seguente. Appiano “Le guerre civili”- Plutarco “Vita di Silla” IL TENTATIVO DI REAZIONE ANTISILLANA DI MARCO EMILIO LEPIDO Nello stesso anno (78 a.C.) il console Marco Emilio Lepido tentò di ridimensionare l’ordinamento sillano, chiedendo il ripristino delle distribuzioni frumentarie e la restituzione agli antichi proprietari delle terre confiscate a favore dei coloni insediati da Silla, ma l’opposizione incontrata dai suoi progetti ebbe l’effetto di 62 DAL PRIMO TRIUMVIRATO ALLE IDI DI MARZO IL RITORNO DI POMPEO E IL COSIDDETTO ‘’PRIMO TRIUMVIRATO’’ Nel 62 a.C. Pompeo tornava in Italia, sbarcando a Brindisi: il senato però non lo accolse come lui stesso si aspettava, rimandando di giorno in giorno la concessione di terre ai suoi veterani e la ratifica degli assetti territoriali da lui decisi in Oriente. Deluso, si riavvicinò a Crasso e al giovane patrizio suo alleato, l’emergente Giulio Cesare, coi quali strinse un accordo nel 60 a.C. di sostegno reciproco, chiamato comunemente, primo triumvirato. Definizione impropria, ricavata dall’unico vero triumvirato, il secondo; si trattava infatti di un patto segreto e privato, in base al quale Cesare sarebbe dovuto diventare console nel 59 a.C. sì che avrebbe varato una legge agraria per sistemare i veterani di Pompeo. L’accordo fu cementato dal matrimonio fra Pompeo e Giulia, figlia di Cesare. Sventonio “Vita di Cesare” - Appiano “Le guerre civili” CAIO GIULIO CESARE CONSOLE L’accordo diede immediatamente i suoi frutti e Cesare fu eletto console per il 59 a.C. Egli fece votare due leggi agrarie che prevedevano una distribuzione di tutto l’agro pubblico rimanente in Italia, ai veterani di Pompeo. Fu approvata una lex Iulia de repetundis, per procedimenti di concussione, che ampliava la legislazione sillana a riguardo. Verso la fine della sua carica, il tribuno Publio Vatinio, fece approvare un provvedimento che attribuiva a Cesare per cinque anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico, con tre legioni e il diritto di nominare i propri legati e fondare nuove colonie. Pompeo più tardi propose si aggiungere alle competenze di Cesare il governo della Gallia Narbonese, con l’assegnazione di una quarta legione. IL TRIBUNATO DI PUBLIO CLODIO PULCRO Partendo per le province, Cesare volle lasciare una spina nel fianco a coloro che gli erano risultati ostili; insieme a Crasso e Pompeo, infatti, appoggiò la candidatura al tribunato della plebe di Publio Clodio Pulcro. Egli fece approvare una serie di leggi: 1. Il potere dei censori di espellere membri dal senato venne limitato. 2. Nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche, adducendo l’osservazione di auspici sfavorevoli. 3. Vennero legalizzati i collegia, associazioni private con fini religiosi di mutuo soccorso, soppresse qualche anno prima perché ritenuti da senato, strumento di mobilitazione delle masse urbane. 4. Si comminava l’esilio a chiunque avesse condannato a morte un cittadino romano senza concedergli di appellarsi al popolo. Cicerone, accusatore dei catilinari, era il bersaglio precipuo: insieme a lui fu fatto allontanare da Roma anche Catone con l’incarico di rivendicare il possesso dell’isola di Cipro da Tolomeo che vi regnava, il quale poi si suicidò. CESARE IN GALLIA 65 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” Quando Cesare arrivò nelle sue province era in atto, a nord della Nabornese, una migrazione di Elvezi verso occidente che minacciava le terre degli Edui e forse la stessa provincia romana. Cesare attaccò e sconfisse gli Elvezi, a Bibracte, capitale degli Edui, costringendoli a retrocedere. Gli Svevi, condotti da Ariovisto, erano passati oltre il fiume Reno, chiamati in aiuto dai Sequani, confinanti e rivali degli Edui. I quali vennero battuti ripetutamente e diedero la possibilità a parte degli uomini di Ariovisto di stabilirsi in una parte del territorio dei Sequani (Alsazia). Intimato al capo germanico di ritirarsi oltre il Reno, e infranto nuovamente questo avviso, le migrazioni verso l’Alsazia ripresero – Cesare procedette contro la capitale dei Sequani, Vesonzio, sconfiggendo l’avversario nella battaglia presso Mulhouse, nell’Alsazia superiore, e costringendolo a oltrepassare il Reno. Allarmate le tribù dei Begli, dalla prossimità delle legioni romane, non riuscirono però a contrastarle e Cesare s’impadronì delle loro piazzeforti, riducendo alla resa i cantoni, prima più meridionali poi le tribù stanziate più a nord (Nervii) – 58-57 a.C. Conclusa questa campagna, Cesare ritornò in Cisalpina, lasciando le sue truppe accampate nei quartieri invernali presso Vesonzio. La presenza romana nella Gallia centrale suscitò però a nord le reazioni delle tribù dei Belgi allarmate dalla vicinanza delle legioni. Negli stessi anni, un legato di Cesare, Publio Licinio Crasso (figlio di) si spingeva verso la Normandia, sottomettendo numerose tribù della Normandia e della Bretagna. Successi dovuti anche alla completa mancanza di organizzazione da parte nemica a condurre un’azione unitaria, ma anche grazie alla capacità di adattare tattiche diverse, da parte di Cesare, a seconda di quello che di volta in volta la situazione esigeva. Nel 57 a.C. consapevole della situazione non facile nella capitale, comunicò al senato che la Gallia poteva ritenersi pacificata, anche se metà del paese non era effettivamente ancora stata domata. Cicerone “Orazione sulle provincie consolari” GLI ACCORDI DI LUCCA E LA CONQUISTA DELLA GALLIA Terminato l’anno del tribunato di Clodio, i suoi avversari premevano per il ritorno di Cicerone, tra questi si trovava Pompeo, pentitosi di non aver fatto nulla per evitare l’esilio dell’oratore e preoccupato dei crescenti successi di Cesare in Gallia: nel 57 a.C. Cicerone rientrava a Roma. Pompeo trovatosi in un pericoloso stallo politico, ove le sue azioni, prese di mira da Clodio e le sue bande, rischiavano di logorare fama e prestigio, se accompagnate da un qualsiasi fallimento, accettò l’incarico che gli conferiva poteri straordinari, per una durata di cinque anni, per provvedere all’approvvigionamento della città: cura annonae. Lucio Domizio Enobarbo, lasciò intendere, contro la rapida ascesa di Cesare, che se eletto nel 55 a.C. alla massima magistratura, avrebbe proposto la revoca del suo proconsolato in Gallia Cesare, dopo aver incontrato Crasso a Ravenna, nel 56 a.C. Incontrò Pompeo a Lucca e decise di accordarsi su un progetto che lo avrebbe visto in Gallia per altri cinque anni, con l’aumento a dieci, delle legioni a sua disposizione e i tre si sarebbero impegnati a far eleggere al consolato per l’anno 55 a.C. Pompeo e Crasso, al termine del quale avrebbero ricevuto rispettivamente le province di Spagna e di Siria. Sul fronte del Reno, continuò dunque la sottomissione di tribù germaniche, specie Usipeti e Tencteri, annienti nello stesso anno; di li a poco Cesare si sarebbe spinto in Britannia. Nel 54 a.C. oltre il canale della Manica ebbe luogo una vera e propria spedizione verso il Tamigi e la sottomissione di parecchie tribù della costa. Il 53 a.C. invece trascorse nella repressione di rivolte scoppiate nelle regioni settentrionali della Gallia. Il 52 a.C. conobbe un grave crisi nella Gallia centro-occidentale, la quale vedeva a capo dell’insurrezione il re degli Arverni, Vercingetorìge. Cesare, dalla Cisalpina, si precipitò in Arvernia, dove pose l’assedio al centro fortificato di Gergovia, presso Clermont-Ferrand. In quel momento, fallita l’incursione nella città, anche gli Edui rialzarono il capo Cesare si diresse, verso nord, per ricongiungersi col suo legato Tito Labieno – insieme si misero in marcia contro Vercingetorìge, il quale rifiutando ogni battaglia campale, si rinchiuse nella piazzaforte di Alesia. Dopo un lungo assedio, la roccaforte capitolò: Vercingetorìge fu inviato a Roma, ove sei anni dopo sarebbe stato fatto sfilare dinanzi il carro trionfale di Cesare per poi essere decapitato ai piedi del Campidoglio. Dal 51 a.C. Cesare provvide per proprio conto, senza quindi alcuna istruzione da parte del senato, a dare un primo ordinamento alla nuova provincia romana: la Gallia Comata. Plutarco “Vita di Catone Uticense” 66 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” CRASSO E I PARTI Nel 54 a.C. un’altra importante vicenda si era costituita presso il regno dei Parti, ove Crasso aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica allora in atto, per poter conferire anche a se stesso quella fama di cui godevano Pompeo e Cesare. Nel 53 a.C. senza ascoltare consigli da parte dei suoi legati e del re d’Armenia, si mise in marcia attraverso le steppe della Mesopotamia, senza per giunta aver ottenuto sufficienti informazioni sui luoghi e il modo con cui avrebbe affrontato i nemici. Venuti a contatto con l’esercito dei Parti, i Romani furono travolti, lo stesso figlio di Crasso, morì in battaglia. Elemento di ancor più grave umiliazione fu la perdita delle aquile di sette legioni; fu una delle più pesanti sconfitte mai patite da Roma. Anche la provincia di Siria si trovò minacciata. Vendicare l’oltraggio di questo episodio divenne un imperativo della politica romana tardorepubblicana, da Cesare ad Antonio. Mentre si ritirava, Crasso fu preso e ucciso. Appiano “Le guerre civili” POMPEO CONSOLE UNICO; GUERRA CIVILE TRA CESARE E POMPEO Nel 54-53 a.C. cominciarono a venir meno i vincoli politici e familiari che univano Pompeo a Cesare. Dopo la morte di Crasso e la morte della moglie Giulia, Pompeo iniziò ad accostarsi in misura sempre più accentuata alla fazione ottimate anticesariana. Nel 53 a.C. inoltre, non si era riusciti a eleggere i due consoli e fu proposto di nominare Pompeo dittatore. L’anarchia l’anno seguente raggiunse il proprio apice: sulla via Appia, le bande armate di Clodio, che aspirava alla pretura, si scontrarono con quelle di Milone, candidato al consolato – il primo dei due perse la vita. Per evitare ulteriori tumulti, Pompeo venne eletto console senza collega; fece votare leggi repressive in materia di violenza (de vi) e di broglio elettorale (de ambitu) che consentirono la condanna di Milone e il ristabilimento di un equilibrio, sebbene precario. Gli avversari di Cesare premevano per il suo ritorno a Roma, sostenendo la revoca del proconsolato, per poterlo poi accusare, da privato cittadino, circa il modo e i metodi con cui aveva condotto la guerra, nonché in merito alla legittimità della guerra stessa. Cesare per evitare procedimenti contro di sé, avrebbe dovuto rivestire il consolato senza interruzioni al proconsolato. Doveva presentare la sua candidatura restando assente da Roma, cosa che poté realizzare grazie a una legge ad personam, che i dieci tribuni della plebe avevano fatto votare nel 52 a.C. Per contro Pompeo proponeva un provvedimento che prescriveva un intervallo di cinque anni tra una magistratura e una promagistratura. Dal 51 a.C. cominciò fra Cesare e i suoi avversari una lotta a colpi di cavilli e espedienti giuridici, tesa a raggiungere, da parte di Cesare, l’estensione del suo comando fino a tutto il 49 a.C. per poi potersi candidare al consolato del 48 a.C. “in assenza”; mentre da parte dei suoi oppositori, l’immediata sostituzione di Cesare già dal 50 a.C. Con la nuova procedura diveniva molto più facile rimpiazzare Cesare, grazie ad essa il suo successore al governo della provincia poteva essere scelto in ogni momento fra quelle persone che avessero occupato una magistratura quinquennale o in più anni prima. Nel 50 a.C. per cercare di mettere fine ai continui colpi di contese interpretative, un tribuno, Caio Scribonio Curione, propose che si abolissero contemporaneamente tutti i comandi straordinari, e di Cesare, e di Pompeo. Lo stesso anno il senato si pronunciò a larga maggioranza a favore della deposizione delle cariche dei due proconsoli. Nel 49 a.C. Cesare dichiarava che sarebbe stato disposto a deporre il suo comando se anche Pompeo l’avesse fatto, i suoi avversari insistettero e ottennero perché fosse lui ad abdicare unilateralmente le sue cariche. Il senato votò il senatus consultum ultimum contro Cesare, affidando a Pompeo il compito di difendere lo Stato. Appresa questa decisione Cesare, varcò in armi il torrente Rubicone, dando così inizio alla guerra civile. Pompeo e molti dei senatori, con l’aggiunta dei consoli abbandonarono la città diretti a Brindisi, per imbarcarsi verso Oriente. Cesare adducendo a propria giustificazione la tutela dei diritti del popolo e della propria dignitas, percorse rapidamente l’Italia, ma non riuscì a fermare il trasferimento in Grecia che i suoi avversari si accingevano a preparare. Cesare affrontò quindi la minaccia delle forze pompeiane in Spagna con le sue truppe concentrate in Gallia – assali dunque i pompeiani presso Ilerda, che vennero sconfitti. Tornato a Roma, rivestì la carica che Marco Emilio Lepido gli aveva fatto conferire in sua assenza, di dittatore al solo scopo di convocare i comizi elettorali, i quali lo elessero console per l’anno 48 a.C. Mentre Pompeo stabiliva il suo quartier general a Tessalonica, le sue navi battevano l’Adriatico per impedire eventuali sbarchi di Cesare – il quale compì la traversata in inverno, riuscendo a traghettare le sue legioni, per poi porre sotto assedio Durazzo, ma fu respinto. 67 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” Quando, alla fine del suo consolato, Antonio si era fatto assegnare al posto della Macedonia le due province della Gallia Comata e Cisalpina, Decimo Bruto rifiutò di cedergliela e si rinchiuse a Modena, assediata da Antonio – “guerra di Modena” (43 a.C.) – il senato, nel frattempo, ordinò ai consoli, Aulo Irzio e Caio Vibio Pansa, di muovere soccorso a Decimo Bruto (non senza una considerevole spinta di Cicerone, che accusava Antonio della sua condotta prevaricatrice). I consoli morirono nello scontro. Antonio, battuto, fu costretto a ritirarsi verso la Narbonese, dove contava di unire le sue forze a quelle di Lepido. Sventonio “Vita di Cesare” (testamento di Cesare) – Plutarco “Vita di Antonio” (Ottaviano, Cicerone e il senato contro Antonio) – Cicerone “Lettere agli amici”(intenzioni di Cicerone). IL TRIUMVIRATO COSTITUENTE; LE PROSCRIZIONI; FILIPPI Dopo che entrambi i consoli erano scomparsi, Ottaviano chiese al senato il consolato per sé e ricompense per i suoi soldati. Al rifiuto non esitò a marciare su Roma, sì che nel 43 a.C. venne eletto console, insieme al cugino Quinto Pedio. Istituirono un tribunale speciale per perseguire gli assassini di Cesare, e Ottaviano fece ratificare la sua adozione dei comizi curiati, fregiandosi del nome di Caio Giulio Cesare (non usò mai il cognome Ottaviano). Annullato il provvedimento senatorio che aveva dichiarato Antonio nemico pubblico, in occasione della guerra di Modena, nell’ottobre di quell’anno, Ottaviano, Antonio e Lepido s’incontrarono nei pressi di Bologna, dove stipularono un accordo, poi fatto sancire da una legge votata dai comizi tributi (lex Titia), in base alla quale:  Veniva istituito un triumvirato rei publicae constituendae, che diventava una magistratura ordinaria (detto triumvirato costituente o secondo triumvirato) per una durata di cinque anni, fino al 38 a.C.  Conferiva il diritto di convocare il senato e il popolo, e designare i candidati alle magistrature.  Antonio avrebbe conservato il governo della Galli a Comata e Cisalpina.  Lepido avrebbe ottenuto la Gallia Narbonese e le Spagne  Ottaviano avrebbe ottenuto l’Africa, la Sicilia e la Sardegna, la Corsica (l’Oriente era in mano ai cesaricidi, Bruto e Cassio). Ad Ottaviano spettò la parte peggiore: Sicilia e Sardegna erano minacciate da Sesto Pompeo, sopravvissuto alla guerra in Spagna, a cui il senato aveva conferito il comando delle forze navali, che gestiva ormai in modo proprio. Vennero create delle liste di proscrizione, coi nomi dei cesaricidi e dei nemici ai triumviri, primo fra questi, Cicerone. Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati. Sistemata la situazione politica a Roma, i triumviri poterono dirigersi verso Oriente alla volta di Bruto e Cassio, ma prima si provvide alla divinizzazione di Cesare e all’istituzione del suo culto: ne beneficiò Ottaviano, che divenne Divi filius. Divi filius. Lo scontro coi cesaricidi, avvenne a Filippi, in Macedonia, nel 42 a.C. Da un lato Ottaviano si trovò subito in difficoltà, dall’altro Antonio vinse Cassio e poi Bruto, entrambi suicidatisi. In quel tempo, inoltre, a causa della decimazione per le liste di proscrizione e i disordini interni, si realizzò un mutamento radicale nella composizione e nella mentalità delle élites di governo, che contavano molte meno famiglie della più antica aristocrazia e la mancanza di una grossa parte dell’opposizione senatoria, più conservatrice. Appiano “Le guerre civili” CONSOLIDAMENTO DI OTTAVIANO; GUERRA DI PERUGIA; SESTO POMPEO; ACCORDI DI BRINDISI, DI MISENO E DI TARANTO; NAULOCO Antonio, uscito vincitore dagli scontri coi cesaricidi, poté cumulare al comando sulle Gallie, anche quello su tutto l’Oriente, da cui intendeva intraprendere un piano di conquista del regno partico come fedele continuatore dell’opera di Cesare. A Lepido fu assegnata l’Africa; Ottaviano ebbe le Spagne, ed il compito di sistemare i veterani delle legioni congedate e il confronto con Sesto Pompeo, a cui si erano uniti i superstiti delle proscrizioni e di Filippi. Ottaviano fu costretto ad espropriare numerose terre in Italia da poter assegnare ai veterani, per cui furono colpiti piccoli e medi proprietari terrieri. Le proteste sfociarono nel 41 a.C. in una rivolta con a capo Lucio 70 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” Antonio e Fulvia (fratello di Antonio e console + moglie di Antonio): gli insorti si rifugiarono a Perugia, città che venne espugnata e saccheggiata (Bellum Perusinum), molti fuggirono a infoltire le fila di Sesto che s’era impadronito di Sardegna e Corsica, impedendo i rifornimenti di Roma e dell’Italia. Ottaviano inoltre aveva potuto appropriarsi delle Gallie, ove era morto il legato di Antonio. In questo stato di cose, si profilava un’alleanza fra Antonio e Sesto, ad arginare il potere di Ottaviano, il quale si legò a Scribonia, figlia di Lucio Scribonio Libone, suocero di Sesto Pompeo (40 a.C.). Antonio si mosse dunque dall’Oriente, per giungere a Brindisi dove incontrò Ottaviano: i due sottoscrissero un’intesa (“accordo di Brindisi”) in forza della quale ad Antonio veniva affidato l’Oriente, ad Ottaviano l’Occidente e a Lepido l’Africa. Il patto fu coronato anche dal matrimonio dal vedovo Antonio colla sorella di Ottaviano, Ottavia. Sesto, che non venne preso in considerazione negli accordi di Brindisi, giunse ben presto a far sentire la sua disapprovazione bloccando le forniture di grano a Roma, creando scarsità di viveri e forte malcontento. Antonio dovette tornare nuovamente dalla Grecia (39 a.C.) per stringere con Ottaviano, l’accordo di Miseno: Sesto Pompeo si vedeva riconosciuto il governo di Sicilia, Sardegna e Corsica + venne nominato àugure e designato per il futuro consolato. Antonio non concesse di buon grado il Peloponneso a Sesto però, e questo creò le condizioni per le quali, quest’ultimo decise di riprendere le scorrerie contro l’Italia. Ottaviano, ripudiò Scribonia, e sposò Livia Drusilla, divorziata da Ti. Claudio Nerone, che portava con se nelle nuove nozze, i figli di primo letto, Tiberio e Druso. Perse la Sardegna e la Corsica che il luogotenente di Sesto aveva consegnato a Ottaviano, iniziò la lotta per il possesso della Sicilia, che l’erede di Cesare incominciò con una sconfitta, a causa della quale chiese aiuto ad Antonio, concludendo con lui l’accorto di Taranto (37 a.C.) – il triumvirato venne prolungato per altri cinque anni, sino al 32 a.C., inoltre Ottaviano avrebbe ricevuto 120 navi da guerra, mentre Antonio 20 mila legionari per la campagna partica. Nel frattempo Marco Vipsanio Agrippa, console lo stesso anno, e amico di Ottaviano, aveva fatto costruire un porto militare presso Pozzuoli, dove aveva riunito una consistente flotta, con la quale inferse una duplice e definitiva sconfitta a Milazzo e Nauloco. Sesto Pompeo, fuggito in Oriente, morì l’anno dopo, assassinato. Lepido che aveva preso parte con Ottaviano alle operazioni, rivendicò per sé il diritto del possesso dell’isola, ma le sue truppe lo abbandonarono e ad Ottaviano non fu difficile farlo dichiarare decaduto dai poteri di triumviro e impossessarsi dell’Africa (conservava solo la funzione di pontefice massimo, che rivestì fino alla morte). Ormai padrone dell’Occidente ad Ottaviano non mancava altro che la gloria militare, che si procacciò grazie ad Agrippa, attraverso due anni di campagne contro gli Illiri in Pannonia. Cassio Dione ”Storia romana” ANTONIO IN ORIENTE In questi anni, sull’altro versante del governo dello Stato, stava Antonio che in Oriente sperava di portare a termine le campagne che lo avrebbero coperto di fama, per aver vendicato la sconfitta di Crasso. Si preoccupò di stringere alleanze coi re e principi orientali, specie con il regno più potente allora, l’Egitto – dall’unione con Cleopatra nacquero poi due gemelli. Nel 40 a.C. i Parti intanto, invadevano la Siria; attacchi cui Antonio non poté rispondere con prontezza perché richiamato in Italia dalla guerra di Perugia e dagli accordi di Brindisi. Nel 37 a.C. dopo che i Parti furono ricacciati al di là dell’Eufrate, si aprì una crisi dinastica proprio nel loro regno, ma Antonio dovette recarsi nuovamente in Italia per il rinnovamento del triumvirato, a Taranto. Nel 36 a.C. diede avvio alla spedizione partica, ma in seguito non riuscì a prendere la città di Fraata, e fu costretto dall’arrivo dell’inverno a ritirarsi. Nel 34 a.C. riuscì a conquistare solamente l’Armenia, ma l’anno precedente si consumò la definitiva rottura con Ottaviano: quest’ultimo inviò invece di 20 mila legionari, solo 2 mila uomini, accompagnati dalla sorella Ottavia – la provocazione servì a rimandare indietro la moglie. Ottaviano così offeso, la sorella oltraggiata e scacciata per un’amante orientale. Antonio celebrò la conquista dell’Armenia con una festosa cerimonia ad Alessandria confermando a Cleopatra e a Tolemeo il trono dell’Egitto, di Cipro e della Celesiria e attribuendo altri territori ai figli da lui avuti con Cleopatra. Cassio Dione “Storia romana” – Sventonio “Vita di Augusto” – Virgilio “Eneide” LO SCONTRO FINALE; AZIO 71 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” Nel 32 a.C. il triumvirato si avviava verso la naturale scadenza: i consoli Cneo Domizio Enobarbo e Caio Sosio chiesero la ratifica delle decisioni di Antonio prese in Oriente, ma Ottaviano ne impedì l’approvazione al senato così entrambi i consoli e 300 senatori abbandonarono l’Italia, rifugiandosi presso Antonio. Il prestigio del triumviro accresceva in questo modo, ma dall’altro lato Ottaviano, riuscito ad impossessarsi del testamento del rivale, rivelò che desiderava essere sepolto ad Alessandria con Cleopatra e attribuiva regni ai figli avuti con la regina. Ottaviano invece faceva costruire la sua tomba in Campo Marzio, restando più vicino e fedele a Roma e riuscì a ottenere la caduta della carica di triumviro per Antonio e la negazione del suo consolato, stabilito per l’anno seguente. Presentandosi come il difensore di Roma e dell’Italia, Ottaviano si avviò a dichiarare guerra a Cleopatra, indicandola come nemico, evitando in tal modo che si aprisse almeno formalmente una seconda guerra civile. Ad Azio, nel settembre del 31 a.C. Agrippa vinse una battaglia navale per conto di Ottaviano, che consegnava lui la vittoria della guerra; la quale costrinse Antonio e Cleopatra a rifugiarsi in Egitto. Ottaviano giunse allora sino ad Alessandria, che presa, conobbe il suicidio della regina e del generale romano. L’Egitto fu dichiarata provincia romana. Cassio Dione “Storia romana” DATE DA RICORDARE  140 a.C. Prima ricolta servile  139 a.C. Lex Gabinia tabellaria  136 a.C. Lex Cassia tabellaria  131 a.C. Lex Papiria tabellaria  121 a.C. Acquisizione della provincia della Gallia transalpina + il senato approva il Senatus consultum ultimum contro Caio Gracco. 72 PARTE TERZA: “LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI” IL PERFEZIONAMENTO DELLA POSIZIONE DI PREMINENZA Nel 22 a.C. in seguito a una carestia, Augusto rifiutò la dittatura e assunse la cura annonae, provvedendo all’approvvigionamento di Roma + in questi anni si reca sul confine orientale, ove attraverso una trattativa diplomatica riuscì a recuperare le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio. Nel 18 a.C. scadeva l’imperium proconsolare di Agrippa, che fu però rinnovato di 5 anni e ricevette la tribunicia potestas + sempre in questi anni nascevano i figli che aveva avuti da Giulia e che Augusto adottò. Si definì meglio il potere di Augusto in questi anni, che ricevette la sella curulis propria dei consoli e il rinnovo dell’imperium proconsolare per 5 anni, dopo la scadenza del mandato sulla pacificazione delle provincie. Quando morì Lepido, nel 12 a.C. Augusto assunse anche la carica di pontefice massimo, ma l’ultima espressione di riconoscimento ufficiale della sua posizion di preminenza fu il conferimento del titolo di pater patrie, che gli attribuirono nel 2 a.C. Cassio Dione “Storia romana”- Strabone “Geografia” I CETI DIRIGENTI (SENATORI ED EQUITES) L’attribuzione dell’imperium proconsolare e del potere tribunizio, insieme alle altre prerogative che esaltavano la figura di Augusto, crearono, a fianco dell’ordinamento repubblicano un potere personale non riconducibile alla somma delle magistrature repubblicane da cui esso era costituito. In questo stato di cose, molte furono le variazioni che diversi organi politici e istituzionali subirono o che avevano subito nel corso degli anni precedenti; fra questi il senato, da 600 era giunto ad avere più di 1000 membri, dopo l’ingresso di numerosi sostenitori di Cesare Augusto volle ripristinare la dignità e il prestigio dell’assemblea senatoria, favorendo l’accesso di élites provinciali, fortemente romanizzate. Nel 29-28 a.C. procedette alla lectio senatus, revisione delle liste senatorie, espellendo dall’assemblea le persone la cui origine e il censo non corrispondevano agli standard previsti. Più tardi, nel 18 a.C. condusse una più radiale revisione, riportando il numero di senatori ai 600 previsti da Silla. I senatori si distinguevano dagli equites solo per aver intrapreso una carriera politica, che assicurava loro l’ingresso in senato e avevano la possibilita’ di mostrarlo esteriormente portando il laticlavio, una larga striscia color porpora sulla toga. In taluni casi Augusto stesso poteva concedere il diritto ad entrare in senato a chi non apparteneva a una famiglia senatoria. Naturalmente era necessario rivestire una magistratura. In questo modo Augusto realizzò una distinzione netta tra ordo equester e senatus, creando un vero e proprio ordo senatorius, non vincolato alla partecipazione effettiva al senato, ma formato dalle famiglie senatorie, da cui l’assemblea poteva reintegrarsi in modo consistente. D’altra parte anche l’appartenenza all’ordo equester fu codificata attraverso principi generali e appositi senatoconsulti: anche in questo caso l’intervento del principe poteva essere determinante per accedere al ceto equestre. I senatori dettavano tutte le piu’ importanti magistrature a Roma e le maggiori posizioni di comando civile e militare in provincia. Poiché il loro numero non era sufficiente, vennero impiegati anche dei membri dell’ordine equestre oltre che in ambito giudiziario e negli appalti pubblici. Cassio Dione “Storia romana”– Cassio Dione “Storia romana” ROMA, L’ITALIA, LE PROVINCIE Augusto concentrò la sua attività edilizia soprattutto nel Foro romano. Nel vecchio Foro repubblicano Augusto fece costruire un tempio per Cesare divinizzato. Costruì inoltre un nuovo Foro, il Forum Augusti, con al centro il tempio di Marte Ultore, nei cui rilievi e statue si celebrava la famiglia Giulia a partire dalla sua mitica ascendenza dell’eroe troiano Enea. Trasformò poi l’aspetto del Campo Marzio, edificandovi tra l’altro il Pantheon e il suo mausoleo, un complesso architettonico che occupava tutta la parte settentrionale del Campo Marzio, in cui, attraverso immagini e iscrizioni veniva celebrata l’opera del princeps. Davanti al mausoleo erano infatti incise sui pilastri di bronzo le Res Gestae di Augusto. Durante il principato di Augusto furono costruiti o restaurati anche molti edifici pubblici, acquedotti, terme, teatri e mercati e ci si preoccupò dell’organizzazionedi servizi importanti per l’approvvigionamento alimentare e idrico e per la protezione dagli incendi e dalle inondazioni. La restaurazione di Augusto giunse ad occuparsi non solo della politica e dell’assetto istituzionale di Roma, ma anche della razionalizzazione dei servizi e di un’azione monumentale, per la quale concentrò l’attività edilizia nel Foro, dove completò i programmi del padre adottivo. Notevoli furono anche le restaurazioni di ponti, acquedotti, terme, teatri e mercati. 75 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” Nell’8 a.C. poi, Augusto istituì un servizio stabile, che avrebbe provveduto al rifornimento granario delle provincie, con a capo un prefetto, praefectus annonae. L’Italia non fu toccata di riforme amministrative, venne divisa in undici regioni, che servivano per censimento delle persone e delle proprietà, ma non vi erano funzionari amministrativi responsabili di tali divisioni. Per quanto riguarda l’impegno con i territori fuori dalla Penisola, che quindi ricadevano sotto la responsabilità diretta di Augusto (ci riferiamo alle provincie che intendeva pacificare): furono scelti tra i senatori di rango pretorio o consolare dei legati Augusti pro praetore, che avrebbero governato le provincie con un numero più o meno elevato di legioni, lì stanziate. Esercito, distribuito perlopiù nelle provincie dunque e che nel corso degli anni immediatamente precedenti non era stato esente da modifiche, in ordine con la successione di eventi e di cambiamenti che Augusto portò con sé. L’indomani di Azio, infatti, gli uomini impegnati nell’esercito erano di molto superiori alle necessità e ai mezzi dell’Impero + la loro paga gravava sulla cassa dello Stato, l’aerarium Saturni, in cui confluivano le regolari imposte delle provincie. Cassio Dione “Storia romana”– Strabone “Geografia”- Gaio “Istituzioni” L’ESERCITO, LA PACIFICAZIONE E L’ESPANSIONE E LA SUCCESSIONE Furono congedati 300 mila veterani, che ricevettero perlopiù terre e in seguito denaro – la creazione di una cassa speciale nel 6 d.C., erario militare, finanziata dai proventi di una tassa sulle eredità, garantì al soldato che avesse ottenuto l’honesta missio, un premio di congedo. Un’altra innovazione fu l’istituzione della guardia pretoriana – un corpo militare d’élite composto da 9 mila uomini, che godeva di privilegi quali un soldo più elevato e migliori condizioni di servizio, essendo stanziato presso Roma. I poteri che Augusto aveva ricevuto dal senato in diverse circostanze e che ne avevano costituito l’auctoritas, non costituivano una vera e propria carica a cui, dopo la sua morte, qualcuno potesse succedere. La prima preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico e nella propaganda ideologica, celebrandone l’ascendenza divina. L’erede scelto all’interno della famiglia avrebbe ricevuto non solo il patrimonio, ma anche un prestigio che gli garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare e un ruolo singolare nella res publica. Tramite una carriera magistratuale eccezionalmente abbreviata e coll’attribuzione di poteri straordinari (potestà tribunizia e imperium proconsolare in primo luogo) l’erede, veniva designato alla successione delle funzioni pubbliche del princeps. Marcello, suo genero mori nell’anno critico 23 a.C., mentre Agrippa nel 12 a.C., dopo che Augusto adottò i suoi figli, Caio e Lucio Cesare, ancora troppo piccoli per designarli alla successione e che tuttavia sarebbero morti nel giro di pochi anni, nel 2 e nel 4 d.C. Augusto si rivolse ai figli della moglie Tiberio e Druso, il primo dei quali, aveva sposato una delle figlie di Agrippa del suo primo matrimonio, e fu costretto a divorziare per sposare la vedova Giulia nell’11 a.C. – il matrimonio non durò a lungo, nel 2 a.C. quando Tiberio tornò a Roma dopo un autoesilio nell’isola di Rodi,m forse per i cattivi rapporti con la coniuge, aveva già sciolto il matrimonio in seguito ad uno scandalo che la coinvolse. Augusto pretese da Tiberio che adottasse Germanico, figlio del fratello Druso Maggiore (Druso Minore è il figlio di Tiberio) e nel 4 d.C. Augusto adottò contemporaneamente Tiberio, cui furono attribuiti l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia. Nel 13 d.C. celebrò un trionfo su Germani e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto, cosicché potesse intervenire in tutte le provincie e l’esercito potesse essere al suo comando. Cassio Dione “Storia romana”– Sventonio “Vita di Augusto”- Tacito “Gli annali” L’ORGANIZZAZIONE DELLA CULTURA La celebrazione della pace e della figura provvidenziale di Augusto si manifestò anche in pubbliche cerimonie, nella monetazione, nella letteratura e in generale nel coinvolgimento degli intellettuali. Altri momenti importanti di esaltazione della figura di Augusto e di diffusione a Roma e nelle province 76 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” dell’ideologia provvidenzialistica furono le celebrazioni di particolari ricorrenze e l’istituzione di un vero e proprio culto della sua persona. Il suo compleanno era celebrato pubblicamente. A ciò si aggiunse nelle province orientali, l’istituzione di un vero e proprio culto dell’imperatore che veniva celebrato congiuntamente a quello della dea Roma. In occidente invece il culto di Roma era affiancato a quello di Cesare divinizzato. I GIULIO CLAUDI UNA DINASTIA? La morte di Augusto avvenne in Campania nel 14 d.C. Fu allora che Tiberio ereditò l’auctoritas e l’iniziativa politica di Augusto, si rivelò l’impossibilità da parte del senato di concepire un ritorno alla Repubblica. Tra il 14 d.C. e il 68 d.C. il potere rimase nelle mani della famiglia Giulio-Claudia, discendenti della famiglia degli Iulii, cui Augusto apparteneva dopo l’adozione da parte di Giulio Cesare, e dei Claudii, della famiglia cioè di Ti. Claudio Nerone, primo marito di Livia. La successione, alla morte di Tiberio non andò a favore di Germanico, morto nel 19 d.C., come aveva previsto Augusto, ma di Gaio, detto Caligola, figlio di Germanico e Agrippina. Caligola non era stato adottato da Tiberio e non aveva condiviso con lui imperium proconsolare, né potestà tribunizia era una designazione che si basava solo sulla linea familiare, prescindendo dalla carriera politico-militare. Alla morte di Caligola, il potere rimase nella famiglia di Germanico, passando al fratello, nonché zio del defunto imperatore, Claudio, primo princeps completamente esterno alla casa Giulia. Ultimo esponente della famiglia fu Nerone, con cui entrò nella storia della domus principis, una famiglia nobiliare diversa da quella dei Domizi. Nerone era figlio di un aristocratico estraneo alla famiglia di Augusto, fu erede della famiglia Claudia solo per parte di madre in quanto figlio di Agrippina Minore (figlia di Germanico e Agrippina maggiore). Fu adottato da Claudio che aveva sposato Agrippina. TIBERIO (14-37 D.C.) Malgrado la scarsa popolarità, il governo di Tiberio fu sostanzialmente una positiva prosecuzione di quello augusteo. Gli studi recenti, hanno messo in luce il valore di Tiberio sia come militare sia come uomo di governo e la sua attenta gestione dello Stato. Durante il suo governo Tiberio si trovò a fronteggiare una opposizione che rivendicava l'autonomia e la libertas del Senato. Germanico era un predestinato all'impero, Tiberio gli impedì di proseguire il suo disegno di conquiste in Germania e la mandò in Siria con il proconsole Pisone. Tra i due ci furono gravi contrasti e Germanico morì improvvisamente e si sospettò che fosse stato ucciso da Pisone. Morto Germanico, si apri a Roma un contrasto politico tra Tiberio e Agrippina, per il problema della successione alla quale erano candidati Druso Minore (figlio di Tiberio), morto però già nel 23 d.C., e uno dei tre figli di Germanico e Agrippina, la quale creò un contrasto politico contro Tiberio. Una svolta, intanto, nel suo governo si ebbe nel 23 d.C. quando il prefetto del pretorio Seiano iniziò a crearsi un considerevole potere personale, guadagnandosi la fiducia di Tiberio, di cui fu collaboratore efficiente. Una posizione che era andata affermandosi, anche grazie al ritiro del princeps da Roma, per rifugiarsi a Capri, nella famosa villa Iovis Seiano riuscì a monopolizzare i contatti con Tiberio, dominando la scena politica a Roma in quegli anni. Chiese di sposa la vedova Livilla, prima moglie di Druso Minore e dichiarò Agrippina nemico pubblico, facendo imprigionare i suoi due figli maggiori, con l’accusa di tramare contro l’imperatore: aspirava infatti alla successione. Solo Antonia, la madre di Germanico, moglie di Druso Maggiore, riuscì a risvegliare in Tiberio i sospetti su Seiano, che fu processato e condannato. 77 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” Sul fronte militare, grazie al generale Domizio Corbulone, riuscì ad avere la meglio sui Parti e riportare l’Armenia sotto l’influenza romana. Assicurata la situazione a Roma si recò in Grecia dove compì una tournée artistica, partecipando ai festival delle poleis greche ove vinse in tutti gli agoni. Intanto in Giudea era scoppiata una grave rivolta, riportata sotto controllo in Palestina da Vespasiano; primo segnale pero di una serie di ribellioni dalla Gallia all’Africa, dalle truppe del Reno alla Spagna anche i pretoriani abbandonarono l’imperatore: il senato lo dichiarò nemico pubblico, riconoscendo come nuovo princeps Galba, così Nerone si suicidò. Seneca “La clemenza” - Tacito “Gli annali”- Sventonio “Vita di Nerone” L’ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI E I FLAVI L’ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI E I FLAVI: IL 68/69 Senza disposizioni circa la successione dopo la morte di Nerone, risorgeva lo spettro delle guerre civili, in un contrasto tra senatori, governatori di province o comandati militari, forti del sostegno dei loro eserciti. L’Impero ormai non ruotava più intorno alla capitale, le legioni erano in grado di imporre il loro volere pur trovandosi a grande distanza, secondo un processo che vedeva la sempre più crescente importanza delle province nel 69 a.C. furono in quattro a contendersi il titolo di Primo dello Stato.  Servio Sulpicio Galba: anziano senatore, governatore della Spagna Tarraconense; alla notizia della ribellione delle truppe galliche di Vindice (68 d.C.) i suoi soldati lo proclamarono Cesare, ma egli rifiutò il titolo imperiale, ritenendo che i militari non avessero diritto di conferirlo. Grazie poi al suo accordo col senato fu riconosciuto imperatore da una delegazione di senatori e accettò il titolo. Galba non seppe guadagnarsi la popolarità e gli appoggi per mantenere il potere e si pose in cattiva luce per i tagli alle spese, cercando di rimediare alla crisi finanziaria nata sotto Nerone.Decise poi di adottare L. Calpurnio Pisone, esponente dell’ordine senatorio, la cui nomina era sgradita ai soldati e a Otone, il giovane governatore della Lusitania.  Marco Salvio Otone: amico d’infanzia di Nerone era popolare fra i pretoriani e l’ordine equestre. Dopo che Galba fu linciato nel Foro, ebbe l’approvazione anche del senato, fu proclamato imperatore il 15.01.69 e contemporaneamente le legioni sul Reno, non riconoscevano la sua autorità, proclamando imperatore il proprio comandante, il legato della Germania Superiore, Aulo Vitellio.  Aulo Vitellio: senatore di rango consolare, aveva rivestito importanti incarichi sotto i Giulio Claudi. In aprile i suoi legati sconfissero le truppe di Otone, presso Cremona, il quale si suicidò. Vitellio fu riconosciuto imperatore quando ancora si trovava in Gallia, ma ebbe gravi difficoltà a regolare la 80 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” disciplina dei suoi soldati e a fermare quelli che avevano combattuto per Otone. Le legioni danubiane e orientali si ribellarono e proclamarono imperatore Vespasiano. Con Vespasiano inizia la dinastia dei Flavi, che comprende il periodo di Impero di Vespasiano stesso e dei suoi due figli Tito e Domiziano. La dinastia durò fino al 96 d.C. quando la politica di Domiziano suscitò una tale opposizione sia nel senato sia nella sua stessa corte, da portare alla sua uccisione e alla proclamazione di un nuovo princeps. VESPASIANO (69-79 D.C.) Il principato di Vespasiano rappresenta un sensibile progresso nella razionalizzazione dei poteri dell’imperatore e nel definitivo consolidamento dell’Impero come istituzione. Pur con indole diversa fra loro, tutti gli imperatori flavi si distinsero per un rigido impegno nell’amministrazione imperiale. L’autorità del nuovo princeps fu definita da un decreto del senato (lex de imperio Vespasiani). Il principato di vespasiano rappresenta un sensibile progresso nella razionalizzazione dei poteri dell’imperatore e nel definitivo consolidamento dell’Impero come istituzione. Dovette affrontare un grave deficit nel bilancio, provocato alla politica di Nerone e dalla guerra civile, si rivelò anche in questo caso un ottimo amministratore, riuscendo a sanare con diversi provvedimenti il bilancio dello Stato. La politica di integrazione delle province si manifestò colla concessione del diritto latino alle città peregrine della Spagna e con l’immissione in senato di numerosi esponenti delle élites delle province occidentali. Nel 70 d.C. Tito si impadronì di Gerusalemme e ne distrusse il famoso Tempio. Ristabilì definitivamente l’ordine nelle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe che avevano partecipato alle guerre civili e in Britannia riprese una politica di estensione dei confini nella zona orientale e settentrionale, opera che fu portata a termine da Giulio Agricola sotto il regno di Domiziano. Sventonio “Vita di Vespasiano”- Tacito “Storie”- Flavio Giuseppe “La guerra giudaica” TITO (79-81 D.C.) Vespasiano aveva basato la sua legittimizzazione sulla lex de imperio e sulla regolare assunzione del consolato. Anche per la successione seguì il sistema avviato da Augusto: Tito ricoprì insieme al padre diverse magistrature come consolato e censura, già nel 71 d.C. aveva ricevuto l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia, ma anche i titoli di Augusto e di pater patrie. Il suo breve regno fu chiamato dagli antichi “amore e delizia del genere umano” fu segnato da gravi calamità naturali, tra cui la rovinosa eruzione del Vesuvio, nel corso della quale morì Plinio il Vecchio. La popolarità di Tito era legata a una politica di munificenza, giustificata dai catastrofici eventi, che si discostava dalla parsimonia del padre. Sventonio “Vita di Tito”- Plinio il Giovane “Lettere” DOMIZIANO (81-96 D.C.) La sua fama risente dell’ostilità della tradizione storiografica. Il suo regno è contraddistinto da uno stile di governo autocratico e quindi inviso al senato, ma la sua azione politica fu efficace e benefica per l’Impero. Si preoccupò dell’amministrazione delle province, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti burocratici del ceto equestre, assegnando loro alcuni uffici che Claudio aveva affidato ai liberti. La scelta di rinunciare a ulteriori conquiste militari a favore di operazioni di consolidamento della frontiera, sul Reno, sul Danubio e in Britannia, risultò realistica e lungimirante. Il territorio fu controllato attraverso l’impianto di accampamenti fortificati, presidiati dai soldati, e collegati fra loro da una rete di strade sul limes (confine dell’Impero). La linea di fortificazioni aveva alle spalle i castra in cui si erano stabiliti i legionari – cosicché Domiziano potesse garantire la sicurezza di tutta la zona a sud della linea del limes, cui si fa riferimento specie lungo il confine con Germani e Celti, oltre il corso del Reno. In Dacia, nel 85 il re Decebalo era riuscito a unificare alcune tribù e a guidarle in varie incursioni nel territorio romano. Furono organizzate due campagne, la seconda delle quali guidata da Vespasiano stesso, che non ebbe successo per la rivolta di L. Antonio Saturnino, governatore della Germania Superiore, proclamato imperatore dalle sue legioni, che costrinse Domiziano a una pace provvisoria. 81 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” La rivolta di Saturnino ebbe pesanti ripercussioni sulla politica di Domiziano, che continuando a sentirsi minacciato, inaugurò un periodo di persecuzioni volte a eliminare le persone sospette di tramare contro l’imperator o in una posizione tale da costituire un rischio potenziale. Domiziano nel 96 cadde vittima di una congiura, dopo una serie di processi intentati contro senatori e presunti simpatizzanti per la religione cristiana, accusati di praticare culti non ufficiali. Il senato dopo la sua morte proclamò la damnatio memoriae, decretando l’abbattimento delle sue statue, la cancellazione del suo nome dalle iscrizioni e la distruzione di ogni suo ricordo. Sventonio “Vita di Domiziano” - Cassio Dione “Storia romana” IL CRISTIANESIMO Il cristianesimo che nasce dall’ebraismo, viene formandosi come religione strutturata nel corso del I e II secolo, scaturita dalla predicazione del suo fondatore, Gesù Cristo, nato a Nazareth, in Galilea, al tempo di Augusto e morto durante il principato di Tiberio. Le prime comunità cristiane sorsero in seguito alla Sua predicazione, alla diffusione del suo messaggio, la “buona novella”. Il cristianesimo nacque come movimento interno al giudaismo e tra i diversi gruppi religiosi nei quali quest’ultimo era articolato si distinguevano gli aristocratici e conservatori (sadducei) e i popolari e liberali (farisei); a questi venne ad aggiungersi la comunità degli esseni, che conducevano un’esistenza rigorosa, vivendo isolati dal resto della comunità ebraica. Un altro partito di aggressivi rivoluzionari che cercavano l’indipendenza da Roma era quello degli Zeloti, i cui tentativi di autonomia non fecero altro che accelerare l’annientamento della Giudea in occasione di due grandi rivolte ebraiche nel 66-70 d.C. e nel 132-135 d.C. quando Gerusalemme fu rasa al suolo. Per la maggior parte degli ebrei si trattava di scegliere tra i farisei e il cristianesimo: mentre i primi si dedicavano alla meticolosa osservanza della Legge di Mosè, il secondo proponeva la religione che aveva il suo fondamento nella fede in Cristo come valida per tutta l’umanità. Nel I sec. d.C. la figura che tra i predicatori e seguaci si impone sulle altre è quella di Paolo di Tarso – prima uno zelante fariseo impegnato nella persecuzione della primitiva ecclesìa (= comunità dei fedeli). Dalle sue lettere emerge la consapevolezza che l’idea di una missione universale della Chiesa rivolta all’umanità intera implicava di fatto una rottura con il conservatorismo giudaico, chiuso nella difesa delle idee e dei costumi. Dal II sec. poi le comunità cristiane si organizzarono secondo strutture guidate da un singolo responsabile, detto, episcopus. L’autorità romana imperiale aveva affrontato la questione giudaica senza distinguere fra i vari movimenti, considerandola un problema di nazionalità e non di religione; da Nerone in avanti risulta più evidente il contrasto fra l’autorità imperiale e la nuova religione cristiana, considerata come pericolosa in quanto non poteva integrarsi con quella tradizionale e con il culto imperiale. Non sappiamo con certezza però se vi fosse un fondamento giuridico alle persecuzioni e se il fatto di praticare la religione cristiana fosse di per sé un reato. La risposta di Traiano, espressione di un atteggiamento moderato dell’autorità imperiale, prescriveva che i cristiani non dovessero essere ricercati, ma puniti solo se espressamente denunciati (le denunce anonime non furono prese in considerazione).Il II sec. conobbe una vasta diffusione del cristianesimo, grazie anche alla circolazione di scritti sulla vita dei santi, esempio da seguire; non solo, nacquero scritti in difesa della fede cristiana, con cui gli intellettuali, come Tertulliano, miravano a far conoscere e accettare il proprio credo all’opinione pubblica e ai circoli culturali dell’Impero. Flavio Giuseppe “La guerra giudaica”/“Le antichità giudaiche”- Plinio il Giovane “Lettere” IL II SECOLO Il secondo secolo è tradizionalmente considerato come l’età più prospera dell’Impero romano che, sicuro nei suoi confini, poté godere di un notevole sviluppo economico e culturale. A ciò contribuì la rinnovata stabilità conseguita con il regime successorio, instauratosi da Nerva, per cui al consanguineo è preferito colui che in assoluto dà maggiori garanzie di sapere meglio governare. NERVA (96-98 D.C.) La prima preoccupazione di Nerva, del cui principato non abbiamo molte testimonianze se non di Cassio Dione e Plinio il Giovane, fu quella di controllare le reazioni all’uccisione di Domiziano e di scongiurare il pericolo dell’anarchia fece in modo di ottenere i giuramenti di fedeltà delle truppe provinciali e si preoccupò 82 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” b. città libere (con diritti speciali); c. città libere federate (città libere che hanno concluso un trattato di eguaglianza con Roma) 2. Municipi – città cui Roma ha concesso di elevare il suo status precedente di città peregrina e ai cui abitanti è accordato il diritto latino o romano. 3. Colonie – in origine città di nuova fondazione con apporto di coloni che godono di cittadinanza romana su terre sottratte a città o a popoli vinti. Le città costituivano il punto di riferimento delle attività economiche e i nuclei della vita culturale, anche se bisogna considerare che le condizioni della vita urbana erano molto diverse da provincia a provincia. La complessità delle situazioni giuridiche delle città è solo un piccolo riflesso della molteplicità di culture, tradizioni. lingue religioni e identità che convivevano nell’Impero. Uno dei fattori che caratterizzano la storia economica dell’Impero è rappresentato dall’eccezionale fabbisogno alimentare di Roma, una vera e propria megalopoli. Nessuna circolazione di prodotti nel Mediterraneo antico è stata più rilevante qualitativamente e quantitativamente, di quella determinata dal servizio annonario per la capitale. La gestione del complesso di servizio finalizzato al vettovagliamento di Roma era affidata ad un’apposita magistratura, la prefettura annona: “Annona” – significa propriamente il rifornimento e conservazione di viveri essenziali necessari alla sussistenza della città, specie di grano. La circolazione di beni riguardava però anche l’esercito permanente, che assorbiva gran parte del bilancio dell’Impero ne condizionava l’economia. I circuiti di scambi nel Mediterraneo sono il risultato di una raggiunta unità politica, che favorisce l’integrazione economica in ragione di un sistema fiscale basato una larga misura sulla moneta. Nelle province si andò realizzando, come avvenne in Italia, attraverso urbanizzazione e monetazione, l’incremento dell’area del mercato a spese dell’autoconsumo. Tacito “Germania” – Gellio “Notti attiche” MARCO AURELIO (161-180 D.C.) Salì al trono dividendo il potere con il fratello adottivo Lucio Vero, primo caso di “doppio Principato” con due imperatori posti su un piano di completa uguaglianza. All’inizio del suo regno si riaprì la questione orientale con la minaccia partica; la guerra fu condotta da Vero e si concluse vittoriosamente nel 166 d.C. L’esercito però tornato a Roma, portò con sé la peste, causa di gravi travagli negli anni successivi. Lo sguarnimento della frontiera settentrionale permise le incursioni di Marcomanni e Quadi, sì che i due imperatori furono prevalentemente impegnati nella difesa della frontiera danubiana e come risposta a questa situazione si creò la “difesa avanzata dell’Italia e delle Alpi”. Morto Lucio Vero mentre tornava dall’Illirico, Marco Aurelio riuscì a respingere i barbari a nord del Danubio nel 175 d.C. dopo difficili campagne che si protrassero per dieci anni. Sintomo di malessere nell’Impero fu la rivolta del governatore di Siria Avidio Cassio, che nello stesso anno si autoproclamò imperatore, ma fu ucciso dalle sue stesse truppe. Seguace della dottrina stoica e autore di un’opera di riflessione morale dal titolo “A se stesso”, passa alla storia come l’immagine dell’imperatore-filosofo e con un’alta concezione del proprio dovere verso i sudditi. Con lui si ritorna alla prassi della successione dinastica, al posto della cooptazione della persona più idonea. Durante la sua reggenza significativo fu poi l’episodio dei giochi gladiatori a Lione, con la lotta di condannati contro belve feroci e ove i magistrati locali inflissero ad alcuni cristiani questo supplizio (“martiri di Lione”). Cassio Dione “Storia romana”- Storia Augusta “Vita Lucio Vero” COMMODO (180-192 D.C.) Si dimostrò la perfetta antitesi del padre e segno di come il potere imperiale fosse in balìa a ogni sorta di degenerazione. Per prima cosa concluse definitivamente la pace con le popolazioni che premevano sul Danubio. Le sue inclinazioni dispotiche, la sua stravaganza e le innovazioni in campo religioso determinarono l’inevitabile rottura col senato di cui egli perseguitò alcuni membri. Dal 182 al 185 d.C. il governo fu in mano al prefetto del pretorio, Tigidio Perenne. Quando questi venne ucciso, il suo posto fu preso da un liberto, Cleandro, che approfittò del disinteresse di Commodo nei confronti delle istituzioni per promuovere dei liberti al senato e rovesciare le decisioni dei tribunali in cambio di denaro. Fra il 190 e il 192 d.C., anno della sua morte, l’imperatore lasciò il governo in mano a un cortigiano, Eclecto, e al prefetto del pretorio Leto, che completarono il dissesto delle finanze e ordirono la congiura che mise fine al regime. Commodo non fu interessato alle province e all’esercito, mentre fu favorevole all’accoglimento di 85 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” molte divinità straniere che entrarono nel pantheon romano, per creare intorno a sé un carisma a motivo del quale volle proclamarsi divinità in terra – un ulteriore elemento di dissenso nei suoi confronti. La tradizione senatoria che valutava gli imperatori sulla base ideale di Augusto lo dipinse come il peggiore dei tiranni e propugnatore di un regime depravato e sanguinario alla sua morte fu sancita la damnatio memoriae e il suo nome cancellato. Cassio Dione “Storia romana” L’ECONOMIA ROMANA IN ETÀ IMPERIALE Uno dei fattori che caratterizzano in modo stabile la storia economica dell’Imperor è rappresentato dall’eccezionale fabbisogno alimentare di Roma. La gestione del complesso dei servizi finalizzati al vettovagliamento di Roma era affidata a una magistratura apposita, la prefettura dell’annona, riservata a un personaggio di rango equestre. Annona significa propriamente il rifornimento e la conservazione di viveri essenziali necessari alla sussistenza della città, soprattutto il grano. Il servizio annonario coinvolgeva nelle sue disposizioni varie province e comportava un regolare afflusso di merci dal mare. Il grano era fatto affluire soprattutto dall’Egitto e dall’Africa settentrionale. Date le note difficoltà e l’alto costo del trasporto per terra, le rotte marittime erano particolarmente utilizzate. Lo stesso apparato statale rappresentò un incentivo importante per la produzione e la circolazione di beni. In particolare l’esercito permanente assorbiva gran parte del bilancio dell’Impero e ne condizionava l’economia. A partire dalla seconda metà del I secolo a.C. la forte presenza delle province sul mercato italico appare fuori discussione. Il problema che allora si pone è quello di stabilire se tale presenza può aver determinato una crisi dell’agricoltura. Nelle province si andò realizzando con gli stessi meccanismi che si erano già avuti in Italia, cioè attraverso l’urbanizzazione e la monetizzazione, l’incremento dell’area del mercato a spese dell’autoconsumo. L’intensificazione delle colture e la loro specializzazione sono riconducibili alla parallela organizzazione di aziende agrarie di ‘’ville’’. La differenza rispetto all’Italia è che, la via percorsa da questo sviluppo non è quella della villa schiavista. Le necessità di approvvigionamento alimentare di Roma e l’annona militare sono i due grandi fattori propulsivi del commercio in età imperiale. Plinio il Vecchio “Storia naturale” 86 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” DATE DA RICORDARE  23 a.C. Crisi del 23, con malattia di Augusto.  22/19 a.C.Augusto recupera le insegne delle legioni di Crasso e Antonio presso i Parti.  15 a.C. Tiberio e Druso conquistano la Rezia, il Noricoe la Vindelicia  12 a.C. Muoiono Lepido e Agrippa.  7 a.C. Restaurazione della repubblica + Ottaviano ha il compito di pacificare le province + il senato gli concede il cognome di Augustus  2 a.C. Augusto è padre della patria.  0 Nasce Gesù Cristo.  4 d.C. Augusto adotta Tiberio, che adotta Germanico.  14 d.C. Morte di Augusto e successione di Tiberio.  19 d.C. Morte di Germanico in Antiochia.  23 d.C. Il prefetto del pretorio Seiano ottiene potere.  31 d.C. Morte di Seiano.  37 d.C. Muore Tiberio, gli succede Gaio.  41 d.C. Ucciso Caligola, gli succede lo zio Claudio.  43 d.C. La Britannia diviene provincia romana.  54 d.C. Muore Claudio, gli succede Nerone.  58/63 d.C.Campagne contro i Parti e Armeni di Cn.Domizio Corbulone.  65 d.C. Congiura dei Pisoni.  68 d.C. Morte di Nerone, Galba imperatore.  69 d.C. Anno dei quattro imperatori: Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano.  114/117 d.C. Campagne contro i Parti di Traiano e massima Espansione dell’Impero.  79 d.C. Muore Vespasiano, gli succede Tito.  81 d.C. Muore Tito, gli succede Domiziano.  88 d.C. Guerra contro il re dacico Decebalo.  89 d.C. Rivolta di L. Antonio Saturnino.  96 d.C. Domizio vittima di una congiura gli succede Nerva.  98 d.C. Muore Nerva, gli succede M. Ulpio Traiano  101 d.C. Prima guerra dacica. 182 d.C. Tigidio Perenne assume il controllo.  105 d.C. Seconda guerra dacica + Dacia diventaprovincia romana.  117 d.C. Muore Traiano, gli succede Adriano.  138 d.C. Adriano sceglie come successore A. Aurelio Antonino.  161 d.C. Muore Antonino Pio, gli succede Marco Aurelio.  169 d.C. Muore Lucio Vero.  177 d.C. Martirii di Lione.  180 d.C. Muore Marco Aurelio, gli succede Commodo.  182 d.C. Tigidio Perenne assume il controllo.  192 d.C. Muore Commodo, eliminato in una congiura, gli succede P. Elvio Pertinace 87 PARTE QUARTA: “L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO” Gallieno fino al 268 d.C. restò da solo a reggere le sorti dell’Impero, riuscendo a fermare l’avanzata dei Goti e degli Alemanni, anche se fu costretto a perdere la Dacia. Di fronti alle ribellioni degli usurpatori e alle tendenze delle province a governarsi da sole, Gallieno, dovette tollerare che all’interno dell’Impero si formassero due regni separatisti: quello delle Gallie e quello di Palmira. Notevole fu poi la sua innovazione nella concezione strategica dei confini: invece di dislocare truppe lungo la frontiera, privilegiò la concentrazione di alcuni contingenti all’interno del territorio imperiale con la funzione di unità mobili di difesa. GLI IMPERATORI ILLIRICI L’uccisione di Gallieno nel 268 d.C. in una congiura ordita dai suoi ufficiali, portò al potere il comandate di cavalleria, Claudio II, il primo di una serie di imperatori detti “illirici”. Egli conseguì alcuni successi contro Alemanni e Goti. Morto Claudio II di peste nel 270 d.C. la sua opera fu completata da Aureliano che riuscì ad avere ragione delle popolazioni barbariche penetrate nella pianura padana. In seguito riuscì a sottomettere i due Stati autonomi costituitisi negli anni precedenti: s’impadronì di Palmira, in Siria (272 d.C.) e due anni dopo sconfisse il sovrano del regno separatista delle Gallie. L’unità dell’Impero risultava così ricostituita. Restituì poi un certo prestigio alla figura del sovrano e promosse una decisa riorganizzazione dello Stato in tutti i settori essenziali della vita economica; con lui l’autocrazia militare diventava quasi una teocrazia e il culto solare si identificava con quello dell’imperatore. Ucciso Aureliano nel 275 d.C. ci fu il breve regno di Tacito (275-276 d.C.) e di Probo (276-282 d.C.) con una rinnovata pressione barbarica sulla frontiera renana e danubiana. Il successore Caro condusse invece a felice esito la campagna contro i Persiani, conquistando la capitale nemica, Ctesifonte; morì però vittima di una congiura militare, come i figli Numeriano e Carino. DIOCLEZIANO E IL DOMINATO Si trovò nel 285 d.C. detentore del potere e proclamato imperatore dall’esercito l’anno precedente. Il suo regno durò fino al 305 d.C., anni in cui egli riuscì a riorganizzare lo Stato romano e a creare le condizioni per la sua sopravvivenza. Col suo regno inoltre si chiude l’età buia nota come crisi del III secolo. La sua è un’età di riforme e novità, cominciando da quella che dava diversa organizzazione al potere imperiale centrale: da questo momento si fa tradizionalmente iniziare la forma di governo del cosiddetto “Dominato”, rispetto alla precedente del “Principato”. Per garantire una miglior difesa alle regioni più minacciate, Diocleziano stabilì la propria sede in Oriente, a Nicomedia, capitale della Bitinia. Inoltre, concepì un sistema in base al quale al vertice dell’Impero c’era un collegio imperiale composto da quattro monarchi, detti tetrarchi, due dei quali detti Augusti, erano di rango superiore ai secondi, detti Cesari. Questo sistema aveva come fine quello di fronteggiare meglio le varie crisi regionali, attraverso una ripartizione del potere e di garantire una successione ordinata, senza ulteriori lotte intestine. I due Augusti cooptavano i due Cesari e così era previsto che facessero divenuti loro volta Augusti. Venne nominato prima Cesare e poi Augusto, Massimiano cui spettò il governo in Occidente, in relazione al Cesare, Costanzo Cloro – Domiziano invece esercitava il suo governo in Oriente, affiancato da Galerio. Roma cessava di essere residenza abituale dell’imperatore. Massimiano infatti si stabilì a Milano. L’esercito in questi anni fu potenziato e le truppe migliori messe a disposizione dei tetrarchi e anche il numero delle province aumentò, mentre si riduceva l’estensione del loro territorio. Diocleziano di s’impegnò molto anche nella riorganizzazione del sistema economico e nel riordino del sistema fiscale, con l’imposizione di un’imposta sul reddito agricolo. Per bloccare la continua ascesa dei prezzi di merci e servizi, tentò di imporre un calmiere con il quale si indicava il prezzo massimo non superabile – provvedimento che prese il nome di Edictum de pretiis. Lo spirito conservatore di Diocleziano si manifesta anche in altri due editti, circa la tutela del matrimonio e la messa al bando della setta dei Manichei, una nuova religione di origine persiana. Egli aveva inoltre promosso un’intensificazione del culto imperiale, facendosi chiamare Iovius (figlio di Giove) e la sua volontà di rafforzare l’unità dell’Impero anche sul piano religioso si tradusse nella violenta 90 PARTE QUINTA: “CRISI E RINNOVAMENTO” persecuzione dei cristiani nel 303-304 d.C. Il fenomeno conobbe fine quasi subito in Occidente e nel 311 d.C. in Oriente per volere di Galerio. Nel 305 d.C. Diocleziano e Massimiano abdicarono come previsto dal sistema tetrarchico: i due Augusti nominarono loro volta come Cesari, Severo per l’Occidente e Massimino Daia per l’Oriente; ma il comando dei due nuovi Augusti entrò subito in crisi. Nel 306 d.C. trovò la morte a York Costanzo Cloro, a questo punto l’esercito proclamò imperatore il figlio Costantino, ma anche il figlio di Massimiano, Massenzio rivendicò per sé il potere. Da Costantino a Teodosio Magno: la Tarda Antichità e la cristianizzazione dell’Impero. Aurelio Vittore “I Cesari” – Lattanzio “La morte dei persecutori” UN’ETÀ DI RINNOVAMENTO E NON DI DECADENZA La storiografia moderna denomina questo periodo ‘’Tarda antichità’’. Il pregiudizio di un’epoca buia legato alla tarda antichità può considerarsi oggi superato, al suo interno troviamo infatti un periodo significativo, dal regno di Costantino I sino alla morte di Teodosio Magno (395 d.C.) – con il definitivo affermarsi del cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero. Il governo dello Stato è diretto dai detentori delle piu’ alte cariche civili e militari, secondo rapporti gerarchici che con il tempo si definiscono sempre piu’ precisamente. L’imperatore non risiede più a Roma, il che comporta il distacco dell’aristocrazia senatoria dagli organismi di potere. L’aristocrazia è impegnata a difendere la propria identità di ceto e i propri interessi, che si concentrano in special modo nell’Italia meridionale. Il senato ha sempre meno potere reale e con esso le varie magistrature vengono meno al potere decisionale che un tempo le caratterizzava: molto spesso, si limitano a organizzare i ludi. COSTANTINO (272-337 D.C.) Egli condusse per alcuni anni una politica prudente, che conobbe una svolta nel 311 d.C. quando abbandona ogni legame coi presupposti ideologici della tetrarchia: a partire da questo momento egli mostrerà di propendere per una religione di tipo solare, monoteistico. Mentre Galerio moriva nel 311 d.C. Costantino ebbe la meglio su Massenzio nel 312 d.C. nella battaglia del ponte Milvio, sul Tevere, alle porte di Roma impadronendosi della città. La sera prima della battaglia, avvenuta il 28 ottobre, diverse fonti riferiscono della visione/sogno avuto da Costantino di porre un “segno di Cristo” sullo scudo dei soldati (Lattanzio). Una vittoria dunque cha ha significato trascendente la sola natura politica perché ottenuta nel segno di Cristo (“In hoc signo vinces”) – la conversione di Costantino significò l’inserimento delle strutture ecclesiastiche in quelle dello Stato con l’imperatore che poteva intervenire in questioni dottrinali. All’inizio del 313 d.C. Licinio (subentrato a Severo in Oriente) e Costantino si incontrarono a Milano dove si accordarono sulle questioni fondamentali di politica religiosa. Quest’accordo, noto come “editto di Milano”, secondo l'interpretazione tradizionale concesse a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di onorare le proprie divinità. I contrasti fra i due Augusti incominciarono però molto presto: lo scontro finale si ebbe nel 324 d.C. quando presso Adrianopoli, Costantino divenne il solo imperatore. Costantino fu poi preoccupato di salvaguardare l’unità interna della Chiesa, come mostra il fine per cui fu convocato il concilio di Nicea (325 d.C.), che egli presiedette personalmente: il problema in questo caso era di natura teologica, Ario negava la natura divina di Cristo, al contrario di Alessandro. Allo scopo di rendere più efficiente l’amministrazione provinciale, le diocesi, in cui l’Impero era stato suddiviso da Diocleziano, furono raggruppate in quattro prefetture delle Gallie, dell’Italia e Africa, 91 PARTE QUINTA: “CRISI E RINNOVAMENTO” dell’Illirico e dell’Oriente, rette ciascuna da un prefetto del pretorio.Tra le conseguenze della vittoria di Adrianopoli ci fu la fondazione di Costantinopoli, quale nuova Roma nel 330 d.C. Tra le riforme attuate da Costantino, una delle più significative riguardava l’esercito: a lui si deve la creazione di un esercito mobile detto comiatus perché “accompagnava” l’imperatore. I soldati questo gruppo, i comitatenses, ricevevano una paga più alta, così i soldati che finivano sulla frontiera, il limes, detti limitanei, risultarono essere di secondo ordine e mal pagati. Per sopperire poi alla mancanza di soldati nell’esercito si ridusse l’altezza richiesta alle reclute, si incrementò la caccia ai disertori, si rafforzò l’ereditarietà della professione militare e si concessero privilegi ai veterani per attirare volontari. Panegirici latini – Lattanzio “La morte dei persecutori” – Eusebio di Cesarea “Vita di Costantino” – Zosimo “Storia nuova” – Ammiano Marcellino “Storie” LA MORTE DI COSTANTINO E LA FINE DELLA DINASTIA COSTANTINIANA In punto di morte Costantino riceve il battesimo e morì durante la pentecoste del 337 d.C. quindi, venne sepolto nella basilica dei santi Apostoli come imperatore isoapostolo e vescovo universale. Sebbene la sua azione politica si stata decisiva per la riforma dello Stato, non si occupò della successione, così apparve poco chiaro qual atteggiamento l’Impero dovesse assumere nei confronti di un sempre delicato argomento: un collegio imperiale con sovrani sullo stesso pian era infatti poco plausibile Costantino aveva concepito la sua missione come ristabilimento dell’unità statale attraverso la figura di uno solo. I soldati si mostrarono favorevoli a una successione di stampo dinastico: Costantino II + Costante I + Costanzo II = si accordarono per un governo congiunto, ma precario, dell’Impero. Rimarrà solo Costanzo II a regge le sorti dello Stato, che cercò un collega per la parte più occidentale del regno, sì la scelta ricadde sul sopravvissuto, cugino, Giuliano, nominato Cesare nel 355 d.C. Cinque anni più tardi Giuliano fu nominato imperatore, restando poi solo dopo la morte di Giuliano nel 361 d.C. – morì due anni più tardi in una campagna contro i Persiani. Giuliano è ricordato principalmente per il tentativo di reintrodurre la religione pagane all’interno della struttura statale: ordisce infatti un programma di ampio respiro che aveva i propri capi saldi nell’amministrazione onesta e efficiente delle città e una rivitalizzazione del loro ruolo. Passa alla storia come l’apostata (rinnegato), un epiteto che gli fu dato da alcuni cristiani, i quali ebbero a temere che potesse far tornare il tempo delle persecuzioni. Usa misure discriminatorie nei confronti dei cristiani per dare adito alla sua riforma e riconosce il proselitismo nella nuova religione in virtù della sua organizzazione, da qui nasce il suo impegno ad affermare il primato pagano anche in questa realtà. Zosimo “Storia nuova” - Giuliano “Epistole” DALLA MORTE DI GIULIANO A TEODOSIO MAGNO Con la morte di Giuliano in Persia (364 d.C.) fu acclamato imperatore un ufficiale di origine pannonica – Valentiniano, il quale si associò al potere il fratello Valente, cui affidò l’Impero orientale. È un momento di relativa unità interna, che durerà fino a Teodosio, sebbene non manchino tentativi di usurpazione e occasioni di scontro con le popolazioni barbare. Valentiniano attua una politica di tolleranza e sostegno circa le classi meno abbienti, riesce a instaurare un efficace contenimento dei barbari, sempre più numerosi sulle frontiere, durante il suo regno. Nel 375 d.C. combattendo contro i Quadi, muore, cedendo il trono al figlio Graziano ancora giovane, viene proclamato Augusto anche il fratello minore Valentiniano II. Dall’altro lato, in Oriente, Valente dovette scontrarsi più volte con le minacce insistenti di Unni e Goti; dopo che fallirono i tentativi di insediarli pacificamente entro i confini della Tracia, ove verranno affrontati in campo aperto. Nel 378 d.C. risulterà sconfitto presso Adrianopoli e quivi morirà in battaglia.I giovani imperatori cui spettava il governo dello Stato, decisero di chiamare un generale spagnolo, Teodosio, il quale era ben consapevole 92 PARTE QUINTA: “CRISI E RINNOVAMENTO” La risposta della chiesa alla questione barbarica vede i cristiani poco interessati ai barbari in quanto tali, ma solo indirettamente per eventuali eresie; Ambrogio è generalmente conciliante e disponibile con questi popoli, rilevandone l’utilità per funzioni di difesa. LA DIVISIONE DELL’IMPERO; STILICONE Teodosio, morto nel 395 d.C., lascia l’Impero territorialmente diviso in due parti, che affida ai suoi figli: Arcadio (Oriente) e Onorio (Occidente). Uno smembramento piuttosto rovinoso per l’Occidente, minacciato da sempre più frequenti incursioni barbariche, mentre l’Oriente poteva concentrare i suoi sforzi contro il problema persiano. Nelle intenzioni di Teodosio, in realtà, la dimensione unitaria dello Stato doveva essere mantenuta viva da un generale di origine vandalica Stilicone, cui affidò i figli, ma la situazione militare non permise un semplice decorso di successioni, specie all’inizio del V sec. quando una serie di incursioni barbariche giunsero anche in Italia, ove i Goti entrarono con Alarico e Radagasio troppe sono le invasioni su fronti diversi. Stilicone verrà messo a morte a Ravenna nel 408 d.C. accusato di ordire un’intesa coi barbari, da parte di Onorio – sebbene stesse solo cercando di trovare un compromesso coi Goti, troppo vicini a centri di potere della Penisola. IL SACCO DI ROMA Privata del suo difensore l’Italia risultava abbandonata alla mercé di Alarico, che nel 410 d.C. entra a Roma e la saccheggia e in seguito i Goti si stabiliranno nella Gallia meridionale, dando vita a uno Stato con capitale Tolosa. Il successore di Alarico, Ataulfo sposò Galla Placidia (sorella di Onorio) che diventò così regina dei Visigoti. In Occidente ha un ruolo importante Flavio Costanzo, che nel 417 d.C. dopo la morte di Ataulfo, sposa Galla Placidia e nel 421 d.C. si fece proclamare imperatore, morendo però l’anno stesso. A capo poi dell’Impero d’Occidente fu insediato Valentiniano III, con la reggenza dell’Impero affidata però a G. Placidia che regnava per conto del figlio, attraverso il generale Ezio. In Romania il pericolo degli Unni guidati da Attila, fu affrontato dallo stesso Ezio; essi giunsero prima in Grecia, poi marciarono verso Occidente, invadendo la Gallia: vennero sconfitti nel 451 d.C. VANDALI E UNNI Nei decenni iniziali del V secolo d.C. si segnalano per il loro dinamismo e pericolosità alcune popolazioni che però non si rivelano capaci di dar vita a organizzazioni stabili. I vandali posero fine alla storia dell’Africa romana, occuparono un lungo tratto di costa nel 430 d.C. Nel 439 d.C. cadde anche Cartagine e il re vandalo Genserico ottenne il riconoscimento del suo regno da parte della corte ravennate. Il regno dei Vandali non riuscì mai ad organizzarsi su basi stabili. Privo di una forte coesione interna, il regno vandalico durò poco piu’ di un secolo: fu conquistato da Giustiniano nel 534 d.C e inglobato nell’Impero d’Oriente. Contemporaneamente nella Pannonia incombeva il pericolo rappresentato dagli Unni, guidati da Attila. In un primo tempo essi si diressero contro l’oriente penetrando sin nella Grecia centrale, ma in seguito indirizzarono le loro mire verso Occidente dove regnava il debole Valentiniano III. Quando Attila nel 452 d.C. mosse alla volta dell’Italia si verificò un evento inatteso. Gli unni lasciarono improvvisamente la penisola dopo aver incontrato una delegazione guidata dal papa Leone I. La morte di attila provò la rapida dissoluzione del suo regno. LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE La situazione all’interno dell’Impero verso metà del secolo si faceva sempre più precaria, nel 455 d.C. Roma fu saccheggiata una seconda volta ad opera dei Vandali, Genserico e sempre nello stesso anno muore Valentiniano III. Maggioriano, imperatore dal 457 al 461 d.C. è considerato l’ultimo detentore del potere in Occidente, che abbia tentato una riscossa militare e una serie di riforme economiche per alleviare la crisi. Dopo il suo tentativo si succederanno una serie di imperatori effimeri, privi di vero potere. Ricimerio, un generale barbaro che sconfisse Maggioriano, assediò poi a Roma Autemio, voluto imperatore da Costantinopoli, dopo la morte del predecessore. In seguito, l’imperatore d’Oriente Zenone nomina Giulio Nepote, contro il quale si ribello un generale, Oreste (474 d.C.) – il figlio di Oreste, Romolo insediato sul trono imperiale, fu scacciato dal capo barbaro Odoacre (476 d.C.), il quale non rivendica per sé il titolo di imperatore. 95 PARTE SESTA: “LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE” Formalmente la fine dell’impero romano d’occidente si ebbe nel 476 d.C. quando Romolo, detto scherzosamente Augustolo per la sua giovane età, il figlio che Oreste aveva insediato sul trono imperiale, fu scacciato da un capo barbarico, lo sciro Odoacre. SANT’AGOSTINO E IL PROBLEMA DELLA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO Si è cercato di dare due generi di spiegazione della caduta dell’Impero romano d’Occidente: 1. Mono-causale – la ragione fondamentale è la crisi interna e esterna (economica e politica) + la presenza dei barbati. 2. Pluri-causale – ricerca fattori che parallelamente possono aver determinato il declino imperiale, come la crisi economica determinata dalla crescente quantità di risorse per fronteggiare la minaccia barbarica. Agostino, vescovo di Ippona, si trovò nella necessità di rispondere all’attacco frontale recato dai pagani con le loro tesi sulla responsabilità dei cristiani per il sacco di Roma e la crisi dell’impero. A Cartagine poi, sant’Agostino si confronta con gli intellettuali d’élite per far fronte a cristiani poco convertiti, senza per questo evitare il problema della città o dello Stato nel De civitate Dei. Se le due città, la città terrena e quella celeste, nel pensiero agostiniano hanno un valore metafisico ed escatologico, per cui non possono essere a rigore identificate né con Roma né con la Chiesa, elementi dell’una e dell’altra sono comunque be presenti in entrambe. Un buon esempio la considerazione di Agostino secondo cui è l’amore di sé che ha costruito la città terrestre, mentre è il disprezzo di sé che ha originato quella celeste. Agostino avverte come nella città terrena sia immanente la volontà di sopraffazione. È quindi lo stesso Impero romano che finisce per costituire un problema perché la formazione di un dominio universale corrisponde a un disegno di Dio. Egli respinge la linea di principio le motivazioni imperialistiche: gli ampliamenti territoriali, che si fondano solo sulla sopraffazione e l’ingiustizia, sono sempre da condannare. I REGNI ROMANO-BARBARICI IL REGNO DI TEODORICO IN ITALIA Il re dei Goti Teodorico aveva familiarità colle istituzioni romane grazie al periodo di tempo trascorso alla corte di Costantinopoli, giunse poi in Italia col titolo di patricius, con la missione di eliminare Odoacre. Dopo varie vicende, nel 493 d.C. Odoacre fu sconfitto e ucciso. Le sue intenzioni volte a cercare di mettere in atto una collaborazione tra Goti e Romani premettono l’emanazione di un complesso di leggi per regolare i rapporti fra le due comunità etniche su una base di eguaglianza. Egli fece restaurare molti monumenti in decadenza in varie città, concentrando i propri sforzi sulla capitale, Ravenna. Nel complesso il periodo di regno di Teodorico rappresentò un momento positivo per la penisola italiana. Purtroppo però alla lunga, la collaborazione tra Goti e Romani si rivelò impraticabile. 96 PARTE SESTA: “LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE” Rimane tuttavia una forte diversità sul piano ideologico e dottrinale, in ordine alla presenza di cattolici romani che si opponevano alla confessione ariana dei Goti: questa dicotomia prevalse sulle ragioni di tolleranza che Teodorico aveva espresso nei confronti dei cristiani. In un certo momento sembrò che si realizzassero le condizioni per una convergenza antiariana di cattolici e di Bizantini. Il sovrano reagì facendo imprigionare papa Giovanni I e mettendo a morte gli uomini che avevano preso parte al suo programma di governo: nel 524 d.C. fu giustiziato Severino Boezio, nel 525 d.C. Simmaco, l’anno seguente poi morì lo stesso Teodorico lasciando il regno alla figlia, Amalasunta. I REGNI ROMANI BARBARICI Le invasioni barbariche posso dividersi in due fasi fondamentali: 1. popoli penetrati all’interno dell’Impero dopo lunghe peregrinazioni, attraverso gruppi poco numerosi e in zone limitate delle province occupate essi si regolarono secondo norme tradizionali loro proprie, sebbene la popolazione romana stanziata nel medesimo territorio continuasse a vivere in conformità colle istituzioni giuridiche precedenti: la coesistenza di due componenti da adito alla formazione dei cosiddetti regni romano-barbarici; 2. popoli stanziati già da tempo ai confini e una volta entrati imposero la propria organizzazione alla popolazione romana. (Longobardi in Italia, Franchi in Gallia e Angli e Sassoni in Britannia). Nel 407-407 d.C è la prima volta che ai barbari si dava, oltre alla possibilità di insediarsi legittimamente all’interno dei confini dell’Impero, anche quella di esercitare una piena autorità sulle terre in cui si insediavano. Il regno ostrogoto in Italia durò poco piu’ di mezzo secolo, dalla fine del V alla seconda metà del VI sec. d.C. Coincide in larga misura con il regno del re Teodorico. Il più importante regno barbarico è quello dei Franchi e la figura centrale di questo periodo è Clodoveo, della dinastia Merovingia, re nel 481 d.C. che grazie alla sua conversione al cristianesimo, favorì l’integrazione dei Franchi con gli esponenti dell’aristocrazia gallo-romana. Quasi la totalità della Gallia era sotto il dominio dei Franchi. LA SOCIETÀ ROMANO-GERMANICA L’installazione dei barbai sul suolo romano avvenne secondo modalità molto differenti. In Britannia si era trattato di una conquista pure e semplice, senza alcuna copertura giuridica e senza forme di intesa tra invasori ed indigeni. Nella Gallia meridionale, in Spagna e in Italia l’insediamento dei Germani avvenne sulla base della copertura giuridica di un trattato. Oltre alle modalità giuridiche hanno avuto peso le realtà religiose. A momento delle invasioni tra i Romani i ceti socialmente più elevati avevano aderito al cristianesimo. La maggioranza dei barbari con l’eccezione dei Franchi era cristiana ma di credo ariano. Gli invasori della Britannia erano addirittura pagani. Ogni regione quindi conobbe realtà differenti. In alcuni casi si realizzò un dualismo amministrativo tra Romani e barbari. L’INTEGRAZIONE TRA ROMANI E BARBARI NEI NUOVI REGNI Un secondo personaggio di rilievo è Cassiodoro, presso i Goti, il quale si sforzò di trasporre l’ideologia romana nelle realtà politiche del regno ostrogoto, facendone così un prolungamento dell’Impero romano d’Occidente vuole esprimere l’idea di una nazione romano-gotica. La decisione di Cassiodoro di scrivere una Storia dei Goti rappresenta una grande novità rispetto alla tradizionale storiografia latina. Essa implica una doppia apertura: da una parte si trattava di concepire i Goti e il loro passato al di fuori dal quadro dell’Impero e della storia romana, in cui figuravano come barbari, dall’altra ci si disponeva a considerarli in termini ad essi propri, come una nazione dall’origine lontana nel tempo e nello spazio. IL MONACHESIMO Una delle conseguenze delle invasioni germaniche del V secolo d.C. fu l’affermarsi del monachesimo in varie forme. Le più importanti furono quelle del monastero di Lerins. Questo monachesimo provenzale si caratterizza per una mescolanza tra vita in solitudine e in comunità e per le forme moderate di ascesi. I monasteri ebbero inoltre una funzione importante come centri di cultura. Con la fine dell’impero romano in occidente era entrato in crisi anche il sistema scolastico. Nel VI secolo gli unici centri di vita culturale e di istruzione furono i monasteri. In occidente non esistevano scuole superiori cristiane. Questa carenza fu 97 PARTE SESTA: “LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE”
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