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Tyermann, L'invenzione delle crociate, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto volume di storia medioevale

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 29/03/2018

snookie-rose
snookie-rose 🇮🇹

4

(24)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Tyermann, L'invenzione delle crociate e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! L'INVENZIONE DELLE CROCIATE, CHRISTOPHER TYERMAN Le crociate rappresentano un'icona della cultura occidentale: la prima crociata era un atto religioso intimamente legato alle perenni paure sulla natura e gli scopi dell'esistenza, in un mondo in cui comprensione e controllo erano estranei all'uomo; coniugavano attività politica, sociale e militare nelle quali trovano un punto di incontro spiritualiltà interiore e ambizioni terrene; esprimevano attitudini comuni e individuali al tempo stesso riguardo a fondamentali questioni pratiche e ideologiche: fede, autostima, controllo sociale e religioso, onore, orgoglio, avidità, materiali e spirituali: rappresentavano quindi l'autorappresentazione di una civiltà. L'obiettivo del libro è esaminare i motivi di questa permanenza nella cultura contemporanea e allo stesso tempo chiarire come quella che sembra essere un importante bagaglio della società e della religione medioevale (definitasi in un'istituzione con caratteristiche e funzionamenti propri) sia in realtà diversa da come spesso è stata rappresentata e interpretata e le molteplici stratificazioni culturali confermano questa linea di discorso. Il dibattito rispetto alla definizione di crociata denuncia come non sia negligenza degli studiosi la difficoltà nel definirla chiaramente quanto alla stessa natura del soggetto studiato: le crociate mancano di definizioni perchè, anzichè far luce intorno a se, furono esse stesse un riflesso del contesto sociale circostante. Il dinamismo della crociata non si generò originariamente in modo autonomo: una tradizione vera e propria emerse lentamente ed ebbe un'esistenza sporadica perfino nei due secoli successivi alla terza crociata, quando era all'apice della notorietà. Molti guardavano alla crociata come un'impresa onorevole e auspicabile, sicuramente non come a un obbligo religioso o secolare da adempire con stabilità e in modo coatto: nei quattro secoli che seguirono la spedizione a Gerusalemme voluta da Urbano II nel 1095 la maggior parte dei cristiani occidentali non partecipò mai a crociate e sebbene le implicazioni politiche, sociali e fiscali legate all'attività delle crociate avessero un peso rilevante, nel Medioevo non ci fu mai una chiara e netta definizione canonica o un pronunciamento legale autorevole delle forme associate di guerra santa e delle pratiche spirituali chiamate “crociata” (significativa l'inesistenza né in latino né in volgare di un unico, specifico e universalmente riconosciuto termine che definisca l'impresa). -DEFINIZIONE TRADIZIONALISTA DI MAYER: Sostiene la centralità di Gerusalemme (come raggiungimento di quella meta) come obiettivo militare e spirituale della crociata che come vero tratto distintivo su cui si basava il sistema delle indulgenze. -J. RILEY-SMITH, APPROCCIO PLURALISTA: La semplice autorizzazione papale è sufficiente a definire l'impresa “crociata”: quindi esiste una crociata dove esiste l'autorità pontificia; è definito pluralista dal momento che amplia l'ambito legittimante fino a includere tutte le svariate spedizioni pianificate o promosse con l'indulgenza papale, sia verso Gerusalemme, sia contro gli eretici, i cristiani, i pagani o i musulmani non orientali. Questa definizione implica una diversa scala cronologica: tradizionalmente la perdita di Acri nel 1291 segna la fine della crociata per Mayer, mentre i pluralisti estendono l'uso del termine crociata al tardo Medioevo e oltre, quando le campagne verso e contro la Terra Santa continuavano ad essere un tema attuale, pur rimanendo fondamentalmente sulla carta (e già molto prima di Riley-Smith da più parti era già stata accettata una scala cronologica ampia per le crociate: i pluralisti basano le loro posizioni su ciò che essi considerano come il solido terreno canonistico dell'autorità pontificia, che escluderebbe di fatto sia le crociate popolari, sia alcune campagne nel Baltico). Tutte le visioni concordano comunque nell'individuare Gerusalemme al centro delle cose, che riduce notevolmente la forza degli argomenti contrari. -HOUSLEY: Considera in modo sprezzante l'idea di una qualsiasi lega delle crociate decisa a tavolino e rifiuta di essere influenzato dalle prove di popolarità o ricezione del fenomeno, eccetto laddove questo supportino la politica papale. Ciò che è in discussione non è la dottrina ecclesiastica quanto in quale misura la società la trovò 1 accettabile: prove di una divergenza tra politica papale e una più ampia accettazione a livello collettivo si possono trovare nei lavori dei canonisti e dei giuristi laici, o in quelli politici, dei polemisti e dei propagandisti; il dibattito, che inevitabilmente coinvolge aspetti tecnici (attendibilità delle fonti primarie e la natura e forma delle indulgenze), è anche un dibattito sulle differenti interpretazioni del Medioevo. La tesi di questo saggio è che l'incertezza fosse endemica perché la crociata intesa come istituzione esisteva solo come espressione di desideri e di politiche per la realizzazione delle quali la guerra santa era utile ma non prioritaria: le ambizioni ecclesiastiche e politiche dei papi, le pratiche devozionali del laicato (in particolar modo della nobiltà), l'espansione economica di alcune parti dell'Europa occidentale, le iniziative religiose dei riformatori della Chiesa: le crociate furono la loro creazione, non il contrario: non è un caso siano nate non lungo la frontiera con l'Islam ma nel cuore della cristianità; quando il nemico fu veramente alle porte dell'Occidente, a partire dal 14 secolo, l'istituzione apparve più frammentata: la crociata non può essere adeguatamente definita attraverso le sue caratteristiche intrinseche poiché è esistita solo in relazione alle contingenze dettate dal mutevole contesto occidentale. Una conseguenza è la constatazione che né le interpretazioni pluraliste, né quelle tradizionaliste, sono completamente accettabili: invece di cercare precise formule legalistiche, appare maggiormente realistico osservarne la fluidità e l'imprecisione del fenomeno, confusione legale e istituzionale vissuta dai crociati stessi; fino a che punto i crociati che combatterono in Inghilterra nel 1217 o nel 1265, o in Italia tra il 13 secolo e i primi anni del 15 vivevano la loro esperienza militare e spirituale assimilandola alle imprese crociate verso Gerusalemme? Escluderli del tutto o in parte limiterebbe la questione ben al di sotto di ciò che l'evidenza dei fatti impone. Occorre includere quindi tutte le diverse tipologie del fenomeno crociato, ma l'accettazione non deve, per contro, imporre una cieca partigianeria. Si può affermare in ogni caso che la mentalità di allora fosse in sintonia con una forma di guerra santa applicata in modo esteso, che attirava privilegi spirituali e materiali originariamente associati con il pellegrinaggio armato a Gerusalemme; era consapevole che le guerre in difesa della Chiesa potevano essere in ogni caso legittimate e che le emozioni associate ai combattenti sotto l'insegna della croce non erano prerogativa esclusiva di quelli specificatamente autorizzati dal pontefice, riconosceva la supremazia generata dalla guerra contro gli infedeli, sapeva distinguere tra le motivazioni e la correttezza delle singole azioni indipendentemente dall'autorità legale o dai tentativi retorici di mascherarle equiparando tutte le azioni al bene pubblico disinteressato, indelebilmente ossessionata dall'immagine e dall'unicità della Città Santa e della Terra Santa santificate dal fondatore della loro religione. L'invenzione delle crociate ispirò e ispira due temi chiaramente diversi: la creazione, definizione e nobilitazione di questa forma di guerra santa da parte di contemporanei e partecipanti rispetto alla massa indistinta degli elementi religiosi e secolari presenti nella società e la conseguente composizione di opinioni e tradizione ad opera degli osservatori, medioevali e moderni. Le crociate furono mutevoli non perché ebbero esistenza autonoma e distinta, quanto piuttosto perché risposero alle istanze e spesso assorbirono i modi di coloro che videro nelle sue forme associate, nei rituali, nella retorica e nelle tradizioni, un mezzo per soddisfare i più diversi e mutevoli bisogni; nell'associazione tra guerra e pellegrinaggio penitenziale, indossando il simbolo ella croce, attraverso i significati reconditi di santità legati al combattimento e al martirio, con la predicazione, la raccolta di fondi e le preghiere, la società cristiana trovò il modo di esprimere il proprio idealismo e di nutrire ambizioni spirituali e materiali che furono estremamente eterogenee, spesso distanti dal mondo spirituale, sviluppate abitualmente su livelli molteplici e complessi. Ci furono istituzioni legate alle crociate ma è difficile pensare a un movimento crociato: così come le prime furono invenzione dei contemporanei, quest'ultimo è un'invenzione degli storici. 2 croce per andare verso oriente erano armati e combatterono: nel 1129 gli obbiettivi militari erano espliciti; sebbene una spedizione generale vera e propria fosse organizzata soltanto nel 1146-1148, il papato fu coinvolto in un certo numero di piani che, se fossero stati realizzati, avrebbero sicuramente portato più in là; ogni occasione dimostrò i limiti del potere papale e, dopo il 1150, del suo impegno: la perdita del controllo pontificio sulle crociate fu, dopo tutto, una caratteristica costante nel Medioevo. Nel 1150 Eugenio III fu coinvolto in un progetto per riscattare il disastro della seconda crociata con una nuova spedizione in Oriente: lo stesso san Bernardo accettò la guida dell'impresa, anche forse per giustificare il ruolo che aveva avuto nel promuovere la seconda crociata; ciò che fece naufragare il progetto furono le aspre e numerose critiche nei confronti della seconda crociata e anche verso l'ideale stesso, un'ostilità ancora vivida vent'anni dopo: in una lettera del 1169 dall'enturage di Thomas Becket la seconda crociata era condannata come deplorevole per la Chiesa, in quanto chiara conferma che i regali provento furto e trasgressione sono sgraditi a Dio; in una simile atmosfera, l'approvazione papale della crociata non poteva che essere prudente. Le ripetute richieste di aiuto provenienti da Oriente restavano senza risposta: una delle ragioni era il diffuso sospetto verso i pullani, gli abitanti di quelle terre; gli occidentali, formati sopratutto sulle leggende sempre più enfatiche di eroismo della prima crociata, spesso non riuscivano a comprendere le linee politiche e le abitudini di coloro che vivevano stabilmente nel Levante. Erano presenti anche problemi interni che distoglievano l'attenzione del papa: nemici in Italia dal 1130 al 1180, in Germania dal 1150 al 1180; la feudalizzazione dinastica delle province francesi (caratteristica fino al 1150) fu in parte assorbita, a partire dalla metà del secolo, nel raccordo feudale tra Capetingi e gli Angioini; sulle frontiere della cristianità in Spagna e in Germania cause religiose locali occuparono i possibili crociati destinati in Palestina: mancando una convergenza politica sulla Terra Santa, le reazioni papali persero di originalità. Nel 1165 Alessandro III rispose agli appelli dall'Oriente riproponendo semplicemente delle bolle e delle encicliche, influenzato dal modello di Eugenio III e schema ripreso da Lucio III; un nuovo approccio fu proposto nel 1157 da un papa inglese, Adriano 4: oltre a cercare guerrieri che si precipitassero a liberare e difendere i Luoghi Santi, promise indulgenze anche a coloro che, impossibilitati alla partecipazione personale, avessero inviato cavalli, equipaggiamenti militari e altri aiuti; questo ampliamento dei vantaggi penitenziali verso chi fosse coinvolto indirettamente divenne uno dei cardini delle crociate dal papato di Innocenzo III in avanti. I papi del 12 secolo non si trattennero dall'approvare la guerra o dall'associarvi benefici spirituali più di quanto fosse avvenuto nei tre secolo precedenti; i sostenitori del papa nelle Fiandre, in Germania e in Italia continuarono a ricevere la remissione dei peccati; a Pisa, nel 1135, a chi avesse combattuto contro l'antipapa Anacleto fu offerta l'indulgenza: i commentatori ecclesiastici sottolineavano spesso come le buone cause garantissero ricompense spirituali, in tutta l'Europa interessi nazionali o comunali attirarono ricompense spirituali (esempio: fu concessa piena indulgenza per chi fosse caduto in battaglia contro i mercenari-predoni in Linguadoca nel 1139 e contro i nemici della Norvegia nel 1164). I contemporanei descrissero numerose campagne nella penisola iberica e nel Mediterraneo occidentale nel 1147-1149 in modo equivalente alle spedizioni in Terra Santa, sebbene si trattasse essenzialmente del proseguimento di imprese locali con obiettivi di conquista territoriale o di guadagno commerciali ( l'attacco genovese ad Almerìa nel 1146 fu descritto come episodio del tutto secolare fu inserita da Caffaro, cronista, nel contesto di un conflitto religioso autorizzato dal papa o per altro esempio, nel 1166 la sinodo di Segovia promise a tutti coloro che avessero combattuto per la Castiglia la stessa remissione della pena meritata che avrebbero potuto ottenere andando a Gerusalemme); il fatto evidente che variasse l'autorità ecclesiastica che concedeva tali indulgenze, senza dubbio non sempre papali, suggerisce che malgrado l'attività e la retorica, il papato non aveva creato una nuova istituzione e che sarebbe stato in ogni caso difficile ottenere un'applicazione uniforme. 5 Gli eventi della prima crociata ebbero comunque degli effetti: il modello della guerra santa di Urbano II fu adattato e applicato alle campagne contro i musulmani in Spagna e nel Mediterraneo occidentale; ai membri della spedizione italiana e catalana nelle Isole Baleari (1114-1116) furono assegnate croci e indulgenze, offerta estesa da Callisto II nel 1123 a favore di tutti coloro che combatterono gli infedeli in Spagna; durante il concilio Lateranense del 1123 privilegi di Gerusalemme del 1095 furono esplicitamente associati alla campagna nella penisola iberica. Tuttavia, l'applicazione non fu universale o regolare, Gelasio II infatti nel 1118 garantì piena remissione dei peccati soltanto a coloro che morirono durante l'assedio di Saragozza. Gli elementi specifici della crociata, le indulgenze e il pellegrinaggio, non caratterizzano l'assedio di Santarem nel 1147, per quanto ammantato in modo analogo dal lessico del pellegrinaggio e della guerra santa; come altrove, novità e tradizione sono difficili da distinguere, probabilmente perché i contemporanei erano inconsapevoli delle distinzioni considerate dagli storici moderni. Le truppe che attaccarono Costantinopoli nel 1204, le truppe che attaccarono Lisbona nel 1147, quelle che saccheggiarono Messina nel 1190 o Cipro nel 1191 combattevano battaglie usuali ben prima del 1095: erano crociati, in quanto avevano preso la croce, ma quelle battaglie non rispondevano ai loro voti. Diversamente dai racconti della prima crociata , c'è scarsa consapevolezza dell'unicità, di essere i nuovi Maccabei, la militia di Cristo a Lisbona: lì il confronto militare finale è visto in termini estranei alla crociata in quanto tale: fu combinato un incontro con i Mori, così da non poter dire che i cristiani attaccavano senza riluttanza; per stabilire la giusta causa fu richiesto ai musulmani di rinunciare al loro dominio su una terra che era stata cristiana; alla maniera delle chansons des geste, l'indignazione cristiana è infiammata dalla blasfemia dei musulmani e dalle maligne allusioni alla possibilità di un comportamento scorreto delle mogli dei crociati rimaste a casa; il conflitto assume genericamente una patina cavalleresca ed è definito una prova della spada, con Dio come giudice, suggestione che trova riscontro nella seconda crociata, descritta come un torneo fra Inferno e Paradiso. L'integrazione fra comportamenti tradizionali e attitudini nuove è evidente in tutta la seconda crociata: come già rilevato, la libertà con la quale san Bernardo dà forma e sviluppa la sua predicazione, fino al punto di accogliere apparentemente le profezie sibilline dell'ultimo imperatore, testimonia la mancanza di definizione nella crociata. Gli osservatori riconobbero che in alcune delle spedizioni in molti teatri di guerra, in Spagna, nel Mediterraneo occidentale e nel Baltico, gli elementi religiosi si innestarono su ambizioni politiche esistenti, il linguaggio dei partecipanti si rivela meno spiritualmente intenso di quello usato nella prima crociata; il punto essenziale è che le novità erano ben poche: questa continuità rispetto alle attitudini ecclesiastiche iniziali e alla politica papale è stata però interpretata erroneamente come una conseguenza della prima crociata o almeno, come iniziative del pontificato gregoriano. La prima crociata potrebbe aver confermato o ampliato una preesistente visione positiva della guerra e potrebbe altresì aver contribuito allo sviluppo di strutture intellettuali all'interno delle quali tale percezione si sia trasformata in ricompense, spirituali e materiali precise, riconoscibili a tutti. La principale novità istituzionale legata alle crociate prima del 1187 fu lo sviluppo degli ordini militari: essi furono rapidamente accettati. Già verso il 1140 Oderico Vitale li descrive come ammirevoli cavalieri che dedicano la loro vita al servizio corporale e spirituale di Dio e, rifiutando ogni bene terreno, affrontano il martirio quotidianamente; entrare nell'ordine dei Templari però, in Europa o in Oriente, non significava automaticamente diventare crociati: costituiva piuttosto un'alternativa poiché l'impegno e le esperienze erano di natura differente; gli ordini militari furono ovviamente un'eredità della prima crociata ma lo furono per una minoranza di persone e non necessariamente accelerarono l'elaborazione istituzionale della cultura crociata, furono piuttosto considerati un nuovo passo nel processo di cristianizzazione della cavalleria. L'eredità della prima crociata includeva certamente l'adozione cerimoniale della croce, il godimento di una sorta di remissione delle pene e dei peccati e un insieme di privilegi temporali associati a 6 quelli dei pellegrini; tuttavia l'organizzazione formale era ancora rudimentale e il controllo papale ed ecclesiastico non sistematico: le origini delle istituzioni crociate in ambito locale sono decisamente oscure, tanto da lasciare perplessi sia i contemporanei che gli storici moderni. Se la prima crociata conferì al pellegrinaggio in Terra Santa una nuova dimensione, non creò una tradizione propria: il 12 secolo fu l'età d'oro del pellegrinaggio in Terra Santa, almeno per ragioni di praticità, tuttavia, la distinzione fra un pellegrino e un crociato è spesso difficile: non tutti i pellegrini armati combatterono e non tutti gli Occidentali che combatterono in Siria avevano necessariamente preso la croce, ma tutti vengono definiti peregrini. I concetti di pellegrinaggio di crociata erano fusi tra loro, condividevano entrambi il lessico comune della peregrinatio, alcuni privilegi e lo status semiecclesiastico e nei documenti del 12 secolo raramente è possibile distinguere le due pratiche. Sebbene ci si riferisse comunemente a loro come peregrini, dal 1097 fino alle ultime imprese i crociati si distinguevano per essere segnati dalla croce. Forse ogni regione aveva modalità e usi diversi: se così fosse si spiegherebbe una certa flessibilità di applicazione in Italia, mentre nel nord della Francia la croce implicava un pellegrinaggio verso Gerusalemme: proprio questa incertezza documentaria potrebbe convalidare l'ipotesi che perfino l'attribuzione della croce non presupponesse un'istituzione ben definita né uniformemente applicata. Tutte le cerimonie di attribuzione della croce sopravvissute nel 12 secolo sono strettamente legate ai rituali di partenza dei pellegrini: in primo luogo, nelle fonti papali, prendere la croce identifica il momento in cui i privilegi promessi assumono valore effettivo e la vestizione della croce diviene un segno della validità del diritto alla protezione; la garanzia cerimoniale di un contratto era elemento ordinario, il simbolo convalidava il contratto. Alcune cerimonie sopravvissute al 12 secolo confermano il legame papale tra la vestizione della croce e la protezione, ma un livello ampio e profondo. La croce è un segno della protezione di Dio e una sicurezza per l'immunità personale dei pericoli fisici e spirituali, era qualcosa di più di un simbolo di pietà, di un emblema di devozione, di una pubblica conferma di un voto o di un segno dello status di colui che la vestiva; era un talismano che faceva appello alle ansie più profonde del viaggiatore e del guerriero, una garanzia di sicurezza così come di salvezza. Altro aspetto significativo dei riti del 12 secolo è quanto fossero tutti legati alle cerimonie del pellegrinaggio, erano diversi uno dall'altro: l'impressione è che non esiste uno standard cerimoniale, non vi fu una cerimonia che rappresentasse un modello per il resto del Medioevo; nel 12 secolo la diversità delle usanze locali e le risposte individuali costituivano la norma, e il papato non controllava un movimento omogeneo. Differenze nelle consuetudini, incertezza sulle priorità d'interesse e assenza di una definizione istituzionale danno l'idea di un fenomeno sostanzialmente elusivo e mutevole: la crociata ebbe significati diversi per persone diverse in tempi diversi o nello stesso momento. Con ciò non si intende negare la serietà delle crociate, e nemmeno il nuovo ambito di esperienze ad esse associate; tuttavia le crociate furono parte di costumi e di abitudini preesistenti e, nel 12 secolo, non contrassegnarono una nuova èra nettamente definita, di là dalla presa di possesso e quindi dall'accessibilità dei Luoghi Santi; lo sviluppo delle crociate come istituzione dipese dal loro essere consuetudine più che novità, dal loro grado di accettabilità e dal loro potenziale di sfida. Se l'attività fu innovativa per ciò che concerne in particolare l'impegno fisico, le tensioni sottese alle crociate (spirituali, sociali, politiche o economiche) non lo furono. Questa nuova pratica non fu ovviamente priva di effetti: i privilegi crociati ebbero vaste implicazioni perché l'immunità legale e fiscale era garantita dalla chiesa e sostenuta, in teoria, dalle autorità secolari; che tali immunità fossero effettive o consistenti è difficile da valutare, le testimonianze sono limitate e contraddittorie; inoltre questa immunità poteva derivare dall'abbinamento dei privilegi concessi ai crociati con le disposizioni delle tregue di Dio, che esistevano all'inizio dell'11 secolo e con quelle che consuetudinariamente erano attribuite ai pellegrini. 7 Delle crociate è utile comprendere come il movimento crociato sia stato interpretato e manipolato dagli apologeti, dai critici e dagli attori, quale fu la sua ricezione nei diversi strati sociali, in tempi e luoghi diversi dalla società occidentale, l'ampia varietà di reazioni e di applicazioni; non è tuttavia facile riuscire a cogliere inizi di questi elementi poiché la natura delle prove a nostra disposizione tradisce scarsa obiettività: la letteratura, le cronache e gran parte della documentazione archivistica sopravvissuta costituiscono esse stesse solo frammenti di quel fenomeno, e in quanto tali, sono distorte, parziali e apologetiche. Nell'Europa occidentale, il 13 secolo, dalla caduta di Gerusalemme nel 1187 al processo ai Templari nel 1307-1314, vide l'elaborazione del negotium crucis, versatile per la sua diversità quanto per la sua universalità, ma estremamente significativo per ciò che rifletteva e per ciò che lo ispirava. Ambiguità ed esitazioni non erano state spazzate via dall'enciclica del 1188 Audita tremendi di Gregorio 8°: secondo la testimonianza di uno scrittore norvegese le notizie della caduta di Gerusalemme e della chiamata alle armi da parte di un pontefice furono accolte alla corte di Canuto 6 di Danimarca in un silenzio sbalordito; un laico, fratello dell'arcivescovo Absolom di Lund, pronunciò un discorso per incitare i danesi all'azione; come riporta la cronaca, fu data grande enfasi alla fama e al successo eroico degli antenati vichinghi dei danesi, la cui gloria impallidiva tuttavia di fronte alle conquiste offerte da questa guerra santa: era la prima volta che la corte danese entrava in contatto con le crociate. Secondo il De prifectione la risposta alla bolla papale e all'esortazione di Esbern fu tiepida: solo sette notabili partirono. Sebbene quell'impresa fosse percepita come genericamente meritoria e individualmente premiante, non c'è alcun segno di una consolidata retorica della croce nella descrizione dell'accoglimento e della tradizione in pratica di questo appello alla crociata: i danesi appaiono esitanti e incerti, sopratutto se messi a confronto con gli altri governanti europei. Cinquant'anni dopo il panorama appare radicalmente mutato: un legato pontificio incaricato di punire i vescovi tedeschi infedeli all'imperatore scomunicato Federico II, registra che il decano di Passavia e gli imperiali si erano appropriati dell'arma della guerra santa, trasformandola in un elemento di propaganda, un'arma che sarà usata vigorosamente contro di loro dai pontefici che seguirono. La proclamazione di un'anticrociata, anche come gesto simbolico, suggerisce che almeno l'ambiguità di un linguaggio e di un cerimoniale specifici aveva impregnato la società del tempo: l'anticrociata di Passavia fu un involontario omaggio all'efficacia della crociata come rimedio ai mali della Chiesa romana. Nel 13 secolo si assistette a un'applicazione su vasta scala dell'ideologia e dell'attività crociata come risposta ai problemi di difesa, di espansione e controllo della cristianità: è possibile trovare tracce della presenza dei crucisignati in Siria, Egitto, Grecia, Spagna, Francia, nel Baltico, in Inghilterra, Germania, Maiorca e Italia, sui più disparati campi di battaglia; Crucisignati combatterono a favore e contro Enrico III d'Inghilterra o Federico II di Germania; l'elenco dei nemici della croce incluse musulmani, Russi, albigesi, Aragonesi, Greci, Italiani, Bosniaci, Slavi, Baltici, Mori e Mammelucchi, infedeli, eretici, ribelli e rivali politici del papato; le istituzioni del negotium crucis raggiunsero tutte quelle zone della cristianità che si riconoscevano nell'autorità pontificia. Intorno al 1220 il potere ecclesiastico e quello secolare esprimevano familiarità con i rituali e i privilegi dei crociati, i crucesignati riti, come vennero definiti dagli statuti generali della chiesa scozzese; perfino l'esiguo insediamento in Groenlandia contribuì alla causa all'inizio del 14 secolo, e ovunque attestazioni mettevano in rilevo l'ampia portata sociale del fenomeno. Il negotio crucis divenne l'emblema che univa una grande varietà di attività e aspirazioni che altrimenti sarebbero rimaste separate: una combinazione di predicazioni, rituali, voti, liturgia, reclutamento, indulgenze, penitenze, azioni finanziare e militari che furono usate per affinare l'approccio ecclesiastico al mondo laico e gli atteggiamenti e le procedure di quest'ultimo nella spiritualità, nella guerra e nella giustizia. La teorizzazione intellettuale ricevette il supporto di signori della guerra e di politici ansiosi di ottenere reclute, introiti e giustificazioni morali alle loro pratiche; la coincidenza di interessi personali e convivenza economica per papi, potere secolare, 10 clero e mondo laico, fu fondamentale per dare risalto alla crociata, che non si impose ai fedeli come un'attività specifica ma come piuttosto adottata e adattata per ragioni di volta in volta pie, sordide, nobili, egoistiche, eroiche o ipocrite. Le reazioni alle crociate non furono monodimensionali: gli osservatori potevano essere favorevoli ad alcune crociate, a tutte, o a nessuna; molti le ignorarono (un esempio eclatante fu quello di Federico II che prese la croce e partì per la crociata sebbene fosse stato scomunicato e fu persino obiettivo egli stesso di crociate proclamate contro di lui). Le crociate non furono un'ideologia monolitica o un movimento autonomo, una forza libera e coerente in grado di determinare e allo stesso tempo chiarire reazioni positive o negative; piuttosto esse presentarono un duplice aspetto, quello di particolare forma di guerra santa a disposizione dei leader politici della cristianità e quello di un insieme di prove religiose che potevano andare ben oltre i limiti del campo di battaglia. Per questo motivo le crociate suscitavano entusiasmo o scetticismo non tanto in base a un qualche valore morale intrinseco, quanto a seconda dell'interesse del commentatore; le conclusioni generali che si possono trarre dalle singole testimonianze sono quindi in linea di massima poco utili alla ricerca. Innocenzo III Si potrebbe essere indotti a esagerare il dinamismo della leadership di Innocenzo III (1198-1216): egli in realtà codificò e articolò delle tendenze in atto piuttosto che crearne di nuove; nondimeno il suo contributo alle crociate potrebbe essere definito come una sorta di creazione. I documenti fondamentali che fecero della crociata un'istituzione coerente sono la bolla Quia maior (1213) e il decreto Ad liberandam (1215) del 4 Concilio Lateranense. Per quanto in quasi ogni circostanza Innocenzo consolidasse ed estendesse pratiche già esistenti, la conseguenza fu che vennero gettati i fondamenti dell'istituzione: lanciando una nuova spedizione, Quia maior reiterava i temi propagandistici dei primi anni (offerta di salvezza, la carità per i cristiani oppressi, la Terra Santa come patrimonio di Cristo e dei suoi seguaci, una prova di devozione cristiana), l'apparato di persuasione fu solo ripetuto con nuovi dettagli: indulgenze plenarie, perdono per tutti i peccati confessati concesso attraverso il potere conferito da Cristo al papa, furono accordati a coloro che partivano personalmente, a spese loro o di altri, e a coloro che commutavano il proprio servizio delegando altri al loro posto. Tutto ciò mise fine a oltre un secolo di confusione, esitazione e offuscamento evidenti nella riluttanza pontificia a definire la precisa natura dell'indulgenza della crociata, e cioè se fosse rimesso il peccato o la penitenza del peccato. Innocenzo III andò anche oltre incoraggiando tutti coloro che lo desideravano a prendere la croce, permettendo lo scioglimento dei voti per denaro in funzione dei mezzi, ampliando così in modo massiccio i vantaggi legati alla vestizione della croce; lo scioglimento dei voti su larga scala doveva modificare radicalmente la percezione e forse la reale spinta della predicazione della crociata, l'impresa diventava così finanziariamente e militarmente vantaggiosa; nell'arco di una generazione, lo scioglimento dei voti da parte di non-combattenti divenne abituale e in certi casi, anche obbligatorio. Il concetto di Innocenzo includeva deliberatamente l'intera ecclesia, laici e chierici: mentre i vescovi dovevano rendere esecutivi alcuni provvedimenti, il braccio secolare era coinvolto nel controllo delle norme contro l'usura ebraica; le comunità secolari furono incoraggiate a unirsi per fornire milizie adeguate. Per assicurare che il negotium crucis divenisse una caratteristica regolare della vita laica, furono istituite processioni mensili, elemosine, digiuni, predicazioni e preghiere, inclusa una speciale preghiera inserita nella liturgia della messa; in ogni chiesa parrocchiale doveva essere esposta una cesta per ricevere le donazioni per le indulgenze dei fedeli (e per tutto c'erano dei precedenti liturgici). Nondimeno, la bolla del 1213, incorporata bel decreto del 1215, fornì le basi per introdurre nella vita quotidiana della cristianità la liberazione di Gerusalemme. 11 L'eredità di Innocenzo III Le clausole del Quia maior furono reiterate nel decreto finale del 4 Concilio Lateranense, ma con una maggior insistenza e attenzione ai dettagli di applicazione dei voti e del finanziamento, come la tassa ecclesiastica triennale di un ventesimo. Queste ordinanze esercitarono un influsso straordinario sulla successiva legislazione pontificia. La stessa mancanza di una precisione minimamente confrontabile o il letterale plagio del del decreto, l'equivalente Redemptor Noster del Concilio di Vienne (1312) parrebbe indicare che i decreti di Innocenzo avevano definito, per le crociate, procedure ormai accolte. Per quanto fossero forti le spinte a combattere i nemici della Chiesa, le consuetudini legali rimanevano scleroticamente statiche: chi accettò di combattere gli infedeli nel 14 secolo ottenne talvolta privilegi aggiuntivi (come il diritto di nominare il proprio confessore) ma nessun papa dopo Innocenzo III e nessun concilio medioevale dopo il 4 Lateranense sentì la necessità di andare oltre il decreto del 1215 sull'apparato centrale dei privilegi (e anche così l'accoglienza e l'applicazione del modello di Innocenzo III non furono coerenti, coesivi né semplici). Nel 12 secolo sembra essere esistita una gerarchia di indulgenze legate alla guerra santa, indulgenze che i combattenti contro cristiani avrebbero ricevuto solo in caso di morte sul campo in battaglia e non, come secondo il privilegio completo di Terra Santa, anche se essi fossero sopravvissuti; nell'enciclica del 1213, eccezion fatta per Spagnoli e Provenzali, le indulgenze offerte contro albigesi e Mori furono annullate, il che la dice lunga sulle priorità del papa, che si impegnò più di ogni altro per estendere l'ambito del negotium crucis. La centralità della Terra Santa nel sistema di remissione dei peccati fu riconosciuta nel terzo decreto del 4 concilio Lateranense, nel quale a coloro che vestivano la croce per sterminare gli eretici furono offerti indulgenze e privilegi pari a quelli concessi a coloro che partono in aiuto della Terra Santa; similmente, anche nel I Concilio di Lione le ricompense per l'aiuto all'impero latino di Costantinopoli erano quelle concesse a coloro andati in soccorso alla Terra Santa; questo valeva per eretici e scismatici valeva anche per i pagani nel Baltico e i nemici del papa in Germania, Italia e altrove: sebbene ci siano esempi di indulgenze plenarie concesse senza fare riferimento alla Terra Santa, il tradizionale legame non fu mai completamente sciolto. Le basi teoriche, tutt'altro che chiarite nei decreti di Innocenzo, furono ampiamente glossate; Innocenzo III ben poco aveva fatto per sedare le persistenti ansietà accademiche sulla relazione fra la crociata e la guerra santa, tradizionalmente giustificata: i canonosti che seguirono furono liberi di interpretare la croce a loro piacimento, una licenza sorprendente in un'epoca di crescente legalismo e di forte ortodossia; nessuna categoria specifica di guerra fu definita e la crociata potè nutrirsi di un ampio ventagli di concetti e analogie: feudali, penitenziali, romane. La teoria seguì la pratica da vicino o a distanza: un esempio si trova nella peculiarità che alcuni crociati albigesi prendessero servizio per un periodo tipicamente vassallatico di quaranta giorni fu ignorata, sebbene ciò segnalasse la differenza rispetto ad altre campagne della croce. L'impressione tramandataci dai teorici del 13 secolo è che la definizione di Innocenzo III fosse in realtà superficiale: le ambiguità e le diversità del 12 secolo persistevano sotto il guscio della certezza e dell'uniformità papale; di là dall'affermazione della piena autorità papale di ordinare guerre e indulgenze, giustificazioni precise e distinzioni legali non fusero mai un corpus complessivo chiaro e definito di leggi canoniche riconosciute: il meglio che l'Ostiense, un allievo di Innocenzo 4, riuscì a fare, fu affermare che la crociata era una giusta guerra pontificia; fu l'autorità quindi, piuttosto che la finalità dell'impresa, a ottenere un rilievo che avrebbe avuto profonda eco sulla prassi. Aver concentrato l'attenzione sull'autorità alla fine pregiudicò la definizione di una teoria chiara sulle crociate: al suo posto esistevano una serie di concetti e giustificazioni prese in prestito da altri ambiti (giusta guerra, supremazia papale, relazioni con gli infedeli) che non furono mai raggruppati in leggi o canoni. Di ciò non si preoccupava chi materialmente partecipava alla crociata, anche se la 12 Il tornaconto personale fu in realtà il vero obiettivo delle crociate papali in Italia: garantire e incrementare l'indipendenza politica e l'autorità temporale dei pontefici nella penisola; di conseguenza, il loro status diede luogo a controversie. Che fossero legittime o no, le crociate in Italia misero in dubbio l'autorità papale: partendo dall'assunto che le crociate papali politiche erano equivalenti a quelle contro gli infedeli, i papi cercavano di imporre ai contemporanei una rigida interpretazione curiale degli affari cristiani, linea seguita anche dagli apologeti moderni. Le motivazioni dei critici, parziali ed egoistiche, non erano più o meno giuste o sbagliate di quelle dei difensori e degli alleati del papa: la critica alle crociate papali nei secoli 13 e 14 proveniva da alcuni che peraltro non erano affatto antipapisti, ma in modo analogo quelle stesse campagne suscitavano un caloroso consenso. Incontestabile è che l'ampio uso dell'apparato crociato fosse causa di discordia e che il punto di vista della curia romana non fosse l'unico; tuttavia non si ricava molto nell'adottare posizioni di parte: coloro che criticavano aspramente le guerre italiane erano spesso in favore della restaurazione di una Terra Santa cristiana, per la quale la guida papale era considerata essenziale. Anche se la maggior parte delle crociate (escluse quelle verso l'Oriente) tendevano a essere predicate solo in aree particolari, l'amministrazione poteva diventare un incubo: a metà degli anni 50 del Duecento schiere rivali di predicatori domenicani e francescani erano in competizione per reclute e fondi per crociate diverse nella stessa regione, scagliando anatemi gli uni contro gli altri, nel 1248 due gruppi di agenti papali in Normandia litigarono sul diritto di raccogliere il riscatto dei voti crociati; altrove fecero la loro comparsa predicatori e collettori di elemosine fraudolenti, ovvero non autorizzati: i profitti provenienti da riscatti ed elemosine, resi disponibili dalle disposizioni di Innocenzo III, erano allettanti, così come l'ideologia della guerra santa, cui potevano fare ricorso sia gli oppositori del papato che i suoi alleati. La sovrabbondanza di crociate alternative causava problemi sia ai crucesignati sia agli ufficiali ecclesiastici: alcuni trattavano palesemente l'intera faccenda come fare la spesa al supermercato: il sovrapporsi di obiettivi ebbe serie ripercussioni. All'occasione, Italiani, Tedeschi, Spagnoli e Francesi si univano per sostenere le loro crociate locali, per la possibilità di profitto materiale e gloria temporale, come pure di beneficio spirituale; in ogni modo, popolari o no, le crociate non dirette in Terra Santa erano diverse sia nelle intenzioni che nella pratica e i contemporanei se ne rendevano conto. Malgrado gli sforzi dei papi e dei loro agenti, le crociate che non si proponevano di combattere l'infedele non potevano aspettarsi automaticamente l'approvazione generale: non sembra che i contemporanei le giudicassero come un movimento unitario, e quindi, le risposte erano frammentarie; c'era coscienza di una diversità di destinazione, motivi e circostanze (anche i sostenitori dei papi e delle crociate potevano esprimere la loro opposizione). I papi stessi operavano dei distinguo: intimamente preoccupati per tutto l'armamentario delle crociate, adottarono un atteggiamento realistico di fronte alle difficoltà nel gestire le campagne su molteplici fronti: per la maggior parte si presero cura di indirizzare la predicazione nelle regioni ritenute amiche: la Francia settentrionale fu il terreno di reclutamento per le campagne albigesi, dopo la metà del Duecento la predicazione della crociata italiana evitò l'Inghilterra e, in generale, le crociate politiche tendevano ad avere un sostengo ristretto. In generale si era consapevoli del fatto che parole e teorie non potevano essere usate in modo del tutto indiscriminato: nel 1318 il tentativo francese di identificare i fiamminghi come bersagli adatti per una crociata (in quanto scomunicati che impedivano il passaggio verso l'Oriente, quindi sullo stesso piano dei Saraceni), fu troppo persino per Giovanni 22esimo; il suo rifiuto di aggiogare la crociata alla politica estera francese fu seguito anche dai suoi successori ad Avignone; fino al grande scisma del 1378, la guerra dei Cent'anni non coinvolse le crociate. La crociata di Despenser metteva in luce il rovescio della medaglia dell'estensione e della manipolazione papale delle crociate e il suo potenziale sfruttamento da parte di altri: in apparenza si trattava di una campagna per combattere i sostenitori scismatici del papa avignonese Clemente 7, di 15 fatto la maggior parte di quelli descritti da un contemporaneo inglese come nemici della croce erano urbanisti; l'assunto centrale di alcuni studi sulle crociate è che il controllo della curia tenesse testa all'autorità teoretica papale e questo sottovaluta le incertezze che circondavano l'invio e il ricevimento degli ordini papali: talvolta le bolle raggiungevano le loro destinazioni soltanto dopo che il loro messaggio era diventato obsoleto (la lentezza e la complessità delle tabelle di marcia proposte per le crociate in Terra Santa nel 1290, 1312 e 1333 rappresentavano da sole una causa di fallimento). Tutti i progetti di crociate richiedevano una fitta negoziazione tra le autorità ecclesiastiche e i poteri secolari, per i privilegi, i lasciti e sempre più per gli stanziamenti: raramente era previsto un controllo ecclesiastico diretto o effettivo; fuori dall'Italia la direzione papale quasi sempre si limitava alla parte amministrativa, concernente il finanziamento, reclutamento e predicazione. Gli appelli alle crociate erano frequentemente suggeriti da avvenimenti e dalle invocazioni dei fedeli assediati; molte crociate videro quindi il papa non condottiero ma condotto. C'era una sorta di ironia in questi sviluppi: mentre persino una crociata in Terra Santa poteva sfuggire al controllo papale, come avvenne nel 1202-1204, le campagne particolarmente vicine agli interessi papali (come le guerre in Italia) erano più direttamente controllate: a partire dal 1250 i papi sostennero uno sforzo più deciso per le crociate italiane che per qualsiasi altra e le ragioni erano molteplici: non era possibile un passaggio più grande per soccorrere e poi riconquistare la Terra Santa; in Spagna era rimasto poco da riconquistare e pochi erano gli eretici con una chiara base geografica o politica che potessero attrarre le crociate mentre al contrario, gli interessi papali in Italia apparivano urgenti e risolvibili con il ricorso alle armi. Malgrado il sostegno per chi fosse disposto a combattere la minaccia musulmana nel mediterraneo orientale, a qualcuno nel 14 secolo pareva che le crociate fossero diventate l'arma che i papi usavano principalmente contro i loro nemici politici, a danno della resistenza della cristianità all'Islam; la necessità di bilanciare le campagne italiane con crociate tradizionali aveva incoraggiato i papi ad adottare un'interpretazione più ampia, quasi distorta. La natura del negotium crucis nel 13 secolo e oltre, appare meno coerente se osservata lontana dalla propaganda curiale: la mancanza di innovazione da parte di autorità laiche ed ecclesiastiche nello schema dei privilegi crociati dopo il primo quarto del 13 secolo era in contrasto con i significativi spostamenti nell'atteggiamento e nella pratica; questa cautela legale e ideologica di fronte al persistente entusiasmo manifestato per la guerra spiritualmente benefica e la non offuscata retorica di attivisti, suggeriscono una discrepanza tra l'immagine e la realtà. Le risposte alle chiamate di crociata erano difficili da controllare allora e da accertare adesso dal momento che molti dei racconti più elogiativi facevano essi stessi parte del processo di promozione e costruzione di immagine; Innocenzo III aveva presentato con nuova chiarezza le armi della guerra, delle penitenze, della finanza, del controllo sociale, della persecuzione, dell'esaltazione politica e della fede, armi che i suoi successori sfruttarono con determinazione e abilità. In questo senso la crociata non era una crescita organica ma una creazione artefatta: malgrado l'uso del linguaggio del precedente e della tradizione in Quia maior, le innovazioni accuratamente create da Innocenzo sono sufficientemente esplicative; in seguito la leadership papale fu irregolare, la sua efficienza e autorità spesso ripagata sia da inadempienze sia dall'impegno sul campo di battaglia. Linguaggio Malgrado Innocenzo III avesse dato una codificazione all'organizzazione della crociata, una significativa peculiarità è sopravvissuta dal 12 secolo fino ai tempi moderni: la mancanza di un termine preciso, specifico e riconosciuto universalmente per descrivere questa attività. Anche dopo che il termine crucesignatus venne in auge nei testi latini dopo la terza crociata, le spedizioni stesse erano ancora definite o con parole generiche che riguardavano il viaggio a cui si aggiungeva un epiteto di santità o la destinazione geografica. 16 Le descrizioni di chi partecipava alle campagne erano più precise ma non uniformi: la loro identificazione con i pellegrini era diffusa fino ancora al 14 secolo nelle fonti letterarie e nei documenti ufficiali e la parola crucesignatus fu usata senza che avesse alcuna associazione con la crociata (per esempio dall'Inquisizione quando imponeva agli eretici riformati di vestire la croce come penitenza). Un vocabolario distintivo in realtà emergeva, principalmente nel volgare e quindi soltanto a zone, specialmente, pare, nella Francia meridionale, forse come risultato dalla vicinanza della crociata albigese, ma comunque, anche in queste regioni, non vi fu iniformità. Il linguaggio dei documenti ufficiali non era più specifico: i documenti papali tendevano a concentrarsi sull'emissione di privilegi e sulla predicazione; la curia arrivò alla parola italiano/latina cruciata intorno al 1300 e il suo uso fu caratterizzato da ambiguità. Il divorzio della crociata dai crucesignati, che, benché niente affatto universale, fu una caratteristica del tardo Medioevo, era ravvisabile nelle ambiguità di linguaggio che si erano sviluppate nel 13 secolo. Il generale servizio nel nome di Cristo e il simbolismo mistico della croce appaiono dovunque nei sermoni crociati che ci sono rimasti, come pure nelle esortazioni ecclesiastiche; tuttavia, la ricorrente enfasi da parte di osservatori laici ed ecclesiastici sull'elemento del pellegrinaggio indicava quanto fosse difficile nascondere il Santo Sepolcro nell'ombra della croce. La mancanza nel 13 secolo della costruzione di un vocabolario latino ufficiale uniforme, consistente o specifico delle crociate, fu un'omissione significativa da parte della curia e dei canonisti; tuttavia rese più facile presentare talvolta in maniera confusa, persino fuorviante, le crociate. La diversità del vocabolario crociato può mettere in ulteriore dubbio la coerenza dell'attività stessa: il termine che alcuni hanno visto come identificatore proprio di tale coerente attività, cruciata, è non meno rivelatore nella sua applicazione: qualunque sia stato il suo primo conio, è un equivalente latino delle numerose parole correlate nelle lingue romanze che indicano l'attività di coloro che avevano preso la croce; corrente già nel 14 secolo (specialmente in Italia), comune ma certo non universalmente usato, entro il 15 secolo il termine era usato da accademici, cronisti e agenti di Giovanni 23 e Martino 5 per indicare la crociata, in Italia e in Boemia. La parola sembra tuttavia aver implicato un particolare, specifico e significativo concetto sussidiario: il denaro: nei resoconti del tesoriere papale della Marca di Ancona per il 1322, crutiata si riferiva al denaro raccolto per promuovere la predicazione; nel 1397 stava ancora a significare i proventi della raccolta di fonti per la crociata; all'inizio del 16 secolo il termine era esplicitamente sinonimo di denaro raccolto per una crociata attraverso la vendita di indulgenze. Quando parlavano di ciò che noi chiamiamo crociate, la maggior parte degli scrittori del 16 secolo usavano guerre sainte o bellum sanctorum, non croisades; dal 16 secolo al 18 secolo, se si esclude la guerra santa o un passaggio, il termine francese prese piede: l'uso ormai universale della parola crociata, derivata dallo spagnolo, probabilmente deve il sopravvento a David Hume ed Edward Gibbon nel 18 secolo dal momento che scrissero alcune delle più incisive descrizioni di questa pratica mai viste in qualsiasi lingua. La storia del vocabolario delle crociate solleva una serie di domande sulla natura e sulle percezioni dell'attività: l'imprecisione, la malleabilità e la spuria uniformità dovevano segnare il passo prima che la crociata fosse definita come un'istituzione concreta con un'esistenza al di fuori dell'interpretazione dei testimoni oculari e dei promotori. Legge secolare e crociati Alcuni elementi della natura della crociata, come pure della sua penetrazione nei meccanismi della società laica, sono rintracciabili nelle procedure usate nei tribunali secolari per sostenere e rafforzare i privilegi temporali concessi ai crucesignati e risulta con chiarezza un modello generale: i privilegi del crociato derivavano e rimanevano strettamente collegati con quelli goduti dai 17 della crociata: essa garantì uno scenario appropriato per i revivalisti ansiosi di pentimento e, per la cerimonia pubblica dell'adozione della croce, un'attiva forma di partecipazione comunitaria distinta da altre risposte della mensa o della confessione. Fu integrata nei provvedimenti amministrativi e liturgici del Quia maior e in seguito nell'organizzazione di ogni crociata, il fulcro intorno al quale ruotavano il reclutamento, le indulgenze, il finanziamento, la propaganda e il rinnovamento spirituale: questo costituì l'elemento innovativo. Nel 12 secolo poche furono le predicazioni organizzate: se si esclude il viaggio di Urbano II attraverso la Francia e le possibili attività di Pietro l'Eremita, le prove di una predicazione per la prima crociata sono assai poco evidenti. In diverse aree, come in Germania e in Italia, i crociati in transito erano loro stessi gli unici propagandisti. Predicazioni generali della croce rimasero poco frequenti, in quanto fortemente dipendenti dall'approvazione e dalla gestione secolare locale; al tempo della seconda crociata, se si escludono San Bernardo, il vescovo di Langres e Rodolfo (rinnegato, quindi senza autorizzazione), ci fu una marcata assenza di predicazioni, nessuna campagna generale di predicazione venne autorizzata da Eugenio III. I canali di informazione furono quelli della signoria, della raccolta delle tasse, il mercato, le chiese parrocchiali, le porte dei monasteri, gli alloggiamenti dei viaggiatori, gli incontri delle comunità e delle famiglie, non le prediche prestabilite. Anche la terza crociata seguì lo stesso schema: sebbene la bolla Audita tremendi di Gregorio 8 (1187) non facesse menzione di un sistema di predicazione organizzato, potrebbe aver fornito le basi per i discorsi di esortazione. L'iniziativa per l'organizzazione delle flotte e degli eserciti venne dai governanti secolari, non dalla Chiesa: il fallimento del patriarca Eraclio nel 1185, fatta esclusione per l'incoraggiamento per un manipolo di cortigiani angioini, dimostrò chiaramente il destino negativo di una predicazione priva di supporto e organizzazione politica. Viceversa, l'esito favorevole del sermone dell'arcivescovo Josias di Tiro a Gisors nel gennaio del 1188 fu politico, dato che permise l'alleanza tra Filippo II ed Enrico II nel segno della croce; il reclutamento, il sostegno aristocratico e il potere reale definirono il contesto per il discorso dell'arcivescovo Enrico di Strasburgo alla corte di Federico I. Senza una guida secolare rimaneva ben poco della predicazione: lo sforzo principale nei preparativi fu, almeno al nord delle Alpi, essenzialmente materiale, il reclutamento un fatto personale, geografico, di lealtà familiare o finanziaria come di devozione popolare. Verso la fine del 12 secolo ci fu un maggiore impegno ecclesiastico nella predicazione: intorno al 1200 la predicazione autorizzata da Innocenzo III migliorò più nella sua concezione che nei fatti, data le penuria di predicatori e la vastità delle aree da coprire per ognuno di loro. Un mutamento si verificò con la pressante predicazione della crociata degli albigesi in alcune zone della Francia e i preparativi per la quinta crociata: diedero vita a internazionali ed efficaci campagne di evangelizzazione di massa; tuttavia, la predicazione mantenne la sua relazione profonda con l'autorità secolare, basata cioè più su interessi essenzialmente civili e secolari, ma non spirituali. I predicatori del pontificato di Innocenzo III usarono la crociata per cercare di dare applicazione pratica alla teologia pastorale; lo stesso si può dire per i loro successori; non è una coincidenza che tutti gli autori dei sermoni delle crociate del 13 secolo a noi pervenuti avessero studiato a Parigi, il centro di idee di riforma morale pratica e della ben più esoterica cristologica del movimento pauperista che tanto influenzarono la retorica di alcuni di questi evangelizzatori. Incoraggiare la confessione personale e la penitenza individuale ben si accordava con la diffusione del riscatto dei voti: l'obiettivo di questo evangelismo diventava sempre più l'indulgenza, così come la liberazione della Terra Santa o la difesa della Chiesa. Tutto ciò portò a un paradosso sostanziale: la predicazione si diffuse e divenne una consuetudine quando il reclutamento si allontanò da tanto evangelismo, una separazione sancita dall'integrazione della predicazione nell'apparato formale della preparazione alla crociata. 20 Regolari e strutturate predicazioni su larga scala coincise con l'ampliamento del campo di azione delle indulgenze nei confronti dei decroisies; mentre la predicazione veniva posta formalmente al centro di tutto il meccanismo di reclutamento, i metodi di raccolta degli uomini diventavano progressivamente più strutturati e meno dipendenti dalla casualità dell'entusiasmo popolare. Raccogliere truppe costituì l'elemento efficiente nella costruzione delle crociate, la predicazione diede ad esso dignità. Il registro cardinale di Ugolino di Ostia, più tardi papa Gregorio 9, riporta i frutti del viaggio di raccolta fondi che il cardinale intraprese in Italia settentrionale nel 1221, chiarisce come non tutti coloro che spstarono la causa crociata erano crucesignati; loro erano tenuti ad autofinanziarsi oppure ad essere sostenuti dai rispettivi signori o comunità, arruolati contrattualmente dopo attente negoziazioni con il legato e i rappresentanti imperiali. Ugolino comunque raccolse milizie mercanteggiando, non predicando: l'onere del reclutamento cadde essenzialmente sui governanti, non sui predicatori, il cui ruolo effettivo era quello di garantire un contesto propagandistico sufficientemente appetibile grazie ai benefici spirituali. L'efficacia dei sermoni non dipese dal fatto di riuscire a fornire o meno dei combattenti crucesignati; andrebbero analizzati nelo loro specifico contesto: produzioni letterarie stilizzate e strumenti di missione pastorale e politica. Questi sermoni non furono quasi mai spontanei: esisteva probabilmente una forte componente rituale, ed essi operavano come parte di una più ampia iniziativa religiosa, ecclesiastica o secolare. L'itinerario del 1188 venne programmato in anticipo: in accordo con le istruzioni di Gregorio 8 sulle messe speciali durante l'avvento e sui digiuni quaresimali, i sermoni vennero ostentatamente inseriti in un'intelaiatura di confessioni e penitenze; a dispetto di quanto predicatori e cronisti desideravano far credere al loro pubblico, lungo tutto l'arco temporale della predicazione delle coricate fu evidente la mancanza di spontaneità. E' in un contesto di formalità precostituite, malgrado andrebbe valutata la mancanza di uso del gergo del pubblico, che vanno comprese e valutate le citazioni dei predicatori e manifesta è la presenza di un topos letterario. Il divario fra predicatore e il suo pubblico in termini di status, classe sociale, esperienza, regione e linguaggio era chiaramente riconosciuto, e talvolta forse anche deliberatamente enfatizzato, la diversità non era necessariamente un ostacolo. Nel 13 secolo le crociate presero a sfruttare in misura consistente e coerente l'abituale condotta religiosa del fedele: questo, forse anche più del reclutamento, fu il ruolo e il contesto della predicazione per la crociata. Le testimonianze dei sermoni indicano che, come istituzione definita e coerente, le crociate furono un'invenzione degli intellettuali del 13 secolo; alla fine del secolo circolavano collezioni di esempi crociati e manuali di predicazione, mentre famosi predicatori erano soliti inserire i sermoni per le crociate nelle loro collezioni; il desiderio di coinvolgere un più vasto pubblico è spesso testimoniato negli aneddoti in qualche modo innaturali ideati per attirare l'interesse popolare; indulgenze sempre più grandi venivano offerte a coloro che assistevano ai sermoni crociati, il che è rivelatore delle speranze dei promotori più che dell'entusiasmo degli astanti. Di tutto ciò che dissero i predicatori popolari non esiste traccia, probabilmente perché mancarono loro i cronisti, o forse anche perché la loro predicazione fu alquanto superficiale. Per molti dei suoi promotori, la crociata fornì un mezzo di conversione dei laici, simboleggiato e riconosciuto dalle indulgenze concesse non soltanto a coloro che prendevano la croce, che si fossero redenti o no, ma anche a coloro che semplicemente ascoltavano la predicazione. Alcuni giorni dell'anno divennero pertanto i più indicati per le cerimonie crociate, indipendente o in coincidenza con l'effettivo bisogno esterno di crociate. L'appello a prendere la croce aveva un obiettivo di redenzione che non dipendeva dalla conseguente battaglia temporale: la conversione, l'indulgenza, la salvezza, il dovere religioso e il destino cristiano ebbero il sopravvento sulle esigenze militari; se ascoltare semplicemente le parole poteva fornire una ricompensa spirituale, prendere la croce garantiva un merito sociale, politico e fiscale, 21 oltre che divino. Le crociate e le donne La relazione delle donne con le crociate riflette la trasformazione della crociata da guerra santa di particolare durezza e merito in un esercizio spirituale ampiamente accessibile che non richiedeva necessariamente un'attività fisica straordinaria; le donne avevano partecipato alle crociate fin dall'inizio (la maggior parte per accompagnare i mariti). Intorno al 1200 la consuetudine di prendere la croce da parte delle donne era ben consolidata: negli eserciti c'erano prostitute e lavandaie, spidocchiatrici; donne portavano l'acqua alle truppe, aiutavano a riempire il fossato, vendevano provviste. Generalmente le autorità disapprovavano: le restrizioni alla libertà delle donne, legale e domestica, erano considerevoli: le donne nubili erano duramente disapprovate, a meno che non fossero vecchie lavandaie sessualmente non appetibili; la Chiesa cercava combattenti e non combattenti che provvedessero alle necessità delle truppe, ed era riluttante a concedere alle donne il diritto di prendere la croce in ogni caso, sopratutto senza il consenso degli uomini che ne avevano la potestà o dei mariti; il controllo delle donne sulle azioni dei loro mariti fu ulteriormente ridotto da Innocenzo III nel 1200 e nel 1201, quando decretò che gli uomini potevano prendere la croce senza il previo consenso delle mogli, pur permettendo alle donne di accompagnarli. Nel 13 secolo, con la separazione fra attività e ricompensa decretata da Innocenzo III, le donne furono coinvolte nelle crociate attraverso le loro donazioni, i lasciti testamentari, i riscatti e le indulgenze trasferite dai loro mariti; esistevano però difficoltà pratiche non indifferenti: una donna abbandonata da un crociato era esposta a pericoli legali, materiali e, in qualche caso, d'incolumità fisica. Per ammorbidire la resistenza delle mogli alla partenza dei mariti, venne accettato da Innocenzo 4 che le spose e i figli dei crociati partiti godessero di una piena condivisione delle indulgenze. La croce Se la predicazione fu la voce della crociata, la croce ne fu la veste, il simbolo, l'ispirazione: la potenza dell'immagine era evidente e internazionale, la croce rappresentava misticamente Cristo, la sua passione, la resurrezione e la Chiesa, ispirando un genere letterario devozionale autonomo che simboleggiava la cristianità stessa. In quanto simbolo religioso universale, vestire la croce come un contrassegno era pratica ampiamente diffusa, niente affatto una prerogativa esclusiva del crociato: croci vennero indossate dagli ordini militari e monastici e dalle confraternite religiose. Oltre a devozione, lealtà e zelo, la croce poteva significare pena e penitenti: l'imposizione della croce sugli eretici riformati, come segno di umiliazione per la loro ignominia passata e per il loro pentimento attuale, pratica dovuta inizialmente a san Domenico nel 1208, divenne una penitenza ampiamente usata dai vescovi della Francia meridionale e dall'Inquisizione intorno al 12040. Tale fluidità di simboli fa si che le crociate appaiano meno caratteristiche di quanto siano state spesso rappresentate, e lo stesso fece con i crociati. Nella crociata stessa, anche se, intorno al 1190, l'immagine della croce permeava quasi ogni aspetto dell'impresa, le differenze di applicazione rimasero forti e significative: la prima variabile fu dove la croce veniva portata( Es: i crucesignati per la Terra Santa la portavano sulle spalle, a imitazione della via dolorosa di Cristo, i crociati contro gli albigesi e i Mori nel 1212 sul petto). La foggia delle croci era costante, generalmente erano fatte di tessuto, occasionalmente di seta, per quanto si abbia notizia di croci in ottone nel 14 e in ferro nel 15; i colori variavano in modo considerevole: il rosse sembra essere il più quotato prima del 1188, durante la terza crociata invece i colori identificavano le diverse appartenenze: i seguaci capetingi vestivano il rosso, gli angioini il 22 altri eventi e attitudini. Le crociate furono parte integrante delle lotte intestine in Italia e nello scisma, ma con un altro costo di fronte all'opinione pubblica: gli scrittori del 14 secolo e dell'inizio del 15 sottolinearono ripetutamente che le guerre in Europa, che avessero i caratteri della crociata oppure no, ostacolavano la lotta contro l'Islam; i pontefici probabilmente erano d'accordo ma si trovarono intrappolati dalle loro stesse necessità politiche, dato che le crociate erano diventate vitali, dal punto di vista finanziario, per la prosecuzione di certe guerre. D'altra parte, le crociate furono spazzate via dalle aspettative dell'Occidente dalla guerra dei Cent'anni, nonostante la crescente minaccia alla stessa cristianità causata dall'avanzata turca: come risultato, le crociate tradizionali divennero progressivamente irrilevanti e i contemporanei e i cronisti persero poco alla volta interesse effettivo, le funzioni religiose e sociali ad essa associate diminuirono; i meccanismo dell'adozione della croce, dell'indulgenza, della retorica, dell'ambizione e, in modo particolare, dei finanziamenti, sopravvissero: fiorì l'interesse per la storia delle crociate e il tradizionale entusiasmo potè riaccendersi. Il negotium crucis però non faceva più parte della routine religiosa: l'importanza che esso aveva acquisito nella vita cristiana grazie ai riformatori del 13 secolo si era dissolta. Nel tardo Medioevo, quando il fenomeno crociato si era fatto marginale, poche furono le critiche che si sollevarono; eppure, quando le crociate costituivano un elemento abituale, nonostante il consenso ecclesiastico ufficiale sul loro valore spirituale, alcuni considerarono l'istituzione come uno dei molti aspetti sgradevoli della politica europea: manipolata, di parte e corrotta. Critica e declino Che la critica sia esistita è fur di dubbio; ciò che invece è in discussione è la relazione fra le critiche e la popolarità dell'istituzione stessa. Risulta difficile mettere sullo stesso piano delle crociate destinante alla Terra Santa quelle destinate altrove, esse esercitavano un minore richiamo universale, non perché mancassero di una completa autorevolezza legale, o perché differissero in privilegi papali accordati: le altre crociate non furono promosse in misura così ampia, furono ostentatamente di secondaria importanza per i pontefici che seguirono, rimanendo teoricamente, legalmente ed emotivamente all'ombra della Terra Santa. C'è chi afferma che il sostegno alle coricate in generale declinò nel momento in cui il papato corruppe l'ideale usandole come metodo per raccogliere denaro e trasformandole come metodo per raccogliere denaro e trasformandole in guerre contro i cristiani; eppure, nonostante la clamorosa ostilità, le crociate papali in Italia furono sostenute con un certo vigore, molte (e questo non sorprende) godettero indiscriminatamente delle indulgenze plenarie. Fino a tempi recenti il dibattito sulle crociate era praticamente ristretto all'alta politica, alle èlite ecclesiastiche internazionali, alla letteratura aristocratica e alle dispute accademiche; si è invece cercato di far notare che la crociata va osservata in modo altrettanto profondo nelle sue implicazioni pratiche, in ambito locale, nelle parrocchie, nei castelli e nei tribunali; negli ambienti più umili, il rumore degli scontri dei polemisti giunge filtrato, il loro linguaggio e le loro idee si fanno meno precise. Ecco allora l'abisso fra una visione totalizzante della crociata e la supremazia percepita della Terra Santa. L'impatto pratico delle critiche o anche l'assenza di esse, necessitano di riconoscimento: non sembra che l'ostilità alla politica pontificia in Italia abbia impedito nuove importanti crociate in Oriente dopo il 1250; fino agli anni intorno al 1330 le aspettative occidentali di un nuovo passagium generale in Oriente furono molto alte; che poi non si sia realizzato può essere attribuito inizialmente alle tensioni tra i sovrani occidentali e agli evidenti enormi problemi logistici. Il papato fece grandi sforzi per cercare di organizzare spedizioni più piccole contro i Turchi lungo tutto il 14 secolo e, almeno fino al 1370, la nobiltà occidentale era favorevole a vestire la croce e a prepararsi per 25 l'azione. Se si escludono gli ostacoli politici come la guerra dei Cent'anni, la credibilità rappresentò un problema crescente: diverse furono le iniziative per il sostegno e poi per la riconquista della Terra Santa; gli sforzi ricevettero l'approvazione diplomatica, specialmente all'inizio del 14 secolo da parte dei re di Francia; ma con l'andare del tempo una diffidente cautela tenente al cinismo divenne evidente, più che tra chi finanziava l'impresa che fra i futuri crociati. I finanziatori adottarono una linea molto chiara: il denaro sarebbe stato messo a disposizione soltanto quando i preparativi avessero avuto inizi concreto: in questo caso, non furono i critici delle crociate a esprimere scetticismo, ma piuttosto i potenziali sostenitori desiderosi di non essere raggirati e delusi dai risultati. Sintomo di questa frustrazione e della crescente disillusione, fu l'attacco nei confronti degli ordini militari, con i piani per il loro assorbimento, rinnovamento o soppressione: nel corso del 13 secolo, questi ordini avevano preso pieno possesso dell'organizzazione militare e finanziaria per la difesa di routine d'outremer; il fallimento di questo compito condusse inevitabilmente all'ipotesi di una loro riforma. Assai comune era l'idea, nel 1300, di un ordine unito, che attirava al tempo stesso gli strateghi e i governanti secolari desiderosi di prendere il controllo dell'impresa. Secondo alcuni il nuovo ordine avrebbe dovuto comprendere l'intero esercito crociato: solo in questo modo potevano essere garantiti il supporto finanziario, la disciplina e la purezza spirituale; in alcuni casi il disagio per i fallimenti del passato divenne rifiutato e, nel caso dei Templari, persecuzione e abolizione. Tuttavia, qualsiasi impressione di decadenza universale è fuorviante: le reazioni si manifestarono con variegate differenze locali e nazionali; il rispetto e il sostegno per gli Ospedalieri di Rodi, molto attivi in prima linea contro l'Islam, non vennero meno; il ritorno di interesse verso le campagne contro i musulmani si verificò negli anni sessanta e novanta del 14 secolo quando Francia e Inghilterra non erano in guerra; le crociate di parte in Italia cessarono dopo il grande scisma e le stravaganze di Giovanni 23 e Ladislao di Napoli, consapevoli dei danni che tali imprese avevano arrecato alla reputazione del papato stesso e alla capacità della curia di raccogliere denaro dalle Chiese nazionali. Prima del 1378 le critiche alle crociate italiane non ne avevano causato certo la fine: ogni declino delle crociate va analizzato caso per caso, poiché non vi fu un movimento unificato con una vita autonoma; pochi furono gli oppositori alla crociata di Terra Santa, eccetto quando le campagne ebbero esiti disastrosi (1140-1250); anche allora ci fu la tendenza a condannare gli organizzatori o i combattenti per l'abbandono della cristianità, piuttosto di una condanna radicale. Quando le crociate attive contro i musulmani in Palestina diventarono un ricordo, le crociate in Outremer acquisirono un'aura di gloria; quando, nel 14 secolo, le crociate vennero progressivamente associate alle guerre pontificie in Italia, ci fu un mutamento nella critica: le critiche alle guerre interne alla cristianità persistettero per tutta la durata delle guerre; è difficile sostenere che tali guerre ebbero vita difficile a causa di questi attacchi. L'inerzia e le guerre europee, e non il vetriolo delle critiche, ostacolarono i tentativi di Gregorio 10 di organizzare un nuovo passagium, mentre le crociate italiane proseguirono. Le crociate, così come pensate dalla curia, alla fine del 13 secolo, non riuscivano a suscitare reazioni popolari non organizzate: non fu la profonda acquiescenza all'autorità papale a garantire il sostengo alle crociate, ma piuttosto le indulgenze, i riscatti, i salari, la propaganda e la fedeltà secolari alla comunità e ai signori. Un'ulteriore accusa che colpì profondamente la riforma di Innocenzo III fu quella relativa al sistema del riscatto dei voti, alla facilità con cui si poteva ottenere, che risaliva alla vendita diretta delle indulgenze, e all'uso che si fece del denaro raccolto; intorno alla metà del 14 secolo, l'intero sistema entrò in crisi (ci furono accuse che i voti fossero riscattati per somme troppo elevate per il povero o basse per il ricco). I reclami si concentrarono per lo più sugli abusi, piuttosto che sul principio: molti furono coloro che, a partire dalla quinta crociata, collegarono apertamente il fallimento delle grandi spedizioni 26 crociate in Oriente con queste pratiche: la disapprovazione di Dio era manifesta. L'estensione della facilità di riscatto voluta da Innocenzo III operava in un esplicito contesto materiale: permettere un sistema migliore per mobilitare uomini, risorse e materiali; il destino del riscatto dei voti e la trasformazione in vendita di indulgenze rafforzarono l'impressione che le crociate avessero cambiato natura e destinazione rispetto agli obiettivi originari. La longevità della crociata era in questo caso un processo autoperpetuantesi di ricordo e reinvenzione: l'uso della storia fu un elemento fondamentale nel definire che cosa fosse stata la coricata e cosa potesse essere ancora, dando forma distinta e coerenza a eventi altrimenti slegati. Le biblioteche europee si riempirono di racconti, informazioni, propaganda e fantasie riguardanti le crociate: questo collante storico non fu né naturale né accidentale, ma venne attentamente manipolato da coloro che avevano diretti interessi materiali o morali nell'impresa. La suggestione del passato era evidente nell'ottimismo venutosi a creare in seguito alla romantica illusione del legame tra la minaccia degli Ottomani con l'antico risentimento contro i sovrani mamelucchi di Palestina; mentre gli ottomani costituivano il reale pericolo, il sogno di Gerusalemme potrebbe aver contribuito a meglio definire gli aspetti morali, spirituali e di redenzione della guerra contro gli infedeli. L'atmosfera e l'apparato delle crociate influì profondamente sul linguaggio usato per descrivere le battaglie contro i Turchi. Il sopravvivere dell'interesse popolare verso la Terra Santa o da altri paesi è attestato da una grande varietà di fonti: ai propagandisti si affiancano i poeti; anche coloro che avevano esitazioni lollarde nei confronti delle crociate papali interne alla cristianità si unirono alle spedizioni contro gli infedeli, andarono in pellegrinaggio in Oriente e presero in considerazione l'adesione all'Ordine della Passione per la riconquista di Gerusalemme. Gli ordini cavallereschi del 14 secolo fornirono almeno un riconoscimento formale al primato della guerra in Oriente come obiettivo prioritario. La natura e l'estensione di un tale coinvolgimento sociale sono testimoniate dai lasciti testamentari: monarchi e nobili del 14 secolo avevano mantenuto l'usanza di fare donazioni teoricamente cospicue alla crociata, fino a somme dell'entità di diecimila livres; anche più in basso nella scala sociale i lasciti per la crociata costituirono un'usanza ricorrente. Come per la pratica dell'acquisto delle indulgenze, l'ambito sociale era ampio: uomini e donne, re, nobili, signori, padroni, cavalieri, piccola nobiltà, chierici e borghesi: all'incirca tutti coloro che possedevano proprietà da concedere. Tale evidenza non può però costituire la misura quantitativa della popolarità, in quanto la gran parte dei testamenti è andata perduta e la maggioranza di quelli che invece sono giunti a noi, a partire dal 14 secolo, non contemplarono lasciti per la Terra Santa o il passagium; quantitativamente tuttavia, i testamenti mostrano la tenacia dell'ideale della riconquista della terra santa nei cuori e nelle famiglie dell'Europa occidentale, una speranza ispirata e mantenuta da una Chiesa e da una gerarchia legate a un modo di pensare e a uno schema di comportamento al tempo stesso nobili e appaganti; in quanto convenzione sociale, le coricate furono non solo elemento di considerazione sociale, di rispetto e di sicurezza spirituale, ma anche una carneficina dei nemici di Dio. Per colmo d'ironia, le crociate si sciolsero in una sciarada politica, fiscale ed ecclesiastica proprio nel momento del maggior bisogno per l'Europa occidentale di fronte agli attacchi ottomani, tra 1440 e il 1560; ciò che sconfisse le crociate non fu l'Islam, piuttosto le politiche della cristianità e della riforma cristiana. Inizialmente un modo per giustificare occasionali guerre religiose, che più tardi fu deliberatamente usato nella costruzione di una società cristiana regolamentata dai papi, la crociata non esistette indipendentemente dalle forze, dalle circostanze, dalle istituzioni e dalle persone che ne sostennero l'edificio di valori e aspirazioni. 27 questa immagine secolare di irrealtà era il rovescio della realtà secolare imposta dalla minaccia ottomana e dalle lotte religiose. Lo sviluppo della visione moderna La distanza dall'età delle certezze stava crescendo: i commenti erano sempre più autonomi, gli scrittori si sentirono liberi di imporre nuove tendenze per quanto riguardava lo studio della guerra santa, il cui rilievo pratico, malgrado il persistente problema turco, stava scemando; mentre Bongars e gli editori della sua cerchia fornivano una base testuale, e quindi reali, per storie delle crociate ovviamente più letterarie, allo stesso tempo tramandavano alcuni punti fermi dell'interpretazione: da un lato la disapprovazione religiosa, intellettuale o morale, dall'altro l'ammirazione per motivi di orgoglio nazionale, piuttosto che religioso: questa duplice eredità fu ben evidente nel 17 secolo nei contrastanti lavori del pastore anglicano Thomas Fuller e del gesuita francese Louis Maimbourg, eredità che resistette ancora nel 18 secolo. Quattro dei più influenti scrittori del periodo, Diderot, Voltaire, Gibbon e Hume, presero in considerazione le crociate e arrivarono a conclusioni simili: essi furono subito affascinati dall'ignorante e violento fanatismo insisto in ciò che Hume categoricamente descriveva come “il più cospicuo e duraturo monumento della follia umana che sia mai apparso in qualsiasi età o nazione”; per Gibbon, come per Diderot e Voltaire, il disprezzo razionale mascherava un profondo anticlericalismo. Per Diderot le crociate furono “guerre intraprese dai cristiani o per riconquistare i Luoghi Santi o per estirpare l'eresia e il paganesimo”: i crociati erano mossi da “imbecillità e falso zelo” o da egoistici interessi politici, sostenuti da intolleranza, ignoranza, violenza e dalla Chiesa; Diderot riteneva terribili le conseguenze delle crociate: l'Inquisizione, le massicce perdite di uomini, l'impoverimento della nobiltà, il declino dell'agricoltura, la scarsità di metallo prezioso, il crollo della disciplina ecclesiastica e l'aumento della ricchezza monastica. Voltaire adottò un'interpretazione più che favorevole non della crociata in se, ma degli individui che vi presero parte: Federico Barbarossa fu lodato per la cura con la quale si preparò per la terza crociata; Saladino ricevette un sorprendente elogio; l'impresa nel complesso, tuttavia, era stata dispendiosa e inutile, poiché il solo tangibile vantaggio per l'Europa occidentale era consistito, secondo Voltaire, nei privilegi che i nobili impoveriti erano stati costretti a concedere a diverse municipalità. Gibbon presentò l'eroismo non come un valore dei singoli, ma come un carattere culturale dell'Occidente medioevale che, pur subornato dalla Chiesa, dette speranza al futuro: Saladino era un fanatico in un'età fanatica, un santo regale, la controparte musulmana di Luigi 9, fautore e vittima di questa santa follia, il cui voto crociato fu il prodotto di entusiasmo e malattia; Gibbon inevitabilmente criticava le crociate ma era decisamente imparziale nella condanna dei loro eccessi al pari della crudeltà dell'Islam o della decadenza di Bisanzio. Gibbon ammetteva comunque qualche merito: le crociate costituirono, in una zona limitata, una potenziale forza di cambiamento, se non di progresso, aprirono gli occhi occidentali a nuovi orizzonti commerciali, manifatturieri e tecnologici. Ai temi iniziali della disapprovazione religiosa o razionale e dall'orgoglio nazionale, nel 19 secolo si aggiunsero quelli del progresso culturale e dell'ascesa politica dell'Occidente; la rimozione della reale minaccia turca consentì reazioni meno dure alle crociate: il turismo esotico nel Mediterraneo e la passione per l'orientalismo svuotarono la visione delle crociate di qualsiasi senso di perdurante conflitto od ostilità. Questo atteggiamento di esclusiva considerazione di sé ben si accompagnava alla crescente dominazione dell'Europa nella politica, nel commercio, nella scienza e nell'industria; il nemico musulmano divenne una curiosità e il passato fu rimodellato per corrispondere alla corrente immagine della propria superiorità: questo rifacimento della storia fu stimolato dagli eventi, come la 30 campagna di Napoleone in Egitto e in Siria nel 1798, e culminò nell'assurdo, ma vincente, atteggiamento delle potenze occidentali nella conferenza di pace di Versailles nel 1919, quando i Francesi reclamarono un mandato in Siria in nome dei loro diritti medioevali. Il fallimento delle crociate fu sommerso in una continuata orgia di autocompiacimento per l'eroismo e lo spirito d'avventura dei crociati, siano essi stati vincitori o, come più spesso si era verificato, perdenti: all'incirca come scrisse Gibbon, le crociate smisero di essere una parolaccia. La rivalutazione storica si arricchì di una nuova ammirazione e una nostalgia sentimentale per virtù che erano parse così risibili e ripugnanti all'Illuminismo; il 19 secolo può sembrare il secolo dell'appassionata unione di emozione e religione: romanticismo, nazionalismo, imperialismo, colonialismo, liberalismo e socialismo: molti di questi toccarono direttamente la storiografia delle crociate, nessuno più del medioevalismo. Forse per la prima volta, gli scrittori degli inizi del 19 secolo fecero uno sforzo di immaginazione per esaminare il Medioevo nei suoi termini propri, senza denigrazione: l'esclusione però del disdegno fu il requisito indispensabile per seri studi accademici. Apologeti cattolici e protestanti, viaggiatori di fantasia e storici popolari dettero ai crociati e alle crociate il beneficio del dubbio: la loro approvazione spesso era mascherata da un fantasioso senso di partecipazione o da pretese pseudoaccademiche di evitare anacronistici giudizi di valore simili a quello che imputavano ai loro predecessori del 18 secolo; comunque, questi entusiasmi del 19 secolo non erano per niente obbiettivi o spassionati. Alla nostalgia romantica si aggiunse l'ideologia della supremazia, una doppia dose di fantasticheria che produsse risultati inaspettati, bizzarri e infausti: le crociate riscossero l'ammirazione popolare, anche se l'eccesso di violenza suscitò fiammate di disapprovazione: dal disdicevole esempio di eccesso, le crociate divennero sinonimo di battaglia per una buona causa, sopratutto di tipo religioso o morale, in tutto il mondo occidentale; a suo modo ancora più assurda fu nel 1895, durante le celebrazioni a Clermont degli ottocento anni del discorso di Urbano II, la visione della processione commemorativa, guidata da un eminente nostalgico locale nelle vesti di Goffredo di Buglione. Questo entusiasmo rendeva l'indagine degli studiosi degna di rispetto e importanza: in un caso famoso l'influenza fu negativa e criminale: per soddisfare i desideri della nuova aristocrazia sotto la monarchia orleanista del 1840 in Francia, Courtois, Tellier e Stadler si associarono in un lucroso affare per falsificare documenti che intendevano dimostrare l'esistenza di avi crociati dei nuovi nobili ansiosi di legittimazione; questi vennero incontro alle esigenze di un mercato creato dallo snobismo, dall'ostentata crudeltà e dall'ammirazione per le crociate, architettando una contraffazione accademica tra le meglio riuscite. L'età moderna La storiografia delle crociate prese una diversa direzione con la pubblicazione nel 1841 del primo libro di Sybel, Geschichte des ersten Kreuzzuges: Sybel sviluppò questa impostazione attraverso l'analisi di tutte le fonti disponibili, lettere come cronache, stabilendo la datazione, esaminando il contenuto e determinando le correlazioni; Sybel scoprì un gran numero di tradizioni contemporanee diverse rappresentate dagli scrittori a noi rimasti; dimostrò che non era sufficiente accozzare la contrastante massa di informazioni rimasta per formare una narrazione unitaria; la chiave per l'interpretazione delle fonti era il riconoscimento del processo attraverso le storie contemporanee e le leggende posteriori: questa era e rimane un'intuizione fondamentale, fin dall'inizio le crociate, proprio come la conquista normanna, furono un'invenzione di scrittori lontani, in modo diverso, dall'azione. La rilevanza dell'analisi tedesca costituiva un salto di qualità quanto ad accuratezza. La base del nuovo approccio fu ciò che Sybel chiamò metodo critico, la cui mancanza gli faceva condannare tutti gli scrittori precedenti: dagli anni quaranta dell'Ottocento lo studio delle crociate fu fondato su più solide basi intellettuali grazie a edizioni critiche e non più a semplici trascrizioni delle fonti. Le loro fatiche tuttavia non produssero quell'effetto decisivo sulla storiografia delle crociate che a 31 prima vista sarebbe parso inevitabile: le vecchie abitudini erano dure a morire. Le sirene del nazionalismo, del colonialismo, del sentimentalismo, dell'oltraggio morale e del fanatismo religioso e confessionale furono (e sono) ancora ascoltate. Nel 19 secolo molte nazioni europee stavano acquisendo, per la prima volta o di nuovo, un senso di identità e orgoglio verso un passato collettivo come garanzia per un futuro comune: le crociate rappresentarono una miniera da cui si potevano estrarre tali miti nazionali; in Francia, per monarchici, bonapartisti e repubblicani allo stesso modo, le crociate offrirono un'orgogliosa memoria patriottica in un mondo incerto, specialmente nel momento in cui gli interessi nazionali contemplavano di nuovo i paesi musulmani del Mediterraneo. I propagandisti del Secondo e del Terzo Reich sfruttarono la memoria delle cruente imprese dei cavalieri Teutonici nel Baltico, i nazisti ammirarono ciò che videro come una potente miscela di violenza, disciplina, razzismo e nazionalismo il comportamenti dei Cavalieri; in Spagna la tradizione della reconquista contaminò la retorica politica: durante la guerra civile spagnola (1936-1939) i membri della Brigata internazionale repubblicana si vedevano come combattenti di una crociata, nel senso di guerra ideologica, contro il fascismo, mentre i fascisti di Franco dipingevano la loro rivolta contro il governo repubblicano come crociata in Spagna, una guerra santa contro sinistoidi e democratici senza Dio. L'identificazione delle crociate come antefatti del colonialismo rimase un punto fermo nel pensiero accademico, in modo particolare in Francia: almeno fin dal 17 secolo la Francia aveva esercitato un ruolo di imperialismo culturale, ed superfluo sottolineare l'importanza dei territori coloniali per i governi che succedettero da Napoleone III a De Gaulle. A partire dal 1945 il colonialismo come impresa politica e culturale è caduto, forse giustificatamente, in discredito: la fiducia nella superiorità europea occidentale trovò minore sostegno rispetto al passato; tuttavia, come interpretazione delle crociate, essa non è affatto scomparsa, al contrario, si è stabilita una nuova dimensione grazie all'opera degli studiosi israeliani. Gli israeliani hanno portato nei loro studi sulle crociate, in modo particolare sugli insediamenti latini, una nuova prospettiva e un particolare senso del luogo: è giustificato guardare al regno crociato come alla prima società coloniale europea. Le molte guerre devastanti del 20 secolo nel nome di giuste cause e la particolare immoralità delle guerre basate sull'ideologia o sulla religione hanno reso, nel migliore dei casi, accidentale l'approvazione delle crociate: la violenza ideologica e religiosa non solo appesta ancora il mondo, ma ha anche generato una nuova teologia nelle teorie cristiano-marxiste della teologia della liberazione; l'esperienza contemporanea del razzismo, dei pogrom nazionalisti e antisemiti su scala che si potrebbe definire industriale nel contesto di conflitti religiosi o ideologici ha reso difficile accettare con serenità giustificazioni dell'uso della forza. La moderna disapprovazione, come l'entusiasmo di allora, è un prodotto dei nostri tempi quanto delle crociate, e così è anche per il moderno rispetto verso idee che possono non essere condivise ma possono essere comprese nei loro termini. Non può esistere un'opinione unitaria sulle crociate: lo impediscono le testimonianze e lo stesso processo di scrittura della storia; la forma del soggetto, non meno che l'interpretazione del dettaglio, è condizionata dai punti di vista dai quali lo si osserva: anche in questo caso gli studiosi moderni sono i successori di coloro che scrissero nei mesi e negli anni che seguirono la conquista di Gerusalemme nel luglio 1099. Se la percezione storica delle crociate è oggi frammentata, non unitaria, in un aspetto centrale gli studiosi di oggi seguono i loro predecessori: essi dipingono le loro tele con colori contemporanei; per quasi un millennio gli scrittori coinvolti con la guerra santa che diede origine alla prima campagna per Gerusalemme hanno dimostrato che esistono pochi assunti assoluti nell'interpretare un passato che è, abbastanza spesso, la costruzione del presente. L'invenzione delle crociate incominciò nel 1095: non ha ancora avuto fine. 32
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