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Ulisse Aldrovandi e la cultura a Bologna nel secondo Cinquecento pdf, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

G.Olmi, P. Prodi, Gabriele Paleotti, Ulisse Aldrovandi e la cultura a Bologna nel secondo Cinquecento - in Nell’età di Correggio e dei Carracci, catalogo della mostra pittura in Emilia dei secoli XVI e XVII, catalogo della mostra, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1986, pp. 213-235. Riassunti per esame STORIA COMPARATA DELL'ARTE EUROPEA IN ETA' MODERNA

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 30/06/2020

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Scarica Ulisse Aldrovandi e la cultura a Bologna nel secondo Cinquecento pdf e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Gabriele Paleotti, Ulisse Aldrovandi e la cultura a Bologna nel secondo Cinquecento di Giuseppe Olmi e Paolo Prodi Gabriele Paleotti diviene cardinale della città di Bologna nel 1566. La città di Bologna faceva parte all’epoca dello Stato pontificio (dal 1506 con la cacciata dei Bentivoglio da parte di papa Giulio II). Il Concilio di Trento si era da poco concluso (1563), e il vescovo si contraddistingue fin dagli esordi per una decisa volontà di rinnovamento della città; una riforma sociale e spirituale, che abbracciò la vita laica, la vita religiosa, i costumi e la società in generale. Paleotti fu un convinto sostenitore del Concilio: effettuò regolari visite pastorali all’interno della diocesi, promosse il dialogo diretto con il popolo, anche con la parte laica della città, insistette sull’aspetto sociale della vita cristiana. A differenza di quello che succedeva a Roma, le sue iniziative non furono mai di tipo censorio o repressivo: il progetto di Paleotti per la riforma religiosa di Bologna passò attraverso il coinvolgimento di forze diverse e un forte senso di mediazione. Ogni cittadino era chiamato a collaborare con il vescovo e a partecipare alla vita della comunità cristiana, in prt alle attività di tipo assistenziale e caritativo delle fasce più deboli ed emarginate. Ad esempio, coinvolse i laici nell’istruzione del catechismo dei fanciulli delle classi popolari potenziando le scuole di dottrina cristiana. La sua attenzione si rivolse in prt allo Studio, dove aveva forti legami con lo storico Carlo Sigonio e il naturalista Ulisse Aldrovandi. Grazie al sodalizio con il Sigonio, istituì un’associazione di studenti che aveva il compito di promuovere gli studi di storia ecclesiastica; poiché Paleotti era convinto che gli studenti universitari dovessero avere anche una solida preparazione religiosa, in maniera tale da non distaccarsene. Paleotti tentò infatti una riforma dello Studio; riforma che fu però presto bloccata dal Legato pontificio. In tutta l’Italia il controllo pontificio post-tridentino bloccava ogni tipo di volontà atta allo sviluppo delle espressioni culturali: proprio a Bologna, monsignor Cesi aveva fatto erigere nella città l’Archiginnasio (1562/1563), in maniera tale da poter far convergere in un unico edificio i diversi insegnamenti e, di conseguenza, esercitare un maggiore e migliore controllo. La riforma protestante aveva aperto le porte a dubbi e perplessità sulle antiche credenze cattoliche; mettendo in crisi anche la solida tradizione sociale fondata da secoli su gerarchie e verità indiscutibili. La libertà di pensiero e di azioni avrebbe potuto portare ad altre crisi e ad altri scismi che la Chiesa non poteva assolutamente permettersi. In quest’ottica vanno viste le azioni di censura e l’istituzione dell’Indice. In questo clima Paleotti cercò invece più volte forme di dialogo con lo Studio; agendo spesso anche a favore di persone inquisite (come per l’appunto gli stessi Sigonio e Aldrovandi rischiarono). Fu anche grazie alla figura del vescovo che l’Università di Bologna mantenne il suo primato per tutto il XVI secolo; ma in prt fu grazie all’attività di ricerca in campo scientifico che l’Università riuscì a ritardare il suo declino. In ambito anatomico e chirurgico, il professore Berengario da Carpi promosse, in linea con gli sviluppi coevi della scienza, una nuova concezione di progresso scientifico inteso come costruzione progressiva di nuovi dati acquisiti mediante il rapporto diretto con l’oggetto: esperienza e osservazione, non più studio di saperi imposti da testi secolari. Per Berengario l’anatomia poteva essere imparata solo attraverso la dissezione e l’esperienza diretta con il cadavere, a tal fine aveva corredato i testi dell’epoca con illustrazioni didattiche e dimostrative. In generale, possiamo dire che l’intera cultura bolognese si contraddistinse in questi decenni per un forte uso delle illustrazioni derivanti dall’investigazione e dall’osservazione diretta della realtà e delle forme naturali. A partire dalla metà del secolo (dal 1556 ricopre la cattedra di Scienze naturali), lo scienziato Ulisse Aldrovandi imposta una sistematica e analitica indagine della realtà naturale. La sua ricerca è condotta in linea con gli scopi del vescovo Paleotti: entrambi, anche se per vie diverse, svolgono le loro attività in vista di un miglioramento delle condizioni dell’uomo. A differenza dei suoi colleghi maghi- scienziati, Aldrovandi pone le sue ricerche e i suoi risultati al servizio della città. In accordo con la riforma tentata da Paleotti per lo Studi, nel 1568 fonda il primo orto botanico di Bologna con lo scopo di fornire agli studenti un vero e proprio laboratorio di istruzione e ricerca. Aldrovandi cercò per tutta la sua vita di riforma l’arte medica, in prt quella farmaceutica: l’orto, gli studi, la conoscenza diretta delle piante da parte degli studenti; tutti questi fattori sono improntati a una più generale revisione della preparazione di prodotti terapeutici. Sempre su questa linea, nel 1574 pubblica la prima farmacopea emiliana, nella quale stabiliva in maniera definitiva i farmaci legittimi e i criteri della loro preparazione. La farmacopea dell’Aldrovandi permise alle autorità cittadine di controllare le sostanze delle spezierie in maniera tale da garantire la salute dei bolognesi. La sua battaglia in ambito sanitario si accompagnò a un progetto che lo coinvolse per tutta la vita: la catalogazione dell’intera realtà naturale. Aldrovandi riuscì a raccogliere ben 3.500 volumi in cui animali, piante e minerali erano illustrati e analizzati alla luce di ricerche effettuate durante i suoi viaggi o grazie ad informazioni ottenute dalla ricca rete di contatti. Tuttavia, essendo fondamentale per Aldrovandi l’osservazione diretta della realtà, egli cercò sempre di avere più esemplari possibili all’interno del suo Orto. Questa missione lo portò a contare per 3 mila specie diverse di piante (1597), tra cui molte esotiche. Accanto all’Orto e ai volumi pubblicati, lo scienziato creò un vero e proprio museo naturale che nel 1595 contava ben 18.000 esemplari tra animali, minerali e piante “secche e incollate”. Due sono gli aspetti fondamentali del suo progetto: innanzitutto, la differenza della sua raccolta rispetto alle Wunderkammer diffuse all’epoca. Se queste erano infatti ordinate unendo artificialia e naturalia, la raccolta di Aldrovandi si contraddistingue per un ordine più scientifico. Fondamentale è anche il carattere pubblico della raccolta, sancito ufficialmente con il lascito alla città che Aldrovandi mise nel suo testamento. Di nuovo, emerge chiaro il suo rifiuto della segretezza del sapere, la volontà di operare affinché i risultati della ricerca scientifica diventino un effettivo patrimonio del genere umano. Per poter rendere conoscibili anche le specie più lontane, Aldrovandi fece realizzare un corposo apparato iconografico che arrivò a toccare le otto mila illustrazioni e che diede vita a una sorte di bottega artistica specializzata nella produzione di soggetti naturalistici. Vista la collaborazione con pittori, incisori e disegnatori, alcuni anche abbastanza famosi, come ad esempio Passarotti, Aldrovandi sviluppò una serie di riflessioni anche sull’arte e sulla pittura: essa era sostanzialmente al servizio della prassi scientifica. L’attività degli artisti era per lui sostanzialmente strumentale: essi avevano il compito di copiare fedelmente la realtà, rinunciando ad ogni implicazione estetica. Nei suoi
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