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Ultime tendenze nell'arte d'oggi. Dall'informale al neo-oggettuale, Sintesi del corso di Storia dell'arte contemporanea

Il volume tratta i seguenti argomenti: segno e gesto nella pittura contemporanea; l'informale; la pittura "materica"; l'action painting; lo spazialismo; arte neoconcreta, cinetica e programmata, op art; le nuove correnti figurative; la pop art; scultura e "strutture primarie"; minimal art e "strutture primarie"; arte concettuale; arte ecologica; l'iperrealismo; intermedia e video-tapes, dal concettuale al post-moderno.

Cosa imparerai

  • Come l'arte ecologica si distingue dalle tendenze artistiche precedenti?
  • Che significato ha l'uso di materiali non tradizionali nell'arte povera?
  • Come la nuova figurazione si è evoluta negli ultimi cinquanta anni?
  • Che nuove forme espressive si sono affermate nell'arte visiva a fine anni '60?
  • Come l'arte povera ha contrastato l'oggettualizzazione e la mercificazione artistica?

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 27/09/2019

Juno06
Juno06 🇮🇹

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Scarica Ultime tendenze nell'arte d'oggi. Dall'informale al neo-oggettuale e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! 1 GILLO DORFLES – ULTIME TENDENZE NELL’ARTE D’OGGI. DALL’INFORMALE AL NEOGETTUALE. Premessa I grandi centri dell’arte contemporanea sono New York, Parigi, Tokio, Milano, Colonia, Zurigo ma i valori si sono deformati per ragioni di prestigio, mercato, politica interna. L’arte d’avanguardia oggi non è più osteggiata o ignorata anche se tacciata di incomprensibilità o ermetismo, ha un vastissimo mercato: innestata su un ampio giro di interessi. Forse si sta davvero assistendo al ripristinarsi di un gusto universale generalizzato in gran parte del mondo moderno. È vero che molte personalità artistiche sono state appositamente gonfiate o costruite e il nostro periodo storico è del tutto particolare. C’è un diverso modo di essere e divenire dell’arte visuale e non vi si possono applicare gli schemi e i paradigmi dell’arte antica; neanche può essere giudicata allo stesso modo delle avanguardie. Si tratta ora di stracci aggrumati e lamiere. Frequente errore è continuare a esaminare l’opera visuale contemporanea avvalendosi del gergo critico dell’arte passata; non si tiene conto della profonda cesura degli anni 60 quando nuove forme espressive basate su elementi concettuali, teoretici, hanno preso il posto dei mezzi espressivi pittorici e plastici. L’informale, l’action painting, pop art possono ancora essere considerate il proseguimento della pittura ottocentesca surrealista o espressionista; non così artisti concettuali le cui operazioni prescindono dall’uso di colori e forme, ma sono estrinsecazione di nuovi modi di essere o vedere il mondo. L’uso di media diversi (acidi, terra, sangue, sudore, ecc.) usati dall’arte povera e body art o arte ecologica non è per le loro connotazioni estetiche bensì per la loro carica demistificatoria o provocatoria. L’interferire o cooperare di linguaggi diversi appartenenti alla visualità ma anche alla musica, teatro, cinema, ha portato a molte operazioni miste (intermedia, happening, environment) che trasferiscono l’elemento artistico in un contesto diverso o opposto a quello tradizionale. Vuole esaminare né storicamente né programmaticamente solo alcune tendenze, singole personalità che gli sembrano più caratteristici per offrire una chiave che permetta di aggiornarsi sugli ultimi sviluppi delle arti visuali, accettando o respingendo alcune forme artistiche ormai dominanti. Si riferirà soprattutto all’informale, le pitture segniche e gestuali, le indagini strutturalistiche e materiche, correnti concretiste e “arte programmata”, l’ultima stagione concettuale e la pop art. Sono ancora in fase di sviluppo. Non parlerà degli artisti che ancora mirano al realismo, i surrealisti tradizionalisti, tutti coloro che non hanno saputo trovare una nuova forma espressiva (Buffet, Guttuso, Dalì).La distinzione è tra arte autenticamente attuale e arte di derivazione del passato e inattuale. Lascia da parte tutti gli artisti la cui opera era iniziata e giunta a maturazione tra le due guerre (Mondrian, Picasso, Klee, Duchamp, Mirò, Marino). Parlerà però di artisti più anziani (Fontana, Tobey, Calder) perché gli si devono delle formulazioni senza le quali non sarebbe comprensibile l’opera di alcuni artisti più giovani. Se il cubo-futurismo e l’espressionismo di Kandinsky avevano preparato il campo al neolpasticismo olandese, al prounismo russo, al purismo francese, al vorticismo inglese, il costruttivismo concretista svizzero, è vero che prima del secondo dopoguerra la figuratività postimpressionista e naturalista era predominante; ora a prescindere dal neo- 2 realismo sociale, tutto l’Occidente e il Giappone sono dominati dall’astrattismo e dal concettualismo. La pittura si è liberata dalla rappresentatività naturalistica salvo che per l’Iperrealismo americano. Si possono identificare cinque grandi filoni nella pittura contemporanea: 1) arte gestuale e scenica (che si riannoda all’automatismo provato dai surrealisti, alla riscoperta di grafie e pittografie orientali con Mathieu, Capogrossi, Hartung), della macchia e dell’informale (Fautrier), e l’action painting statunitense (Pollock, Kline, Tobey); 2) pittura materica basata sui valori legati all’uso di un determinato materiale diventato più importante della forma espressiva o identificatosi con essa (Burri, Tapies – Fontana, Rothko); 3) l’affermarsi a fine anni tt0 della pop art, rivalutando l’immissione di oggetti d’uso e del materiale di rifiuto nel contesto artistico, creando un connubio tra arte d’élite e prodotto di consumo; fi) il divampare dagli anni 60 delle correnti concettualiste, protese a una sintesi tra visualità e ideologia, sviluppatesi nell’arte ecologica (Land Art, Earth Art), nella Body Art (autopresentazione o presentazione del proprio corpo), dell’art language, dell’arte povera, che hanno lottato contro l’oggettualizzazione e la mercificazione artistica in seguito alla pop art e all’arte cinetica;) un più articolato neoconcretismo volto alla modulazione di particolari textures e peculiari effetti cromatici e formali, che rivendica il principio di un’arte come arte e di attività artigianale applicata al dipinto. La scultura ha subito trasformazioni analoghe alla pittura: dopo i tentativi architettonici dei costruttivisti (Gabo, Pevsner) e le deformazioni cubo-espressioniste e surrealiste (Laurens, Lipchitz, Duchamp-Villon) ha cercato nuovi mezzi espressivi, sia cercando nel movimento una nuova dimensione (Calder, Tinguely), usando inusitati materiali (lamiere di ferro, cocci di vetro, fili d’acciaio di David Smith e Colla), avvalendosi di oggetti trovati o detriti. C’è un nuovo concetto di spazialità interna, materialità effimera e autonomamente proliferante, o di un nuovo strutturarsi di un medium espressivo e dello spazio racchiuso a trasformare il concetto della statuaria ottocentesca in una nuova plastica simbolica e concettuale come molte Strutture primarie o arte minimal (Morris, Judd, Newman, Caro, King). Dagli anni precedenti alla seconda guerra mondiale pittura e scultura erano ancora legate con la “grande arte”. Futurismo, cubismo, metafisica cercarono una resa più o meno modificata della realtà del mondo esterno e un progressivo abbandono del naturalismo, ma alla base dell’opera c’era sempre una presenza o una suggestione di un’immagine, un nucleo immaginifico implicito o esplicito e a questo era ancorata la composizione. L’uso di tele e colori non si differenziavano dai precedenti; anche le sculture avevano sempre una fisicità conchiusa e bilanciata. L’arte contemporanea degli ultimi decenni è profondamente diversa da quella anteguerra, per l’infittirsi dei suoi rapporti con l’industria, scienza e linguistica. L’artista crea in un ambiente quasi del tutto artificiale e da esso trae gli spunti formali. La conoscenza dei danni prodotti da tecnologia, inquinamento, impianti nucleari determina anche la reazione e la rivolta, contro i pericoli del capitalismo trionfante e del consumismo asservitore, spingendo alla creazione di forme an-oggettuali e ideologicamente sovvertitrici. 5 asemantici, suscitati dal suo uso sperimentale della mescalina. Un altro artista influenzato dalla grafia e pittografia giapponese è Alechinsky, uno del gruppo Cobra, che introdusse nel suo espressionismo surrealistizzante alcune modulazioni gestuali apprese a Oriente. Il vero padre del grafismo occidentale fu Mark Tobey, che soggiornò a oriente nel 193fi e vi studiò l’arte calligrafica, divenendo precursore della pittura segnica. Molti altri artisti subirono influssi asiatici senza contatti materiali manifesti, forse per una spontanea attrazione risvegliata da una conoscenza di seconda mano dei motivi e metodi orientali. Bisogna ricordare la corrente di pensiero definitasi con lo studio e la pratica del buddismo zen cui si ispirano molti tentativi pittorici, letterari o musicali. I concetti di “vuoto”, “pittura d’angolo”, asimmetria, velocità d’espressione, indeterminatezza non sono comprensibili trascendendo le ragioni dottrinali. Nei testi zen ko-tzu è la “spontaneità d’azione”, la conoscenza soggettiva non trasmissibile che porta l’uomo a rendersi padrone di una determinata tecnica, per cui solo con l’impadronirsi concettualmente, intellettualmente, quasi per un condizionamento psico-fisiologico di un determinato procedimento, si acquista la conoscenza del mondo e delle cose. L’altro essenziale concetto della dottrina zen è prajna, che riconduce ad ammettere un tipo di conoscenza assoluta e irrazionale, diversa da quella intellettuale; ad essa è legato il concetto di velocità, non considerato come processo temporale ma un’immediatezza d’esecuzione, una contemporaneità assoluta tra pensiero e azione. Molte pitture a base di inchiostro nero del periodo Ashikaga (1337-1tt73) e molti dei calligrammi a macchia di Sesshù e altri maestri di pittura e scrittura giapponese furono debitori allo zen. Il senso di “vuotezza” di molta architettura giapponese si ritrova nel vuoto del foglio bianco di molte pitture e disegni quasi in contrasto col “pieno” di molta arte occidentale dove trionfa la volontà dell’artista di colmare ogni lacuna. La ricchezza data dalla semplicità, l’attesa suscitata dall’incompiutezza dell’asimmetria, il fascino dell’assenza sono lontani dal pensiero occidentale. L’altro fondamentale concetto del wabi (ricerca di semplicità e incompiutezza, amore per il materiale grezzo e scarno) è basilare per comprendere un’arte i cui indirizzi e le cui mete sono diverse da quelle tradizionali occidentali, dove è sempre la ricchezza, la compiutezza, la simmetria a dominare. Lo studioso giapponese Suzuki, spiegando le origini della pittura sumiye (tracciata con pennello morbido e contenente molto liquido su carta sottile e assorbente), dice che la ragione per cui si sceglie un materiale così fragile è che l’ispirazione deve essere trasmessa nel più breve tempo possibile, non autorizzando alcuna riflessione o cancellatura; l’artista deve seguire spontaneamente la sua ispirazione, come se i suoi strumenti fossero nelle mani di qualcun altro che abbia preso possesso di lui. Ciò è all’origine di molto tachismo o action painting; l’elemento improvviso, l’azzardo, il caso sempre assenti nell’arte occidentale sono ora esplosi raggiungendo le tecniche automatiche, i ghirigori istintivi, la materia che si trasforma da sé grazie al medium più che all’artista, la rozzezza dell’esecuzione, l’an- oggettualità a favore del concettualismo. 6 Gruppo Gutaj In Giappone si costituirono dei gruppi artistici apparentati con quelli europei e americani in cui era difficile capire fino a che punto contasse il persistere di una tradizione segnica legata agli ideogrammi o l’influsso di Parigi e New York. Molti giapponesi si erano trasferiti a Parigi, come Domoto o Imai dal 19tt2, o Onishi, Murakami, Sugai; in Italia arrivarono Azuma, Toyofuku, Nakaj; in America lo scultore Noguchi e i pittori Okada, Ohashi, Nishida e poi i concettualisti Arakawa e On Kawara. In patria rimase il Gruppo Gutaj vicino all’astraDsmo informale europeo. Gutaj significa volontà di concretizzare la spiritualità della materia e il gruppo fu fondato nel 1950 ad Aishaya dal pittore Yoshihara; vi appartennero Shiraga, Murakami, Motonaga, Tanaka. Non si può paragonare a un risorto Dada; nonostante l’impiego di media insoliti (bastoni, lenzuola, carte strappate, pitture eseguite con i piedi mentre l’artista ondeggia sospeso a una fune) è una tendenza che esemplifica la volontà di creare forme espressive nuove e dinamiche, svincolate da ogni naturalismo e capaci di raggiungere un nuovo elemento comunicativo. Italia La pittura del segno e del gesto ebbe qui addirittura una rivista, “Il gesto” 19tt8, dei “gestisti” Baj e D’angelo che volevano ricollegarsi alle origini dadaiste, mescolando aspetto gestuale e surreale riallacciandosi a Picabia, Balla e Schwitters. Coerenti all’impostazione segnica delle loro pitture furono alcuni artisti romani che si avvalsero del segno più che del gesto restando liberi dalla tendenza informale, come Achille Perilli che poi si orienterà in una figurazione fumettistica per arrivare a una stesura astratta e aprospettica negli anni 70; e Carla Accardi, Antonio Sanfilippo, Luciano Lattanzi, Gastone Novelli, Fabio Mauri, Nuvolo, Salvatore Scarpitta influenzati dalle scritture pseudo-infantili di Cy Twombly, americano residente a Roma dove sviluppò il suo linguaggio suasivo, basato sulla creazione apparentemente non premeditata di sgorbi coordinati su superfici bianche e nere. Colui che strutturò un genere d’arte basato sulla ripetizione costante di un segno particolare (non basato sul gesto e la velocità) è il romano Giuseppe Capogrossi (1900-72). La sua pittura è l’espressione più assoluta cui potesse giungere una forma d’arte non figurale, che ambisce a avere una netta strutturazione compositiva senza sottostare agli azzardi dell’improvvisazione. Era un artista isolato e senza maestri, non partecipò a manifesti e iniziò la sua ascesa quarantenne. Le sue opere rappresentano un genere di arte segnica che vuol essere espressione simbolica di un contenuto più presentativo che discorsivo. I segni mirano a significare nient’altro che se stessi. Intorno al 19tt0 espose per la prima volta delle tele astratte basate su un unico e ripetuto modulo grafico; imparò a modificare il numero delle sue sigle, a rimpicciolirle, a ingigantirle o invertirle traendone scansioni ritmiche o motivi decorativi. Ciò fu sia il pregio che il difetto della scoperta di Capogrossi, che fece della sua pittura quasi un genere decorativo applicabile a ogni supporto; ciò fa sì che un segno così efficace dal punto di vista formale possa diventare trasferibile all’arte applicata, essendo diffuso alle masse. Era un segno di grande efficacia plastica e compositiva, di una misteriosa natura criptica quasi fosse un simbolo antico. La sua lezione si è dimostrata 7 assai ardua, cercare un segno valido allo stesso modo, esulato da ogni riferimento a oggetti reali, moduli arcaici o principi scientifici; c’è un’analoga creazione personale nei microscopici disegni di Alcopey. Hans Hartung È molto simile a Capogrossi, nato a Lipsia nel 190fi e dal 193tt a Parigi. Intorno al 1921-22 si volse all’astrazione con alcuni disegni a inchiostro, preannunciando una maniera che nel dopoguerra sarebbe diventata sua. Il suo segno non è statico e immobile come quello di Capogrossi, ma si evolve continuamente in forme schematiche che hanno sia valori grafici che cromatici. Alterna la preponderanza dell’elemento calligrafico con quella dell’elemento pittorico ma resta costante l’assoluto distacco dalla figuralità implicita e dal cromatismo informe di tanti tachisti. Mantenendosi libero di improvvisare non ha mai rinunciato a una chiarissima articolazione del suo materiale pittorico e disegnativo creando composizioni nette e definite. Tra gli artisti simili ricordiamo Matta Echaurren, che presto sconfinò in un surrealismo dove la figura prevaleva sul segno; Tadeus Kantor; in Italia tra gestuale e nostalgia del surreale Strazza, Giulio Turcato, Cesare Peverelli, Sergio Dangelo. Scanavino diede invece vita a profondità spaziali non solo bidimensionali, ottenute senza che si avvalesse di composizioni volumetriche; gli alfabeti simili ai geroglifici di Mathieu o a apparizioni organiche, non alterano l’omogeneità della superficie pittorica, mentre la anima di vibrazioni atmosferiche facendo sì che le vaste lacune intorno alle figure siano cariche di impulsi e non sfondi morti. 2. Informale La fortuna di questo termine fa trasparire la sua aderenza alla sua epoca e la sua aderenza al genere d’arte che voleva rappresentare. Significa “contrario di ogni forma”, opposto di volontà formativa, era tutta la pittura che si avvaleva del colore arginato il meno possibile dalla composizione, comprendendo tutto l’astrattismo che non fosse geometrico o costruttivista. Dorfles non vi ha compreso gli artisti segnici o gestuali perché in loro c’è ancora una volontà compositiva o strutturante. Limita la definizione di informale alle forme di astrattismo dove non solo manchi ogni volontà di figurazione ma anche segnica e semantica. Si sofferma solo tra gli esponenti degli anni tt0-60 che riuscirono a rendere la tendenza necessaria e a sé stante (Pollock e Fautrier). Si può inoltre parlare di informale (o tachisme) per Soulages, Schneider, Beynon, gli italiani Vedova, Moreni, Carena, Bionda, Santomaso, i giapponesi Imai, Yoshigahara, Motonaga, Kanayama, i tedeschi Schultze, Goetz, Trokes, Bruning, la portoghese Vieira da Silva anche se legata ai precedenti postcubisti. Jean Fautrier (1898-196fi) Fu colui che raggiunse la maggiore compiutezza e autonomia attraverso la pittura informale. Presenta superfici pallide e crepuscolari su cui si rapprendono grumi di colore sovrapposto (miscela di tempera e colla) così raffinati e tattili piuttosto che plastici e pittorici. Intraprese una nuova ricerca artistica mentre trionfava 10 il perdurare di una rigorosa legge compositiva che si esplica nei rapporti di timbri e accenti, spazi e dimensioni. Se sono destinate a deteriorarsi rapidamente per la volgarità dei loro materiali, significa che simboleggiano la tendenza al consumo di ogni cosa nella nostra epoca. La sua opera costituisce la miglior dimostrazione di come la si possa distinguere dal consueto informale e come sia lontana anche dall’arte gestuale e segnica. La sua arte è molto vicina a quella tradizionale, con la differenza che gli impasti e le velature sono sostituiti da altri incastri di materiali diversi; dall’accostamento improvviso della superficie smaltata e una scabra tela di sacco; dal percorso di un rammendo che interrompe l’opaca superficie compatta. 4. Action Painting I nomi Tachisme, informale e action painting si equivalgono e Pollock è sicuramente uno dei capostipiti della pittura informale americana e europea. Il nome action painting fu coniato dal critico Harold Rosenberg in un articolo del 19tt2 per sottolineare l’importanza dell’atto fisico del dipingere in molti dei pittori etichettati come “espressionisti astratti”. Rispetto all’arte europea quella americana appare più robusta, impetuosa e brutale per i movimenti più vasti e massicci, colori più violenti e stridenti dai timbri insoliti, più grandi (e coraggiose) le tele. Un’altra caratteristica è l’indifferenza per la presenza o meno di elementi figurali nella tessitura astratta, evidente in Willem de Kooning, Adolph Gottlieb, William Baziotes e Grace Hartigan. È difficile fissare le origini del movimento e su di loro ebbe una certa influenza la precedente generazione americana, come Martin Dove. Un maggiore influsso per la componente espressionista del colore è attribuito al tedesco Hans Hoffmann che si trasferì negli USA nel ’32 smuovendo l’arte newyorkese di allora. Un altro influsso è del gruppo surrealista negli USA dal 191tt con Duchamp, Ernst, Picabia, Tanguy, Masson e poi Matta Echaurren. Alcune tecniche, come il dripping, furono anticipate da alcuni surrealisti (Ernst). Il peso del surrealismo europeo era evidente nei dipinti drammatici e morbosi di Arshile Gorky (difficilmente definito action painter). Pollock Corrente di rivolta verso l’accademismo postcubista e surrealista trionfante tra le due guerre. Fuse tre grandi lezioni: quella nordeuropea espressionista (Hoffmann), quella surrealista che si era riaccesa nell’opera di Gorky in maniera convulsa e patetica. Si può parlare di surrealismo simbolico per i primi dipinti di Pollock, che lasciò il posto a una pittura più gestuale intorno al ’fifi-’fi6. Ora inizia a costituirsi il suo linguaggio: si era reso conto che la sua smania di conquistare nuovi spazi era arginata dall’uso dei media tradizionali e da qui furono i primi tentativi di usare il colore con la tecnica del dripping. Questa era lasciar sgocciolare il colore direttamente dal recipiente sospeso su una tela posta orizzontalmente, ottenendo un risultato immediato che non frapponesse tra quadro e creatore il mezzo del pennello, consentendo un’istantanea presa di contatto con l’opera già “divenuta” nel suo divenire. Lo sgocciolamento era una delle sottospecie del gesto 11 per cui si può considerare la sua arte gestuale, piuttosto che segnica (Tobey, Mathieu, Kline) dato che non giunse mai alla costituzione di un suo segno emblematico e costante. È tutto il dipinto con la sua rete folta di macchie e ghirigori a costituire il suo linguaggio. Abbandonò presto anche il colore a olio facendo ricorso a diversi materiali come lo smalto opaco o la vernice all’alluminio. L’efficacia di questi mezzi dalle insolite qualità timbriche era avvertita dal pubblico e fu presto imitato. Era riuscito a incarnare la sua volontà espressiva nel medium che più le si confaceva. Il periodo “dell’alluminio” iniziato con la Cattedrale del 19fi7 fu il momento più rilevante della sua carriera; opere più mature come Sleeping Ettort e Blue Poles del ’tt3 e The Key sono un limite oltre il quale è difficile spingersi. Il periodo tra 19tt1-tt2 in cui usò solo bianco e nero, dopo il periodo argenteo del ’fi8-’tt1, è una delle più importanti esperienze della pittura d’azione e è singolare che analoghi periodi siano stati anche in altri pittori come de Kooning, Motherwell, Kline, Ad Reinhardt, Barnett Newman, Still. Nella pittura americana si avverte la presenza di contrasti cromatici diversi da quelli europei, e non è dovuto a particolari prodotti o impasti, ma all’atmosfera fisica e climatica del continente, riscontrabile anche in artisti di diversa provenienza (il russo Rothko, lo spagnolo Baziotes, ecc.). Si nota in gran parte degli espressionisti astratti americani una violenza negli accostamenti di colori ignota o insolita per noi ed è questa potenza del colore, insieme alla violenza del segno a conferire forza a questi pittori. De Kooning Si adatta più degli altri alla denominazione di “espressionista astratto”; è infatti di origine olandese e ha addosso l’espressionismo violento di Permeke o Ensor. Alcuni espressionisti anni 70 (Jorn, Appel) hanno con lui molti punti di contatto; è uno dei maggiori esempi di quanto poco importi oggi la presenza o meno dell’elemento figurativo nell’opera pittorica: le tele del periodo delle Donne quanto quelle quasi del tutto non figurative degli anni 60, tanto quelle in bianco e nero di smalti e catrami, quelle dai colori ad olio sono tutte riconoscibili per l’icasticità, il gesto rimane creatore e impulsivo anche quando è destinato a definire una figura. Tra gli altri action painters sono Philip Guston, raffinatissimo post-impressionista più che espressionista per la ricerca di impasti tonali rigorosa, per la luminosità e la trasparenza di molte sue tele. Sam Francis si è servito meglio di altri delle tecniche tachiste: dripping, colori sbavati e dissolti, composizione asimmetrica che lo tengono in uno stadio di forte tensione tanto da poterlo considerare un’unione tra il vigore azionista americano e la piacevolezza cromatica parigina. Logic Colour Painters Fanno, nello stesso periodo, una pittura che solo apparentemente può esser considerata informale perché in realtà partiva sempre da un principio logico e analitico. Contrari agli automatismi o all’irrazionalismo creativo, si rivolgono a una pittura più controllata e memore della tradizione concreta europea. Newman e Reinhardt furono gli artisti guida della nuova esplosione della “pittura autentica”, una pittura come pittura che dopo il pop e l’affievolirsi dell’op sarebbe riaffiorata negli Usa con Robert Ryman, Mangold, Stella, ecc. 12 Newman (190tt-70) Si differenziò dagli action painters e ha abbracciato una strada autonoma. La sua retrospettiva del ’71 al MoMA rivelava la sua compostezza e rigore e anche il non conformismo pittorico. C’è la consapevolezza dell’indagine spaziale e proporzionale proseguita in un rigore estremo e assoluta povertà cromatica, e essenzialità compositiva. Il suo colore non è piacevole come quello di Rothko e neanche assoluto come quello di Reinhardt; le frequenti superfici monocrome contrapposte a bande più ristrette di colore, non scelto per la sua assonanza ma per ottenere un effetto stridente, difficile denuncia la sua ricerca di fare del dipinto un “oggetto da meditare” e non solo piacevole da assaporare. Le sue qualità plastiche sono emerse nelle ultime opere decisamente scultoree, come Broken Obelisc, che posta davanti al Seagram Building di Mies Van Der Rohe riusciva a tenergli testa e persino a eclissarlo. 5. Spazialismo È un movimento ibrido che si è articolato in molte correnti e ha continuato fino ad allora sia nel groupe espace francese o nello spazialismo italiano di Milano o in Argentina col Manifesto Blanco di Fontana. Significava nuova concezione dello spazio fisico e fenomenico e artistico, indicando l’urgenza di mutare il rapporto tra uomo e spazio fisico che lo circonda e interpretare tale rapporto in maniera diversa dal rinascimento e dal cubo-futurismo. Molte opere teoriche si sono rivolte alle trasformazioni nella rappresentazione dello spazio sia interno che esterno. Superato il dilemma del come rappresentare la realtà esterna, superato il problema della verosimiglianza, prospettiva dopo l’avvento della generalizzazione dell’arte astratta, restava il problema di come si dovesse considerare e valutare la superficie di una tela dipinta, se come una finestra o come una superficie tangibile, decorata di forme e colori. La nuova spazialità spesso mirava a essere qualcosa di diverso e importante di quella atmosferico-impressionista e di quella astratto-costruttivista, mirando alla costruzione dell’ambiente artistico differenziato rispetto all’ambiente, ma allo stesso tempo del tutto astratto e non riferibile a alcuna realtà. Rothko (1903-70) Le sue tele-pareti sono vaste e amorfe superfici di colore, esprimevano l’estremo silenzio delle profondità inesplorate (19ttfi-tt6). Così riuscì a rappresentare colui che era riuscito a far risorgere un nuovo concetto di spazio pittorico, o visuale: diverso dal naturalistico o prospettico, diverso dall’impressionismo o dal cubismo, diverso dal non-spazio astratto costruttivista e dalle correnti tachiste. Come Fontana in alcune opere monocrome e alcuni tagli e fori, seppe restituire alla pittura la sua qualità di suscitare atmosfere non terrene, immateriali, sublimate dal colore e dalla luce. La sua pittura si è in seguito irrigidita e ha perduto la sua levità e nelle ultime tele si è materializzata con l’uso di acrilici. Goethe parla di una pittura emanante direttamente dal colore e ciò ispira l’artista russo-americano; la potenza delle sue tele ha un’efficacia etica oltre che 15 rivista e movimento “Azymuth”, parte dal dipinto monocromo e sfruttò l’incidenza luminosa con la lavorazione della tela con estroflessioni multiple, spesso regolari e pseudo-prospettiche, ottenendo una grande vibrazione spaziale. Bonalumi, un altro artista “oggettuale” si distinse per lavori monocromi, in tela o plastica variamente sagomate, fino a raggiungere una propria tridimensionalità, cerando una spazialità ambigua accompagnata da inganni ottico-percettivi. Paolo Scheggi, più giovane, lavorò mediante la sovrapposizione di due o più strati di tela interrotti in punti diversi da lacune ovali o circolari, per passare negli ultimi tempi alle nuove correnti concettuali. Mario Nigro, proveniente dal MAC, dopo un periodo di maturazione seguita da un breve periodo informale, si accordò a un genere di pittura plastica spaziale- concettuale che lo pose in vista tra artisti più giovani di lui. Coloro che tra ’63 e ’73 si sono accostati a un’attività artistica ancora legata al dipinto in un periodo in cui molti sentivano il richiamo della non-pittura, di generazione anni 30 che come denominatore comune presentarono il fatto di “credere nella pittura”, di non voler soggiacere alle lusinghe concettuali o al cinetismo o all’arte programmata. Tra loro è Rodolfo Aricò, uno dei più sensibili creatori di nuove spazialità con l’uso di tele sagomante e preziosamente tinteggiate, Verna e Battaglia ancorati nella ricerca di rapporti cromatici e timbrici sulla scia dei “logic painters” americani, Cotani e Gastini avvinti da ricerche concettuali ma attenti a una precisa soluzione dei problemi pittorici e spaziali, GriAa, ecc. Questi ebbero contatti con la scuola americana che fa capo a Robert Mangold, Ellsworth Kelly che si caratterizza per il recupero dei fattori pittorici in un genere di astrazione né geometrica né concreta ma improntata all’organicismo. 6. Arte Neoconcreta, Cinetica e Programmata, Op art. Benché la pop art abbia coperto gran parte degli anni 60, un indirizzo parallelo le sopravvisse fino alla fine del decennio successivo. Se la prima opera “concreta” fu l’acquerello del 1910 di Kandinskij intitolato “premiere aquarelle abstraite”, qui sono ancora evidenti tracce di figuralità. L’appellativo di “concreta” al posto di “astratta” a indicare un’arte geometrica e non figurativa fu instaurato da Van Doesburg e se ne valse Kandinskij per designare le sue opere soprattutto successive al 1923, più geometriche. Gli assertori di un’arte basata prevalentemente su ricerche di accostamenti cromatici netti e forme geometriche definite senza alcuna ispirazione da forme del mondo esterno furono Mondrian e gli altri del De Stijl in Olanda, Malevic e Lisitskij in Russia, il tedesco Vordemlaunay, l’ungherese Moholy-Nagy, i francesi Delaunay e Herbin, l’italiano Magnelli che dal 191fi crearono pitture non figurative e geometriche. Tra le due guerre e nel secondo dopoguerra artisti svizzeri capeggiati dal designer-scultore-architetto Max Bill, Lohse, Graeser, Bodmer, il gruppo francese facente capo alla galleria Denise René e gli italiani che esposero già prima della guerra nelle sale del Milione si posero su questa scia. Il conflitto tra concretismo (o astrazione geometrica) e astrattismo non geometrico (in Francia abstraction lyrique) che si divise nei vari movimenti dell’informale, dell’Action painting e della pittura segnica e materica, esplose negli anni tt0.Tra le due guerre il fronte astratto si mostrava compatto nel potere della pittura figurativa; dopo la scissione si fece netta. Oggi si tende a 16 dimenticare l’importanza dei movimenti concretisti tra le due guerre e subito dopo la seconda dato che trionfavano il cubismo, futurismo e surrealismo e gli artisti concretisti erano forse gli unici a rendersi conto dell’importanza di tendere un genere della creazione artistica svincolata dalle sintassi già cristallizzate e trasformate inmanierismi. Si deve alle correnti concretiste se un rinnovamento della pittura e della scultura poté avere luogo. Molti di loro volevano ancora collaborare con gli architetti e avevano fede che il futuro dell’arte visuale sarebbe stato nell’integrazione tra pittura, scultura e architettura. Movimento MAC Costituitosi a Milano nel 19fi8, è il Movimento per l’Arte Concreta di Anastasio Soldati, Bruno Munari, Gianni Monnet, Gillo Dorfles e voleva opporsi al dilagare delle espressioni ambigue, in parte post-cubiste, che proliferavano nel dopoguerra in Italia e Francia. Mentre in Italia era la lotta tra realisti sociali e pittori del Novecento, mentre si facevano strada le contaminazioni tra lombardismo paesaggistico e astrattismo materico, in MAC denotava una ricerca di purezza formale e un nuovo internazionalismo estetico. Il movimento ebbe una breve fioritura ma molte adesioni (Fontana, Nigro, Accardi, Dorazio, Perilli, ecc.). Qualcosa di analogo era successo anche in Argentina col gruppo Nueva Vision, in Francia il groupe espace. Mostra dell’arte concreta del 1960 Nel 19tt0 fu evidente che il concretismo in continuazione del De Stijl era in crisi. I suoi esponenti maggiori erano passati a altre esperienze o si erano liberati dall’eccessivo rigorismo. Mentre prendevano vigore i movimenti informali si formarono nuovi gruppi “neoconcretisti” che nel ’tt8-’60 avevano scopi analoghi al decennio precedente. Trovarono appoggio in una mostra a Zurigo del 1960 sotto l’egida di Max Bill che cercò di rinfocolare l’entusiasmo. Il tentativo di restituire valore al movimento fu ottenuto da Bill col meccanismo di storicizzare la mostra facendole percorrere alcune tappe a partire dall’acquerello di Kandinskij del 1910, attraverso le prime opere concrete di Frank Kupka e Itten, fino a quelle futuriste e concrete di Balla, Delaunay, Arp, del gruppo neoplasticista e dei continuatori del Bauhaus. Riportava il manifesto dell’arte concreta di Van Doesburg del 1930. Incluse nella corrente anche artisti che vi entrarono marginalmente, come Ben Nicholson o Klee, Gabo, Arp, Bodmer Dorazio e Pasmore Nella non figuralità rigorosa vincolata dalla sintassi concretista questi due artisti ebbero la stagione migliore negli anni 60, partiti da ricerche diverse. L’inglese Victor Pasmore ha preso molti elementi stilistici da Nicholson ma se ne è differenziato per l’abbandono netto del paesaggio e della figurazione per sconfinare spesso totalmente nel costruttivismo geometrico, contrastante con la sua natura lirica e romantica. Dorazio, partito dall’impostazione concreta del MAC e poi del Gruppo Forma, e dopo esperimenti plastici in rilievi lignei, adottò un universo pittorico di varie e raffinate textures, dove il gioco di luce e il rigore compositivo 17 portavano auna grande intensità. Dopo lunghi soggiorni negli Usa la sua opera è cambiata verso un genere di stesure più intense e marcate sposando una più libera e composita creazione cromatica. Op art e neoconcretismo L’Op art fu battezzata così negli Usa, quasi a contrapporla con l’allora fiorente Pop art. A metà anni 60 ci fu una netta ripresa di una pittura che si contrapponesse ai giochi informali e tachisti e anche alla pop art attraverso una ricerca dei valori essenziali della percezione visiva. Era una ripresa di tentativi cari ai neoplasticisti e ai concretisti ma condotti con maggiore rigorismo. Alcuni gruppi, come i tedeschi della Stringenz e del Gruppo Zero, lo svizzero della Kalte Kunst, l’italiano Gruppo N e Gruppo T, lo jugoslavo della Nove Tendencije hanno riproposto esperimenti concretisti. La rigidità compositiva, la ricerca di colori timbrici hanno lasciato il posto a ricerche di “gradienti strutturali”, il tentativo di ottenere attraverso trame strutturali diverse degli effetti più psicologici che estetici .Si possono considerare gli artisti della mostra del 1960 Monochrome Malerei. La pittura monocroma è solo uno degli aspetti di quest’arte, ibrida e non nettamente definibile ma di opposizione al tachismo. Importanti furono Fontana, Rothko, Still, Newman cui si aggiunsero Klein, Dorazio e Bordoni, Manzoni e Castellani, i tedeschi Otto Piene, Heinz Mack e Oscar Holweck. Erano uniti dalla ricerca di elementi formativi che costituiscono il dipinto come struttura dinamica. Mentre nel tachismo colore e linea erano mezzi espressivi, tramiti di impulsi soggettivi, nella corrente concretista si tende a obiettivizzare i mezzi formativi cosicché le caratteristiche costitutive dell’opera siano il punto di partenza di un’efficacia espressiva, al posto di tracce personalistiche e emotive. Mentre nel tachismo c’era la sola proiezione dell’attività cinetica e cinestetica dell’artista con scarsa partecipazione del fruitore, qui è questo a completare l’opera partecipandovi attivamente attraverso una continua interazione; ciò per le caratteristiche strutturali delle opere che contengono processi formativi autonomi e autoproducenti, basati su particolari impostazioni suscitatrici di percezioni, microstrutturazioni e gradienti luminosi. Loro opinione era che l’opera d’arte sia solo la creazione dell’artista e che doveva essere completata e definita attraverso la fruizione e la ricreazione. L’opera che sia in attesa di un compimento o di una successiva rielaborazione da parte dell’osservatore era già implicita in molte immagini ambigue dada e surrealiste e qui appare nelle opere ottico-cinetiche sotto l’aspetto di composizioni dove lo spettatore ottiene spostandosi effetti visivi diversi. Il principio di ambiguità gestaltica su cui queste opere sono di solito impostate è la possibilità della lettura doppia, di un pattern visuale che rivela la nostra modalità percettiva. Si trattava di aiutare questo tipo di visualizzazione e avvalersi dell’ambiguità. Ne sono esempi i lavori metallici di Otto Peine, Soto, Alviani; disegni mobili di Victor Vasarely; rilievi puntiformi di Mavignier; opere in divenire dei gruppi N e T.Molti di questi artisti diventarono di moda per la curiosità dei loro lavori (SchoAer) 20 Jean Dubuffet È una delle personalità più particolari del primo tt0ennio del novecento, il più interessante tra coloro che trovarono nell’incontro tra astrazione e figurazione la loro ragion d’essere artistica. È un’eccezione nel monotono conformismo dell’arte moderna per la sua inesauribile inventiva e tecnica azzardatissima. In pieno tachisme insistette sulla pittura figurale; appena corse il rischio di essere definito surrealista iniziò dipinti informali sfruttando impensate soluzioni materiche. I suoi meriti non sono solo quelli di sorprendere o scandalizzare, si possono riassumere nella capacità di avvalersi di ogni scoperta per farne una novità artistica. Ricorda il Klee meno raffinato e decadente. Fu uno dei valorizzatori dell’art brut (collezione di oggetti trovati, creati o dipinti da primitivi: bambini, pazzi, della più diversa natura e di ingenua immediatezza, raccolte in una mostra nel ’fi7).Il valore conferito all’oggetto trovato non può essere trascurato e ciò che in epoche passate era solo lo spunto per l’immagine plastica oggi diventa la creazione stessa solo per il fatto di essere stato trovato; permette anche di dare all’opera un elemento rozzo, che ha l’unico merito di possedere caratteristiche formali e cromatiche che lo rendono appetibile e suscitatore di immagini. Continuò successivamente a comporre serie di opere ispirate ai primi esempi di arte bruta che vanno dalle Pierres Philosophiques alle Tables Paysagées (19tt1-tt3), dalle Pates batteues (’tt3) alle Petites statues de la Vie Précaire (’54), ai Tableaux d’assemblage (collages del ’56) alle Texturologies, Topographies e Barbes che rientrano nel giocoso-metafisico. In lui c’è un lato umoristico accanto all’aspetto indagatore che conferisce al medium espressivo il suo arcano valore evocativo e ne sono esempio le opere a base di textures manipolate e basate sull’impiego di diversi materiali, o la serie degli elements botaniques in cui si servì di fragili elementi vegetali per costruire un magico erbario. La sua ricerca è stata quasi sempre duplice: rivolta al materiale cromatico e rivolta all’immagine che in tale materiale si incarna; sono incarnazioni che vivono una loro vicenda metafisica nella fisicità della materia, spesso sgradevole e che ricorda il fango o la melma ma che ha a volte anche la durezza di alcuni fossili. L’organicità ha sempre caratterizzato la sua arte, esempio di astrazione organica; ed è essa che giustifica l’assurdità iconografica delle sue figure: personaggi elementari e puerili, spesso crudeli, buffi, morbosi e dalla squallida sessualità (Dames). Sono sicuramente l’antigrazioso e l’antiedonismo a allettarlo ed è facile scorgere in quelle figure sghembe la necessità di uscire dal simmetrico e trovare nell’inquieto e informe una nuova sollecitazione estetica. È la stessa tendenza degli artisti dell’“Irritarte”, un genere artistico che si rende efficace grazie all’elemento corrosivo e acre che lo ispira. Una delle migliori serie di dipinti di Dubuffet è quella delle Barbes in cui amalgama i valori delle sue ricerche tissulari con quelli della sua verve figurale. Bacon La sua opera è in antitesi con Dubuffet; la sua pittura di derivazione espressionista è simile a quella di altri artisti nordici operanti tra le due guerre come Dix, Munch, Ensor. L’atmosfera sadico-surreale in cui sono immerse le sue figure contorte e macerate e cariche di fermenti che alimentarono l’arte di deformazione e 21 degenerazione che si riallaccia a alcuni cicli figurativi di De Kooning o Dubuffet (“Donne” e “Corps de Dames”) ma mentre in quest’ultimo la deformazione è sempre basata su un’invenzione tecnica e rifiuto degli schemi tradizionali, in Bacon la continuità è più evidente Enrico Baj Ha anche lui una posizione autonoma e isolata, disprezzando l’iconicità tradizionale e sottolineandolo con l’uso di tele accademiche commissionate a altri artisti Kitsch su cui impone figurazioni inconsuete: manichini grotteschi, o immagini di fantascienza. Spesso questi personaggi mostruosi appaiono vivi e espressivi anche se costruiti di materiali eterocliti. Altre tele si riferiscono immediatamente alla vita quotidiana: razzi e satelliti, segnalazioni stradali, impianti elettrici, i nuovi miti moderni prossimi a esperimenti pop art ma che danno massimo rilievo alla composizione e al valore materico e cromatico, non riducendosi al documento sociale e politico. Anche in una delle sue opere più politicizzate, La morte dell’anarchico Pinelli, è rimasto aderente alla volontà di sfruttare i materiali pittorici e plastici per conferire all’opera una particolare pregnanza estetica: ciò spiega il passaggio dall’uso dei lustrini e medaglie dei Generali e Dame, alle materie plastiche, serigrafie. Anche altri artisti hanno puntato fin dall’inizio sull’elemento figurale sganciato dal naturalismo accademico, neorealismo o surrealismo: gli inglesi Hockney, Boshier, Caulfield che insistono su opere pittoriche ironiche e a volte pop; i jugoslavi Hegedusic, Stupica, Velickovic; il tedesco Klaphek; un gruppo di italiani napoletani di Del Pezzo, Gianni Pisani, Biasi, Fergola, Persico, Gino Marotta a cavallo tra naturalismo e artificio accordandosi con i neorealisti. Valerio Adami Un isolato romano-milanese che dopo il primo periodo fumettistico di iconologie popolaresche, ha strutturato il suo personale universo figurativo secondo una particolare sintassi compositiva che ricorda in parte le scomposizioni spaziali tardo-cubiste. Le scene di vita d’ogni giorno sono scomposte e ricomposte in una rete di ricordi dell’artista, la cui memoria si ripresenta lucida e nitida nella topografia impersonale del dipinto, offrendo immagini di oggetti intessuti in tutte le loro reminiscenze, associazioni e sogni. Gli oggetti e gli esseri sono illustrati come entità morfologiche nuove in cui la precisione formale e l’equivocità dei loro significati si trasforma in uno stato di incertezza che si trasforma spesso in ansiosa allucinazione. C’è una netta componente surreale che interviene sull’aspetto sintattico delle opere: l’imprevedibilità di accostamenti riesce a conferire alla sua figuratività una ragione che va oltre l’aneddoto o il compiacimento illustrativo. 22 8. Pop Art Prima del 1960 l’Informale fu la corrente dominante; dagli anni 50 e per circa 5 anni si affermò la corrente della pop art, che più dell’action painting valse agli Usa una posizione preminente nelle arti visuali. Quando nel 196fi gli Usa si presentarono alla Biennale con tutti gli artisti pop in Europa si arrivò a pensare che si fosse affacciata una nuova era pittorica. Il fenomeno si accostò al primo Dada dato che entrambi i movimenti recuperavano oggetti triviali e anestetici, ma era solo un’affinità apparente e il termine “new dada” scadde presto. I veri iniziatori furono Robert Rauschenberg e Jasper Johns, ma oggi sono considerati continuatori dell’action painting; i rappresentati più tipici sono Oldenburg, Wesselman, Rosenquist, Indiana, Keinholz, Lichtenstein, perché i primi due sono ancora legati a valori plastici e pittorici che confermano la solo apparente blasfemia delle loro operazioni. Pur immettendo nelle loro opere oggetti e frammenti eterogenei (coca-cola, bandiere, lattine, fotografie, animali impagliati) avevano conservato la sensibilità cromatica prossima a Schwitters o Man Ray, mirando a raggiungere un risultato artistico secondo le “norme” dell’arte allora vigente. La trivialità Kitsch di Wesselman o Rosenquist o Oldenburg batte la delicatezza tonale dei due maestri. Il carattere dominante dell’arte pop è il fatto di avere, per la prima volta in modo così decisivo, riscattato l’oggetto di consumo assumendolo nel dipinto (combine-painting, assemblaggio) o farne il protagonista dell’immagine pittorica o plastica. Così si andava oltre la glorificazione surrealista dell’oggetto o quella cubista, demistificandolo e ironizzando sulla civiltà consumistica. Il pubblico si pose di fronte al valore di alcuni oggetti creati dall’industria e d’uso comune di cui prima non aveva mai avvertito l’importanza estetica; fu posto davanti all’aspetto mistificante del panorama industrializzato in cui si ordisce la sua società. Il peso assunto dalla pubblicità luminosa, del night-scape delle metropoli, dei supermarket, dei juke-box, dei gadgets consumistici sono sottolineati dalle opere pop. Le pseudo-sculture oggettuali di Oldenburg come il tubo di dentifricio gigante, la macchina da scrivere “morbida”, gli elementi meccanici e naturalistici riprodotti in materiali plastici imitati grossolanamente con una tecnica deformante; Jim Dine che riproduce molte situazioni comuni della vita americana, le ricostruzioni o trasferimenti di oggetti di uso comune nelle pareti dei musei; le serigrafie di Lichtenstein tratte dai comics americani, ingranditi, isolati e riprodotti meticolosamente a mano dandogli un valore semantico prima sconosciuto, decontestualizzandoli e elevandoli al rango di opere d’arte di élite, sottraendoli al limbo dell’“arte di massa”. Qui vale il processo dell’ostranenje, lo straniamento dell’immagine popolare, elevata al rango di opera d’arte sofisticata, nello stesso modo in cui un oggetto Kitsch può essere trasferito a oggetto artistico. Dopo la grande mostra degli assemblages del MoMA del ’62 in cui i Pop furono accostati ai progenitori Dada, e dopo la Biennale di Venezia, il movimento ebbe diffusione mondiale, in tutti i paesi occidentali Rauschenberg La sua esperienza si avvale di un processo di “captazione del mondo esterno”. Ha avvertito l’urgenza di far rivivere una “fetta di vita” fissandola nei suoi dipinti, in una precisa situazione esistenziale, esposta allo 25 acquattato in uno spazio sottile e raccolto dove l’opera possa vivere anche fuori dalla piena volumetricità e gustata come fosse un diaframma tra realtà esistenziale e una più nascosta realtà immaginaria. La ripresa di modi costruttivisti e concretisti di alcuni pittori fautori di una pittura strutturalista si rispecchia anche nella scultura, accordandosi ai primi tentativi di portare quel rigore compositivo anche nelle tre dimensioni di Tatlin, Moholy, Pevsner, Gabo; tra i continuatori (anche nell’immediato dopoguerra con le costruzioni plastiche inserite nelle architetture come Gabo sul Bijnkorf di Amsterdam o Hepworth davanti alla Staten House di Londra) del formalismo concretista più o meno rigoroso e spesso basato su programmazioni algebriche è lo svizzero Max Bill, propugnatore di un’arte razionale dove la rispondenza tra architettura, scultura e disegno industriale fosse incoraggiata e rispettata. Con lui sono gli inglesi Mary e Kenneth Martin autore di mobiles a vite, gli italiani Munari e Mari. Una produzione particolare è di Fausto Melotti (1900) che dopo un inizio costruttivista negli anni 30 e dopo una lunga inattività, è riapparso con una vasta produzione plastica dove le opere astratto-geometriche si alternano a quelle basate su una figuratività allusiva e magica che le pone tra le migliori rappresentanti della scultura allegorico-simbolica. Sembra che con Moholy, Gabo e Pevsner siano state esaurite le possibilità della plastica architettonica e per questo le attuali sperimentazioni in materia appaiono fredde. Calder Con le sue opere prevalentemente in metallo e dalla netta impronta costruttivista senza i rigori geometrici che dominarono le generazioni precedenti, fu capostipite, con David Smith, di una corrente rinnovatrice e libera dalle premeditazioni rigoristiche, carica di fantasia e capace di dar vita a creazioni immobili che restano tra le più singolari sculture di questo secolo. I suoi mobiles (così battezzati da Duchamp) dovevano diventare progenitori di esperimenti simili (gli screw mobiles di Kenneth Martin, le balanced sculptures di Chadwick, i mobili geometrici di Munari) ma nessuno è riuscito a ottenere quel senso di leggerezza, leggiadria e potenza insieme. Sorprende l’alternarsi di elementi vibranti all’estremità di un filo di ferro e la presenza di mastodonti metallici immoti e minacciosi a scandire lo spazio intorno a loro. Calder fu il “padre” di molta rinascente scultura e si può osservare la parentela tra i suoi scherzi caricaturali in filo contorto o i suoi massicci e imponenti stabiles o tra i bracciali e spille che crea. Il basco Eduardo Chillida che con precisione, compostezza e levità ha saputo forgiare il pesante materiale di cui si serve ottenendo creazioni robuste e ironiche diverse da David Smith, che amalgamava materiali eterocliti che lo avvicinavano agli oggetti trovati iniziati dal famoso manubrio di bicicletta di Picasso e diverse dalle corazze laminate di Lipton. Pablo Serrano, dopo aver capovolto il principio di spazialità piena, è andato oltre la semplice evidenziazione di una spazialità racchiusa attraverso la costruzione di strutture che potremmo definire matrici spaziali. Un vuoto che dà vita all’immagine plastica tridimensionale ma che continua a esistere come realtà volumetrica del corpo generatore in esso imprigionato di cui la forma resta come presenza problematica e intenzionalità di un divenire. 26 Scultura materica Lo stesso interesse artistico per il materiale avvenuto in pittura si ritrova anche in scultura, dove inizia a interessare il materiale grezzo, la pietra ruvida, la colata di cera rappresa e gettata sul piombo (Somaini), il ferro rugginoso o la presenza di rottami o detriti metallici. Gli scultori avevano già iniziato a far ricorso a materiali prima ignoti come il plexiglas e le materie plastiche o a commistioni di piombo e stagno (Arnaldo Pomodoro), chiodi rugginosi che rivestono un’anima centrale di vetrini sovrapposti (Dzamonja), inserzione di cristalli colorati in una trama metallica (Chadwick), spaghi e funicelle per limitaree segmentare il vuoto dello spazio, diventato materiale da costruzione esso stesso (Moore, Hepworth), tralicci filiformi, legni combusti .La bella scultura levigata di Brancusi o Arp o Moore assume l’aspetto di un soprammobile più che quello di una creazione autonoma e non permette di trasferire alla scultura il carattere di immediatezza dei nostri giorni. Ciò giustifica la proliferazione di metalli, legno e carta. Ad esempio tra i saldatori di frammenti metallici è César (Baldaccini) con le figure d’acciaio e le colate di materie plastiche, o le associazioni di metallo nero e opaco e incudini di gesso di Higgins. I fratelli Arnaldo e Gio Pomodoro si sottomettono alla materia per se stessa e in certi lavori il piombo e lo stagno o il cemento diventano superfici corrose e rilevate, dove le lamine d’acciaio e di zinco, le colate di piombo, le saldature di stagno manipolate e contrapposte sfruttano l’evidente componente cromatica. Arnaldo, dopo una fase intimista e simbolica, le forme minacciose e imponenti hanno preso il posto della primitiva ricerca di effetti preziosi e si è estesa alla ricerca di modulazioni spaziali inerenti al territorio e al paesaggio urbano. Gio ha sempre dato importanza predominante al medium, sia nelle giovanili sculture in tensione che nelle plastiche in fiberglass, spesso dalle forme organiche e naturalistiche. Mirko (Basaldella) ha una personalità spesso contraddittoria e scissa tra impulsi antichi e nuovi, tra il decorativo-emblematico e il naturalistico-surrealista. Così nei rami intagliati e sbalzati, lastre orizzontali che a seconda delle linee di taglio si protendono e si estroflettono, si ritraggono o si introflettono; una volontà figurativa era evidente nei “totem” monolitici e quelli metallici e quelli plastici e spugnosi apparentati a crisalidi di insetti prosciugati. I fratelli Pietro e Andrea Cascella che nelle loro opere in pietra, attraverso l’incastro danno vita a figurazioni che partecipano della qualità espressiva di alcune strutture tecnologiche conservando la loro organicità o che ricordano le più meccanicistiche opere di Barrocal Mario Ceroli e Alik Cavaliere Il primo parte da un’attività simile alla metafisica di anni 30 per approdare a una vasta operazione spaziante dagli allestimenti scenici (Riccardo Terzo) alle sculture politiche (La Grande Cina) agli episodi ironici (La cassa sistina, L’aquilone) elaborando la sua tecnica basata sull’uso di tavole di legno grezzo con cui costruisce le figure bidimensionali dove il compito volumetrico è affidato alle ombre proiettate. Il secondo ha approntato la sua opera su una scultura che nell’apparente riproduzione del vero assume toni beffardi o surreali, sapendo amalgamare gli aspetti essenziali della corrente iperrealista e concettuale prima delle loro esplosioni. 27 La “scuola” inglese Dagli anni 50 in Inghilterra c’è una rinascita della sensibilità plastica che costituisce un caso a sé per la sua vasta scala. Gli artisti della generazione precedente che tra le due guerre avevano preparato il terreno al rinnovamento della sensibilità plastica (Moore, Hepworth) che avrebbe influenzato l’ambiente internazionale. Lynn Chadwick, Reg Butler, William Turnbull, Kenneth Armitage hanno dato vita a esperienze originali, con le balanced sculptures del primo, dei mobiles costituiti da elementi semoventi posti in equilibrio e dall’aspetto zoomorfo; con le figure antropomorfe di Armitage o i robot di Paolizzi costituiti da elementi metallici, oggetti trovati e materiali di scarto gettati a cera persa e fusi in bronzo. A questa, memore di una figuralità simbolica e grottesca, ha fatto seguito un’altra stagione iniziata da Anthony Caro cui seguirono King, Dalwood, Annesley orientata verso la contaminazione con le strutture primarie americane. Caro iniziò una serie di strutture meccanomorfe imparentate in parte con i componenti della meccanica agricola, come fossero grandi trattori o trebbiatrici dai colori accesi; King associò elementi meccanici in composizioni più leggiadre, floreali pur nella loro consistenza metallica. Ora (1973) il processo dello scolpire e modellare sono andati persi per l’adeguamento della scultura all’industria e all’architettura. Abbondano gli oggetti prodotti in serie e industrialmente anche se queste costruzioni hanno fatto anch’esse il loro tempo anche per lo scarso tocco individuale. Analogamente è successo per la scultura basata sui detriti e sull’assemblaggio di pezzi presi da organismi meccanici preesistenti. L’italiano Ettore Colla è stato uno degli inventori delle più abili simbologie meccanomorfe, ricavate dall’assemblaggio di vecchi pezzi di macchinari e ferraglia. Oggi questa poetica del rifiuto è comunque già superata. Sono tramontati i mobiles, le sculture basate sui rottami e sui meccanismi obsoleti e anche la scultura pop. Esistono altri parametri nella scultura recente, oltre a quelli dei materiali inediti (che non sempre giovano agli artisti come nel caso di Louise Nevelson che assembla scarti lignei che non ha guadagnato dal ricorso alla plastica o al metallo). È stata introdotta la possibilità di intervento dello spettatore come nelle strutture aleatorie ma programmate di Vjeceslav Richter o la possibilità di usare materiali tridimensionali per le loro possibilità non solo plastiche ma chimiche, dinamiche, dimensionali; tenere conto di altre sensibilità oltre a quella visiva e tattile come nelle opere “povere” degli artisti italiani (le costruzioni slivellate di Anselmo, il ghiaccio colorato chimicamente di Zorio, i tralicci e gli igloo di Merz); o i recipienti poveri e gessosi del cecoslovacco Kolìbal 10. Minimal Arte e strutture primarie. La confluenza del concretismo e dello strutturalismo e il rifiuto dell’edonismo pop si può rinvenire nella corrente della minimal art che trionfò a metà anni 60. Se ne possono riassumere le caratteristiche nella volontà di riduzione al minimo della ricerca di decorativismo, piacevolezza e complicazione formale. Sono spesso forme elementari, geometriche, squadrate di materiali semplici e rozzi, non sofisticati e di dimensioni grandi o grandissime. La grandezza a volte vale a conferire da sola una potenza o importanza altrimenti 30 di idee e eventi i primi; serie di definizioni riferite di un oggetto imprecisato le seconde) costituivano un’affermazione di operazioni inesistenti o la cui esistenza resta senza materia ed è legata solo al fatto di essere attivata dall’artista e come tale è significativa. Se questo è il punto di partenza del concettualismo puro e freddo, si deve osservare che prima, dalla mostra “When Attitudes become Form” all’ICA di Londra e prima ancora alla Kunsthalle di Berna e in parte agli Incontri di Amalfi del ’68, molti artisti non ancora definiti come concettuali ma appartenenti all’Arte Povera, Anti-Form, Microemotive Art, Possible Art, ecc. avevano dato prova di un nuovo atteggiamento di ribellione verso l’arte intesa tradizionalmente che consisteva nel non presentare opere ma progetti, diagrammi e sviluppi nel tempo, operazioni sulla natura, modi di essere nel mondo più che risultati definitivi e immutabili. Quando Richard Serra presentava un frammento di piombo fuso e spiaccicato al suolo (Splashing) o Robert Morris lasciava pendere feltri per forza di gravità o Carl Andre presentava i pavimenti percorribili, o Calzolari le creazioni di stagnola o legni amorfi; quando Kounellis presentava elementi presi di peso dalla natura vivente (pappagallo, cavalli) oZorio le reazioni chimiche, Anselmo i cubi sbilanciati, Merz gli igloo e i grafiti a muro, Pistoletto le palle di carta straccia o le candeline accese si trattava della presa di coscienza di una situazione sviluppata nel tempo e modificata da eventi, ma non nella creazione o scoperta di oggetti definibili o assaporabili esteticamente come tali. L’attribuzione di un significato artistico era diversa dalle sperimentazioni dada o dei ready made e prendeva in considerazione non solo la percezione visiva ma anche altre sensibilità e dimensioni. C’era anche chi cercava indagini più costruttive e sottili come Dan Graham che avvalendosi di due cameramen ruotanti in modo antagonista lungo una spirale tracciata sul suolo mentre si fotografano a vicenda riusciva a polarizzare l’attenzione del pubblico su un’azione di percezione del flusso temporale; o quando, facendo compiere a due personaggi dei movimenti che vengono imitati e premoniti dagli stessi, crea un rapporto di azione e reazione, anticipazione e ripetizione che incide nella concettualizzazione temporale di chi guarda. C’è chi preferisce agire direttamente attraverso il medium del suo corpo, come gli appartenenti alla body art. Joan Jonas esibiva i suoi gesti accompagnati dalla contemporanea trasmissione televisiva degli stessi o attraverso l’impiego di strumenti rituali; Gina Pane interveniva sul suo corpo con lamette gillette o gargarismi col latte fino a provocarsi piccole emorragie. Molti artisti sia rivolti al concettuale che alla body art hanno indagato problemi spazio-temporali con metodi nuovi e inediti: Keith Arnatt, famosa per l’autoseppellimento, ha creato con efficacia un esempio di interferenza tra uomo e natura mediata dalla dimensione cronologica; Joseph Coleman, scandendo parole dette secondo intensità e ritmo vari che si rispondono dai diversi angoli di un ambiente vuoto, ha creato una situazione di suspense temporale. Molti artisti si sono rivolti alla realizzazione epigrafica di massime lapidarie e fine a se stesse esaltando il valore logico-matematico delle proprie operazioni (Darboven); sottolineando aspetti ironici e parodistici (Nauman, Paolini, LeWitt); sconfinando nella poesia visiva (Barry). C’è anche lo scontro tra poeti visivo-concreti e concettualisti “puri”: i primi danno priorità allo sfruttamento dell’elemento verbale a un fine noetico-visuale; i secondi pensano l’opposto. È vero che dall’inizio la poesia concreta ha usato l’elemento tipografico verbale per la composizione visuale ma nei 31 poeti visuali si mira a ottenere un risultato più estetico e nei concettuali puri l’estetica è trascurata o evitata. La poesia visiva si può distinguere in tre tronconi principali: quello della poesia concreta che giunge fino ai concretisti “classici”; il filone partito dal fiorentino Gruppo 70 che si è prima autodefinito “poesia tecnologica” per gli agganci alla tecnologia e al pop, per confluire nel raggruppamento della poesia visiva vera e propria; un terzo filone più rigorosamente concretista, ma con agganci duchampiani. Joseph Beuys Difficilmente può essere incluso tra i concettualisti puri come Kosuth (data la sua folta produzione oggettuale di anni 60) o tra coloro che seguirono rigidamente le prescrizioni del gruppo inglese art-language. È il più significativo rappresentante del concettualismo europeo, la sua opera è apprezzata sia per il periodo oggettuale (composizioni povere vicine al minimalismo) e per i suoi happening; ora (anni 70) si incammina nei body art e art-language. La sua stessa personalità fisica (alto, scarno, dai penetranti occhi azzurri, col giubbotto di fustagno e il cappellaccio marrone) fanno parte della messa in scena. Usa abilmente il suo corpo nelle esibizioni pubbliche dove il suo gestire, chinarsi o partecipare all’azione aiuta la comprensione dello spettatore. L’aspetto più interessante è la sua deliberata missione “predicatoria”: agisce come un sacerdote laico che vuol persuadere il suo uditorio di principi etico-estetici e politico-spirituali pervasi da sincera convinzione .Il suo sermone politico-religioso si differenzia molto da altri artisti colloquianti (Wilson vicino alla maieutica dei koan buddisti; Barry e Weiner che sfociano spesso nel paradosso). Lui ha scelto questo metodo diretto per lottare contro la mercificazione dell’arte e contro l’impostazione troppo marxistica e capitalistica di essa, attraverso la difesa dei valori “spirituali”. Alcuni artisti concettuali freddi che si orientano verso la body art sono Ben Vautrier, Vito Acconci, Rainer, De Dominicis, Vettor Pisani, Gina Pane, le statue viventi Gilbert&George, Hermann Nistch. Sono definiti comportamentistie basano le loro operazioni su atteggiamenti e azioni di cui sono protagonisti o deuteragonisti, rivelando una spiccata componente auto- erotica, narcisistica o masochistica che dà alle loro azioni una tinta surrealisteggiante e letteraria lontana dal concettualismo freddo. Le azioni di Hermann Nistch, creatore dell’Orgien und Mustherien Theater, dove gli spettatori si imbrattano il corpo con interiora sanguinanti strappate a animali uccisi in una messa nera alla Gilles de Rais; le operazioni castratorie addirittura fino alla morte come in Schwarzkogler o masturbatorie come Vito Acconci che denuncia l’origine freudianamente liberatoria di alcune manipolazioni del suo corpo, le esibizioni di casi patologici di De Dominicis, l’inscenatura di una pseudo-tortura sul corpo della sorella di Vettor Pisani. Tali creazioni possono essere incluse nell’ambito di un certo teatro underground o nella letteratura nera, e spesso sono manifestazioni di ingenui rituali basati su deviazioni libidiche capaci di trovar terreno grazie alla pubblicizzazione del mercato artistico. Alcuni artisti sudamericani meritano un discorso a parte, definiti dal teorizzatore e capogruppo Jorge Glusberg “arte de sistemas”: Luis Benedit (noto per i labirinti), Carlos Ginzburg (azioni ecologiche), Alberto Pellegrino, Juan Carlos Romero, Clorindo Testa (architetto e prima pittore informale), Luis Pazos, ecc. che operano sulla base di un preciso intento ideologico 32 e politico: contro l’oppressione dei regimi militari sudamericani, contro le ingiustizie sociali, avvalendosi di schemi, statistiche, grafici, azioni sul terreno, proiezioni topografiche e ecologiche memori in parte dell’arte povera e simili alla land art. Vicino a loro è il gruppo OHO di Lubiana, soprattutto Marko Pogacnik, Matanovic,Salamun, Nez, e del Gruppo E-kod di Novi Sad e altri gruppi belgradesi e artisti isolati (Zoran Popovic, Marina Abramovic, Radomir Damnjanovic Damnjan) tutti più o meno agenti nel senso land art, body art e arte povera ma con sviluppi autonomi notevoli. Ci sono comunque aspetti positivi e negativi di questi indirizzi: in un momento come l’attuale corsa feticistica verso l’oggetto e l’acquisto di merci economicamente pregiate, l’arte concettuale, con l’arte povera, land art e body art, ha criticato questo costume. Evidenziando l’aspetto teoretico, noetico, mentale contro quello fattuale, tattile, edonistico della pop e dell’arte cinetica e programmata, hanno rivalutato la funzione di indagine e conoscenza spesso calpestata dall’arte visuale. I dati negativi non sono pochi, come gli esibizionismi sado-masochistici e le operazioni linguistiche fine a se stesse; molte manifestazioni pseudo- scientifiche, cibernetiche, filosofiche che rivelano solo povertà di competenza e originalità e sono avallate solo dall’abilità commerciale dei mercanti. L’avvento dell’arte concettuale a inizio anni 60 e il suo declino denoti in maniera sicura un momento di crisi ma anche di effervescenza in cui si trova la creazione artistica di questo periodo. L’inflazione degli oggetti doveva portare necessariamente a una fase an-oggettualizzante e anestetizzante, di rifiuto del piacevole e edonistico per qualcosa di sottilmente percettivo, che conduce a manifestazioni anoggettuali dove l’idea prevale sulla realizzazione, il progetto sull’oggetto, il concetto espresso nella forma linguisticamente più scarna. Anche questo movimento è destinato a declinare per ragioni di mercato e di stanchezza degli artisti. La richiesta di opere d’arte tangibili dal pubblico fa sì che spesso si giunga a compromessi pericolosi: foto di operazioni sul terreno o sul corpo, carte topografiche e geografiche indicanti luoghi attivati, registrazioni su nastri, protocolli di operazioni o relitti di eventi corporei venduti come opere d’arte e spesso riprodotti in copie e firmate. Sono sempre in agguato coloro che al minimo segno di una corrente sono pronti a risfoderare forme artistiche superate riesumate come nuove perché hanno qualcosa in comune con quelle inedite: così il realismo e il naturalismo pittorico e scultoreo venne adattato alle novità pop e dieci anni dopo all’iperrealismo americano. È insensato credere che le acquisizioni dell’arte astratta, concreta, op e pop non debbano lasciare traccia nel cammino dell’arte. 12. Arte ecologica (land art e earth art) La loro inclusione nell’arte concettuale è accettabile solo in parte: hanno in comune il rifiuto dei tradizionali media artistici e l’attenzione rivolta alle possibilità espressive, ma per l’arte ecologica esistono motivi che la riconducono ad altre esperienze di altri tempi e luoghi, come l’autonomia artistica dei giardini di sabbia Zen, quelli di muschio, gli Ikebana giapponesi; i cimiteri svedesi con i recinti di ghiaia rastrellata in forme geometriche, i parchi all’italiana, all’inglese e interventi sulla natura che accompagnavano o meno la 35 oscillanti; le piante parlanti di Luca Patella che si alterano alle sue proiezioni di diapositive sull’avvento dei marziani. Queste imprese sono alleate dell’arte concettuale data la comune volontà di esprimere se stessi e far partecipare gli altri. Video-nastri(tapes) e videocassette Partire dal medium televisivo per mostrare al pubblico le proprie creazioni doveva tradursi in realtà appena si fosse sufficientemente preparati dal punto di vista tecnico. Nel ’73 gli artisti che sono passati alla produzione di nastri televisivi è notevole e aumenterà con la produzione di video-dischi. Il concetto alla base di ciò è il fatto di poter visualizzare la propria idea e trasmetterla al prossimo. Le origini di queste azioni e creazioni si devono ai film di Eggeling, Hans Richter che risalgono agli anni 20. Da allora la creazione di film astratti continuò variamente per prendere nuovo vigore col pop: i film di Warhol e altri artisti underground americani e italiani. Di Warhol si ricorda il film Empire (ripresa a camera fissa dell’Empire State Building), Vinyl (’6fi), Chelsea Girls, i film di Makropulos, la Art of Vision di Brakhage, il films-collage di Conner. La possibilità della televisione doveva essere usata in modo commerciale negli ambienti galleristici europei da Gerry Schum che raccolse video-nastri di Baldesarri, Beuys, Bruen, De Dominicis, Dibbets, Gilbert&George, Merz, Rinke, Weiner e ognuno era corredato di certificato numerato, firma dell’artista e posto in vendita. Se il sistema delle videocassette è destinato a svilupparsi, è probabile che si assisterà alla messa in commercio di molti video-nastri e video-dischi a livelli diversi a seconda della destinazione 15. Dal Concettuale al Postmoderno. Il Postmoderno è definito in diversi gerghi critici, tra cui Transavanguardia (Bonito Oliva), magico-primario (Flavio Caroli), nuovi-nuovi (Renato Barilli). La teatralizzazione dell’arte visiva è stato uno dei fenomeni più singolari della metà del secolo. Wilson, Monck, Foreman, Grotowski, Kantor e Szàjna hanno dato vita a delle performances, azioni sceniche, in un primo tempo limitate alle gallerie private o piccoli teatri, poi sfociate in vere rappresentazioni teatrali. Molte compagnie teatrali d’avanguardia hanno dato un grande apporto all’aspetto figurativo e astratto delle loro scenografie, spesso basando le loro operazioni su fenomeni scenici derivanti dall’ambientazione, illuminazione, sonorizzazione, limitandosi a pochi gesti o frasi per la parte recitata. La body art si è dilatata nelle sue manifestazioni per il proliferare dei suoi adepti anche se sta perdendo interesse. Di maggior spicco sono sempre Gina Pane, Urs Luthi, Acconci e Marina Abramovic, Rebecca Horn, Cristina Kubisch; artisti che di solito vi si fanno rientrare come Annette Messager o Arnulf Rainer hanno usato il proprio e l’altrui corpo sia per le performances che per le documentazioni fotografiche e quindi considerati appartenenti alla Narrative Art (che racconta gli eventi passati con fotografie e “relitti del passato”). Altri body artisti hanno usato le foto per prolungare la durata del tempo delle loro manifestazioni corporee anche se così manca molto della partecipazione degli spettatori all’azione. Molti di questi artisti ultimamente si sono dedicati alla trascrizione pittorica o disegnativa delle loro azioni teatrali 36 Transavanguardia italiana e internazionale. Il movimento che all’inizio dell’82 era già affermato in Italia non può essere inteso bene senza un sommario accenno all’indirizzo artistico post-moderno. Il Postmoderno ha definito per lo più un atteggiamento estetico limitato all’architettura e al disegno industriale più che le arti visive. Anche in altri settori si è accennato ad esso come a un fenomeno generale e derivato dal particolare atteggiamento del pensiero contemporaneo. La rivista culturale “Alfabeta” ha dedicato una serie di articoli al problema nell’81 cercando di dimostrare i legami tra post-moderno, pensiero negativo e rinascita di una filosofia nietzschiana; o il disimpegno politico, il riflusso e ritorno a posizioni sociopolitiche reazionarie. Se ci limitiamo a riferirci al settore architettonico, constatiamo che il postmoderno allude alla tendenza che si oppone alla cristallizzazione del Movimento Moderno attraverso l’accettazione di nuove forme decorative e l’abbandono delle rigide stereometrie del razionalismo. Il desiderio del ritorno alla decorazione, la ricerca di forme più libere, la spinta revivalistica e il desiderio di colore sono dei fattori che mostrano analogie con la ripresa di figurazione in pittura e scultura e nel ritorno all’uso del colore e della tela secondo la tradizione passata. Il terreno artistico era maturo per un radicale mutamento di rotta anche perché il fenomeno dell’arte povera, dilagato anche all’estero nel Gruppo OHO o il Gruppo dei Tredici dell’Arte de sistemas, era la dimostrazione del rifiuto del bel materiale, della composizione accurata, in antitesi alle sopravvissute retroguardie surrealiste e concretiste, o con la body art e narrative art che facevano sconfinare pittura e scultura nel teatro, nella performance e documentazione fotografica. Il fallimento dell’iperrealismo statunitense portò gli artisti giovani al ritorno alla pittura, alla manualità, alla tela dipinta e a una figurazione che attingesse almeno in parte dalla realtà esterna. Ciò non vuol dire che la Nuova Tendenza producesse opere realistiche o naturalistiche, nonché politiche. La caratteristica di questa tendenza anti-astratta è il reimpiego dei tradizionali materiali pittorici; a volte sembrano vicini alle tecniche dell’espressionismo tedesco tra le due guerre. Il tedesco Penk si distacca dalla precedente maniera espressionista per rincorrere fantasmi onirici e astratti; il portoghese José de Guimaraes mette a punto un personale universo simbolico; gli spagnoli Arranz-Bravo e Bartolozzi sono influenzati dal surrealismo; l’inglese Nissen ha una vena romantica e fiabesca. Tutti gli artisti statunitensi si rifanno al “pattern painting”, che si rivà all’elemento decorativo basato sul rimaneggiamento di elementi ornamentali, brandelli di tessuti e rifiuti urbani, quasi neo-pop che invece dell’oggetto di consumo incorpora nel dipinto gli ornamenti della nostra società; queste opere sconfinano spesso nel Kitsch ostentatamente ricercato. La rivalutazione dell’oggetto e della decorazione Kitsch è stata promossa anche da molti designer italiani come Mendini, Sottsass, De Lucchi, Navone. Gli informali avevano scardinato le regole del geometrismo dei costruttivisti regredendo a una pittura magmatica, dal colore corposo e materico che ricordava alcuni fauves o postimpressionisti, come attuali transavanguardisti sono regrediti verso una figurazione prossima all’espressionismo ma sconvolgendo le regole prospettiche, tonali, chiaroscurali di allora o capovolgendo l’immagine o giungendo alla paesaggistica. La ripresa di una figuralità spesso intrisa di memorie romantiche o ammiccamenti ironici, la riscoperta di una 37 vena umoristica e grottesca sono fenomeni importanti dopo decenni di pittura priva di contenuto. La moda semiologica che interessò dispute e dibattiti estetici e critici negli anni 60 fu forse una delle cause dell’interesse per la nuova figurazione e non deve essere sottovalutato il peso della domanda di mercato stanco dell’arte concettuale i cui prodotti non erano commerciabili. Bonito Oliva afferma che l’arte povera e l’arte concettuale sono superate dall’atteggiamento nuovo che non predica alcun primato se non quello dell’arte e della fragranza dell’opera che ritrova il piacere della sua esibizione, del suo spessore, della pittura non mortificata da ideologie o intellettualismi. Ciò vale per alcuni di questi artisti più che per altri; ci sono anche quelli che riescono consciamente o inconsciamente i fatti sociali esattamente, delineando la situazione meglio delle dichiarazioni ufficiali del governo; il che contrasta con il disimpegno della transavanguardia italiana. Le principali caratteristiche di queste correnti sono innanzitutto quella di essere figurative invece che astratte; il non aver paura di ricorrere all’immagine almeno parzialmente naturalistica. Le loro immagini appaiono il più delle volte imbevute di elementi surreali o di tratti naïve da artisti che si avvalgono di conquiste già realizzate da indirizzi precedenti, come l’uso di vaste campiture monocrome (De Maria, Maraniello), composizioni astratte dove personaggi più o meno realistici galleggiano o ondeggiano (Notargiacomo, Zimmer). Molti di loro hanno anche compiuto una svolta decisa rispetto a coloro che avevano abbracciato precedentemente la svolta neofigurativa: i dipinti affermatisi negli anni 60-70 di Adami, Hockney, Tadini, Monory si sono avvalsi già da allora della figurazione che si differenzia dalla precedente per il disprezzo dei canoni della “bella pittura”, della raffinatezza tonale o timbrica, e dei canoni del cubismo, costruttivismo, surrealismo. Un pittore come Baselitz costringe l’osservatore a riconoscere il ribaltamento dell’immagine provocatoriamente, come lo sono le figure sospese nel vuoto di Chia, Clemente, Cucchi senza alcuna legge prospettica. Comunque molti esponenti della pop art, dell’informale, dell’arte povera e concettuale non sono ancora decaduti o superati. Con l’avvicendarsi delle singole correnti si assiste a un passare la mano da parte degli artisti delle generazioni precedenti e ciò non significa che non abbiano più nulla da dire anche se alcuni continuano nella propria maniera consolidata. Tutte le correnti che si rifecero all’arte programmata, al cinetismo, alla poesia concreta e al concettualismo meritano un giudizio più severo; coloro che raggiunsero le mete più elevate continuano autonomamente restando degni di rispetto ma difficilmente si potranno accostare a queste tendenze artisti giovanissimi anche se ogni eccezione è possibile, ma la ricerca è legata a una mentalità meccanomorfa e a un’aspirazione meccanicistica che oggi sta scomparendo. American graffiti è un fenomeno pittorico evidenziatosi tra ’7tt-’80 che consiste in scritte e figurazioni eseguite prevalentemente con lo spray e inizialmente sulle pareti e convogli della metropolitana di New York; questa sensibilità fu già segnalata dal ’7fi da Norman Mailer in “The Faith of Graffiti” e accolta in un secondo tempo da gallerie all’avanguardia e entrata nel mercato artistico internazionale. Basquiat, Keith Haring, George Lee 40 Concettualismo Gli artisti dell’ultimo decennio in questa corrente sono individuabili nella poesia visiva e altre nuove leve per cui il concettualismo vale da giustificazione a opere oggettuali, grafiche, linguistiche. Tra loro l’inglese Sam Taylor-Wood basa il suo lavoro su immagini fotografiche e video impostati su situazioni ambigue e stressanti; Laurie Anderson attua la proiezione luminosa del suo corpo su calchi di resina o traspone telematicamente un corpo vivente da un ambiente a un altro innestando l’immagine su un manichino che ne resta vitalizzato; Isgrò dopo la fase delle cancellature e delle avventure linguistiche ha attuato l’operazione concettuale nell’ingigantimento di un seme d’arancio come monumento per una città siciliana. Le opere neo-oggettuali non avrebbero avuto ragion d’essere se non ci fosse la base di ricerca concettuale a giustificarle. Jenny Holzer crea scritte prolisse e non sempre acute dove l’elemento decorativo di esse si allea al contenuto ideologico; i video di Bill Viola dove non è la qualità ma la voluta alienazione anche materiale delle immagini a costituire il richiamo. Apparentati al concettualismo sono anche gli artisti che fanno performance accompagnate o meno da video Oggettualismo e installazioni Se un iniziale interesse artistico per l’oggetto (d’uso, trovato) si deve alla pop art, una seconda stagione diversa perché meno scandalistica e provocatoria e molto più rivolta al versante noetico è iniziata negli anni 80 e ha dato vita a molte forme di installazioni basate sul recupero, invenzione o esibizione di oggetti spesso industriali, meccanismi o apparecchiature elettroniche. Fabrizio Plessi installa televisori accesi o spenti che combinano complesse formazioni n cui l’elemento luminoso, formale e metaforico entravano in gioco. Sono apparsi nelle Biennali veneziane e Dokumenta, nella mostra Posthuman e a Cocido y Crudo dove esposero una cinquantina di artisti da tutto il mondo e orientati verso il recupero di un bricolage oggettuale o della tecnologia, definiti neo-concettuali: Gary Hill, Wim Delevoye, Rosangela Rennò; i più legati alla figurazione Jimmie Durham, Sue Williams, Kiki Smith. I meccanismi inutili, le invenzioni cibernetiche, i traboccheD illusionistici non sempre bastano a rendere le opere accettabili e quindi molti di loro hanno preferito ricorrere alla fotografia (Morimura, Kopistianskij). Più efficaci furono il Sistema di perservazione e macchina di veri1cazione di Pedro Reis, l’ambientazione di Alexis Leiva, il Libro dal cielo di Xu Ning e l’automobile di Gabriel Orozco. Molti di loro sono i protagonisti della tendenza seguita poi da altri. È ingenuo pensare che la riutilizzazione degli oggetti presi dalla quotidianità sia da ricondurre alla sola catalogazione e esemplificazione del mondo esterno; in molti c’è la volontà di ritualizzare gli oggetti frequentemente ripetuti. Ad esempio l’artista israeliano Haim Steinbach che spesso insiste nell’esibizione di oggetti singoli ripetuti con un’affettività feticistica, presente anche in altri artisti. Tra coloro più legati alla quotidianità sono Peter Halley, JeA Kons di cui va incluso il gigantesco Cane costruito di vegetali e troneggiante di fronte al Museo Guggenheim di Bilbao; tutti adoratori della falsa utilità e dall’atmosfera del consumismo occidentale. Una pittrice attirata dall’oggettualità domestica ha saputo inventare un’oggettualità fittizia sfruttando materiali 41 impropri ottenendo effetti di notevole rilievo plastico-spaziale è l’inglese Rachel Whiteread. Cindy Sherman si serve quasi solo della fotografia e della sua persona con risultati molto drammatici. Magdalena Jetélovà con scritte e tracciati luminosi crea robusti e patetici interventi trasformando strutture ambientali e architettoniche. Louise Bourgeois, riconosciuta tardivamente come una delle più originali scultrici del suo tempo, dopo una vita dedicata a una scultura in parte tradizionale ha saputa dare vita a installazioni dove si alternano opere plastiche costruite da lei, relitti dei suoi effetti personali e installazioni a base di simulacri di composizioni multiple, costruzioni metalliche zoomorfe tali da conferire alle ambientazioni un richiamo morboso e affascinante. L’arte del corpo Si continua da parte di artisti americani sul versante sadomasochistico e pornografico insistendo su aspetti necrofili e morbosi. Nella primitiva body art era ancora presente una componente estetica che spesso non è negli attuali artisti corporei; Gina Pane nel suo pungersi le vene con le spine di una rosa macchiando di sangue il candido pigiama creava una situazione sia teatrale che cromatica; ciò non avviene nelle operazioni di Orlan che immostruosisce il suo volto o nelle sospensioni di Stelarc dove ganci metallici affondano nella cute del ventre senza alcuna giustificazione estetica ma solo una motivazione psicopatologica. Il fatto che si riaccendano impulsi verso un recupero della corporeità nel settore delle arti visuali è positivo soprattutto quando non eccessivamente morboso, come nel caso della Nuova danza e del Theatertanz, le prove di nuovi complessi teatrali che si rivolgono alla corporeità prima che alla scenografia e al testo avvalendosi del corpo come medium privilegiato dell’espressione artistica. Ciò può essere un contraltare dell’eccessiva smania meccanicistica di molta arte contemporanea, ma nel suo aspetto cruento e sadico cela fermenti che degenerano in un falso misticismo o deciso spregio della persona umana. C’è eccessivo ricorso a versioni misticheggianti con un largo impiego di iconologia religiosa. C’è un aspetto negativo negli artisti che seguono metodologie meccaniche o elettroniche per uscire dal loro corpo, come Stelarc quando si avvale di attrezzature complesse che gli permettono di manovrare i suoi arti dall’esterno mettendo il proprio corpo a disposizione del prossimo, che è totalmente opposto agli altri artisti che mirano a raggiungere una diversa soglia percettiva ottenuta con training autogeno Nuova figurazione Ha avuto un rilancio negli anni 80 dopo la transavanguardia in Italia e il neoespressionismo in Germania. La loro fase ascendente è ormai superata e la pittura ha perso molto del suo fascino e sono pochi gli artisti che continuano a servirsene. Per molti di loro c’è anche l’abbandono della pittura vera e propria e l’adozione di immagini luminose (neon, materie plastiche) come Marco Lodola o di mescolanze pittorico-plastiche (Ceccobelli o Ontani). Un’evidente persistenza di interesse per la pittura figurativa da parte delle ultime 42 generazioni è nell’area sudamericana o nell’ex URSS dove potrebbe verificarsi un’inattesa evoluzione dell’arte contemporanea con un ritorno a posizioni che l’Occidente ha abbandonato Scultura Vince sulla pittura dato che le sue strutture ancorate all’oggettualità e ben inserite in un paesaggio urbano o domestico non sono soggette a usura come il medium pittorico. La pittura ha visto tramontare il suo compito mimetico e ha dovuto ripiegarsi sull’astrazione e ha assistito alla crescita del potere rappresentativo e narrativo dei nuovi media, mentre l’aspetto decorativo e aneddotico era svolto dal fumetto, dalla grafica, dalla tv. Celebri sono oggi i fumettisti come Manara e gli illustratori. La scultura ha assistito a un rapido logoramento delle tendenze precedenti e ora si sono affacciati il boemo Lupertz (espressionista), Kapoor che ha trasposto nelle sculture la sua spazialità negativa e la trascendenza buddista, Giampaolo di Cocco con le sue vaste composizioni metalliche, arieggianti veicoli industriali, sottomarini, aerei e autobus dall’aspetto fantomatico. Molti scultori recenti hanno abbandonato lo scalpello per costruire forme basate su relitti metallici o lignei spesso metaforici. Le opere in vimini e bambù di Gaeti, i mobili arieggianti e artigianali in metallo di Marano, la lamiera di rame di Dalisi raffigurante spesso bizzarre creature, Casciello che usa il legno come ferro per organizzare strutture plastiche Conclusione. Non storica ma per sistemare esteticamente il periodo artistico qui indagato. Il percorso delle arti visive contemporanee è uno dei più inconsueti e anormali. Se il primo cinquantennio del 900 ha visto esplodere i grandi movimenti di avanguardia classica e aveva visto l’instaurarsi del fenomeno dell’arte astratto-concreta, non possiamo negare che l’atmosfera pittorica era sempre intessuta di colori e forme legati a movimenti pittorici e plastici. Nel secondo cinquantennio c’è una quintuplice lacerazione del tessuto pittorico attraverso:1) una prima lacerazione da ricondurre alla dissacrazione Dada e di Duchamp che doveva ripercuotersi sulle ultime tendenze concettuali; 2) iniziata con l’avvento del gesto e del segno e dell’action painting e del tachisme che segnava l’ingresso di un modo di essere fuori dagli schemi del razionalismo occidentale e pervaso da influenze Zen e orientali; 3) una terza derivata dall’arte programmata e dal cinetismo imbevute di postulati tecnologici e meccanicistici derivati dal funzionalismo architettonico e dalle indagini cibernetiche; fi) con la pop art legata alla matrice Dada ma tale da recuperare l’iconicità distrutta o accantonata dai costruttivisti e neoconcretisti; 5) l’esplosione dell’arte concettuale che portava la vanificazione delle valenze artistiche intese tradizionalmente e il recupero dei valori gnoseologici dell’attività creativa cui si contrapposero tentativi di ancorarsi allo studio del colore, della forma, del ritmo, dello spazio, in un’accezione di rinnovata artigianalità. Nelle diverse proliferazioni artistiche si fa strada sempre una vena dissacrante e demitizzante: l’aspetto mitopoietico e mitagogico che pareva essere stato vinto dall’arte
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