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UN’ALTRA GLOBALIZZAZIONE, La sfida delle migrazioni transnazionali. di Maurizio Ambrosini, Sintesi del corso di Istituzioni Di Sociologia

Riassunto dettagliato e completo del volume "Un'altra globalizzazione. La sfida delle migrazioni transnazionali" del prof. Maurizio Ambrosini, utile per esami di scienze politiche e sociali. Capitoli: Legami oltre i confini: reti migratorie e istituzioni etniche; Prospettive transnazionali: un nuovo modo di pensare le migrazioni; Il transnazionalismo degli affetti: stratificazione dell’accudimento e maternità a distanza; Religioni globalizzate: minaccia o risorsa?; Integrazione vs multicultural

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

Caricato il 01/02/2016

jonnyjr
jonnyjr 🇮🇹

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Scarica UN’ALTRA GLOBALIZZAZIONE, La sfida delle migrazioni transnazionali. di Maurizio Ambrosini e più Sintesi del corso in PDF di Istituzioni Di Sociologia solo su Docsity! UN’ALTRA GLOBALIZZAZIONE, La sfida delle migrazioni transnazionali. di Maurizio Ambrosini CAPITOLO I. Legami oltre i confini: reti migratorie e istituzioni etniche 1. Reti e teorie delle migrazioni • “gli individui non emigrano, le reti sì” [Tilly]: “le effettive unità della migrazione non sono né individui, né famiglie bensì gruppi di persone legate da conoscenza, parentela ed esperienza di lavoro”. • Reti migratorie: “complessi di legami interpersonali che collegano migranti, migranti precedenti e non migranti nelle aree di origine e di destinazione, attraverso i vincoli di parentela, amicizia e comunanza di origine” [Massey]. • Le teorie dei network come spiegazioni intermedie (“the crucial meso-level” [Faist]) tra teorie “macro” (o strutturaliste) e teorie “micro” (o individualiste): concepiscono le migrazioni come incorporate in reti sociali che attraversano lo spazio e il tempo, sorgono, crescono, infine declinano (processi sociali a lungo termine). • L’autopropulsività dei processi migratori: grazie alle reti, questi possono proseguire anche quando sono cessati i motivi che inizialmente li avevano innescati. • Concetto di migrant agency: “i migranti non sono individui isolati che rispondono a stimoli di mercato e a regole burocratiche, bensì esseri sociali, che cercano di raggiungere migliori esiti per se stessi, le loro famiglie e le loro comunità, modellando attivamente i processi migratori” [Castles]. 2. Due concetti collegati: “embeddedness” e “capitale sociale” • “embeddedness” (incorporazione, radicamento, incastona mento)[Granovetter]: denota come le reti precostituiscano il quadro cognitivo e strutturale in cui le decisioni individuali vengono assunte. • “capitale sociale” [Coleman]: esprime l’aspetto dinamico delle risorse (informazioni, accreditamento, legami fiduciari, protezione, varie risorse materiali) che fluiscono dai network e si rendono disponibili per gli individui nel perseguimento dei loro obiettivi; può pertanto convertirsi in altri tipi di capitale (economico-finanziario o umano). • “capitale sociale etnico” [Esser]: capitale sociale specifico, la cui utilizzabilità dipende dall’esistenza di una “comunità etnica” insediata nella società ricevente o di un network transnazionale. • 4 principali limiti delle teorie dei network: a. spiegano la continuazione delle migrazioni ma non il loro inizio, né lo spostamento verso nuove destinazioni; b. Spostano l’accento sulla dimensione informale e auto propulsiva delle migrazioni, mentre nel produrle intervengono altre agenzie, organizzazioni (anche formali) e intermediari (anche illegali): proposto il concetto più comprensivo di “istituzioni migratorie” (includono i network ma non si esauriscono in essi). 3. All’interno delle reti • Reti a struttura “orizzontale”: partecipanti sono collocati più o meno sullo stesso piano (reciprocità) • Reti a carattere “verticale”: fanno riferimento a una persona, a un gruppo o talvolta a un’istituzione che si trova in posizione eminente e che può redistribuire informazioni e risorse in modo relativamente discrezionale (gerarchia). • Reti che restano debolmente strutturate ed essenzialmente informali, e reti che evolvono verso configurazioni istituzionali più formalizzate. • “genere delle reti”: . le donne si appoggiano ai network più degli uomini nei tragitti migratori; . le reti femminili in terra straniera danno luogo a svariate forme di sostegno; . le reti femminili sono un fattore di trasformazione dei rapporti di genere, ma anche di costruzione di nuove identità femminili sebbene con profonde ambivalenze: le donne conquistano attraverso l’emigrazione spazi di autonomia ed emancipazione accrescendo il loro status all’interno della famiglia e della comunità d’origine; ma spesso devono affrontare la sofferenza della “maternità transnazionale” e le loro “rimesse economiche” possono finire per mantenere gli equilibri di potere in patria e la sopravvivenza della struttura patriarcale; inoltre il massiccio inserimento nei circuiti del lavoro domestico-assistenziale in pianta fissa ha come esito sia il consolidamento nella società ospitante di stereotipi circa le donne immigrate sia il deterioramento nel tempo delle loro reti sociali per carenza di tempo e di opportunità per incontrarsi (a differenza di quelle maschili che tendono nel tempo a rafforzarsi e a ramificarsi). • Figure e funzioni tipiche nelle reti migratorie: a. Scout (pioniere): apre una nuova rotta migratoria; b. Broker (mediatore): specializzato nell’intermediazione tra domanda di lavoro e l’offerta dei connazionali; c. Leader comunitario: assume compiti di rappresentanza (anche ruoli formali e/o incarichi professionali) nei confronti della società ospitante, ma può essere anche un leader religioso, quindi più orientato alla trasmissione delle tradizioni culturali del paese d’origine; d. Provider: fornisce determinati servizi (posti letto, lavoro, assistenza per pratiche burocratiche e documenti) dietro compenso operando spesso in una zona “grigia”, talvolta illegale; e. Viajero (corriere): svolge un ruolo di connessione con le società d’origine (spesso informale); il suo operato è rilevante sia dal punto di vista economico (trasporta ingenti risorse economiche) che affettivo (trasporta beni carichi di valenze simboliche). 4. Reti migratorie e immigrazioni irregolari • Le reti (insieme alle domande del mercato) vengono individuate come una delle principali cause dell’insuccesso delle politiche restrittive e del periodico fabbisogno di sanatorie: essendo la base logistica che favorisce gli arrivi riducono le barriere all’ingresso di migranti undocumented. • L’appoggio fornito dalle reti migratorie ai nuovi arrivati non è sempre disinteressato e solidale: in genere si formano dei rapporti del tipo patrono-cliente con conseguente richiesta di contropartite fino ai casi-limite di sfruttamento (lavoro coatto, riduzione in schiavitù). • L’attivismo delle reti nella promozione di nuovi ingressi può sconfinare a volte in fenomeni come quelli della tratta di esseri umani. f. una riconfigurazione della nozione di luogo (dal locale al “trans locale”) • [Kivisto] 3 visioni del transnazionalismo: a. [Glick Schiller, Basch e Szanton Blanc]Pionieristica sorta agli inizi degli anni ’90: nelle migrazioni attuali è avvenuto un cambiamento strutturale rispetto al passato: allora gli immigrati rompevano completamente le relazioni sociali e i legami culturali con il paese d’origine e si collocavano unicamente nel contesto economico, politico e socioculturale della società ricevente, oggi invece le loro reti, attività e modelli di vita comprendono sia la società ospitante che quella d’origine in un unico campo sociale; b. [Portes]Per la “Teoria a medio raggio” ha senso parlare di transnazionalismo se: . una significativa percentuale di soggetti sono coinvolti nel processo; . le attività in cui sono impegnati persistono nel tempo; . i concetti esistenti non riescono a catturare il contenuto di queste attività. c. [Faist]“spazi sociali transnazionali” che possono essere di 3 tipi: . gruppi di parentela, basati su legami di reciprocità; . circuiti transnazionali, che richiedono legami strumentali di scambio; . comunità transnazionali, basate su legami di solidarietà. • Bi-direzionalità degli scambi e dei flussi • Connessione tra il livello micro e il livello macro di analisi, collocando i network nel complesso dei legami che connettono paesi diversi. Portes, Guarnizo e Landolt hanno distinto tre settori di attività transnazionali (economico, politico, socioculturale), ognuno dei quali si articola poi in espressioni che manifestano gradi diversi di istituzionalizzazione. 2. Il transnazionalismo economico: dalle rimesse alle imprese • Le rimesse: “la più citata e tangibile evidenza, e il metro di misura dei legami che connettono i migranti con le loro società di provenienza” [Guarnizo]. Nell’ultimo decennio queste risorse sono diventate per i PVS una fonte di reddito molto più importante della solidarietà internazionale ufficiale; inoltre al contrario degli investimenti esteri, di portafoglio e speculativi, i flussi di rimesse tendono ad aumentare in periodi di crisi. Aspetti rilevanti sul ruolo delle rimesse: a. Il loro impiego per migliorarel’alimentazione, l’educazione e le cure mediche dei familiari che rimangono nei luoghi d’origine può essere visto non solo come un contributo ad una vita migliore, ma anche come una forma d’investimento; b. Sono un mezzo che consente di mantenere vivi i rapporti tra che è partito e chi resta, rende possibili i ritorni, veicola altri tipi di flussi (info, codici simbolici, influenze culturali, stili di vita…). c. Negativamente rafforzano le asimmetrie di genere: nel caso di migrazione maschile, le donne rimaste in patria diventano ancor più dipendenti dal denaro inviato dai coniugi; nel caso di donne primo migranti si tende a stigmatizzare il parassitismo dei mariti rimasti in patria. • Tipologia di attività transnazionali: a. Transnazionalismo circolatorio: attività che comportano uno spostamento fisico frequente attraverso i confini, con viaggi ripetuti tra madrepatria e luoghi d’insediamento. Le loro imprese servono soprattutto i bisogni di famiglie e comunità separate dall’emigrazione, che lottano per rimanere legate attraverso lo scambio di dono e l’invio di rimesse. b. Transnazionalismo connettivo: attività economiche che non implicano uno spostamento fisico degli operatori, ma fanno viaggiare denaro o messaggi comunicativi. Consentono di mantenere i legami transnazionali, di dare un senso alla bifocalità delle appartenenze, di rendersi presenti malgrado le distanze (alcuni termini chiave: “migrante connesso”, “cultura del legame”, “installazione relazionale nella mobilità” [Diminescu]; “transazioni digitali che cominciano a costruire uno spazio elettronico transfrontaliero” [Sassen]; “rimesse sociali” [Levitt]) c. Transnazionalismo mercantile: l’attività economica transnazionale può passare attraverso le merci comprate e vendute. Non è strettamente necessario uno spostamento fisico degli operatori, mentre quasi sempre, affinché lo scambio acquisti autenticità, è richiesto che l’operatore provenga dai luoghi da cui importa le merci. Talvolta alcuni prodotti soprattutto nel settore alimentare, sono richiesti anche da consumatori autoctoni. d. Transnazionalismo simbolico: non importa merci, o lo fa soltanto in modo accessorio, al fine di ricostruire atmosfere, ambienti, significati. Offre un repertorio di consumi culturali e di rappresentazioni d’identità nazionali, etniche e religiose. Forma e anima luoghi d’incontro e di aggregazione, prestandosi anche all’ibridazione e all’imitazione. Gli scambi transnazionali s’incontrano con le domande dei consumatori postmoderni, contribuendo a forgiare nuove pratiche sociali, nuove modalità d’identificazione e nuovi sincretismi culturali. 3. Il transnazionalismo politico: mobilitazioni a distanza, partecipazione civica e cittadinanza multiple • Costituzione di associazioni per il sostegno dello sviluppo delle comunità di provenienza (“hometown associations”), grazie alle quali i migranti continuano a svolgere un ruolo attivo nei luoghi d’origine ed esercitano un’influenza sui poteri locali. Anche le stesse istituzioni religiose, che custodiscono e tramandano l’identità culturale dei migranti, diventano transnazionali e si trovano nella necessità di ridefinire diritti e responsabilità degli affiliati, per adattarsi alle domande che scaturiscono dalle modificate condizioni di vita dei migranti in terra straniera. • [Giulianotti e Robertson]: 4 elementi dell’idea di “glocalizzazione” come progetto delle culture migranti: a. Processo adattivo di trapianto (transplantation) attraverso il quale gli aderenti ad una cultura locale entrano in un ambiente culturale differente; b. Processi d’identità intraculturale, riguardanti i modi con cui gli attori sociali, all’interno della cultura locale, sostengono forme condivise di identificazione, etniche o nazionali; c. Processi d’identità interculturale, relativi a come gli attori sociali si relazionano con le altre culture, e particolarmente con i gruppi preventivamente categorizzati come “altri”; d. Questioni della riproduzione culturale, si riferiscono a come la cultura locale viene riaffermata, emendata o trasformata, e a come le generazioni attuali e future interagiscono con altre culture. 2 aspetti chiave dei processi di localizzazione: a. Una robusta rivitalizzazione culturale, basata sull’impiego delle risorse tecnologiche ma anche sull’appoggio di reti sociali e di parentela; b. Costruzione di una coesione interna in modi che riflettono le caratteristiche particolari dell’ambiente circostante. 5. Le migrazioni diasporiche • [Cohen] partendo dal caso classico ebraico, distingue vari tipi di diaspore: . le diaspore delle vittime (africani e armeni); . le diaspore imperiali (caso britannico); . le diaspore di lavoro (lavoratori indiani a contratto nelle piantagioni, italiani in USA); . le diaspore commerciali (cinesi, libanesi); . le diaspore culturali (migrazioni caraibiche). Tutte queste esperienze condividono diverse tra queste caratteristiche: . dispersione, spesso traumatica, dalla madrepatria originaria; . espansione dalla patria in cerca di lavoro, di opportunità di commercio, di ambizioni coloniali; . memoria collettiva e mito intorno alla madrepatria; . idealizzazione della supposta patria ancestrale; . movimento di ritorno (o aiuto offerto ai movimenti di ritorno); . forte coscienza di gruppo etnico, mantenuta a lungo nel tempo; . relazione tormentata con le società ospitanti . senso di solidarietà con i membri coetnici residenti in altri paesi; . possibilità di una vita peculiare, creativa, arricchente in società ospitanti tolleranti. In sintesi risulta centrale l’idea di un legame affettivo tra “comunità” disperse all’estero e una terra natale (non necessariamente reale) che continua ad esercitare un richiamo sui loro processi d’identificazione,sulla loro lealtà e le loro emozioni. Le diaspore hanno un ruolo accresciuto sul piano pratico, economico e affettivo nei processi di globalizzazione, poiché sono “forme particolarmente adattive di organizzazione sociale”. Le diaspore di successo sul piano economico posseggono 3 requisiti: a. Vigorosa identità culturale; b. Vantaggioso profilo occupazionale; c. Passione per la conoscenza. Sul piano culturale le diaspore contribuiscono alla deterritorializzazione delle identità sociali (città cosmopolite, proliferazione di identità subnazionali e transnazionali); inoltre nell’epoca del cyberspazio una diaspora può essere tenuta insieme o ricreata “nella mente” attraverso artefatti culturali e un’immaginazione condivisa. • Nell’accezione allargata di “appartenenze diaspori che” [Smith], vengono definite da 3 elementi [Vetrovec]: a. Gruppi etnici spazialmente dispersi ma collettivamente auto identificati come legati da una comune matrice; b. Stati territoriali e contesti locali in cui tali gruppi attualmente risiedono; c. Patrie ancestrali e luoghi da cui i loro membri (o i loro antenati) provengono. • Accezione allargata di diaspora [Brah]: concetto teorico distinto dalle esperienze storiche Le diaspore sono “comunità immaginate”, la cui identità muta a seconda delle circostanze storiche. Comporta il “desiderio di una patria” che non equivale alla volontà di muoversi verso una patria ancestrale. Lo “spazio diasporico” diventa una categoria concettuale “abitata” non solo dai migranti e dai loro discendenti, ma anche dai nativi: identità diaspori che ridefinite come “reti di identificazioni transnazionali che racchiudono comunità “immaginate” e “incontrate”. 6. Obiezioni e riscritture del transnazionalismo (e delle diaspore) • Obiezioni al concetto di transnazionalismo: a. A livello teorico riguarda la scarsa definitezza (spaziale, temporale, concettuale rispetto ad altri termini del dibattito corrente)e la conseguente ambiguità del termine; b. Obiezione “storica” si rifà all’ampia documentazione circa gli sforzi dei migranti del passato per mantenere legami di vario genere con i luoghi d’origine. Waldinger e Fitzgerald accusano pertanto gli studiosi del transnazionalismo di aver destoricizzato il presente, sostenendo una distinzione qualitativa tra un “mal definito e non precisato ora ed allora”: il problema diventa quello di comprendere quanto vi è di nuovo nel transnazionalismo odierno e come si differenzi dai fenomeni analoghi del passato. A tale obiezione rispondono Portes, Escobar e Walton Radford ricorrendo al termine di fallacy of adumbration, cioè quando una nuova categoria sociologica trova degli antecedenti storici, si tende a negarne la validità scientifica. Secondo loro avviene l’opposto, cioè è proprio il fatto di disporre di una nuova categoria concettuale come quella di transnazionalismo che permette di illuminare,collegare e comprendere meglio le stesse esperienze del passato. c. Obiezione circa l’estensione dei fenomeni migratori transnazionali: se questi sono intesi non genericamente, ma come pratiche regolari di partecipazione a due diversi ambienti sociali separati da una frontiera in forme tali da definire l’identità dei soggetti, il numero degli attori coinvolti si assottiglia. Inoltre possono essere osservati differenti livelli di coinvolgimento a seconda dell’ambito considerato (economico, politico, socioculturale). Waldinger e Fitzgerald mantengono una posizione scettica anche su questa obiezione: per essi ciò che viene definito nella letteratura specialistica come transnazionalismo è invece un attaccamento altamente particolaristico ai luoghi d’origine, antitetico al processo di globalizzazione (è inappropriato quindi parlare di “comunità o villaggio transnazionale”); in secondo luogo gli immigrati non plasmano da soli le loro comunità transnazionali, ma gli Stati e l’azione politica nazionale definiscono le opzioni che si rendono disponibili ai migranti e alla loro azione attraverso le frontiere. • Per quanto riguarda il concetto di diaspora ci sono state divergenze, per esempio Brubaker ritiene che la proliferazione del termine ha condotto ad uno stiramento del suo significato; ne è derivata una dispersione dell’idea di diaspora nello spazio semantico, concettuale e disciplinare. Secondo lui “la diaspora può essere vista come un’alternativa all’essenzializzazione dell’appartenenza, ma può anche rappresentare una forma non territoriale di appartenenza essenziali sta”, cioè va pensata non in termini sostanzialisti, come un’entità definita, bensì come un linguaggio, un’istanza, una rivendicazione. Tuttavia 3 elementi rimangono comunque ampiamente accettati come costitutivi del concetto: a. La dispersione (in senso stretto come forzata o traumatica, in senso lato come qualunque forma di diffusione, anche metaforica); b. L’orientamento alla madrepatria (reale immaginaria, come fonte di valori, identità e lealtà); c. Il mantenimento dei confini (preservazione di un’identità distintiva a fronte delle società riceventi). In conclusione: le diaspore sono costruzioni culturali e politiche, “comunità immaginate”[Anderson] non meno degli Stati-nazione a cui si contrappongono. 7. Il transnazionalismo come prospettiva e come insieme di pratiche • [Levitt e Glick Shiller] cercano di sottrarsi all’obiezione relativa alla diffusione effettiva di attività e legami transnazionali introducendo una distinzione nel concetto di “campo sociale” tra “modi di essere” (riferiti alle effettive pratiche e relazioni sociali in cui gli individui si impegnano ma senza riconoscerlo) e “modi di appartenere” (riferiti a pratiche che segnalano o realizzano un’identità che dimostra una consapevole connessione con un gruppo particolare). Le disposizioni normative degli stati riceventi rafforzano questa asimmetria: facilità d’importazione (formale o informale) di una donna straniera per lavori di cura e assistenza VS difficoltà per lei di ricongiungere la propria famiglia a causa dei requisiti richiesti (status di regolarità, standard reddituali e abitativi,…). • “Dolore della genitorialità transnazionale” e “orfani sociali”: le madri sono frequentemente colpevolizzate dai figli che vivono come abbandono la loro partenza (anche le madri stesse vivono l’esperienza della separazione dai figli in termini di dolore e sacrificio), mentre non considerano allo stesso modo la partenza dei padri (è più importante, anche per i padri stessi, ciò che mandano in termini materiali alla famiglia). • Ricerca di Parreñas sulle madri transnazionali filippine a Los Angeles e a Roma: nell’esercizio delle responsabilità genitoriali si possono distinguere 3 forme d’accudimento: morali, emotive e materiali. Nelle famiglie transnazionali può essere pienamente soddisfatta solo la terza forma che diventa un surrogato anche per le altre due (“mercificazione dell’amore”). 3 conflitti quindi insorgono nelle intergenerazionali: a. I figli negano che i beni materiali siano sufficienti segni d’amore; b. I figli non credono che le madri riconoscano loro sacrifici per il mantenimento degli equilibri familiari; c. Pur apprezzandoli, pongono in questione la portata degli sforzi delle madri per costruire ponti di affetto e di cura. L’autrice individua quindi l’esigenza che i ragazzi, i padri, le istituzioni e le società di provenienza in generale si adattino alla situazione, elaborando nuovi modelli familiari in cui si possa prescindere dalla presenza delle madri e fornire in altro modo le cure e la sicurezza emotiva di cui i figli necessitano. 3. Una tipologia delle famiglie transnazionali • [Ambrosini e Cominelli]ricerca sulle assistenti domiciliari in Italia: basandosi su diversi fattori (età, condizione familiare, distanza, progetto migratorio, risorse personali), 4 profili differenti: a. Esplorativo: donne molto giovani, senza carichi familiari, interessate a sondare le opportunità che il contesto può offrire, a riprendere gli studi, a partecipare alle forme di socialità dei coetanei italiani; b. Utilitarista: soprattutto donne dell’est Europa dai 45 anni in su, che hanno lasciato figli in patria già grandi dipendenti dalle loro rimesse ma non intenzionati a raggiungerle; tornano spesso nel loro paese (migrazione pendolare), sono inclini a lavorare e a risparmiare il più possibile, pensando di rientrare definitivamente in patria nel giro di qualche anno; c. Familista: donne giovani-adulte, provenienti soprattutto dal Sud-America, con figli in età minorile lasciati in patria; hanno come prospettiva il ricongiungimento familiare, la regolarizzazione, l’autonomia abitativa, la riduzione delle ore lavorative per potersi occupare della propria famiglia; d. Promozionale: donne giovani-adulte di varia provenienza, dotate di alti livelli d’istruzione, di esperienze professionali significative in patria, di aspirazioni a migliorare il proprio status (cosa che diventa più complicata quando hanno figli). 4. Accudire da lontano • Relazioni: rapporto genitori-figli prima della partenza, rapporto tra caretaker (persona che si prende cura dei figli al posto della madre, ruolo spesso appannaggio della nonna materna) e figli, triangolo caretaker-figli-genitori. Quando le figure adulte riescono a collaborare efficacemente le crisi sono meno frequenti e cresce la possibilità di conseguire adattamenti più efficaci; sorgono invece problemi quando la madre si sente minacciata dal ruolo del caretaker (soprattutto se è esterno alla famiglia) o quando il caretaker colpevolizza e delegittima la madre, o è depresso per la sua partenza. • Le rimesse, i doni, le lettere, le fotografie, i contatti via telefono, webcam o e-mail sono un modo per colmare la distanza, ma talvolta sortiscono l’effetto contrario; inoltre alcune analisi hanno posto l’accento sulla reticenza e l’insincerità della comunicazione a distanza. • Agli sforzi per mantenere i contatti ed educare i propri figli a distanza, si segnalano varie forme di adattamento a distanza: una delle più significative è il trasferimento dell’attaccamento affettivo ai bambini accuditi in terra d’emigrazione per compensare l’impossibilità di veder crescere i propri figli. • Altro punto importante riguarda le differenze di genere: a) nella gestione della genitorialità a distanza poiché le aspettative e le percezioni legate ai ruoli genitoriali sono diverse: dalle madri i figli si attendono affetto e calore emotivo, mentre il ruolo dei padri è quello di breadwinner. b) il carattere delle migrazioni come fenomeno sociale gendered, ossia influenzato dai rapporti di genere, e gendering, ossia costruttore di nuovi rapporti di coppia: nella separazione fisica si alterano le tradizioni patriarcali e in molte situazioni le donne diventano più competenti e autonome, e la stessa divisione del lavoro domestico tende ad essere rivista (“empowerment”). • [Bryceson e Vuorela] 3 strategie attraverso le quali le famiglie transnazionali si sforzano di mantenere i legami: a. “Frontiering”: denota i mezzi usati dai membri delle famiglie transnazionali per rinsaldare rapporti familiari e legami affettivi attraverso le frontiere, in situazioni in cui i rapporti di parentela sono relativamente dispersi. b. “Relativizing”: si riferisce ai vari modi in cui gli individui stabiliscono, mantengono o troncano i rapporti con altri membri della famiglia. c. “Caring a distanza”: gran parte degli investimenti, delle relazioni, della stessa sollecitudine nei confronti della famiglia estesa, in realtà ruota attorno alla necessità di assicurare ai figli lasciati in patria un contesto di cure materiali e di protezione affettiva. 5. Separazione, distanza, ritrovamento: le 3 famiglie dei migranti • Nei casi più frequenti la migrazione familiare è un processo a più stadi (dinamica che alcuni hanno descritto come le “3 famiglie” dell’immigrato): la famiglia che vive insieme nel paese d’origine deve affrontare la prova di una separazione; poi viene il tempo della lontananza e dei legami affettivi a distanza; infine arriva il momento del ricongiungimento (nel paese ospitante o meno di frequente con il ritorno in patria) e della ricomposizione del nucleo. In ogni caso “la migrazione implica processi di frammentazione e raggruppamento dell’unità famigliare che solitamente provocano cambiamenti strutturali sostanziali nel funzionamento della famiglia” (chi e perché sceglie di emigrare e con quale sostegno, nuove condizioni economiche della famiglia ricongiunta, perdita dell’intimità a causa dell’assenza, separazione dal/i caretaker, possibile rovesciamento dei ruoli patriarcali, bisogno di “recuperare il tempo perduto” negli affetti). 6. Famiglie transnazionali e globalizzazione dal basso • Partendo dall’assunto che il welfare informale svolge un ruolo insostituibile nel funzionamento delle nostre società e per le persone che svolgono compiti in ambito domestico-assistenziale gli affetti e il caring a distanza sono d’importanza cruciale, si possono trarre 3 implicazioni in termini di policies: a. Sarebbe preferibile orientare le politiche di reclutamento verso le donne in età matura, sgravate da responsabilità di cura nei confronti di figli in tenera età; b. I ricongiungimenti familiari, che generalmente sono contrastati per le possibili implicazione in termini di spesa pubblica, dovrebbero essere agevolati perché rappresentano un fattore di normalizzazione della presenza di popolazioni immigrate e di contenimento di comportamenti anomici e indesiderabili; c. Regolarizzazione significherebbe riorganizzazione delle cure a domicilio, nel senso di una maggiore attenzione alla vita e al benessere delle lavoratrici, e dunque di orari e condizioni lavorative più simili a quelle degli altri lavoratori. • Il processo di globalizzazione dal basso, iniziato con l’assunzione di donne straniere e proseguito con i ricongiungimenti familiari è una forza sociale destinata a modificare la composizione etnica e culturale della popolazione della società in cui viviamo. CAPITOLO IV. Religioni globalizzate: minaccia o risorsa? 1. Un interesse ritrovato 5. Che cosa cercano i migranti nelle religioni • Hirschman sintetizza le funzioni della religione nel processo migratorio con la formula delle 3 “R”: a. Rifugio: chiese e organizzazioni religiose come base per la costruzione di comunità (rapporti d’amicizia e scambio sociale) e come fonti d’assistenza sociale ed economica in caso di bisogno. b. Rispetto: la partecipazione religiosa concerne la ricerca di riconoscimento e di un’immagine sociale positiva (le umiliazioni nel lavoro possono essere riscattate dai ruoli sociali di prestigio nelle comunità religiose; inoltre la partecipazione religiosa ha una relazione positiva con la mobilità sociale e rafforza la coesione familiare, i legami intergenerazionali e la conformità alle norme sociali) c. Risorse: la partecipazione religiosa, soprattutto in confessioni minoritarie, può consentire di accumulare capitale sociale, utile per progredire professionalmente ma anche in ambito pastorale. • Italia vs US: mentre in US l’aiuto fornito dalle chiese segue per lo più linee di solidarietà intraconfessionale (e persino etnica), in Italia parecchi aiuti di natura sociale sono forniti secondo criteri solidaristici a quanti ne hanno bisogno, compresi gli immigrati irregolari e i non cristiani. Va comunque osservato che la chiesa cattolica in Italia tende comunque ad istituire una certa separazione tra i servizi di aiuto e la normale attività parrocchiale (bisognosi aiutati-praticanti attivi), così quei circuiti positivi di inclusione, crescita di rispettabilità, costruzione di legami sociali, promozione della mobilità, che sono associati in US alla partecipazione religiosa, da noi appaiono più stentati. • [Herberg] migrazione come esperienza “teologizzante” nel senso che induce a porsi questioni profonde e a cercare di scandagliare il mistero della vita (“chi sono?”): la religione svolge un ruolo cruciale nella costruzione dell’identità, nella produzione di significati e nella formazione di valori (spesso gli immigrati si aggrappano alla religione come elemento di continuità cha sopravvive allo sradicamento e al trasferimento in un contesto alieno). • La dimensione comunitaria dell’esperienza religiosa ha anche come conseguenza quella di fornire un terreno favorevole ed un incentivo per l’impegno politico: le istituzioni religiose continuano a rappresentare luoghi d’apprendimento e di socializzazione alla partecipazione politica nelle società riceventi, ma hanno anche, tramite le organizzazioni dei migranti sorte al loro interno, un crescente rilievo in relazione alle vicende politiche dei paesi d’origine 6. Perché il modello americano non funziona in Europa • Il rapporto tra identificazione religiosa e integrazione degli immigrati appare più problematico in Europa; attualmente etichette sprezzanti, pregiudizi e discriminazioni colpiscono l’Islam. • 2 premesse per inquadrare la questione: a. [Tocqueville] la democrazia americana si nutre di premesse di natura religiosa, e ne viene rafforzata, mentre quella francese si è costruita in opposizione all’altare, visto come alleato del dispotismo; b. Le nazioni europee sono definibili in ampia misura come “nazioni etniche”, hanno cioè storicamente incorporato nel loro processo di auto identificazione un substrato di omogeneità comunitaria a base etnico-nazionale. La base della loro solidarietà interna risente degli equilibri raggiunti con la pace di Augusta(1555) fondata sul principio “cuius regio eius religio” (per vivere pacificamente insieme in un dato territorio, è necessario condividere la medesima religione, quella che il potere politico decide di adottare). • L’insediamento ormai irreversibile di minoranze islamiche che rivendicano diritti collegati alla sfera religiosa sembra quindi contraddire nello stesso tempo il principio di laicità e l’identificazione storica delle nazioni europee con diverse espressioni del cristianesimo,mentre in US la flessibilità istituzionale del rapporto Stato-religioni, forgiata dal confronto con il cattolicesimo e l’ebraismo, consente oggi ai musulmani di godere di un’ampia gamma di diritti riconosciuti alle altre religioni. • Il disagio e l’avversione verso gli immigrati di fede musulmana, non si sono manifestati agli inizi del processo d’insediamento (uomini soli occupati in ruoli subalterni del mdl le cui pratiche religiose erano viste come questioni private,confinate nel tempo libero) bensì con la chiusura delle frontiere negli anni ’70, quando il blocco di nuova immigrazione per lavoro ha prodotto il fenomeno dei ricongiungimenti familiari e la stabilizzazione della popolazione musulmana; con l’avvento delle famiglie, le dimensioni culturali sono salite alla ribalta. • [Cesari] 2 forme globalizzate dell’Islam: a. La “rilocalizzazione” delle comunità religiose salvaguarda e rafforza i legami con i luoghi di provenienza (emergono leader locali legati al gruppo etnico-nazionale, spesso privi di un’adeguata formazione; b. I movimenti teologici e politici pongono in risalto il legame universale con la comunità dei credenti (umma), una comunità immaginata e costantemente rinnovata, fondata sulla percezione di un destino comune; qui si colgono tendenze fondamentaliste, antintellettuali e antimoderne, mentre nuove generazioni di intellettuali musulmani, provenienti dalle classi medio-alte urbanizzate e formati in Europa, danno invece vita ad un’élite islamica cosmopolita dai caratteri specificamente europei, capaci di una relazione più personale e critica con la tradizione islamica, oltre che di una sensibilità alle differenze forgiata nel confronto con altre religioni e con i contesti secolari. • Non va trascurato il contesto sociale in cui si situa la questione islamica: mentre in US i musulmani sono dispersi sul territorio e appartengono a strati professionalmente qualificati, in Europa gli immigrati provenienti da paesi musulmani, spesso portano con sé il retaggio della provenienza coloniale, e poi si concentrano nelle posizioni inferiori del mdl, sono colpiti da disoccupazione e precarietà e si trovano in gran parte alloggiati in quartieri degradati delle periferie metropolitane. • L’aggregazione dei giovani intorno ad identità religiose ed etniche e l’insorgere di manifestazioni anche violente di conflitto sociale nelle periferie ad alta concentrazione di popolazioni immigrate, vengono interpretati come l’effetto di questa dissonanza tra socializzazione culturale (e politica) implicitamente riuscita e marginalità socioeconomica; la diversità religiosa, riscoperta come tratto identitario e oppositivo, può diventare il catalizzatore di una condizione di esclusione, una sorta di razionalizzazione e riappropriazione soggettiva della marginalità oppure può essere vissuta come il luogo di formazione di nuove identità e pratiche sociali, che aiutano a reggere la discriminazione e a recuperare una visione positiva di se stessi. • Sia pure in modo faticoso e contrastato, anche tra i musulmani europei l’identificazione religiosa accompagna l’integrazione sociale, anziché contrapporsi ad essa: le stesse moschee, tanto contrastate, sono al pari di chiese e sinagoghe, centri di vita comunitaria, che promuovono reti di solidarietà. Le ricerche mostrano poi che anche tra i musulmani insediati in Europa la pratica religiosa è soggetta a processi di rielaborazione che riflettono una crescente autonomia soggettiva nei confronti della tradizione ereditaria. • [Tribalat] saluta come un successo dell’assimilazione l’abbandono della pratica religiosa dei giovani d’origine maghrebina in Francia, non considerando però il fatto che i giovani che frequentano ambienti religiosi sono più ligi alle norme e meno inclini alla devianza e di solito sono meglio inseriti nella scuola e nel lavoro, rispetto ai giovani secolarizzati (quindi nelle rivolte delle banlieues non c’era troppa religione, ma semmai troppo poca). 7. Pluralismo religioso, globalizzazione dal basso e convivenza culturale • Nel contesto europeo, meno dinamico di quello americano, stanno emergendo i mediocri risultati conseguiti sul piano dell’integrazione socioeconomica, specialmente con riferimento alle II generazioni; le stesse minacce del settarismo e del fanatismo religioso sarebbero più efficacemente contrastate se gli immigrati musulmani trovassero altri sbocchi professionali e maggiori occasioni di riconoscimento sociale. CAPITOLO V. Integrazione vs multiculturalismo: una dicotomia superata? 1. Tre assimilazionismi • Concetto di assimilazione: c. Rischio di ricondurre i problemi strutturali di discriminazione degli immigrati o delle minoranze etniche a problemi culturali di cattiva comunicazione o d’incomprensione. 4. Ritorno al futuro? Le tendenze neo-assimilazioniste • [Brubaker] ripropone il concetto di assimilazione depurandolo dalle componenti prescrittive e dai presupposti di superiorità Wasp, e distinguendone 2 significati basilari: a. Generale e astratto: assimilare significa diventare simili o rendere simili o trattare come simili; l’accento va sul processo e non sullo stato finale, e l’assimilazione è una questione di gradi; b. Specifico e organico: assimilare significa assorbire o incorporare, trasformare in una sostanza della propria natura. Conclusioni che Brubaker trae dal suo studio: a. L’assimilazione è un processo sociale che avviene a livello aggregato, è largamente inintenzionale e spesso invisibile; b. L’unità in cui avviene l’assimilazione non è l’individuo, ma una popolazione multi generazionale; c. L’assimilazione non va pensata in termini omogenei, ma come un insieme di proprietà o aspetti eterogenei, la cui distribuzione cambia nel tempo, diventando più simile a quella prevalente nella popolazione nativa; d. L’assimilazione va perseguita normativamente non in campo culturale, bensì a livello socioeconomico: in questo senso si oppone non alla differenza, ma alla segregazione, alla ghettizzazione, all’emarginazione; e. Occorre un passaggio da un approccio olistico all’assimilazione, intesa come un processo unitario, a un approccio disaggregato, multidimensionale. 5. Oltre l’antinomia dei modelli: integrazione flessibile e dimensione comunitaria • Una via d’uscita dalla contrapposizione tra integrazione/assimilazione e multiculturalismo: a. Individuazione di un ampio campo intermedio, ma soprattutto di un contesto dinamico, composito, percorso da negoziazioni e compromessi; b. Ruolo positivo e non patologico delle istituzioni comunitarie (religiose o meno), che appaiono una fonte di riconoscimento e quindi di elaborazione di una visione positiva di se stessi e della propria storia, di capitale sociale spendibile nella società ospitante, di controllo dei comportamenti devianti che comprometterebbero la reputazione della comunità nel suo complesso. 6. Politiche e processi d’integrazione: la dimensione locale • 2 piani del discorso: a. Quello delle politiche: intenzionali, consapevoli e derivanti dall’azione delle istituzioni statuali, ma non necessariamente in grado di generare effettivi processi sociali d’integrazione. Su questo piano, le politiche locali si discostano sempre più da quelle previste dal modello nazionale, ritagliandosi spazi d’autonomia nella gestione dei processi d’integrazione (Caponio parla di “nuovo protagonismo di molte città nell’offrire condizioni d’integrazione che vanno al di là della semplice assistenza sociale, delineando sistemi complessi d’inclusione nei diritti locali di cittadinanza”. Inoltre si aggiunge quella che Zincone chiama “advocacy coalition”, formata organizzazioni sindacali, antirazziste, solidaristiche ed ecclesiali che formano una sorta di “lobby” per ottenere a livello centrale disposizioni normative più aperte nei confronti degli immigrati e procedure amministrative più semplici, mentre a livello periferico producono innovazioni dal basso, spesso in collegamento con operatori dei servizi pubblici, introducendo interpretazioni delle normative e prassi effettive più favorevoli agli immigrati. Prima degli interventi vengono però le visioni del fenomeno, poiché il modo in cui sono visti gli immigrati incide sulle politiche. [Ambrosini e Colasanto] distinguono 3 diverse visioni dell’immigrato, a cui si collegano 3 impostazioni delle politiche sociali: . immigrato come potenziale deviante da cui discende una politica “custodialistica”; . immigrato come povero che dà origine ad una politica assistenziale; . immigrato come produttore che tende a sviluppare politiche promozionali b. Quello dei processi: non dipendono soltanto e necessariamente dalle politiche, perché rimandano all’azione di un complesso di fattori, tra cui spiccano il mercato, il sistema di welfare e le disposizioni della società civile. I processi di “naming” e di “framing”, selezionando e attribuendo un nome ad alcuni elementi caratteristici del fenomeno da gestire, rimuovendone altri, enfatizzando gli aspetti individuati come rilevanti, elaborano lo schema cognitivo, di lettura e interpretazione delle realtà, che predispone il terreno per le scelte propriamente politiche. 7. Come e perché parlare d’integrazione (anche in termini di transnazionalismo) • Il concetto di integrazione, liberato dall’ipoteca assimilazioni sta, dà rilievo sia alla responsabilità della società ospitante, con le sue istituzioni, nel “trattare come simili” i cittadini stranieri, sia all’autonomia di questi ultimi nel decidere i modi e le forme del proprio inserimento; inoltre non può essere concepita, né si può imporre, un solo modello d’integrazione degli immigrati. • Per quanto riguarda le policies, la questione dell’integrazione degli immigrati non può essere disgiunta dal dibattito sulla cittadinanza, poiché nonostante sussista la possibilità di forme di partecipazione politica intermedia, per via associativa o sindacale, questa disuguaglianza (cittadini a pieno titolo vs nuovi meteci [Walzer])erige una barriera che contrasta la piena integrazione, poiché la cittadinanza nazionale resta, nell’attuale contesto giuridico, il presidio fondamentale dei diritti delle persone e della loro parità nei rapporti sociali e di fronte alle istituzioni. Nel nostro paese si rivela sempre più stridente lo squilibrio tra la lealtà e adesione morale verso le istituzioni che vengono richieste agli immigrati, e la riluttanza verso le loro domande di partecipazione alla nostra società attraverso il passaggio decisivo dell’acquisto della cittadinanza. • Il concetto d’integrazione non è unidimensionale, ma sfaccettato in diversi aspetti, tra cui occorre distinguere almeno una dimensione istituzionale (che si riferisce alla partecipazione degli immigrati alle principali istituzioni della società) e una normativa (che si riferisce ai cambiamenti negli orientamenti culturali e nelle modalità d’identificazione) che sono relativamente indipendenti. • Analizzando le politiche in Europa è possibile operare anche una distinzione tridimensionale nei processi d’integrazione, tra un ambito socioeconomico, uno legale-politico e uno culturale. • Resta sempre decisivo il frame cognitivo con cui le società ospitanti, a livello centrale e locale, si pongono di fronte ai processi migratori. • Le nostre convenzioni linguistiche: nell’uso comune, il termine immigrato o extracomunitario perde l’originario significato normativo e viene utilizzato solo per indicare stranieri provenienti da paesi poveri (a meno che non siano personaggi agiati o famosi: “la ricchezza sbianca”). • Alcuni punti nodi critici emergono quando si intersecano sfera privata e sfera pubblica, in particolare il diritto di famiglia e più in generale il rapporto tra diritti individuali e collettivi delle minoranze sono aree sensibili del confronto interculturale, e sollevano questioni di 3 tipi: a. Lottare contro le discriminazioni e promuovere la parità di trattamento dei cittadini immigrati con gli autoctoni; b. Dare effettive possibilità alle collettività che scaturiscono dall’esperienza migratoria d’incontrarsi,organizzarsi, praticare la propria religione, promuovere istituzioni culturali ed educative, nel rispetto di leggi valide per tutti e non soggette ad interpretazioni ad hoc; c. Verificare caso per caso dove siano possibili ed opportuni limitati adattamenti normativi, o regolamentari, o contrattuali, per venire incontro a determinate richieste delle collettività immigrate. 8. Provare a governare la globalizzazione dal basso • Alcune questioni sulla disciplina dell’ingresso di juovi immigrati: a. Rilanciare l’istituto dello sponsor (reti): un immigrato sponsorizzato ha minori probabilità di cadere nella marginalità e diventare un carico sociale; ovviamente bisognerà limitare i possibili abusi (descritti nel cap I sui network); b. In alcuni ambienti, come quello domestico-assistenziale, sembra inevitabile tener conto del rapporto diretto e personale tra famiglia italiana datrice di lavoro e lavoratrice e sembra quindi irrealistico che tali rapporti di lavoro debbano rientrare nel sistema delle quote annuali; pertanto è meglio prevedere una possibilità rapida di conversione del permesso di soggiorno, per esempio da turistico a lavorativo; c. Una disciplina più generosa dovrebbe riguardare i ricongiungimenti familiari, come premessa per un’immigrazione più integrata e “normale”; d. In Italia, rispetto ad altri paesi sviluppati, c’è uno scarso richiamo esercitato nei confronti dei lavoratori ad alte qualificazione. L’orientamento verso un’immigrazione professionalmente “povera” ha un impatto sull’immagine complessiva degli immigrati e sui processi d’integrazione. Un sistema a punti, in grado di premiare titoli di studio, esperienze professionali, esperienze linguistiche e legami familiari potrebbe arricchire il sistema economico nel suo complesso ma anche migliorare le rappresentazioni sociali degli immigrati e accrescere le risorse organizzative delle loro aggregazioni. • Un secondo blocco di considerazioni riguarda la gestione dei processi d’inserimento; qui la proposta principale è quella di un “contratto d’integrazione” tra lo stato italiano e i nuovi arrivati:
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