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Un vivaio di storia: Capitolo 3, Sintesi del corso di Storia Moderna

Manuale di Aurelio Musi: Un vivaio di storia

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Caricato il 08/06/2021

Anna_099
Anna_099 🇮🇹

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Scarica Un vivaio di storia: Capitolo 3 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! CAPITOLO 3 “La guerra moderna per il predominio europeo” 3.1 Il sistema degli Stati italiani: dal fragile equilibrio alla crisi politica Sullo scorcio del ‘400 tre sono le grandi potenze in Europa: la Francia, la Spagna, l’impero ottomano. Guerre, matrimoni e alleanze diplomatiche sono gli strumenti della politica di potenza. Per la Francia, dopo l’annessione nel 1477 del ducato di Borgogna e della Provenza, il matrimonio nel 1491 tra Carlo VIII e Anna di Bretagna, prepara l’annessione del ducato di Bretagna. L’ascesa della Spagna ha il suo punto iniziale nel matrimonio tra Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia e il suo momento più importante nel completamento della Reconquista con la battagia di Granada – 1492. L’espansione ottomana inizia con la caduta di Costantinopoli nel 1453, la base su cui gli ottomani costruiscono la loro potenza marittima. L’identità dell’Italia politica era stata stabilita dalla pace di Lodi. Quell’evento concludeva un ciclo della storia italiana, iniziato verso la fine del XIV secolo. La morte di due grandi protagonisti della scena politica italiana, Lorenzo il Magnifico e papa Innocenzo VIII; l’espansionismo di potenze ai confini della penisola, come la Francia; la tendenza di alcuni Stati italiani a intraprendere avventure egemoniche, accelerarono la crisi di fine secolo. Nei primi decenni del ‘500 il predominio sull’Italia è considerato il problema centrale: esso equivale al predominio in Europa. Le poste in gioco sono due: Milano e il regno di Napoli. Particolari condizioni politico- militari facevano sì che il potere su Milano fosse anche l’unica via per impossessarsi di uno dei due grandi Stati marinari, Genova, e, contemporaneamente, della sicura disponibilità di tutta la produzione granaria dell’Italia meridionale. Il regno di Napoli era ambito da Francia e Spagna sia per la sua posizione strategica nel Mediterraneo sia per le sue risorse finanziarie. Milano e Napoli, nel sistema degli Stati italiani, erano anche i punti deboli. Il ducato di Savoia, lo Stato della Chiesa, Firenze e Venezia avevano titoli diversi per potersi considerare punti forti del sistema: il ducato di Savoia aveva il suo fondamento nella dinastia sabauda, lo Stato della Chiesa nel diritto divino, Firenze in una grande tradizione politica cittadina, Venezia nell’unica struttura statale efficiente. Ma nessuno di questi Stati poteva realizzare una supremazia riconosciuta. La politica dell’equilibrio era perciò l’unica linea che consentiva all’Italia di giocare un ruolo sulla scena europea. Strumento importante nella prassi politica degli Stati italiani erano le leghe, promosse, quasi sempre, da uno dei due punti di riferimento più importanti per qualsiasi azione politica nella penisola: Venezia e lo Stato della Chiesa. Su questo sfondo si svolgono sia le guerre d’Italia sia la riflessione storico-politica di Machiavelli e Guicciardini. Niccolò Machiavelli scrive proprio nel pieno delle guerre la sua opera più importante, cogliendo il loro significato europeo: e ciò grazie all’esperienza politico-amministrativa diretta che vide il grande scrittore impegnato prima come segretario di cancelleria, poi diplomatico presso Luigi XII di Francia, ancora in missione presso Cesare Borgia, inviato a Roma in occasione dell’ascesa al soglio pontificio di Giulio II, in legazione presso l’imperatore Massimiliano d’Asburgo. L’osservazione e l’esperienza della pratica politica producono quella “svolta verso il realismo” che, secondo il maggiore studioso di Machiavelli, Felix Gilbert, è la novità più rilevante de “Il principe”: lo spazio di analisi di Machiavelli sono i principati italiani, l’obiettivo è la ricerca degli strumenti di affermazione della sovranità. Ma negli scritti di Machiavelli la svolta verso il realismo non è pacifica, è segnata da una profonda tensione interna fra il razionalismo politico, la lucida percezione dei limiti della situazione italiana. Oltre 10 anni dopo la morte di Machiavelli, Francesco Guicciardini comincia a scrivere la “Storia d’Italia”. Guicciardini è personaggio che ha vissuto esperienze di vita assai simili a quelle di Machiavelli, ha in comune con lui il metodo di analisi politica, ma l’ideale politico è diverso: servitore dei Medici, ambasciatore fiorentino, consigliere e amministratore pontificio, Guicciardini sostiene che bisogna giudicare gli effetti di un regime, non valutarlo secondo criteri astratti. Il quesito centrale di Guicciardini è: perché l’Italia non è riuscita a recuperare la condizione precedente all’invasione francese? Le risposte che lo storico fornisce sono in sostanza tre: perché la Fortuna e “l’incostanza delle cose umane” hanno un ruolo decisivo nella storia; perché i personaggi politici italiani del tempo sono stati tutti di basso profilo; perché con il 1494 si è spezzato l’equilibrio creato da Lorenzo il Magnifico e i nessi degli avvenimenti che si svolgono nella penisola sono fuori d’Italia, nel sistema europeo degli Stati. 3.2 La spedizione di Carlo VIII e la fine dell’indipendenza del regno di Napoli Il ducato di Milano era uno dei punti deboli degli Stati italiani. Dopo l’uccisione di Galeazzo Maria Sforza in una congiura nobiliare, i poteri furono assunti dal figlio Gian Galeazzo II, ma di fatto governò lo zio Ludovico Sforza, detto il “Moro”, che nel 1494 fece assassinare il nipote e si proclamò duca. Gian Galeazzo aveva sposato Isabella, figlia del re di Napoli Ferrante d’Aragona. Il quadro degli eventi chiarisce dunque tutti i motivi di una condizione di governo precaria e instabile: la non legittimità del potere del duca Ludovico e quindi le tensioni provocate dalle spinte legittimiste; le mire degli Aragonesi sul ducato; la necessità, per il Moro, di stringere un’alleanza con il sovrano di una potenza straniera, alleanza che fu stabilita con Carlo VIII nel 1492. Essa era necessaria al Moro anche per consolidare il suo potere di principe territoriale nell’area padana. Per questo e per far fronte alla minaccia aragonese Ludovico il Moro chiamò in soccorso il re di Francia e lo invitò a far valere le aspirazioni angioine sul regno di Napoli. Carlo VIII poteva infatti rivendicare alcuni titoli di legittimità. La preparazione politico-diplomatica della spedizione fu curata da Carlo VIII in tutti i suoi dettagli. La prima preoccupazione fu quella di garantirsi la neutralità dell’Inghilterra e della Spagna. A Massimiliano d’Asburgo Carlo VIII assicurò la rinuncia ai feudi imperiali della Franca Contea e dell’Artois. Papa Alessandro VI Borgia cercava di creare un forte Stato nell’Italia centrale e aveva quindi bisogno dell’appoggio di una potenza straniera; Venezia avrebbe potuto trarre vantaggi e aspirava, a sua volta, a nuove conquiste territoriali. 3.3 La politica italiana dalla pace di Lodi alla pace di Cateau-Cambrésis Nel 1498 Carlo VIII moriva. Il suo successore, Luigi XII, della famiglia d’Orleans, riprese il progetto della conquista di Milano. Assai abilmente, stabilì accordi con Venezia e con papa Alessandro VI Borgia. Dopo la conquista del milanese nel 1499, il sovrano francese puntava verso Napoli. Aveva la possibilità di scegliere fra due opzioni: accogliere la proposta di re Federico, conservare cioè il regno di Napoli come feudo della Francia oppure realizzare un’ipotesi già ventilata ai tempi di Carlo VIII, la spartizione del regno di Napoli fra le due potenze, Francia e Spagna. Proprio la convergenza tra Francia e Spagna si realizzava nel trattato di Granada, sanzionato dalla bolla pontificia del 25 giugno 1501. Ormai le sorti del Mezzogiorno d’Italia si decidevano nell’orizzonte della grande politica internazionale. Spenti gli ultimi focolai di resistenza aragonese con l’orribile saccheggio di Capua, la via era libera per la spartizione tra Luigi XII, che otteneva il possesso della metà settentrionale del Napoletano, inclusa la capitale, e Ferdinando il Cattolico che si attestava nelle Puglie e nella Calabria. Ma l’equilibrio così raggiunto era precario e dal respiro corto. A incidere sulla breve vita della spartizione era soprattutto l’impossibilità di far convivere gli interessi spagnoli e quelli francesi. Per Ferdinando il Cattolico Napoli era troppo importante: un tassello che non poteva mancare al grande mosaico. Le ostilità dunque riprendevano. Il Mezzogiorno diventava per Ferdinando il Cattolico una specie di laboratorio in cui sperimentare tutte le armi e le pratiche politiche di cui disponeva la struttura statale fra ‘400 e ‘500. Il “gran capitano” Consalvo di Cordova sconfiggeva a Cerignola, nel 1502, l’esercito francese. La conquista spagnola del Regno di Napoli veniva coronata dalla non meno brillante giornata del Grigliano il 28 dicembre 1503. Le truppe italo-spagnole coglievano il nemico di sorpresa, l’impiego della fanteria era più articolato, non si esauriva nell’urto frontale, ma utilizzava tutte le forme dell’azione manovrata. Era anche l’inizio di una lunga dominazione straniera nel Mezzogiorno d’Italia che sarebbe durata oltre due era assicurato il controllo delle Fiandre. Aveva quindi fatto sposare il figlio Filippo, arciduca d’Austria, con Giovanna la Pazza, figlia di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia. Si intravedeva così la possibilità di ricostituire l’idea e la pratica di quell’impero ormai da tempo finito sul suolo germanico e di creare un’unione personale fra uno Stato nazionale come la Spagna, i suoi domini italiani e americani, l’eredità borgognona di un complesso al centro dell’Europa come le Fiandre e il mosaico degli Stati germanici. Nel 1508, dopo numerosi successi militari, la Confederazione svizzera fu liberata dalla giurisdizione imperiale. Altro insuccesso di Massimiliano si ebbe in Ungheria. Un accordo del 1506 stabiliva il diritto degli Asburgo a succedere sul trono d’Ungheria in assenza di eredi della dinastia Jagellone: ma la nascita di Luigi, figlio di Ladislao Jagellone, vanificò i progetti dell’imperatore. Anche gli interessi italiani di Massimiliano, malgrado un notevole impegno politico-militare contro Venezia a fianco di Giulio II, non furono soddisfacenti. Si delineava insomma una sproporzione tra mezzi e fini nella politica di Massimiliano: di fronte alle concentrazioni di potenza statale che agivano sulla scena europea, la debole fisionomia politico- costituzionale dei domini dell’imperatore non consentiva di strappare significativi vantaggi neppure dalla partecipazione militare alle guerre d’Italia. Il 24 gennaio 1500, da Filippo e Giovanna la Pazza nasceva, nelle Fiandre, Carlo: egli avrebbe realizzato, nei vent’anni successivi, il disegno del nonno imperatore. Nel 1506, per la morte del padre e per la malattia mentale della madre, Carlo diventava erede delle Fiandre, degli Stati ereditari di casa d’Austria, dei regni d’Aragona e di Castiglia, delle loro dipendenze e domini. Nel 1516, alla morte di Ferdinando il Cattolico, Carlo era proclamato re di Spagna. Il 23 ottobre 1519 Carlo era incoronato imperatore ad Aquisgrana. Carlo V aveva ora tutti i titoli per governare un impero “su cui non tramontava mai il sole”: un impero universale. Questo sovrano era costretto dalla struttura stessa di un così vasto complesso territoriale a operare secondo una molteplicità di linee politiche, tenute insieme da un potente fattore unitario: la forza materiale e morale della dinastia asburgica e della sua figura giuridica di imperatore. Ferdinando il Cattolico aveva completato il processo di unificazione della Spagna, annettendo la Navarra nel 1512. La Spagna, in particolare Castiglia, non accettò la nuova condizione di dipendenza da una dinastia straniera come gli Asburgo, che significava il governo dei consiglieri borgognoni di Carlo V, un’intensa pressione fiscale, l’accentramento dei poteri nelle mani del principe e un drastico ridimensionamento dei privilegi goduti dalle città nelle epoche precedenti. Proprio le rappresentanze cittadine della vecchia Castiglia appoggiarono la rivolta dei “comuneros”, un movimento a base urbana che riuscì a coagulare la protesta della piccola nobiltà, degli artigiani legati alle corporazioni e di esponenti del “ceto civile” contro il governo dei consiglieri di Carlo. La trasformazione della natura del movimento da rivolta contro lo straniero a rivolta sociale con una forte impronta antinobiliare alienò le simpatie dell’aristocrazia per i comuneros e grazie proprio a questa ostilità Carlo V, ormai imperatore, alla fine del 1521 riuscì a reprimere il movimento e altri moti autonomistici scoppiati anche nei territori della Corona d’Aragona. Sono questi gli anni in cui Carlo V riesce a stabilire gradualmente l’autorità della Corona in Spagna e a consolidare la monarchia asburgica nel complesso dei domini italiani: il regno di Napoli, la Sicilia, la Sardegna. Il decennio 1520-30 fu importantissimo nell’elaborazione di una linea politica per la parte spagnola dell’impero, nella ricerca di un punto d’equilibrio fra due esigenze: l’affermazione dell’autorità della monarchia e la ricerca di alleanze con i ceti sociali dei singoli regni. Al di là delle differenze tra i diversi corpi della monarchia spagnola ci fu un elemento di fondo unico nell’elaborazione strategica dell’imperatore: la ricerca dei mezzi più adatti per neutralizzare il potere politico dell’aristocrazia feudale ma, al tempo stesso, la tendenza a mantenere o allargare la sua sfera di giurisdizione, la sua forza sociale ed economica. Ma la politica dell’impero doveva necessariamente tener conto delle grandi responsabilità affidate al sovrano asburgico, dei due principali poli di interesse, costituiti dal Mediterraneo e dall’Atlantico. Al primo polo, la politica di Carlo V si muoveva in una sostanziale linea di continuità con quella di Ferdinando il Cattolico e contemplava la partecipazione alla contesa per l’Italia e per il predominio europeo e il contenimento del pericolo turco. Su questo fronte importanza decisiva ebbero alcune operazioni militari come la presa di Tripoli del 1510 e quella di Tunisi del 1535. La struttura dell’impero sospingeva, tuttavia, di continuo Carlo V verso le coste atlantiche, verso la parte borgognona del complesso asburgico. A testimoniare la difficoltà di stringere in un unico nesso la molteplicità politica asburgica e i limiti stessi di questa realtà è la storia della successione per elezione di Carlo V all’Impero. Carlo era stato il candidato naturale, ma anche il più contrastato, alla Corona imperiale controllata da oltre un secolo dagli Asburgo. Ad avversare la candidatura fu innanzitutto la Francia: l’elezione di Carlo avrebbe determinato un suo accerchiamento completo tra Paesi Bassi, Germania e Spagna. Di qui la candidatura di Francesco I che riuscì a imporsi come alternativa unica sia su Enrico VIII d’Inghilterra, sia sull’elettore di Sassonia Federico il Saggio, futuro protettore di Lutero. A fomentare il conflitto contro Carlo fu anche papa Leone X, della famiglia Medici. Ma Carlo riuscì a spuntarla sia per la riluttanza dei principi tedeschi a mettersi nelle mani di un candidato straniero, sia soprattutto per il sostanziale aiuto finanziario fornito dai più importanti banchieri del tempo: i Fugger e i Welser. Con un milione di fiorini furono comprati i voti degli elettori. Importantissime le concessioni che questi riuscirono a strappare: la libertà della nazione tedesca tanto nello spirituale quanto nel temporale; la conferma di tutti i loro diritti e la difesa contro alleanze fra piccola nobiltà e popolo; il divieto di imporre nuove tasse; il divieto di introdurre soldati stranieri in Germania; la conferma del sistema elettivo per la scelta dell’imperatore. Di lì a poco proprio la Germania avrebbe costituito la spina nel fianco del sovrano asburgico e messo in crisi il sogno di una monarchia universale. 3.7 Da Pavia a Cateau-Cambrésis La terza fase delle guerre d’Italia inizia con l’ascesa di Carlo V, che cambia i termini dello scontro tra Spagna e Francia. Le guerre d’Italia entrano in un nuovo ciclo politico europeo, in un contesto assai più ampio, in un intreccio di eventi e processi che arricchiscono il quadro dell’Età Moderna. Nel 1525, sconfitto e catturato a Pavia, Francesco I è costretto a rinunciare a Milano. Al termine di un anno di prigionia, il sovrano francese firma la pace con Carlo V. Immediatamente promuove una nuova alleanza, Lega di Cognac, in cui riesce a coinvolgere Inghilterra, Venezia, Milano, Genova, Firenze e il pontefice Clemente VII, della famiglia Medici. Qualche iniziale vittoria nel Milanese è, però, vanificata dai lanzichenecchi, le truppe mercenarie di Carlo V. Di queste stesse truppe, reclutate in Germania, l’imperatore si serve per impartire una severa lezione a Clemente VII. Il 6 maggio 1527 i lanzichenecchi entrano in Roma tra orribili violenze e saccheggi. Il sacco di Roma non solo rappresenta un attacco al cuore della Cristianità, ma alimenta la paura per l’esito catastrofico di uno scontro non più solo profetizzato, ma realizzato, tra luterani e cattolici. Roma diventa allora la nuova Babilonia distrutta dal rinnovamento protestante. In realtà l’obiettivo di Carlo V è politico: spezzare la logica dell’equilibrio che regge ancora il sistema di alleanze fra gli Stati italiani e le potenze straniere; spingere questi Stati al riconoscimento dell’egemonia spagnola in Italia. Venezia, dopo il sacco, approfittando della debolezza di Roma, rioccupa Ravenna e Cervia; a Firenze sono nuovamente cacciati i Medici e ristabilita la repubblica. Il pontefice ha bisogno dell’imperatore: la sua protezione è decisiva sia per reintegrare i domini dello Stato della Chiesa, sia per riportare la dinastia Medici a Firenze. Il 1528 è l’anno in cui si verifica un evento che avrà un peso importantissimo nel sistema imperiale di Carlo V, nell’esito dello scontro tra l’imperatore e la Francia, nella stessa politica italiana: Genova si sgancia dall’alleanza con Francesco I ed entra nell’orbita asburgica, finanziando, a partire da questo momento, lo Stato sovranazionale di Carlo V, le sue imprese militari, la politica mediterranea del sovrano, ma dando origine, al tempo stesso, alla formazione di quello che è stato chiamato il “secondo impero genovese”. Il primo risultato tangibile della nuova alleanza è il fallimento del tentativo francese di invadere il regno di Napoli con un esercito comandato dal Lautrec che è respinto dall’ammiraglio genovese Andrea Doria e dalla sua flotta. Carlo V infligge un duro colpo all’antica feudalità filofrancese, a quella fazione angioina che ha alzato di nuovo la testa: a partire da questi anni le confische dei patrimoni terrieri in possesso dei baroni filofrancesi producono una trasformazione dell’aristocrazia del Mezzogiorno e l’ingresso, nelle sue file, di un nuovo baronaggio più leale nei confronti della monarchia spagnola. Questo baronaggio non creerà problemi politici alla monarchia spagnola durante la sua dominazione. Un anno dopo, nel 1529, anche papa Clemente VII, in seguito agli accordi di Barcellona, entra nell’orbita spagnola per poter decidere, insieme all’imperatore, la ridefinizione degli assetti politici italiani: la decisione più importante è la restaurazione del Medici a Firenze che si difenderà ma, alla fine, dovrà piegarsi e rinunciare alla sua “libertà”. Con il ritorno di Alessandro de’ Medici, nipote del pontefice, inizia per Firenze la fase del principato dinastico. La pace di Cambrai, detta “delle due dame”, perché stipulata da Luisa di Savoia, madre di Francesco I, e Margherita d’Austria, zia di Carlo V, pone fine ai successi francesi nella penisola italiana e stabilisce il seguente assetto: Milano, Napoli e Asti sotto il dominio di Carlo V, il Piemonte sabaudo occupato dai francesi, Genova nell’orbita spagnola. Nel 1530, dopo il congresso di Bologna – una serie di incontri tra il papa e l’imperatore – Carlo V è incoronato nella basilica di San Petronio Re d’Italia e imperatore del Sacro Romano Impero: una fase della storia d’Italia si conclude, praticamente tutti gli Stati minori riconoscono il predominio spagnolo nella penisola. Dopo la pace di Cambrai, Francesco I attua una politica di riarmo e di consolidamento della difesa militare, l’amministrazione finanziaria diventa più efficiente e si fa più consistente il prelievo fiscale. Sul piano diplomatico, il sovrano francese stipula due sconcertanti alleanze: la prima con il nemico di Carlo V, i turchi di Solimando I il Magnifico; la seconda con un altro nemico dell’imperatore, i principi luterani della Germania. Nel 1535 riprendono le ostilità tra Francia e Spagna. La pace di Crepy, del 1544, non modifica una situazione ormai consolidata. Semmai introduce una nuova realtà politica nello scacchiere italiano. Il successore di Clemente VII, Paolo III Farnese, ottiene per il figlio Pier Luigi il ducato di Parma e Piacenza: una nuova dinastia, quella dei Farnese, si insedia nell’Italia centrale, dando vita a uno Stato artificiale che dipenderà largamente dal consenso delle grandi potenze, Chiesa, Impero, Spagna e Francia. Il successore di Francesco I, Enrico II, continua la politica diplomatica e militare del padre, riesce a occupare nella Lorena i tre vescovadi di Metz, Toul e Verdun, estendendo fino al fiume Reno i confini orientali della Francia. Ma né i problemi germanici di Carlo V, sconfitto a Innsbruck dai principi protestanti e costretto nel 1555 a firmare la pace di Augusta, né l’abdicazione dell’imperatore e la divisione dei Suoi stati tra il figlio Filippo II (area spagnola, Paesi Bassi, domini italiani) e il fratello Ferdinando I (area austriaca e Corona imperiale), favoriscono Enrico II. Nel 1557 il sovrano francese perde l’ultimo importante territorio italiano che gli è rimasto: il Piemonte. Proprio Emanuele Filiberto, figlio dello spodestato duca di Savoia, comandante delle truppe spagnole, sconfigge a San Quintino l’esercito francese del Montmorency e apre a Filippo II la strada per marciare su Parigi. Il 3 aprile 1559 è firmata la pace a Cateau-Cambrésis. Da molti storici essa è stata considerata come la vittoria della Spagna e la sconfitta della Francia. In realtà, quella pace contribuì a mantenere un certo equilibrio di forze nel continente, rappresentò la decisa affermazione della dinastia asburgica nei due rami spagnolo e austriaco, significò la preponderanza spagnola in Italia, ma anche la necessità di salvaguardare l’integrità degli Stati nazionali emersi tra Quattro e Cinquecento e l’impossibilità di dar vita nel cuore dell’Europa a un impero universale fondato sul potere del papa e su quello dell’imperatore. 1) La preponderanza spagnola in Italia. La Spagna conserva il ducato di Milano, retto da un governatore, il regno di Napoli, la Sicilia e la Sardegna, governati da tre viceré, alti magistrati permanenti al vertice dell’amministrazione. Ottiene lo stato dei Presidi, formato da città costiere come Orbetello, Porto Ercole, Porto S. Stefano, Talamone, Piombino e dall’isola d’Elba, strumenti di controllo sul mar Tirreno e sulla Toscana medicea. 2) L’integrità degli Stati nazionali. La tendenza, formalizzata a Cateau-Cambrésis, è quella della ricerca di confini territoriali sicuri. Con Metz, Toul e Verdun verso orienta e la riconquista di Calais verso settentrione, la Francia, pur dovendo rinunciare all’egemonia italiana, stabilizza i suoi confini e può esercitare un controllo più agevole sul territorio. L’Inghilterra ha corso il rischio di essere annessa all’area spagnola per via matrimoniale: ma Filippo II dalla sua sposa Maria Tudor non ha
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