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"Una fra tante" Emma, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto dettagliato del testo per esame Letteratura Italiana II

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 24/07/2020

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valentina_roma 🇮🇹

4.4

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Anteprima parziale del testo

Scarica "Una fra tante" Emma e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Introduzione E’ firmata “Emma , Firenze 1877”. Si dice che i fatti narrati sono veri e quando ne venne a conoscenza provò indignazione, dolore e l’impulso di raccontarlo e denunciarlo a tutti ma poi esitò xk un senso di vergogna e ripugnanza la tratteneva. La smise soltanto quando accingendosi a ideare nuove novelle, provò un’altra vergogna che contrastava con quella precedente. Sentiva che non era possibile, conoscendo quel fatto, negarlo, è come se avesse una precedenza rispetto alle fiabe quindi poi lo narrò. Spera che nel futuro anche se l’immaginazione sarà più seducente, la cacci via qualora accanto gli si presenti la triste miserabile o ributtante cosa vera, cui l’umile penna della scrittrice di fiabe possa giovare. 1 Barberina aveva 16 anni quando giunse ad X una delle principali città d’Italia, per lavorare a servizio di una famiglia agiata di commercianti. Era fresca, robusta e timida come una signora appena uscita di convento e ignorante come le capre che aveva portato a pascolare sui monti dove era nata. Usciva dalle valli delle montagne come l’educanda esce dalle mura del chiostro quindi ingenua, vergognosa e meravigliandosi di tutto e tutti. Anche lei come l’educanda era stata rinchiusa in un piccolo spazio di terra, isolato rispetto al resto del mondo; era abituata ai lunghi silenzi, monotonia della disciplina del lavoro e alle contemplazioni. Proveniva da una famiglia poverissima, lo sapeva non perché se ne fosse accorta da sé ma xk glielo dicevano i genitori. A 16 anni non capiva cosa volesse dire la povertà ma indovinava che la miseria oltre a minacciare il suo presente, l’avrebbe perseguitata anche nel futuro, era qualcosa da cui non poteva sfuggire. Fino ad allora non aveva patito il suo stile di vita, non provava il desiderio di cose migliori ma grazie alla forza della giovinezza prendeva vigore e salute da tutto ciò che le stava intorno soprattutto dalla natura prendeva il piacere di vivere, fecondo alla vita. Nel lusso della natura essere povera, sentirsi povera le sembrava una cosa assurda. Il suo sviluppo intellettuale fu lento, non era provocato artificialmente ma nasceva spontaneamente in lei e si combinava con ciò che era fuori di lei. I suoi pensieri si risvegliavano lenti e meravigliati nelle ore di ozio, mentre pascolava, sedeva cantarellando sul monte; nascevano evocati da certe melodie che inventava da sé mentre guardava le nuvole o il tramonto. Si sveglia lentamente alla coscienza del vivere con una profonda e serena convinzione del proprio diritto d’essere e nutriva un sentimento di solidarietà con la natura, con tutto ciò che ha vita, da lì traeva la sicurezza del proprio valore. Ma venne un tempo in cui il futuro, temuto e ignoto si avvicinò improvvisamente. I genitori, poverissimi e con una famiglia numerosa da sostenere, pensarono di mandarla a servizio, liberandosi così di un peso economico, non indifferente. Quindi chiesero al parroco del villaggio di aiutarli e raccomandò Barberina ad una signora che abitava in una città vicina. Da quel giorno, Barberina non ebbe + pace, tutto intorno e dentro di lei era cambiato. Da un lato aveva una grande curiosità di vedere, sentire e uscire dalla solitudine e tuffarsi nella vita ma aveva anche molta paura di quel mondo che non conosceva ma desiderava. Assomigliava all’educanda che usciva dalle mura del chiostro pura, ingenua e desiderosa di vivere. La sopradetta signora la mandò a chiamare e Barberina per la prima volta vede una piccola città: case, botteghe, via vai di persone e si sente strappata per sempre ai suoi monti. Soprattutto vide dei ricchi e si sentì povera. La signora le disse che le aveva trovato lavoro presso una famiglia di negozianti di una delle città principali d’Italia. Quella città l’aveva sentita nominare molte volte dagli uomini di casa sua ( padre e nonno) mentre le donne non si azzardavano a mettere bocca su quei discorsi, come se fosse un argomento troppo elevato per loro e adesso Barberina doveva andarci e tutta sola > rottura di un piano di famiglia, di una genealogia. E’ sgomentata ma la signora la rincuora dicendole che i signori l’avrebbero presa alla stazione e portata con loro e sarebbero stati amorevoli con lei che avrebbe avuto modo di guadagnare dei soldi per la sua famiglia e per sé ma Barberina ascolta senza rispondere xk è troppo impaurita. La piccola città dove loro si trovavano era situata al confine d’Italia, in uno stato limitrofo al nostro. Barberina torna a casa ed è pensosa, piange e mentre cammina osserva i luoghi dove è crescita fino a quel momento e le sembra di non appartenere già + a quello spazio, le sembrava che anche le sue pecore non la riconoscessero. Si sente un’estranea. Piange e adesso si rende conto di essere povera perché aveva visto belle case, gente ben vestita quindi sapeva cos’era la povertà, quel sudiciume che cade a terra, tutti i rimasugli che la macchina instancabile che crea la civiltà e il lusso lascia dietro di sé, lavorando continuamente per la società. Si sentì presa dall’ingranaggio di quella macchina, dolcemente ma adesso sapeva che avrebbe dovuto dare sempre parte di sé a quella cosa ignota e immensa che nelle grandi città creava i ricchi e lasciava cadere a terra, i poveri come se fosse segatura. Si sentiva di appartenere già ad un nuovo ordine di cose, che l’aveva strappata dalla sua terra e alla pace insciente della natura, per sempre. Al momento della partenza venne a casa sua a dirle addio, Luca un giovane capraio, con cui era cresciuta sin da piccola sui monti. Anche Luca le sembrò un altro, usciva dalle cose inanimate e le sembrò di vederlo e conoscerlo per la prima volta. Barberina venne accompagnata al pendio del monte dalla madre, un fratellino e Luca. La madre le dice di ricordarsi di loro, del fatto che sono poveri, di guadagnare per sé e i suoi genitori e di farsi voler bene dai padroni. Loro da casa pregheranno Dio che la sorvegli. Poi le dice che sono troppo miserabili per sperare di rivedersi lì ma ci sarà un giorno in cui Dio ci richiamerà a sé, cesseranno le nostre fatiche e allora ci rivedremo. L’abbraccia, tira con sé il fratello e si incammina senza mai più voltarsi. Barberina la chiama con voce soffocata ma nulla, forse anche la madre era turbata da un dolore profondo. Luca le disse di farsi coraggio, che cose amorevoli che la rassicurarono; quasi le sembrava sua madre. Passò i giorni in ospedale a pensare come avrebbe voluto diventare cioè una brava donna di servizio, poter rendere orgogliosi i suoi genitori e la sua padrona. Pensava a quando sarebbe potuta tornare a casa. La padrona, la visitava ogni giorno. Mano a mano che Barberina stava meglio, le visite si fecero più rare e sempre + seriose. Barberina chiese il motivo, la padrona le rispose che era infelice, senza spiegarne ulteriormente i motivi. Dopo quella volta non andò più a visitarla. Finalmente una mattina uscì dall’ospedale, seppur ancora debole. Giunse alla casa della padrona. Trovò la portinaia, intrattenne un breve dialogo con lei e alla fine quest’ultima le disse che la sua signora non c’era, era partita. Il marito della padrona aveva fallito, era ormai indebitato fino al collo ed erano scappati lontano. Al loro posto viveva una famiglia di tedeschi che avevano già una donna di servizio. Barberina non sapeva cosa fare, era straniata; la portinaia le consigliò di farsi coraggio e di trovare un altro servizio. Barberina la supplicò di tenerla con sé fin quando non avrebbe trovato servizio, e una volta trovato sarebbe andata via, avrebbe raccolto i suoi soldi e raggiunto la sua padrona. La portinaia non acconsentì e le suggerì di recarsi dalla Beppa una signora che aveva contatti con persone che potevano dare un lavoro a Barberina. Barberina era impaurita, non sapeva cosa fare e dove andare perché nella grande città la signora Rosa era l’ultimo appiglio rimastole, l’unica persona che conosceva in quella grande dispersione. Tentennante alla fine se ne andò. La signora Rosa, ebbe per la prima volta il lusso di un egoismo da signori, quello di sentirsi seduta comodamente, al sicuro in una abitazione pressocchè sua, protetta dal freddo e dalla fame mentre quell’altra se ne andava via sola senza asilo, senza sapere se avrebbe trovato un ricovero per la notte. Se possedessimo un sesto senso per udire il segreto agitarsi del pensiero, udiremmo il brontolio di piacere dell’egoismo soddisfatto, che ci avvolgerebbe ovunque. Ma per noi l’egoismo è muto, i suoi dolori e gioie sono silenziosi , passano nelle fibre umane senza far rumore, pudico e ignobile. In un certo senso è come se avesse subito un secondo abbandono “materno”. 4 Barberina si trova sola, fuori la strada e cammina verso la bottega dell’ortolana. Nell’impazienza di uscire dall’ospedale, aveva dimenticato di mangiare e adesso aveva fame e si sentiva debole. Il senso di fame accresceva il sentimento angoscioso di isolamento. Camminava piano, aveva paura della gente, avrebbe voluto rimpicciolirsi per non farsi vedere dalla gente. Per quanto fosse spaventata, senza difese, abbandonata le sembrava di camminare nuda tra la folla, di una nudità morale più vergognosa di quella fisica. Le sembrava che tutti si accorgessero che era piena di paure e si vergognava della sua disperazione in mezzo a tutta quella gente che sembrava felice. Eppure quando si sentiva tranquilla avrebbe voluto raccomandarsi a tutte quelle persone isolatamente soprattutto donne e vecchi ma vedendole così tutte insieme le mettevano paura, gli facevano sentire di + il suo isolamento. Aveva una grande paura di quella folla. La Beppa, l’ortolana, non aveva più nessun servizio da garantire a Barberina. Così provò un senso di perdizione, di smarrimento molto forte. Non sapeva cosa fare e dove andare, si aspettava di ricevere dei consigli, che qualcuno si prendesse cura della sua disperazione ma nulla. Infatti si chiede come mai nessuno si accorgeva della sua sofferenza? Come mai, quella gente tanto attenta ai bisogni degli altri, tanto sapiente e ingegnosa nel soddisfarli con strumenti all’avanguardia, non aveva preveduto un bisogno crudele come il suo, non aveva inventato nulla per porvici rimedio? Nella grande città dove si poteva trovare tutto ciò che il capriccio desiderava, dove ad ogni passo i si trovava davanti a qualcosa di meraviglioso e inaspettato e a detta di tutti non mancava nulla, per lei che soffriva non ci doveva essere nulla, nemmeno chi le desse un consiglio? Con gli occhi pieni di lacrime fissava il vuoto L’ortolana le disse di farsi coraggio e di non preoccuparsi xk quello che non avrebbe trovato lì, l’avrebbe trovato altrove ma risponde Dove? .Non sapeva dove andare se a dx o sx, per lei valeva lo stesso. Se avesse potuto indovinare la via di casa l’avrebbe presa subito anche se stanca e a costo di camminare giorno e notte. Si sentiva interamente abbandonata da tutti. 5 Arrivati a qst punto, la voce narrante dice che molti lettori potrebbero fare delle obiezioni, sostenendo che in tutte le principali città italiane ci sono istituti di beneficenza, asili per le giovani abbandonate, bambini e infermi fondati con lo scopo di aiutare gli infelici, che si trovassero nella stessa condizione di Barberina. Ma come poteva esserne a conoscenza se nemmeno la Rosa e la Beppa gliene avevano parlato? Qst xk nemmeno loro sapevano che ci fossero e anche se ne avevano sentito parlare pensavano che fossero dei luoghi in cui non si poteva entrare senza raccomandazioni di signori, preti o monache. Ai loro occhi sembravano attuazioni di una astratta teoria di carità dei ricchi piuttosto che fondazioni popolari e pratiche che servivano i bisogni quotidiani e imminenti della povera gente. Così accade che sotto le mura di ospizi e ricoveri ci sono tristi casi di abbandono e corruzione contro i quali sarebbero stati fondati qst Istituti ma che finiscono per essere utili solo per coloro che non sono così tanto miserabili o tanto isolati, da non potersi aspettare un aiuto. I casi peggiori, che hanno + bisogno di soccorso raramente trovano l’aiuto che meritano xk spesso ignorano perfino che ci sia un soccorso per loro, qualcuno predisposto all’aiuto. L’ignoranza dell’esistenza di tali Istituti è un fatto incontrovertibile ed è una prova di uno stato di cose contrario allo spirito che fonda la loro istituzione. Perché qst ricoveri non sono tanto noti, popolari come l’ospedale centrale o il manicomio? O come l’oculista e il medico, persone specializzate nella cura di una malattia? Le ragioni sono tante e varie e toccano da vicino la protagonista. L’ospedale è più popolare degli istituti xk le classi povere hanno maggiore necessità di esso. Tuttavia ci sono Istituti che hanno una grande necessità ma non riescono a fuoriuscire dalla penombra poiché per molti assomigliano a delle astrazioni, per altri a delle individualità elette, non avvicinabili dal volgo. Perché il povero non cerca di conoscere da sé, meglio questi istituti invece di restare fedele a pregiudizi che glielo fanno disconoscere? Perché è timido verso persone o cose che non vede e conosce e xk non è in grado di superare, senza difficoltà certe distanze morali e di vincere i pregiudizi che governano l’animo delle classi meno colte. Non possono superare con l’ingegno astratte e ignote distanze morali, pregiudizi con il semplice sforzo della ragione se non sono stati mai abituati. Mancando l’istruzione, non possiedono i principali strumenti per il lavoro del pensiero. Quindi l’opera di beneficienza dovrebbe essere un’organizzazione per sua natura vicina al povero da soccorrere in modo tale che lui non debba superare nessuna distanza per arrivarvici. Qst difetto, meno grave nel passato va crescendo nel presente, la distanza che separa il bisognoso dal soccorso di beneficienza, diventa sempre maggiore. Nel passato il bisognoso, su quella via dell’asilo, trovava sempre una guida e un aiuto cioè la carità religiosa. Il prete e il credente, caritatevoli il più delle volte per interesse ed ipocrisia in un modo o nell’altro insegnavano a tutti la carità ma il sentimento religioso che alimentava quella carità, si indebolisce sempre +, muore nelle classi colte, nel popolo quindi la carità religiosa infiacchisce senza che venga sostituita da una nuova forma di beneficienza , da una carità civile. Quindi cresce l’antagonismo e l’indifferenza del ricco e a questa miseria morale non si riparerà presto. Dice che è talmente importante qst elemento della carità/solidarietà che ci dovrebbe spingere perfino a sopportare la religione. E’ necessario “laicizzare” cioè rendere appartenenti dello Stato una serie di azioni che non sono secondarie ma che devono preoccupare e interessare non solo i dirigenti ma anche i sudditi. Il punto centrale è l’istruzione, la necessità di educare tutti indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza. Quindi la società non può rispondere solo ai beni materiali ma anche a quelli spirituali delle persone. L’indifferenza e la mancanza di energia sono il male peggiore della società contemporanea. 6 La Beppa non sapeva che farnese di quella ragazza che piangeva sulla porta della sua bottega. Nel frattempo all’interno vi era anche una vecchietta che guardava incuriosita Barberina. Dopo aver compreso il motivo del suo pianto cioè l’assenza di un servizio e di un posto dove rifugiarsi, si riferì a lei con parole compassionevoli, piene di interessamento, accoglienti. La vecchia le propose di asciugarsi le lacrime e di seguirla perché conosceva una famiglia che aveva bisogno sicuramente di una donna di servizio e anche se quell’offerta non avesse dovuto essere più valida, l’avrebbe comunque aiutata a cercarne un altro. Barberina riesce a riprendere la parola, è riconoscente, è convinta che sia un potrà riprenderli quando vorrà, Barberina si accerta di poterli riavere xk vestita in quel modo non verrebbe uscire di casa altrimenti sarebbe sembrata una ragazza poco per bene. La donna sbotta in una risata fragorosa e volgare come di chi ride di una oscenità o di un dolore. Ma Barberina non capì. Si riguardò nello specchio e quella ragazza seduta in mezzo alla stanza con quell’abito chiaro le fece quasi paura. Fu presa da mille incertezze e paure. La signorina ben vestita raccontava a Barberina, storie tristi, piene di dubbi e sgomenti, vaghe e indefinite. Le sembrava di essere in un sogno e quella immagine nello specchio non fosse realmente lei ma vedeva il proprio viso quindi si guardava attonita e impaurita . Allora la signorina e la giovanetta tornarono ad essere una cosa sola, provava spavento al pensiero che quelle due immagini appartenevano ad una sola anima eppure erano così tanto diverse tra loro. Per acquietarsi, rialzava il capo e usciva dal campo dello specchio, così da non vederci più dentro il proprio viso (negare, non accettazione). Aveva dei brutti sospetti ma sapeva vagamente di molte cose, anche se a metà, afferrate a mezz’aria dette con parole volgari e oscene, sussurrate tra uno scherno e una mossa di compiacenza, tutte cose brutte tristi. Aveva dei dubbi che le si affacciavano indefiniti a causa della sua stessa ignoranza. Barberina fu chiamata dalla fantesca a pranzo. La tavola era piena di donne che sghignazzavano e Barberina non capiva chi fossero e che cosa facessero. Il suo atteggiamento modesto e vergognoso, contrastava con quello espansivo, sfacciato e selvaggio delle altre. Erano animate da una cordialità mista ad un desiderio maligno di far fare ad un’altra ciò che facevano loro, di metterla allo stesso livello. Un istinto di assorbile, affratellarsi che nasce sempre negli animi traviati, colpevoli e tristi; avevano bisogno di crescere, fare maggioranza, sostituendo la qualità alla quantità. Barberina era molto imbarazzata e aveva un forte desiderio di scappare, la sua paura e timidezza fecero accrescere nelle altre il desiderio di farla sedere alla loro tavola e farle vincere la vergogna. Quegli abiti avevano l’aria di essere stati in prestito per una notta o una serata, si sentiva nell’aria un che di incerto e precario. Si vedeva come fosse commedia e finzione l’abito e l’essere vivente che lo portava. In quelle vesti entrano sempre nuove bambine e nuove donne. La società soffre di un male incurabile e ha cercato il suo rimedio in esse. E’ qui che la voce narrante parla delle case chiuse tramite una forte reprimenda morale; di questa “istituzione civile” che nasce accanto alle abitazioni delle famiglie, che hanno il vizio a capo. Se la società avesse voluto, sarebbero state madri, intellettuali, avrebbero condotto una vita morale e vigorosa, se non avessero dovuto diventare una macchina vivente che assorbe il vizio. L’ignoranza e l’ingenuità espongono a rischi maggiori. Prima ancora che la giovinetta abbia assunto coscienza dei propri diritti, li perde tutti. La società ne ha bisogno, le vuole giovani e belle. 9 Barberina risponde a monosillabi alle domande delle donne, la vedono intimidita e una di loro dice che “’ è un difetto che lì dentro correggerà presto”. La conversazione di quelle donne, sconcia, ilare e stupida, rivelò a Barberina l’oscenità del posto in cui si trovava, confermando i suoi sospetti. Era pallida, silenziosa, non aveva il coraggio di guardarle in faccia ma non aveva il coraggio di alzarsi e andare via o coprirsi le orecchie per non sentire, preferì aspettare la fine del pranzo per recarsi dalla padrona e chiederle di avere i suoi abiti indietro e fuggire da quel luogo. La strada, l’isolamento, l’essere abbandonata le facevano adesso meno paura in confronto a quello che avrebbe dovuto vivere lì, fra quelle disgraziate. Viene accompagnata da una di loro presso l’ufficio della padrona e le dice che la padrona era avara come un usuraio, maligna come una strega e che il diavolo se la porterà via. Quindi decide di recarsi dalla signora/impresaria per dirle di volersene andare, di riavere i suoi vestiti. Viene accolta con uno sguardo freddo, duro e arcigno. Barberina le dice che è una povera ragazza ma onesta e che voleva lavorare e guadagnare onestamente, era stata ingannata dalla vecchia. La signora cercò di corromperla, la persuade dicendole che lì avrebbe guadagnato più soldi di qualsiasi altra parte, che avrebbe condotto una vita lieta, facile, oziosa, e che se qualche uomo si fosse innamorato di lei, avrebbe potuto migliorare ulteriormente la sua condizione, in modo facile con ciò di cui disponeva naturalmente cioè il corpo. Invece stando a servizio avrebbe ottenuto solo stenti, fatiche rimproveri, la vecchiaia e l’ospedale. Usò un tono autorevole e sicuro come di chi aveva molta esperienza in qst cose e conosceva il mondo da un pezzo. Barberina provava ribrezzo e orrore. La signora ascoltò impassibile quelle parole impetuose e piene di sdegno con un sorriso freddo e ironico ma era l’ultima volta che Barberina avrebbe potuto parlare con tutta quella sicurezza poiché pensava di poter disporre liberamente di sé. Infatti non sapeva di essere già schiava, venduta a quella donna, alla quale era debitrice già degli abiti che indossava. Era legata ad un vincolo di vergogna e schiavitù di cui non si sarebbe mai liberata. Ma non ne sapeva nulla, pensava di poter uscire di lì come se nulla fosse mai accaduto. L’impresaria vedeva nel suo animo il candore verginale, l’ingenuità dell’innocenza ma non gliene importava nulla anzi era un motivo in + per tenersela xk si trattava di pregi che i clienti avrebbero pagato molto di +. Per quella donna, al mondo non c’era nulla che non si potesse vendere. Le disse che non avrebbe potuto lasciar andare nessuna da lì, senza segnalarla alla polizia, troncando in lei ogni possibilità di liberarsi inoltre avrebbe dovuto pagarle gli abiti prestati quindi la ricatta. La padrona viene paragonata ad un ragno schifoso che con la sua tela schifosa avvolge la creatura. Senza pietà e cinica le toglieva ogni possibilità di liberarsi e tra verità e bugie, le faceva credere che la sua condizione fosse una fatalità irreparabile che l’aveva colpita. Tornata in camera, scoppia a piangere ed è inorridita dai rumori dei passi fuori nel corridoio, risate di tante voci triviali e inizia a pregare, immaginandosi di essere nella cappella frequentata da piccola sui monti. Poco dopo, entrò un uomo e cercò di fuggire da lui, impaurita. Quest’uomo di rispetto, di 40 anni circa, vedendola piangere a quel modo le promise che non le avrebbe fatto del male e che l’avrebbe raccomandata alla signora, convincendola a lasciarla libera. Quest’uomo, una volta sul treno per tornare a casa, ripensò alla condizione di Barberina e anche lui si immaginò le sue figlie nella stessa condizione, più o meno avevano la stessa età ma fu rinfrancato da quell’immagine orribile e angosciante dal fatto che loro fossero al sicuro magari a suonare il pianoforte o intorno la tavola. Pensava a come poterla aiutare senza però dover mettere a repentaglio la sua reputazione come uomo benestante e padre di famiglia. Pensò che se la padrona non la rendeva libera, avrebbe fatto la fine di tutte quelle povere ragazze cioè dopo il primo passo avrebbe fatto gli altri e sarebbe finita nel precipizio. Tuttavia era fiero e contento di sé di non aver fatto una cattiva azione, non era stato lui a farle compiere quel primo passo. 10 Reprimenda morale della società 11 La padrona viene definita una megera, cioè una donna vecchia, brutta, cinica, violenta e litigiosa (riferimento alle Erinni della classicità). Barberina si aggrappava ai ricordi per resistere all’orrore che stava vivendo, pensava ai suoi genitori, a Luca e ricordava la sua maestra, che era stata sempre con lei e in lei: la Natura. Attendeva un miracolo, che anche gli altri abitanti della casa sentissero un che di terso, puro, incontaminato in sé stessi, attivato da quel poco di luce che trapelava dalle gelosie serrate e che li avrebbe fatti ribellare con energia selvaggia alla turpitudine. Lo attendeva con la fede di una bambina. Sperava che un uragano spaventoso si abbattesse su quella casa e la distruggesse per sempre. La padrona, stava perdendo la pazienza, temeva che la ragazza si ammalasse e che la mettesse in gravi imbarazzi quindi desiderosa di togliersi il peso di quelle suppliche angoscianti ideò un triste e feroce disegno infatti raccomandò i tre uomini peggiori, dediti al vizio e alla trivialità di entrare nella camera di Barberina. Si udirono urla e risate oscene, si era consumato lo stupro. Le donne che si trovavano nelle altre stanze si sollevavano dai cuscini e ascoltavano paurose; la padrona non si mosse; le serventi corsero a chiudere gli uscì affinchè non si sentisse nulla fuori anche i visitatori se ne andavano via vergognosi e forse anche questo. Per ora ci basta la sicurezza che sia sana e salva e proprio xk continui ad essere nella sicurezza non verrà detto il nome della città in cui tali fatti avvenirono, né quello di chi ce lo raccontò. Barberina tuttavia è ancora iscritta nei registri della Questura e la casa di tolleranza è ancora aperta, forse + prospera che mai. Quante donne hanno subito e subiscono quotidianamente questi assassini fisici e morali protetti dalla legge? Eppure non si trova rimedio perché discernere l’innocente tra tante corrotte e colpevoli ci sembra una difficoltà insuperabile e perché non c’è un udito delicato, sensibile in grado di riconoscere tra le risa triviali di tante, il grido di dolore e aiuto di una sola. L’impotenza è la scusa dei migliori. Quindi dovremmo rassegnarci a qst nuova forma di schiavitù della società moderna? No ma le cose possono cambiare e migliorarsi se ci si impegna. A cosa serve educare l’orecchio alle sottigliezze dell’armonia, a che servirebbe portare i sensi a vivere nel campo dell’idealità toccandola quasi con mano se nella grande vita del mondo e della società si rimane ciechi e sordi? Se non sentiamo e non vediamo soffrire? Se siamo sordi difronte ai singhiozzi e grida di vero dolore? Tutti sprechiamo il nostro ingegno ed energia nelle sottigliezze della vita ideale invece di dirigerli nella realtà. L’arte prende i migliori per acutezza di ingegno e sensi e li esaurisce/spreca in un’opera sterile, gli fa fare una statua inutile invece di soccorrere i mali di tanti. Porre tutte le nostre aspirazioni all’ideale e non al miglioramento del reale è qualcosa che ci impoverisce. L’arte vera è solamente nel vero l’artista deve modellare la sua opera non nella creta inerte e nel marmo ma deve attingere dalla natura umana calda e viva. È lì che deve lavorare modificando e migliorando, è lì che deve cercare l’ideale e inseguirlo e perseguitarlo ardentemente. Ascoltare e osservare l’animo umano nelle sue + intime manifestazioni non è cosa di tutti e immediata ma è scuola d’arte e di scienza, ci si deve abituare all’ascolto. Perché l’artista dovrebbe affannarsi a creare sul marmo un Socrate o Plauto, un fanciullo o animale perfetti e non prendere un bimbo, un uomo o donna e cercare di farli migliori? Perché turarti le orecchie e imprecare ad una stonatura e non sentire il grido di una vittima colpita ingiustamente o il lamento di chi soffre e non usare tutto il tuo ingegno per far rientrare nell’armonia quella stonatura vera e soccorrerla? Abbiamo messo la fiaba come barriera insormontabile fra noi e la realtà e più ci sentiamo artisti tanto più ce ne allontaniamo dalla realtà. L’arte se non vuole finire o diventare qualcosa di dannoso dovrebbe soccorrere i dolori e la miseria, solo così può essere grande e davvero utile è lì che la luce del genio deve portare calore e vita quindi la nostra società dovrebbe risvegliarsi dal riflesso dell’aspirazione ideale. Dio non è inarrivabile o lontano ma è qui con noi uomini, nella natura e nelle cose, nelle speranze e nelle fatiche di oggi, nell’abnegazione con la quale si lavora per far + felici quelli che verranno domani. Un giorno forse anche di fronte a qst piaga sociale si sentirà la necessità di porvi un rimedio e un alto sentimento umanitario troverà il modo di riparare ad una condizione di cose intollerabile e vergognosa.
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