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Una passione Infiammabile, Sintesi del corso di Teoria Del Cinema

Riassunto del testo "Una Passione Infiammabile" di Paolo Cherchi Usai

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 05/05/2018

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marta-198-1 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica Una passione Infiammabile e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! “UNA PASSIONE INFIAMMABILE- Guida allo studio del cinema muto” di Paolo Cherchi Usai Questo libro ha lo scopo di introdurre lo spettatore alle immagini fotografiche in movimento prodotte durante la cosiddetta “epoca del muto”. Tale definizione è fatta rientrare di norma entro i confini cronologici del 1895 e del 1927, corrispondenti alle date di brevetto del cinematografo Lumière e di prima proiezione pubblica del film “The Jazz Singer” di Alan Crosland, contenente sequenze parlate e cantate. Le fotografie mostrate in rapida successione al fine di ottenere un effetto di movimento erano però già note al pubblico dell’anno precedente a quello in cui “La Sortie Des Usines Lumière” apparve per la prima volta su uno schermo; per avere un’idea delle premesse tecnologiche e creative di quell’evento occorre risalire almeno al 1893 e ancora più indietro, fino agli embrionali progetti di apparecchiature per la riproduzione di immagini animate su un supporto sensibile alla luce. Erano macchine che permettevano ad un solo spettatore alla volta di vedere sequenze fotografiche lunghe una manciata di secondi: ma erano pur sempre sequenze fotografiche su carta o pellicola e non disegni né lastre dipinte. Più tardi molte scene furono rese disponibili alla visione collettiva. Iniziano poi esperimenti di registrazione diretta del suono su pellicola (cioè molto prima del 1927: i primi studi sull’argomento furono pubblicati nel 1901) ma che si chiude soltanto intorno al 1935, a quasi un decennio dalla nascita anagrafica del sonoro. “La canzone dell’amore”, primo film sonoro italiano, fu presentato il 7 ottobre 1935 mentre l’ultimo film cinese tuttora conservato è del 1936. La presenza o l’assenza di una colonna sonora sulla pellicola non basta, d’altro canto, a designare l’identità cronologica di un film muto: il cinema sperimentale è stato spesso privo di suono ma non per questo esso è omologato-da un punto di vista storiografico- ai film delle origini; viceversa il film di Sjostrom “The wind” del 1928, al quale fu applicata una colonna sonora quando l’opera era già pronta per la distribuzione, appartiene a tutti gli effetti all’estetica del muto. Il film muto di cui si parla è quello prodotto e distribuito a fini commerciali negli anni in cui l’unica possibilità di attribuirgli un suono consisteva nel far coincidere il momento della proiezione con l’impiego di dispositivi meccanici esterni alla pellicola, con l’esecuzione di musica dal vivo e con l’intervento diretto di cantanti e interpreti davanti o accanto allo schermo. Ma allora se quasi mai gli spettatori dell’epoca erano immersi nel silenzio, perché insistere con il termine muto? Non vale forse la pena di cercare a un livello più profondo la differenza tra i modi di organizzazione visiva del significato? Alcuni studiosi hanno affermato che una delle più importanti trasformazioni strutturali nel cinema (in termini produttivi, stilistici e tecnologici) è avvenuta tra il 1911 e il 1917, prima ancora che arrivasse il sonoro nel cinema. Rimangono però ancora ottimi motivi per continuare a parlare di cinema muto. -Il primo è che il cinema del primo Novecento sapeva di essere muto e si definiva tale nella certezza che la propria natura fosse la componente essenziale di una nuova forma d’arte; a questa certezza si accompagnava la convinzione (o il timore) che la sua condizione primordiale fosse presto o tardi destinata a cessare. I titoli delle riviste specializzate usavano spesso l’aggettivo muto per differenziare il cinema dal teatro e dalla parola scritta. I produttori e registi consideravano l’assenza del suono come un dato costruttivo e non come una limitazione. -Il secondo è che il passaggio dal muto al sonoro fu, prima che una rivoluzione tecnologica, un evento che sconvolse l’industria del cinema -> cambiarono gli spettatori e i loro modelli di percezione del visibile riprodotto -> il cinema diventava portavoce di una mimesi ambigua, sottile, capace di modificare l’immaginazione collettiva e di forgiarla. È stata questa mutazione ad allontanare il cinema muto dalla sensibilità dello spettatore del secondo Novecento e a deciderne l’eclissi. Da allora il muto è diventato oggetto di archeologia e solo raramente di spettacolo non perché il cinema dei primi trenta anni fosse arretrato in fatto di tecnica ma piuttosto perché esso sembrava appartenere ad una tradizione estinta, indecifrabile ai più. • Le copie originali dei film muti, oltre che deperibili, sono altamente infiammabili e questa loro peculiarità simboleggia in un certo qual modo il tipo di piacere estetico che l’esame di una pellicola del periodo muto può procurare a un occhio attento ma non disincantato • Imparare a vedere il cinema muto significa compiere un esercizio di identificazione con una sensibilità visiva perduta e risalire alle origini di un rapporto fra l’immagine e la coscienza davvero infiammabile, anzi esplosivo, se tale rapporto è coltivato con il rigore dello storico e con la passione dello spettatore consapevole di rivivere il passato altrui in un fascio di luce proiettato su uno schermo. -> ciò spiega perché al centro della nostra attenzione ci siano soprattutto i film e solo in seconda istanza le fonti scritte, senza le quali è comunque impossibile ricostruire il passato del cinema. CAPITOLO UNO: CHE COS’ È UN FILM MUTO 1.SUPPORTO La pellicola cinematografica prodotta durante l’epoca del muto è composta quasi esclusivamente da sostanze organiche altamente instabili. Alcune immagini in movimento venivano stampate su supporti diversi dal film: è il caso del Mutoscope, un cilindro sul quale sono disposti rettangoli di carta dalle dimensioni variabili; su di essi sono riprodotte fotografie che, se osservate in rapida sequenza mediante uno strumento per la visione individuale, offrono l’impressione di un movimento continuo. Dal 1894 in poi il film si affermò quale supporto privilegiato per la riproduzione di immagini animate. Le sue componenti fondamentali sono rimaste invariate per alcuni decenni: ---Base, detta anche supporto ---Substrato adesivo, sottilissimo ed in gelatina ---Emulsione (riconoscibile come il lato opaco della pellicola), sensibile alla luce, legata alla base mediante il substrato adesivo e costruita di solito da una sospensione di sali d’argento in gelatina (è la parte centrale e può essere colorata) ---Vernice, lo stato protettivo dell’emulsione. Oltre a questi strati ve ne possono essere altri due: -una sottile patina di gelatina che ha lo scopo di proteggere l’emulsione dai danni meccanici derivati dall’uso del film – un ulteriore strato che serve a prevenire la formazione di un alone sull’immagine o che impedisce alla pellicola di arricciarsi. Dal supporto chimico di una pellicola dipende il suo nome e il suo tipo. La base di gran parte dei film prodotti fino al febbraio 1951 è in nitrato di cellulosa, una sostanza altamente infiammabile; da quell’anno il nitrato è stato sostituito dall’acetato di cellulosa, assai meno infiammabile, e a volte sostituito dal poliestere. [già nel primo decennio del Novecento alcune società sperimentarono la produzione di film cosiddetti “di sicurezza”, in acetato di cellulosa o in nitrato rivestito da sostanza non infiammabili. I primi esemplari del genere a noi noti sono del 1909]. 2.FORMATI Lo sviluppo commerciale del cinema ha origine dalla produzione di film- con perforazioni sui due lati del fotogramma per il trascinamento meccanico della pellicola- stampati su un supporto flessibile largo 35 millimetri elaborato nel 1889 da Reichenbach. Questo era il formato adottato da Edison per il suo kinetoscope + grazie alla struttura meccanica del kinetoscope di Edison si deve il fatto che la pellicola a 35 mm sia dotata di quattro perforazioni, a profilo vagamente rettangolare, per ciascun fotogramma. Altri inventori, alla fine del diciannovesimo secolo, fecero ricorso a diversi tipi di perforazione: il più celebre e diffuso, prima che la perforazione Edison si affermasse definitamente, fu quello dei fratelli Lumiere, in cui la pellicola è trascinata utilizzando una sola perforazione, a profilo circolare, su ciascun lato del fotogramma. Le dimensioni e la forma delle perforazioni Edison rimasero sostanzialmente invariate- pur con notevoli differenze a seconda delle macchine perforatrici impiegate- fino al 1905. Dal 1905 al 1924 le perforazioni delle pellicole negative e positive diventarono più grandi e il loro profilo fu ridisegnato: base e altezza diritte, lati a profilo leggermente circolare. Un’ulteriore modifica nel 1924 consistette nell’introduzione di due diverse perforazioni: le Kodak Standard per le pellicole positive e le Belle and Howell per le pellicole negative-> la differenziazione aveva lo scopo di adattare la pellicola alle diverse sollecitazioni meccaniche in fase di ripresa e di ripetuta proiezione. Si avanzò la proposta di uniformare i due tipi di perforazione ma il tentativo incontrò scarso favore. Non si usò però soltanto la pellicola 35mm. -Abbiamo i Mutoscope che supportavano pellicole a 70mm prive di perforazioni laterali-> proporzione altezza e lunghezza del fotogramma 3:4 -> l’immagine occupa quasi tutta la superficie del supporto. -Abbiamo pellicole Prestwick a 60mm che apparvero a partire dal 1896 con quattro perforazioni ai lati del fotogramma e un rapporto larghezza/altezza dell’immagine simile a quello del 35mm. -L’americana Veriscope Company realizzò nel 1897 un film a 63mm che presenza cinque perforazioni per fotogramma su ciascun lato e la proporzione altezza/larghezza è di 1:1,75. -Un grande formato, il 75mm fu proposto sperimentalmente da Lumière nel 1898. -Pellicola amatoriale per eccellenza era la 16mm 3.COLORE La pellicola in bianco e nero prodotta fino alla metà degli anni Venti, detta ortocromatica, era sensibile ai raggi ultravioletti, violetti e blu, e poco sensibile alle radiazioni gialle e verdi; il rosso non impressionava affatto l’emulsione al bromuro d’argento. Gli operatori erano obbligati ad un controllo costante degli equilibri cromatici nelle inquadrature per evitare che cinematografi, ed è certo che una società con grandi ambizioni doveva tenere conto della vastità del territorio da conquistare. L’industria del cinema subì inizialmente l’influenza di alcuni paesi europei (Francia, Danimarca, Italia), prima di essere dominata dagli Stati Uniti. La diffusione dei film prodotti dalle maggiori società europee e americane sul mercato mondiale fu rapidissima e didascalie in diverse lingue erano girate separatamente e inviate ai rispettivi paesi con le copie richieste o addirittura con un negativo appositamente stampato. Se un epilogo appariva poco adatto alla sensibilità del pubblico di un determinato paese, si mettevano a disposizione bobine contenenti finali alternativi. Nel primo decennio del Novecento uno stesso film era talvolta disponibile in versione colorata o in bianco e nero, a prezzi differenziati per cinematografi di lusso o per locali con poche pretese + copie di uno stesso film americano rimaste conservate possono risultare diverse tra loro per gli organismi di censura di ciascuno stato. 8.DECADIMENTO Tra il momento in cui il film muto è proiettato per l’ultima volta in epoca “storica”- cioè nel contesto di un sistema distributivo commerciale- e il suo ingresso in un archivio o in una collocazione intercorre un vuoto di diversi decenni. Questo vuoto è la storia “interna” del film: storia dei luoghi che l’hanno ospitato, delle persone che l’hanno ospitato, che l’hanno conservato più o meno consapevolmente; è anche la storia delle modifiche intervenute nel corso del tempo sull’oggetto, storia della sua progressiva autodistruzione e della sua definitiva scomparsa prima che l’opera abbia potuto essere sottoposta a restauro. La pellicola in nitrato di cellulosa (usata per quasi tutti i film muti) non era solo infiammabile ma anche deperibile: non può essere utilizzata oltre un limitato numero di proiezioni, e la sua durata ottimale non supera a quanto pare i 100 anni -> non appena prodotto il supporto comincia a decomporsi anche nelle migliori condizioni di conservazione. La pellicola sviluppa diversi gas che combinati con l’acqua contenuta nella gelatina e con l’aria formano acido nitroso e nitrico che corrodono i Sali d’argento dell’emulsione distruggendo l’immagine fino al totale dissolvimento della pellicola. [Una pellicola in nitrato in perfette condizioni brucia a 170 gradi centigradi; un film in decomposizione può bruciare anche a temperature inferiori, fino a 41 gradi. Non si possono spegnare le fiamme perché la pellicola libera ossigeno che alimenta le fiamme]. Nelle fasi iniziali di decomposizione la pellicola può essere salvata e trasferita su un altro supporto, ma in ogni caso bisogna lavorare con massima cautela. La decomposizione può essere rallentata ma non fermata. In Italia la proiezione di film in nitrato è illegale e non dobbiamo mai tentare di esaminare pellicole in nitrato se non abbiamo a disposizione le apparecchiature adatte. REGOLA 1 -> In caso di ritrovamento di un film in nitrato (si riconosce per la presenza della scritta “nitrate film” sul bordo della pellicola) non bisogna mai proiettarlo! Occorre invece rivolgersi al più vicino archivio del film, che avrà cura di preservarlo in condizioni di sicurezza e, se necessario, di restaurarlo. Se la scritta sulla pellicola presenta la dicitura “safety film” si può essere quasi certi che non ci sia pericolo in quanto il supporto rimane comunque instabile. La base delle pellicole non infiammabili prodotte durante l’epoca del muto (ad esempio quelle in 16mm) è il diacetato di cellulosa, un supporto più sicuro del nitrato ma anch’esso soggetto a decomposizione. Il supporto fotografico più durevole per il film è il poliestere, la cui durata effettiva non è stata però ancora verificata in laboratorio. 9.RIPRODUZIONE Perché fragilissime e rare le copie d’epoca non possono, se non rare eccezioni, essere proiettate. Dalla loro sopravvivenza dipende la capacità da parte degli archivi del film di restaurarle, duplicarle su supporti più durevoli e accessibili al pubblico, conservarle a memoria futura in attesa che le tecniche di trasferimento degli esemplari originali su un altro supporto diventino più perfezionate. È comune condivisa dalle cineteche aderenti alle Federazione Internazionale di Archivio del Film (FIAF) che una pellicola restaurata debba essere vista su un supporto il più possibile analogo a quello d’origine. Da ciascun esemplare viene ricavato un negativo d’archivio, dal quale si ottengono copie di consultazione. Molti archivi hanno deciso di riprodurre i film muti a colori su pellicola in bianco e nero, con l’eccezione dei casi in cui si ritiene che il colore eserciti un ruolo fondamentale nella comprensione e nel giudizio estetico dell’opera -> i colori visibili sulla pellicola oggi a disposizione tendono a svanire con una certa rapidità, nonostante le sofisticate condizioni di conservazione Un film muto consultato nelle appropriate sedi è dunque per lo più una pellicola a 35 o 16 mm e sarà così fino a quando le cineteche non avranno trovato una soluzione migliore. Per quanto simile all’originale, una copia safety può tuttavia presentare difetti: ---Doppio interlinea -> fotogramma attraversato in larghezza da una linea opaca. ---Stretching -> procede che consente la proiezione di un film muto a 24 fotogrammi al secondo riproducendo due o più volte alcuni fotogrammi. ---Quadro tagliato -> riproduzione di ciascuna immagine eliminando le aree periferiche del fotogramma originale per inserire una colonna sonora o adattare il fotogramma ai proiettori moderni. ---Alterazione del contrasto -> per ristampa inaccurata o fatta apposta per migliorare la qualità chiaro-scuro. ---Sonorizzazione -> aggiunta a posteriori. ---Modifica del montaggio ---Immagini fisse -> corrispondenti a inquadrature o didascalie danneggiate. ---Didascalie sostitutive CAPITOLO DUE: DOVE SI TROVANO I FILM? 1.DAL COLLEZIONISMO ALLA CINETECA All’inizio degli anni Quaranta il patrimonio del cinema muto era trascurato. Le poche eccezioni alla regola si devono a singoli individui che, investendo tempo e denaro, hanno posto le basi delle collezioni oggi consultabili nelle cineteche. Molti furono i nomi che ebbero importanza in questo ambito, es. James Card in Usa e Maria Adriana Prolo in Italia. Questi appassionati vivevano in u periodo in cui si faceva fatica a convincere gli intellettuali che il cinema fosse una ver e propria forma d’arte e che i film dovevano essere considerati con lo stesso rispetto che si dedicava a opere teatrali, dipinti, opere architettoniche. Oggi questo ostacolo è superato ma allora per scavalcare l’indifferenza generale l’unico modo era quello di affidarsi al proprio spirito di iniziativa: raccogliere pellicole ovunque, depositarle da qualche parte, farle sopravvivere in un modo o nell’altro, proiettarle. Senza il sacrificio di tanti sconosciuti oggi ci sarebbe ben poco da vedere --> c’è anche da dire che molti collezionisti preferiscono tenere i propri averi invece che abbandonarli -> nelle cineteche pubbliche quindi non troveremo tutti i film ma solo una parte di un universo in parte inesplorato -> compito delle cineteche è anche quello di mantenere i rapporti con i collezionisti sperando che questi decidano di consegnare i loro beni a favore del pubblico. Ogni volche chi ci si chiede che cosa è davvero rimasto, l’unica risposta possibile è: non lo sappiamo, o lo sappiamo solo in parte proprio perché i film sono nascosti dovunque. Lo spettatore italiano si trova in una condizione privilegiata: ci sono infatti cinque archivi del film di statura internazionale, diverse collezioni pubbliche e private relativamente accessibili allo studioso, alcune manifestazioni annuali dedicate in tutto in parte al cinema del periodo muto -> vedere film appartenenti ai primi trent’anni del secolo è meno difficile di quanto non sia in altri paesi ma non per questo ricercare alcune pellicole è semplice, viaggiare è un modo ottimale per trovarle. Molto importante è stata la FIAF (Federazione Internazionale di Archivio del Film), nata a Parigi nel 1938 che si occupa di: -coordinare l’attività delle istituzioni che si dedicano alla ricerca e alla salvaguardia del film; -incoraggiare la raccolta e la conservazione di materiali attinenti le immagini in movimento; -favorire la creazione di archivi del film nei paesi che en sono privi; -sviluppare la coordinazione fra le cineteche; -promuovere e facilitare le ricerche storiche riguardanti le immagini in movimento. -> Man mano il numero delle istituzioni che hanno aderito alla FIAF è aumentato, all’inizio erano solo 4 (una di Berlino, una di Parigi, una di Londra e una di New York) -> il requisito fondamentale che tutte si impegnano a rispettare consiste nel non operare a fini di lucro a scopo di salvaguardare il patrimonio artistico locale e internazionale. 2.LA SITUAZIONE ITALIANA Nel nostro paese sono 5 le cineteche aderenti alla FIAF e ci sono numerosi collezioni private di medie e piccole dimensioni. Le cineteche italiane aderenti sono localizzate in cinque regioni, tutte del Centro-Nord: Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna e Lazio. Il “Museo Nazionale del Cinema” è il primo archivio italiano del film in ordine di fonazione, creato a Torino nel 1941 da Maria Adriana Prolo e diventa statuto di associazione culturale nel 1953. La sua importanza non deriva tanto dalle sue dimensioni modeste ma dalla rarità de reperti. Poi troviamo la “Cineteca Italiana” nata a Milano nel 1935; -La “Cineteca Nazionale” fondata a Roma nel 1949 come emancipazione del Centro Sperimentale di Cinematografia; -La “Cineteca Comunale di Bologna” nata nel 1967 (era una sezione della biblioteca dell’archiginnasio) e rifondata nel 1974 si è affermata come una fra le più intraprendenti in maniera di acquisizioni, didattica, restauro. È anche l’unica cineteca in Italia, per il momento, a disporre di un laboratorio di restauro funzionante all’interno dell’istituzione; -Infine abbiamo la “Cineteca del Friuli” nata nel 1977 ed entrata nella Federazione alla fine del 1989 è stata la prima in Italia ad aver infranto il tabù della segretezza negli archivi con l’ideazione delle Giornate del Cinema Muto. 3.ALL’ESTERO Studiare il cinema muto comporta una certa disponibilità a viaggiare: poche ricerche sull’argomento- articoli, libri, tesi di laurea- possono essere completate senza l’aiuto degli archivi meglio dotati dei film d’epoca e delle apparecchiature necessarie a consultarli. Quasi tutte le cineteche aderenti alla FIAF possiedono pellicole del periodo muto ma alcune fra queste devono essere consultate da chi ha in mente un progetto di studio degno di questo nome. Al di fuori dell’Europa, si tratta in primo luogo di scegliere l’archivio che meglio risponde al progetto di ricerca prescelto -> ricordiamo gli archivi alla Library of Congress a Washington D.C, l’UCLA Film Archive, il National Film and Sound Archive di Canberra. Molto importanti ovviamente sono anche collezioni private ed aziende. Nelle prime valgono i principi della segretezza, del sospetto, di un rapporto personalizzato con il ricercatore, indipendenza o conflittualità nei confronti delle cineteche la cui attività è regolata da finanziamenti pubblici -> entrare in contatto con i predatori del nitrato perduto è tutt’altro che semplice. Per quanto aziende/società ci sono quelle che sfruttano il cinema del passato a fini di lucro: esse producono reddito attraverso il reperimento, la ristampa e la vendita di specifiche immagini, e non sono perciò disposte o pronte a rispondere ad esigenze di carattere scientifico -> ciò vale in particolare per le compagnie di produzione e distribuzione, i cui archivi sono talora assai vasti + in alcune grandi aziende c’è qualcosa di simile a un archivio storico e non è detto che nelle loro sedi non si possa trovare qualcosa di utile. CAPITOLO 3: I MATERIALI DI RICERCA 1.L’IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI SCRITTE Uno studio sul cinema muto basato solo su informazioni scritte è quasi sempre destinato a rimanere un progetto monco a meno che l’argomento non sia legato ad aspetti come distribuzione, architettura delle sale di proiezione, guerre dei brevetti - > anche se pure in questi casi sarebbe utile sapere che tipo di pellicole sono state utilizzate, quali erano distribuite ecc… Bisogna però dire che un’analisi dei film muti che trascuri o ignori del tutto le pubblicazioni disponibili dell’epoca e gli studi più approfonditi ricavati da queste ultime non ha migliori probabilità di riuscita. Affinché la ricerca abbia qualche speranza di successo occorre infatti disporre di informazioni che solo libri, articoli e riviste sono in grado di offrire. Il talento nell’identificare una pellicola, nel riconoscere lo stile tipico di un determinato periodo o di una compagnia di produzione si sviluppa guardando centinaia di film e studiandoli con cura -> molti segreti si trovano anche sepolti fra le pagine di periodici, cataloghi, memorie e note legali: senza questi documenti i film rimangono testimoni muti di progetti e ambizioni indecifrabili. ->inoltre è sempre utile conoscere la musica, l’architettura, la politica e l’economia dell’epoca + avere un’idea di quale fosse l’abbigliamento femminile, di uniforme e linee ferroviarie, di guerre coloniali e targhe automobilistiche. Ovviamente non tutti i testi dell’epoca avranno tutte le informazioni che ci servono, in alcuni libri troveremo solo citazioni mentre in altre informazioni più ricche o nessuna informazione. 2.LE FONTI DELL’EPOCA Con la nascita della fotografia in movimento ci siamo ritrovati di fronte a centinaia di pubblicazioni scientifiche, bollettini dello spettacolo, articoli di letterati e stampa in generale che si sono occupati del cinema spiegando come funzionava e come avrebbe potuto funzionare meglio, a quali condizioni la società potesse accoglierlo senza mettere in pericolo la morale comune e perché il mondo della cultura dovesse incorporarlo o respingerlo. La quantità di documenti prodotti è molto vasta e gran parte di questi sono andati distrutti o dispersi perché nessuno pensava che valesse la pena conservarli [la società di fine Ottocento e inizio Novecento era contagiata dalla frenesia dell’effimero e gettava via creazioni che oggi riteniamo di + importante citare accuratamente la fonte dalla quale abbiamo tratto ciascuna informazione quando facciamo una filmologia, anche se contiene pochi titoli. Una filmografia utile a chi studia il cinema muto non contiene necessariamente una gran quantità di variabili; ma devono essere variabili indicate con la massima precisione. CAPITOLO 4: IL LAVORO SULLA COPIA 1.COME CI SI RIVOLGE ALLE CINETECHE Una volta identificato l’oggetto della ricerca dobbiamo bussare la porta dell’archivio di competenza. Quel che è davvero importante è l’aver già affrontato tutte le questioni di metodo che non è compito della cineteca risolvere. REGOLA 4 -> Il lavoro in cineteca comporta un accordo sui diritti e doveri reciproci del ricercatore e dell’archivista. Entrambe le parti devono far sì che il momento della consultazione del film contribuisca a una migliore conoscenza dell’opera e alla sua salvaguardia materiale. L’archivista è pagato per conservare le condizioni delle pellicole e divulgarle. Se la cineteca è pubblica, si ha una specifica necessità di volgersi in quella direzione. Una volta avuto accesso alla sfera della cineteca, bisogna conquistare la fiducia di chi vi lavora, agendo con rettitudine, diplomazia e tenacia. Si hanno alcuni, elementari diritti: ---Informazione sul patrimonio della cineteca; ---Accesso ai materiali di consultazione; ---Possibilità di prendere visione delle notizie correlate agli oggetti in possesso della cineteca; ---Opportunità di ricerca su copie di qualità compatibili agli originali. Il visitatore invece ha il dovere di formulare le richieste in maniera semplice e chiara (possibilmente film ordinati alfabeticamente per titolo, con data, compagnia di produzione e regista) e di avere una lista di film estremamente specifica poiché l’archivista non è un ricercatore a servizio dell’utente. Bisogna comportarsi con buon senso senza mettere in pericolo i materiali che ti vengono affidati. I nitrati non possono essere maneggiati dal ricercatore che non ha le competenze e le abilità manuali adatte per farlo. I risultati della ricerca dovrebbero essere messi a disposizione dell’archivio per consultazione. 2.GLI STRUMENTI DEL MESTIERE Se siamo di fronte alla pellicola e dobbiamo esaminarla (se ci è permesso di toccare e maneggiare il supporto) ci sono diversi oggetti che ci saranno utili come: -guanti di garza, -una lente di ingrandimento, -un micrometro, una tabella comparativa delle lunghezze e delle durate, - una o più tabelle degli edge codes. Se possibile anche un microscopio a luce fredda può essere utile come una macchina fotografica dotata di un apparato per la riproduzione di fotogrammi -> si tratta di un duplicatore di diapositive che collegheremo all’obiettivo mediante un congegno regolabile. 3.COME SI GUARDA UN FILM MUTO Il proiettore è per lo più attrezzato a mostrare film recenti e presenta un mascherino diverso da quello utilizzato all’epoca del muto, in cui il rapporto fra altezza e base del fotogramma è di 1:1,33. Importante è anche il discorso sulla velocita che dovrebbe essere standard di 24fps ma molto spesso l’immagine è di 14 o 16fps. Per quanto riguarda la musica nel cinema muto c’è un dibattito tra puristi e riformatori (che preferiscono restaurare i film registrando su di essi una colonna sonora originale, derivata dai dischi fonografici oppure sulle musiche d’epoca, nella speranza di allargare il raggio della distribuzione commerciale di film altrimenti condannati a una circolazione limitata). La maggior parte delle cineteche è dotata di apparecchiature per la consultazione individuale dei film: visionatrici a trazione elettrica per le copie safety, passafilm a comando manuale per le copie nitrato e, in generale, per tutte le pellicole che richiedono particolari attenzioni + visionatrici, table du montage in Francia. Non tutte le cineteche consentono ai ricercatori di toccare le bobine a 35mm perché ci sono regole importanti. Una bobina infatti non deve essere afferrata per le sole estremità come se fosse un disco e non bisogna svolgere la pellicola manualmente. Nelle migliori cineteche un assistente ci guiderà nelle operazioni spiegandoci come bisogna procedere. 4.IL FILM MUTO E LO SPETTATORE-DETECTIVE Le pellicole del periodo muto hanno una propria storia e non sono entità cristallizzate materialmente nel periodo in cui furono prodotte. Ci sono infatti diverse “trappole” che possono essere insidiose. La prima è che per quanto un film possa sembrare completo, alcune sue parti possono non appartenere all’opera “originale”, essendo state inserite per una successiva distribuzione di pellicola o addirittura prese a prestito da altri film -> la pratica del rimontaggio era piuttosto in uso nel primo periodo del secolo -> si tagliavano, incollavano, rimaneggiavano pellicole per i più svariati motivi: bobina deteriorata o andata perduta, negativi senza didascalie… Al posto delle didascalie si vedono a volte, per una frazione di secondo, due linee incrociate che partono dagli angoli del fotogramma. -Flash title, quando la didascalia appare per un istante, illeggibile; -Freeze frame, quando l’immagine è congelata. Le copie dell’epoca sono quasi sempre tutte diverse tra di loro. Lo studio “interno” della storia di un film è simile alla filologia. Dietro le differenze tra film in diverse pellicole ci sono esigenze e storie differenti. Una copia originale in nitrato contiene quasi sempre diverse giunture: prodotte per almeno tre motivi: rotture e necessità di aggiustarla; il contenuto del film è stato alterato; il prodotto finito non poteva essere ottenuto senza la separazione e l’unione di diverse porzioni di film. Inizialmente le macchine per la proiezione erano “trituratrici di film”; il “montaggio” della pellicola viene inizialmente ad esempio usato per i trucchi di magia di Mèliès. Trucco del “fermo macchina e sostituzione”. La presenza delle giunture è inoltre legata alla colorazione del supporto tramite imbibizione, viraggio o mordenzatura: i segmenti della pellicola erano divisi in base al colore che doveva essere loro attribuito. Ogni colore veniva immerso in una vasca differente. Per capire che origine hanno le giunture bisogna osservarle: le originali hanno profilo rettangolare, salvo una a profilo trapezoidale, e se proprio in quel punto i conti non tornano vuol dire che probabilmente qualcuno è intervenuto. Una copia in nitrato ha sempre qualcosa da raccontarci: l’interlinea; il profilo del fotogramma, l’ombra o l’impronta, il numero, l’ampiezza e il profilo delle perforazioni. A questi elementi va aggiunto lo spessore della pellicola, che cessano di essere significative dopo il 1915. Ciò funziona solo nelle copie d’epoca, poiché i duplicati riproducono solo il fotogramma e funziona se la dimensione è almeno 35 mm. REGOLA 5 -> Le tracce utili all’identificazione di un film, siano esse interne oppure esterne al fotogramma, costituiscono indizi eliminativi da utilizzare comparativamente, e non sono prove conclusive sull’identità Le info ricavate dalla copia servono soprattutto a escludere possibilità alternative, ma non a indicare con sicurezza l’identità di un film + non bisogna mai fidarsi di ciò che si vede perché potrebbe essere benissimo un montaggio. 5.LA SCHEDA DI VISIONATURA Bisogna trascrivere le info ricavate dall’esame della copia in forma agile e completa (con anche caratteristiche tecniche e ottiche, le apparecchiature utilizzate per produrlo, la fortuna commerciale… ), senza che ciò comporti un sovraccarico di lavoro sproporzionato alle necessità e ai risultati che vogliamo ottenere. [Jean Mitry (teorico cinematografico francese e regista- uno dei padri fondatori della storiografia del cinema) sbalordiva gli ascoltatori rammendando con dettagliate inquadrature viste cinquant’anni prima in un film e ora assenti dalla copia appena visionata.] La scheda di visionatura è uno strumento di lavoro suscettibile di correzioni, aggiunte, riscritture, il suo lavoro sarà tanto più duraturo quanto più ci sforzeremo di inserirvi info che vanno al di là dei nostri bisogni immediati. Il sistema va utilizzato metodicamente. REGOLA 6 -> È necessario distinguere sempre le informazioni ricavate dalla copia da quelle ottenute consultando le fonti d’epoca e le altre fonti secondarie. La prima riga della scheda è riservata alla denominazione ufficiale del film, sulla seconda il titolo del film così come esso appare nella copia o, in sua mancanza, nelle fonti scritte disponibili. Bisognerebbe anche annotare con cura le seguenti informazioni: ---Luogo (archivio, località, collezione privata) da cui il film proviene; ---Formato del film; ---Colore, se assente o presente; ---Lingua delle didascalie; ---Apparecchiatura utilizzata per vedere il film; ---Numero di rulli rispetto alla quantità complessiva di bobine nella copia completa; ---Lunghezza e durata in rapporto alla velocità di proiezione; ---Numero d’archivio; ---Segni, cifre, lettere su didascalie o parti della copia (interpreti, numeri di catalogo, sigle e marchi di fabbrica) REGOLA 7 -> Ogni film è un oggetto unico, dotato di proprie caratteristiche fisiche ed estetiche e perciò solo parzialmente omologabile ad altre pellicole che recano lo stesso titolo. CAPITOLO 5: SAPER VEDERE IL CINEMA MUTO 1.LO SPETTATORE E IL RESTAURO Il film va visto non solamente nella dimensione della pellicola ma anche negli aspetti tecnico ambientali della sua presentazione e per un film muto bisogna sforzarsi di immaginarle. Bisogna da una parte tener conto della “storia interna” del film, cioè delle alterazioni subite dalla copia nel corso degli anni e dall’altra dobbiamo essere coscienti del fatto che la distanza storica, psicologica e culturale tra la nostra situazione presente e quella del pubblico del 1910 è enorme e che nessuna indagine storica potrà mai colmarla del tutto -> questo non ci deve comunque impedire di cercare di avvicinarci alle aspettative e alla mentalità dell’epoca in cui il film ha visto la luce. Fondamentale è il restauro -> sintesi di tutti gli interventi sull’esemplare d’epoca secondo una coerente visione di ciò che il film sarebbe stato in origine e di come esso “dovrebbe” apparire al pubblico contemporaneo. I traguardi di un restauro di solito sono due: la coerenza metodologica, spesso etichettata con il termine rigore filologico, e l’effetto spettacolare. Che cosa scegliere quando si studia e guarda il cinema muto? Un’incompleta autenticità o una bellezza artificiale? Non esiste una risposta vera. Secondo la prima (coerenza metodologica) un restauro è tanto più compiuto quanto più il risultato finale dell’operazione riflette non solo il disegno originario del film ma anche le incongruenze e lacune che la copia giunta fino a noi rivela in forma di tagli, rifacimenti, aggiunte. (es. se un film è privo della penultima inquadratura il restauratore denuncerà la mancanza del segmento inserendo al posto della parte andata persa un pezzo di pellicola scura o di colore neutro descrivendo magari il contenuto dell’inquadratura con una didascalia o con una foto di scena corrispondente all’azione -> in tal modo lo spettatore è informato del fatto che l’oggetto del restauro era incompleto). Per quanto riguarda la seconda (effetto spettacolare) punta sul fatto che una copia bella e infedele, senza interruzioni, emendamenti, è di gran lunga preferibile alla copia conforme a una presunta versione originale ma presentata in modo tale da interrompere o rendere intelligibile, umiliandola a esercizio intellettuale, l’emozione che ha reso celebre il film e che ne ha decretato la fama. -> i restauratori hanno tentato di rimettere in ordine tutte le inquadrature, inserendo come freeze frames i fotogrammi delle parti mancanti -> si è deciso di presentare un’immagine singola anziché limitarsi a riconoscere l’assenza di una porzione di pellicola mediante supporto neutro o con didascalie che indicassero i frammenti d’azione mancanti. Una volta restaurato da un’istituzione il film può essere: --- Presentato così come è stato trovato, con tutte le lacune e le imperfezioni: --- Mostrato nella versione più vicina a quella che si ritiene sia stata mostrata la prima volta; --- Realizzato con le intenzioni che chi ha diretto il film ha lasciato note -> la copia ripristina l’aspetto dell’opera così come questa avrebbe dovuto essere prima che altri fattori materiali, storici, economici la alterassero. ->DOBBIAMO SEMPRE TENERE A MENTE CHE CIO’ CHE VEDIAMO PROIETTATO NON E’ CIO’ CHE VIDERO NEGLI ANNI DEL MUTO, MA QUALCOSA CHE CI PUO’ SOMIGLIARE. REGOLA 8 -> La “copia originale” di un film è un oggetto plurimo, frammentato in un numero di versioni pari al numero delle copie sopravvissute. 2.L’ETICA DELLA RICERCA -> Il cinema, tutto il cinema, è un’arte. Bisogna quando possibile, consultare il maggior numero possibile di copie dello stesso film per poterne riscontrare le differenze e non fidarsi mai di dati non accertabili.
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