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Una passione infiammabile, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Riassunto del testo una passione infiammabile

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 02/01/2020

DayanaD
DayanaD 🇮🇹

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Scarica Una passione infiammabile e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! UNA PASSIONE INFIAMMABILE 1.1 SUPPORTO La pellicola cinematografica prodotta durante l’epoca del muto è composta quasi esclusivamente da sostanze organiche altamente instabili. Alcune immagini in movimento venivano stampate su supporti diversi rispetto al film, come ad esempio il Mutoscope, un cilindro dove vengono disposti dei rettangoli di carta dalle dimensioni variabili, su di essi sono riprodotte fotografie che, osservandole in rapida sequenza, danno l’impressione di un movimento continuo. Dal 1894 tuttavia il film si impone come supporto privilegiato per la riproduzione di immagini animate. Le sue componenti fondamentali sono: • Base: detta anche supporto. • Substrato adesivo: solitamente in gelatina. • Emulsione: lato opaco della pellicola, sensibile alla luce e legata alla base tramite il substrato. Oltre a questi tre strati ve ne possono essere altri due: • Una sottile patina di gelatina: ha lo scopo di proteggere l’emulsione dai danni meccanici. • Un ulteriore strato per prevenire la formazione di un alone che impedisce alla pellicola di arricciarsi. Fino al 1951 la maggior parte dei film prodotti è in nitrato di cellulosa, sostanza altamente infiammabile. Sostituito dall’acetato di cellulosa e in qualche caso dal poliestere. 1.2 FORMATI Lo sviluppo commerciale ha origine dalla produzione di film che presentano perforazioni sui due lati del fotogramma per il trascinamento della pellicola, stampati su un supporto flessibile largo 35 millimetri elaborato nel 1889 da Henry M. Reichenbach per conto di George Eastman. L’invenzione viene attribuita ai fratelli J.W. e I.S. Hyatt (1865) e Hannibal Goodwin (1888) e allo stesso Reichenbach. Formato usato anche da Thomas Edison per il suo Kinetoscope, dispositivo che consentiva di visionare uno alla volta brevi spezzoni della pellicola. Grazie alla popolarità del Kinetoscope venne adottata come misura standard i 35 millimetri, assecondati dalla società Eastman che produceva pellicole di 70 millimetri. Alla struttura meccanica del Kinetoscope si deve anche il fatto che la pellicola sia dotata di quattro perforazioni a profilo vagamente rettangolare, per ciascun fotogramma. Altri inventori avevano fatto ricorso a diversi tipi di perforazione, il più celebre e diffuso è quello dei fratelli Lumière, la pellicola in quest’ultimo era trascinata per una sola perforazione di tipo circolare su ciascun lato del fotogramma. • Max Skladanowsky: quattro perforazioni ai due lati del fotogramma ma piccole e circolari. • Prestwich: tre perforazioni circolari per ciascun lato. Le dimensioni e la forma delle perforazioni di Edison rimasero invariabili fino al 1905. Dal 1905 al 1924 le perforazioni diventarono più grandi e il loro profilo fu ridisegnato, base e altezza dritte, lati a profilo leggermente circolare. 1924, introduzione di due diverse perforazioni: • Kodak Standard: pellicole positive • Bell & Howell: pellicole negative La differenza sta nel voler adattare la pellicola alle diverse sollecitazioni meccaniche in fase di ripresa e di proiezione. Viene avanzata la proposta di uniformare i due tipi di perforazione ma il tentativo riscontra scarso favore. Le immagini contenute nei a film a 35mm sono state ristampate a scopo di documentazione su strisce di carta perforata come la pellicola vera e propria. Non possono essere proiettati ma ciascun fotogramma può essere riprodotto su pellicola fotografica con ottimi risultati. Molti film americani delle origini sono disponibili soltanto attraverso queste copie di Paper prints. Concorrenti e vittime dei 35mm: • Compagnia USA American Mutoscope & Biograph Company: utilizzava pellicole a 70mm prive di perforazioni laterali, 3:4; l’immagine occupava l’intera superficie del supporto. • Dal 1896 appaiono pellicole a 60mm. • Veriscope Company: nel 1897 realizza un film a 63mm; 1:1,75. • Louis Lumière: nel 1898 propone un formato di 75mm. • Gaumont: nel 1900 commerciano macchine da presa portatili con pellicole di 15mm con perforazioni al centro. • Warwick Trading Company: nel 1902 introduce una pellicola di 17,5mm per uso amatoriale da essere utilizzata sulla Biokam. (Idea ripresa dal tedesco Ernemann e dalla Pathé). • Pathé: nel 1912 propone il 28mm che riscontra una certa fortuna, tre perforazioni per fotogrammi su un lato e una sola sul lato opposto. • Eastman Kodak: nel 1920 crea la kodascope di 16mm,a tolta dalla cinepresa diventava una copia positiva che poteva essere riprodotta immediatamente. Formato Safety ossia formato non infiammabile. • Pathé: nel 1923 lancia un formato di 9,5mm per i dilettanti. 1.3 COLORE La pellicola in bianco e nero prodotta fino alla metà degli anni Venti era detta Ortocromatica ed era sensibile ai raggi ultravioletti, violetti e blu, poco sensibile alle radiazioni gialle e verdi e per niente al rosso. Per evitare che degli oggetti apparissero indistinti, gli operatori dovevano controllare costantemente gli equilibri cromatici nelle inquadrature, evitando determinati colori e arrivando a far preparare interi fondali dipinti con determinate tonalità di grigio. La pellicola Pancromatica, prodotta dalla Eastman Kodak Company e sensibile a tutte le radiazioni dello spettro, venne utilizzata sporadicamente soprattutto per il suo costo elevato. Dopo quattro anni divenne il supporto preferito dalle grandi compagnie di produzione, era meno sensibile alla luce ma consentiva finalmente di aumentare la gamma di grigi. Dal 1896 i film venivano colorati a mano, fotogramma per fotogramma, mediante sottilissimi pennelli. I risultati delle volte erano straordinari, Le royaume des fées (1903) di Georges Méliès. Difficoltà nel far sì che il colore occupasse un’area regolare del fotogramma, per questo motivo alcuni film sembrano avvolgere il fotogramma come se fosse una nuvola. Nel 1906 la Pathé brevetto un sistema di colorazione meccanica del supporto (Pathécolor), che consentiva l’impiego di una mezza dozzina di tonalità diverse. Le aree da colorare erano ritagliate su copie matrici che venivano appoggiate sulle copie positive; ciascuna tinta era applicata sul film attraverso le sagome così ottenute. Era un processo lungo e costoso, l’impiego divenne frequente dopo il 1915 e va fino agli anni Trenta. • Alterazione del contrasto • Sonorizzazione della copia • Modifica del montaggio • Immagini fisse • Didascalie sostitutive • Fotografie di scena 2.1 DAL COLLEZIONISTA ALLA CINETECA Dagli anni Quaranta insorge un movimento culturale che avrebbe dato luogo alla creazione di una associazione internazionale degli archivi del film. Il patrimonio veniva trascurato, tranne da singoli individui che hanno posto le basi delle collezioni oggi consultabili nelle cineteche. In quei tempi si faceva fatica a far comprendere agli intellettuali che il cinema era una forma d’arte, e che i film dovevano essere considerati con lo stesso rispetto delle altre opere d’arte. Per questo motivo era necessario raccogliere pellicole dovunque, depositarle da qualche parte, farle sopravvivere in un modo o nell’altro, proiettarle. Una parte del lavoro del cineteca consiste nel mantenere i rapporti con i collezionisti, sperando di convincerli un giorno che è preferibile depositare i film all’interno degli archivi piuttosto che lasciarli in una cabina di proiezione improvvisata nel salotto di casa. I responsabili delle cineteche e i loro collaboratori tuttavia non sarebbero sufficienti a setacciare tutti i depositi e le case dove giacciono le ultime bovine in nitrato, è un bene che ci siano i collezionisti. A metà degli anni 80, l’archivista USA Ronald S. Magliozzi ha pubblicato un elenco di tutti i cortometraggi depositato presso le cineteche aderenti alla FIAF, erano poco più di novemila titoli. Cortometraggio è un film di 35mm, non più lungo di 1200 metri, circa un’ora di proiezione. Non è possibile sapere quanti siano i lungometraggi a finzione e i film non a soggetto, per questo motivo vengono esclusi dall’elenco, si può però stimare che siano attorno ai seimila titoli. 2.2 LA SITUAZIONE ITALIANA Nel nostro paese esistono cinque cineteche aderenti alla FIAF. In termini quantitativi siamo secondi solo agli USA (10), la Francia è a pari merito con noi, Germania (4), Regno Unito (3) e a seguire due o una nel resto dei paesi aderenti. Le cineteche italiane sono: • Museo nazionale del Cinema: Primo archivio italiano, nasce a Torino nel 1941 da Maria Adriana Prolo, riceve lo statuto di associazione culturale nel 1953. Il prestigio è dovuto soprattutto alla spettacolare collezione di oggetti e apparecchiature precedenti l’invenzione del cinema. • Cineteca Italiana: Istituito a Milano nel 1935 come organismo privato, ufficialmente riconosciuto nel 1947, da Luigi Comencini e Mario Ferrari. Principale deposito di film realizzati durante i primi tre decenni del secolo, dodicimila pellicole, diecimila cortometraggi, 250 apparecchiature d’epoca, ottomila manifesti. Al primo posto come numero di fotografie, 600.000 • Cineteca Nazionale: Fondata a Roma nel 1949, è un servizio pubblico autonomo che raccoglie le pellicole soggette a deposito legale prodotte in Italia. Più importante d’Italia in termini quantitativi, 15.000 lungometraggi, 10.000 cortometraggi. 200.000 fotografie, 2.000 manifesti e la più grande biblioteca specializzata nel nostro paese, 28.000 volumi, 15.000 sceneggiature, 150.000 ritagli di stampa. • Cineteca Comunale di Bologna: Esiste dal 1967 ma entra nel FIAF dal 1989. Unica in Italia a disporre di un laboratorio di restauro all’interno dell’istituzione. • Cineteca del Friuli: Nasce a Gemona del Friuli nel 1977 ed entra nella federazione alla fine del 1989, fondata da Livio Jacob e Piera Patat. Contiene cinquemila titoli, cinquemila volumi e diecimila fotografie. 3.1 IMPORTANZA DELLE INFORMAZIONI SCRITTE Non si può basare un intero studio sul cinema muto solamente sulle informazioni scritte, a meno che non sia legato ad aspetti come la distribuzione, architettura delle sale di proiezione o i brevetti. Molti segreti tuttavia rimangono sepolti tra le pagine di periodici, cataloghi, memorie e note legali. Senza questi documenti i film rimangono testimoni muti di progetti e ambizioni indecifrabili. 3.2 LE FONTI D’EPOCA La quantità di documenti sul cinema prodotta in poco più di trent’anni è così vasta che raccoglierla tutta è un’impresa disperata. Gran parte di questi documenti è andata distrutta o dispersa. Del materiale in nostro possesso sono costituite le fonti primarie degli studi, ma ciò che abbiamo non è che una minima parte di quel che avremmo potuto avere a disposizione. Fonti primarie privilegiate sono le riviste, così numerose da costituire l’oggetto di una vasta bibliografia. Le fonti primarie dalle quali si trae ispirazione e sostanza per le ricerche sul cinema sono: • Libri • Materiali di produzione • Foto di scena • Manifesti • Manoscritti inediti • Scrapbooks: contenenti ritagli di giornale, cartoline con dedica, programmi di sala, dispositive in vetro per la pubblicità a film di prossima programmazione. • Apparecchiature 3.4 L’INCUBO DELLE FILMOGRAFIE Ogni epoca storica ha avuto la filmografia che si meritava, con l proprie ambizioni di completezza, i propri interrogativi lasciati irrisolti, i propri metodi di raccolta e presentazione dei dati. • Filmografia culturale: concepita allo scopo di rafforzare con un sommario apparato informativo le affermazioni di coloro che si erano assunti il compito di riscoprire o rivalutare un autore misconosciuto. Fine anni Trenta, non avevano pretese di scientificità. • Filmografia analitica: realizzata copiando il più diligentemente possibile i listini di produzione delle società. La precisione era infatti basata sulla cura nel riprodurre i dati d’origine, senza stravolgerli ma senza neppure discuterli più di tanto. • Filmografia autoriale: cresciuta all’ombra delle riviste francesi di cinema negli anni Sessanta. SI trattava di una variazione della filmologia culturale, la differenza consisteva nell’ambizione scientifica che nessuno osava mettere in discussione. La filmologia più utilizzata tuttora è quella analitica. 4.1 COME CI SI RIVOLGE ALLE CINETECHE Una volta identificato l’oggetto della ricerca, giunge il momento di rivolgersi all’archivio presso il quale sono contenuti i film che ci interessano. Bisognerà conquistare la fiducia di chi vi lavora: • Informazione sul patrimonio della cineteca. • Accesso ai materiali di consultazione. • Possibilità di prendere visione delle notizie correlate agli oggetti in possesso della cineteca. • Opportunità di ricerca su copie di qualità comparabile agli originale. Bisogna tener conto anche di: • Le richieste devono essere formulate in maniera semplice e chiara. • L’archivista non è un ricercatore al servizio dell’utente. • Gli oggetti che l’archivio mette a nostra disposizione devono essere trattati senza metterne in pericolo l’integrità. • Le richieste di film e materiali correlati devono essere commisurate alle forze dell’archivio. • Se i materiali sono sottoposti a restrizioni conviene non insistere. • Lo studio delle copie originali in nitrato richiede una certa esperienza e abilità manuali. • I risultati della ricerca devono essere messi a disposizione dell’archivio. 4.2 GLI STRUMENTI DEL MESTIERE • Guanti di garza • Lente d’ingrandimento • Un micrometro • Una tabella comparativa delle lunghezze e delle durate • Una o più tabelle degli edges codes 4.4 IL FILM MUTO E LO SPETTATORE-DETECTIVE Possiamo prendere il film per quello che è e tentare di farlo parlare alla nostra sensibilità di spettatori. Ad alcuni anni dalla prima uscita dei film, alcuni pensavano di rimetterlo in circolazione. Il più delle volte si pensava che le didascalie fossero invecchiare ma quelle nuove che venivano applicate non avevano nulla a che fare con quelle eliminate. A volte la didascalia appare per un breve tempo, si ha appena il tempo di accorgersi che c’era, non di leggerla. Questo tipo di didascalia, flash title, è comune nelle copie destinate alla distribuzione al di fuori del paese d’origine del film. Le compagnie di produzione spedivano infatti all’estero i negativi dei loro film senza le didascalie. Distinguere le didascalie richiede una conoscenza approfondita delle copie sulla cui autenticità non v’è alcun dubbio. Una copia in nitrato contiene di solito diverse giunture: • La pellicola si è rotta • Il contenuto del film è stato alterato • Il prodotto finito non poteva essere ottenuto senza la separazione e l’unione di diverse porzioni del film
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