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Una passione infiammabile: guida allo studio del cinema muto di Paolo Cherchi Usai, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Sintesi di Una passione infiammabile: guida allo studio del cinema muto di Paolo Cherchi Usai. Esame filmologia, voto 30L

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 27/02/2024

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Scarica Una passione infiammabile: guida allo studio del cinema muto di Paolo Cherchi Usai e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! Una passione infiammabile (Usai) Introduzione Introduzione alle immagini in movimento prodotte durante l’epoca del muto (periodo che va tra il 1895 e il 1927), risalendo al 1883 e ancora più indietro, fino alle embrionali apparecchiature per la riproduzione di immagini animate. Erano macchine che permettevano ad un solo spettatore alla volta di vedere sequenze lunghe una manciata di secondi. Il lungo crepuscolo del muto inizia con gli esperimenti di registrazione diretta al suono su pellicola. Ma la presenza o l’assenza di una colonna sonora sulla pellicola non basta a designare l’identità cronologica di un film muto: il cinema sperimentale è stato spesso privo di suono, ma non per questo è omologato ai film delle origini. Il cinema del primo Novecento sapeva di essere muto e si definiva tale nella certezza che la propria natura fosse la componente essenziale di una nuova forma d’arte. Il passaggio dal muto al sonoro fu, prima che una rivoluzione tecnologica, un evento che sconvolse l’industria del cinema. Da allora il muto è diventato oggetto di archeologia, una tradizione estinta e solo raramente di spettacolo. 1.Che cos’è un film muto 1.1.Supporto La pellicola cinematografica prodotta durante l’epoca del muto è composta quasi esclusivamente da sostanze organiche altamente instabili. Alcune immagini in movimento venivano stampate su supporti diversi: il Mutoscope, un cilindro sul quale sono disposti dei rettangoli dalle dimensioni variabili; mediante uno strumento per la visione individuale, offre l’illusione di movimento. Le componenti fondamentali del film sono la base, o supporto; un substrato adesivo in gelatina; un’emulsione sensibile alla luce, legata alla base mediante il substrato adesivo e costituita di solito da una sospensione di Sali d’argento in gelatina. Oltre a questi tre strati ve ne possono essere altri, come una sottile patina di gelatina, che ha lo scopo di proteggere l’emulsione dai danni meccanici. La base di gran parte dei film, fino al 1951, è in nitrato di cellulosa, una sostanza altamente infiammabile; poi quell’anno è stato sostituito dall’acetato di cellulosa e in qualche caso di poliestere. 1.2.Formati Lo sviluppo commerciale del cinema ha origine dalla produzione di pellicola, dotata di quattro perforazioni sui due lati per il trascinamento meccanico, stampata su un supporto flessibile largo 35 mm elaborato nel 1889 da Reichenbach. Questo formato in 35mm fu standardizzato. A questo tipo di pellicola, adottato ufficialmente nel 1909, è legata la fortuna del cinema come spettacolo di massa. Dal 1905 al 1924 le perforazioni delle pellicole negative e positive diventarono più grandi e il loro profilo fu ridisegnato: base e altezza diritte, lati a profilo leggermente circolare. Il 35mm non è privo di alternative: • 70mm, prive di perforazioni laterali; • 60mm, con 4 perforazioni ai lati del fotogramma; • Il formato Veriscope, 63mm che presenta cinque perforazioni per fotogramma su ciascun lato; • Il primo formato alternativo al 35mm che incontrò una certa fortuna per l’eccellente qualità dell’immagine fu il 28mm, introdotto dalla Pathè nel 1912. 1.3.Colore La pellicola in bianco e nero prodotta fino alla metà degli anni ’20 (ortocromatica) era sensibile ai raggi ultravioletti, violetti e blu e poco sensibile alle radiazioni gialle e verdi; il rosso non impressionava affatto. La pellicola pancromatica, elaborata nel 1912 dalla Kodak per conto della Gaumont e sensibile a quasi tutte le radiazioni visibili dello spettro, fu utilizzata sporadicamente a causa del suo alto costo. Nel giro di 4 anni, però, la pellicola pancromatica divenne il supporto preferito dalle grandi compagnie; era meno sensibile alla luce ma consentiva di riprodurre una gamma di grigi intermedi più vasta. Alla pellicola ortocromatica rimaneva il vantaggio di prestarsi meglio all’applicazione diretta del colore su supporto. I sistemi utilizzati erano tre: • la tintura (colorato nelle parti scure così come in quelle chiare); • il viraggio, con un sale metallico colorato (colorate soltanto le aree su cui si è depositato l’argento dell’emulsione); • la mordenzatura, con un sale d’argento non solubile, capace di fissare un colorante organico (colorate soltanto le aree su cui si è depositato l’argento dell’emulsione). I primi tentativi di realizzare film a colori mediante la sovrapposizione di immagini in rosso verde e blu risalgono al 1889. Soltanto nel 1906 George Albert Smith conseguì un risultato commercialmente valido con il Kinemacolor. Il primo supporto cinematografico sensibile al colore, Kodachrome, fu inventato dalla Kodak intorno al 1915 e poteva registrare due colori. Nel 1919 si studiò la possibilità di utilizzare, sempre a partire da due colori, il principio della sintesi sottrattivi e in meno di 3 anni si presentò un film a colori ricavato da due negativi e costituito da due esemplari positivi con colori separati, cementati l’uno a ridosso dell’altro. 1.4.Suono Come il colore, neppure il suono era estraneo al muto: fin dagli inizi le proiezioni erano state accompagnate da imbonitori e musica improvvisata al pianoforte, fino ad essere composta su commissione, con orchestre per le grandi occasioni. La prima proiezione pubblica di Intolerance fu accompagnata da un’orchestra di 46 elementi e da un coro da 16 voci. Nel 1889 Edison aveva escogitato un sistema per sincronizzare un grammofono al Kinetoscope: il Kinephonograph si limitava però ad una breve inquadratura accompagnata dalla frase “Good Morning, Mr. Edison.” Dopo The Jazz Singer, per qualche tempo i film sincronizzati avrebbero avuto vita parallela a quelli dotati di colonna sonora. 1.5.Proiezione L’operatore di proiezione doveva adeguare la velocità di proiezione al passo di ripresa, che dipendeva da diversi fattori: qualità dell’illuminazione; sensibilità della pellicola; il tipo di azione. I protezionisti delle origini mostravano i film ad una velocità variabile fra i 14 e i 18 fps. Solo a metà degli anni ’20 si arrivò allo standard dei 24fps. Prima che le apparecchiature dotate di fonte luminosa elettrica prendessero il sopravvento, esistevano almeno sistemi alternativi: la luce ossiterica, prodotta da un piccolo cilindro di calce viva incandescente; l’acetilene, subito abbandonato perché i vapori emanati avevano un odore sgradevole. 1.6.Produzione, distribuzione e decadimento La tiratura media di un film di Georges Melies è stata circa di un centinaio di esemplari, stessa cifra per i film prodotti in Danimarca dalla Nordisk durante il periodo di maggior splendore. Nel 1910 le principali case possedevano filiali in tutti i continenti. Didascalie in diverse lingue erano girate separatamente e inviate ai rispettivi paesi. Nel primo decennio del ‘900 uno stesso film era talvolta disponibile in versione colorata o in bianco e nero. Più copie di uno stesso film possono risultare diverse fra loro perché gli organismi di censura di ciascuno Stato potevano aver preso diverse dicisioni a seconda dei criteri etici e di costume prevalenti. Tra il momento in cui il film muto è proiettato per l’ultima volta e il suo ingresso in un archivio passano diversi decenni. Questo “vuoto” è la storia interna del film. La pellicola in nitrato di cellulosa non è soltanto infiammabile. È anche deperibile, anche nelle migliori condizioni di Alcuni libri pubblicati fra il 1940 e il 1970, inattendibili dal punto di vista della verosimiglianza fattuale, eppure di capitale interesse per chiunque voglia avere un’impressione viva del mondo in cui lavorarono le persone che fecero nascere il cinema. Possiamo fare a meno di molti libri che cercano di ricostruire la storia del cinema, ma non possiamo rinunciare a sapere chi ha fatto quali film, quando ciò è accaduto, dove e per conto di quale produzione. Ogni epoca storiografica ha avuto la filmografia che si meritava. La prima è la filmografia culturale, concepita allo scopo di rafforzare con un sommario apparato informativo le affermazioni di coloro che si erano assunti il compito di riscoprire o rivalutare un attore misconosciuto; non avevano nessuna pretesa di scientificità. Migliori furono i risultati conseguiti dalla filmografia analogica, realizzata copiando i listini di produzione delle società. Il progetto di una filmografia universale, modello utopistico ma che ebbe il merito di chiarire l’ampiezza del compito. La filmografia autoriale, invece, è cresciuta all’ombra delle riviste francesi degli anni ‘50. Di fronte a qualsiasi filmografia che non dica da dove provengono i dati, bisogna diffidare. Dalla nostra filmografia potenziale dobbiamo chiederci cosa vogliamo ottenere: • il titolo del film ed eventuali varianti • i nomi di chi ha partecipato alla realizzazione • i nomi di compagnia di produzione e distribuzione • lunghezza • breve ma preciso riassunto della trama • la data Qualcuno si attende alla data di produzione del film, altri indicano la data in cui il film è stato sottoposto agli organi di censura o alla release date, corrispondente alla data della prima proiezione pubblica. 4.Il lavoro sulla copia Ricercatore e archivista devono far sì che il momento della consultazione del film contribuisca a una migliore conoscenza dell’opera e alla salvaguardia materiale. L’archivista incrementa, protegge, valorizza e divulga il patrimonio della cineteca. Il ricercatore deve tener presente i limiti finanziari di ogni cineteca. Se la cineteca è pubblica, chi ne è responsabile si assume l’impegno di assolvere una specifica funzione al servizio della comunità. Se è privata, è probabile che essa riceva sovvenzioni pubbliche per funzionare. Il visitatore metterà bene in chiaro che egli è pienamente consapevole dei propri doveri, e che ha l’intenzione di rispettarli. L’ideale è una lista di film ordinati alfabeticamente per titolo, con informazioni filmografiche di base: la data, la compagnia di produzione, il regista. Gli oggetti che l’archivio mette a nostra disposizione devono essere trattati senza mettere in pericolo l’integrità. Lo studio delle copie originali in nitrato richiede esperienza e abilità manuale; non sono disponili al ricercatore per motivi di sicurezza dell’utente e delle copie. I risultati della ricerca dovrebbero essere messi a disposizione dell’archivio. Molti archivi possiedono anche un microscopio a sorgente di luce fredda, con il quale si scoprono dettagli altrimenti invisibili e talvolta rivelatori dell’identità del film e del suo stato di conservazione. 4.1.Come si guarda un film muto Il proiettore moderni sono attrezzati a mostrare film recenti, ci si accorgerà subito dello sbaglio in fase di proiezione. La velocità standard è 24fps, risultato di una lunga evoluzione che ebbe termine proprio al crepuscolo del muto. Prima di allora la velocità era tra 8 e 16fps. C’è infine la musica, che era quasi sempre parte integrante dello spettacolo cinematografico muto e che molte cineteche affidano a grandi orchestre. Alcune cineteche hanno restaurato film muti registrando su di essi una colonna sonora nella speranza di allargare così il raggio della distribuzione commerciale. Il dibattito si divide fra i “puristi”, secondo i quali non ha senso mostrare un film che non rispetti lo spirito originario dello spettacolo, e i “riformatori”, che sono disposti ad accettare qualsiasi soluzione purchè i film ne escano valorizzati. Le copie safety di consultazione si utilizzano attraverso la visionatrice, che è dotata di un comando che permette l’avanzamento della pellicola alla velocità standard di 24fps, e spesso permette anche l’avanzamento veloce. Ma maggiore è la velocità attraverso gli ingranaggi della macchina, maggiore è il danno che subisce. Se dobbiamo andare avanti e indietro con una certa frequenza durante la visionatura di un rullo di pellicola è bene azionare il comando con gentilezza. Per quanto un film appaia completo, alcune sue parti possono non appartenere all’opera “originale”. Distributori, produttori e proiezionisti tagliavano, incollavano, rimaneggiavano pellicole per svariati motivi. Al posto delle didascalie si vedranno a volte due linee incrociate che partono dagli angoli dei fotogrammi: chiamate flash title, sono comuni nelle copie destinate alla distribuzione al di fuori del paese di origine. Distinguere le didascalie originali da quelle rifatte richiede una conoscenza approfondita delle copie sulla cui autenticità non vi è alcun dubbio. A questo punto ci chiediamo se il film è completo ma più ci avviciniamo all’origine della copia, più il concetto di copia completa perde il proprio significato. Un film non è mai del tutto finito. Una copia originale in nitrato contiene di solito diverse giunture, prodotte per almeno tre motivi: • la pellicola si è rotta; • il contenuto del film è stato alterato; • il prodotto finito non poteva essere ottenuto senza la preparazione e l’unione di diverse porzioni del film. Il sistema più pratico per unire due lembi di pellicola consiste nel saldarne le estremità con un collante adatto. Meliès si avvalse di questo metodo per i film a trucchi attraverso il “fermo macchina e sostituzione”. Il profilo di una giuntura sul negativo appare sempre come una sottile linea chiara; una giuntura sulla copia positiva apparirà invece come una linea scura. Regola #5: le tracce utili all’identificazione di un film costituiscono indizi eliminativi da utilizzare comparativamente e non sono prove conclusive sulla sua identità. 4.2.La scheda di visionatura A questo punto non resta che trascrivere le informazioni ricavate dall’esame della copia. È necessario distinguere sempre le informazioni ricavate dalla copia da quelle ottenute consultando le fonti d’epoca e secondarie. È bene distinguere le pellicole che ancora non hanno un nome da quelle la cui identità è incerta. Lo stesso vale per la data, da indicare sull’angolo destro della scheda: fra parentesi tonda se si dubita delle informazioni d’archivio, quadra se è un’ipotesi. Accanto alla data diremo qualcosa sul fatto che il film sia una commedia, un dramma o un film a trucchi. Tutti i teorici dovrebbero annotarsi con cura le seguenti informazioni: • il luogo da cui il film proviene; • il formato del film o del supporto contenente le immagini; • la natura del supporto; • l’assenza o presenza del colore; • la lingua delle didascalie; • il tipo di apparecchiatura utilizzato per vedere il film; • la data in cui il film è stato visto e il numero d’archivio della copia; • la lunghezza e la durata in rapporto alla velocità complessiva di bobine nella copia incompleta (se mancano dei rulli, bisogna specificare quali). Regola #7: ogni film è un oggetto unico, dotato di proprie caratteristiche fisiche ed estetiche e perciò solo parzialmente omologabile ad altre pellicole che recano lo stesso titolo. 5.Saper vedere il cinema muto Tutti i film visti da uno spettatore consapevole dovrebbero ricevere un’attenzione estesa alle condizioni tecniche e ambientali della sua presentazione. Da un lato dobbiamo tenere conto di quella che abbiamo chiamato la “storia interna” del film, cioè le alterazioni subite dalla copia nel corso degli anni; dall’altro dobbiamo essere coscienti del fatto che la distanza storica, psicologica e culturale tra la nostra situazione presente e quella del 1910 è enorme. Saper vedere un film muto significa rendersi conto di come esso sia stato sottoposto alla nostra attenzione ed eventualmente modificato. Un restauro è compiuto quando il risultato finale riflette anche le incongruenze e le lacune che la copia giunta fino a noi rivela in forma di tagli, rifacimenti e aggiunte, magari inserendo al posto inquadratura mancante una didascalia descrivendo il contenuto dell’inquadratura. Un esempio concreto al riguardo è costituito dalle tre versioni di Intolerance. La prima è stata presentata con un accompagnamento orchestrale composto per l’occasione. La seconda è frutto degli sforzi congiunti dell’emittente britannica Thamese Television, e del compositore Carl Davis. Con la terza, nuove idee e digressioni narrative risultavano riconoscibili. Che cosa scegliere, dunque, quando si guarda e si studia il cinema muto, tra un’incompleta autenticità e una bellezza artificiale? Regola #8: la “copia originale” di un film è un oggetto plurimo, frammentato in un numero di versioni pari al numero delle copie sopravvissute. Sappiamo inoltre che le copie originali erano spesso colorate mentre molte di quelle a nostra disposizione sono in bianco e nero; se non lo sono, vuol dire che quasi sempre che il colore è stato riprodotto con tecniche moderne ed è certo che queste tecniche non sono per il momento in grado di riprodurre fedelmente le sottili variazioni cromatiche e gli effetti luministici originali.
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