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Una passione infiammabile, riassunto, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

Riassunto del libro Una passione infiammabile per esame di Filmologia

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 28/11/2021

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leti_1999 🇮🇹

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Scarica Una passione infiammabile, riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! PAOLO CHERCHI USAI UNA PASSIONE INFIAMMABILE Supporto Pellicola cinematografica prodotta durante l'epoca del muto= composta da sostanze organiche altamente instabili. Alcune immagini in movimento venivano stampate su supporti diversi dal film: è il caso del Mutoscope, un cilindro sul quale sono disposti rettangoli di carta dalle dimensioni variabili; su questi rettangoli sono riprodotte fotografie che, se osservate in rapida sequenza mediante uno strumento per la visione individuale, danno l'impressione di un movimento continuo — Figura 9. Le sue componenti: una base detta anche supporto un sottilissimo substrato adesivo in gelatina un'emulsione (il lato opaco della pellicola) sensibile alla luce, legata alla base mediante il substrato adesivo e costituita di solito da una sospensione di sali d'argento in gelatina. Oltre a questi tre strati ce ne possono essere altri due: 1.una sottile patina di gelatina (protegge l'emulsione dai danni meccanici derivati dall'uso del film) 2.un ulteriore strato che serve a prevenire la formazione di un alone sull'immagine o che impedisce alla pellicola di arricciarsi. La base di gran parte dei film prodotti fino al 1951 è in nitrato di cellulosa., una sostanza infiammabile. Dal 1951 in poi il nitrato è stato sostituito dall'acetato di cellulosa (meno infiammabile) e in qualche caso dal poliestere. Sperimentazione di produzione di film detti di sicurezza in acetato di cellulosa (invenzione di Eichengrun e Becker del 1901) o in nitrato rivestito da sostanze non infiammabili. I primi esemplari del genere a noi noti risalgono al 1901. Formati Lo sviluppo commerciale del cinema ha origine dalla produzione di film (con perforazioni sui due lati del fotogramma per il trascinamento meccanico della pellicola) stampati su un supporto flessibile largo 35 millimetri elaborato nel 1889 da Henry M. Reichenbach per conto di George Eastman, a partire da un'invenzione attribuita anche ai fratelli J.W. e I.S. Hyatt (1865), ad Hannibal Goodwin (1888) e allo stesso Reichenbach. Questo era il formato adottato da Edison nel suo Kinetoscope, un dispositivo che permetteva a uno spettatore alla volta di vedere brevi spezzoni di pellicola. Il 35 millimetri divenne un formato standard (tendenza assecondata dalla società Eastman, le cui pellicole per macchine fotografiche erano larghe 70 millimetri: era sufficiente tagliarle nel senso della lunghezza). Dal 1909 questo tipo di pellicola venne adottato da tutte le compagnie di produzione. La pellicola a 35 millimetri era dotata di 4 perforazioni, a profilo rettangolare (circa), per ciascun fotogramma (questo tipo di perforazione si deve ad Edison). Altri tipi di perforazione (precedenti a quello di Edison): quello dei fratelli Lumière, in cui la pellicola ha una sola perforazione, a profilo circolare, su ciascun lato del fotogramma — Figura 1. Altri formati: 1.quello di Max Skladanowsky (quattro perforazioni ai due lati del fotogramma, ma molto più piccole di quelle del sistema Edison e a profilo circolare). 2. quello della compagnia inglese Prestwich (tre perforazioni circolari per ciascun lato del fotogramma). Fino al 1905 le dimensioni e la forma delle perforazioni Edison rimasero invariate- Figura 19. Da 1905 al 1924 le perforazioni diventarono più grandi e il loro profilo fu ridisegnato: base e altezze dritte, lati del profilo leggermente circolare - Figura 18. Nel 1924 vi fu un'ulteriore modifica delle perforazioni: le “Kodak Standard” per le pellicole positive e le “Bell & Howell” per le pellicole negative; differenziazione fatta per adattare la pellicola a diverse macchine in fase di ripresa e di proiezione. Per diversi anni, soprattutto negli USA, le immagini contenute nei film a 35 mm sono state ristampate a scopo di documentazione su strisce di carta fotografica perforata come pellicola vera e propria (paper prints) che possono essere riprodotti su pellicola fotografica - Figura 14. Concorrenti del formato di pellicola 35 mm: 1.La compagnia statunitense American Mutoscope & Biograph Company (attiva tra la fine dell' '800 e l'inizio del '900), produttrice dei Mutoscope, utilizzava pellicole a 70 millimetri prive di perforazioni laterali. La proporzione fra altezza e lunghezza del fotogramma è d i circa 3:4 — Figura 9-10. 2. pellicole da 60 mm (apparvero dal 1896): pellicola Prestwick a 60 mm, con quattro perforazioni ai lati del fotogramma e un rapporto fra lunghezza e altezza dell'immagine simile a quello del 35 mm (conservata al National Film Archive di Londra) e pellicola 60 mm del francese Geroges, Demeny, che ha 15 perforazioni ogni quattro fotogrammi — Figura 2. 3. l'americana Veriscope Company realizzò un film nel 1897 a 63 mm: The Corbett-Fitzimmons Fight, cronaca di un incontro di pugilato — Figura 3. Il formato Veriscope presenta cinque perforazioni per fotogramma su ciascun lato; la proporzione fra altezza e larghezza del fotogramma è di 1:1,75. 4. un “grande formato” di 75 mm (con fotogramma alto 45 mm e largo 60 mm), fu proposto da Luis Lumière nel 1898. 5. nel 1900 la Gaumont iniziò la vendita del Chrono de poche, una macchina da presa portatile che utilizzava pellicola a 15 mm perforata al centro — Figura 15. 6. Nel 1902 l'inglese Warwick Trading Company introdusse una pellicola a 17,5 mm ad uso amatoriale, destinata ad essere utilizzata dalla Biokam, apparecchiatura che consentiva di riprendere, stampare e proiettare film. La perforazione è una sola sulla linea di divisione tra un fotogramma e l'altro (interlinea). Questa idea fu ripresa dal tedesco Ermemann (con una perforazione dal profilo diverso) — Figura 6- e dalla Pathé. 7. pellicola 28 mm della Pathè che ebbe successo, prodotto nel 1919. Questa pellicola veniva stampata su supporto ininfiammabile (safety) a partire da negativi di nitrato e la sua caratteristica era la perforazione asimmetrica: tre perforazioni per fotogramma su un lato, una perforazione epr fotogramma sul alto opposto — Figura 12. Nelle copie stampate negli USA le perforazioni sono tre per ciascun lato. 8. pellicola amatoriale per eccellenza: 16 millimetri, inventata da Eastman Kodak nel 1920, nota come Kodascope, la pellicola estratta dalla cinepresa veniva direttamente in copia positiva e poteva essere così proiettata. Quasi tutte le pellicole di questo formato erano prodotte su supporto safety — Figura 13. 9. dal 1923 la Pathé lanciò un altro formato per dilettanti: il 9,5 millimetri, per diversi anni concorrente del 16 mm. Le copie positive in 9,5 mm erano fabbricate su pellicola non infiammabile — Figura 17. 10. Italia Film Torino: fotogramma a 35 mm diviso in quattro parti e perciò utilizzabile per quattro diverse riprese. 11.22 mm (Home Kinetoscope) della Edison, con tre strisce di fotogrammi di larghezza di poco superiore a 5 mm, ciascuna divisa da uan linea di perforazioni — Figura 5. 12. Il Kino-Salon della tedesca Messter, con quattro serie di fotogrammi e tre linee di perforazioni su una pellicola di larghezza appena inferiore a 35 mm — Figura 8. 13. la pellicola Oko del polacco Proszynski (1913) con dimensioni 120 mm. secondo. La velocità ideale di proiezione poteva variare anche all'interno di uno stesso film. La velocità media di proiezione aumentò comunque nel corso degli anni fino a consolidarsi sui 24 fotogrammi al secondo, mentre i proiettori a motore elettrico facevano la loro comparsa in un numero crescente di sale cinematografiche. La qualità della proiezione era notevolmente influenzata anche dal tipo di illuminazione adottato. Prima della fonte luminosa elettrica esistevano almeno quattro tipi di sistemi alternativi: 1. la luce ossieterica: prodotta da un piccolo cilindro di calce viva resa incandescente dalla fiamma prodotta da una miscela di ossigeno ed etere 2. la luce ossidrica: basata su un analogo principio, ma ottenuta da una miscela di ossigeno e idrogeno 3. la luce ossicalcica: l'incandescenza della calce viva è provocata da un getto di ossigeno combinato alla fiamma prodotta dall'alcool 4. l'acetilene: sperimentato a cavallo fra '800 e '900, ma subito abbandonato perché la luce suscitata da questo gas era assai debole e perché i vapori da essa emanati avevano un odore sgradevole. Nella forma divenuta universalmente diffusa poco dopo l'invenzione del cinema, i proiettori a 35 mm utilizzavano pellicole i cui fotogrammi misuravano circa 23 mm in larghezza e 18 in altezza; ogni metro di film conteneva 54 immagini (16 fotogrammi per ogni piede di pellicola). La proporzione fra altezza e larghezza del fotogramma (1:1,29 circa) rimase praticamente inalterata fino a quando non fu introdotta la colonna sonora. Nessun tipo di fotogramma anamorfico fu escogitato fino a 1925. Pellicole nelle quali l'allargamento del campo di visione era in realtà conseguenza della modifica del rapporto fra altezza e larghezza del fotogramma, i due più rilevanti tentativi in tal senso sono costituiti dal Cinéorama di Grimoin Sanson, costituito da dieci proiettori a 70 mm disposti a 360 gradi al fine di presentare un'immagine che circondasse il pubblico, e dall'altrettanto effimero sistema Polyvision, applicato alla celebre sequenza del “trittico” nel Napoléon di Abel Grance. Importante fu l'esperimento dell'italiano Filoteo Alberini con una macchina per pellicola a 70 mm, il cui angolo di ripresa raggiungeva i 110 gradi. (Tavola dei formati a p. 24, figura 11). Produzione Quanti film sono stati prodotti durante l'epoca del muto? Nessuno lo sa con precisione e forse non lo sapremo mai, anche perché molti sono andati dispersi. Si pensa che siano sui 30 mila, ma il numero potrebbe essere probabilmente maggiore. Distribuzione Per quanto riguarda la distribuzione bisogna anche tenere conto dal numero di copie di ciascun film vendute o noleggiate agli esercenti. L'industria del cinema subì inizialmente l'influenza di alcuni paesi europei (Francia, Danimarca, Italia), prima di essere dominata dagli Stati Uniti. La diffusione dei film prodotti dalle maggiori società europee e americane sul mercato mondiale fu rapidissima; già prima del 1910 le principali marche possedevano filiali e uffici di rappresentanza in tutti i continenti. Didascalie in diverse lingue erano girate separatamente e inviate ai rispettivi paesi con le copie richieste o addirittura con un negativo appositamente stampato (la ripresa di un film con due macchine da presa appaiate divenne pratica corrente nel giro di pochi anni dall'invenzione del cinema). Se un epilogo appariva poco adatto alla sensibilità del pubblico di un determinato paese, si mettevano a disposizione bobine contenenti finali alternativi (detti “alla russa”). Decadimento Tra il momento in cui un film muto è proiettato per l'ultima volta nel contesto di un sistema distributivo commerciale e il suo ingresso in un archivio o in una collezione intercorre un vuoto di diversi decenni. Questo “vuoto” è la storia “interna” del film: storia dei luoghi che lo hanno ospitato, delle persone che lo hanno conservato, delle modifiche intervenute nel corso del tempo sull'oggetto, storia della sua progressiva autodistruzione e definitiva scomparsa prima che l'opera abbia potuto essere sottoposta a restauro. La pellicola in nitrato di cellulosa non solo è infiammabile, ma è anche deperebile: non può essere utilizzata oltre un limitato numero di proiezioni e a sua durata ottimale non supera i 100 anni. Gli archivi dei film si stanno adoperando per trasferirla in supporti più durevoli. Il nitrato, non appena comincia a decomporsi, la pellicola inizia a produrre diversi gas, soprattutto anidride nitrosa, che combinata con l'acqua contenuta nella gelatina e con l'aria forma acido nitroso e acido nitrico. Questi acidi corrodono i sali d'argento dell'emulsione distruggendo l'immagine e il supporto che ne reca le tracce, fino al totale dissolvimento della pellicola. Nella fase estrema del decadimento, il film è ridotto a una grossa pastiglia biancastra o addirittura a polvere, altrimenti assume una colorazione marrone e diventa appiccicosa e molle. Una pellicola in nitrato in perfette condizioni brucia alla temperatura di 170° centigradi; un film in decomposizione può bruciare anche a temperature inferiori, fino ai 41 gradi. Se il nitrato è raccolto in quantità consistente, il film esplode e non c'è modo di spegnere le fiamme. Nelle fasi iniziali di decomposizione la pellicola può ancora essere salvata e trasferita in un altro supporto, ma in ogni caso il film in nitrato di cellulosa deve essere trattato con la massima cautela. In Italia la proiezione di film in nitrato è illegale. Un film in nitrato si riconosce spesso grazie alla scritta “nitrate film” sul bordo della pellicola; se la scritta dice “safety film” si può essere quasi certi che non c'è pericolo, ma dobbiamo comunque trattarla stando attenti. Regola 1: nel caso di ritrovamento di un film di nitrato, non bisogna tentare di proiettarlo! Occorre invece rivolgersi al più vicino archivio del film. Neppure un film su supporto safety è del tutto stabile. La base delle pellicole non infiammabili prodotte durante l'epoca del muto (es: quelle di 16mm) è il diacetato di cellulosa, un supporto più sicuro del nitrato, ma anch'esso soggetto a decomposizione. Il fenomeno riguarda anche i film stampati su base di triacetato di cellulosa ed è noto come vinegar syndrome (sindrome dell'acetato) per il fortissimo odore acidulo emanato dalla pellicola quando il processo di decadimento è in corso: il film risulta fragile, tende ad accartocciarsi. La decomposizione in film in nitrato può essere rallentata, ma non fermata. Lo stesso vale per i film interessati dalla vinegar syndrome: i tecnici hanno elaborato una soluzione teorica a questo nuovo problema, ma essa non è per il momento applicabile. Sembra che il supporto fotografico più durevole per il film sia il poliestere. Riproduzione Proprio perché fragilissime e rare le copie dell'epoca non possono essere proiettate. E' opinione condivisa dalle cineteche aderenti alla Fédération Internationale des Archives du Film (FIAF) che una pellicola restaurata debba essere vista su un supporto analogo a quello d'origine. Da ciascun esemplare viene ricavato un negativo d'archivio, dal quale si ottengono copie di consultazione. La pellicola da 35mm è utilizzata anche per la duplicazione di film realizzati in altri formati. Molti archivi hanno deciso di riprodurre i film muti a colori su pellicola in bianco e nero, poiché la tecnologia attuale non è ancora riuscita ad escogitare un supporto in grado di riprodurre con assoluta fedeltà la trasparenza e i colori del nitrato. Per quanto simile all'originale, una copia safety può tuttavia presentare difetti che non dipendono dall'esemplare d'epoca ma dal modo in cui esso è stato manipolato e poi duplicato: 1. doppio interlinea: il fotogramma è attraversato nel senso della larghezza da una linea opaca, per lo più adiacente al margine superiore o inferiore del fotogramma. 2. stretching: è il procedimento che consente la proiezione di un film muto alla velocità di 24 fotogrammi al secondo o a velocità superiori (per uso televisivo). 3. quadro tagliato: la riproduzione di ciascun'immagine effettuata eliminando le aree periferiche del fotogramma originale, allo scopo di inserirvi una colonna sonora (taglio sulla parte sinistra dell'immagine proiettata) o di adottare la proporzione del fotogramma dell'epoca a quelle dei mascherini installati sui proiettori moderni. 4. alterazione del contrasto: dovuta a una ristampa inaccurata o deliberatamente effettuata allo scopo di migliorare la qualità chiaroscurale della copia d'origine, adattandola all'assenza del colore o al gusto corrente 5. sonorizzazione della copia tempo dopo che essa fu originariamente distribuita e sfruttata commercialmente 6. modifica del montaggio: ad opera di restauratori e archivisti intraprendenti 7. immagini fisse (freeze frames): corrispondenti a inquadrature o didascalie danneggiate o sopravvissute in forma di brevissimi frammenti e perciò ristampate più volte per renderne intellegibile il contenuto al momento della proiezione 8. didascalie sostitutive rifatte dall'archivio perché quelle originali sono scarsamente leggibili 9. fotografie di scena o altre immagini fisse inserite nel film per integrare eventuali lacune. In più, tra queste: assenza del colore. Dove si trovano i film? Dal collezionista alla cineteca All'inizio degli anni Quaranta — il cinema muto era lasciato marcire nei depositi, tranne che per alcuni individui che, investendo impegno, denaro, impegno professionale ed esistenziale, hanno posto le basi delle collezioni oggi consultabili nelle cineteche e sono: Ernest Lindgren nel Regno Unito Henri Lenglois in Francia James Card negli Stati Uniti Jacques Ledoux in Belgio Maria Adriana Prolo in Italia Tutti questi appassionati si ritrovavano in tempi in cui si faceva già una gran fatica a convincere gli intellettuali che il cinema era una forma d'arte e che i film dovevano essere considerati con lo stesso rispetto che si deve a un pièce teatrale, a un dipinto, a un'opera architettonica. Senza il sacrificio di tanti anonimi collezionisti delle pellicole di nitrato (dei film muti), oggi ci sarebbe ben poco da vedere. I collezionisti esistono tutt'ora. I collezionisti difficilmente lasciano andare le pellicole che hanno collezionato. A metà degli anni Ottanta un archivista statunitense, Ronald S.Magliozzi, ha pubblicato un elenco di tutti i cortometraggi di finzione del periodo muto depositati presso le cineteche aderenti alla Fédération Internationale des Archives du Film (FIAF). Vedere film appartenenti a primi trent'anni del secolo in Italia è meno difficile di quanto non sia in altri paesi. Gli archivi di ciascun paese offrono di solito al ricercatore una grande quantità di pellicole prodotte entro i confini nazionali e lo indirizzano altrove qualora egli voglia esplorare i territori più esotici. La più grande fra le istituzioni che scavano nel passato dell'immagine in movimento è la FIAF che, nata a Parigi nel 1938, ha costituito la prima formalizzazione di una tendenza nel nome di seguenti obbiettivi comuni: 1. coordinare l'attività delle istituzioni che si dedicano, in ciascun paese, alla ricerca e alla salvaguardia del film 2. incoraggiare la raccolta e la conservazione di materiali attinenti alle immagini non in movimento (i cosidetti “non-film”) “secondaria” è ogni informazione che riassume o interpreta una conoscenza desunta dal periodo studiato. Regola 3: se un libro o un articolo sul cinema muto presenta un dato controverso e non offre alcuna possibilità di verificarne l'esattezza. Prima che tale regola sia intesa drasticamente e applicata fino alle estreme conseguenze è il caso di fare due distinzioni: 1.il diritto di margine di errore per coloro che hanno preceduto nella ricerca. Ad esempio uno storico del cinema che scriveva negli anni Quaranta non disponeva certamente di strumenti documentari e metodologici oggi accessibili a tutti. 2. risultati conseguiti da allora ad oggi nell'ambito della ricerca storica, estetica e teorica applicata al film e la mentalità che ne deriva. Esempio: le opere scritte senza troppo badare alla precisione del dato. Per quanto riguarda la conoscenza dei film non possiamo fare a meno di sapere chi ha fatto quali film, quando ciò è accaduto, dove e per conto di quale compagnia di produzione. Per farla breve, ci serve una filmografia. Ogni epoca storica ha avuto la filmografia che si meritava (qui di seguito in ordine cronologico): 1. filmografia cultura con lo scopo di riscoprire o rivalutare un autore misconosciuto. I film citati erano, nella migliore delle ipotesi, trascritti in ordine alfabetico: titoli incompleti o inesatti, confusioni di date, erronee attribuzioni erano all'ordine del giorno. 2. filmografia analogica realizzata copiando il più diligentemente possibile i listini di produzione delle società. 3. filmografia autoriale era una variazione saggiamente riveduta di quel che era stato fatto dalle filmografie culturali. La filmografia autoriale dominò incontrastata il campo per quasi due decenni, finché non si diffuse l'idea di filmografia analitica. 4. filmografia analitica si diffuse fra coloro che ne avevano abbastanza di filmografie fantasma e di interminabili e inutili liste di titoli e nomi. La filmografia analitica è tutt'ora la più utilizzata, ma essa ha già dato luogo a due fenomeni collaterali: - non pubblicarla affatto perché si presume che essa non sia ancora completa. - pubblicare tutto, anche titoli di film che forse non sono mai usciti o non sono stati completati Ogni film è descritto con tale precisione e abbondanza di particolari che ciascuno di essi può occupare diverse decine di pagine, traendo così lo scopo principale di una filmografia: l'essere un agile, affidabile e duraturo strumento di consultazione e di identificazione. Di fronte a qualsiasi fotografia che non ci dice da dove provengono i dati, occorre diffidarsi. Di chi fidarsi allora? Della nostra onestà scientifica, che metteremo alla prova dichiarando cosa vogliamo ottenere dalla nostra filmografia potenziale e come vogliamo organizzare le informazioni che ne costituiscono l'essenza: -il titolo del film, con tutte le sue eventuali varianti -i nomi di chi ha partecipato alla loro realizzazione, coni relativi ruoli tecnici e, per quanto riguarda gli attori, coni nomi dei personaggi da essi interpretati -i nomi della compagnia di produzione e di distribuzione -la lunghezza del film -un breve ma preciso riassunto della trama -la data Ma quale data? Gli storici ne discutono da quando esiste la storia del cinema e ognuno continua ad usare il sistema che più gli conviene, che può essere: data di produzione del film, la data di release (pubblica distribuzione), la prima data di approvazione o di revisione in censura. Il lavoro sulla copia Come ci si rivolge alle cineteche Una volta identificato l'oggetto di ricerca ci si rivolge alle cineteche. Regola 4: il lavoro in cineteca comporta un accordo sui diritti e doveri reciproci del ricercatore e dell'archivista. Entrambe le parti devono far sì che il momento della consultazione del film contribuisca a una migliore conoscenza dell'opera e alla sua salvaguardia materiale. Gli strumenti del mestiere Una cineteca degna di questo nome dovrebbe avere tutti questi strumenti: 1. guanti di garza: vanno indossati per non lasciare le impronte delle dita sul supporto e servono soprattutto a evitare graffi e o sporco sulle dita 2. una lente d'ingrandimento 3. un micrometro 4. una tabella comparativa delle lunghezze e delle durate 5. una o più tabelle di edge codes Molti archivi possiedono anche un microscopio a sorgente di luce fredda (che non danneggia il supporto), con il quale si scoprono dettagli altrimenti invisibili sullo schermo e talvolta rivelatori dell'identità del film e del suo stato di conservazione. Quel che possiamo portare con noi è una macchina fotografica dotata di un apparato per la produzione di fotogrammi: un duplicatore di diapositive. Come si guarda un film muto Il proiettore possiede un mascherino diverso da quello utilizzato all'epoca del muto, in cui il rapporto fra altezza e base del fotogramma è di 1:1,33. La velocità di proiezione deve essere adattata sia ai movimenti che ai personaggi sullo schermo e ciò è difficile perché la velocità standard di 24 fotogrammi al secondo è il risultato di una lunga evoluzione. Molti proiettori di recente costruzione sono dotati di un variatore di velocità incorporato alla macchina e allora è sufficiente stabilire qual è la velocità adatta e assicurarsi che l'apparecchiatura sia predisposta di conseguenza. Ci può essere anche il così detto “sfarfallio” dell'immagine proiettata a una velocità inferiore ai 22 fotogrammi al secondo, che si può risolvere con un otturatore a tre pale. Vi è anche il fatto della musica. Gli spartiti d'epoca disponibili negli archivi sono di solito per pianoforte. Più facili da reperire sono i fogli di istruzioni noti nei paesi anglosassoni come cute sheets, nei quali si indicavano al pianista o al direttore dell'orchestra i brani tratti dal repertorio classico e popolare da eseguire in corrispondenza a ciascun episodio del film. Alcune cineteche hanno restaurato film muti registrando su di essi una colonna sonora, ma questo falsifica in un certo modo la natura di uno spettacolo basato su un dispositivo produttore di immagini e una fonte sonora collocata davanti e dietro lo schermo. In cineteca l'interprete prevale sullo spettatore. Niente musica, niente “effetto-comunità” coni vicini di poltrona e il più delle volte niente grande schermo: il film è come un antico manoscritto che ci è consentito di guardare a determinate condizioni. La maggior parte delle cineteche è dotata di apparecchiature per la consultazione individuale del film: visionatrici a trazione elettrica per le copie safety, passafilm a comando manuale per le copie nitrato e, in generale, per tutte le pellicole che richiedono particolari attenzioni. Quanto alle copie safety di consultazione, l'assistente ci spiegherà come far passare il film attraverso gli ingranaggi della visionatrice: 1. la visionatrice è dotata di un comando che permette l'avanzamento della pellicola alla velocità standard di 24 fotogrammi al secondo. Quasi sempre lo stesso comando permette anche l'avanzamento o l'arretramento veloce: adoperiamolo il meno possibile, soprattutto sulle copie a 35 millimetri 2. se dobbiamo andare avanti e indietro è bene azionare il comando con gentilezza, evitando per quanto possibile le brusche inversioni di marcia poiché la pellicola ne soffre e potrebbe anche spezzarsi 3. quando abbiamo finito di esaminare il rullo non riavvolgiamolo: a questo penserà il tecnico di archivio 4. se per un motivo qualsiasi la pellicola si spezza o se a troviamo spezzata al momento della consultazione, fermeremo la visionatrice e chiameremo l'assistente. Se in quel momento nessun assistente è a disposizione, uniremo le due estremità della pellicola con un pezzetto di nastro adesivo per giunture 5. può accadere che il rullo non sia stato riavvolto dopo la precedente visionatura: è quando l'immagine risulta rovesciata. In questo caso ci penserà il tecnico a riavvolgere il film 6.i filma 25 e 16 millimetri sono avvolti in nuclei in plastica o in portabobine di diversa grandezza. E' buona norma far sì che, sulla parte della visionatrice destinata a raccogliere la pellicola, vi sia un nucleo o un portabobine delle stesse dimensioni 7. nell'iniziare la visionatura del film non bisogna utilizzare mai nastro adesivo per attaccare l'estremità iniziale della pellicola al nucleo: così rischieremo di provocare una pericolosa tensione sul film durante la fase di riavvolgimento 8. quando si è quasi al termine di un rullo, in prossimità della coda è bene fermare la visionatrice. Nonostante la regola precedente si troveranno ancora molte bobine attaccate al nucleo mediante nastroadesivo. In questo caso la pellicola va rimossa prima che l'estremità con nastro adesivo entri negli ingranaggi 9. se ci rendiamo conto che si tratta di un film di nitrato o safety urgentemente bisognoso di restauro fermiamo subito la visionatrice e chiamiamo un assistente spiegandogli il nostro punto di vista sulla situazione. Guadagneremo in stima e in fiducia da parte dei responsabili dell'archivio 10. non si fuma, non si beve, non si porta cibo davanti la visionatrice. Il film muto e lo spettatore-detective Se l'oggetto che si consulta si rivela essere un tesoro, la nostra felicità sarà ampiamente premiata. Tuttavia, perché si parla di entità non cristallizzate materialmente nel periodo del muto hanno una storia e la Storia è costellata da tranelli. La prima trappola: alcune parti di un film possono non appartenere all'opera originale: la pratica del rimontaggio era molto comune alla fine del periodo muto. Distributori, proprietari locali e proiezionisti rimaneggiavano pellicole. A volte si sostituivano didascalie vecchie con quelle nuove che però non avevano nulla a che fare. Al posto delle didascalie si vedranno a volte, per una frazione di secondo, sue linee incrociate che partono dagli angoli del fotogramma, oppure iscrizioni tracciate a inchiostro, impresse a caldo o graffiate sul negativo, illeggibili sullo schermo. A volte la didascalia appare per un breve istante; si ha appena il tempo di accorgersi che c'era, non di leggerla. Questo tipo di didascalia è noto in inglese come flash title ed è comune nelle copie destinate alla distribuzione al di fuori del paese d'origine del film. Per diversi anni alcune cineteche hanno avuto l'abitudine di rifare comunque tutte le didascalie, nell'illusione di renderle più leggibili. Noteremo la differenza solo perché il testo non apparirà coni lievi graffi e difetti di stampa tipici di una didascalia integra. Una copia di nitrato contiene di solito diverse giunture. Finchè e tecniche di montaggio non costituirono l'oggetto di un'arte con tanto di regole, i pioneri del cinema fecero ricorso a sistemi più bizzarri per effettuare le giunture. una serie di schede a carattere tematico (film con rappresentazioni dirette della violenza) sulle quali segneremo soltanto i titoli delle opere corrispondenti. Per quanto riguarda gli ingrandimenti del fotogramma vi è l'esigenza di mettere in ordine i negativi e di sapere subito dove andare a cercare le foto. Bisogna: 1. prendere nota delle foto sulle schede di visionatura, attribuendo un numero d'ordine al negativo e alle immagini scattate 2. una volta sviluppato il negativo, metterlo in una busta numerata 3. redigere un elenco dei negativi, coni numeri delle foto e i titoli dei relativi film 4. ogni volta che si stampa una foto, scrivere sul retro il numero del negativo corrispondente Così reperiremo subito la foto del film che c'interessa. Non è necessario stampare subito tutte le foto. Lo spettatore e il restauro Quando si tratta di vedere un film realizzato ottant'anni prima è necessario un grande impegno: occorre sforzarsi di immaginare che cosa deve aver significato vedere quel film all'epoca in cui esso fu distribuito. Il problema può essere esaminato secondo due punti di vista. Da un lato occorre tener conto di quella che abbiamo chiamato la “storia interna” del film, cioè le alterazioni subite dalla copia nel corso degli anni; dall'altro dobbiamo essere coscienti del fatto che la distanza storica, psicologica e culturale tra la nostra situazione presente e quella del pubblico del 1910 è enorme e che nessuna indagine storica potrà mai colmarla del tutto. Per quanto riguarda il restauro le cineteche devono per forza stabilire uno standard minimo di accettabilità dell'intervento (di restauro) e applicarlo sistematicamente. I traguardi del restauro sono di solito due: la coerenza metodologica, spesso etichettata con il termine “rigore filologico” e l'effetto spettacolare. Secondo il primo traguardo un restauro è tanto più compiuto quanto più il risultato finale dell'operazione riflette non solo il disegno originario del film, ma anche le incongruenze e le lacune che la copia giunta fino a noi rivela in forma di tagli, rifacimenti, aggiunte. Qualora il testo di una o più didascalie perdute sia stato recuperato, il restauratore potrà decidere di ristamparle tentando di riprodurre gli stessi caratteri e gli stessi disegni, oppure rinunciando ai disegni e accontentandosi di caratteri moderni, ma sottolineando in ogni caso mediante lettere o segni convenzionali che si tratta di ricostruzione e non di riproduzione dell'originale. Tutte queste cautele rischiano però di rendere il film un componimento di codici e interruzioni che tolgono al pubblico non specializzato il piacere di vedere il film. Un esempio al riguardo è costituito dalle tre versioni del film di David W. Griffith Intolerance (1916) che si sono succedute tra il 1987 e il 1989. Che cosa scegliere, dunque, quando si guarda e si studia il cinema muto? Un'incompleta autenticità o una bellezza artificiale? Il dilemma è senza soluzione, ma dobbiamo tenere conto delle seguenti possibilità: 1. il film viene presentato così come è stato trovato, con tutte le lacune e le imperfezioni che esso presentava prima che la copia entrasse a far parte dell'archivio. 2. il film è mostrato nella versione più vicina a quella che si ritiene sia stata mostrata per la prima volta. 3. le intenzioni di chi ha realizzato il film sono note e la copia ripristina l'aspetto dell'opera così come essa avrebbe dovuto essere prima che altri fattori materiali, storici ed economici ne provocassero l'alterazione. 4. qualcuno si è appropriato del film e lo ha manipolato al fine di creare un oggetto nuovo, attribuendosi o meno la responsabilità dell'intervento. Regola 8: la “copia originale” di un film è un oggetto plurimo, frammentato in un numero di versioni pari al numero delle copie sopravvissute. La molteplicità degli esemplari “originali” di una stessa opera è un fatto che abbiamo il dovere di riconoscere ogni volta che osserviamo e analizziamo il film. A prescindere dal fatto che qualsiasi riproduzione comporta una perdita d'informazione, sappiamo che la nitidezza e il contrasto tipico dell'esemplare di nitrato può essere imitato, ma non ripetuto alla perfezione, su un altro supporto. Sappiamo inoltre che le copie originali erano spesso colorate, mentre molte fra quelle a nostra disposizione sono in bianco e in nero; se non lo sono, vuol dire quasi sempre che il colore è stato riprodotto con tecniche moderne ed è certo che queste tecniche non sono per il momento in grado di riprodurre fedelmente le sottile variazioni cromatiche e gli effetti luministici di certi esemplari d'epoca. Qualità della ricerca: -conviene vedere il maggior numero di esemplari dello stesso film, soprattutto se il film in questione è oggetto di studio approfondito o di un'ipotesi teorica o storiografica di un certo impegno. -È spesso una risorsa decisiva per le scoperte più eccitanti e inattese: nel consultare le fonti d'informazione non bisogna mai fidarsi dei dati al loro primo apparire: ciò vale in eguale misura per i titoli di testa dei film, per i volti degli interpreti, per le fonti primarie e secondarie: anche le riviste d'epoca possono sbagliare. Studiare la storia del cinema: se il regolamento della cineteca lo permette, è sempre opportuno consultare una copia “originale” del film che si sta studiando. E' bene accompagnare l'esame di film a soggetto dell'epoca muta con qualche film non-fiction dello stesso periodo. Corto/Lungo metraggio di Michele Canosa S'intende per lungometraggio il film di lunghezza superiore ai 1600 metri. S'intende per cortometraggio il film di lunghezza non inferiore ai 290 metri. Dunque, al di sotto della soglia dei 1600 metri, un film (in formato 35 mm) è ancora un cortometraggio; al di sotto dei 290 metri, un film non è apprezzabile, per legge, ovvero: non è ammesso godere dei benefici previsti. Il termine “metraggio” prevale su “metratura” proprio con riferimento allo standard. Tale standard non è connaturato dal film ma è un prodotto della storia del cinema. Per il lungometraggio una diversa estensione viene proposta dagli studi filmici: 1000 metri. Aldo Bernardini scrive “nel corso degli anni coperti dalla filmografia si è assistito al progressivo passaggio dall'era del cortometraggio a quella del lungometraggio con una serie di anni intermedi che hanno visto la coesistenza dei due tipi di film”. Poi prosegue dicendo “la nozione di lungometraggio odierna non coincide ovviamente con quella seguita allora”. Si tratta quindi di un'emergenza di ordine storico: l'emergenza e, quindi, l'affermazione del film di lungo metraggio agli inizi degli anni '10, fino alla sua definitiva istituzionalizzazione. L'Italia fu il paese che diede i maggiori contributi all'affermazione e alla diffusione del lungometraggio, precedendo cinematografie ben più sviluppate com'erano quelle della Francia e degli Stati Uniti. AI suo apparire il “lungometraggio” è materia elastica. E se un film in due rulli nel primo decennio è già avvertito come lungo, non lo è più nel decennio successivo. La lunghezza non è solo un'espressione quantitativa, essa è anche qualità. Il lungometraggio è il veicolo di una forma: il film a gran spettacolo, il feature film. Le prime vues Lumière misurano quanto il magazzino del Cinématographe è capace: 17 metri. Ciascuna pellicola girata dai Lumière, dunque, non è affatto un “cortometraggio” è solo uguale a sé stessa, cioè al suo standard. E'il lungometraggio a inventare il cortometraggio. La séance Lumière La celebre séance Lumière ha luogo il 28 dicembre 18985 a Parigi, presso il Salon Indien del Grand Café al civico 14 di Boulevard des Capucines. C'è un solo programma che prevede dieci soggetti: a ciascun titolo corrisponde una singola inquadratura, una inquadratura di 17 metri circa, pari a meno di un minuto di proiezione; in totale, una ventina di minuti di spettacolo, compresi gli intervalli. Tuttavia l'attrazione risiede meno in queste piccole scenette che nel dispositivo stesso che li consente. La meraviglia sta nell'apparecchio, lo spettacolo è la macchina stessa. Il primo prodotto di manifattura italiana si deve a Filoteo Alberini: La presa di Roma (1870) film commemorativo e didattico della Breccia di Porta Pia. Questo film che si vorrebbe come un “atto fondativo” si pone oggi come un mito di fondazione, come un fantasma di identità nazionale. La prima proiezione pubblica, dopo un'anteprima a Livorno, ha luogo all'aperto, nel 1905 a Roma, su un grande telone spiegato all'imbocco di via Nomentana, nel luogo degli avvenimenti illustrati dai film. Alla fine del 1907, il cinematografo in Italia può contare su una clientela fissa, per lo più di estrazione popolare, che cominciava a frequentare con regolarità le sale di proiezione: anche perché analoghi miglioramenti stavano intervenendo a livello della produzione, con lo sviluppo dei film di finzione, basato sui trucchi e su una vera e propria messa in scena, con la tendenza all'allungamento dei metraggi e quindi dei programmi di spettacolo, divenuti così vari da saper accontentare tutti i gusti. La pratica della traduzione, ovvero dell'adattamento cinematografico, va a svilupparsi negli anni immediatamente successivi e, innesta nel genere storico-mitologico-biografico, consentirà alla cinematografia nostrana di allargare il proprio pubblico agli strati borghesi e di penetrare i mercati internazionali. Film d'arte Il 1909 è un anno rigoroso per la cinematografia nazionale: si arriva a una sovraproduzione. Nel 1909- 1910 insieme al mutamento dello spettacolo cinematografico nasce una terza generazione di “cinematografisti” di estrazione borghese o aristocratica. Le case di produzione maggiori si consolidano, garantendo le basi del sistema produttivo, altre si trasformano e nuove ne nascono. Tra queste ultime la FAI (Film d'Arte Italiana) che si occupa della fabbricazione, dell'edizione, della vendita, della locazione di films artistici, esteticamente referenziati. Dalla fondazione fino al 1911 la FAI mira dritto al pantheon europeo delle Lettere proponendo un marchio di qualità. I film della Fai, pur girati in Italia, vengono lavorati presso la Pathé, in Francia, e dunque possono godere dell'esclusivo e raffinato sistema di colorazione au pochoir, brevettato come Pathécolor. Anche il colore ricade nella politica del “prodotto differenziato”. Procedendo in questa tendenza alla “qualificazione dei prodotti” diverse manifatture italiane danno vita nel 1909, alla serie di prestigio: la “Serie Oro” dell'Ambrosio, quindi le “serie artistiche” della Cines e dell'Itala Film e persino l'Aquila Films avanza il suo film d'arte.
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