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Ungaretti, montale e quasimodo, Appunti di Italiano

Parafrasi discorsive, figure retoriche e commenti delle più importanti poesie di Ungaretti, Montale e Quasimodo

Tipologia: Appunti

2015/2016

Caricato il 24/10/2016

giorgix3
giorgix3 🇮🇹

5 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Ungaretti, montale e quasimodo e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Ungaretti Veglia Parafrasi discorsiva Un’intera nottata sdraiato accanto ad un compagno massacrato con la bocca contratta, (con i denti in mostra) rivolta verso la luna piena, con le sue mani congestionate (quindi gonfie e livide) penetrate nel mio silenzio (nel profondo, nell’intimo del poeta) ho scritto lettere piene d’amore (alla morte il poeta oppone la vita “della scrittura”). Non sono mai stato tanto attaccato alla vita Figure retoriche • Allitterazioni vv.1-2: “Un’intera nottata/buttato vicino”; v. 13 “lettere piene d’amore”;vv. 14-15-16: “Non sono mai stato/ tanto/ attaccato alla vita” • Metafora vv. 8-11: “con la congestione/delle sue mani/penetrata/nel mio silenzio” Commento Veglia viene composta da Ungaretti il 23 dicembre 1915 ed entra a far parte della sezione Il Porto Sepolto dell’opera L’Allegria (che esce nell’edizione definitiva il 1931).Il componimento, come d’altronde tutta la raccolta, reca testimonianza della difficile esperienza del primo conflitto mondiale, combattuto tra il 1914 e il 1918. Partendo dal titolo dell’intera opera, L’Allegria, è già possibile individuare una caratteristica della raccolta e del componimento Veglia. Il titolo allude alla paradossale vitalità che nasce e s’afferma in un’esperienza di morte. La stessa morte e vitalità che sono evidentemente due elementi tematici che costituiscono il nostro componimento. Un Io, quello del poeta, chiamato a confrontarsi in maniera diretta con la morte del compagno. Un’immagine forte rimarcata dall’ossessiva scansione ritmica conferita dalla ripetizione della doppia “t”, che ci trasporta verso il fulcro retorico dell’intero componimento. Dal verso 8 fino al verso 11, infatti, ha inizio una metafora straziante, in cui la corporalità del compagno morto “penetra” nell’interiorità del poeta. Ma quest’esperienza angosciante sfocia, per un paradosso simile a quello che caratterizza il titolo dell’intera raccolta, in un contrario pensiero vitale. Il ritmo più lento dall’accentazione dilatata che ha inizio dal verso 11, ci trasporta sul finale delle “lettere piene d’amore” e dell’attaccamento alla vita che solo il dolore più estremo, come la visione d’un morto ucciso nella realtà di guerra, può suscitare. Non meno importante, anzi, elemento essenziale quando si prende in esame L’Allegria di Ungaretti, è la novità linguistica e metrica. Una lingua, quella usata da Ungaretti, che chiude i contatti con le modalità della grande tradizione letteraria italiana (fatta d’una poesia di ampio respiro che predilige versi come l’endecasillabo e il settenario) per divenire sincopata, essenziale, andando alla ricerca continua della parola scavata ed esatta. La lingua di Ungaretti si adatta alla situazione di guerra ed al nuovo secolo alla ricerca di nuovi linguaggi. Oltre alla brevità dei componimenti (fino al caso limite di Mattina di soli due versi), si nota dunque, anche a livello del singolo verso, una forte contrazione. Non a caso, il modello poetico di Ungaretti finì più di tutti per influenzare quella «corrente più o meno definita del gusto che, sbocciata sul terreno culturale delle riviste fiorentine, da Solaria a Campo di Marte, prese il nome di “ermetismo”»1. Tornando alla poesia Veglia, si notino, a questo proposito, i brevissimi versi costituiti dai soli participi passati: “massacrato”, “digrignata”, “penetrata”. Parole dalla fortissima intensità semantica a cui viene lasciato enorme spazio e visibilità. • 1. NATALINO SAPEGNO, Compendio di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1975 • Grandi modelli della poesia d’Ungaretti, in particolare per quanto riguarda la raccolta L’Allegria, sono i poeti simbolisti francesi, di cui Ungaretti era solito citare su tutti Mallarmé Soldati Parafrasi discorsiva I soldati sono come le foglie in autunno. Figure retoriche • Analogia vv. 1-2-3-4: Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie. • Enjambements vv. 1-2: Si sta come/ d’autunno. • Similitudine vv. 1-2-3-4: Si sta come/ d’autunno/ sugli alberi/ le foglie. Commento Commento La lirica appartiene alla sezione dell’Allegria intitolata Girovago. La guerra nel Carso (Prima guerra mondiale) è fonte di grande ispirazione per Ungaretti, il quale scrive in trincea diverse poesie, prima apparse su «Lacerba» nel 1915 e poi pubblicate, nel dicembre 1916, nella raccolta Il porto sepolto: il diario dal fronte. A queste poesie se ne aggiungono altre, confluite prima nella raccolta Allegria di naufragi del 1919, poi nell’edizione dell’Allegria del 1931 e, con altre varianti, in quella definitiva del 1942. Il titolo Il porto sepolto nasce da un ricordo dell’infanzia del poeta vissuta ad Alessandria d’Egitto: la notizia di un «porto sommerso» in fondo al mare dalla sabbia del deserto, di un’era anteriore alla fondazione della città e di cui si è persa la memoria. Un porto sepolto che è anche, in qualche modo, simbolo del mistero dell’esistenza. La vita, infatti, è un mistero così difficile da decodificare che, anche in mezzo alla morte e alla distruzione portata dalla guerra può nascere un’illogica vigoria, dalla quale deriva il titolo definitivo Allegria. Nonostante la maggior parte delle liriche contenute nella raccolta facciano riferimento alla guerra e alla morte, il titolo Allegria è giustificato, dunque, dal fatto che il sentimento d’allegria scaturisce nell’attimo in cui l’uomo acquisisce la consapevolezza di essere riuscito a scampare alla morte. Non meno importante, anzi, elemento essenziale quando si prende in esame L’Allegria (e che ritroviamo puntualmente in Girovago) è la novità linguistica e metrica. Una lingua che chiude i contatti con le modalità della grande tradizione letteraria italiana (fatta d’una poesia di ampio respiro che predilige versi come l’endecasillabo e il settenario) per divenire sincopata, essenziale, andando alla ricerca continua della parola scavata ed esatta. La lingua di Ungaretti si adatta alla situazione di guerra ed al nuovo secolo alla ricerca di nuovi linguaggi. Oltre alla brevità dei componimenti (fino al caso limite di Mattina di soli due versi), si nota dunque, anche a livello del singolo verso, una forte contrazione. Il titolo della lirica in questione, Girovago (coincidente con il titolo dell’intera sezione dell’Allegria), fa riferimento alla condizione esistenziale del poeta, il quale fa fatica a trovare un punto di riferimento, un luogo sicuro in cui rifugiarsi. È una situazione simile a quella che Ungaretti ci ha già presentato nella lirica In memoria, dedicata al suo amico arabo Mohammed Sceab, avente come tema di fondo quello dell’esilio, inteso come perdita di ogni punto di riferimento. Dalle prime tre strofe emerge il senso di estraneità provato dall’individuo nei confronti delle cose e e la ricerca, destinata a rimanere infruttuosa, della propria identità, del proprio io più profondo. Il participio languente del verso 11 si oppone all’assuefatto del verso 15 e contribuisce a rendere evidente come sia impossibile per il poeta rinascere a nuova vita e ritrovare la propria identità. Il termine straniero, presentato in posizione isolata al verso 17, sottolinea il senso di estraneità provato dal poeta, il quale non trova un posto in cui rifugiarsi in nessuna/ parte/ di terra. L’anacoluto dei vv. 12-16 evidenzia come sia difficile questa ricerca di un posto metaforico e reale in cui mettere radici. Ungaretti racconta, dunque, il suo desiderio di poter vivere anche solo per un momento il ritorno alla purezza delle origini, dell’infanzia. Funzionale alla comprensione generale del testo sono le parole del poeta stesso in riferimento al componimento qui analizzato: Girovago. Questa poesia composta in Francia dov’ero stato trasferito con il mio reggimento, insiste sull’emozione che provo quando ho coscienza di non appartenere a un particolare luogo o tempo. Indica anche un altro dei miei temi, quello dell’innocenza, della quale l’uomo invano cerca traccia in sé o negli altri sulla terra.»¹ Non gridate più Parafrasi discorsiva Smettete di uccidere (nuovamente) i morti, smettete di gridare, non gridate più se li volete ancora ascoltare, se sperate di non morire. (I morti) hanno una voce fioca, non fanno più rumore dell’erba che cresce, che può prosperare solo dove non passa l’uomo. Figure retoriche • Adýnaton v. 1: uccidere i morti; • Allitterazioni “p”: vv. 4-6: “se sperate di non perire./ Hanno l’impercettibile sussurro,/ non fanno più rumore”; “r” e “s”: vv. 5-8; • Anafore vv. 3-4: se li volete ancora udire,/ se sperate di non perire; • Personificazione vv. 7-8: del crescere dell’erba/ lieta dove non passa l’uomo; • Ripetizione v. 2: non gridate più, non gridate. Commento La poesia Non gridate più appartiene alla raccolta Il dolore, pubblicata nel 1947, con la quale il poeta dà voce al suo tormento personale (dovuto alla morte del fratello e del figlio di nove anni) e collettivo (provocato dalla tragica occupazione di Roma da parte dei tedeschi e, in generale, dall’esperienza bellica). Si tratta di una raccolta di liriche composte tra il 1937 e il 1946, divisa in sei sezioni. Le varie parti sono collegate da un unico tema che è quello della sofferenza che accomuna tutti gli uomini, nel privato come nella collettività, e può essere attenuata soltanto essendo solidali con gli altri esseri umani. In questa raccolta il poeta non inserisce alcuna nota, ma si limita a dire: «So che cosa significhi la morte, lo sapevo anche prima; ma allora, quando mi è stata strappata la parte migliore di me, la esperimento in me, da quel momento, la morte. Il dolore è il libro che più amo, il libro che ho scritto negli anni orribili, stretto alla gola. Se ne parlassi mi parrebbe d’essere impudico. Quel dolore non finirà più di straziarmi». Ungaretti, inoltre, utilizza ora le misure metriche tradizionali e passa ad utilizzare un linguaggio più accessibile. Il componimento Non gridate più, scritto nell’immediato dopoguerra, è rivolto a quanti hanno vissuto e superato, come dice lo stesso poeta, la «tragedia di questi anni». Nonostante la serie d’imperativi l’intento del poeta non è quello di esprimere un ordine o un comando, ma quello di rivolgere una preghiera agli uomini, affinché salvino la stessa umanità, riscoprendo il valore della pietà. Nella prima strofa, infatti, Ungaretti invita i vivi a cessare la violenza delle parole, una violenza che arriva a profanare le tombe. Gridando – gli uomini – non fanno altro che soffocare la voce debole dei morti, arrivando a cancellare il loro sacrificio, per cui il poeta invita, attraverso l’artificio dell’adýnaton («uccidere i morti»), a superare le divisioni e a fare silenzio per lasciar parlare chi non c’è più. Al gridare (sintomo di barbarie) si contrappone, infatti, la muta presenza dei morti: i vivi gridano ed esprimono odio, mentre i morti sussurrano e trasmettono un messaggio di pace. Ungaretti teme che ormai ci sia un distacco troppo grande fra chi è ancora in vita e chi non c’è più e la sua sfiducia diviene evidente negli ultimi due versi, in cui l’immagine dell’erba che ha paura del passaggio dell’uomo, rende evidente la disperazione di chi ha conosciuto le sue azioni terribili (gli orrori della Seconda guerra mondiale). Desidera, dunque, rimanere vicino al camino, osservando le capriole fatte dal fumo per godere di pochi attimi di pace e tregua, approfittando del caldo buono che scalda l’anima e aiuta a sopportare il dolore e offre l’illusione di trovarsi in un “nido” accogliente. Mattina Parafrasi discorsiva Per la parafrasi rimandiamo direttamente al Commento Figure retoriche Il componimento si fonda su una sinestesia Commento Mattina viene composta da Ungaretti il 26 gennaio 1917 ed entra a far parte della sezione Naufragi dell’opera L’Allegria (che esce nell’edizione definitiva il 1931).Il componimento è sicuramente uno dei più famosi dell’intera raccolta in virtù della sua forte natura sincopata che è la caratteristica fortemente innovativa di tutta L’Allegria. L’innovazione metrica e linguistica di Ungaretti è qui nell’esempio più evidente, il quale ci appare come un caso limite. Due versi di breve respiro che offrono al lettore, al di là dell’interpretazione tematica del testo, l’esempio più lampante della nuova lingua del poeta. Una lingua fortemente sincopata che si riduce all’essenziale, al frammento della parola scavata ed esatta. La metrica di Ungaretti chiude dunque, perlomeno nella raccolta L’Allegria, con le forme tradizionali della letteratura italiana, che faceva un maggior utilizzo di versi più ampi come l’endecasillabo e il settenario, e si adatta alla situazione di guerra ed al nuovo secolo alla ricerca di nuove cifre espressive. La poesia Mattina tutta, si fonda, a livello retorico, su una sinestesia, e la sua peculiare brevità non può che produrre una forte enigmaticità, da cui derivano necessariamente diverse interpretazioni. Prima di riportarne una autorevole, possiamo limitarci ad osservare il carattere epifanico di Mattina. Nel sole che sorge sulle trincee cogliendo i soldati al fronte, infatti, possiamo vedere un messaggio di vita, un’improvvisa epifania. Di seguito l’interpretazione del critico Romano Luperini: La comprensione della poesia richiede di soffermarsi sulla particolare valorizzazione del titolo, indispensabile all’interpretazione corretta del significato: lo splendore del sole sorto da poco trasmette al poeta una sensazione di luminosità che provoca immediate associazioni interiori ed in particolare il sentimento della vastità. M’illumino d’immenso significa appunto questo: l’idea della infinita grandezza mi colpisce nella forma della luce. L’intensità della poesia si affida anche alla sinestesia su cui è costruito il testo, oltre che al perfetto parallelismo fonico-ritmico dei due versicoli, aperti da una elisione, costituiti da due ternari e ruotanti attorno a due termini comincianti per i e terminati per o. Il porto sepolto: parafrasi, analisi e commento Di questo testo, che dà il titolo alla prima raccolta in versi pubblicata da Giuseppe Ungaretti nel 1916, è molto importante comprendere il titolo. Lo stesso Ungaretti nelle note stese per l'edizione definitiva lo spiega in questo modo: <<verso i 16-17 anni forse più tardi ho conosciuto due giovani ingegneri francesi, (…) abitavano fuori da Alessandria, in mezzo al deserto, mi parlavano d'un porto, un porto sommerso che doveva precedere l'epoca tolemaica, provando che Alessandria era un porto già prima di Alessandro, che già prima da Alessandro era una città; non se ne sa nulla, non ne rimane altro segno che quel porto custodito in fondo al mare, unico documento tramandatoci>>. In pratica la poesia è un testo che disserta sulla funzione della poesia, che è quella di riportare alla luce ciò che era sepolto e che quindi non si riusciva a vedere; praticamente la poesia ha la funzione di attivare la memoria come custode dei valori, delle tradizioni, del bagaglio affettivo dell'uomo come singolo e come comunità storica. Parafrasi: Vi arriva il poeta e poi ritorna con le sue poesie che diffonde e nello stesso tempo disperde. Di questa poesia mi rimane la sensazione di nullità che non si esaurisce ed è per me un segreto Analisi metrica: La poesia è composta da due strofe di versi liberi. Come nelle precedenti poesie manca la punteggiatura. LEGGI ANCHE: Analisi retorica Il porto sepolto di Ungaretti Commento: Il testo, come già detto, è un richiamo alla funzione del poeta che è quella di riportare alla luce ciò che è nascosto, ciò che non si vede, ciò che è rimasto sepolto dalla dimenticanza e dal tempo. Il poeta ha quasi la funzione di un palombaro che si inabissa per compiere un processo culturale e psicologico; infatti egli sprofonda al disotto della superficie della vita e ed è proprio lì che prende la forza per il suo canto e riporta con le sue parole alla luce quello che è rimasto nascosto. La comunicazione, tuttavia, è qualche cosa di ambiguo, che va a coincidere con una sorta di dispersione ed infatti nel testo troviamo le due opposizioni semantiche che sono date dalle coppie di termini <<li disperde>> / <<mi resta>> e <<nulla di / inesauribile>>. La dispersione è quella della comunicazione poetica, dell'offerta del canto al lettore che tuttavia si trova lontano e verso il quale la poesia si allontana; inoltre emerge una contraddizione che permette nello stesso tempo alla poesia di rimanere e di stabilizzarsi nel profondo del cuore dell'uomo. La poesia è ciò che può sopravvivere nel difficile momento della guerra, della sofferenza, della distruzione. Il messaggio che il poeta ci vuole dare è quello di un nulla, di un segreto sconfinato che, per ciò stesso, è un segreto inesauribile. Pertanto la poesia ha come compito di trovare quello che è segreto e rimane in noi indecifrabile. Il porto è un luogo reale, ma è anche un luogo privo di dimensioni, perciò la poesia resta alla fine un qualche cosa di inafferrabile e lo stesso termine porto sepolto resta un paradosso espressivo. Montale Non chiederci la parola Parafrasi discorsiva Nella terza ed ultima strofa di Non chiederci la parola il poeta sottolinea di non possedere delle formule magiche e di non poter fornire alcuna certezza, ma di poter soltanto accettare il male del vivere. Spesso il male di vivere ho incontrato Parafrasi discorsiva Spesso ho incontrato il male di vivere [= il dolore dell’esistenza]: era il ruscello che gorgoglia, impedito nel suo fluire da un ostacolo; era l’incartocciarsi della foglia inaridita [= la foglia, bruciata dal caldo, si accartoccia su se stessa]; era il cavallo stramazzato [= caduto a terra per la fatica]. Non conobbi altro bene all’infuori del miracolo che l’indifferenza fa schiudere [= fa nascere]: la divina indifferenza si manifesta nella statua nell’ora sonnolente del mezzogiorno, nella nuvola e nel falco che vola lontano. Figure retoriche • Anafora vv. 2-3-4-6-7 “era” • Allitterazione vv. 2-3-4 “era il rivo strozzato che gorgòglia,/era l’incartocciarsi della foglia/riarsa, era il cavallo stramazzato” v. 8 “…e il falco alto levato“ • Enjambement vv. 3-4; vv. 5-6; vv.7-8 • Si segnala la tecnica del correlativo oggettivo che genera, a livello retorico, le metafore introdotte da “era” Commento Spesso il male di vivere ho incontrato è una delle più alte poesie della raccolta Ossi di seppia presente nella sezione eponima. Già partendo dal titolo dell’intera raccolta e della particolare sezione in cui risiede la poesia, è possibile segnalare alcune caratteristiche fondanti di tutta l’opera. La poesia di Ossi di seppia è una poesia che, come l’osso di seppia, si lima, si fa «scabra ed essenziale», riduce le pretese eroiche e celebrative dei “poeti laureati” (in particolare Gabriele d’Annunzio, come si legge nei I limoni), per avvicinarsi alla quotidianeità, alla concretezza delle cose e spostandosi verso l’uso di toni ironici e colloquiali desunti in parte dal crepuscolare Guido Gozzano. D’altro canto però, non manca da parte di Montale il recupero di forme colte e preziose (non di rado attinte proprio da D’Annunzio) e la ripresa, a livello propriamente metrico, delle forme tradizionali della letteratura italiana (rifiutando lo stravolgimento metrico dalle avanguardie storiche): recupera in particolar modo l’endecasillabo e la rima. Potremmo dire che Montale rinnova la grande tradizione letteraria italiana (caratterizzata da forme ampie) su una nuova base linguistica. Nell’intera opera, Montale indaga il male di vivere, che si rivela nitidamente in un paesaggio scarno ed arido (di cui l’Osso di seppia è evidentemente simbolo) ed in cui tutta la vita si rivela nel suo sgretolarsi. Il poeta è intento, con difficoltà, ad interrogare la natura tentanto di recuperare un qualche «sterile segreto», e la poesia Spesso il male di vivere ho incontrato non può che essere una delle poesie in cui l’indagine che il poeta svolge si fa maggiormente serrata ed evidente. Il male di vivere che Montale descrive è un male oggettivo, radicato ed evidente già dall’osservazione della natura quotidiana. Non c’è violenza nella poesia di Montale e la tecnica del correlativo oggettivo (=evocare un’idea o una sensazione indicandola con gli oggetti, le cose) tende ad identificare questo male così radicato con il rivo strozzato, con l’incartocciarsi della foglia riarsa, con il cavallo stramazzato. Un dolore ed un male che è dunque presente nella normalità della vita e non derivante da un qualsivoglia atto violento. Il significante (=forma esteriore della parola) della prima quartina, dato con forza dalle allitterazioni del gruppo “rs”, “rt”, e comunque dalla forte presenza di consonati come “r”, “s” e “z”, realizza, a livello ritmico/ musicale (evocando suoni duri ed aspri) il male di vivere di cui Montale ci parla. Nella seconda quartina invece, il tono si acquieta e la maggior presenza delle vocali interrompe il malessere di quella precedente. Montale individua l’unico bene esistente che risiede, cito dal verso, nel «prodigio/che schiude la divina indifferenza». Un bene che consiste in un puro esistere senza tempo e senza memoria; dunque la statua nella sonnolenza del meriggio, la nuvola e il falco alto levato. Quasimodo Alle fronde dei salici Parafrasi discorsiva Come avremmo mai potuto comporre poesie con l’occupazione straniera che ci pesava nell’animo, in mezzo ai morti abbandonati nelle piazze sull’erba resa dura dal ghiaccio, sentendo i lamenti dei bambini, innocenti come agnelli, il tremendo grido funebre della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Anche le nostre cetre, i simboli della nostra poesia, per un voto, stavano appese sui rami dei salici e oscillavano lievemente al vento portatore di dolore. Figure retoriche • Allitterazioni della “R”: “[…]cantare/ Con il piede straniero sopra il cuore” (vv. 1-2); “urlo nero” (v. 5), “madre” (v. 6); “incontro” (v. 6) “crocifisso” (v. 7), “telegrafo” (v. 7); della “L”: “al lamento / d’agnello dei fanciulli” (vv. 4-5), “oscilavano lievi” (v. 10); • Metafore “cantare” (v. 1); “dura di ghiaccio” (v. 4); “triste vento” (v. 10); • Metonimie: “piede straniero” (v. 2); “sopra il cuore” (v. 2); • Sinestesia “all’urlo nero” (v. 5); • Analogia “lamento / d’agnello” (vv. 4-5); • Enjambements “lamento / d’agnello” (vv. 4-5); “urlo nero / della madre” (vv. 5-6); “figlio / crocifisso” (vv. 6-7). Commento Le prime raccolte poetiche, come Acque e terre, Oboe sommerso, Erato e Apollion, inseriscono a pieno titolo Quasimodo nel filone dell’Ermetismo: la parola non ha volontà comunicativa, ma assume un valore assoluto e astratto; gli arditi accostamenti analogici rendono
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