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units diritto internazionale privato, Appunti di Diritto

diritto internazionale privato anno 2020.

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 27/06/2021

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Scarica units diritto internazionale privato e più Appunti in PDF di Diritto solo su Docsity! Diritto internazionale privato Anno accademico 2019-2020 Studente: Nguyen Thi Mong Kha Lezione 1 Problemi centrali della disciplina: - Determinazione del giudice competente - Riconoscimento delle decisioni straniere - Determinazione della legge applicabile a una fattispecie collegata a diversi ordinamenti Diritto internazionale pubblico e diritto del UE Quando si incontra e si applica in concreto il DIP? Quando dobbiamo occuparci delle questioni privatistiche che riguardano singoli individui che si spostano da un posto all’atro, da un paese all’atro oppure di cittadinanze diverse che vengono in contatto tra di loro. Un ambiente in cui ci si scontra spesso con il DIP è quando si lavora in un OI o multinazionale in cui ci si occupa dei contratti internazionali. Molte fonti del DIP derivano dal diritto del UE È importante avere una conoscenza anche di base del diritto internazionale e diritto del UE perché molte fonti della disciplina DIP sono fonti di diritto del UE. UE è intervenuta in modo molto forte nella elaborazione di norme che disciplinano rapporti tra privati che presentano degli elementi di estraneità. Inoltre è utile avere delle conoscenze basi del diritto privato perché è quello che pone le basi dell’istituzioni che studieremmo che presentano elementi di estraneità. DIP è un sotto ambito del diritto internazionale per quanto riguarda le fonti i presupposti e fondamenti della disciplina e anche per quanto attiene ai procedimenti di implementazione dei diritti. Un aspetto importante del corso è che noi non considereremo i rapporti tra privati che presentano elementi di estraneità in maniera statica, quindi un insieme di fattispecie eh devono essere regolate nella loro staticità, ma da un puto di vista dinamico. Dobbiamo considerare queste fattispecie in evoluzione, i diritti in azione, che devono in qualche modo essere implementati. Quindi la possibilità per i singoli di avere un sistema di norme completo che consenta un esercizio di diritti che sono loro riconosciuti dalle norme anche dinanzi ai giudici. Le 3 domande fondamentali che ci porremmo nell’ambito del corso, sono in parte degli aspetti processuali. Le prime 2 domande sono: - Come individuare un giudice competente? - Come fare in modo che le sentenze possano essere riconosciute da uno stato un altro? Perché questo? Perché nel momento in cui abbiamo un rapporto transnazionale, ad es. contratto di compravendita tra un italiano e un sloveno dove il compratore italiano non versa il prezzo potremmo chiederci dinanzi a quale giudice il venditore sloveno potrà rivolgersi? Quello italiano o quello sloveno, o quello tedesco perché il contratto doveva eseguirsi in Germania. L’aspetto dinamico, in questo caso del diritto di credito. Noi consideriamo si un contratto di vendita da cui è derivano un credito in capo a un soggetto che ha la cittadinanza diversa da quello del suo debitore, ma consideriamo anche che questo diritto di credito deve essere in qualche modo implementato. La seconda domanda che ha a che fare con il latto processuale è un poco più complicato. La decisione che eventualmente il giudice possa assumere, il giudice che così avremmo individuato, che effetti potrà avere in un altro stato? Come le persone si spostano così il DIP va implementato e riconosciuto perché le persone devono esercitare dei diritti. Così dobbiamo porci la domanda dell’efficacia delle sentenze che sanciscono questi diritti. In che modo si può effettuare il riconoscimento delle decisioni da uno stato all’altro? Infine, la terza domanda, terza parte del corso, come individuare la legge applicabile. Il DIP non punta tanto all’individuazione di norme materiali, es. com’è regolata la compravendita in Francia. Come fare a individuare la legge applicabile? È un quesito importate del DIP. Scoprire i criteri normativi uniforme per dire in ogni caso come si individua la legge applicabile a una determinata fattispecie. (slide4) Queste 3 domande possono essere raggruppate sotto 2 grandi sotto-ambiti: 1. Ambito processuale (ma tecnicamente definita come diritto processuale civile internazionale perché è quello che da risposta a dei quesiti di carattere processuale) cioè come si individua il giudice competente? La questione della giurisdizione e come si determina il riconoscimento delle decisioni 2. L’ultima domanda che concerne la legge applicabile si riferisce più strettamente al DIP Per questa distinzione che alcuni differenziano nell’ambito più ampio del DIP tra diritto processuale civile internazionale da un lato e DIP dall’altro. In poche parole il corso si divide in due parti, la prima riguarda il DPCI e la seconda DIP Storia del DIP La storia del DIP è incerta, la dottrina è divisa. - Alcuni fanno risalire le origini del DIP al principio della personalità delle leggi dei popoli barbari ovvero V secolo dopo cristo. Nel senso che i barbari pensavano che ogni persona portasse con sé la propria legge d’origine quindi che non si ci fosse mai la possibilità di individuare una soluzione uniforme perché a seconda dei casi e dei soggetti che erano coinvolti all’interno di ogni materia ci potesse esserci una soluzione di individuazione di leggi differente. - Altri si spostano più avanti, arrivano agli statuti delle città dell’Italia settentrionale del 14° secolo che disciplinavano per esempio un contratto concluso tra un cittadino di Padova e un cittadino di Modena secondo una legge comune. C’è un’analogia tra queste due dottrine perché si fondano su carattere giurisprudenziale. Non ci sono regole scritte codificate, non c’è un codice del DIP e questo è un problema che si è trascinato nel corso del tempo, perché ancora oggi non c’è un codice di DIP, bensì un insieme di norme. La individuazione della disciplina sia di carattere processuale che quella relativa alla legge applicabile deriva dall’applicazione giurisprudenziale, cioè dall’applicazione che i giudici fanno di queste norme. Queste sono teorie antiche ma senza un sistema, non c’è un origine sistemica del DIP. Per arrivare a un sistema più consistente bisogna passare alla scuola dei statutari. - La scuola dei statutari, diffusi in paesi come IT-FR-GE, utilizzano lo studio dei canonisti. Questi studiosi hanno cercato di sistematizzare la materia. Un problema che si è posto è quella della individuazione delle soluzioni univoche, la necessità di affidarsi ad un’applicazione casistica/giurisprudenziale della materia e questo disorientava anche i pratici perché non si trovava un riferimento uniforme. Invece studi più ampi condussero a questo nuovo metodo degli statutari. Per cui ogni legge doveva avere anche la definizione del proprio ambito di applicazione, termine tecnico che ritroveremmo spesso nell’ambito del corso DIP proprio perché per ogni normativa non è tanto importante conoscere la disciplina materiale della compravendita, del testamento ma è importante vedere quale ne sia l’ambito di applicazione. Questo aveva pensato Bartolo da Sassoferrato e Baldo In questo, la codificazione di Mancini era al quanto avanzata, egli già teorizzava la massima apertura ai valori giuridici stranieri sia dal punto di vista dell’ingresso della legge straniera applicabile sia il riconoscimento delle sentenze straniere. In che modo si è evoluto il sistema italiano di DIP? Si è evoluto in seguito agli eventi storici. Il sistema di Mancini funzionava molto bene con la codificazione del 1865. Però le due guerre sconvolsero l’asseto mondiale così come con i rapporti tra i privati. In Italia, il prevalere delle idee nazionalistiche determina una totale inversione di tendenza rispetto alle idee di Mancini. Tanto Mancini era aperto tanto poco lo erano le disposizioni preliminari del codice civile del 1942 improntato molto sul principio del nazionalismo e alla superiorità dell’ordinamento italiano. Anche questo sistema subisce gli effetti dell’evoluzione storica, quindi dopo il ’42, l’ingresso del Italia nel UN, poi nella CE (comunità europea) poi trasformata in UE che ha avuto una spinta propulsiva notevole sulle fondi interne, dal ’42 si è giunti a una riforma della disciplina italiana nel 1995 e tuttora noi applichiamo come fonte interna la legge 218/95, il testo normativo interno di riferimento, che ormai non corrisponde più alle esigenze della realtà sociale, infatti da più parti si è detti di riformare. È stata in alcune parti ritoccata in seguito all’introduzione di alcuni istituti es. le unioni civili. Quindi si è approfittato per introdurre alcune modifiche all’interno dei questa normativa e poi ha un ambito di applicazione molto ridotto, è ridotto in seguito all’adozione degli atti del UE. Le fondi del DIP sono di diverse origine: - Fonti nazionali - Fonti internazionali - Fonti regionali – UE Le fonti nazionali All’interno dell’ordinamento italiano vi è stato un evoluzione, si è passati dalle origini cioè dalle disposizioni preliminari del c.c. del 1865 sotto le influenze delle idee di mancini, alle disposizioni preliminari del c.c. del 1942 sotto influenza di Dionison Zanziloti e infine siamo passati alla legge 218/95 che evidenza necessità di modifica. Le fonti internazionali Le fonti internazionali si dividono in due cattegorie: - fonti convenzionali o trattati internazionali, che contengono regole di DIP, quindi regole che ci dicono per esempio come disciplinare il trasporto internazionale di merci, come individuare la legge applicabile al contratto di trasporto. Oppure che contengono norme sostanziali, cd di diritto internazionale materiale appunto perché disciplinano il trasporto di merci. - Fonti di carattere non convenzionali cd consuetudinarie e che comprendono: o Consuetudine: è un comportamento uniforme e ripetuto nel tempo. essa consta di due elementi: uno di tipo materiale (l’usus o diuturnitas) e un altro di tipo soggettivo (l’opinio iuris ac necessitatis), ancorché oggettivamente verificabile. Per usus o diuturnitas si intende la reiterazione di un determinato comportamento da parte di una collettività. L’opinio iuris ac necessitatis è, invece, la convinzione diffusa che quel comportamento sia non solo moralmente o socialmente, ma giuridicamente obbligatorio o Usi del commercio internazionale o Dottrina ovvero le opinioni degli studiosi Il commercio internazionale ha un notevole attinenza con DIP. Tutta l’attività del OI del commercio ha un influenza notevole sul DIP, perché molto spesso i provvedimenti che gli stati adottano per disciplinare il commercio internazionale, restrizione alle importazione o imposizioni di dazi, hanno delle ripercussioni anche nella disciplina dei contratti tra gli individui, contratti di vendita, di finanziamento o di franchising. La consuetudine consiste nella convinzione dell’obbligatorietà di una norma in seguito al ripetersi di una prassi consolidata tra stati, così come viene richiamato dall’art.38 dello statuto del CIG, massimo organi di giustizia che risolve controversie internazionali degli stati, organi del UN, e che applica il DI nella soluzione di queste controversie. Nella gerarchia delle fonti che sono elencate dallo statuto della corte viene indicata la consuetudine internazionale. Un esempio che viene a interferire con le norme del DIP è l’immunità degli stati dalla giurisdizione di un altro paese. Fonti regionali – ue Il consiglio d’Europa, un OI, in particolar modo nell’ambito della tutela del diritto dell’uomo, ha elaborato una convenzione molto importante che verrà preso in esame durante il corso, la convenzione europea sui diritti dell’uomo del 1950. La convenzione viene esercitata dalla corte europea (corte di Strasburgo) ha avuto un influenza fondamentale sull’evoluzione del DIP perché ha consentito delle volte una lettura derogatoria di alcune norme, convenzioni internazionali o principi generali applicati da singoli ordinamenti che potessero contrastare con i diritti fondamenta della persona. Tutta la disciplina delle unioni civili si deve anche all’opera della corte europea dei diritti dell’uomo. Lezione 2 Le fonti sono un aspetto fondamentale, in ogni materia giuridica, perché segnano la base della conoscenza. Le norme a cui dobbiamo rivolgerci per individuare le soluzioni dei problemi. In DIP le fonti sono intrecciate e complesse perché hanno più origine (nazionali, internazionali, regionali ecc…) Lo scopo del corso non è quello di memorizzare le norme ma apprendere un metodo interpretativo che potrà servire per scegliere e applicare le diverse soluzioni, se sarà necessario nell’ambito professionale. L’intreccio delle fonti del DIP è altamente complesso, ha un grado di complessità che supera qualsiasi altra materia giuridica anche perché non è racchiuso in un solo codice. Non esiste infatti un codice del DIP. L’intreccio delle fonti è complesso e in base all’origine possiamo avere fonti internazionali, universali o regionali. Tra queste gli atti del UE hanno una valenza molto forte per il DIP perché da sempre la comunità europea prima e UE poi hanno considerato questa materia come strategica. Perché? La libertà di circolazione delle persone e/o delle merci non può essere solo un affermazione di principio sanciti dai trattati internazionali, deve essere un insieme di regole che vengono concretamente implementate. DIP è uno strumento all’implementazione di questa libertà, a poco serve dire che le merci e/o le persone, lavoratori circolano liberamente all’interno della CE se poi non c’è un sistema di garanzia giurisdizionali efficaci per tutelare i loro diritti. A poco serve permettere la libertà di circolazione delle merci se poi nel caso di un contratto di vendita tra un venditore tedesco e un compratore francese all’inadempimento di una delle parti non segua una precisa indicazione dell’individuazione del giudice a cui la parte lesa possa rivolgersi per chiedere l’adempimento del contratto. Ecco che già nel 1968 la CEE aveva predisposto la convenzione Bruxelles del ’68 sulla giurisdizione e riconoscimento delle decisioni in materie civile e commerciale. Proprio per implementare quella libera circolazione delle merci e delle persone che era stata sancita nel 1957. La convenzione di Bruxelles segna dunque la grande area del diritto processuale civile internazionale. L’insieme delle regole che servono a individuare in maniera uniforme all’interno della CE prima e del UE poi, il giudice competente per questioni in matria commerciale. E una volta individuata in maniera uniforme il giudice competente avremmo poi anche la garanzia determinata dall’insieme di regole sancite dalla convenzione che le sentenze che verranno pronunciate potranno circolare in maniera uniforme. In questa maniera troviamo risposta alle due grandi domande che ci siamo posti: 1. Individuazione del giudice competente 2. Circolazione delle sentenze Questi temi però, venivano sempre affidati alla cooperazione attraverso un trattato internazionale. La convenzione di Bruxelles era infatti un trattato internazionale rimesso alla ratifica degli stati e quindi la sua implementazione non solo dipendeva da una scelta politica/legislativa degli stati ma poi dipendeva anche concretamente dalla traduzione della stessa, dell’atto convenzionale in norme interne. Un metodo che ha funzionato per molti anni soprattutto fin tanto che l’Europa è rimasta un club per pochi. Quando si prevedeva l’estensione geopolitico del UE è stato necessario pensare a soluzioni diverse. Così dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam dal 1999, ha preso avvio il processo di comunitarizzazione del DIP. In maniera più intensa di quanto non fosse avvenuto in precedenza, seppure le basi e le premesse per la comunitarizzazione del DIP sicuramente sono riconducibili all’adozione della convezione di Bruxelles, ma in previsione dell’estensione geopolitica dell’Europa si è pensato che questa uniformazione normativa delle norme di DIP dovesse essere più forte, e consentire una sottomissione anche dei nuovi stati. Motivo per il quale la forma dell’atto prescelto è stata quella regolamentare. In seguito all’entrata in vigore del trattato di Amsterdam UE ha fatto una scelta politico- giuridica differente. Ha adottato la forma normativa del regolamento per disciplinare le materie del DIP. Perché questa scelta? Perché il regolamento è un atto normativo obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile all’interno degli stati membri. Quindi non si doveva più aspettare un atto di implementazione interna cioè aspettare che lo stato si adattasse alle direttive comunitarie cosa che avrebbe preso molto tempo. Così la convenzione di Bruxelles viene trasformato in regolamento Bruxelles 1 nel 2001. Viene adottato il regolamento 44/2001 in giurisdizione e riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale. Lo stesso titolo della convenzione che viene trasformato in regolamento. Infatti il termine Bruxelles è definitorio di tutta la materia processuale. Tanto è vero che in quasi contemporanea è stato adottato il regolamento Bruxelles 2 quello in materia di separazione e divorzio. L’adozione di queste normative tramite regolamenti aveva anche il vantaggio che i regolamenti possono essere facilmente sostituiti. Infatti, il regolamento Bruxelles 1 in breve tempo è diventato RB1BIS (regolamento 1215/2012). La modifica di una convenzione è molto complicata invece il regolamento no, consentendo una rapida sostituzione quindi velocità nei lavori. Anche il RB2 è stato modificato diventando RB2TER. La terza domanda che ci siamo posti quindi quella che riguarda la terza parte del corso è l’ambito definita dal termine “Roma”, perché è stato il luogo dove è stato adottato la convenzione del 1980 sulla legge applicabile all’obbligazione contrattuale che svolgeva una funzione di completamento alla convenzione di Bruxelles del 1968. Perché era un complemento? Perché in seguito all’adozione di questi criteri uniformi di giurisdizione si era verificata nell’ambito del commercio internazionale europeo la pratica del forum shopping. Gli operatori commerciali internazionali sceglievano il giudice competente in base a quella che risultava essere la legge più favorevole in vigore all’interno del paese di cui sceglievano il giudice. Quindi sceglievano il giudice in base alla legge applicabile. Così la convenzione di Roma nel 1980 era stata adottata sempre sotto impulso della comunità europea allo scopo di favorire l’uniformazione delle regole che individuavano la legge applicabile proprio per evitare il forum shopping. Ma anche essa era una convenzione quindi doveva essere implementata all’interno degli stati membri. motivo per il quale in seguito alla comunitarizzazione del DIP la stessa è stata sostituita dal regolamento 593/2008 cd RR1 e accompagnata dal regolamento 864/2007 cd RR2 per individuare in maniera uniforme la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali e non contrattuali. Il quadro è poi completato dal regolamento 1259/2010 sulla legge applicabile alla separazione e divorzio il cd RR3. Infine il regolamento 650/2012 in materia di successioni Le problematiche generali che possono riguardare l’applicazione delle diverse fonti, che possono essere suddivise in 3 gruppi: - Coesistenza → quando ci sono più fonti che si occupano della stessa materia. Essendo DIP per natura una disciplina che deriva da fonti diversi, è evidente che varie fattispecie, situazioni giuridiche per le quali occorre base del genere. Negare il riconoscimento del ripudio sembrerebbe non tanto una situazione di conflitto, bensì una soluzione supportata sia dalle norme interne che quelle internazionali. Forse più che di conflitto si potrebbe parlare di coesistenza. Ma invece, questo non avviene perché non riconoscere il ripudio significa andare contro la libertà della donna quale è garantita dalla convenzione europea del diritto dell’uomo. E qui c’è il sistema perché l’art.3, n.2 lett. e dice che il divorzio straniero può essere utilizzato come motivo di divorzio, ma allora forse la norma interna va contro quella internazionale che tutela la dignità della donna perché indirettamente dà rilievo al ripudio estero? La norma interna è in qualche modo contro la dignità femminile? No, quello che dobbiamo vedere è la soluzione che si vuole ottenere in questo caso. Qual è il diritto fondamentale che vogliamo tutelare che è il desiderio della donna di acquisire lo status libero. Può sembrare che una norma va a una direzione diversa dalla norma internazionale, cioè utilizzare il divorzio straniero come motivo di divorzio appaia in contrasto con la parità di genere o dignità femminile, si dovrebbe leggere in senso opposto e farla coincidere con l’obiettivo di far acquistare alla donna che lo desidera lo status libero evitando così la situazione claudicante. Lezione 3 Gerarchia delle fonti Il tema della gerarchia delle fonti del DIP deve essere affrontato con delle considerazioni concernenti il rapporto tra il diritto interno e il diritto internazionale, questo per la necessità per la quale il diritto interno si adegua agli obblighi posti dal diritto internazionale, secondo il procedimento definito come adattamento. Si parte da presupposto che il diritto interno deve adeguarsi al diritto internazionale perché si tratta di due ordinamenti separati e distinti Adattamento: è il processo con il quale l’ordinamento interno si adatta al diritto internazionale, più specificamente al diritto internazionale pubblico e al diritto del UE. Rispetto all’adattamento al diritto internazionale, si può dividerlo in 3 categorie: 1. Diritto internazionale consuetudinario 2. Diritto internazionale pattizio 3. Altri atti internazionali Il presupposto generale all’adattamento internazionale è il fondamento, la teoria sviluppatasi secondo il quale esiste il dualismo degli ordinamenti: l’ordinamento interno deve essere inteso come separato da quello internazionale. È tramontata l’idea dell’universalismo di Kelsen. Secondo la quale tutte le norme si possono inquadrare in una piramide risalente fino alla norma fondamentale, che è la norma che dà origine al diritto internazionale. Grazie allo studio di molti che sostenevano la necessità di separare l’ordinamento interno da quello internazionale, si è affermato la teoria della separazione e della distinzione degli ordinamenti. Per cui data questa separazione è inevitabile pensare che il diritto interno si debba adatta al diritto internazionale. Procedimento di adattamento L’adattamento può essere eseguito in due modi: 1. Procedimento speciale cioè mediante il rinvio 2. Procedimento ordinario, che è maggiormente usato, consiste nella riformulazione delle norme internazionali all’interno dei ordinamenti nazionali. Questa procedura è necessaria specialmente in alcuni casi come ad es. le norme non self-executing ovvero norme internazionali che hanno bisogno di un completamento, che quindi attribuiscono allo stato una facoltà o che impongono agli stati obblighi per la cui esecuzione sono indispensabili organi o procedure interne, o norme per le cui esecuzione sono indispensabili degli adempimenti costituzionali. Per queste norme bisogna riformulare/riscrivere la norma internazionale (con i rischi annessi es. traduzione erronea o un’interpretazione differente dal significato originario) Un esempio di procedimento speciale per rinvio è l’art.10, 1°c. della costituzione “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. Questa è la norma che consente l’ingresso nell’ordinamento italiano delle norme consuetudinarie. L’art.10 determina un rinvio automatico, costante alle norme del diritto internazionale generale. Attraverso questo articolo le norme internazionali consuetudinarie sono automaticamente applicabili nell’ordinamento italiano. Oltre a tutto le norme internazionali entrano in modo automatico e al massimo livello cioè quello costituzionale nell’ordinamento italiano. Un’altra domanda che ci possiamo porre è se la norma dell’art.10 possa richiamare/riguardare anche le ius cogens, cioè il diritto internazionale generale cogente. È possibile ricomprendere nel richiamo del diritto internazionale generale anche il diritto internazionale cogente? Sicuramente! Nel senso che queste norme sono certamente norme del diritto internazionale generale e riconosciuti da tutti gli stati. Il quesito è se queste norme possano essere poi in qualche caso in contrasto con i principi della costituzione. Questo perché molto spesso i piani della tutela dei diritti si intrecciano e questo lo abbiamo visto nella giurisprudenza Ferrini. Elaborata in Italia per denunciare i crimini commessi della Germania nella WWII rispetto alle quali però la Germania ha eccepito l’immunità dalla giurisdizione secondo le regole del DI consuetudinario. Allora si è posti il problema di vedere se la tutela dei diritti umani conseguente alla denuncia di un crimine internazionale potesse consentire il superamento della regola dell’immunità della giurisdizione, cioè se la Germania potesse essere comunque condannata come hanno fatto i giudici italiani per i crimini internazionali contro i diritti umani. La GIC aveva condannato l’Italia per questo nel 2012 dicendo che l’Italia non avrebbe dovuto disapplicare una regola generale del DI, quale quella dell’immunità dalla giurisdizione degli stati. L’Italia invece aveva cercato di giustificare il gesto con la necessità di tutela dei diritti umani. La CIG ha condannato l’Italia quindi le sentenze interne avrebbero dovuto essere riviste finché è arrivata la Corte costituzionale italiana che nel 2014 con la sentenza 238 ha affrontato questo tema del contrasto tra le norme interne e internazionali. Quindi la corte costituzionale italiana ha confrontato questo tema, classico, cioè immissione nell’ordinamento interno di norme internazionali in contrasto con la costituzione. A questo tema della compatibilità si dava inizialmente una soluzione cronologica, impostata sulla datazione delle consuetudini. Si diceva: per le consuetudini anteriori alla costituzione sicuramente potevano essere recepite senza alcun limite nell’ordinamento italiano per quelle posteriori alla costituzione si diceva che esse non fossero recepitili nemmeno per effetto dell’art. 10, se in contrasto con i principi fondamentali della costituzione. Però questa teoria si apprestava per alcune critiche. Innanzitutto, per l’incertezza della datazione delle norme del DI, è molto difficile fissare un tempo per la formazione di una consuetudine internazionale, che si determina nella ripetizione nel tempo di un comportamento ritenuto necessario da un gruppo di stati. Quindi questa teoria che anche se era seguita era fortemente criticata. Finché si è pronunciata la sentenza 238/2014 della Corte costituzionale italiana. Si è pronunciata in senso nettamente contrario dicendo che non rileva questa distinzione cronologica delle consuetudini perché nel caso specifico, non doveva applicarsi entro l’ordinamento italiano la regola consuetudinaria sull’immunità degli stati dalla giurisdizione per effetto della decisione della CIG nel caso Germania contro Italia. Cioè la Corte costituzionale italiana in questo caso ha difeso l’ordinamento italiano dagli attacchi del massimo organo di giustizia internazionale, dicendo che la CIG aveva ribadito la superiorità del DI delle regole generali anche rispetto alla tutela dei diritti umani, quindi bisognava fare attenzione al modo in cui i diritti umani venivano tutelati all’interno della costituzione per vedere se in questo non si potesse scorgere un limite al funzionamento delle regole generali del DI. La sentenza del CIG del 2012, pronunciata dopo il ricordo della Germania che aveva accusato l’Italia di non rispettare il DI proprio perché nelle sentenze promosse da cittadini italiani che avevano subito danni derivati da crimini internazionali nel corso delle guerre, i giudici italiani non avevano applicato l’immunità della giurisdizione come chiesto dalla Germania e questo secondo la CIG era una violazione del DI. La CIG si occupa proprio di questo, di risolvere le controversie internazionali e di far rispettare agli stati il DI. Quindi la CIG nella sua sentenza invita l’Italia a togliere le sentenze interne che avevano violato l’immunità internazionale della Germania, le regole generali del DI. Poco importa che ci fosse stata una violazione dei diritti umani. Revocando le sentenze interno che avevano violato l’immunità della Germania si attua così l’art.94 della carta ONU sull’immunità degli stati negli ordinamenti interni. Tuttavia l’intervento della Corte costituzionale italiana con la sentenza 238/2014 ha rimesso tutto in discussione. Questo diktat della CIG dove condannava l’Italia per aver violato una norma consuetudinaria del DI generale non fu rispettato dalla corte costituzionale italiana. Come mai la sentenza della Corte costituzionale ha modificato il modo di intendere la gerarchia delle fonti del DI secondo quanto indicato dalla CIG. Perché la CC ha affermato che tutte le norme consuetudinarie possono essere soggetto del giudizio di legittimità costituzionale senza alcun limite temporale quanto alla loro formazione, quindi il discorso delle prime problematiche che si era posta all’atto dell’adozione della costituzione tra le consuetudini anteriori e posteriori può dirsi superato. Inoltre, la CC ha affermato che “i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona umana costituiscono un limite all’ingresso delle norme consuetudinarie nel nostro ordinamento”. Qui si è un po’ delineata una gerarchia di valori tra quello tutelati dal DI e quelli tutelati dal diritto interno. Non perché il DI non tuteli i diritti umani anzi ne da molta importanza. Tuttavia, delle volte nella sua interpretazione rigida delle norme può favorire un aspetto rispetto all’altro. Quindi in questo caso ci troviamo in una situazione di conflitto tra quello interno e internazionale. Ecco quindi, abbiamo visto che il procedimento di adattamento al diritto generale/diritto consuetudinario sia pure in forma speciale può essere vittima di numerosi problemi interpretativi anche al fine della gerarchia della fonti. Appunto perché sottesi a questi problemi tecnici di adattamento vi è anche un problema di tutela di una gerarchia di valori fondamentali. L’adattamento al diritto pattizio Si parla di convenzioni e trattati internazionali. In questo ambito vige la libertà degli stati, si tratta della sovranità degli stati che impone sopra gli stessi le scelte di politica discrezionali. Gli stati sono liberi di scegliere il procedimento preferito per l’adattamento al DI pattizio. Es: negli USA è previsto un rinvio automatico permanente forse per far vedere che sono particolarmente aperti ai valori giuridici internazionali. Nel UK si procede per riformulazione delle norme dei trattati internazionali. In Italia non c’è una norma specifica nella costituzione, non c’è una norma che regoli l’adattamento al diritto internazionale pattizio. Si fa, cioè l’Italia si adegua ma senza che ci sia una norma specifica nella costituzione. Ci fu un tentativo da parte di Rolando Quadri nell’individuare questa norma nell’art.10, 1°c. della costituzione. Quindi riconducendo al trasformatore permanente del diritto consuetudinario e alla regola pacta sunt servanda anche l’adattamento ai trattati internazionali. Ma questa teoria è stata smentita dalla lettura di lavori preparatori alla costituzione. Quindi anche se non c’è una norma specifica è sicuro che si deve procedere con un adattamento ad hoc, cioè occorre che ci sia una normativa specifica per ogni tipologia di trattato. Quindi anche per i trattati internazionali ricorrere al procedimento di adattamento che come visto può essere: 1. Speciale cioè mediante il rinvio 2. Ordinario cioè mediante riformulazione, necessaria come già detto per le norme non self-executing. Per quanto riguarda il DI pattizio si segue spesso la procedura di adattamento mediante ordine di esecuzione. L’ordine di esecuzione può essere contenuto in qualsiasi atto normativo proprio dell’ordinamento italiano, in una legge costituzionale o legge ordinaria perché in questo modo questo richiamo varrà per l’effetto prodotto dall’atto normativo che lo contiene. Vi sono però dei trattati internazionali rispetto ai quali la costituzione italiana richiede una legge di autorizzazione alla ratifica. L’art.80 della costituzione lo impone per i trattati più rilevanti come, ad esempio, quelli di natura politica che implicano oneri finanziari, variazione di legge di territorio ecc.… per questi trattati, dato che la ratifica prende tempo e può essere ritardata, quindi si è preso l’abitudine di inserire l’ordine di esecuzione nella legge di autorizzazione alla ratifica, così già in via preventiva si sa che quella norma internazionale dovrà essere resa efficace nell’ordinamento interno. Cioè si da luogo alla complessa procedura di ratifica, che avviene con decreto del presidente della repubblica ma previa l’autorizzazione del parlamento, e già nella procedura legislativa che viene operata dal parlamento si inserisce l’ordine di esecuzione anziché di aspettare che poi ci sia di nuovo un atto normativo che segue Ancora più nello specifico, con il trattato di Lisbona, il ruolo dei parlamenti nazionali è stato decisamente rafforzato perché è stato previsto un esercizio diretto di potere di controllo del rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità’ nell'esame dei progetti normativi del UE. C’è una maggiore cooperazione tra i parlamenti nazionali e il parlamento europeo. Il trattato di Lisbona ha introdotto una maggiore complicazione nell’assetto normativo del diritto del UE suddividendo le fonti rilevanti in TUE e TFUE due trattati che dovrebbero interagire tra di essi, uno con principi generali l’altro con principi tecnici di funzionamento. In che modo queste novità introdotto dal trattato di Lisbona hanno rafforzato questi rapporti di efficace del diritto del UE all’interno degli ordinamenti nazionali? Risolvendo alcune problematiche. Prima del trattato di Lisbona la fase di attuazione del diritto del UE era molto difficile e ostacolata a una lentezza nel recepimento degli atti normativi. Soprattutto perché questo recepimento veniva riservato alla delega legislativa a favore del governo e quindi l’ordinamento italiano era sempre ritardatario rispetto al processo di adeguamento del diritto interno al diritto prima comunitario poi del UE perché alcune norme del diritto comunitario e del diritto del UE non si applicavano direttamente nell’ordinamento interno ma dovevano essere recepite tramite un atto normativo apposito che richiedeva l’attivazione della procedura legislativa all’interno del singolo stato. In Italia il recepimento degli atti comunitari subivano la lentezza del sistema italiano. Per risolvere la lentezza era stata adottata una legge, cd. La legge La Pergola n86/1989 che regolava in maniera generale questa procedura di adattamento prevedendo norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo comunitario e sulla procedura di esecuzione degli obblighi comunitari. Grazie a questa normativa il legislatore cercava di accelerare i tempi di recepimento del diritto comunitario. Nonostante ci fosse questa normativa, l’Italia continuava ad essere ritardataria, perché questa normativa prevedeva l’adozione annuale di una legge di recepimento che scontava la eccessiva lentezza del processo legislativo italiano. Per colmare le carenze della legge La Pergola si è cercato di riformare questo sistema, prima con la legge n11/2005, cd. Legge Buttiglione che aveva abrogato la legge La Pergola. Questa nuova legge si è prefissa lo scopo di coinvolgere il parlamento nazionale delle regioni nel processo di formazione degli atti comunitari del UE e anche nella fase di adempimento degli obblighi derivanti dalla partecipazione dell’Italia al UE. Ispirati dai principi di trasparenza e partecipazione democratica, in modo da snellire i processi decisionali e resi più conoscibili dai cittadini e altri stati. Nonostante i tentativi di rimediare a questa lentezza, che non hanno avuto successo, fu introdotto il trattato di Lisbona e in seguito a esso la legge Buttiglione è stata abrogata dalla leggen.234/2012, sempre sullo stesso tema apportando significative modifiche alle modalità di intervento del parlamento e del governo, sia nella formazione degli atti delle politiche del UE ed fase ascendente in cui dagli enti territoriali si manifestano esigenze che poi UE deve prendere in considerazione sia nella cd fase discendente quindi nell’adempimento degli obblighi imposti da parte del UE ai membri. L’ordinamento dell’UE: 1. Fondi di diritto primario: a. Trattati istitutivi b. Protocolli, la carta dei diritti fondamentali (che dopo il Trattato di Lisbona ha assunto la stessa forza dei trattati quindi obbligatoria per tutti gli stati membri). 2. Fonti di diritto derivato a. Regolamenti b. Direttive c. Decisioni Questi due gruppi di norme possono essere considerati due gruppi convergenti, verso la formazione dell’ordinamento del UE nel suo complesso. Questa rigida classificazione forse non ha più senso ora perché nel nuovo assetto del UE il trattato di Lisbona ha modificato questa rigida suddivisione, che non risponde più alla realtà normativa creatasi dopo il trattato di Lisbona. C’è una differenza nell’effetto del diritto primario e quello derivato. Il diritto primario sono norme che si pongono al vertice del diritto del UE e dunque produce effetti nei confronti di tutti i soggetti di questo ordinamento. Sono norme posti a posizione di vertice. Il primato del diritto comunitario era già stato affermato nella giurisprudenza della corte di giustizia della comunità europea. Di fronte a un ordinamento del tutto nuovo e autonomo (la CE) si erano posti il problema di compatibilità con gli ordinamenti dei membri, perché non era un semplice atto di un OI, es. ONU. La CGCE si era infatti interrogata su questo aspetto. Questo primato del diritto della CE rispetto agli ordinamenti interno è risalente a una delle prime sentenze della CGCE, la sentenza Van Gend & Loos del 1963. In questa sentenza la corte afferma che “la Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti, non soltanto gli Stati membri ma anche i loro cittadini” (secondo il DI gli individui non sono soggetti di DI ma solo gli stati) Fonti di diritto derivato: - Regolamento: è un atto giuridico, fonte del diritto del UE e fonte del DIP, ha portata generale, obbligatoria in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile. Infatti è ampiamente utilizzato come strumento di comunitarizzazione del DIP - Direttive: vincola lo stato membro per il risultato da conseguire. Atto cd di armonizzazione che vincola il raggiungimento di un obbiettivo ma lascia libera discrezione sul modo e i mezzi da usare. La direttiva richiede un atto di trasposizione interna, cosa che non accade con il regolamento. Tuttavia, ciò non esclude che in alcuni casi le direttive possano produrre direttamente diritti ei obblighi che i cittadini possono far valere dinanzi ai giudici nazionali però devono ricorrere alcuni presupposti. Quando la direttiva ha al suo interno i presupposti dell’effetto diretto possiamo immaginare che la direttiva stessa producesse delle posizioni a vantaggio dei singoli. Innanzitutto, occorreva che la direttiva fosse scaduta, cioè il termine prevista dal legislatore del UE per implementazione interna degli stati membri fosse scaduto, cosa anche comprensibile visto i tempi della legislatura italiana che era sempre in ritardo. Il problema qui viene risolta dalla giurisprudenza e anche dalla CGCE che ha detto che in presenza di determinati circostanze proprio perché la direttiva possa raggiungere il suo obbiettivo, qualora fosse scaduto il termine di implementazione essa può produrre effetti diretti però a condizione che la disposizione sia sufficientemente precisa e cioè che si riesca a individuare con chiarezza i soggetti su cui aggravano le obbligazioni e anche i beneficiari dell’adempimento di questa disposizione. Inoltre, che la disposizione sia incondizionata cioè l’applicazione di questa disposizione non dipenda dall’adozione di ulteriori provvedimenti. In questo senso ci si avvicina un po’ alle norme cd. Self-executing. - Decisioni - Pareri Notiamo che vi è stato una evoluzione, dove le fonti del UE sono in ascesa, diventando sempre più importanti e numerosi mentre le fonti nazionali/internazionali sono in discesa. L’evoluzione della comunitarizzazione del DIP è un processo iniziata addirittura nel 1986 quando all’indomani dell’istituzione della CEE (comunità economica europea) si era ravvisata l’opportunità di unificare le norme in materia di giurisdizione, di individuazione del giudice competente e di riconoscimento delle sentenze straniere in materia civile commerciale proprio per facilitare la circolazione dei provvedimenti giurisdizionali che dovevano così implementare quella libera circolazione delle merci e delle persone che era stata sancita a livello di trattati istitutivi. Lo strumento giuridico che veniva utilizzato all’epoca era però una convenzione, sia chiaro che la natura giuridica dello strumento era collegata strettamente alla cooperazione tra gli stati. Con il tempo e l’adozione del tratto di Amsterdam, si è passati dalla convenzione al regolamento. Questa è stata una scelta politico/giuridica ben definita, poiché il regolamento è direttamente applicabile ed è obbligatoria in tutte le sue parti. Quindi non è rimesso come la convenzione alla scelta discrezionale degli stati di cooperare tra di loro, è un atto obbligatorio, gli stati sono obbligati a rispettarlo, questo per favorire ancora di più l’integrazione dei sistemi processuali dei stati membri. Integrazione ulteriormente rafforzato dopo il 2005 quando è stato deciso di abolire l’exequatur, quindi non solo le sentenze possono circolare da un paese all’altro ma anche si possono porre in essere dei provvedimenti coercitivi/esecutivi per rendere e implementare effettivamente le sentenze straniere senza la necessità di passare attraverso un procedimento giurisdizionale. La scelta del regolamento per una maggiore integrazione fu di natura politica. Il regolamento presenta 2 vantaggi: 1. Atto obbligatorio e direttamente applicabile evitando così tempi lunghi e errori di traduzione 2. Più facile modificabilità, mentre modificare una convenzione è più complicata che richiede tempo e cooperazione tra gli stati. Lezione 5 In origine il DIP come abbiamo visto anche nella teoria di Mancini, era sempre stata una disciplina collegata ai codici nazionali con qualche immissione derivante da convenzioni internazionali in seguito alla comunitarizzazione del DIP, vi è stata una forte erosione delle competenze nazionali da parte delle fonti del diritto del UE per questo motivo possiamo vedere il rapporto tra le fonti UE e fonti nazionali/internazionali come una bilancia in ascesa per le fonti UE e discesa quella delle fonti nazionali. È accettata che l’importanza delle fonti UE nell’ambito del DIP è ormai superiore rispetto alle fonti nazionali. Le tre domande che ci si pone in questo corso sono: 1. Individuazione del giudice competente 2. Riconoscimento delle decisioni in un altro stato 3. Individuazione della legge applicabile Le prime due domande definiscono la materia del diritto processuale civile internazionale, l’ambito più complesso. La comunitarizzazione del DIP è un processo lungo che colloca il proprio origine nel 1968, già all’atto dell’istituzione della CEE si era ravvisata la necessità attraverso la convenzione di Bruxelles del 1968 di unificare le regole che portassero all’individuazione del giudice competente e che disciplinassero il riconoscimento delle decisioni da uno stato all’altro proprio per consentire quella libertà di circolazione delle merci, di decisioni che era stata affermata nei trattati istitutivi, venisse imprentata concretamente. La cooperazione era stata vista come un’esigenza sempre più fondamentale a partire dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam del 1997, ecco perché individuammo questa data come significativa fino al 2005, quando questa scelta di comunitarizzare le norme ha visto una sorta di rodaggio per vedere se era possibile questa effettiva integrazione maggiore degli stati per porre delle regole uniforme in materia di rapporti privatistici transnazionali e poi quando si è visto che questo meccanismo poteva funzionare dal 2005 ad oggi si è tesi ancora di più a una evoluzione più intensa per abolire anche l’exequatur che era l’ultimo procedimento rimasto per definire questa collaborazione tra stati in materia processuale e fare in modo che le sentenze fossero resse effettivamente esecutive. La comunitarizzazione del DIP non ha solo conseguito un ampliamento normativo perché le basi giuridiche sono diventate più salde e consolidate bensì anche un ampliamento operativo perché le competenze della CE all’interno del UE sono diventate più ampie. Questa evoluzione della comunitarizzazione del DIP parte dal primo trattato di Bruxelles del ’65, il trattato di Lussemburgo del ’70: erano atti di mera cooperazione intergovernativa tra gli stati. Da questi poi si passa all’atto unico europeo del ’86 in cui si ridefinisce anche un po’ il ruolo delle istituzioni europee. E per ampliare ancora le competenze e vedere la rilevanza del diritto della CE nell’ambito del DIP bisogna arrivare sicuramente al trattato di Amsterdam del ’97, ma con qualche buon presupposto nel trattato di Maastricht del ’92, che oltre a prevedere all’integrazione economico/monetaria si sono disposte anche le regole della cittadinanza europea. Questo assetto è stato poi confermato dal trattato di Nizza ed è stato consolidato dal trattato di Lisbona del 2007. Accanto all’ampiamento dei presupposti normativi, vi è anche l’ampliamento delle materie su cui UE andava ad insistere. Si passa dalle origini (trattato di Roma) quando la CEE si proponeva come un’entità a carattere prevalentemente economico quindi gli obbiettivi erano quello del mercato comune europeo, agli obbiettivi del trattato Tra gli aspetti positivi che il trattato di Lisbona ha per i diritti civili, quelli più rilevanti direttamente per i fini del DIP c’è la connessione della tutela dei diritti fondamentali, precisati ed elencati nella carta di Nizza, che grazie al trattato di Lisbona è diventata un atto giuridico vincolante. Dato che la tutela dei diritti fondamentali sono diventati rilevanti, è chiaro anche il passaggio dello strumento giuridico: si passa dalla convenzione, in cui si rimette alla volontà degli stati di seguire gli obblighi del trattato o meno attraverso la ratifica, al regolamento poiché il regolamento è obbligatoria in tutte le sue parti ed è direttamente applicabile, quindi una maggiore efficacia nella tutela dei diritti umani. Che cosa implica per il DIP questa adozione della normativa di tipologia regolamentale? 1. La definizione di criteri di giurisdizione uniformi 2. Regole uniformi per il riconoscimento delle sentenze 3. Regole uniformi per l’individuazione della legge applicabile I due ambiti: Bruxelles (per la parte processuale) e Roma (per la parte relativa alla legge applicabile) Con il vantaggio che gli stati membri non devono adottare nessun atto di implementazione della normativa di fonte europea ma devono solo attenersi agli obblighi previsti da regolamento. I due ambiti Bruxelles e Roma incidono su due sfere differenti uno definisce l’ambito processuale (Bruxelles) e l’altro l’ambito della legge applicabile (Roma) Ambito processuale: 1. In materia di contratti: - regolamento Bruxelles I - 44/2001 - regolamento Bruxelles Ibis - 1215/2012 2. In materia di rapporti di famiglia: - RBIIBIS - 2201/2003 - RBIITER - 1111/2019 In ambito di legge applicabile: 1. In materia di contratti: - Regolamento Roma I – 593/2008 2. In materia di rapporti di famiglia: - Regolamento Roma III – 1259/2010 Questi atti sono veloci da sostituire poiché di natura regolamentari. Per quanto riguarda i contratti, il RBIbis sostituisce RBI che aveva a sua volta sostituito la convenzione di Bruxelles del 1968. Per quanto riguarda il DIP di famiglia il RBII viene sostituito dal RBIIbis che a sua volta viene sostituito dal RBIIter (1111/2019) Lezione 6 La prima parte del corso è incentrato sul diritto processuale civile internazionale o conosciuto anche come DIP processuale. In che modo si articola l’ambito del diritto processuale civile internazionale? Rispondendo alle prime due domande che sono: 1. Individuazione del giudice competente, appunto la questione di giurisdizione 2. La questione del riconoscimento delle decisioni. Una volta che il giudice competente è stato individuato e si sia svolto tutto il procedimento che ha condotto alla pronuncia di una sentenza. Giurisdizione: Quando si pone il problema della giurisdizione? Esempio: Tizio fa causa Pinco in Francia per contestare un licenziamento illegittimo. Pinco propone una causa in Italia per i danni derivati dal comportamento illegittimo di Tizio. Come si risolve il caso sullo stesso tema in paesi diversi? Lo scopriremmo durante il corso. Giurisdizione = ius dicere = applicare il diritto Attore = cita la persona che lo ha danneggiato Convenuto = è citato per difendersi dalle accuse Come individuare il giudice competente? Questo tema si lega strettamente alla sovranità dello stato, quindi l’esercizio della giurisdizione rientra nelle prerogative degli stati. Però occorre delimitarli, è necessario delimitare la competenza giurisdizionale alle controversie che presentano collegamenti con la vita sociale dello stato, altrimenti questa prerogativa dello stato rischia di invadere la sovranità altrui e questo sarebbe contrario ai principi di diritto internazionale generale. Per cui non si può oltrepassare la sovranità di uno stato e invadere illegittimamente la sovranità altrui. Questo concetto della delimitazione della giurisdizione è strettamente connesso alla nascita degli stati. Vi è questo stretto legame della sovranità e i limiti entro i quali uno stato può decidere su determinate questioni che non hanno tutti gli elementi interni al proprio ambito sociale. L’universalità del DIP non è accettata perché non si può risolvere le questioni in un qualsiasi foro. Gli stati si sono regolati e limitati della propria giurisdizione nei confronti degli altri stati. Vi sono 2 diversi approcci alla giurisdizione: 1. Quella unilaterale in cui uno stato delimita le proprie competenze in quelle controverse nei quali può esercitare 2. Quella integrata in cui si distribuisce le controversie tra giudici di più stati La competenza giudiziaria è il potere esistente in capo alle autorità interne di uno stato di esercitare la funzione giurisdizionale (tribunale di Trieste, tribunale di Roma…) La competenza giurisdizionale è il potere esistente in capo alle autorità di stati diversi di esercitare la funzione giurisdizionale ovvero la delimitazione dell’attività della giurisdizione dei tribunali civili di un dato paese. Quello che in senso tecnico chiamiamo giurisdizione. Per autorità giudiziaria italiana si intende tutti gli organi giudiziari che hanno il compito di amministrare la giustizia in materia civile sul territorio del nostro stato, tribunale, corte d’appello, corte di cassazione… Molto spesso si distingue tra competenza per far riferimento all’esercizio della funzione giurisdizionale da parte dei giudici interni di uno stato e giurisdizione per definire l’esercizio della stessa funzione nei confronti delle controversie che presentano elementi estranei allo stato stesso. Però ci sono alcuni paesi che conoscono solo il termine competenza come per esempio la Francia, quindi questa distinzione tra competenza e giurisdizione, quando si segue la prospettiva multilaterale/integrata viene messa un po’ in difficoltà. Tecnicamente la distinzione è: competenza per le questioni interne e giurisdizione per le questioni esterne/internazionali. Per quanto riguarda la competenza giudiziaria, come si distribuisce tale competenza all’interno di uno stato tra i vari tribunali esistenti all’interno dello stato italiano? Competenza giudiziaria: potere esistente in capo alle autorità interne di uno Stato di esercitare la funzione giurisdizionale. Questa competenza si suddivide per territorio e per materia: - Per territorio in cui le controversie vengono esaminate dal tribunale del territorio o della residenza - Per materia dove ci sono dei tribunali con competenze specifiche come il tribunale del lavoro o in riferimento al grado di giudizio, primo – secondo grado… Le fonti del diritto processuale civile internazionale sono di fonte nazionali, internazionali e regionali. Viene da pensare che le: - Fonti nazionali che si occupano della competenza giudiziaria - Le fondi internazionali e/o regionali UE si occupano della competenza giurisdizionale Ma non è più così per effetto della comunitarizzazione del DIP, che è un processo in evoluzione, inarrestabile e molto intrusivo poiché come già visto vi è una spinta propulsiva delle fonti del diritto del UE rispetto a quelli nazionali/internazionali. Infatti l’applicazione dei criteri nazionali è molto residuale per effetto della prevalenza dei criteri stabiliti dai regolamenti UE. La disciplina di fonte interna in materia di DIP è applicata se non vi è un criterio previsto entro i regolamenti del UE così stabilito nel RB1bis all’art.6 e all’art.7 del RB2bis. L’ambizione del legislatore del UE è quello di assorbire tutte le materie in precedenza regolate da fonti nazionali e farli ricadere nell’ambito delle fonti UE. In alcuni casi questo non è possibile, quindi c’è ancora un piccolo margine di manovra e di applicazione di norme di fonti nazionali. In altri casi questo margine non c’è più e vi un’applicazione totale delle norme di fonte UE. I criteri di giurisdizione sono elementi utili a definire e delimitare l’esercizio di giurisdizione di uno stato. Sono elementi contenuti all’interno della fattispecie ad es. la residenza del convenuto, il luogo di consegna delle merci, elementi che collegano una fattispecie a un ambito giurisdizionale. Sono criteri di collegamento che determinano l’attaccamento di una fattispecie a un ordinamento per individuare la legge applicabile secondo un meccanismo simile per individuare il giudice competente. Nell’ambito di questi criteri incontriamo: - Criteri giuridici → la residenza, il domicilio, la nazionalità - Criteri di fatto → luogo di situazione della cosa È importante stabilire sulla base di quale ordinamento dobbiamo interpretare questi criteri Ciò che è importante è determinare i criteri di giurisdizione e di interpretarli secondo regole certe per sapere con chiarezza quale giudice rivolgersi, questa interpretazione va fatta in base alla legge del luogo in cui si intende radicare il processo. Indagare sui termini prima di rivolgersi al giudice di quello stato. Se si vuole rivolgersi a un giudice tedesco si deve prima vedere cosa si intende per cittadinanza nell’ordinamento tedesco. Cosa che non vale per la cittadinanza chi va determinata seconda la legge nazionale. Questo per risolverei casi problematici per gli individui senza cittadinanza come gli apolidi o titolari di più cittadinanza. Sempre all’interno dei criteri di giurisdizione troviamo i criteri generali e speciali: - Criteri generali valgono per tutte le controversie - Criteri speciali valgono solo per alcune controversie Non sempre possiamo dire che le controversie speciali vanno sottoposte a criteri speciali e quelli generali non si applicano perché ci possono essere quei casi dove i criteri generali rilevano anche per le controversie speciali. Ricordiamoci dei criteri interpretativi generali in cui lex specialis derogat lex generali. Qual è il rischio interpretativo di coordinamento tra i criteri generali e speciali? Il rischio è che si venga a creare una competenza esorbitante ovvero un meccanismo in base al quale siano ricondotte alla giurisdizione del foro delle controverse che non hanno legami effettivi con lo stesso. Esempio: il matrimonio di una coppia giapponese a Venezia ma che risiedono negli USA. Allora qual è la connessione sociale con lo stato italiano? Nessuno. Quale potrebbe essere il rimedio contro questa competenza esorbitante? Sicuramente un rimedio interpretativo, quindi è vero che si applica il principio per cui prevale la competenza speciale su quella generale, però valutando la situazione concreta caso per caso. In altri paesi, di comon-law è stata elaborata una teoria interpretativa specifica che è la “forum non conveniens” secondo cui i giudici di uno stato possono rifiutarsi di decidere su un caso che viene loro sottoposto quando a loro avviso il giudice di un altro stato potrebbe più convenientemente pronunciarsi sul punto. Una sorta di rimedio discrezionale per cui i giudici di un ordinamento si spogliano di una competenza per attribuirla al giudice di un altro stato, importate però evitare sempre il vuoto di giurisdizione. Il fondamento di questa teoria interpretativa è il fatto di una maggiore vicinanza. L’ambito di applicazione del RB1bis: come qualunque altro fonte deve essere definito con riguardo alla materia; al tempo; con riferimento agli stati che ne fanno parte. - Materia: l’art.1 del regolamento definisce l’ambito di applicazione che è quello civile e commerciale, salvo eccezioni - Tempo: il regolamento è entrato in vigore il 10.01.15 - Per quanto riguarda le parti, il regolamento prevede un criterio di applicazione soggettivo, l’art.4 e 5 stabiliscono che le fattispecie devono avere un nesso con il territorio del UE, tipo il domicilio. Però l’Italia ha esteso ad un’applicazione soggettiva più ampia con la legge 218/95 all’art.3 Inoltre anche la CGUE ha cercato di estende in via interpretativa l’ambito d’applicazione del RB1bis e ha definito questo regime come globale, con riferimento all’Italia questo effetto estensivo è sicuramente valido per effetto della l.218/95 art.3 2°c., quindi può riguardare controversie tra privati che non hanno alcun grado d’integrazione con la vita del UE. Per quanto riguarda la materia, che è un ambito molto ampio dei rapporti privatistici, i contratti, obbligazioni contrattuali e non contrattuali. Fa riferimento al rapporto giuridico fra le parti in causa. Vi sono poi delle esclusioni espresse dal regolamento e sono le materie fiscali, doganali, amministrativa, la responsabilità dello stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iurii imperi) poiché gode di immunità secondo il DI pubblico. Ci sono altre materia escluse dal regolamento pur essendo materie che appartengono al diritto civile o commerciale che però sono sottratte al RB1bis e sono: - Stato e capacità delle persone fisiche, regime patrimoniale fra coniugi o da rapporti con effetti comparabili al matrimonio - Fallimenti, procedure relative alla liquidazione di società o altre persone giuridiche insolventi - Sicurezza sociale - Arbitrato - Obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio o affinità - Testamenti, successioni e obbligazioni alimentari mortis causa Come mai queste materie sono escluse? Queste esclusioni espresse sono motivate dall’esistenza di altre normative specifiche: Reg. 2201/2003 (in materia di separazione e divorzio RB2bis), reg. 4/2009 (in materia di obbligazioni alimentari), Conv. New York del 1958 su arbitrato commerciale internazionale. Tra le materie escluse dal RB1bis c’è quello in materia di arbitrato commerciale internazionale perché è regolato dalla convenzione di NY. Intanto regola la forma dell’arbitrato internazionale che deve essere scritta contenuta clausola compromissoria inserita in un contratto o un compromesso firmati dalle parti o contenuti in uno scambio di lettere o telegrammi. Questa uniformità che è la prerogativa del commercio internazionale è fortemente voluta per unificare le regole per dare certezza agli operatori del campo. Tra gli aspetti importanti regolati dalla convenzione di NY c’è anche il riconoscimento automatico delle sentenze arbitrali straniere, perché unificando le regole dell’arbitrato si agevolano anche le regole per il riconoscimento delle sentenze. Si esclude la prova dell’exequatur (si esegua), cioè quando le parti si sono accordano per rimettersi a un arbitro per risolvere una controversia e questa decisione deve essere implementato negli ordinamenti interni e come si fa ad agevolare questo? L’agevolazione consiste nella riconoscibilità automatica di questa decisione rovesciando l’onere della prova perché la parte che contesta l’esecuzione dovrà dimostrare i motivi per cui deve essere negato l’exequatur, quindi chi ha ottenuto la decisione arbitrale è agevolato nella soddisfazione delle proprie pretese nei confronti della controparte. Parte interessata produce l’originale o una copia autentica della sentenza e della convenzione arbitrale con la traduzione giurata di tali documenti se redatti nella lingua diversa da quella del giudice dell’esecuzione (art. IV) e può essere impedito il riconoscimento solo per una serie di motivi tassativamente previsti su eccezione o d’ufficio (art. V.1. e 2.) Tornando al RB1bis, la prima regola per individuare il giudice competente è il luogo in cui il convenuto è domiciliato, vediamo che questo è un concetto strategico sia perché è un criterio di applicazione che definisce l’ambito degli stati in cui si può rendere operativa questa disciplina dicendo che si applica se il convenuto è domiciliato in uno stato membro, sia perché è un criterio di giurisdizione. Il problema sarà determinare il domicilio, ci viene in aiuto l’art.62 del RB1bis secondo il quale è la legge dello stato entro il quale è stato avviato il processo che ci dice se esiste il domicilio, quindi il domicilio si determina in base alla legge del luogo in cui si svolge il processo. Il domicilio va interpretato secondo la legge dello stato in cui il processo è instaurato, in mancanza secondo le leggi degli stati membri comunitari nell’ipotesi in cui il convenuto non sia domiciliato nello stato in cui si svolge il processo quindi il giudice dinanzi al quale è stato radicato il procedimento dovrà prendere in esame tutte le leggi degli stati membri del UE per vedere se esiste il domicilio del convenuto all’interno di uno di quei stati. Per l’ordinamento italiano il domicilio è il centro degli affari e interessi di una persona, quindi se il procedimento si instaura in Italia il giudice italiano applicherà l’art.43 del c.c. se invece il convenuto non risulta avere il suo centro di affari in Italia il giudice italiano potrà prendere in considerazione anche le leggi degli altri paesi del UE per vedere se il convenuto è domiciliato in uno degli stati. Per le società e le persone giuridiche non vale il concetto di domicilio bensì di sede, che possono essere numerosi quindi può risultare in una pluralità di fori competenti. Il domicilio è un criterio facilmente modificabile perché può essere trasferito da un paese all’altro, quindi è importante definire il momento in cui lo stesso deve essere determinato e questo momento si considera in riferimento al momento dell’instaurazione della controversia. Quindi poco importa se il convenuto modifica il proprio domicilio poco dopo l’inizio del processo, quello che conta è che il momento in cui viene individuato il giudice competente fosse ivi domiciliato poi potrà trasferirsi ovunque voglia. Perché questo? Perché come i criteri di giurisdizione devono essere determinati con riferimento alla legge del luogo in cui si instaura il procedimento è altrettanto importante che questa fotografia sui presupposti dell’esercizio della giurisdizione si scatti nel momento in cui il procedimento viene instaurato. Tutto quello che succede dopo non risulterà rilevante ai fini del venir meno della giurisdizione. Lezione 8 Parliamo sempre qui della giurisdizione cioè della determinazione del giudice competente ovvero della delimitazione della competenza giurisdizionale di uno stato rispetto a una controversa sulla quale può esercitarsi ma non in una prospettiva unilaterale bensì dal punto di vista integrata multilaterale. A. DOMICILIO Ora ci occupiamo della giurisdizione in materia civile commerciale, quella che caratterizza il DIP dei contratti e come abbiamo visto ci sono due rami, uno per DIP dei contratti e uno DIP per la famiglia. Per ora ci occupiamo del DIP dei contratti, quello più vasto del DIP ed è disciplinato dal regolamento 1215/2012 = RB1bis (che ha sostituito il RB1 che a sua volta aveva sostituito la convenzione di Bruxelles del 1968). Secondo questa normativa il criterio di applicazione è il domicilio del convenuto in uno stato contraente, ma ciò non vale per l’Italia perché la norma dell’art.3 l.218/95 lo esclude, cioè richiama la convenzione e quindi anche gli atti successivi indipendentemente dall’operatività del domicilio del convenuto. Questo principio dell’estensione del domicilio anche nell’ipotesi in cui vi sia un convenuto che non è domiciliano nel UE va le anche per gli atti del UE perché in seguito alla comunitarizzazione del DIP vi è stata la sostituzione della convenzione di Bruxelles prima dal RB1 (44/2001) e ora del RB1bis (1215/2012). Quindi il richiamo dell’art.3 2°c. della legge 218/95 vale per l’estensione del criterio di applicazione anche per questi atti. Come già visto, il foro generale che è anche il criterio applicativo del RB1bis è il domicilio del convenuto che viene considerato in quanto domicilio per le persone fisiche e in quanto sede per le persone giuridiche/società, poiché hanno una localizzazione diversa da quella delle persone fisiche. Questi criteri vanno valutati secondo la lex fori, la legge del luogo dove viene instaurata il processo e al momento dell’instaurazione del procedimento tramite la proposizione della domanda. Quindi il giudice dovrà prendere in considerazione le norme del proprio diritto privato interno, per verificare se in quel paese esiste il centro di affari e interesse di una persona per attestare che sussiste il domicilio di una persona all’interno di uno stato membro. Accanto al domicilio, il RB1bis prevede il sistema delle competenze speciali. B. COMPETENZE SPECIALI Cosa sono le competenze speciali? Sono competenze che istituiscono un foro speciale diverso da quello generale del domicilio del convenuto e alternativi tra di loro. Questa molteplicità di criteri di giurisdizione offre a chi intenda agire in base alle regole del UE per instaurare un procedimento dinanzi al giudice di uno degli stati membri, un sistema alternativa di criteri, per cui l’attore può rivolgersi al giudice del domicilio del convenuto o un altro giudice. Un tema strettamente collegato al forum shopping proprio per la presenza di scelta tra i vari fori. Questi criteri sono detti criteri di competenza speciali perché riguardano una determinata categoria di controversie mentre il domicilio è un criterio generale perché vale per tutte le controversie. Sono definite anche come competenze facoltative perché sono rimesse alla scelta dell’attore che trovandosi in una determinata circostanza può decidere quale criterio usare. I criteri di competenza speciale si inseriscono in un ambito più ampio chiamato sistema delle competenze. Sistema perché è un ordinamento complete che offre a chiunque intenda proporre un’azione in ambito civile commerciale una soluzione più vicina possibile alla situazione considerata o ai propri interessi. Quindi questo sistema in cui la giurisdizione è il focus, prevede: il domicilio come criterio generale e prioritario anche perché più facile da individuare e poi tutta una serie di competenze (speciali, esclusive ecc. …). L’art.7 n.1 del RB1bis, al centro di queste competenze speciali c’è la materia contrattuale, quindi i criteri che UE pone per individuare il giudice compente in materia di obbligazione contrattuale. Il riferimento è al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere seguita. Poi questo criterio ha due sottospecifiche: - Per la vendita è competente il giudice del luogo della consegna dei beni, intesi come luogo in cui i beni sono consegnati o dovrebbero essere consegnati - Per la prestazione dei servizi è competente il giudice del luogo in cui i servizi sono stati prestati o avrebbero dovuto essere prestati. Va sottolineato l’aspetto in cui è esclusa la responsabilità precontrattuale, cioè la violazione degli obblighi che i privati devono seguire nell’ambito delle trattative che conducono alla formazione di un contratto, non rientrano nell’ambito della materia contrattuale. L’art.7 n1 del RB1bis è ispirato al principio di prossimità, secondo il quale bisogna cercare di disciplinare le situazioni nel modo più vicino possibile, in questo caso in base alla vicinanza del giudice alla situazione controversa, quindi il luogo in cui la prestazione deve essere eseguita è un criterio azzeccato per la materia contrattuale perché consente di avvicinare la fattispecie al luogo in cui questa ha maggiore attinenza. Poi però i regolamenti, volevano irrigidire questa norma abbastanza flessibile e quindi l’hanno circostanziata con riferimento al luogo di consegna dei beni ed esecuzione dei servizi rendendo così residuale l’operatività della norma del luogo di prestazione del bene/servizio I due criteri, come già detto sono i luoghi della consegna dei beni e il luogo della prestazione dei servizi. Questa duplice accezione che è specificata nella norma: “il luogo in cui i beni/servizi sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati/eseguiti” delinea un fenomeno chiamato concentrazione della competenza, perché riferendosi a tutte le Oltre al domicilio del convenuto è competente anche il giudice del luogo di situazione di queste entità. Ciò, sulla base del fatto che questo giudice è più vicino ai fatti di causa Controversie in materia di trust È un altro criterio speciale previsto dal regolamento, il trust è un istituto dei paesi del common-law una sorta di amministrazione fiduciaria dei beni, in Italia è sconosciuta quindi pone dei problemi interpretativi. In ambito giurisdizionale la competenza per tutte le controversie in materia di trust è del giudice del domicilio del trust, dobbiamo individuare il luogo in cui il trust è localizzato. Dato che in Italia non vi è una normativa in materia di trust dobbiamo rimetterci alla normativa internazionale, un altro caso di coesistenza di fonti. Per definire il domicilio del trust che ci serve per far applicare le norme sulla giurisdizione dovremmo richiamare una convenzione internazionale, la convenzione dell’Aja del 1985 sul trust che ci darà le regole per individuare questo criterio. Controversie in diritto di navigazione Anche se il diritto di navigazione è una materia a sestante ha comunque delle conseguenze significative per il DIP. Dall’operazione di assistenza e di soccorso di una nave in mare deriva per il soccorritore un privilegio sulla nave o sul carico, cioè chi soccorre una nave che sta trasportando un carico potrebbe avere il diritto di credito o dei diritti di garanzia per ottenere un rimborso (per il diritto di credito) se non lo ottiene può essere competente il giudice del sequestro del nolo o del carico della nave al quale il soccorritore si rivolge per ottenere un provvedimento cautelare, un sequestro o un provvedimento preventivo per cautelarsi rispetto all’operazione di rimborso. Questo è un criterio alternativo che si aggiungere a quello facoltativo del domicilio del convenuto. Controversia per la restituzione dei beni culturali illecitamente usciti dal territorio UE Altro criterio di competenza speciale è quello che riguarda le controversie concernenti i beni culturali illecitamente trafugati. È un tema tradizionale anche se il criterio è nuovo poiché introdotto appena dal RB1bis ma è un tema storico ci sono dei casi famosi che ne parleremmo, c’è un apparato complesso di norme internazionali, convenzioni e direttive (Dir. 93/7/CE del 15.3.1993) che si occupano di porre delle garanze anche perché questi beni corrispondono un patrimonio da tutelare nell’interesse culturale di uno stato oltre che nell’interesse del proprietario perciò è bene che ricevano una tutela specifica. Nel caso della controversia qual è il giudice competente oltre al domicilio del convenuto? Il giudice del luogo in cui il bene si torva al momento in cui il proprietario, quindi occorre dimostrare di essere il legittimo proprietario, propone la domanda di recupero. Questo criterio vale se il domicilio del convenuto è all’interno del territorio del UE a parte l’eccezione dell’Italia per effetto dell’art.3,2 ° co, l. 218/95 che pone una estensione quindi per l’Italia questo criterio non vale. È un criterio importante perché ci consente di ravvisare una connessione tra il diritto di proprietà del singolo e il bene culturale come un bene di cui la collettività ha il diritto di avere una tutela apposita. Lezione 9 L’ambito Bruxelles definisce la giurisdizione in ambito civile commerciale Siamo nell’ambito delle competenze, entro il quale il tema centrale della giurisdizione, ovvero della definizione del giudice competente a risolvere delle controversie che presentano elementi di estraneità rispetto al foro, è affrontato con riguardo a criteri che lo definiscono: in primis il domicilio come criterio generale di giurisdizione, che nel caso specifico dei regolamenti è anche il criterio di applicazione, e poi il sistema delle competenze che si suddividono in : - Competenze speciali - Competenze esclusive - Competenze a tutela del contraente debole Che costituiscono un sistema consolidato in quanto era già stato definito dalla convenzione di Bruxelles del 1968, poi riprodotto con qualche lieve modifica dal RB1 e poi confermato dal RB1bis. È un ambito nel quale c’è un’abbondante giurisprudenza soprattutto peri dubbi interpretativi. C. COMPETENZE ESCLUSIVE Ora passiamo all’esame delle competenze esclusive. Già dal nome si può capire che hanno una caratteristica particolare rispetto alle altre competenze, sono infatti competenze esclusive. Dunque, sono esclusive perché escludono ogni altra operatività di regola di giurisdizione, l’aggettivo che le distingue caratterizza anche la loro operatività. L’art. 24 del RB1bis è quello che disciplina le competenze esclusive. Cosa sono le competenze esclusive? Sono titoli di giurisdizione così significativi da precludere l’utilizzo sia del foro generale del domicilio del convenuto, sia dei fori alternativi eventualmente configurabili nel caso di specie. L’aggettivo “esclusivo” ha una forte valenza, viene applicato più di ogni altra competenza prevalendo sul criterio del domicilio, perché hanno una forza intrinseca determinata dalle circostanze che le caratterizzano. Sono competenze particolari per certe categorie di controversie, sono specialmente riferiti a una certa categoria di controversie con una particolare forza cioè quello di escludere qualsiasi altro titolo di giurisdizione. Qual è il loro obiettivo? È quello di agevolare il buon funzionamento della giustizia in uno spazio giudiziario unico e lo strumento che in questo caso viene adoperato è la circostanza di far decidere al giudice tassativamente indicato dall’art. 24. Perché si presume che quel giudice abbia una particolare connessione territoriale con la fattispecie e quindi sia il giudice più adatto a decidere. La forza delle competenze esclusive, cioè il fatto che esse operino a prescindere da qualsiasi tipologia di competenza si esplica anche rispetto ad altri 2 aspetti: da un lato l’impossibilità dell’interferenza della volontà delle parti e poi l’altro aspetto che caratterizza tutte le competenze esclusive concerne la necessitò di un’interpretazione non estensiva di questi criteri (se si estendesse l’interpretazione delle competenze esclusive verrebbe meno quel principio tanto promosso dal UE che è quello di uniformare e comunitarizzare) L’art.24 n.1 del RB1bis regola le controversie concernenti i diritti reali su beni immobili e affitti su tali beni afferma “in materia di diritti immobiliari e di contratti di locazione di immobili, sono competenti le autorità giurisdizionali dello stato membro in cui l’immobile è situato. Tuttavia, in materia di contratti di locazione di immobili a uso privato temporaneo stipulati per un periodo massimo di 6 mesi consecutivi, hanno competenza anche le autorità giurisdizionali dello stato membro in cui il convenuto è domiciliato, purché il conduttore sia una persona fisica e il locatore e il conduttore siano domiciliati nel medesimo stato membro” In questi casi si prevede la competenza esclusiva dei giudici dello stato in cui si trova l’immobile. Qui si fa un rinvio agli ordinamenti nazionali, non si fa un’individuazione specifica del giudice come nelle competenze speciali, ma si fa un’indicazione generale. Perché quando si ha a che fare con i diritti reali su beni immobili, poiché vi è una connessione forte tra il diritto che si sta esaminando e il bene, e anche una connessione con la sovranità degli stati perché l’amministrazione dei beni dei territori dello stato si attiene al concetto della sovranità dello stato, e questa connessione non può essere messa in discussione da altre competenze. Quindi si ritiene che sia meglio che queste fattispecie siano esaminati dai giudici più vicini alle stesse, quindi il giudice del luogo in cui il bene si trova. A proposito di ciò che è stato detto prima, cioè la necessità di un interpretazione non estensiva la CGCE nella causa 73/77 ha chiarito che questa competenza vale solo per azioni attinenti all’accertamento del diritto di proprietà, del possesso o di altri diritti reali su tali beni. Da questa precisazione cioè il fatto che questa competenza esclusiva di cui l’art.24n.1 con riguardo le controversie concernenti i diritti reali su beni immobili e affitti su tali beni è una competenza esclusiva del giudice dello stato in cui si trova l’immobile che deve essere e circoscritta all’accertamento del diritto di proprietà sono derivate delle ulteriori precisazioni come, ad esempio, questo criterio non si applica a una domanda di risoluzione della compravendita di un immobile, la risoluzione per inadempimento non rientra in questo ambito della esclusività del giudice del luogo in cui si trova l’immobile bensì rientra nell’ambito contrattuale così ha detto la CGCE, 10.1.1990, causa C-115/88 Reichert. Questa materia riguarda strettamente il diritto di proprietà, il possesso sui beni immobili e non deve essere intesa in maniera estensiva è stata esclusa l’operatività di questa norma anche con riguardo alle controversie su un contratto di adesione a un club (una sorta di partecipazione a una multiproprietà) Diverso è il discorso che riguarda gli affitti. Qui la norma stessa che ci dice che può esistere la competenza esclusiva dei giudici dello stato membro in cui si trova l’immobile accanto a quello del domicilio del convenuto, questa è una sorta di eccezione alla esclusività della competenza in materia di diritti reali su immobili, purché vi siano delle determinati condizioni, cioè che questi contratti siano stipulati per un periodo massimo di 6 mesi consecutivi e occorre anche che l’affittuario si auna persona fisica e non una società e che il locatore e il conduttore siano domiciliati nello stesso stato membro. Ad esempio, un caso in cui si può dare operatività a questa eccezione della competenza esclusiva è l’affitto di un immobile situato in Italia tra un conduttore e il proprietario entrambi domiciliati in Germania. In questo caso la competenza può essere sia del giudice italiano dove il bene è situato sia del giudice tedesco dove i protagonisti della fattispecie sono domiciliati. Qui l’eccezione è giustificata dalla vicinanza della controversia: - In Italia la vicinanza con l’immobile - In Germania la vicinanza con il domicilio dei soggetti L’art. 24 n.2 del RB1bis regole le controversie in materia di validità, nullità o scioglimento di società o di altri enti e validità delle decisioni dei loro organi. Questo è un caso che riguarda il diritto societario. Anche in questo caso occorre dare un’interpretazione restrittiva. Questa competenza è esclusiva quindi prevale su tutte le altre. Sono competenti i giudici del luogo in cui la società ha la sede. C’è tuttavia un problema riguardante l’operatività di questa competenza, come si determina la sede della società? Questa materia non è uniforme, in paesi del common law seguono il principio della incorporation cioè luogo in cui la società è formata e in paesi del civil law seguono il principio del luogo in cui la società ha la sede dove effettivamente opera. Si è cercato una soluzione di compromesso, cioè quello di prevedere un riferimento triplice: alla sede statutaria, alla sede amministrativa centrale della società e al centro dell’attività. Ma tale approccio porta una frammentazione della possibile individuazione della competenza, all’atto di applicazione del RB1 si era evidenziato tale problema e così nella codificazione di RB1bis si è cercato di superare questo problema stabilendo che la sede della società verrà determinata in base alle norme interne di DIP quindi si cerca di creare un’uniformità data dal fatto che ogni paese seguirà le proprie norme interne. Ma questa codificazione non è stata risolutiva perché l’art. 25 della legge 218/95 prevede vari criteri per determinare la sede della società ovvero prevede la possibile operatività della legge italiana se la sede effettiva della società è in Italia ma prevede anche il possibile richiamo di una legge di un altro stato nel caso in cui la sede statutario sia in quell’altro stato. Già con riferimento all’ordinamento italiano c’è già una duplicità di criterio. L’art.24 n.3 regola le controversie in materia di validità delle trascrizioni e iscrizioni nei pubblici registri per le quali si prevede la competenza dei giudici dello stato in cui i registri sono tenuti L’art.24 n.4 riguarda le controversie in materia di registrazione e di validità di brevetti e marchi nell’ambito del diritto industriale. Dove si prevede la competenza dei giudici dello stato membro in cui il deposito o la registrazione è stato richiesto o effettuato o deve considerarsi effettuato. L’atto internazionale che regola il diritto industriale è la convenzione di Monaco di Baviera del 1973. Il luogo in cui il brevetto è stato registrato o depositato è quello che definisce anche la competenza giurisdizionale in caso di eventuale controversia. L’art.24 n.5 regola le controversie in materia di esecuzione delle decisioni giudiziarie, il giudice competente è quello dello stato membro in cui l’esecuzione della decisione ha luogo. • controversie relative a diritti reali su beni immobili e affitti su tali beni: giudice del luogo di situazione + eccezione domicilio x affitto • controversie societarie: giudice del luogo della sede della società. • controversie per registrazioni atti: giudice del luogo del registro I 3 modelli secondo i quali si esplica la volontà delle parti in ordine alla definizione della giurisdizione: 1. Accettazione della giurisdizione. Le parti convengono di attribuire la competenza a decidere di una controversia ai giudici di uno stato che in base alle norme del proprio ordinamento non ha competenza in materia. In questo caso la volontà delle parti ha un effetto attributivo, appunto perché non ricorrerebbe altri criteri di giurisdizione poiché non ci sono altri elementi che fondano la competenza di quel giudice nazionale ma è la volontà delle parti a far scaturire l’accettazione della giurisdizione 2. Deroga alla giurisdizione. La seconda figura, secondo la quale la volontà delle parti esplica i propri effetti in ordine alla definizione di giurisdizione è quella secondo la quale le parti escludono la competenza esistente sulla base delle norme di un determinato ordinamento per sottoporre la controversia a arbitri o giudici stranieri. È la figura opposta a quella precedente, nel caso precedente non ci sono criteri di giurisdizione e la volontà delle parti ha effetto attributivo, in questo caso invece è opposto perché i criteri di giurisdizione ci sono ma le parti la escludono per attribuire la decisione della controversia ai giudici di un altro paese o agli arbitri. 3. Proroga di giurisdizione. La figura che ricorre quando le parti scelgono fra le competenze offerte da un determinato sistema, eliminandone alcune a favore di quella che per effetto della loro scelta diventa esclusiva. Quindi sicuramente siamo nell’ambito di una fonte non certo nazionale perché c’è una scelta nell’ambito di un sistema quindi ci troviamo nell’ambito o di una fonte convenzionale (come la convenzione di Bruxelles) o di un atto del UE (regolamenti). Appunto perché in questo caso è possibile una scelta, ma allora qual è la differenza tra questa scelta e quella che ricorre nell’ambito delle competenze alternative? Nell’ambito delle competenze alternative o facoltative o speciali la scelta è insita nel sistema delle competenze, in questo caso invece è la volontà delle parti che supera l’esistenza dei criteri di giurisdizione e fa diventare un criterio prevalente o esclusivo. Quali sono gli elementi comuni a questi 3 figure? Naturalmente sono figure in cui si esplica la volontà delle parti. Sono criteri giuridici di giurisdizione perché alla loro base si pone un istituto giuridico che tecnicamente si definisce contratto giudiziario ovvero un contratto che produce effetti in materia di procedura e pertanto anche questi contratti devono essere sottoposti alla “lex fori” la legge del luogo dove si svolge il processo e quindi individuato con riferimento allo stato rispetto al quale questi istituti producono i loro effetti. Pertanto, se si tratta di una deroga alla giurisdizione la lex fori da considerare sarà quella dello stato rispetto al quale si toglie la giurisdizione, se è un’ipotesi di accettazione della giurisdizione allora dovrà essere valutata con riferimento allo stato in cui si attribuisce la giurisdizione. Un altro elemento comune a queste figure, secondo le quali si manifesta la volontà delle parti è la loro autonomia. Se la manifestazione di volontà che influisce sulla giurisdizione è contenuta in una clausola contrattuale, questa clausola deve rimanere autonoma. Se il contratto sarà invalido, es. se l’oggetto della controversia è proprio l’invalidità del contratto la clausola deve rimanere valida se tale è per la lex fori, ovvero sempre per la legge del luogo in cui si svolge il processo alla legge del giudice al quale si attribuisce la competenza a decidere della validità di questo contratto. Il contratto di cui si discute della relativa validità e la clausola contenuta all’interno del contratto che attribuisce la competenza a decidere di tutte le controversie contrattuali a un determinato giudice, sono due entità separate e indipendenti. Per cui anche se il giudice afferma l’invalidità del contratto, la clausola sulla base del quale le parti hanno attribuito la competenza quel giudice dovrà rimanere valida. Una peculiarità dei contratti giudiziari, che sono criteri giuridici di giurisdizione perché alla loro base c’è un istituto normativo devono necessariamente avere sempre e comunque una configurazione autonoma. La volontà delle parti influisce sulla giurisdizione. Valuteremmo questi 3 modella in modo trasversale, secondo le diverse fonti. Questa trasversalità deve essere poi calata nell’ordinamento italiano da cui partiamo per fare le analisi del DIP. Qui possiamo osservare che per quanto riguarda le 3 figure: accettazione, deroga e proroga di giurisdizione nel sistema italiano, la molteplicità delle fonti, la coesistenza delle fonti del diritto europea in prevalenza rispetto al diritto di fonte nazionale determina la coesistenza nel diritto processuale civile internazionale italiano dei 3 modelli. Per cui accettazione, deroga e proroga saranno considerati con riferimento ai diversi ambiti di applicazione tenendo conto che il RB1bis ha un’applicazione prevalente ma possiamo considerare la coesistenza tra queste figure e quindi analizzarle secondo diverse fonti: art. 4 l. 218/95 per l’accettazione e la deroga e art. 25 RB1bis per la proroga. Già la terminologia ci aiuta a collocare queste figure in vari fonti entro la quale questi istituti sono previsti, per esempio la proroga è per sua natura una fattispecie insita in un ambito di integrazione quindi in un ambito sistematico. Al centro delle 3 figure: accettazione, deroga e proroga si pone la volontà delle parti - Accettazione della giurisdizione → art.4 l.218/95 - Deroga alla giurisdizione → art.4 l218/95 - Proroga di giurisdizione: o È prevista sia in meria civile commerciale, regolato dall’art.25 del RB1bis o Sia in materia famigliare, regolato dall’art. 12 del RB2bis ACCETTAZIONE La prima tipologia di modello secondo la quale si formalizza la volontà delle parti nell’attribuzione della giurisdizione italiana è l’accettazione della giurisdizione. In questo ambito la volontà delle parti attribuisce la giurisdizione ai giudici di uno stato che non sarebbe altrimenti competente così prevede l’art. 4 1°c. L.218/95. In questo caso si parla di attribuzione della giurisdizione quindi sempre nell’ambito di una prospettiva unilaterale. Siamo all’interno delle fonti nazionali e le parti nel quadro del contesto obbligatorio delle norme processuali attribuiscono al giudice italiano la giurisdizione in assenza di altri criteri. Ipotizziamo che ci sia un compratore americano e un venditore canadese che decidono di rivolgersi al giudice italiano per le controversie derivanti dal loro contratto in base a una scelta comune. Questa è una libera scelta delle parti in processo, possono farlo in previsione della legge che verrà applicata; per ragioni di comodità quale che sia il motivo è una libera scelta delle parti. Le forme della giurisdizione possono essere espressa o tacita. Si tratta di due modalità di manifestazione della volontà profondamente differenti. Nella forma espressa c’è un indizio espressamente dichiarato per esempio una clausola contrattuale in cui si afferma e attribuisce la competenza al giudice italiano per tutte le controversie derivanti da questo contratto e la fonte dell’art.4 L.218/95 richiede a tale riguardo la forma scritta ad probationem cioè richiede che questa manifestazione di volontà sia formalizzata in un atto che può essere provato per iscritto, dato che può essere provato non occorre che sia redato in un contratto ci può essere anche in uno scambio di lettere o mail. La forma tacita è più difficile da comprendere perché fa riferimento alla mancata eccezione del difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo e quindi in questo caso si fa riferimento a un aspetto negativo che il convenuto avrebbe potuto manifestare. Per quanto riguarda la forma espressa, l’accettazione espressa della giurisdizione, quindi una manifestazione di volontà intesa ad attribuire la giurisdizione a un giudice di un determinato paese che deve essere effettuato in maniera positiva, la forma scritta ad probationem va fatta seconda la lex fori del luogo in cui si trova il giudice a cui si attribuisce la giurisdizione. Nel caso questo criterio venga in rilievo nell’ambito successivo del riconoscimento delle sentenze allora si dovrà fare una valutazione secondo le leggi del luogo in cui si riconosce la decisione. • Accettazione espressa – La valutazione della forma si fa secondo la lex fori- del luogo in cui si trova il giudice cui si attribuisce giurisdizione – Nel caso di riconoscimento della decisione – la valutazione va fatta secondo la legge del luogo in cui si riconosce la decisione Più difficile è la valutazione dell’accettazione giurisdizione quando è espressa in forma tacita. Perché è più difficile indagare l’effettiva volontà di una persona che non manifesta espressamente la propria opinione. In tale caso la legge italiana di DIP all’art.4 presume che vi sia stata accettazione se il convenuto chiamato in giudizio non eccepisce il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo. Però poi questa norma pone dei problemi di coordinamento, nel senso che all’art. 11 L.218/95 si dice invece che il difetto di giurisdizione può essere rilevato d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio in presenza di determinati condizioni. Quale delle due prevale? La soluzione è quella di attribuire prevalenza all’art.4 cioè il difetto di giurisdizione deve essere eccepito nel primo atto difensivo affinché non si configuri una proroga o accettazione tacita. Abbiamo usato il termine proroga perché è questa la soluzione della giurisprudenza che si era formata a partire dall’applicazione della convenzione di Bruxelles ad opera della CGCE nel caso Elefanten. Qui si era posto il problema di come interpretare la norma dell’arti.18 all’epoca della convenzione di Bruxelles. Si diceva “come si configura la proroga tacita? Quando il convenuto accetta nel primo atto difensivo oppure possiamo immaginare che vi sia più tempo per effettuare questa eccezione di difetto di giurisdizione?” la CGCE aveva detto di no, perché è opportuno per i motivi di economia processuale che il difetto di giurisdizione venga eccepito nel primo atto difensivo. In questo modo si risparmierà molto tempo e si effettuerà un efficace attività processuale perché se così non fosse il processo andrebbe avanti su presupposti infondati. È un guaio sprecare l’attività processuale svolta sulla base di una presunta ritenuta giurisdizione e poi sprecarla perché la giurisdizione non esisteva. Ciò per non vanificare tutta l’attività processuale condotta fino a quel momento. Il meccanismo dell’accettazione tacita predispone che: - L’attore agisce in giudizio e sceglie la giurisdizione - Il convenuto chiamato in giudizio si difende e accetta di essere chiamato in giudizio e di difendersi così facendo implicitamente accetta la giurisdizione, che deve essere fatta nel primo atto di difesa. DEROGA La deroga alla giurisdizione italiana è una fattispecie opposta a quella precedente perché in essa le parti manifestano la volontà di sottrare la controversia alla giurisdizione italiana per sottoporla ad altra giurisdizione o arbitrato. L’art. 4, 2°c. L.218/95 è una novità nel sistema italiano di DIP perché nell’art. 2 del c.c. era sancita l’inderogabilità della giurisdizione italiana. Questa inderogabilità era stata già incrinata dalla partecipazione dell’Italia agli atti internazionali con l’adozione della convenzione di Bruxelles del 1968 e la convenzione di NY del 1958. Ha fatto sì che accanto al sistema nazionale, in forza dell’adattamento dei trattati internazionali, queste norme introducessero di fatto delle deroghe al principio di inderogabilità della giurisdizione italiana. Alla luce dell’evoluzione del DIP italiano e della necessaria apertura ai valori giuridici stranieri, questa derogabilità è stata codificata nell’art.4 2°c. L. 218/95. Questa norma va coordinata con le altre fonti internazionali e quindi dobbiamo considerare la sua possibile interrelazione con le altre convenzioni come ad esempio la convenzione di NY del 1958 ma anche con il RB1bis, relativamente alle competenze esclusive la deroga non può operare se il giudice italiano viene individuato sulla base di una competenza esclusiva ai sensi del RB1bis, la volontà delle parti non può incidere sulle competenze esclusive. Ci sono poi dei requisiti formali e sostanziali per la validità della deroga. Dal punto di vista sostanziale la deroga non può riguardare una controversia su diritti indisponibili, quindi deve riguardare diritti disponibili e deve comunque portare a competenza di un giudice o un arbitro. Dal punto di vista formale la deroga deve essere valutata secondo i requisiti della lex fori, che è quella del giudice a cui si sottrae la competenza. Dal punto di vista sostanziale, la controversia per cui si deroga la giurisdizione italiana non deve avere a oggetto diritti indisponibili di cui non esiste una definizione. Ma la dottrina e la giurisprudenza che si è formata è concorde a dire che sono diritti indisponibili e quindi inderogabili i diritti relativi allo status delle persone come la filiazione, l’adozione o il matrimonio; tutti diritti che fanno parte di quello che Mancini avrebbe chiamato diritto necessario, quello che fa parte dell’essenza della persona stessa che pertanto non può essere suscettibile di deroga. Per questi diritti indisponibili valgono le regole di giurisdizione tassativamente fissate dalle fonti nazionali, internazionali ed europee. Quindi in base a tale dispositivo anche due soggetti aventi domicilio al di fuori del UE possono concludere una clausola di scelta del foro per uno degli stati membri del UE. Il lato positivo dei regolamenti, che sono facilmente sostituibili e veloci ma dall’altra parte c’è il rischio della competenza esorbitante cioè attirare nell’orbita della giurisdizione di uno stato una controversia che non ha niente a che fare con essi. La validità di scelta del foro viene valutata in base alla legge del foro che si sceglie come competente in base alla stessa proroga, in base al considerando n. 20 intesa come comprensiva delle norme di DIP e questo anche se la questione sorge in un foro diverso da quello designato. Per la proroga espressa il RB1bis prevede una ampia varietà di forme: - Forma scritta - Forma orale confermata per iscritto, scambio di mail - Forma concordata tra le parti - Forma regolata da un uso accettato delle parti. Es. la clausola orale confermata in forma scritta; le parti che si scambiano le ricevute con il timbro, sanno che saranno sottoposti all’esame di quel determinato giudice perché si ritiene che quella è la prassi in uno nei rapporti tra quelle parti. (slide 19 lezione 11). Un altro aspetto collegato alla forma della clausola di proroga espressa è la codificazione della sua autonomia indipendenza. Una norma molto importante per questo aspetto è l’art.25 n.5 del RB1bis che ci dice che la clausola della scelta del foro è autonomo e indipendente rispetto al contratto in cui è contenuta. Quindi l’eventuale invalidità del contratto non determina l’invalidità della clausola. Inoltre, un ulteriore aspetto importante da considerare riguarda il giudice a cui si attribuisce la competenza. Può essere anche un giudice di uno stato non appartenente al UE? Si! Il RB1bis impone di rispettare le competenze esclusive e le competenze poste a tutela del contraente debole ma non esclude questa possibilità. Il regolamento cerca di dare la massima flessibilità a questa clausola di scelta del foro proprio per facilitare l’esigenza degli operatori del commercio internazionale. Potrebbe verificarsi la coincidenza tra forum e ius? Potremmo immaginare che questa deroga alla giurisdizione del UE a favore di uno stato terzo sia in qualche modo legata anche a una scelta della legge applicabile? Possibile! Perché l’electio iuris (scelta di legge) è un criterio ampiamente utilizzato dal DIP, questo proprio per favorire i rapporti di diversa natura a livello internazionale. Può accadere che le parti, che fanno già forum shopping per scegliere il giudice che sarà più favorevole dal punto di vista della legge applicabile, poi vadano anche a stipulare una clausola di scelta della legge applicabile a favore di una legge di un ordinamento terzo. Questo nella contrattualistica internazionale è possibile. Per altro la coincidenza tra il forum e ius è positiva perché è più facile per il giudice di un determinato paese è più facile applicare il proprio diritto anziché far scattare le norme internazionali di diritto privato e andare a cercare la legge applicabile. Sicuramente è un criterio di semplificazione e che agevola l’operatore di commercio internazionale e che favorisce la certezza di diritto. Dunque, la proroga è un incentivo per il commercio internazionale, però ha dei problematici che possono riguardare le questioni di coordinamento tra le giurisdizioni. La proroga di giurisdizione può conciliare con la litispendenza (un istituto che mira a coordinare i procedimenti all’interno dei diversi paesi del UE)? Possiamo vederlo con riferimento a un caso specifico CGCE – 9.12.2003 Gasser per capire meglio. Tra gli aspetti problematici che la proroga di competenza pone c’è quello che è stato preso in considerazione in questo caso pratico. Il primo giudice viene scelto in base al collegamento generale del domicilio del convenuto, può avvenire poi una deroga a questa competenza se l’attore, per esempio, si rivolge a un secondo giudice, in questo caso in Austria, e il convenuto non eccepisce nessuna incompetenza? Prevale la volontà delle parti rispetto al sistema delle competenze? Questo è stato chiesto alla CGCE da parte dei giudici nazionali, in cui la corte nella sentenza Gasser del 2003 ha escluso che questo potesse avvenire, quindi la corte ha escluso che la proroga di competenza sia così determinante da superare il sistema delle competenze perché ha affermato che nell’ambito del coordinamento delle azioni all’interno del UE devono prevalere le esigenze d’integrazione e quindi nel caso specifico deve prevalere il meccanismo della litispendenza, per cui un armonico svolgimento delle azioni all’interno del UE impone che il secondo giudice rilevi la litispendenza e dica che è incompetente a favore del primo giudice. Deve rimanere in funzione il sistema delle competenze previsto dal regolamento. Questo è un po’ l’atteggiamento generale della CGCE poi CGUE cioè quello di salvaguardare il sistema delle competenze e il funzionamento dei regolamenti seguendo quella scelta politica forte della comunitarizzazione del DIP e quindi questa scelta politica forte è stata accompagnata dalla giurisprudenza della CG. Infatti nell’ambito di questo atteggiamento della CG nella difesa dell’integrità del sistema delle competenze c’è stato per esempio un atteggiamento contrario all’operatività del forum non conveniens (quel principio applicato soprattutto nei paesi di common law per cui i giudici possono spogliarsi della competenza a favore di altri giudici che ritengono più vicini in applicazione del principio di prossimità) questo principio è stato ritenuto dalla CG nel caso Owusu del 2005 incompatibile con i principi del UE perché i principi della comunitarizzazione del DIP sono più forti. La valutazione positiva della proroga di giurisdizione ne ha esteso l’applicazione anche in ambito di rapporti di famiglia a questo proposito possiamo richiamare l’art.12 del regolamento 2201/2003 (RB2bis) ancora vigente anche se è sostituito dal 1111/2019 (RB2ter) che entrerà in vigore nel 2021. In questo caso la proroga di giurisdizione estende la competenza delle autorità che sono già competenti a pronunciarsi in tema di separazione e divorzio rispetto alle domande relative alla responsabilità genitoriale. È positivo avere lo stesso giudice a pronunciarsi sulla separazione e anche sull’affidamento dei figli. Più difficile immaginare che i genitori in lite per una separazione si mettano d’accordo sul giudice competente. La comunitarizzazione del DIP in ambito della famiglia è regolata dal sistema Bruxelles 2 poi Bruxelles 2bis e dal prossimo anno (2021) dal Bruxelles 2ter ovvero il regolamento 1111/2019. RB2-RB2bis-RB2ter così nominati non per una questione cronologica bensì per una questione di completamento di materia. La parte relativa alla legge applicabile sempre in ambito di DIP della famiglia è regolata dal regolamento Roma 3, anche qui non è una questione cronologia ma di completamente di materia. Lezione 12 GIURISDIZIONE E DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO DELLA FAMIGLIA La giurisdizione in materia di rapporti di famiglia (regolamento Bruxelles 2bis ovvero 2201/2003 e dal 2021 RB2ter ovvero 1111/2019). Il RB2bis è la normativa attualmente vigente, come tutti i regolamenti ha un’applicazione prioritaria rispetto alle fonti interne, sebbene sia stato sostituito dal regolamento 1111/2019. È un tema complesso perché è complessa la realtà che questa disciplina va a regolare, la globalizzazione e l’aumento della circolazione delle persone ha portato a un incessante evoluzione dei modelli famigliari come famiglie create in paesi che applicano regole religiose come quelle islamici che chiedono il riconoscimento dei loro diritti che sono dei diritti fondamentali; famiglie create con modelli alternativi a quelli conosciuti tradizionalmente come i matrimoni omosessuali o unioni civili. Questi possono adottare (in Italia le copie unite in unioni civili non possono adottare in altri paesi invece si)? Se queste coppie effettuano l’adozione in altri paesi poi sono riconosciuti in Italia? Ecco questi sono i problemi che affronteremmo, prima con riguardo al profilo processuale quindi per individuare il giudice competente per esaminare le questioni proposte poi per il riconoscimento degli effetti dei provvedimenti pronunciati in paesi diversi, infine considereremmo il tema della legge applicabile. Per il momento ci occuperemmo della giurisdizione, e fondamentale per la nostra analisi è il confronto con le norme poste a tutela internazionale dei diritti umani perché si tratta di norme che interferiscono con il DIP riconoscendo il diritto fondamentale come, ad esempio, quello di creare una famiglia, il diritto di avere figli ma anche il diritto di avere un’identità personale pensiamo alla tutela dei minori che nascono nell’ambito di questi modelli famigliari, hanno un riconoscimento completo della loro identità del nome… Quali sono le fonti rilevanti? - Fonti convenzionali dei trattati internazionali: o Convenzione dell’Aja del 1961 sulla tutela dei minori o Convenzione dell’Aja del 1996 su giurisdizione e riconoscimento misure concernenti resp. genitoriale e tutela dei minori non in vigore per l’Italia o Convenzione di Lussemburgo del 1980 su affidamento minori o Convenzione dell’Aja 1980 su sottrazione minori - Fonti regolamentari del diritto del UE o Regolamento 2201/2003 – Bruxelles II bis che sostituisce il Regolamento 1347/2000, Bruxelles II o Regolamento 1111/2019 Bruxelles II ter che sostituisce il Reg Bruxelles II bis o Regolamento 1259/2010 Roma III cooperazione rafforzata su legge applicabile al divorzio e alla separazione personale - Fonti nazionali o Legge 218/95 di diritto internazionale privato Tra le fonti importanti vi sono quelli delle convenzioni internazionali e tra queste molto importanti sono quelle elaborate dalla conferenza dell’Aja, quell’organizzazione internazionale creata nel XIX secolo che si occupa di uniformare le regole di DIP e che ha elaborato a riguardo molte convenzioni. Poi ci sono i regolamenti del diritto del UE. Il RB2bis è a completamento del RB1, non è una questione cronologica ma si tratta di completamento di materia. Il regolamento è stato optato come mezzo per la comunitarizzazione perché comporta dei vantaggi come quella di essere velocemente sostituibile. Per quanto riguarda la legge applicabile questa materia che della separazione e del divorzio è disciplinato dal regolamento 1259/2010 il RR3 che è stato il frutto di una cooperazione rafforzata sulla legge applicabile al divorzio e separazione personale. È importante notare che questo regolamento viene adottato nel quadro di una cooperazione rafforzata perché non tutti gli stati avevano la stessa uniformità di disciplina in merito alla matria di separazione e divorzio. Infine, c’è la legge 218/95, legge italiana di DIP che rimane la nostra fonte interna di riferimento. Nell’ambito dell’ordinamento italiano c’è chi si chiede che cosa sia ancora in vigore, la legge 218/95 così com’è? Molti si chiedono se non è opportuno una riforma della stessa. C’è stata una riforma parziale con riferimento all’introduzione delle unioni civili e quindi si è colta l’occasione per apportare delle modifiche. Però di fronte a tutti i regolamenti del UE che sono prioritari si è chiesti se fosse è il tempo per una revisione complessiva. Anche in questo ambito è molto importante il coordinamento tra le fonti. A volte il coordinamento è facile perché si deve seguire le regole dettate da singola fonte ma se così non è allora bisogna seguire la solita gerarchia che attribuisce prevalenza ai regolamenti, poi si considera le convenzioni internazionali e infine la legge interna. Quali sono i criteri che determinato l’individuazione della giurisdizione? I criteri individuano una serie di competenze alternative quindi:  Residenza abituale comune dei coniugi o pregressa di entrambi se perdura quella di uno;  Residenza abituale del convenuto o di uno dei coniugi;  Residenza abituale dell’attore per 6 mesi prima della domanda se è anche cittadino di quello Stato;  Cittadinanza comune dei coniugi - in caso di coniugi titolari di più cittadinanze- competenza alternativa dei vari fori così individuati (CGUE Hadadi 2009) Sono criteri che tendono a creare una serie di competenze alternative prevalentemente fondate sull’integrazione fattuale determinato dal collegamento della residenza. Collegamenti perché ci deve essere un attaccamento della fattispecie e l’ordinamento in cui viene radicato il procedimento. Da questa molteplicità di criteri, si può affermare che il forum shopping si afferma come una pratica possibile e comune in materia di separazione e divorzio. Ricordiamoci anche che in questa materia il favor divortii è un principio fondamentale anche perché si rivolge a garantire la libertà di circolazione e di stabilimento delle persone. Sembra che la libertà di divorziare sia funzionale alla libertà di circolazione dei cittadini europei che possono circolare tra i diversi stati se possono anche fare delle scelte personali e famigliari autonome come possono portarsi ottenere il ricongiungimento famigliare così possono scegliere di crearsi una nuova vita. E questa scelta è ulteriormente ampliata dall’interpretazione giurisprudenziale della CG che già abbiamo visto nel caso Hadadi. Perché se oltre a questa molteplicità di criteri, ci aggiungiamo anche che la CG li considera tutti paritari quindi che in presenza di plurima titolarità di cittadinanza di un soggetto tutti questi criteri hanno la stessa dignità e quindi possono condurre all’operatività di giudici diversi evidentemente non possiamo che ampliare questa facoltà di forum shopping in cui fondamenta è la scelta della parte, l’attore ha una notevole libertà di scelta. In linea generale il RB2bis ha recepito e ampliato il cd. Sistema delle competenze perché ha creato un sistema di competenze giurisdizionale multiple coesistenti e di pari rango, tutti i giudici hanno la stessa dignità possono esser ugualmente scelte delle parti. Oltre al forum shopping si delinea anche un altro fenomeno chiamato forum running, che significa chi corre prima per procurarsi un foro favorevole. Cosa significa? Ad esempio, costituendo un criterio di giurisdizione di comodo, tipo la residenza in un pese in cui si può ottenere più facilmente la separazione o il divorzio. Questo è successo spesso come gli italiani che hanno assunto delle residenze di comodo in Romania per ottenere i divorzi lampo. Ciò con il tempo ha portato l’Italia ad accorciare i tempi del divorzio. Un aspetto importante da sottovalutare è la centralità delle volontà delle parti, che scelgono dinanzi a quale giudice instaurare una controversia, questa è coerente con la scelta della legge applicabile previsto nella stessa materia della separazione e divorzio dal RR3 che ha introdotti, nell’ambito di una cooperazione rafforzata, il criterio di collegamento del electio iuris, della scelta di legge proprio per favorire la libertà dei cittadini europei di circolare, divorziare e di individuare autonomamente la disciplina applicabile alla loro situazione personale. Una volta compreso i criteri del RB2bis va comunque capito l’importanza di questa con il coordinamento con le regole nazionali. Questi criteri di individuazione ci servono solo per individuare il paese entro il quale fissiamo la giurisdizione quindi l’individuazione del giudice competente. Poi per individuare il singolo giudice (il tribunale) dovremmo coordinarci con le regole interne sulla giurisdizione, nello specifico con l’art.4 della legge 898/1970 la legge che regola lo scioglimento del matrimonio. Questa è la differenza tra il RB2bis e RB1bis che invece per le competenze speciali individua direttamente la giurisdizione competente senza necessità di un ulteriore coordinamento. Sempre a proposito del collegamento con i criteri nazionali, è importante dire che nella maggior parte dei casi i criteri nazionali di giurisdizione diventano residuali, secondo quanto prevede l’art.7 del RB2bis quindi le norme di giurisdizione interne ad esempio l’art.32 l.218/95 (un esempio di competenza esorbitante perché è una norma che prevede il criterio del luogo di celebrazione delle nozze con come criterio per individuare la giurisdizione italiana) diventano residuali. Nel senso che se nessun giudice di uno stato membro è competente in base ai titoli previsti dal RB2bis allora possono operare queste norme nazionali. Qui parliamo di criteri nazionali che vengono applicati in mancanza di normativa che regolano questo aspetto nel regolamento. Questo fatto per cui si tende a far prevalere la disciplina della giurisdizione contenuta nel regolamento europeo è un principio supportato dalla giurisprudenza della CGUE perché lo scopo della CG è quello di far funzionale il sistema dei regolamenti ei fare il più possibile affinché il sistema d’integrazione si rafforzi e prevalga. Lo scopo è far funzionare il sistema integrato. Lezione 13: GIURISDIZIONE IN MATERIA DI RAPPORTI DI FAMIGLIA Questioni di giurisdizione riguardante i provvedimenti per i figli. Siamo sempre nell’ambito del RB2bis (che ha abrogato e sostituito il 1347/2000 ovvero RB2 chiamato così perché completa il sistema posto dal regolamento 44/2001: questa numerazione 1-2 non è un fatto cronologico bensì è riferito all’ambito di applicazione) Il RB2bis (2201/2003) ha un ambito di applicazione soggettivo riferito agli stati membri del UE eccetto la Danimarca che ha esercitato la facoltà di opting out. Dal punto di vista temporale è applica dal 2005 fino al 2022 per effetto della sostituzione dello stesso da parte del regolamento 1111/2019 ovvero RB2ter. È un regolamento doppio perché si occupa sia della giurisdizione che del riconoscimento delle sentenze. Dal punto di vista materiale/oggettivo si occupa si della separazione e del divorzio (a parte alcuni aspetti come alimenti e il cognome) sia quello della responsabilità genitoriale di tutti i figli anche se nati da unioni civili. In tema di oggi è quello delle controversie in materia di responsabilità genitoriale su tutti i figli. È importante sottolineare l’immersione di questo concetto di responsabilità genitoriale che influenza gli ordinamenti interni, come ad esempio quello italiano in cui vi era un concetto di potestà genitoriale invece poi inseguito all’introduzione di questo concetto si parla del minore più come un soggetto di diritto e non come oggetto da parte dei genitori. Per quanto riguarda la definizione di questo nuovo concetto di responsabilità genitoriale, importante per individuare la titolarità di diritti in capo al minore la sua soggettività. L’art. 2 del RB2bis afferma «diritti e doveri di cui è investita una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona o i beni di un minore». Si evince che la responsabilità genitoriale può esser data ai genitori in una situazione normale, ma anche a enti terzi o persone giuridiche, ad esempio, i servizi sociali o case famiglie dove i minori possono essere affidati. Il termine comprende anche: - Diritto di affidamento - Diritto di visita Il diritto di affidamento è definito dall’art. n.9 che si fa riferimento ai “i diritti ei doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza». Questo perché nelle famiglie transnazionali, la fissazione della residenza, che è anche un criterio di giurisdizione, sia per i coniughi sia per i figli può influire su moltissimi aspetti della vita giuridica delle persone e dell’esercizio dei loro diritti fondamentali. Quindi è logico che la fissazione della residenza sia ricollegata a una prerogativa fondamenta del diritto di affidamento. Il diritto di visita è definito dall’art. 2 n.10 afferma che «il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo». Qui si fa riferimento all’ipotesi ordinari di casi di separazione e divorzio per cui uno dei due genitori faccia visita al figlio presso la residenza dell’altro genitore e che lo conduca anche in un luogo diverso per un tempo limitato. Quali sono le possibili controversie venendo ad aspetti più specifici che possono rientrare nella materia della responsabilità genitoriale? Il RB2bis tende ad avere un ambito di applicazione molto estesa perché si fa riferimento a un ambito abbastanza ampio di controversie che vanno dall’affidamento alla visita, alla tutela, collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto in assenza di genitori, alla tutela dei beni del minore ecc. ... oltre a questo ambito d’applicazione così esteso e normativamente previsto in maniera estensiva, vi è poi un estensione che avviene a livello interpretativo ad opera della giurisprudenza della corte di giustizia che ad esempio ha esteso l’operatività di queste norme alle situazioni in cui , per effetto delle disposizioni di diritto pubblico presente all’interno di alcuni stati, venisse predisposta la tutela dei minori e loro affidamento a servizi sociali pubblici. Nonostante l’ampio ambito di applicazione, ci sono però degli istituti lasciati fuori e non disciplinati dal RB2bis come per esempio l’adozione, nomi e cognomi, obbligazioni alimentari ecc. per i quali ci sono degli appositi provvedimenti. Veniamo adesso ai criteri di giurisdizione previste in tema di responsabilità genitoriale. Il criterio generale è la residenza del minore all’inizio del procedimento, anche in caso di modifica del provvedimento se chiesta entro 3 mesi dal trasferimento lecito del minore. Dobbiamo distinguere le ipotesi ordinarie da procedimenti concernenti la responsabilità genitoriale da quelli che riguardano le controversie per l’esistenza della responsabilità genitoriale adottate in caso di sottrazione internazionale di minori, perché in questo caso vige un regime speciale che poi deve coordinarsi con quello di altre convenzioni internazionali. Quindi in altre parole: - In casi ordinari il foro generale è la residenza del minore all’inizio del procedimento - In caso di sottrazione di minori il foro competente sarà quello della residenza del minore prima della sottrazione. In primo luogo, analizziamo il foro generale cioè quello che vale per tutti i procedimenti in tema di responsabilità genitoriale. Infatti, il foro competente in caso di sottrazione internazionale di minori è quello della residenza del minore prima del trasferimento salvo eccezioni. La residenza è sempre un criterio di giurisdizione fondamentale però in un caso è riferito in generale al minore, nell’altro caso è necessariamente la residenza esistente prima del trasferimento del minore. A proposito della residenza del minore, il RB2bis non pone limiti e quindi la residenza del minore può trovarsi anche in uno stato terzo, dunque:  Se la residenza del minore si trova in uno Stato TERZO, aderente alla Convenzione dell’Aja del 1996, allora la giurisdizione si determina in base alle norme di tale Convenzione (art. 61 Regolamento Bruxelles II bis).  Se invece la residenza del minore si trova in uno Stato TERZO non aderente alla Convenzione dell’Aja del 1996, sarà necessario un coordinamento con le norme interne nazionali. Anche in questo caso si pone un problema di coordinamento, non più tra regolamento e fonte internazionale ma tra regolamento e norme interne, che rimangono rilevanti anche se residuali. La scelta di espandere la portata del regolamento anche a uno stato terzo è al quanto forte come decisione geopolitico. Il criterio della residenza del minore è dunque un criterio fondamenta del RB2bis, si ispira al principio di prossimità che è sotteso a molti altri atti internazionali, a d esempio anche della convenzione dell’Aja del 1996 e consiste nel principio rivolto ad avvicinare le fattispecie all’ordinamento che ha maggiore competenza di disciplinarle, sia dal punto di vista della giurisdizione per conoscere dal punto di vista processuale, sia per quanto riguarda l’individuazione della legge applicabile. Succede che si farà riferimento alle regole cd. Di competenza residua secondo quanto prevede l’art.14 del RB2bis. per cui se non sussiste la competenza dei giudici di alcun stato membro in base agli art. 8-13 è previsto che ciascun stato membro possa affermare o declinare la giurisdizione alla luce del proprio diritto internazionale. Le regole specifiche per il procedimento per il rientro del minore. Qui il RB2bis è intervenuto proprio per fermare il fenomeno di sottrazione dei minori che si ritiene comunque dannoso all’interesse superiore del minore perché si ritiene che il benessere del minore passi per il suo ambiente abituale di frequentazione. Quindi si prevede un criterio di giurisdizione generale che consiste nella residenza del minore prima della sottrazione. Questo criterio di giurisdizione va a influire su un assetto normativo già prestabilito che è contenuto nella convenzione dell’Aja del 1980 (sulla sottrazione internazionale dei minori) che però non si occupa specificamente di giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale si occupa di delineare più generalmente il procedimento di cooperazione internazionale per il rientro del minore e quindi prevede un a cooperazione tra stati diversi passando per le autorità centrali (le autorità informative/operative presso i ministeri dei esteri dei vari stati) e quindi il regolamento va a incidere però ovviamente con efficace prioritaria su questo assetto normativo. Possiamo vedere 2 effetti immediati: - Innanzitutto, l’art.11 par.6 che prevede la comunicazione della decisione contraria al rientro al giudice che sarebbe competente in base alla convenzione dell’Aja del ’80 e poi la prevalenza in ogni caso accordata dal regolamento che quindi ha un’applicazione prioritaria rispetto alle altre fonti della decisione del giudice di precedente residenza nonostante vista nel paese di nuovo stabilimento del minore ad esempio una decisione contraria. L’interesse prevalente che deve ispirare l’approccio di tutta questa normativa è il superiore interesse del minore, che nel caso di sottrazione internazionale di minore prevede comunque l’ancoraggio del minore alla residenza abituale anteriore alla sottrazione proprio perché la sottrazione è un fenomeno che pure in presenza di crisi di famiglia transnazionale non si vorrebbe che si verificasse. - Più specificamente, secondo quanto prevede l’art.11 par.8 del RB2bis “anche qualora fosse emanato un provvedimento in base alla Convenzione dell’Aja del 1980 contro il ritorno del minore, la decisione sull’affidamento emanata sulla base del regolamento, quindi da parte del giudice della precedente residenza del minore che disponga il ritorno, avrebbe di per sé forza esecutiva, senza che sia necessario alcun provvedimento nello Stato in cui il minore è trattenuto allo scopo di assicurare il ritorno del minore” I regolamenti sono prioritari rispetto alle altre normative di fonte internazionale e interna. Quindi i regolamenti prevalgono anche sulle convenzioni internazionali e per tanto, visto che il RB2bis mira a far rispettare la giurisdizione del luogo di precedente residenza del minore, è chiaro che quel provvedimento sarà dotato di una forza particolare e dovrà imporsi anche su un eventuale decisione contraria del giudice del nuovo luogo di stabilimento del minore, proprio perché il regolamento vuole sventare i casi di sottrazione internazionale del minore che implichino anche modifiche di giurisdizione. La giurisdizione in questo caso è funzionale della tutela del l’interesse superiore del minore. Qui c’è uno scontro naturalmente, tra la disciplina di fonte convenzionale e quella di fonte regolamentale perché secondo quanto previsto dalla convenzione dell’Aja del ’80 e del ’96, se nel nuovo stato in cui il minore è trattenuto si pronuncia un provvedimento contro il ritorno del minore, la giurisdizione viene trasferito in questo stato. Per il regolamento invece, le autorità dello stato in cui il minore è trattenuto possono solo pronunciarsi in provvedimenti provvisori. Quindi deve seguire una decisione definitiva del giudice dello stato in cui il minore aveva la residenza prima della sottrazione. Nello scontro di queste due regole di giurisdizione è evidente che la forza del regolamento porta a far prevalere il criterio di giurisdizione del regolamento stesso. Quindi il giudice del luogo di residenza del minore prima della sottrazione ed è l’unico ad avere la competenza a decidere in via definitiva. Tale disciplina è un deterrente per evitare la sottrazione internazionale dei minori, dal momento che chi trasferiva illecitamente il minore otteneva anche il trasferimento della giurisdizione, casa non più possibile con la RB2bis. questa giurisdizione prevista dal RB2bis per la domanda di rientro del minore è l’unica giurisdizione possibile? Cioè la precedente residenza del minore? No, perché secondo quanto previsto dalla convenzione dell’Aja del ’80, la domanda di rientro del minore si possa proporre al giudice dello stato di nuova residenza del minore, un altro caso di moltiplicazione delle giurisdizioni, di forum shopping di chiedere il rientro del minore illecitamente sottratto, che non da soltanto una possibilità di scelta a chi chiede il rientro ma richiede e impone una necessità di imporre un coordinamento per evitare eventuali contrasti di decisioni dei giudici. Nell’ambito di questa alternatività di giurisdizione competente in merito alla sottrazione internazionale c’è da risolvere un problema preliminare nel caso di giurisdizione radicata nel nuovo stato di residenza del minore, ovvero il fatto di cercare il minore. il genitore che sottrae il figlio non vuole che si sappia dove il minore si trovi. Conv. dell’Aja del 1980 e Conv. di Lussemburgo del 1980 prevedono assistenza giudiziaria internazionale fondata sulla cooperazione delle autorità centrali degli Stati contraenti. Poi però può accadere che i genitori facciano delle richieste contemporanee e quindi secondo la convenzione di Lussemburgo e la convenzione dell’Aja, oppure secondo il RB2bis un genitore lo fa nel nuovo stato perché magari vuole il divieto di rimpatrio e l’altro genitore in base al RB2bis lo fa nello stato di precedente residenza per farlo rientrare. Ovviamente questo ultimo procedimento è destinato a prevalere poiché un regolamento ove così non fosse si porrà poi in sede di riconoscimento delle decisioni il problema del riconoscimento dell’ordine di rientro e quindi verranno nuovamente in gioco le norme del RB2bis (2201/2003) per il riconoscimento automatico dei provvedimenti proprio perché questo è un regolamento doppio, che si occupa sia di giurisdizione sia di riconoscimento. Altrimenti si dovrà seguire le norme internazionali o nazionali.  1) Richiesta di rientro all’autorità giurisdizionale straniera:  A) secondo la Convenzione di Lussemburgo del 1980;  B) secondo la Convenzione dell’Aja del 1980;  C) secondo il Regolamento 2201/2003  2) Riconoscimento dell’ordine di rientro pronunciato nello Stato di precedente residenza:  A) secondo il Regolamento 2201/2003;  B) secondo le Convenzioni internazionali;  C) secondo le norme processuali nazionali Affianco a questo può radicarsi anche il procedimento di affidamento del minore, quindi c’è una molteplicità di criteri di giurisdizione anche molteplicità di procedimenti che possono affiancarsi con riguardo a una fattispecie di sottrazione internazionale di minore. sia il procedimento che sia l’ordine di rientro, sia il procedimento che discute complessivamente sull’affidamento del minore stesso. Questa complessità è rappresenta dalla cooperazione internazionale al centro e poi una difformità di soluzioni tra convenzione dell’Aja e la convenzione di Lussemburgo perché in quello di Lussemburgo, si presuppone una sentenza di affidamento da riconoscere, in quella dell’Aja si prevede l’uniformazione degli aspetti del procedimento di trasferimento del minore. entrambe sono superate dal RB2bis. Lezione 14 Il regolamento 1111/2019 è stato adottato di recente. Questo regolamento riguarda la competenza e riconoscimento delle decisioni in matria matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale e si occupa anche della sottrazione internazionale dei minori. La procedura legislativa di adozione di questi atti richiede l’unanimità dei membri del consiglio e la consultazione del parlamento europeo, una procedura complessa. Il regolamento dal 2022 sostituirà il RB2bis cioè il 2201/2003 per tutti i paesi del UE eccetto la Danimarca. Il nuovo regolamento è riferito come rifusione del RB2bis, è un regolamento doppio perché si occupa della giurisdizione e del riconoscimento delle decisioni (occupandosi così di 2 aspetti fondamentali del diritto processuale civile internazionale). E poi dal punto di vista materiale si occupa della separazione, divorzio e scioglimento del matrimonio da un lato e della responsabilità genitoriale dall’altro. Per cui è un regolamento doppio come il RB2bis, sia dal punto di vista delle questioni del diritto processione sia nell’ambito materia. Regolamento doppio perché: - Giurisdizione e riconoscimento delle decisioni - Separazione-divorzio-scioglimento del matrimonio e responsabilità genitoriale L’ambito di applicazione materiale di questo regolamento è identico al RB2bis ma sono esclusi le materie in ambito:  Legge applicabile – Reg. ROMA III – Reg. 1259/2010  Alimenti Reg. 4/2009  Rapporti patrimoniali tra coniugi Reg. 2016/2010 Quali sono i motivi che hanno indotto UE a sostituire il RB2bis con il regolamento 1111/2019? Potrebbe essere per il miglioramento delle problematiche rimaste aperte e irrisolte dal RB2bis, in particolare riguarda il miglioramento di due ambiti: uno concerne la circolazione di separazioni e divorzi consensuali e l’altra che riguarda la sottrazione interazionale dei minori. Tra i motivi che si possono individuare all’origine dell’adozione del nuovo regolamento vi è anche il motivo fondamenta di ridurre la durata e i costi dei procedimenti giudiziari transfrontalieri concernenti i minori. Il tema principale che è stato oggetto delle attenzioni da parte del UE all’interno di questo regolamento sono i procedimenti di responsabilità genitoriale. Una caratteristica del RB2bis era quello di agevolare molto il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni concernenti il diritto di visita e rientro del minore illecitamente sottratto perché ovviamente nell’ambito di queste decisioni vi erano dei motivi oggettivi di urgenza per far scattare una procedura agevolata in modo tale che il genitore potesse attuare il diritto di visita oppure il genitore che voleva far rientrare il figlio lo potesse fare entrare velocemente. Queste esigente sottese a questa categoria particolare di decisione sono stati visti come fondamentali nell’ambito di tutti i procedimenti concernenti la responsabilità genitoriale, al punto che punta verso l’abolizione del exequatur, questa esigenza è stata posta alla base delle nuove norme che sono state introdotte per tutte le decisioni in materia di responsabilità genitoriale. Quindi non godono più di questa procedura agevolata soltanto le decisioni che dispongono in materia di diritto di visita, di rientro del minore ma tutte le decisioni concernenti la responsabilità genitoriale. Per quanto riguarda la giurisdizione non vi sono particolari novità, soprattutto per quanto riguarda la giurisdizione in materia di separazione e divorzio, quindi i criteri di giurisdizioni già visti sono ancora gli stessi e validi. Sono criteri esclusivi, non nel senso del RB1bis, ma nel senso che consentono una priorità rispetto ai criteri nazionali e si basano sostanzialmente:  Residenza abituale del coniuge convenuto in uno Stato membro della UE;  Cittadinanza del coniuge convenuto di uno Stato membro UE (o domicile per Regno Unito e Irlanda) Altri criteri che vengono in rilievo nell’ambito dell’art.3 sono criteri che costituiscono un ampio ventaglio di scelta, e si riferiscono alla:  Altri criteri (art. 3):  Residenza abituale comune dei coniugi o pregressa di entrambi se perdura quella di uno;  Residenza abituale del convenuto o di uno dei coniugi;  Residenza abituale dell’attore per 6 mesi prima della domanda se è anche cittadino di quello Stato;  Cittadinanza comune dei coniugi. I criteri nazionali diventano per tanto residuali, nel senso che i criteri previsti da regolamento prevalgono su quelli nazionali i quali diventano residuali. Quindi solo se nessun giudice di uno stato membro è competente in base ai titoli previsti dal regolamento viene applicata la normativa nazionale. La giurisdizione in materia di adozione, qui la disciplina è di fonte prevalentemente interna e la troviamo nell’art.40 L. 218/95, si distinguono 2 tipologie di controversie rispetto alle quali possiamo individuare la giurisdizione: - Costituzione del rapporto - Rapporti tra adottanti e adottato In tema di procedimento nelle controversie in materia della costituzione del rapporto prevedono dei criteri che ampiamente giungono a individuare la giurisdizione italiana nell’ipotesi in cui vi sia:  costituzione del rapporto:  Cittadinanza  Residenza  Stato di abbandono del minore in Italia Nelle controversie in materia di rapporti tra adottanti e adottato si seguono i criteri generali dell’art.3 L.218/95: - Residenza - Domicilio del convenuto in Italia Poi un altro criterio che fa riferimento alla costituzione del rapporto cioè i casi in cui il rapporto di adozione sia costituito secondo la legge italiana, formando una coincidenza tra forum e ius. Lezione 15: ESTENSIONI E LIMITI ALLA GIURISDIZIONE ITALIANA È dunque possibile prevede con norme diverse dai criteri di giurisdizione, l’estensione o la limitazione della giurisdizione italiana? Ciò è possibile e ci sono delle norme di fonte interna, europea e internazionale che considereremmo nella delimitazione dell’ambito della giurisdizione italiana. Quando il giudice italiano può dirsi competente nelle controversie che presentano degli elementi di estraneità; quanto è competente in una controversia contrattuale per responsabilità extra contrattuale. Questi elementi sono già stati visti, ora vediamo se è possibile estendere o limitare la giurisdizione italiana. Ci occupiamo prima delle estensioni, definite dall’art.6 l.218/95 che estende la giurisdizione italiana. Si dice infatti che “il giudice italiano conosce, incidentalmente, le questioni che non rientrano nella giurisdizione italiana e la cui soluzione è necessaria per decidere sulla domanda proposta”. L’ampliamento della giurisdizione italiana avviene con il giudice che conosce delle questioni che non rientrano nella giurisdizione, questioni che non hanno criteri di collegamento con l’ordinamento italiano per poter far scattare la competenza del giudice italiano, però sono utili per decidere sulla domanda principale. Quindi anche se il giudice le conosce in via incidentale c’è un ampliamento della sua competenza giurisdizionale perché il giudice per decidere di una questione principale deve anche esaminare una questione presupposta ad essa collegata. Si dice che l’estensione della giurisdizione italiana alle questioni preliminari riguarda le questioni che concernono l’esistenza e la validità di una situazione giuridica che condiziona come presupposto l’applicazione nel foro di una norma materiale straniera che ha come oggetto la disciplina di un rapporto interindividuale. Quindi c’è un condizionamento nella decisione di una domanda proposta al giudice italiano determinato dalla valutazione di un presupposto necessario che di per sé in quanto situazione estranea all’ordinamento italiano non rientrerebbe nella competenza del giudice italiano però la norma dell’art.6 L.218%95, la fa rientrare e quindi estende in questo senso la competenza del giudice italiano a una questione che non rientrerebbe nell’ambito della giurisdizione perché è funzionale alla decisione di un'altra questione. Esempio: in caso si presenta una domanda di divorzio in Italia come questione principale, la validità del matrimonio che si deve sciogliere è una questione preliminare. Quindi il giudice competente per lo scioglimento del matrimonio potrebbe doversi pronunciare sulla validità del matrimonio perché se il matrimonio non fosse valido non vi occorre neanche sciogliere il matrimonio poiché l’atto iniziale era invalido. Pronunciarsi sulla validità del matrimonio presenta dei problemi di DIP da risolvere perché magari il matrimonio è stato celebrato secondo la legge di un ordinamento differente e quindi si porrà il problema di vedere quale legge il giudice applicherà alla valutazione della validità del matrimonio. L’art.6 L.218/95 ha solo un significato in ambito giurisdizionale, quindi serve solo per estendere la competenza del giudice italiano o può valere anche in ordine all’individuane della legge applicabile? Il problema deriva dal fatto che il giudice italiano, non sarebbe competente a valutare la validità del matrimonio ma dovrebbe anche considerare secondo quale legge valutare la validità del matrimonio. Quindi sono implicate anche questioni concernenti la legge applicabile. Relativo a questo problema, quindi alla determinazione della legge applicabile alle questioni preliminari, ci sono diverse opinioni in dottrina. Soprattutto perché in alcuni casi la questione preliminare può anche dirsi già risolta nelle ipotesi in cui alcune situazioni giuridiche straniere vengono già riconosciute nell’ordinamento del foro, senza la necessità di individuare la legge applicabile questo per effetto dell’interferenza delle norme sul riconoscimento delle sentenze straniere. Come accadde nell’art.27 L.218/95, in materia di riconoscimento dello stato libero delle persone che lo hanno conseguito per effetto di un provvedimento straniero. Rimane comunque irrisolta la questione di individuare la legge applicabile per i casi in cui questi presupposti, che risultano funzionali alla soluzione di una questione principale, non abbiano avuto una definizione attraverso un provvedimento estero, quindi non possono giovarsi delle norme sul riconoscimento delle sentenze straniere ma devono trovare una definizione nell’individuazione della legge applicabile. Esempio: Caso PONNOUCANNAMALLE deciso dalla cassazione francese nel 1931. È un caso storico del DIP in cui il tema delle questioni preliminari ha avuto origine. Tale caso riguardava la successione di un soggetto in possesso di doppia cittadinanza indù e britannica che aveva lasciato dei beni situati in un territorio francese, la cocincina. Un tipico caso di successione transnazionale in cui vi erano dei collegamenti con ordinamenti diversi, non solo la doppia cittadinanza del de cuius ma anche i beni localizzati in uno stato diverso da quello delle sue cittadinanze e poi una molteplicità di famigliari aspiranti dell’eredità. Quindi la controversia successoria riguardava da un lato la figli primogenita di Ponnoucannamalle, dall’altro il figlio della seconda genita che potava succedere per rappresentazione un istituto del diritto privato che si applica alla successione dei nipoti rispetto ai nonni quando il genitore sia morto, poi il figlio del figlio adottivo deceduto anche questo è un caso di rappresentazione. Questo nipote adottivo è quello che ha posto tutta la questione preliminare in quanto aspirante alla successione rispetto al nonno. Secondo la prescrizione di una norma del diritto francese, non era possibile adottare figli se si ha già figli legittimi. Ed è questo il problema della controversia, cioè la validità dell’adozione del figlio e quindi la legittimità della successione ora in capo al nipote. L’adozione era avvenuta secondo le leggi indù, legge nazionale dell’adottato e l’adottante. La successione è la questione principale e la validità dell’adozione è la questione preliminare, che comunque incide sulla questione della questione principale perché se non sappiamo se il figlio di Ponnoucannamalle era stato validamente adottato non possiamo affermare che il figlio/nipote possa aspirare ad avere la qualità di erede. Il problema emergeva perché i parenti contestavano la validità di tale adozione in base alla legge francese che era la legge applicabile alla successione in quanto lex rei sitae, legge del luogo di situazione degli immobili. Qui, oltre al problema della contesa dell’eredità abbiamo anche il problema di DIP cioè contrasto di ordinamenti. Da un alto c’è la questione principale cioè la successione che per le norme di diritto internazionale francese è regolata da lex rei sitae dall’altro c’è la quesitone della validità dell’adozione che era stata costituita secondo la legge nazionale del de cuius, quindi l’interferenza di diversi statuti della legge nazionale con la legge regolatrice della successione porta alla necessità di superare questo contrasto. Sia per risolvere la controversia dove è pacifico che il giudice che affronta il caso di Ponnoucannamalle ha la competenza non solo in materia successoria ma anche per giudicare la validità dell’adozione, ma il giudice che affronta il caso dovrà anche risolvere il conflitto di leggi, quello che si pone alla base del DIP. Il problema è la differenza che si poteva determinare scegliendo l’una o l’altra legge applicabile, era determinata dal fatto che la legge materiale francese prevedeva, da un lato che l’adozione fosse vietata in presenza di figli legittimi, dall’altro prevedeva a favore dei figli legittimi delle quote riservate di eredità e queste quote sarebbero state violate nel caso in cui avessero partecipato alla successione dei figli adottivi o nel caso dei nipoti di figli adottivi, adottati secondo la legge straniera. Qui si percepisce la funzionalità delle soluzioni di DIP talvolta al fatto di evitare o consentire l’applicazione di una normativa materiale. Il DIP è un insieme di norme di coordinamento però è vero che qualche volta i criteri di scelta di legge applicabile finiscono per essere condizionati proprio dalle scelte di diritto materiale perché se io possono superare la norma che consente il divieto di adozione perché ha già dei figli legittimi perché applico la mia legge nazionale che conosco e immagino che sia quello a cui faccio riferimento, confidando nel fatto che tutte le questioni personali siano sottoposte alla legge nazionale, quindi si può immaginare anche la buona fede di Ponnoucannamalle che pensava di porre in essere un’adozione valida. Perciò non c’è una questione di raggiro della legge, c’è la questione che questo soggetto confidando nella prescrizione della propria legge nazionale indù e britannica ponendo in essere in buona fede un’adozione che poi influirà sulla sua successione futura creando un conflitto di leggi rilevato da altri coeredi. Come si pronuncia la corte francese? La corte di cassazione francese applica le proprie norme di DIP e rileva che la successione doveva essere regolata dalla legge francese inquanto i beni si trovano sul territorio francese. La regola di DIP prevedeva l’applicazione della lex rei sitae per i beni immobili e la lex domicili per la successione dei beni mobili. Al contempo ritiene priva di effetti in Francia l’adozione indù inquanto effettuato in violazione della legge francese. La cassazione si pronuncia anche sulla questione preliminare. Da un lato possiamo trarre l’indicazione che è sicura l’estensione di competenza del giudice di un determinato ordinamento che deve affrontare una questione presupposta fondamentale per la decisione di una questione principale e quindi può sicuramente pronunciarsi anche sulla validità dell’adozione anche se questi non ha a che fare con l’ordinamento del foro. Se la questione principale fosse l’adozione, la giurisdizione francese non c’entrerebbe niente anzi ne è molto lontana e mancherebbero i criteri di giurisdizione. In questo caso invece, l’adozione seppure posta in essere in base a un ordinamento straniero che sembra non avere nesso con il foro rileva per la decisione per la questione principale e quindi il giudice deve farsi il carico. Dall’altro per quanto riguarda la legge applicabile che il giudice francese applica la propria legge, in questo caso per motivi di ordine pubblico che è la clausola di salvaguardia dei principi fondamentali di un ordinamento. In generale, considera la questione della validità dell’adozione funzionale alla valutazione della successione, quindi deve inquadrarlo in una valutazione complessiva. A partire da questo caso si sono costruite le principali elaborazioni dottrinali sulla questione delle teorie preliminari che si dividono in 2 gruppi: - Teoria congiunta o dell’assorbimento, secondo la quale la questione preliminare deve essere sottoposta alla stessa legge della questione principale. Il giudice può fare riferimento alla legge regolatrice della questione principale comprendendo anche le norme di DIP o facendo riferimento solo alle norme di diritto materiale. Nel caso di Ponnoucannamalle ere stato seguito le norme di diritto materiale (la questione principale cioè la successione è regolata dal lex rei sitae francese e si applica la legge francese). L’art. 8 L. 218/95 stabilisce che la determinazione della giurisdizione italiana, cioè quando si deve valutare se esistono i criteri di giurisdizione italiana si effettua con riferimento alla norma dell’art.5 del Codice di procedura civile. C’è poi un favor giurisdizionis, un favore che tende ad affermare la giurisdizione italiana nel senso che si può affermar la giurisdizione anche per effetto dei criteri che si ritengano anche in un successivo momento condurre a questa affermazione. Quindi in un caso di spostamento di residenza o di domicilio Con questo le norme positive che affermano la giurisdizione italiana si conclude Lezione 16: LIMITI ALLA GIURISDIZIONE ITALIANA I limiti della giurisdizione italiana è regolata dai seguenti articoli: - Art. 5 L. 218/95 in materia di azioni reali su beni immobili - Art. 11 L. 218/95 in materia di difetto di giurisdizione - Art. 7 L. 218/95 in materia di litispendenza internazionale Limite alla giurisdizione italiana: liminte in materia di azioni reali su beni immobili Art.5 L. 218/95 «La giurisdizione italiana non sussiste rispetto ad azioni reali aventi ad oggetto beni immobili situati all’estero». Quindi l’art.5 prescrive l’esclusione della giurisdizione italiana per azioni reali su beni immobili siti all’estero. Perché? Qual è la ratio di questa esclusione? La ratio è la vicinanza della fattispecie con un altro ordinamento, secondo il principio di prossimità. Le questioni che riguardano i diritti di proprietà sui beni immobili sono strettamente collegate alla sovranità degli stati, quindi il collegamento con il locus rei sitae è molto forte e assorbente sia per l’individuazione del giudice competente sia per la legge applicabile. Vi è anche un'altra difficoltà di carattere processuale e cioè ove il giudice italiano dovesse pronunciarsi o ritenersi competente, vi sarebbe una notevole difficoltà di eseguire l’eventuale giudicato (la sentenza) nel paese straniero. Qual è l’ambito di applicazione dell’art.5? tutte le azioni reali, qualunque sia il diritto fatto valere quindi non solo azioni a tutela della proprietà ma anche le azioni a tutela di altri diritti reali che caratterizzano sempre il diritto privato con elementi di transnazionalità e poi tutti i criteri di giurisdizione, quindi anche accettazione della giurisdizione. Quindi anche in caso di manifestazione della volontà delle parti di accettazione della giurisdizione non supera il limite determinato dalla situazione del bene immobile in uno stato estero perché questo limite è più forte e vale in generale per tutti i criteri di giurisdizione. Questo tema delle azioni reali su beni immobili è regolato dalla competenza esclusiva posta dal RB1bis dall’art.24n.1. dato che il RB1bis è prevalente quindi l’art.5 L.218/95 viene applicato nelle controversie con i paesi non UE. Limite alla giurisdizione italiana: limite in materia di difetto di giurisdizione Art. 11 l. 218/95 disciplina il difetto di giurisdizione Questa norma è già stata sfiorata a proposito del tema dell’accettazione tacita della giurisdizione dove la mancata eccezione della giurisdizione italiana valeva come accettazione tacita della giurisdizione. Art. 11 l. 218/95 «Il difetto di giurisdizione può essere rilevato, in qualunque stato e grado del processo, soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana. E' rilevato dal giudice d'ufficio, sempre in qualunque stato e grado del processo, se il convenuto è contumace, se ricorre l'ipotesi di cui all'art. 5, ovvero se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale». Dal testo si evincono 2 fattispecie: - La possibilità che venga rilevato dal convenuto costituito - La possibilità che venga rilevato d’ufficio: o perché il convenuto è contumace o perché ricorrono altre ipotesi Vediamo ora in dettaglio le differenti operatività del difetto di giurisdizione. Abbiamo detto che ci sono 2 percorsi: - Su eccezione del convenuto (vediamo che al di là di ciò che è scritto nell’art.11 è importante far funzionare il funzionamento di questa norma con l’art.4 che prevedeva la preclusione dell’eccezione del difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo appunto per evitare il dispendio dell’attività processuale) - Rilevato d’ufficio (cioè su istanza automatica del giudice senza il bisogno che vi sia un intervento di parte). Qui sono tre le ipotesi: o Se il convenuto è contumace (ovviamente se il convenuto no c’è e non si difende, non può neanche proporre eccezioni) o Se si tratta di una controversia concernente un’azione reale avente ad oggetto beni immobili situati all’estero (questo si coordina con l’art.5, per la quale il giudice italiano deve dichiarare automaticamente il difetto di giurisdizione) o Se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma di DI Analizzeremmo l’interferenza delle norme di diritto internazionale generale rispetto alla giurisdizione italiana una novità del sistema italiano di DIP che codifica questa influenza con riguardo al difetto di giurisdizione, rispetto al quale possiamo notare che varie sono le fonti del DI rilevanti, quelli che disciplinano l’immunità dalla giurisdizione: degli Stati, degli organi, degli agenti diplomatici, delle organizzazioni internazionali. I limiti alla giurisdizione italiana derivano da norme internazionali sull’immunità, queste norme sono norme consuetudinarie che si ricollegano al principio rappresentato dal broccardo latino “par in parem non habet iurisdictionem”, che deriva dal principio di sovranità degli stati (codificata dall’art.2 della carta del UN). Da questa norma consuetudinaria, sono state codificate anche delle norme convenzionali come la convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatici; la convenzione di UN del 2004 sull’immunità degli stati; la convenzione di Basilea del 1972 però non ratificata dall’Italia. Quindi l’esistenza di una norma generale che prevede l’immunità degli stati dalla giurisdizione per lo svolgimento di funzioni sovrane è una regola accettata. Però questa regola dell’immunità vale solo per atti iure imperii, cioè atti compiuti nell’esercizio delle funzioni sovrane non per atti iure gestionis. È difficile distinguere quando lo stato agisce in funzioni sovrane e quando agisce per interessi privatistiche. Perciò la difficoltà sta nella classificazione degli atti posti in essere. Quindi tutti i problemi applicativi derivano in parte da questa difficoltà nella qualificazione degli atti posti in essere dagli stati. Nonostante questa difficoltà pratica della distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis, la regola dell’immunità dalla giurisdizione è stata ampliamente applicata con riguardo ai processi che coinvolgevano e che ancora coinvolgono gli stati come soggetti dotati di tale prerogativa e qui facciamo riferimento sia a processi di cognizione (processi di accertamento dei diritti dei singoli nei confronti dello stato) sia i processi di esecuzione (quelli in cui i diritti dei singoli dovessero effettivamente implementati in seguito a una sentenza di condanna e quindi richiedesse la necessità di porre in esecuzione la sentenza stessa). DIFETTO DI GIURISDIZIONE E PROCESSO COGNIZIONE A proposito della distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis è emblematico il caso dell’ufficio commerciale dell’ambasciata cinese a Roma. Perché abbiamo due casi contrastanti che in relazione alla medesima fattispecie evidenziano la difficoltà di distinguere questi tipi di atti compiuti dagli stati. Abbiamo una prima sentenza n. 16461/2006, in cui la cassazione ha escluso l’immunità della Cina, in una controversia intentata da una società italiana, che con un contratto poi dichiarato inefficace aveva venduto un immobile destinato all’ufficio commerciale dell’ambasciata cinese a Roma. La venditrice aveva dovuto pagare imposte prima di essere tornata in possesso dell’immobile e quindi chiedeva il risarcimento danni alla Cina. La cassazione valutato la natura e la tipologia del contratto, di natura commerciale ha escluso l’immunità alla Cina poiché ritenne fosse un atto iure gestionis e non iure imperii. La vicenda continua perché la Cina continua ad occupare l’immobile, di cui la proprietaria vuole riappropriarsi e quindi propone un’altra azione nei confronti della Cina per rientrare in possesso dell’immobile. In questo caso la cassazione cambia il proprio atteggiamento e afferma l’immunità della Cina, riconoscendo che l’occupazione era «in rapporto strumentale con i poteri pubblicistici del diritto di missione della Repubblica popolare cinese». Il criterio distintivo tra atti iure imperii e atti iure gestionis in questo caso c’era una sorta di necessità determinata dal fatto che la Cina doveva continuare a svolgere questa funzione sovrana. È comunque difficile distinguere tra gli atti iure imperii e atti iure gestionis posti in essere da uno stato, quindi nel dubbio si dovrebbe propendere per l’immunità, come previsto dalla convenzione di NY del 2004 che dispone la regola generale dell’immunità e le specifiche eccezioni. Questa applicazione della regola dell’immunità dalla giurisdizione al di là della difficoltà di distinzione tra atti iure imperii e atti iure gestionis, pone anche dei problemi di coordinamento con altre fonti del diritto internazionale. Come, per esempio, le norme poste a tutela dell’equo processo e al diritto di difesa ovviamente interferiscono con l’immunità dalla giurisdizione perché da un lato c’è il diritto di un individuo e dall’atro c’è una prerogativa sovrana dello stato. Quindi si contrappongono due principi ugualmente importanti e questa contrapposizione è ancora più evidente in un altro ambito del DIP che è quello dei rapporti di lavoro, che possono intercorrere tra un individuo e uno stato straniero e qui si Vale anche in questo caso la distinzione tra beni iure imperii e beni iure gestionis. Quindi sono pignorabili i beni non destinati a funzioni sovrane dello stato. Anche qui c’è il problema nel differenziare le due tipologie di beni. La CIG con la sentenza del 2012 ha escluso la possibilità del pignoramento della Villa Vigoni, sede di un centro culturale tedesco poiché funzionale e necessario all’esercizio sovrano dello stato tedesco. Un altro caso significativo che rileva l’immunità nel processo di esecuzione è quello dei bond argentini, titoli di credito emessi da Stati, società o enti sovranazionali che conferiscono al soggetto che li ha acquistati il diritto di essere rimborsato del capitale più interessi: alcuni investitori hanno chiesto provvedimenti cautelari su beni dell’Argentina presenti in Italia a garanzia dei titoli di obbligazione emessi dall’Argentina. All’inizio i giudici italiani hanno riconosciuto la giurisdizione italiana e quindi i giudici italiani potevano emanare provvedimenti cautelari su beni dell’Argentina presenti in Italia in base alla natura privatistica dell’emissione di questi titoli ritenendo fossero delle azioni iure gestionis (nel 2002). Poi però la cassazione con la sentenza n.6532/2005, la giurisprudenza italiana ha modificato il proprio orientamento, affermando che anche se la collocazione delle obbligazioni sul mercato ha natura privatistica, però la sospensione dei rimborsi disposta per emergenza nazionale corrispondeva all’esercizio di una potestà sovrana dello stato e quindi a questo esercizio di funzione doveva essere riconosciuta l’immunità dalla giurisdizione. Lezione 17: LIMITI ALLA GIURISDIZIONE ITALIANA – LIMITE DELLA LITISPENDENZA Dopo l’estensione della giurisdizione italiana operata principalmente dall’art. 6 L.218/95 su questioni preliminari. Veniamo ora al tema dei limiti che sono codificati: - Dall’art.5 L. 218/95 in riferimento alle azioni reali su beni immobili situati all’estero per i quali non sussiste la giurisdizione italiana in forza della elevata connessione che c’è tra i diritti reali su beni immobili e il luogo in cui si trovano anche in considerazione della sovranità dello stato - Dall’art.11 in riferimento al difetto di giurisdizione quindi casi di esclusione della giurisdizione italiana per effetto dell’operatività di una norma di diritto internazionale generale, quale ad esempio l’immunità dalla giurisdizione degli stati, delle OI, degli organi e agenti diplomatici. - Dall’art.7 L. 218/95 in riferimento alla litispendenza. Questa parte si rivolge a dei limiti di carattere prevalentemente di carattere processuale. Limiti determinati dall’operatività di istituti di carattere processuale quale la litispendenza internazionale e la litispendenza previsti dagli atti del UE. La litispendenza è un procedimento di coordinamento tra ordinamento. Tra i limiti della giurisdizione italiana ricorreva già nel corso del processo di comunitarizzazione del DIP, il limite cd della litispendenza internazionale codificata dall’art.7 L.218/95, faceva riferimento alla contemporanea pendenza di un procedimento avente le stesse parti, lo stesso titolo e lo stesso oggetto in un altro paese, con la necessità di coordinare il procedimento radicato in Italia con il procedimento radicato in un altro paese. Questo meccanismo era una novità del sistema italiano di diritto processuale internazionale perché nel regime previgente nel Codice di procedura civile del ’42 non era prevista la litispendenza come non lo era la deroga alla giurisdizione italiana, poiché era ispirato da un forte nazionalismo e la concezione della superiorità della propria giurisdizione. Tuttavia, questi principi sono stati incrinati dalla partecipazione dell’Italia alla convenzione di Bruxelles del 1968 poiché aveva introdotto sin dall’inizio la litispendenza come meccanismo essenziale di coordinamento tra le diverse giurisdizioni. Quali sono i fondamenti di questo meccanismo di coordinamento? - Apertura ai valori giuridici stranieri - Riconoscimento delle sentenze straniere per evitare un duplicato di procedimento facendo economia processuale - Equivalenza delle giurisdizioni, il fatto che ci sia fiducia tra i diversi paesi che induce a ritenere che anche se lo stesso procedimento venisse deciso da un altro giudice quella decisione possa essere ugualmente accettata. Il principio di litispendenza ha sicuramente senso in un sistema integrato come quello del UE per coordinarsi e per un funzionamento armonioso. Tuttavia, ha meno senso in un ordinamento interno, infatti destò parecchio stupore quando fu adottato l’art.7 L.218/95 in quanto denota una notevole cambio di rotta e notevole apertura ai valori stranieri. Litispendenza ≠ connessione La litispendenza è un concetto leggermente diverso dalla connessione, che è un legame esistente tra 2 procedimenti, legame così forte da indurre a ritenere che questa decisione debba avvenire congiuntamente. Queste due figure sono avvicinabili anche se diverse. La litispendenza è prevalentemente fondata sul concetto di priorità temporale (chi prima arriva meglio alloggia) perché il giudice adito per secondo deve cedere il passo al giudice adito per primo nella litispendenza. L’avvicinamento delle 2 figure è ancora più evidente con l’adozione del RB1bis, dove il considerando n.23 stabilisce la rilevanza di un meccanismo flessibile che permetta alle autorità giurisdizionarie degli stati membri di tenere conto dei procedimenti pendenti davanti alle autorità giurisdizionali degli stati terzi. Il considerando non è una norma obbligatoria ma un principio interpretativo molto importante per far funzionare le norme contenute del regolamento stesso C’è questa volontà forte del UE di estendere il proprio programma giuridico-politico anche ad altri paesi. Perché? Da un lato la società è sempre più globalizzata, ma c’è una volontà del UE di imporre le proprie norme anche nei confronti degli stati terzi. Cosa non facile perché già all’interno del UE vi sono differenze quindi lo è ancora di più sul piano globale. Soprattutto tra i paesi del common law (che hanno un’impostazione pragmatica prevalentemente casistica, si fondano su scelte che devono essere individuate di volta in volta) e i paesi del civil law che tendono a codificare tutte le norme, quindi, hanno scelte molto meno flessibili. Quindi nella mediazione di tutte queste diversità UE deve trovare una sintesi, trovare l’armonia e favorire la circolazione delle sentenze all’interno del UE i valori giuridici per implementare i diritti individuali dei cittadini europei. Analogamente alle differenze processuali ci sono diverse figure di litispendenza: - Litispendenza interna, poiché la necessità di coordinare le azioni giudiziarie nel tempo e nello spazio esiste anche all’interno del medesimo ordinamento. Questo coordinamento nell’ordinamento italiano è disciplinato dall’art. 39 del Codice di procedura civile - Litispendenza comunitaria regolata dalla convenzione di Bruxelles, poi dal RB1 ora dai art.29 e ss. Del RB1bis, in materia di separazione e divorzio è regolato dal RB2bis ora e nel futuro dal regolamento 1111/2019 - Litispendenza internazionale, disciplinata dall’art. 7 L.218/95 I presupposti comuni in cui si ricorre alla litispendenza sono: - Titolo - Oggetto - Parti Le parti sono l’attore e il convenuto, il titolo e l’oggetto sono riferiti al tema della controversia, esempio una parte chiede la risoluzione di un contratto di compravendita: il titolo sarà il contratto di vendita, l’oggetto il bene che viene posto in gioco nell’ambito del titolo controverso. Questi criteri non devono essere intesi in modo rigido, bensì in maniera estensiva per armonizzare il più possibile le esistenti differenze. Le identità di titolo-oggetto-parti sono presupposti indispensabili per tutte le figure di litispendenza, poi si biforcano nelle differenti interpretazioni di due istituti diversi: • litispendenza internazionale • litispendenza comunitaria: CGCE – 8.12.1987 Gubisch CGCE – 6.12.1994 Tatry CGCE – 19.5.1998 Drouot Anche se qui la giurisprudenza è molto vasta, la divaricazione si riferisce al fatto che nella litispendenza comunitaria ci sono state numerose sentenze che hanno cercato di interpretare in maniera più ampia possibile questi presupposti, sentenze che erano state pronunciate dalla CGCE in applicazione della convenzione di Bruxelles, quindi l’obbiettivo che non era così spinto dalla comunitarizzazione del DIP come dopo il trattato di Amsterdam, però lo scopo comunque era quello di far funzionare nella maniera il più possibile esteta il coordinamento previsto dalla convenzione. Il compito gravo della CG era quello di mediare tra le diversità dei paesi europei. Siccome le regole all’interno dei singoli stati sono differenti, per esempio non troveremmo risoluzione per inadempimento disciplinato allo stesso modo dal cc italiano, è evidente che in alcuni casi per mediare sull’identità del titolo (Il titolo sarebbe l’istituto giuridico posto alla base della domanda proposta in giudizio mentre l’oggetto è il bene a cui si rivolge questa domanda, le parti sono l’attore e il convenuto) allora le nozioni di titolo e oggetto sono andate sovrapponendosi proprio perché ad esempio non c’è la stessa nozione di risoluzione per inadempimento, allora se coincideva l’oggetto si tendeva a far operare la litispendenza prevista dalla convenzione di Bruxelles. Dal punto di vista processuale, la litispendenza internazionale quella prevista dalle norme interne italiane poteva operare su eccezione di parte e determinata una sospensione del procedimento con previsione, la litispendenza comunitaria è più stringente perché operava sempre d’ufficio e determinava una sospensione del secondo procedimento con una verifica delle competenze del primo giudice (l’elemento temporale è indispensabile). Litispendenza comunitaria La prima figura a cui dobbiamo fare riferimento, la più importante anche dal punto di vista dell’ambito applicativo, per la prevalenza dei casi in cui si applica è la litispendenza comunitaria. E qui viene in rilievo la disciplina prevista dal RB1bis e regolata all’art.29. I presupposti come il titolo, l’oggetto e le parti devono intendersi in maniera ampia. È rilevabile d’ufficio, quindi il giudice lo rileverà di sua iniziativa. E quale sarà l’effetto? La sospensione del procedimento, cioè il giudice adotto per secondo dovrà d’ufficio sospendere il procedimento in attesa della verifica della competenza del primo giudice. sul panorama internazionale come un soggetto indipendente e portatore di norme autonome e che viene esplicitato nel considerando 21 del RB1bis come obiettivo rivolto al funzionamento armonioso della giustizia. Il considerando non una norma vincolante da regolamenti, ma sono principi ispiratori a cui ci si deve attenere nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme che seguono, perché spesso chiariscono quali sono gli intenti e gli obbiettivi del regolamento. Il momento temporale è fondamentale nel funzionamento della litispendenza e nella valutazione della competenza perché è rilevante per determinare la concentrazione della competenza in capo al primo giudice. La convenzione di Bruxelles prevedeva lo stesso meccanismo della litispendenza ma non prevedeva nulla con riferimento al momento in cui il giudice poteva determinare la propria competenza e quindi si faceva riferimento alle diverse leggi nazionali dei paesi della comunità europea con problemi di coordinamento perché il problema principale in questo funzionamento dei criteri di giurisdizione e meccanismi di coordinamento sono le difformità normative esistenti tra i sistemi processuali dei diversi paesi europei non solo nella ripartizione tra common law e civil law ma proprio per le differenze codificate che ci sono nei procedimenti d’instaurazione delle controversie, nelle modalità delle modifiche e tutto questo incideva nel momento in cui il giudice effettuava una valutazione della propria competenza. Ora con il RB1bis vi è una previsione in merito alla competenza, in cui si da rilievo al momento temporale in cui viene portato a conoscenza dell’autorità giudiziaria il primo atto del procedimento, quello è considerato il momento iniziale a prescindere dagli atti che seguiranno. Poi ci sono della valutazioni che il giudice fa in merito al rispetto delle competenze esclusive che non possono mai essere derogate, quindi nel caso in cui il secondo giudice sia adito in base a una competenza esclusiva questa dovrebbe prevalere. Oltre a questi fattori vi è anche un obbligo di cooperazione giudiziaria per cui anche alla luce della diffusione dei mezzi di comunicazione tra i giudici dei vari stati membri si prevede che il giudice adito deve rispondere senza indugio agli altri giudici circa la data nella quale è stato instaurato il processo dinanzi a sé. Non è più come nella convenzione di Bruxelles in cui ogni giudice determinava il momento d’instaurazione del procedimento in base alla legge nazionale. Il criterio temporale veniva applicato in maniera rigida fino al RB1. Nel caso Gasser una sentenza del CG del 2003 nell’ambito della quale il secondo giudice adito in base alla proroga di giurisdizione non poteva ritenersi prevalente rispetto al primo. Il problema era che vi era stato un primo italiano adito in base al criterio generale del domicilio, tuttavia fu chiesto di derogare la competenza del giudice italiano a favore del giudice austriaco (il secondo giudice adito in base a una proroga di giurisdizione) per ovviare ai tempi estremamente luchi della giustizia italiana. Si chiedeva la proroga a favore del secondo giudice e derogare alla competenza generale del primo giudice. Cosa che ci fa pensare a un superamento del sistema delle competenze ma la CGCE con la sentenza del 2003 ha detto di no perché questo significherebbe infrangere il sistema delle competenze, nemmeno quando in questo caso c’erano state delle motivazioni dei tempi lunghi della giustizia italiana. Nel RB1bis all’art.31, si delinea un meccanismo di coordinamento delle azioni nello spazio al quanto complessi, ma in seguito al quel sembra sia possibile applicare con meno rigore questo criterio temporale. In pratica l’art.31 sembra ammettere la possibilità di superamento del tempo in base alla proroga, salvo che per le controversie fondate sulle competenze a tutela del contrente debole, e ovviamente non si può derogare neanche le competenze esclusive. L’unica possibilità di rendere inoperante il criterio temporale è l’esistenza di una competenza esclusiva. Quindi se il secondo giudice è investito della controversia in base a una competenza esclusiva allora non si può applicare la litispendenza e il caso passa al secondo giudice (art.27). se entrambi i giudici sono aditi in base a una competenza esclusiva allora riprende vigore il criterio temporale (art. 31.1) Un’altra possibilità di coordinamento è la connessione. Questo meccanismo di coordinamento tra azioni giudiziarie civili nello spazio si fonda tra il legame esistente tra cause. Legame che giustifica la necessità di spostare la competenza sempre dal secondo al primo giudice sulla base di indizi flessibili di valutazione. Qui non c’è un automatismo nella valutazione del criterio temprale per cui prevale assolutamente il primo giudice, ma ci sono considerazioni di opportunità. Per cui se una causa è connessa ad un’altra allora potrà esserci la necessità di una trattazione unitaria. Per esempio, la valutazione della validità di un contratto di assicurazione che si ricollega a un’azione per risarcimento di danni da veicolo. Un soggetto propone una causa nei confronti di un altro per ottenere il risarcimento dei danni, l’altro dice che era assicurato però forse il contratto non era valido quindi c’è una connessione tra la causa volta ad accertare la validità del contratto di assicurazione e la causa rivolta ad accertare la responsabilità dell’incidente stradale. Un'altra novità significativa del RB1bis che riguarda l’operatività della litispendenza e anche la connessione si riferisce alla loro rilevanza negli stati terzi. Secondo quanto previsto dagli art. 33 e 34 il giudice di uno stato membro adito in base a un criterio generale o competenza speciale, nel momento in un giudizio tra le stesse parti, con lo stesso oggetto e titolo, pensa in uno stato terzo può sospendere il procedimento se ritiene che la decisione emessa nello stato terzo possa essere riconosciuta ed eseguita e ritiene la sospensione necessaria per la corretta amministrazione della giustizia. Vi è dunque la possibilità che il giudice di un ostato membro, secondo adito, abbia notizia di una pendenza dello stesso procedimento in uno stato terzo e quindi faccia funzionare il coordinamento di litispendenza, cioè sospenda il proprio procedimento se ritiene che il procedimento che pende nello stato terzo possa produrre una sentenza che verrà riconosciuta. Si potrebbe pensare che il processo è in uno stato terzo e non dovremmo interessarci, invece no! Causa globalizzazione. L’effetto della litispendenza è direttamente codificato nel RB1bis perché non c’è solo la sospensione con previsione degli effetti del procedimento all’interno di uno stato membro bensì se il procedimento nello stato terzo si conclude con una decisione che può essere riconosciuta ed eseguita in uno stato membro, il giudice dello stato membro ha l’obbligo di dichiarare estinto il procedimento. Quindi da prima sospende se effettua la valutazione che il procedimento straniero potrà portare a una sentenza che sarà riconosciuta e poi può proprio dichiarare estinto il procedimento se quello iniziato nel paese terzo ha prodotto un giudizio. Per la connessine è previsto un meccanismo di coordinamento simile sempre per l’armonioso funzionamento della giustizia. Quindi, secondo quanto prevede l’art.31.1 del RB1bis il giudice di uno stato membro può dichiarare la sospensione del procedimento su eccezione di parte o d’ufficio se vi siano procedimenti connessi pendenti in stati terzi che implichino il rischio di giungere a decisioni incompatibili. Ciò per evitare i contrasti di giudicati perché potrebbe alterare il riconoscimento automatico delle sentenze. L’altra fattispecie, cioè la revoca della sospensione e la prosecuzione del procedimento instaurato nello stato membro può avvenire in presenza di quanto prevede l’art.34.4 del RB1bis: - Il giudice comunitario ritiene venuta meno il rischio di decisioni incompatibili tra loro - Sospensione o interruzione del procedimento nello stato terzo - Durata troppo lunga - Necessità di proseguire per la corretta amministrazione della giustizia. Sono condizioni codificati per la certezza del diritto, certezza processuale però sono anche valutazioni al quanto discrezionali. In seguito al rilevamento della litispendenza/connessione in uno stato membro di un procedimento in uno stato terzo, si verifica la sospensione del procedimento dopodiché si riprende o vi è l’estinzione del procedimento dello stato membro. Questo meccanismo di coordinamento è funzionale al dispendio di attività processuale, evitare il duplicato o contrasto di decisioni. Questo sforzo di estendere le proprie normative anche agli stati terzi è dettata dal desiderio di far circolare in modo armonioso anche i giudicati dei paesi non membri. Ci si potrebbe chiedere se questa apertura sia una mitigazione della contrarietà del forum non conveniens. Perché di fatto, il giudice di uno stato membro si spoglia della propria competenza sulla base di una valutazione discrezionale. Il principio di forum non conviniens è contraria ai principi dell’integrazione (caso Owusu). Quindi sicuramente questa svolta del RB1bis ci fa pensare al fatto che ci sia un mutamento di indirizzo del UE che però porta a un rischio che le parti di un processo civile strumentalizzino questo strumento attraverso il fenomeno del forum running e quindi vadano ad instaurare un procedimento in uno stato terzo per prevenire un giudizio di uno stato membro. Un'altra forma di litispendenza comunitaria è quella prevista dal RB2bis in materia di separazione e divorzio dagli articoli 17 e 18. Anche questa è una forma di coordinamento delle azioni civili nello spazio europeo fondata sul criterio della prevenzione temporale, in quanto il giudice adito per secondo sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza della prima autorità giurisdizionale adita. Qui la difficoltà sta nella difformità normativa delle diverse nazioni del UE. In alcuni paesi esistono la separazione e il divorzio in altre solo il divorzio. Così l’esistenza d’istituti diversi e l’ampiezza con cui il regolamento intende la litispendenza fa si che si venga a creare una forma di falsa litispendenza, in un paese viene proposto il divorzio e in un altro la separazione perché i titoli dei due casi sarebbero diversi. Qui vi è l’ampia gamma dei criteri di giurisdizione prevista dal RB2bis principalmente fondati sulla residenza abituale dei coniugi che consentono di proporre domande in stati diversi. Es. una moglie che propone una domanda di divorzio in Francia perché li avrà una pronuncia più favorevole e il marito per ridurre queste pretese propone una domanda di separazione in Italia. C’è la litispendenza? Il giudice italiano si deve fermare a favore di quello francese, sicuramente si secondo il regolamento perché proprio l’ampiezza dei criteri previsti dal RB2bis che deve essere temperata tramite questa forma di litispendenza. Sulla litispendenza in materia di divorzio e separazione incide anche il RB2ter all’art.20 da un alto ribadisce aspetti già visti e quindi conferma la rilevabilità d’ufficio e la sospensione in attesa di verifica della competenza del primo giudice. Un aspetto importante che sarà operativo dal 2022 è la soluzione del problema della proroga di giurisdizione che si codifica espressamente come prevalente all’art. 20.4, si stabilisce infatti che qualunque autorità adita sospenda il procedimento in presenza di una proroga di giurisdizione che attribuisce competenza esclusiva. Quindi laddove vi sia un accordo tra le parti che attribuisce la giurisdizione ad un giudice qualunque altra autorità indipendentemente dal fato che vi sia la priorità temporale, deve declinare la propria competenza. Nella litispendenza del RB1bis è prevista una verifica di competenza esclusiva rispetto al giudice adito per primo che deve verificare se il secondo giudice non sia investito in base a una competenza esclusiva perché in quel caso il primo giudice deve declinare la propria competenza. Qui nel RB2ter, si afferma espressamente che è la proroga a superare che la volontà delle parti addirittura a superare l’operatività di un meccanismo di coordinamento di procedimenti tra autorità giurisdizionali di stati differenti. Litispendenza internazionale L.I è regolata dall’art.7 L.218/95 «Quando, nel corso del giudizio, sia eccepita la previa pendenza tra le stesse parti di domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetto per l'ordinamento italiano, sospende il giudizio. Se il giudice straniero declina la propria giurisdizione o se il provvedimento straniero non è riconosciuto nell'ordinamento italiano, il giudizio in Italia prosegue, previa riassunzione ad istanza della parte interessata. 2. La pendenza della causa innanzi al giudice straniero si determina secondo la legge dello Stato in cui il processo si svolge». I presupposti dell’art.7 sono sempre gli stessi cioè: identità delle parti – titolo – oggetto Dal punto di vista processuale, l’operatività della LI è condizionata da eccezione di parte. Diverso dai RB1bis/2/2ter, qui il giudice non è obbligato d’ufficio a farla valere. Deve essere sottoposto all’attenzione del giudice tramite un’eccezione di parte, e il giudice effettuata una valutazione discrezionale degli effetti che la sentenza dello stato straniero produrrà nell’ordinamento italiano. Che non è al 100% discrezionale perché il giudice italiano dovrà prendere in considerazione le norme su riconoscimento delle sentenze nello specifico l’art.64 lett. A-B-C L.218/95, che è la norma che prevede i requisiti generali che le sentenze straniere devono avere per produrre effetto nell’ordinamento italiano. La norma è molto più ampia e non prevede solo questi 3 requisiti. Però questi che riguardano la valutazione della competenza, la valutazione del regolare costituzione in giudizio del convenuto, la tutela del diritto del convenuto sono gli unici requisiti credito oppure se il provvedimento che deve essere adottato deve essere eseguito in Italia. Questo è appunto, conforme con quanto è previsto dal sistema del UE. Almeno sotto questo punto di vista non vi sono particolari problemi di coordinamento. Maggiori problemi di coordinamento sono determinati dalle previsioni interne all’ordinamento italiano, quelle che disciplinano nell’ambito del c.c. o codice di procedura civile i provvedimenti cautelari cioè gli aspetti tecnici di questi provvedimenti perché la nozione di provvedimento cautelare deve essere individuata secondo i criteri della lex fori e di conseguenza si può attribuire al giudice italiano competenza per tutti i provvedimenti che la legge italiana ritiene che siano provvedimenti cautelari ove hanno i requisiti previsti a parte dalla lex fori. Ancora una volta la legge del luogo in cui si svolge il processo è quella che definisce i criteri rilevanti per l’attribuzione della giurisdizione quindi della formazione della competenza del giudice italiano. Quali sono questi provvedimenti? • Sequestro conservativo – provvedimento che tende a garantire la conservazione del patrimonio del debitore in vista dell’esecuzione forzata • Sequestro giudiziario – provvedimento che tende a conservare i beni di cui è controversa la proprietà o il possesso oppure i documenti che si vogliono utilizzare come elementi di prova in un processo. Provvedimento che ha a che fare anche con aspetti probatori perché può valere a far conservare degli elementi di prova quando si tema che possa sparire • Provvedimenti di urgenza atipici (art. 700 c.p.c.) • Denuncia di nuova opera e di danno temuto Tutti questi procedimenti devono essere sottoposti al controllo di compatibilità per evitare che si creino una competenza esorbitante. Il rischio di queste competenze esorbitanti era stato sempre considerato dalla giurisprudenza della CG. Tant’è vero che nella sentenza del 1992 nel caso Reichert, ha cercato di circoscrivere la rilevanza e l’ambito di applicazione di questi provvedimenti dicendo che le regole di giurisdizione nazionali dovessero essere controllate perché si trattava di provvedimenti rivolti alla conservazione di una situazione di fatto odi diritto al fine di preservare diritti dei quali spetterà il giudice di merito accertare l’esistenza. L’essenza di questi provvedimenti è la conservazione di una situazione di fatto o di diritto. E inoltre che come detto tante volte in precedenza, la giurisprudenza della CG elaborata in merito all’applicazione della convenzione di Bruxelles può valere anche in merito ai regolamenti attuali perché vi è continuità tra tali atti, quindi non c’è dubbio che possiamo fare riferimento a questa giurisprudenza per valutare il funzionamento delle norme attuali. A proposito di questo controllo, in alcuni casi la CG è intervenuta per dire che non potevano essere provvedimenti cautelari ammissibili, secondo la convenzione di Bruxelles e che quindi non poteva applicarsi alla convenzione di Bruxelles e i criteri della stessa determinati in relazione a particolari tipologie di provvedimenti. Quali quelli considerati nel caso Van Unden del 1998 in cui la CG ha precisato che, i provvedimenti cautelari sono le decisioni che hanno carattere di provvisorietà quindi non offrono una soluzione definitiva alla controversia, perciò ha escluso che potesse rientrare dell’ambito di applicazione della convenzione di Bruxelles, quindi delle regole di giurisdizione in materia di provvedimenti cautelari, il pagamento in via provvisoria di una controprestazione contrattuale controversa, che era l’oggetto del procedimento che aveva portato alla decisione del caso Van Unden. Ancora, un altro motivo per cui si deve effettuare questo controllo di compatibilità dei provvedimenti cautelari con il sistema di Bruxelles, è che all’epoca della convenzione di Bruxelles quando era incerto se questi provvedimenti potessero godere di regime d’esecuzione agevolato, la corte lo aveva affermato nella sentenza del 1980 la sentenza Denilauler e quindi ammettendo che i provvedimenti provvisori cautelari siano oggetto di esecuzione era importante controllare la compatibilità con il sistema previsto dalla convenzione dei Bruxelles, perché diversamente non si sarebbe compreso in che modo dei provvedimenti che non avevano le caratteristiche idonee potessero godere di un regime di riconoscimento agevolato. Riassumendo la CG nel caso Denilauler ammette che i provvedimenti provvisori e cautelari siano oggetto di esecuzione, Motivo per il quale già nel vigore della Convenzione di Bruxelles si controllava la loro compatibilità con tale sistema normative. La conferma di questa necessità di controllo dei provvedimenti cautelari si ha nel RB1bis. si stabilisce espressamente nel quadro delle nozioni definite dall’art.2 let.a “Ai fini del Capo III la ‘decisione’ comprende anche i provvedimenti provvisori e cautelari emessi da un’autorità giurisdizionale competente a conoscere nel merito ai sensi del presente regolamento”. Quindi, ai sensi del regolamento vi è la possibilità di riconoscimento automatico per i provvedimenti provvisori cautelari con eccezione infatti. “Essa non comprende i provvedimenti provvisori e cautelari emessi da tale autorità giurisdizionale senza che il convenuto sia invitato a comparire a meno che la decisione contenente il provvedimento sia stata notificata o comunicata al convenuto prima dell’esecuzione”. Con riferimento cioè alla tutela dei diritti della difesa, ovvero al fatto che si fa un’eccezione relativamente a questo riconoscimento automatico, nei casi in cui questo provvedimento emesso da un’autorità non abbia visto un coinvolgimento del convenuto rispettoso dei diritti della difesa. Relativamente alla compatibilità dei provvedimenti cautelari nazionali con il sistema di Bruxelles, molte difficoltà emergono nell’ambito del controllo dei provvedimenti previsti dal sistema di common law. Un esempio è dato dal “anti suit injunctions” previsto dal diritto inglese, come provvedimenti con cui il giudice inglese vieta a un convenuto di esercitare azioni in altri stati. Un caso in cui emerge questo problema dell’istituto di anti suit injunctions è nel caso Turner deciso dalla CGCE del 2004. In tema di anti suit injunctions, il giudice ordina per una cautela al convenuto di rivolgersi a un alto giudice. Evidente che l’obiettivo di questi provvedimenti è quello di evitare comportamenti fraudolenti. Quindi di per sé non ci sarebbe in astratto un problema di compatibilità con il sistema di Bruxelles, però poi si può immaginare che la loro adozione concreta non sia compatibile con il funzionamento armonioso del sistema di Bruxelles perché bisogna poi guardare non tanto ai requisiti astratti di ogni provvedimento ma bisogna vedere quali sono gli effetti di questi provvedimenti nella loro realtà concreta. Il caso Turner vede un cittadino inglese, residente nel UK, licenziato da una società multinazionale, egli fa causa per ottenere danni da licenziamento senza giusta causa a Londra. In questo caso ci sono delle implicazioni transnazionali perché il datore di lavoro è una multinazionale e le controversie in materia di lavoro sono disciplinate nell’ambito delle competenze alternative sia nella convenzione di Bruxelles sia del RB1bis. Il signor Turner instaura una causa a Londra per chiedere un risarcimento da licenziamento senza giusta causa, allo stesso tempo il datore di lavoro gli fa causa in Spagna chiedendo il risarcimento dei danni derivanti da alcune condotte illecite che il signor Turner avrebbe avuto. Quindi Turner si rivolge ai giudici inglesi per ottenere un’anti suits injunction e inibire a tutte le società componenti del gruppo di rivolgersi ad altri giudici europei nei suoi confronti. La House of Lords a quel punto propone il rinvio pregiudiziale alla CGCE e quest’ultima afferma la necessaria cooperazione tra i giudici degli stati membri e afferma che il divieto di agire dinanzi a un altro giudice equivarrebbe a un’ingerenza nella competenza dello stesso, non consentita dal sistema di Bruxelles. Quindi nel caso Turner si ha una condanna esplicita di questi provvedimenti delle anti suit injunction che vengono espressamente considerati dalla CG come contrari al sistema di Bruxelles. C’è una condanna espressa a prescindere dalla valutazione soggettiva perché poi solo nell’ultima parte di questa sentenza si dice anche quando tale parte agisce in mala fede. Questa sentenza Turner viene confermata da una giurisprudenza successiva perché questi provvedimenti inglesi di anti suit injunctions hanno creato molti problemi applicativi, vediamo che c’è stato una conferma nella sentenza del 2009 nel caso West Tankers. Quindi c’è una giurisprudenza consolidata della CG contro la compatibilità del anti suit injunctions con il sistema di Bruxelles. Un altro problema che riguarda la compatibilità dei provvedimenti cautelari dei singoli stati con il sistema di Bruxelles deriva dal controllo della cd Mareva injunction – provvedimento previsto dal diritto inglese per congelare i beni del convenuto. Anche qui è problema che risale ancora alla convenzione di Bruxelles, infatti la prima sentenza risale nel 1999 nel caso Mietz, qui si è escluso che questi provvedimenti con cui il giudice congelava tutti i beni del convenuto fossero compatibili con il sistema di Bruxelles e quindi ha escluso che fossero eseguibili in base al sistema di Bruxelles. La “punizione”/conseguenza della contrarietà di questi provvedimenti ai principi del sistema di Bruxelles era il fatto di negare agli stessi la riconoscibilità automatica. Più recentemente nel caso Gambazzi la CG nel 2009 riconosce la compatibilità in linea astratta di questi provvedimenti con il sistema di Bruxelles, ma poi attribuisce al giudice del rinvio cioè il giudice nazionale la competenza a valutare se le loro adozioni leda i diritti di difesa della parte contro la quale sono rivolti. Proprio perché congelano dei beni (del convenuto), la CG è molto attenta alla tutela del diritti di difesa e quindi vuole evirare che vi possa essere in qualche modo una lesione di questo principio fondamentale. Sempre parlando dei provvedimenti cautelari, nell’ambito del RB2bis in materia di provvedimenti rilevanti per il DIP della famiglia. Quindi provvedimenti concernenti la separazione, divorzio e responsabilità genitoriale. Qui l’art. 20 del RB2bis prevede la competenza giurisdizionale ad adottare provvedimenti cautelari sulle persone e sui loro beni presenti entro quello stato anche se la competenza nel merito appartiene al giudice di un altro stato. Quindi anche qui si ammette la distinzione della competenza per il merito dalla competenza per l’adozione del provvedimento cautelare e questi provvedimenti cessano di avere effetto nel momento in cui viene pronunciato la sentenza nel merito, proprio perché sono provvedimenti destinati a risolvere una determinata esigenza urgente per cui è giusto che cessino la loro funzione nel momento in cui viene emesso una decisione Questa disciplina viene confermata anche dall’art. 15 del RB2ter (1111/2019) in cui stabilisce “la competenza giurisdizionale ad adottar provvedimenti cautelari sulle persone e sui loro beni presenti entro quello stato anche se la competenza nel merito appartiene al giudice di un altro stato. Cessano di avere effetto nel momento in cui viene pronunciata la sentenza nel merito. un aspetto importante è l’obbligo di comunicazione tra le autorità giurisdizionali di stati diversi. Lezione 20:CRITERI DI GIURISDIZIONE IN MATERIA DI GIURISDIZIONE VOLONTARIA Espressione di origine dottrinale che racchiude una serie di procedimenti molto diversi tra loro, ma accomunati dal fatto di non presupporre un conflitto di interessi, una vera e propria controversia, bensì di essere rivolti alla gestione di un negozio o di un affare, che richiede necessariamente la collaborazione di un soggetto terzo e imparziale, il Giudice. In materia di giurisdizione volontaria, tra le prime norme che vengono in considerazione vi è l’art. 9 l. 218/95 il quale stabilisce che «In materia di giurisdizione volontaria, la giurisdizione sussiste, oltre che nei casi specificamente contemplati dalla presente legge e in quelli in cui è prevista la competenza per territorio di un giudice italiano quando il provvedimento richiesto concerne un cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o rapporti ai quali è applicabile la legge italiana» Si parla di criteri speciali di giurisdizione, alla competenza territoriale, alla cittadinanza italiana o alla residenza in Italia e a situazioni o rapporti ai quali è applicabile la legge italiana. Quindi si mescolano insieme vari e differenti criteri di giurisdizione. È una novità questa del sistema italiano che in precedenza, nelle disposizioni preliminari al codice del ’42, il codice di procedura civile del ’42 non conteneva una disposizione apposita e si doveva operare una ricerca interpretativa per individuare le norme di giurisdizione in materia di giurisdizione volontaria impostando questa ricerca sulla base dell’art.4 del c.p.c. che però era una norma pensata per una giurisdizione di tipo contenzioso, nell’ambito della quale vi era la contrapposizione tra attore e convenuto e in cui si effettuava un richiamo delle competenze territoriali. Qualificazione della giurisdizione volontaria Ma la cosa più complicata non era tanto l’individuazione dei criteri di giurisdizione, ma la definizione dell’ambito della materia, appunto la definizione del concetto di giurisdizione volontaria. Infatti, anche oggi il tema maggiormente problematico nella comprensione dell’argomento della giurisdizione volontaria è la definizione dell’ambito di applicazione dell’art.9 L.218/95. Tuttavia, questo problema attualmente è diventato poco rilevante al momento per via dell’esistenza di convenzioni internazionali e regolamenti UE, soprattutto questi ultimi che rilevano in maniera Questa previsione concorrente in alcuni casi dei criteri speciali è stata ritenuta da alcuni studiosi un po’ eccessiva perché i criteri in base ai quali si afferma la giurisdizione italiana in matria di giurisdizione volontaria sono già abbastanza ampi. Troviamo la cittadinanza italiana, la residenza in Italia, criteri di competenza territoriali. - I criteri di giurisdizione previsti dall’art.22 2°c sono criteri esclusivi. È una norma emblematica per la sua analicità, nel senso che il nuovo sistema è stato da più parti caratterizzato come un sistema che si occupa di disciplinare tutte le fattispecie di rapporti internazionale privatistici, sia sotto il punto di vista del giudice competente sia in termine di legge applicabile. Dato che l’approccio è molto analitico forse era meglio differenziare gli aspetti, la scomparsa o la morte presunta, ulteriormente quindi precisare gli effetti giuridici dei vari provvedimenti. Poi vi sono dei problemi perché non tutti gli ordinamenti riconoscono tutte le 3 le figure, assenza-scomparsa-morte presunta, e quindi potremmo avere dei casi in cui se un cittadino straniero sparisce in Italia e viene qui chiesto un provvedimento a tutela dei suoi beni poi si potrebbero immaginare delle difficoltà di riconoscimento del provvedimento. - Anche i criteri previsti dall’art.37 sono criteri integrativi quindi si applicano oltre a quelli previsti dall’art.9, da notare in questo caso la rilevanza della cittadinanza. - In materia di adozione si conferma l’analiticità della legge italiana perché si distinguono i criteri di giurisdizione con riguarda da un lato alla costituzione e dall’altro lo svolgimento del rapport art.40 1°c. In rapporti tra adottanti e adottati l’art.40 2°c. opera in modo integrativa degli art. 3 e 9. - In materia di protezione dei maggiori d’età, l’art.44 applicato in funzione integrativa degli art. 3 e 9 a cui si aggiunge il criterio della presenza in Italia dei beni della persona dell’incapace, criterio fattuale, esempio la nomina dell’amministratore di sostegno - Anche in materia di successione vi è una molteplicità di criteri che però operano in esclusiva. - In materia matrimoniale l’art. 32 (RB2Bis e poi RB2ter), il criterio di collegamento dell’art.32 che prevede il luogo di celebrazione del matrimonio in Italia è al quanto residuale perla prevalenza dei regolamenti del UE. La giurisdizione in materia di obbligazioni alimentari, regolamento 4/2009 In materia è stato adottato il regolamento 4/2009 che dispone sia in tema di giurisdizione e riconoscimento della decisione, sottraendo cos’ la materia al sistema Bruxelles sia con riguardo alla legge applicabile. È un regolamento erga omnes, ovvero si applica anche a situazioni totalmente esterne al UE, e assorbe alcune convenzioni rilevanti come, ad esempio, la convenzione dell’Aja del 2007. Presenta il vantaggio di unificare in un unico testo normativo i criteri di giurisdizione in materia di obbligazioni alimentari e la legge applicabile alle stesse, dando così un’univoca indicazione. Qual è l’ambito di applicazione del regolamento 4/2009? L’ambito di applicazione è quello delle obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, parentela, matrimonio e affinità. Da questa definizione si eccepisce l’intento uniformatore del regolamento, l’intento di disciplinare in maniera uniforme tutta la materia che in realtà è molto variegata e complessa, perché esistono diversi tipi di obbligazioni: obbligazioni stabiliti dal giudice; obbligazioni derivanti dal divorzio; obbligazioni ex lege. Ma in questo ambito è importane l’interpretazione giurisprudenziale che era già avvenuta in seguito all’entrata in vigore della convenzione di Bruxelles della CG che aveva cercato di dare una nozione più comprensiva possibile della nozione di obbligazione alimentari per far comprendere ogni tipologia di rapporto. Qual è il criterio di giurisdizione? Il criterio di giurisdizione principale è la residenza abituale del creditore di alimenti, naturalmente questo criterio si pone in alternativa con quello generale della residenza abituale del convenuto. Vi è poi una competenza accessoria dell’autorità giurisdizionale competente in materia di responsabilità genitoriale. Questo nel caso in cui l’azione alimentare si configuri come accessoria a questa azione. Anche il creditore di alimenti tradizionalmente si ricollega alla dottrina di tutela della parte debole perché sicuramente chi ha bisogno di mantenimento e assistenza è una parte debole e questo spiega anche il perché siano state previste queste competenze alternative in questo caso la residenza abituale del creditore degli alimenti stesso in alternativa a quello generale della residenza abituale del convenuto. Proprio per predisporre una tutela ulteriore per questa parte debole del rapporto. criterio centrale: – residenza abituale del creditore di alimenti – residenza abituale del convenuto – autorità competente per responsabilità genitoriale in caso di azione alimentare accessoria a tale azione. Sempre in linea con questa necessità di tutelare il creditore di alimenti la scelta del foro viene prevista nel regolamento 4/2009 all’art.4 ma con una certa limitatezza. Non è una scelta aperta a qualsiasi giudice competente, è una scelta che può variare tra la residenza di una delle parti e la cittadinanza ed è esclusa in ogni caso le controversie concernenti le obbligazioni alimentari nei confronti dei minori di 18 anni perché si presume che queste controversie riguardino soggetti in una particolare condizione di debolezza per cui non possono essere in alcun modo suscettibili di ricevere una deroga, vi deve essere una certezza della tutela dei minori creditori di alimenti. La proroga ha una funzione di esclusività, cioè il giudice una volta individuato diventa una competenza esclusiva, quindi non può essere derogata, va circoscritta alla tutela della parte debole, quindi limitata a determinati giudici che siano collegati alla fattispecie da un ulteriore collegamento che può essere la residenza di una delle parti o la cittadinanza. Scelta del foro (art.4) solo tra: – Residenza di una delle parti – Cittadinanza di una delle parti – NO per le controversie concernenti le obbligazioni alimentari nei confronti di minori degli anni 18 Lezione 21: RICONOSCIMENTO DI SENTENZE E PROVVEDIMENTI STRANIERI Se il giudice competente è stato definito in base a regole uniformi possiamo anche immaginar che il riconoscimento delle decisioni, il fatto che una sentenza pronunciata in un altro paese possa produrre effetto in un altro sarà più agevole. Nell’ambito del DIP, queste tematiche ricadono nel diritto processuale civile internazionale che si suddivide in: - Analisi dei temi concernenti la giurisdizione - Analisi dei temi concernenti il riconoscimento delle sentenze Distinguendosi dal DIP in senso più ampio che riguarda la determinazione della legge applicabile Che cosa si intende per riconoscimento ed esecuzione delle sentenze dei provvedimenti stranieri? Attraverso il riconoscimento delle sentenze, si verifica l’attuazione dei diritti affermati nelle sentenze. Il riconoscimento: procedimento rivolto ad attribuire alla sentenza straniera l’autorità di cosa giudicata. Abbiamo una sentenza che proviene dal giudice di un altro paese e la introduciamo in un altro ordinamento consentendolo di produrre determinati effetti. Che cosa si intende con “autorità di cosa giudicata”? l’effetto di cosa giudicata, ha 2 aspetti: uno positivo e uno negativo. L’aspetto positivo è l’obbligo di attenersi a quanto è stato deciso all’estero. Nel momento in cui una sentenza straniera produce effetto in un ordinamento straniero, bisogna attenersi a quanto deciso. Le parti di quel procedimento o coloro nei cui confronti la sentenza può produrre effetto devono attenersi. Poi c’è l’effetto negativo, cioè il divieto di contestare la sentenza pronunciata dal giudice straniero. Chi opera il riconoscimento? Quando si parla di riconoscimento, attribuire effetto a una sentenza, si fa riferimento ad una legittimazione indistinta, cioè chiunque può attribuire la sentenza l’autorità di cosa giudicata. La risposa al “chi opera il riconoscimento”, non è il giudice, perché spesso pensiamo al riconoscimento come un procedimento per tecnici, per cui la sentenza passa da uno stato all’altro attraverso il vaglio delle autorità giudiziaria. Quindi può essere posta in essere da qualunque persona coinvolto dagli effetti della sentenza. L’esecuzione invece è una procedura un poco più complessa nel senso che qui si che è richiesto l’intervento di un’autorità giudiziaria perché l’esecuzione è la procedura rivolta ad appore la formula esecutiva alla sentenza straniera, simile a quella che si segue per porre in esecuzione una sentenza italiana. Nel caso in cui il debitore adempie ai suoi obblighi predisposti dalla sentenza, allora tutto bene. Invece, nel caso in cui il debitore no si adegui a quanto stabilito nella sentenza, occorrerà procedere in altro modo cioè attraverso l’esecuzione coattivo, attraverso l’esecuzione coattiva si porranno in essere gli atti esecutivi sul patrimonio del debitore, ma queste avrà delle complicanze ulteriori quando l’esecuzione debba avvenire in forma transnazionale, quindi quando la sentenza debba produrre i suoi effetti sul patrimonio di un debitore che ha dei beni in un altro stato o che è residente in un altro stato. Per questo occorre una procedura rivolta ad apporre la formula esecutiva alla sentenza straniera. Questi due aspetti sono collegati perché se il debitore paga spontaneamente quanto gli è stato imposto nella sentenza di condanna, non ci sarà bisogno di porre in essere gli atti esecutivi sul suo patrimonio perché la sentenza che lo ha condannato sarà spontaneamente rispettato. Qualora questo non avvenga e quindi non ci siano un riconoscimento spontaneo allora si porrà la necessità di porre in essere un’esecuzione. Sono 2 aspetti funzionali alla realizzazione concreta dei diritti affermati nella sentenza stessa. Questo è un tema importante, l’attuazione concreta dei diritti affermati nella sentenza. L’attuazione dei diritti attraverso il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze straniere è un tema importante anche nella giurisprudenza poiché considerato come strumento di tutela di un diritto fondamentale dell’individuo (art.6 CEDU) è la norma che sancisce l’equo processo. Nell’ambito della formulazione di questa norma, art.6 CEDU, che risale al 1950, come tutta la convenzione europea sul diritto dell’uomo, quindi è formulata in modo generica e poi è stata completata dalla giurisprudenza della corte di Strasburgo, che ha fatto rientrare anche il diritto di riconoscimento della sentenza straniere e lo ha fatto nel leading case di HORNSBY c. GRECIA del 1997. Il caso riguardava 2 cittadini inglesi residenti in Grecia che volevano aprire una scuola privata in Grecia, questa possibilità secondo la legge del luogo era concessa solo ai cittadini. Questi fanno calere la discriminazione in base alla cittadinanza e ottengono ragione dai giudici amministrativi greci ma il provveditorato, quindi un’autorità amministrativa rifiuta di concedere l’autorizzazione non rispettando così l’esecuzione di una sentenza amministrativa, da cui deriva poi il ricorso fino all’ultimo grado e in seguito fino alla Corte EDU. Perché la Corte EDU può intervenire solo quando una persona ha esperito tutti i ricorsi interni. I due lamentano la violazione dell’art.6 cioè il diritto all’equo processo in seguito alla attuazione di una sentenza amministrativa interna che non viene implementata. Quello che conta per noi in questo caso del 1997, in base al quale “l’esecuzione delle sentenze è funzionale alla tutela del diritto a ottenere giustizia e il diritto a un equo processo”. Quindi nel caso specifico si condanna la Grecia per violazione dell’art.6 della convenzione europea dei diritti dell’uomo CEDU. I diritti non vengono riconosciuti solo in astratto ma devono essere concretamente attuate. Pe quanto riguarda l’attuazione concreta di questi procedimenti di esecuzione della sentenza dei provvedimenti stranieri, anche qui ci sono una molteplicità di approcci e soluzioni in differenti ordinamenti giuridici. I paesi di common law si basano su principi fortemente pratico-applicativi, sul fatto che il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze si fonda in generale sul principio di comity, della cortesia internazionale. Mentre in altri paesi, di civil law in cui c’è una codificazione, il principio del riconoscimento è il rispetto dei diritti acquisiti. Il fatto che una persona ha ottenuto delle affermazioni in merito alle proprie pretese e queste affermazioni non possono poi essere smentite nell’implementazione particolare” (art.36.1). Questa affermazione di principio richiama quel concetto generale relativo agli effetti del riconoscimento. Cioè il riconoscimento fa sì che la sentenza produca effetti in tutti gli stati membri senza il bisogno di alcuna procedura qualora tutte le parti che siano tenute a corrispondere a quanto stabilito nella sentenza vi diano adempimento. Una particolarità del sistema di Bruxelles che ci fa capire come vi sia stata questa spinta verso l’uniformazione dei sistemi processuali dei vari paesi europei per incrementare il commercio europeo-internazionale è che il principio dell’automatico riconoscimento vale anche per le decisioni non definitive, cioè per le sentenze che nel loro stato d’origine possono ancora essere sottoposte a impugnazione, con la conseguenza che se una sentenza di primo grado francese viene riconosciuta in Italia poi potrà essere impugnata in Francia potrà essere presentata in ricorso alla corte d’appello. Cosa succede? L’art. 38 lettera A RB1bis prevede la possibilità della sospensione del riconoscimento della sentenza nel caso in cui la stessa sia stata impugnata nel paese d’origine. Questo perché c’è una connessione tra la vita della sentenza nel paese in cui è stata pronunciata e la vita ovvero gli effetti che produce nel paese in cui invece le viene attribuite il riconoscimento. Una novità invece è la disciplina dell’esecuzione, qui il RB1bis ha realizzato a pieno quella tensione all’abolizione dell’exequatur. L’art. 39 del RB1bis dispone infatti che “la decisione emessa in uno stato membro che è esecutiva in tale stato membro è altresì esecutiva negli altri stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività ed alle stesse condizioni delle decisioni ivi emesse”. Quindi è come se gli stati appartenenti al UE fossero parti di uno stesso stato perché la decisione pronunciata in un ostato membro che sia esecutiva deve avere lo stesso riconoscimento anche negli altri stati membri del UE. L’effetto di questo principio di carattere generale per cui l’esecuzione deve essere riconosciuta come nello stato d’origine è la semplificazione della procedura. Basta che vi sia la presentazione di un copia autentica della decisione da parte del richiedente, cioè il soggetto che vuole attribuire alla sentenza straniera l’efficacia, con un attestato rilasciato dall’autorità giudiziaria dello stato in cui la decisione è stata emessa, secondo un modello previsto dal medesimo regolamento e che questo attestato sia notificato o comunicato alla persona contro cui è chiesta l’esecuzione prima dell’inizio della stessa e la sentenza potrà esser posta in esecuzione. Si semplifica la procedura su base documentale attraverso gli allegati. Per i provvedimenti cautelari, possono ora espressamente godere dello stesso regime previsto per le sentenze da RB1bis. tuttavia, va precisato che “l’attestato deve precisare che il provvedimento è esecutivo nello stato membro d’origine e proviene da un giudice competente a conosce il merito della controversia” art. 42 lettera A-B. Questo corrisponde alla regola che il provvedimento cautelare per godere del procedimento previsto da regolamento deve essere pronunciato dal giudice competente nel merito, quindi bisogna dare conto di ciò nell’attestato. Inoltre, in caso di provvedimento cautelare pronunciate senza comparizione del convenuto, la parte interessata cioè il richiedente all’esecuzione deve fornire prova dell’avvenuta notifica o comunicazione del provvedimento al convenuto per assicurarsi che non si è violato il diritto alla difesa. A proposito dell’esecuzione delle decisioni che già è caratterizzata da questa novità dell’abolizione dell’exequatur c’è poi un ulteriore novità prevista dal RB1bis dall’art.54.1 Questa novità riguarda i provvedimenti ignoti al diritto dello stato membro richiesto. Quando ci si confronta con degli istituti ignoti nel proprio ordinamento entro lo stato in cui devono produrre effetti ci possono essere problemi di coordinamento, esempio gli anti suit injunctions o il ripudio. Il RB1bis viene incontro anche a queste difficoltà prevedendo all’art.54.1 la possibilità di “adattamento” dei provvedimenti stranieri che possono essere discrezionalmente modificati secondo i principi della legge dello stato in cui devono produrre effetti e possono essere adattati e trasformati in un altro provvedimento che persegue gli obiettivi e interessi analoghi. In questo caso non c’è una giurisprudenza perché è recente. Questa pratica può essere disposta d’ufficio o su istanza di parte. Poi deve essere effettuata sia da autorità giudiziaria sia dall’autorità che deve dare esecuzione ai provvedimenti giudiziari. Cosa fare per contrastare il riconoscimento o l’esecuzione delle decisioni? È vero che il RB1bis ha introdotto l’abolizione del exequatur ma è altrettanto vero che vi sono rimasti comunque dei motivi di diniego del riconoscimento delle decisioni e motivi del diniego dell’esecuzione che possono essere fatti valere. Con delle procedure sconsigliate, nel senso che l’obbiettivo del regolamento è quello di evitare e semplificare il più possibile le procedure introducendo anche degli allegati. Però se occorre far valere delle garanzie fondamentali che sono altrettanto importanti allora occorrerà garantirli. Lezione 22: MOTIVI DI DINIEGO DEL RICONOSCIMENTO DELLE SENTENZE STRANIERE Il riconoscimento ed esecuzione di sentenze e provvedimenti stranieri, sono procedimenti importanti per l’attuazione dei diritti affermati nelle sentenze. Il riconoscimento è il procedimento rivolto ad attribuire alla sentenza straniera l’autorità di cosa giudicata, con l’obbligo per le parti di corrispondervi sia in senso positivo, di attenersi a quanto stabilito nella sentenza, sia con l’obbligo negativo di non mettere più in discussione quanto è stato deciso nella sentenza. Il riconoscimento e l’esecuzione sono due aspetti collegati tra di loro per l’implementazione concreta delle sentenze. L’esecuzione è la procedura rivolta ad apporre la formula esecutiva alla sentenza straniera, molto simile a quella che si segue per porre in esecuzione una sentenza italiana. Nel senso che se un debitore è condannato a pagare una somma ed effettua il pagamento spontaneamente, si verifica una sorta di riconoscimento della sentenza quindi il debitore paga quanto è dovuto. Mentre se questo non accade allora il creditore avrà la necessità di porre in essere degli atti esecutivi, di pignorare il patrimonio del debitore. In pendenza di questi procedimenti il creditore può richiedere dei provvedimenti cautelari, che hanno un efficace esecutiva limitata perché mirano a creare/costituire delle garanzie sul patrimonio del debitore. Come previsto dal RB1bis i provvedimenti cautelari sono suscettibili di riconoscimento ed esecuzione come il resto delle sentenze. Il riferimento normativo principale è il RB1bis (1215/2012). I principi generali sottesi al riconoscimento previsti da tale regolamento sono: - riconoscimento automatico - superamento dell’exequatur nel paese di effettività della sentenza - motivi di non riconoscibilità diventano motivi di diniego del riconoscimento Il RB1bis ha aggiunto il superamento dell’exequatur cioè ha cercato di eliminare e sveltire la procedura esecutiva per semplificazione amministrativa che vede operare un allegato al regolamento come certificato di esecutività da allegare alla sentenza che si vuole porre in esecuzione. Però nonostante questo fato non è che la sentenza debba circolare perché vi sono appunto i motivi di non riconoscibilità che diventano motivi di diniego del riconoscimento e dell’esecuzione delle sentenze straniere. Cosa si può fare per contrastare il riconoscimento o l’esecuzione delle decisioni straniere? Una volta che una sentenza viene pronunciata detto anche che il RB1bis ammette la circolazione automatica anche delle sentenze non definitive, quindi questa sentenza potrebbe essere impugnata e si potrebbe far luogo anche ad una sospensione del riconoscimento in seguito all’impugnazione della sentenza del suo paese d’origine. Ma cosa si fa se questa sentenza viene prodotta per l’esecuzione con il certificato che ne attesta l’autenticità? Passa comunque o si può far valere qualcosa? Motivi di diniego del riconoscimento delle sentenze straniere. L’art.45.1 del RB1bis dispone: «Su istanza di ogni parte interessata, il riconoscimento di una decisione è negato: a) se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico (ordre public) nello Stato membro richiesto; b) se la decisione è stata resa in contumacia, qualora la domanda giudiziale o un atto equivalente non siano stati notificati o comunicati al convenuto in tempo utile e in modo tale da poter presentare le proprie difese eccetto qualora, pur avendone avuto la possibilità questi non abbia impugnato la decisione; c) se la decisione è incompatibile con una decisione emessa tra le medesime parti nello Stato membro richiesto; d) se la decisione è incompatibile con una decisione emessa precedentemente tra le medesime parti in un altro Stato membro o in un paese terzo, in una controversia avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo, sempreché tale decisione soddisfi le condizioni necessarie per essere riconosciuta nello Stato membro richiesto; e) se la decisione è in contrasto con (qui rileva il contrasto di giudicati): i) le disposizioni del capo II, sezioni 3, 4 e 5 nella misura in cui il contraente dell’assicurazione, l’assicurato, il beneficiario di un contratto di assicurazione, la parte lesa, il consumatore o il lavoratore sia convenuto; o ii) le disposizioni del capo II, sezione 6». Motivi di diniego dell’esecuzione delle sentenze straniere. L’art.46 richiama l’art.45 e unifica i motivi di diniego visto che il meccanismo procedurale è lo stesso, stabilendo che “su istanza della parte contro cui è chiesta l’esecuzione, l’esecuzione di una decisione è negata qualora si dichiarata la sussistenza di un odei motivi di cui l’art.45.” Quindi i motivi per contrastare il riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze straniere secondo RB1bis sono identici. È comunque possibile rivolgersi a un giudice anche in assenza di una contestazione per accettare in via preventiva che non siano presenti dei motivi di diniego. Quindi per ottenere una decisione che attesti l’assenza di motivi di diniego del riconoscimento (art.36.2 RB1bis). Motivi di diniego: 1. Art.45 lettera A RB1bis “se il riconoscimento è manifestamente contrario all’ordine pubblico (ordre public) nello Stato membro richiesto”. La contrarietà manifesta della sentenza al OP. OP è un limite generale all’ingresso dei valori giuridici stranieri nel foro sia al riguardo delle sentenze straniere sia al riguardo della legge applicabile. Per quanto riguarda le sentenze OP sicuramente svolge un ruolo diverso a seconda del contesto in viene inserito. Viene usato per contrastare sentenze straniere che non fossero compatibili con i principi del foro, per esempio le sentenze straniere di divorzio prima del ’70 quando il divorzio no esisteva ancora in Italia. Però nel contesto integrato come UE, OP deve essere intesa come limite eccezionale perché si presume che i diversi ordinamenti abbiano dei principi comuni. Nell’ambito del RB1bis all’art.45 lettera A, OP debba essere inteso come limite eccezionale, espressa dalla parola “manifestamente”. Si dice che la sentenza non può essere riconosciuta per manifesta contrarietà al OP cioè deve trattarsi di un motivo grave di contrasto perché no si operi il riconoscimento della sentenza, quindi un limite eccezionale. La CGCE è intervenuta a limitare ulteriormente l’applicazione affermando al propria competenza a controllare i limiti entro i quali i giudici nazionali possono ricorrere a tale nozione, per evitare eventuali ostacolo al buon funzionamento, all’epoca della convenzione di Bruxelles. OP non è un limite che opera d’ufficio dal giudice, ma è soggetto alla rilevazione ad opera della parte. Vediamo ora un’applicazione speciale del OP che è OP processuale. OP processuale è la violazione di una determinata serie di garanzie concernenti i diritti di difesa, cioè la tutela dei diritti fondamentali che discendono dall’art.6 della CEDU. In questo caso l’interazione dei principi dell’equo processo è molto importante per la definizione del OP che ha un limite flessibile e variabile che si nutre sicuramente di principi di diritto interno perché è un limite posto a salvaguardia dei sistemi giuridici nazionali ma che deriva anche da principi di fonte internazionale, nel caso specifico sicuramente i diritti fondamentali tutelati dalla CEDU hanno un ruolo particolarmente significativo come affermato anche dalla CGCE nel caso Krombach del 2000. È un’esecuzione semplifica, cioè la parte deve fornire all’autorità incaricata dell’esecuzione una copia autenticata della decisione e un attestato che viene rilasciato dall’autorità giurisdizionale dello stato d’origine sulla base di un modello standard. Il RB1bis ha introdotto una semplificazione amministrativa del processo di esecuzione con gli allegati. Prima di iniziare l’esecuzione, l’attestato deve essere notificato alla parte contro cui si chiede l’esecuzione insieme alla decisione se questa non era stata già in precedenza notificato o comunicato. Importante anche qui la traduzione in una lingua comprensibile. Anche rispetto all’esecuzione, come per quanto riguarda il riconoscimento è sempre possibile chiedere il diniego. Inoltre è sempre previsto l’adattamento del provvedimento straniero nel caso in cui la decisione straniera contenga un provvedimento ignoto alla legge dello stato in cui viene richiesto il riconoscimento ed esecuzione art.54. Il confronto con ordinamenti stranieri può essere un impulso per implementare il proprio, ad esempio l’introduzione del divorzio e le unioni civili in Italia. Contro la decisione di diniego di riconoscimento è ammesso appello e contro la decisione d’appello si può ricorre in cassazione. Si ammette che tale decisione è suscettibile di revisione perché vi può essere un errore. Il RB1bis estende l’automatica esecutività agli atti pubblici e alle transazioni giudiziarie che hanno efficace esecutiva nello stato membro d’origine art. 58-59. L’unico motivo di diniego contro tale esecuzione è che essa risulti “manifestatamente contraria al OP nello stato membro richiesto. sono atti formati al di fuori del procedimento giudiziario che vengono però accomunati alle sentenze in un processo di uniformazione, di cooperazione giudiziaria proprio di questi atti espressione della comunitarizzazione del DIP. Lezione 23: Il riconoscimento e l’esecuzione sono dei complementi del diritto fondamentale di difesa. Il riconoscimento è il procedimento volto ad attribuire alla sentenza straniera l’autorità di cosa giudicata. L’esecuzione consiste nell’apposizione di una formula esecutiva alla sentenza straniera simile a quella che si segue per porre in esecuzione una sentenza italiana, l’exequatur appunto. È una formula rivolta a far in modo che il creditore che ha ottenuto una sentenza a lui favorevole, possa poi concretamente ottenere soddisfazione delle proprie pretese, mettendo in attuazione questa sentenza nei confronti dei beni del debitore, ponendo poi in essere tutta la procedura esecutiva. Su questo tema il RB1bis ha inciso in modo notevole, già la convenzione di Bruxelles favoriva il riconoscimento automatico ma mancava ancora questo tassello per favorire la circolazione delle decisioni a complemento della tutela dei principi fondamentali sanciti nei trattati. Infatti i principi generali del RB1bis che abbiamo esaminato, vediamo che: - si riconferma il riconoscimento automatico delle sentenze già poste in essere dalla convenzione di Bruxelles e poi dal RB1; - ma la grande novità è che si supera l’exequatur nel paese di effettività della sentenza; - e contro l’esecuzione della sentenza si può far valere i motivi di diniego del riconoscimento dell’esecuzione che corrispondono in precedenza ai motivi di non riconoscibilità Il processo di abolizione dell’exequatur è un processo graduale, quindi non è avvenuto semplicemente in seguito alla sostituzione del RB1 con RB1bis, ma c’è stata tutta una preparazione da parte di altri atti del UE adottati sempre nel contesto della comunitarizzazione del DIP in cui si è proceduto per settori, a rendere esecutive determinate tipologie di decisioni senza che venisse esperita tutta la procedura esecutiva. I regolamenti che sono stati funzionali all’abolizione dell’exequatur sono: • reg. 805/2004- titolo esecutivo europeo • reg. 1896/2006- ingiunzione europea • reg. 861/2007- controversie di modesta entità • reg. 2201/2003- Bruxelles 2bis – diritto di visita e rientro del minore Abolizione dell’exequatur in materia civile commerciale Il primo atto di riferimento a cui poi si sono richiamati anche gli atti successivi perché lo hanno preso come modello è il regolamento 805/2004 sul titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, che era stato adottato proprio per fornire un alternativa rapida al procedimento di esecuzione all’epoca previsto dal RB1, siamo nel 2004 a pochi anni dall’entra in vigore del RB1 (44/2001) che aveva favorito sì il riconoscimento delle sentenze ma che manteneva ancora una procedura per l’esecuzione delle sentenze all’interno del UE. Alla base dell’adozione di questo regolamento sul titolo esecutivo europeo, si pone un’esigenza e un obiettivo di notevole semplificazione, che consiste nella richiesta di certificazione di una decisione come titolo esecutivo europeo alla stessa autorità a cui si richiede di accertare il credito. Mentre secondo il sistema del RB1, era possibile porre in essere l’esecuzione della sentenza chiedendo il procedimento al giudice del luogo ove la sentenza doveva produrre effetti. La novità che già era stata introdotta nel 2004 era quella di evitare questo secondo passaggio nello stato in cui la sentenza doveva produrre effetti richiedendone una certificazione allo stesso giudice che lo aveva emanata e così con questa semplificazione amministrativa si potevano direttamente porre in essere gli atti esecutivi agevolando notevolmente il creditore. Qual era l’ambito di applicazione di questa procedura che si poneva come alternativa a quanto prevedeva il sistema Bruxelles e quindi l’ambito di applicazione era perfettamente coincidente a quello del RB1 (44/2001). Quindi le controversie in materia civile e commerciale con esclusione previsto dallo stesso regolamento. Materie escluse dal regolamento 805/2004 titolo esecutivo europeo sono: - regime patrimoniale tra coniugi; - testamenti e successioni; - fallimenti e procedure affini; - sicurezza sociale; - arbitrato; - materia fiscale, doganale e amministrativa; - atti iure imperii dello Stato dal punto di vista positivo, cioè andando a guardare quali erano questi crediti che potevano diventare un titolo esecuti europeo, l’ambito del regolamento 805/2004 riguardava i crediti pecuniari, liquidi ed esigibili. Occorreva inoltre ceh fossero crediti nono contestati, naturalmente perché la contestazione poteva aprire il campo a un procedimento complesso, in cui il debitore poteva far valere determinati vizzi e problematiche nell’esigibilità del credito. Per chiarire che cosa si intendeva per crediti non contestati il considerando 9 del regolamento specifica che i crediti sono non contestati quanto il debitore: In materia civile commerciale In materia di diritto di famiglia - A) li ha espressamente riconosciuti con una dichiarazione o una transazione approvata dal giudice o in un atto pubblico; - B) non li ha mai contestati nel corso del procedimento giudiziario in accordo con le procedure previste dalla normativa dello Stato d’origine; - C) non è comparso o non si è fatto rappresentare nel corso di un’udienza relativa ad un determinato credito che era stato inizialmente contestato. Ci sono varie opzioni in cui il credito è considerato non contestato, sia perché ci sono manifestazioni positive di volontà perché il debitore riconosce espressamente quel credito o perché c’è la prova negativa cioè quel creditore non è mai stato contestato nel corso di un procedimento giudiziario. Relativamente a questi requisiti che definiscono l’ambito d’applicazione del regolamento 805/2004, si sono posti dei dubbi applicativi concernenti il giudice competente a verificare la non contestazione del credito e qui vi è stata una prassi giurisprudenziale un po’ differente all’interno dei singoli stati. In Italia c’è un orientamento abbastanza consolidato che è espresso dalla sentenza del 2010 del tribunale di Monza secondo cui la sussistenza delle condizioni perché il titolo possa considerarsi non contestato può essere valutata non dal giudice dell’esecuzione ma solo dal giudice dello stato in cui la decisione è stata pronunciata, quindi il debitore per contestare dovrebbe chiedere la revoca del tito. Perciò una volta che si apre la procedura di esecuzione, non è più discutibile la non contestazione del credito, se il debitore vuole dimostrare che aveva contestato allora dovrebbe chiedere la revoca del titolo al giudice che ha pronunciato la prima sentenza sul credito non contestato. Perché il giudice dell’esecuzione ha una competenza prevalentemente amministrativa. Quali sono le decisioni che possono essere certificate come titolo esecutivo europeo? Possono essere certificate come titolo esecutivo europeo: - le decisioni giudiziarie: sentenze, ordinanze, decreti, provvedimenti cautelari o sommari; - le transazioni giudiziarie concluse davanti al giudice o da questi approvate nel corso del processo; - gli atti pubblici questo regolamento sul titolo esecutivo europeo mira a ottenere una notevole semplificazione e infatti la norma che definisce l’essenza della disciplina, l’art.5, dispone che “se è certificata come titolo esecutivo europeo nello stato d’origine, la decisione è riconosciuta ed eseguita negli stati membri senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento”. Come precedentemente detto, si fa una richiesta allo stesso giudice che ha emanato il provvedimento di certificarlo come autentico e questa certificazione vale come presupposto per considerare la sentenza esecutiva anche negli altri stati membri. Vi è in questo caso un’estensione della fiducia nella cooperazione giudiziaria dei diversi stati membri del UE perché la fiducia arriva al punto tale che ci si attiene a quanto affermato certificato dallo stesso giudice che ha emanato la sentenza che deve essere posta in esecuzione. Relativamente alla certificazione mancano indicazioni all’interno del regolamento. Qui ci deve essere un coordinamento con le leggi nazionali, ecco un altro esempio di coesistenza delle normative di fonti diverse, perché nel silenzio della normativa di fonte europea bisogna fare riferimento alle norme nazionali. In Italia si segue la prassi della pronuncia della certificazione in camera di consiglio e la certificazione viene pronunciata da parte dello stesso giudice che ha emanato l’atto di certificazione. Un altro ambito in cui vi è necessità di coordinamento con le leggi nazionali è il processo di esecuzione che sarà poi regolato da leggi nazionali. Il creditore in questo caso presenta alle autorità competenti per l’esecuzione una copia della decisione e una copia della certificazione e se occorre anche una traduzione degli atti nella lingua del paese di esecuzione. Il processo di esecuzione parte proprio con il disbrigo di formalità amministrative, fatte per agevolare il creditore. Il debitore può opporsi all’esecuzione, però questo può avvenire solo se la decisione straniera certificata come Regolamento 861/2007 in materia di controverise di modesta entità. Anche qui l’ambito di applicazione spazio-temprale è abbastanza coincidente con quello del RB1 (ora RB1bis), quindi per tutti tranne la Danimarca. L’ambito di applicazione materiale, sono le controversie di modesta entità, per cui si prevede una procedura alternativa semplificata, come per esempio ocn le controversie proposto da ocnsumatori, proprio per agevolare l’accesso alla giustizia di questi soggetti ad esempio censentendo loro di tutelarsi senza la necessità di pagare i costi di un avocato. Ad esemio in Italia c’è già una norma interna di procedura che stabilisce la competenza per valore, per cui le controvesrsie inon superiore a 5000€ sono di competenza del giudice di pace. Dal punto di vista delle tipologie di controversie,il regolamento 861/2007 richiama anceh qui l’art.2 l’ambito di applicazione del sistema di Bruxelles con le stesse esclusioni: – regime patrimoniale tra coniugi; – testamenti e successioni; – fallimenti e procedure affini; – sicurezza sociale; – arbitrato; – materia fiscale, doganale e amministrativa; – atti iure imperii dello Stato vi è questa coincidenza con gli atti del RB1 (ora RB1bis) perché qeusti regolamenti mirano a creare delle procedure alternative per semplificare ulteriormente la procedura prevista dal regolamento Bruxelles senza sostituirla ma creando un’alternativa. Anceh la procedura previsto dal regolamento 861/2007 è una procedura alternativa che riguarda i casi in cui il valore di una controversia, esclusa gli interessi, i diritti e le spese, non ecceda i 2000€ alla data incui l’organo giurisdizionale competente riceve il modulo di domanda. La procedura prevista dal regolamento è molto semplificata, in forma scritta in cui il creditore compila una domanda e indica le prove a sostegno della propria domanda utilizzando un modulo stantard. La domanda va presentato all’organo giurisdizioanle direttamente o per posta o altri mezzi. In Italia solo per posta. La procedura è solo in forma scritta per agevolare il creditore ma su richiesta di parte il giudice può fissare un’udienza, segue in 14 giorni la notifica al debitore del modulo di domanda accompagnato dal modulo di replica compilato dal giudice. Quindi, se il creditore chiede l’attivazione di un’udienza subito il debitore lo viene a sapere. Può ovviamente difendersi, quindi entro 30 giorni il debitore compila il modulo di replica al giudice che ne cura la transmissione al creditore. Per la decisione, il giudice ha 30 giorni di tempo per decidere se assumere porve, chiedere chiarimenti o ordinare comparizione delle parti (art.7). Come vediamo tutto si svolge in modo e nei tempi brevi. La sentenza che conlgude il procedimeno può essere impugnata secondole norme processuali nazionali (art.18). Anche qui c’è bisogno di un coordinamento tra la disciplina di fonte europea e la normativa nazionale perché è così previsto dall’art.18 La decisione secondo quanto previsto dall’art.20.1 del regolamento è riconosciuta ed eseguita negli stati membri senza che sia necessaria unad ichiarazionedi esecutività e senza che si apossibile opporsi al suo riconoscimento. Anceh questa disciplina si riconduce alla tendenza di abolizione dell’exequatur. Quindi la decisione quanto è pronunciata è esecutiva senza il bisogno di essere riconosciuta. Una complicazione ceh può sopraggiungere è che la sentenza è esecutiva in abse alle norme processuali nazionali. Quindi anche qui occorre un integrazione della normativa di fonte europea con quella di fonte interna. C’è sempre la possibilità per il debitoe di bloccare l’esecuzione se la decisione è incompatibile con una decisione anteriore tra le stesse parti, l’oggetto e titolo. (art.22.1) Lezione 24 Abolizione dell’exequatur nell’ambito del riconoscimento dell’esecuzione delle decisioni: - R. 805/2004 - R. 1896/2006 - 861/2007 - BR1bis Sono tutti i regolamenti che per gradi avevano realizzato questa abolizione dell’exequatur, sia che fosse per il procedimento del decreto ingiuntivo europeo o che fosse quello del titolo esecutivo, il modello era sempre lo stesso cioè quello di far certificare una decisione come esecutiva da parte dello stesso giudice che l’aveva pronunciata per evitare riesami, ulteriori approfondimenti da parte del giudice del luogo ove la sentenza doveva essere posta in esecuzione. Il vantaggio era quindi quello di agevolare notevolmente la velocità dell’efficacia delle decisioni e anche quello di semplificare dal punto di vista amministrativo la procedura perché ognuno di questi regolamenti conteneva nell’allegato un modello standard a cui si poteva fare riferimento per questa certificazione di esecutività. Più in generale questo risultato dall’abolizione dell’exequatur aggiunto dal RB1bis era stato preparato da una serie di ingranaggi preparatori. Quello immediatamente precedente al risultato del RB1bis era sicuramente quanto era stato disposto dai regolamenti su titolo esecutivo europeo; decreto ingiuntivo; controversie di modesta entità. Ma in un altro ambito e ancora prima cioè con il RB2bis (2201/2003), in senso cronologico l’abolizione dell’exequatur è applicato per alcune categorie particolari di decisioni, cioè quelle che riguardavano il diritto della visita del minore e quelle del rimpatrio del minore internazionalmente sottratto. L’estensione dell’abolizione dell’exequatur è di diversa entità nelle 3 diverse categorie. L’abolizione dell’exequatur operata dal RB1bis vale per tutte le materie civili commerciali, quella realizzata dal R.805/2004 o R.861/2007 ecc. … ovvero in ambiti limitati ma abbastanza estesi, quella operata dal RB2bis concerneva proprio 2 aspetti specifici. Un’evoluzione successiva deriverà dal RB2ter (1111/2019) che amplierà i casi di abolizione dell’exequatur adottando un approccio estensivo nel riconoscere come generalizzata la possibile abolizione dell’exequatur. L’abolizione dell’exequatur nel RB2bis (2201/2003) che si inquadra nel contesto del tema più ampio del riconoscimento dell’esecuzione delle decisioni. Questo è un regolamento doppio, perché: - Da un lato si occupa della giurisdizione e del riconoscimento - Dall’altro si occupa di 2 materie che sono separazione-divorzio e responsabilità genitoriale Il RB2bis, nella parte che si occupa del riconoscimento dell’esecuzione delle sentenze in cui si rinviene il primo caso di abolizione dell’exequatur per 2 categorie di decisioni: - Quello del rientro del minore sottratto - Quello concernente il diritto di visita Rimane dunque il procedimento di exequatur per tutte le altre decisioni, ad esempio, quelli concernenti la responsabilità genitoriale. Il RB2bis si ricorda anche perché prevede il riconoscimento automatico, anche in via incidentale, delle decisioni di divorzio. Attenzione, qui si fa riferimento solo alle decisioni positive di divorzio perché è un principio fondamentale di questo atto normativo è il favor divortii, ovvero il favore che i cittadini europei possono riacquistare la libertà di status qualora intendano porre in essere lo scioglimento del matrimonio. Quindi, visto che il riconoscimento è automatico il procedimento di accertamento dei requisiti del riconoscimento vale solo in caso di contestazione o quando si deve porre in essere l’exequatur. Questa nozione positiva di divorzio deriva dalla disposizione dell’art.2 n.4 che dà come nozione di decisione qualsiasi provvedimento di divorzio, separazione personale annullamento del matrimonio a prescindere dalla denominazione usata e dalla sua definitività (richiesta per quest’ultima solo per l’aggiornamento dei pubblici registri). È chiaro che una decisione di rigetto anche passato in giudicato non preclude la riproposizione della domanda di separazione o divorzio ai giudici di altro stato membro. Questo perché si vuole fare in modo che i cittadini europei siano garantiti da una molteplicità di fori di giurisdizione nell’esercizio del principio di libertà di status e libertà matrimoniale. Una domanda che ci potremmo fare è se questa disciplina valga anche per lo scioglimento delle unioni civili. La dottrina è divisa, ma in generale la maggior parte propende per l’operatività del RB2bis che semplificherebbe così molto la procedura e la riconoscibilità dell’atto che ponesse in essere lo scioglimento di questo istituto. Secondo l’art.21.1 “le decisioni pronunciate in uno stato membro sono riconosciute negli altri stati membri senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento” Secondo l’art.21.2 “fatto salvo il paragrafo 3, non è necessario alcun procedimento per l’aggiornamento delle iscrizioni nello stato civile di uno stato membro”. In presenza di decisioni definite spetta all’ufficiale dello stato civile verificare che non ricorra alcun dei motivi di diniego del riconoscimento. Queste norme definiscono il procedimento di riconoscimento automatico che in questo caso specifico trattandosi di decisioni concernenti lo status delle persone vengono affidate alla cura dell’ufficiale civile cioè dell’organo competente per trascrivere gli atti che incidono sullo stato civile delle persone. È un compito gravoso, perciò, è più facile per l’ufficiale negare l’operatività delle decisioni anche al di là dei casi di diniego per il riconoscimento, questo proprio perché si tratta di decisioni molto importanti. La valutazione dell’ufficiale dello stato civile non è insindacabile perché infatti l’art.21.3 stabilisce che “ogni parte interessata può far dichiarare secondo il procedimento di cui alla sezione 2 che la decisione deve essere o non può essere riconosciuta”. La sezione richiamata riguarda la procedura per porre in essere l’esecuzione delle decisioni che riguardano la responsabilità genitoriale per le quali occorre sempre l’intervento delle autorità giudiziaria locale. Per quanto riguarda le sentenze di separazione e divorzio, è chiaro che è una scelta delle parti se aspettare che l’ufficiale di stato civile si pronunci e quindi magari trascriva la sentenza di separazione e divorzio. Oppure fare accettare che questa sentenza può essere trascritta in via preventiva. Se l’ufficiale trascrive e poi c’è una sentenza contraria che dice che non si deve trascrivere ovviamente l’ufficiale dovrà cancellare l’iscrizione che ha effettuato quini può essere una scelta discrezionale di parte chiedere l’accertamento preventivo dei requisiti di riconoscimento o effettuare ex post la contestazione del riconoscimento. PROCEDIMENTO IN CASO DI CONTESTAZIONE AL RICONOSCIMENTO E DI RICHIESTA DI ESECUZIONE NEL REG. 2201/2003 Il procedimento in caso di contestazione al riconoscimento o di richiesta di esecuzione di una decisone concernente la responsabilità genitoriale, secondo quanto prevede il RB2bis è unico. La legittimazione spetta a chiunque abbia interesse, perché in questo caso gli atti del UE estendono il riconoscimento anche al riconoscimento incidentale ammettono che vi possa essere un procedimento di accertamento dei requisiti o di contestazione proposto da chiunque abbia interesse. Ad esempio, gli eredi in una controversa successoria in cui si trovano a concorrere con un ex coniuge del de cuius, intendono magari far valere il riconoscimento della sentenza del divorzio. L’oggetto del procedimento è la sentenza straniera, l’atto introduttivo è il ricorso, la competenza spetta all’autorità giudiziaria che ogni stato deve comunicare al UE in base all’art.68 per l’Italia la corte d’appello del luogo di attuazione della sentenza. In questo caso vengono in gioco le norme nazionali del DIP italiano (art.67 L. 218/95) perché sappiamo che non sempre i regolamenti individuano precisamente tutta la disciplina di diritto processuale interno, quindi, talvolta occorre che vi sia un coordinamento con la disciplina di fonte nazionale. Nel caso specifico con la norma dell’art.67 L218/95 che individua così
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