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Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto del libro di Paola Galetti: Case contadine e residenze signorili, castelli e ville rustiche, torri e palazzi del patriziato cittadino, dimore borghesi e abitazioni povere. Nei modi di abitare dell'uomo medievale, l'evoluzione e le caratteristiche degli aspetti materiali, economici, culturali della civiltà europea, anche nei suoi con il Vicino ed Estremo Oriente.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 18/04/2019

Alex-Bagnato
Alex-Bagnato 🇮🇹

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Scarica Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! UOMINI E CASE NEL MEDIOEVO TRA OCCIDENTE E ORIENTE Paola Galetti CAPITOLO I: Modelli insediativi a confronto Nei primi secoli del Medioevo culture e modi di vita si scontrarono e stabilirono un contatto diretto e prolungato. Si tratta dei secoli di scambio culturale più netti ed evidenti, in grado di mettere in discussione i principi fondamentali del vivere associato. Le tradizioni tribali-guerriere e lo stile di vita nomadico che arrivarono con l’irruzione dei barbari all’interno dell’impero romano (166-476) indebolirono il modello urbano tardo-romano e portarono ad una profonda crisi. Le stirpi germaniche Tacito scrisse De originem et situ Germanorum (o Germania, 78 d.C.) che tratta dei costumi e della distribuzione geografica delle popolazioni germaniche con descrizioni minuziose della società e delle consuetudini. Questo mondo ci è noto tramite queste testimonianze scritte da osservatori esterni perché la cultura barbarica era prevalentemente orale. Fu Cesare a nominare per la prima volta i Germani, ossia le popolazioni stanziati oltre il limes, quindi oltre il Reno. Con le migrazioni nella tarda antichità, fra il V e il VI secolo, alcuni gruppi etnici maggiori incorporarono altri più piccoli e comparvero nuovi nomi e nuove stirpi come Ostrogoti, Visigoti, Longobardi, Bavari, ecc. Questi popoli semi-nomadi praticavano agricoltura elementare ed erano costretti a spostarsi frequentemente. Dal punto di vista socio-politico questi popoli erano formati da clan, che a loro volta formavano le tribù, cioè un gruppo di famiglie con un antenato comune. La loro società non era ancora segnata da rigide stratificazioni sociali e la vita comunitaria rivestiva un ruolo importante. Il mondo di selve che li circondava giocava un ruolo fondamentale e ricercavano forme per integrarlo nella loro vita, ma era anche parte del loro immaginario, degli atteggiamenti culturali e religiosi. Esistevano luoghi e alberi sacri dove si ritrovavano per delle cerimonie, come la quercia Irminsul che venne abbattuta da Carlo Magno nel 772. Il legno era dunque anche la materia prima più importante per l’edilizia e questo aspetto rimase immutato anche dopo l’insediamento all’interno dell’impero romano. I nomadi delle steppe Molti nomadi erano di stirpe iranica e mongolica e esercitarono una grande influenza sulle stirpi germaniche orientali, venendo in contatto ad esempio con i Goti nei territori del Mar Nero e dei fiumi Dnepr e Dnester. Venivano generalmente definiti Sciti, termine usato fino al XII secolo per i popoli indo-iranici delle steppe orientali (oltre l’Ungheria). La loro mobilità era dovuta all’allevamento di bestiame che li spingeva alla ricerca di nuovi pascoli. Nella loro vita quotidiana era centrale il cavallo, che diede inizio ad una trasformazione della tecnica bellica e degli assetti sociali di molte popolazioni germaniche. Sotto all’etichetta di Sciti in realtà c’era un’enorme varietà di elusive popolazioni nomadiche e i bizantini avevano una visione appiattita e semplificata dal punto di vista storico-sociale. Inizialmente vi fu il predominio dei Sarmati, ma furono poi gli Unni con re Attila (406-453) a dare vita ad un vasto impero nomadico che a sua volta attivò delle ondate migratorie e l’assimilazione di molte stirpi barbariche al suo interno. I viaggiatori occidentali, principalmente a partire dal 1200, incontrarono altre culture nomadiche che si affacciavano all’Europa e che non sono ancora completamente estinte. Fra questi c’erano gli Avari, popolazione asiatico-mongolica che fu sconfitta da Carlo Magno. C’erano poi i Bulgari, di origine turco-slava- tracica, che crearono un regno che rimase intatto per diversi secoli. Infine i Turchi a partire dal VI secolo, che venivano da una regione a nord-ovest della Cina e che si espansero in Sogdiana e Bactriana, di cui parlano diverse fonti cinesi come il monaco Xuanzang, il quale ci fa notare il disprezzo dei cinesi nei confronti delle popolazioni nomadiche. Tra i nomadi eurasiatici troviamo anche i Khazari, il cui dominio durò dal VII al X secolo a ovest del Volga e sopra al Caspio. Le fonti 13 musulmane ci dicono che questi popoli esercitavano allevamento e agricoltura e avevano costruito una capitale di nome Itil sulle rive del Volga e che dimostrava il preludio del processo di sedentarizzazione. Slavi, Ungari e Normanni Questi erano popoli che venivano semplicemente definiti come pagani, il cui luogo d’origine era a est del Dnepr e a sud dei Carpati. Le popolazioni di slavi erano stati spinti dai Goti oltre il Danubio, dove sotto alla guida degli Avari si stabilirono (VII secolo) in un territorio il cui confine con le aree germaniche si può porre sulla linea fra Amburgo e Trieste. Ci furono processi di aggregazione e disaggregazione delle tribù che portò alla creazione di realtà differenziate, dagli Slavi occidentali (Polacchi, Cechi, Slovacchi, Sorabi) agli Slavi orientali (Russi, Ucraini, Russi bianchi) e gli Slavi meridionali (Serbi, Macedoni, Croati). Il loro stile di vita inizierà a basarsi sull’agricoltura una volta stanziatisi nei Balcani, mentre la loro vita sociale si basava sui legami di sangue e sull’opera collettiva di colonizzazione della terra. Si crearono poi villaggi più grandi (a pianta circolare) e provvisti di cinte fortificate ai quali partecipa una comunità territoriale più ampia, la quale si riuniva al suo interno in caso di pericoli e per celebrare riti. Vennero a crearsi diverse tipologie costruttive, la prima di cui è l’isha nelle vicinanze delle foreste ed era costruita con tronchi scortecciati sul terreno o su palafitte. La chata invece era fatta di argilla, sassi, sabbia, rami e poggiava sul suolo, mentre la zemljanka era interrata e rettangolare e molto ampia. Fra i vari ritrovamenti delle regioni come l’Ucraini ci sono fra l’altro i bagni a vapore per l’igiene personale, ma anche silos sotterranei per immagazzinare i cereali e affumicatoi per conservare cibi come il pesce. Nel IX secolo fecero la loro comparsa i Magiari o Ungari, una stirpe ugro-finnica che si mosse dalla Siberia a partire dal V secolo a.C. per stabilirsi in diverse zone comprese tra Volga e Pannonia. Gradualmente abbandonarono la vita di pastorizia e iniziarono a stanziarsi dedicandosi ad agricoltura e allevamento, facendo razzie nei territori occidentali. Nel 955 furono sconfitti dal sovrano sassone e germanico Ottone I e si convertirono al cristianesimo, diventando un baluardo di fronte alle avanzate di altre stirpi nomadiche. Gli usi abitativi erano molto simili a quelli dei popoli slavi ed è documentata la produzione di ceramica autoctona e con tratti orientali. Sono stati ritrovati dei fortini di terra costruiti a partire dal X secolo e utilizzati come centri del potere, residenze dei capi o centri religiosi. A partire dal VIII secolo troviamo molte stirpi dalla Scandinavia che si spostarono via mare alla ricerca di nuovi territori, dai Danesi (Scania, Jutland) ai Gotar (Oster e Vastergotland) agli Svedesi (lago Mälaren) e i Norvegesi. Erano conosciuti come Viking (da vik, baia) e come Variaghi (da vár, giuramento tra guerrieri-mercanti) e in Europa orientale come Rus. Le loro razzie e la loro espansione tra IX e XI secolo li portò a contatto con Inghilterra, Scozia, Islanda, ma anche Francia e il Baltico fino al Mar Nero e il Bosforo risalendo i grandi fiumi. In alcuni casi ci furono anche dei tentativi di stanziamento e la pressione sulle altre civiltà cessò parallelamente alle sovranità scandinave e allo stile di vita più regolare. I Normanni erano agricoltori, artigiani e mercanti, per cui vennero a crearsi dei centri mercantili in tutta l’area costiera. Due di questi erano Birka e Hovgården sul lago Mälaren, centro fortificato con cinta muraria lignea e case in legno, tre porti e il thing, l’assemblea alla quale partecipavano gli uomini e i rappresentati del re. L’altro villaggio di questo tipo era Hedeby nel X secolo, centro di commercio-artigianato e distrutto dal re norvegese Aroldo lo Spietato. Il tessuto insediativo era costituito da piccoli borghi e fattorie e da un nucleo societario che girava attorno a grandi famiglie che abitavano sotto lo stesso tetto, le grandi Hallenhaus, lunghe fino a 12 metri con le pareti leggermente curve (a forma di nave rovesciata), con struttura fatta di tronchi e assi di legno a graticci, argilla e paglia. Questo era un luogo di riparo dai lunghi inverni, luogo di lavoro e ritrovo sociale con un grande focolare al centro. Era molto diffusa la lavorazione dell’osso, quella tessile e quella metallurgica. Gli dei amavano riunirsi sotto 13 La villa tardo-antica Condotta e amministrata da villicus e conductor, la villa costituiva un nucleo edile complesso con residenza signorile (villa urbana) e la fattoria (villa rustica) con le strutture necessarie alla lavorazione, all’allevamento e contenenti i vari strumenti per lavorazioni di vino e olio. Vi era inoltre una zona per il ricovero della manodopera e degli schiavi (ergastula). Il lusso della struttura destinata al dominus nel corso del tempo diventò simile a quelle urbane, venendo costruita con pietra, mattoni e legnanti, ma decorata con marmi, mosaici e affreschi attorno all’atrio scoperto e al peristilio (il cortile scoperto attorniato da un colonnato), di cui esistono molte testimonianze archeologiche in Toscana e in Francia. Fra il IV e V secolo molte ville furono fortificate e di questo sistema edilizio fecero tesoro i Franchi con la loro forma organizzativa dell’economia e del lavoro che fu l’azienda curtense, la quali si diffuse in tutta Europa a partire dall’Alto Medioevo. Dalla curtis alla villa rinascimentale La curtis fu alla base dello sviluppo di veri e propri poteri signorili, centri di aggregazione insediativa, sociale, politica ed economica. Questo sistema curtense e la sua fisionomia venne adottato prima nell’area franco-tedesca, poi a partire dal IX secolo anche in Italia fra le grandi proprietà laiche ed ecclesiastiche o quelle regie. La caratteristica principale era la divisione in parte dominicale e il massaricio, con la prima che veniva gestita direttamente dal proprietario attraverso i suoi servi e la seconda che veniva frazionata in diverse aziende date in concessione a coltivatori dipendenti che pagavano dei canoni annui e si occupavano anche della riserva dominicale. I signori iniziarono in seguito a praticare diritti di carattere pubblicistico come l’esercizio di iustitia per la cause minori e questi proprietari possedevano spesso più nuclei di questo tipo sparsi su diversi territori, come nel caso dei monasteri di Saint-Germain-des-Prés o Santa Giulia di Brescia (entrambi IX secolo). Esistevano norme dettagliate (Capitulare de villis) sulle modalità di gestione della villa, ma nella penisola italiana questo modello base si diffuse più tardi (dove il modello romano continuava ad essere vissuto) rispetto ad altre aree come la Longobardia e ad altre aree sotto all’influenza carolingia. Sul piano del materiale, le case signorili non sempre erano diverse da quelle rurali, e cominciarono ad acquisire una fisionomia particolare a partire dal IX secolo (instabilità politica) dotandosi di elementi difensivi e diventando presto centri fortificati destinati ad evolversi verso la struttura del castello. Gli elenchi di suppellettili e arredi presenti nelle residenze, sia dei potenti che dei ceti poveri, sono molto miseri e riflettevano un livello di precarietà dell’economia domestica e delle difficili condizioni di vita delle popolazioni delle campagne medievali. Solo dopo il Mille con l’aumento demografico, la crescita agricola, la rinascita delle città e il dinamismo commerciale provocarono trasformazioni nella vita e società rurale. Quasi ovunque, tranne che Inghilterra, si verificò un passaggio da un mondo di proprietari terrieri con connotazioni signorili ad un mondo di veri e propri signori territoriali. Ma col tempo entrò in crisi anche l’aspetto funzionale classico del sistema curtense con il frazionamento del dominico e una grande frammentazione fondiaria. Nel caso delle manor inglesi dalle Cotswolds allo Yorkshire si assiste ad un’organizzazione delle forme curtensi e signorili di forte tenuta. Fu poi decisivo l’intervento dei ceti urbani e della borghesia cittadina, poi anche nobili ed enti religiosi, nella riorganizzazione delle strutture e la frammentazione fondiaria. Questi nuovi proprietari cittadini volevano ottenere una buona rendita con un diretto controllo sulla terra con clausole relative al miglioramento del fondo e anche in Italia nei secoli successivi si crearono unità di conduzione compatte e insediamenti di tipo poderale vicino ai centri urbani. A fianco delle fattorie si individua, oltre al punto dal quale i signori organizzavano e gestivano i propri possessi fondiari, il preludio della villa signorile fuori città, luogo di riposo e villeggiatura improntato sull’ostentazione del voluttuario e degli eccessi. Questa si inseriva in una campagna riconquistata e in un paesaggio agrario al quale l’uomo imprimeva delle forme consciamente elaborate e non solo di carattere tecnico, ma anche estetico. Nei giardini 13 domestici per esempio si ritrova il gusto rinascimentale per il bel paesaggio e un concetto di armonia per l’insieme, di cui si trova anche un esempio figurativo nella villa medicea di Caffagiolo. Le residenze fortificate Il senso di insicurezza dovuto alla crisi del potere centrale e alle invasioni barbariche portò case contadine, villaggi rurali e residenze signorili a circondarsi di recinzioni per proteggersi. I castra che punteggiavano i territori di confine longobardi e bizantini avevano un aspetto prevalentemente militare (Paolo Diacono, Historia Longobardorum). Fra il IX e il X secolo le strutture insediative con difesa si svilupparono maggiormente a causa della crisi dell’impero carolingio e i pericoli rappresentati da Saraceni, Ungari e Normanni. La struttura agraria e di popolamento subirono una profonda rottura perché la società trovò nuove forme di aggregazione attorno a locali nuclei di potere di potentes che avevano cominciato ad esercitare un tipo di autorità giuridica su coloro che abitavano sotto alla loro protezione. Spostandosi, questi signori crearono una fitta rete di castra o castella. La realtà incastellata in Italia si differenzia da quella inglese e dell’Europa continentale, in quanto troviamo castra intesi come villaggi fortificati con popolazione civile oltre al signore, e non fortezza di interesse militare per i signori e ricovero temporaneo della popolazione. A partire dal X secolo una struttura caratterizzante in Francia, Germania e Gran Bretagna fu la motta o donjon, un accumulo artificiale di terra battuta con fossato e una grande torre, della quale venivano poi sostituite le parti in legno con muratura. In Italia il castello-villaggio contava opere di difesa diverse, dai fossati alle palizzate merlate e in seguito sostituite con muratura in pietra. All’interno di questi spazi vi era generalmente una piazza, un edificio religioso, un cimitero, dei pozzi e ovviamente la casa del signore, ma fino al X e XI secolo caratterizzati da strutture piuttosto povere e difese precarie. In Italia il dongione non indicava il torrione, bensì un ridotto difensivo interno al castello e a sua volta fortificato con mura e fossato che racchiudeva gli edifici più importanti. Nella dimora signorile il pubblico e il privato si compenetravano, come la cappella o la grande sala con camino, in cui il signore amministrava la giustizia, riceveva ospiti e teneva corte. Un elemento importante dell’arredo erano i prodotti tessili come gli arazzi, oltre al letto con panche e cassoni in cui venivano posti i capi di abbigliamento e le suppellettili più preziose. Al pari dei contadini anche i signori vivevano molto all’aperto per allenarsi alla guerra e cacciare, motivo per cui si ritagliavano uno spazio verde e protetto all’interno del castello, oltre ad essere luogo fondamentale anche per le donne. CAPITOLO IV: Nella città medievale Le strutture di organizzazione economica, sociale e politica all’interno dell’impero romano (come la polis greca) avevano come punto di riferimento la città, quale punto di controllo delle regioni romanizzate. Negli ultimi secoli il termine civitas è diventato equivalente di civilitas, ma in particolare durante il Medioevo questo paragone pare poco adatto. Il periodo tardo-antico e altomedievale Come già detto, la diffusione del modello urbano durante il II secolo d.C. era volto a instaurare il potere romano in tutte le province, in quanto la città era considerata come indispensabile per la civiltà romana. Le città romane occidentali e molte orientali presentavano tratti caratteristici comuni, dalla conformazione generale (cardo e decumano) ai servizi e gli spazi/edifici per la vita pubblica. La forma urbana ideale si basava su un sistema stradale ortogonale che definiva gli isolati (insulae) organizzati a scacchiera, ognuno con particolari destinazioni funzionali, dall’attività artigianale all’edilizia residenziale. Le abitazioni erano solitamente a due piani, con le botteghe al piano inferiore e stanze ad uso abitativo a quello superiore. Le insulae rappresentavano un fenomeno in particolare a Roma, causato dalla pressione demografico e l’esigenza di ricavare il maggior numero di abitazioni e diverse dal tessuto insediativo nelle città provinciali. Si innalzavano 13 su più piani, la facciata principale era sulla strada e quella secondaria su dei cortili scoperti. Spesso queste case erano alloggi popolari o vere e proprie case-dormitorio prive di servizi idraulici/igienici e focolari. Le domus signorili erano su pianta regolare e solitamente composte solo da un unico piano, con atrio (che sconfinava sulla strada), il peristilio (cortile interno) con impluvio (raccolta acqua piovana). Attorno al peristilio, circondato e abbellito da colonne, vasche d’acqua, piante e pavimenti a mosaico, si disponevano i locali abitativi. Questi locali includevano il triclinium, luogo in cui si consumavano i pasti su delle poltrone disposte in ordine gerarchico, poi lo studio del padrone (tablinium) e le varie camere da letto. La cucina in genere era decentrata, poi vi erano spesso dei locali per le pratiche cerimoniali. Pareti, soffitti e pavimenti erano decorati con mosaici, stucchi e dipinti e il mobilio era esiguo. Dal IV secolo iniziò un periodo di trasformazione edilizia urbana e il reticolo urbano mostrò maggior tenuta nella Francia meridionale e in Italia nelle sue capitali. Solo in pochi potevano permettersi di continuare ad abitare le domus, nelle quali accresceva l’ostentazione di lusso per rappresentare la propria importanza sociale. Dalle abitazioni in degrado si originarono altre strutture frazionate grazie al reimpiego di murature antiche e di altri materiali deperibili. Questa trasformazione edilizia proseguì dopo il VI (563) secolo con l’arrivo dei Longobardi, la cui invasione provocò una rottura violenta con le strutture istituzionali, economiche, sociali e l’organizzazione del territorio. Oltre le Alpi il declino delle città come luogo primario di organizzazione politico-economica fu ancora più veloce, in quanto i re germanici preferivano abitare in dimore di campagna. Questo fenomeno lo riscontriamo anche nei sovrani carolingi, che si spostavano per le varie curtis nonostante la capitale de facto fosse Aquisgrana. Le fonti scritte ci mostrano centri urbani in stato di abbandono con edifici in rovina e superfici coltivate all’interno delle città. Le strutture monumentali erano utilizzate come cave di materiali da costruzione o subivano mutamenti di impiego. Nella capitale Pavia si individua ancora l’utilizzo delle tecnologie costruttive romane (opus romanense) per edifici religiosi e palazzi pubblici. Ci fu anche una rarefazione dei ceti artigianali legati al ciclo edilizio complesso perché le loro prestazioni erano poco richieste. In Romania, attraverso la mediazione bizantina, il legame con la tradizione romana si è mantenuto e le città continuarono ad avere un ruolo importante nella vita socio-politica, con un territorio strutturato su schemi antichi. Le dimore erano a due piani, suddivise in vani che fungevano da magazzino, dispensa, servizi igienici, stanze e camere da letto (la terminologia è latina classica). Anche qui si utilizzava spesso il materiale di recupero con la tecnica mista. La vitalità urbana dell’impero d’Oriente si mantenne per molti secoli (con momenti di crisi nel VII e VIII secolo), con punto di riferimento la capitale Costantinopoli, rifondata da Costantino nel 330 al posto dell’antica Bisanzio, vertice dell’amministrazione, centro di cultura spirituale e delle attività economiche. Il periodo tardo-medievale Con il nuovo millennio lo sviluppo demografico, gli scambi locali e internazionali e le attività manifatturiere favorirono il risveglio delle città. Si sperimentarono nuovi assetti sociali e forme di vita politica come il comune. Le città dell’Italia centro-settentrionale poterono beneficiare della perdurante vitalità dell’urbanesimo antico, mentre al Sud fu limitato dal controllo della monarchia. Nelle Fiandre, nella Renania e nella Germania meridionale l’urbanizzazione si sviluppò a partire dai piccoli centri posti sulle vie di traffico internazionale. L’espansione urbana in Inghilterra fu capillare, ma non portò alla nascita di grandi centri oltre a Londra. L’Italia era una terra di città e in particolare in Toscana si trova un’altissima concentrazione di aree urbane significative come Firenze, Lucca, Siena e Pisa, ma anche Pistoia, Prato e Arezzo. Un elemento caratteristico del paesaggio urbano del XII e XIII secolo erano le torri, residenze e allo stesso tempo strumento di difesa e offesa, di lotta popolare fra fazioni e famiglie che si richiamavano ai nomi del guelfismo e 13 venivano favoriti e i mercanti percorrevano tre itinerari per arrivare in Oriente. La via marittima era quella preferita dagli arabi e partiva dal Mar Rosso per arrivare nel Golfo Persico e poi procedere verso est. La via settentrionale congiungeva Kiev alla Mongolia, passando per le regione del Caspio, l’Aral ed evitando il massiccio altaico. Il terzo itinerario, conosciuto comunemente come Via della Seta, partiva dai porti del Levante dirigendosi verso Baghdad, la Persia, Bukhara, Samarkanda e lo Xinjiang, biforcandosi verso il deserto del Gobi e il porto di Ningbo (a sud di Shanghai). Questa era la rotta scelta dai veneziani Matteo e Niccolò Polo, e in seguito anche Marco, che partì nel 1271, arrivando alla corte di Qubilai nel 1275, dove si fermò per diciassette anni prima di tornare a Venezia nel 1295. Nel racconto sul viaggio di ritorno si lascia andare a racconti fantastici, ma in generale si rivela essere un buon computista in grado di fornire informazioni dettagliate anche dal punto di vista concreto ed etnografico. Sia Polo che Ibn Battuta ci raccontano anche dei territori e dello stile di vita dei Tartari, il khanato di Ozbek, descrivendo le differenze fra l’agricoltura che si stava sviluppando in Catai e l’allevamento di bestiame che continuava a perdurare fra i nomadi, parlando anche all’interno de Il Milione delle loro steppe e delle tende trasportate sui carri. Il sistema abitativo delle popolose regioni della Cina era quello urbano con città fortificate, ville e castella, messi in comunicazione da un reticolo di strade a tratti lastricate e ponti di pietra. Marco Polo ricorda in modo particolare le risorse economiche delle città cinesi e meno l’impianto urbano, ma ci racconta dei centri di antica tradizione urbana come Sardanfu (Sichuan), o la città di Sugni (l’odierna Suzhou), costruita su molti canali e i cui abitanti si dedicavano alla mercatura e alla produzione della seta. Un’altra città era la nobile e grandissima Quinsai (l’odierna Hangzhou). Queste città, come anche Cambaluc, erano a pianta quadrata e dotate di mura in terra dotate di numerose porte con palazzi per le guarnigioni militari. L’impianto quadrato permetteva di posizionare le strade in modo regolare. All’interno delle mura si trovavano i palazzi dei nobili, una torre della campana, il palazzo reale, nel quale il Gran Khan soggiornava prevalentemente in inverno perché la sua corte itinerante migrava in Mongolia a Chemeinfu/Giandu in estate. Qui Qubilai aveva fatto costruire una città con residenza imperiale, ma vi era anche una tenda per la vita quotidiana che rappresentava il trait d’union fra antiche e nuove consuetudini. Della Cina ci parla anche il frate francescano Odorico da Pordenone nella sua Relatio, che arriva in Oriente lungo la via marittima nel 1324 e fa ritorno in Italia per via terra nel 1330. La sua opera è diario di viaggio, trattato geografico-commerciale, libro etnografico raccolta de mirabilibus mundi e apologia del francescanesimo missionario e racconta la Cina sotto il khan Yesun Timur (1323-28), diventando così un proseguimento de Il Milione. Sono simili le descrizioni di usi e costumi e l’interesse per economia e popolamento, ma il frate cerca di inserire il mondo orientale in un quadro di riferimento occidentale per poterlo spiegare a chi in quelle terre non aveva mai messo piede. Descrive la stabilità, la prosperità e magnificenza della corte del khan e il benessere generale, ma fornisce anche descrizioni dettagliate delle aree urbane cinesi e mongole. L’India e le isole dell’Oceano Indiano Odorico da Pordenone arrivò sulle coste indiane nel suo viaggio per giungere in Cina, sbarcando nel porto di Tana, l’odierna Salsetta (vicino a Bombay) e proseguendo lungo le coste del Malabar e Maabar, l’isola di Ceylon, poi Sumatra e Giava. Parla dei costumi e degli usi, delle caratteristiche degli abitanti e dei luoghi, e si alternano elementi reali ad altri fantastici. Le città di questi territori sono generalmente qualificate come scali commerciali, parlando di spezie che vengono commerciate in questi luoghi. Nella sua opera, come ne Il Milione, l’attenzione alle dinamiche del popolamento e le sue caratteristiche materiali è scarsa. Marco Polo segue il percorso marittimo nel suo viaggio di ritorno e tocca anche lui alcuni dei luoghi visitati dal francescano, ma manca l’esperienza di prima persona e l’inserimento in questo mondo, il che da origine a numerosi racconti 13 fantastici accanto alle accorte considerazioni sulle condizioni di vita e le ricchezze. Il mercante elenca anche le risorse economiche e naturali di questi posti, dalle spezie ai legni pregiati come il sandalo, descrivendole come isole in cui tutto al di fuori delle città è selvatico e ricoperto da un manto boschivo (città equivale a civilitas). La mediazione bizantina e poi musulmana alimenta lo sviluppo dei rapporti commerciali a partire dal VII secolo, e le isole dell’Oceano Indiano furono teatro dell’espansione politica e commerciale di arabi e persiani, favorita anche dalla conversione all’islamismo dei potenti khan della Persia e dell’Asia centrale. I dotti geografi come Al-Idrisi (alla corte del re normanno Ruggero II) e Al-Qazwini descrivono i luoghi come Malacca o Sumatra, ma soprattutto Abu Abdallah ibn Battuta ci fornisce interessanti testimonianze sulla vita quotidiana in queste terre lontane. Nasce a Tangeri nel 1304 e viaggi dal 1325 al 1353 nell’ambito culturale del Dar al-Islam, ossia la Dimora dell’Islam in cui la shari’a era alla base dell’ordine sociale. Dettò poi le sue memorie ad un letterato andaluso di nome Ibn Juzavy sotto forma di Rihla, cronaca di viaggio. Si fermò per dieci anni in India e andò poi come ambasciatore della corte di Delhi in Cina via mare. Raggiunse le Maldive, le cui popolazioni si convertirono già all’Islam nel XII secolo, ma sulle quali non esistevano vere e proprie realtà urbane se non il palazzo reale. Era diversa l’isola di Ceylon, della quale percorse le coste e si fermò nei porti e visitò il monte sacro dell’isola. Fino al 1368 i traffici tra India e Cina erano molto proficui, ma con la Dinastia Ming ci furono delle reazioni xenofobe e conseguente chiusura con la creazione di quartieri musulmani. Le memorie di viaggio tendono dopo ad essere più concrete riguardo alle condizioni di vita e perdevano l’elemento favolistico, come nel caso di Lodovico da Barthema nei primi anni del XVI secolo, ma l’immagine di orizzonte onirico in cui gli uomini del Medioevo proiettavano i loro miraggi e sogni (anche del Paradiso) è rimasta per molti secoli. Altri viaggiatori, come il frate francescano e futuro arcivescovo di Pechino Giovanni da Montecorvino, o Nicolò di Conti, raggiunsero l’India e parlano dei sistemi abitativi e delle loro usanze a tavola. Nicolò di Conti e Marco Polo ci raccontano infatti di come i poveri fossero costretti a mangiare accovacciati e servendosi delle mani. Lodovico da Barthema è più concreto nella descrizione dei centri urbani e il fatto che questi fossero murati come città europee. La città di Calicut in particolare attira la sua attenzione, nella quale sbarcò Vasco da Gama nel 1498 e che assieme a Goa era un porto importante per gli scambi con l’Europa. Ci racconta degli immobili popolari e del palazzo reale con le sue camere decorate in modo sfarzoso con luci che illuminavano le sale, mentre dice che anche il sovrano mangiava seduto per terra ai banchetti. Nel 1206 Delhi era diventata capitale di un nuovo stato militare musulmano che estese la sua influenza su gran parte dell’India e fu alla corte della Dinastia dei Tughluqidi che Ibn Battuta (1333) si posizionò come giudice e custode di un mausoleo per diversi anni. Questa minoranza elitaria musulmana fondò anche un’altra capitale più a sud, chiamata Daulatabad, per controllare una fitta rete di villaggi rurali con case in fango e paglia. La Delhi musulmana era un campo fortificato all’interno della città indù e nella quale fu costruita una moschea e un complesso di mausolei con un’accademia e ostelli. Ibn Battuta fu poi incaricato di dirigersi in Mongolia in missione diplomatica, ma visitò prima altre città come Daulatabad, decaduta dal suo ruolo ma prospera di commerci e agricoltura. Questa possedeva una cittadella fortificata su un’altura in granito con pareti a strapiombo, mentre la città vera e propria era circondata da mura. Proseguì verso lo scalo commerciale di Cambay, ricca di belle costruzioni, moschee e mercanti stranieri. L’area islamica Il pensatore Abz az-Rahman ibn Khaldun (1332-1406) scrive di una visione del divenire storico che ha come tema centrale il ciclico scontro del mondo nomade con quello sedentario. Invasori nomadi hanno infatti con i loro saccheggi alterato abitudini culturali e sociali di vaste aree dell’Eurasia e dell’Africa. Gli arabi stessi si affacciarono sulla scena mondiale nel VII secolo con i nomadi che seguirono il profeta Maometto e la loro espansione li portò a contatto con l’impero bizantino e quello sassanide. Queste civiltà avevano creato molti centri urbani con una lunga storia alle spalle e 13 fra il VIII e l’XI secolo il mondo musulmano fu teatro di grande rigoglio urbano con la fondazione anche di nuovi insediamenti. Il mondo musulmano ha quindi l’aspetto di una serie di piccole isole urbane collegate da linee commerciali ed è simile al movimento di creazione urbana ellenistico. La diffusione dell’Islam fu favorita dall’avanzata di popolazioni nomadi musulmani turche dall’Asia centrale al Medio Oriente, dall’espansione verso l’India e dalle migrazioni di mercanti nell’Oceano Indiano. Anche con la minaccia mongola le città continuarono ad essere centri di civilizzazione e organizzazione del popolamento, dell’economia e della vita comunitaria. Ibn Battuta e Marco Polo ne mettono in luce il ruolo di centri commerciali e in certi casi l’aspetto di città-giardino, l’apparato fortificato e la terra come materiale edificatorio. I viaggiatori occidentali rimangono stupiti dalla presenza di grandi e popolose e ricche città che per esempio tra Alessandria e il Cairo costituiscono un tessuto urbano imponente. Nel territorio dell’impero sassanide la tradizione urbana fu rivitalizzata ad opera del califfo abasside Al-Mansur, che fondò Baghdad nel 762 su un incrocio di piste terrestri e su un insediamento pre-islamico. Il centro urbano era a pianta rotonda con un palazzo e una moschea al centro e una serie di cinte concentriche che contenevano le abitazioni private, poi racchiuso entro un bastione munito di 360 torri, quattro porte d’accesso e un fossato. A sud si sviluppò il quartiere dei commerci e dell’artigianato e a est il quartiere residenziale con il palazzo del califfo. I mongoli conquistarono Baghdad nel 1258. Ce ne parla nel XII secolo l’ebreo Beniamino di Tudela, descrivendo i giardini, gli animali, le mura e il lago formato dal fiume Tigri. Ibn Battuta e Ibn Jubayr parlano invece della decadenza e di uno splendore ormai sepolto che aveva trasformato la capitale in una normale città di provincia. Le principali città si trovavano sul fiume e il materiale da costruzione era l’argilla, la quale veniva seccata al sole o cotta nel forno. Il legno scarseggiava nei territori di dominio musulmano ed erano costretti ad importarlo da Armenia o Siria per costruire navi o sistemi di irrigazione. La tecnica più utilizzata era la muratura in mattoni, spesso ricoperti di gesso scolpito e dipinto, ma anche piastrelle di maiolica decorata (tecniche mesopotamiche e iraniche). Nel territorio ex bizantino (Damasco) continuò ad esistere la tecnica del mosaico. Nella parte orientale del territorio un tempo sassanide le città venivano posizionate su piste carovaniere. Un esempio è Samarcanda, costituita da diverse mura concentriche con una cittadella al centro, la città stessa, vari sobborghi e una zona coltivata. C’erano strade lastricate, giardini e fontane che testimoniavano il perfezionamento raggiunto dai musulmani nelle tecniche di irrigazione e di canalizzazione. Precedentemente a Baghdad la capitale della dinastia omayyade è stata Damasco, centro di mercato sottoposto a dominio bizantino e che troviamo sempre nei racconti di Beniamino e altri viaggiatori occidentali, il quale parla di orti e giardini irrigati dai fiumi che scendono dai monti, di mosaici, spezie e legno come materiale da costruzione. Il fiorentino Simone Sigoli, assieme ad altri pellegrini diretti in Terrasanta alla fine del XIV secolo, ci raccontano delle altissime mura e delle torri, degli orti e giardini pieni di frutti e rose, ma anche dello schema costruttivo delle case con cortili interni come oasi di frescura. Altri territori ex bizantini erano le città di Alessandria e Cairo, e quest’ultima si caratterizzò come una successione di città, passando dalla città greco-romana di Babilonia all’accampamento militare di Fustat (VII secolo) e infine alla città di Al-Qahira (X secolo). Questa complessità strutturale la si riscontra anche nei racconti dei pellegrini occidentali che distinguevano la città vecchia e quella nuova, ma rimangono anche stupidi per la sua grandezza e il numero degli abitanti. Non era dotata di mura perché il Nilo passava su entrambi i lati della città. Era la capitale del regno mamelucco e residenza di tutta la classe dominante turca, ma anche punto d’incrocio delle vie commerciali dal Mar Rosso all’Africa occidentale sub-sahariana, nonché luogo di asilo per rifugiati di terre orientali dopo che i suoi sovrani avevano respinto i mongoli. Cairo conobbe uno sviluppo edilizio notevole nel XIV secolo con l’utilizzo di pietre per le nuove costruzioni e calce/mattoni per quelle già presenti. Le abitazioni erano molto essenziali per quanto riguarda arredi e suppellettili. L’altra città era Alessandria, le cui case erano edificate su arcate e pilastri (con cortili interni e loggiati) con strade larghe e diritte e 13
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