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Uomini e Case nel Medioevo tra Occidente e Oriente di Paola Galetti, Sintesi del corso di Storia Medievale

Sintesi di tutti e cinque i capitoli del libro, utile per i frequentanti di storia medievale dell'Alma Master Studiorum

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Scarica Uomini e Case nel Medioevo tra Occidente e Oriente di Paola Galetti e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! PAOLA GALETTI UOMINI E CASE NEL MEDIOEVO TRA OCCIDENTE E ORIENTE. CAPITOLO I. MODELLI INSEDIATIVI A CONFRONTO NEI PRIMI SECOLI DEL MEDIOEVO. INTRODUZIONE. nei primi secoli del Medioevo culture e modi di vita diversi si scontrarono, si confrontarono e stabilirono un contatto diretto e prolungato. Le tradizioni tribali e guerriere dei barbari che si stanziarono all’interno della compagine dell’impero romano indebolirono il modello urbano tardo-romano accelerandone la crisi. Si svilupparono cosi nuovi modi di organizzazione della vita associata. LE STIRPI GERMANICHE. Tacito ci offre una descrizione minuziosa e puntuale della società e delle consuetudini germaniche. Inizialmente le popolazioni che si trovavano oltre il limes romano erano considerate “germani” termine onnicomprensivo per descrivere queste popolazioni, invece nella tarda antichità il termine “germani” perse progressivamente il suo valore onnicomprensivo, comparvero nuove definizioni, relative a singole stirpi. Le tribù germaniche al tempo di Tacito abitavano un paese dal clima rigido, si dedicavano alla guerra, alla razzia, alla caccia, etc. e gli uomini validi erano guerrieri. Si trattava di gruppi seminomadi, dal punto di vista socio-politico privilegiavano una condizione che si basava sul clan, che a sua volta forma la tribù (gruppo di famiglie discendenti da un antenato comune). Il loro tessuto insediativo pertanto era caratterizzato dall’assenza di città e dalla presenza di villaggi a maglie larghe, le abitazioni erano principalmente in legno. Edilizia semplice e elementare, il legno dominava come materiale da costruzione, anche legno grezzo per strutture destinate a durate poco tempo (nomadismo). Divisione dei compiti tra uomini e donne, vecchi e bambini. L’alimentazione si basava sui cereali, frutti selvatici, selvaggina fresca. Un mondo di selve costituiva il loro habitat, ne erano dominati, la foreste improntava di se la loro vita quotidiana ma dominava anche nel loro immaginario, nei loro atteggiamenti culturali, nelle loro pratiche religiose - tutte le tribù avevano i loro boschi e foreste sacri . I Semnoni testimoniavano il loro rispetto per la loro foresta sacra (entravano con la corda , e se uno cadeva non poteva rialzarsi ma rotolare). La foresta dominava la loro vita quotidiana, l’arte del costruire si basava perciò sul legno I NOMADI DELLE STEPPE. Germani e Sarmati o cavalieri nomadi delle steppe. Carattere distintivo prevalente viene individuato nei modi diversi di abitare. I Sarmati erano nomadi, vivevano prevalentemente su carri o a cavallo. I nomadi delle steppe orientali (sarmati, sciti indicati cosi dai romani), che vivevano negli immensi spazi tra la Cina e l’Ungheria, ebbero grande influenza sulle popolazioni germaniche più orientali. Basavano la loro sussistenza sull’allevamento del bestiame ciò causava una frequente mobilità per la ricerca di nuovi pascoli (antitesi della vita sedentaria era il loro vagabondare per procurarsi i mezzi di sostentamento). Centrale nella loro vita fu il cavallo che serviva per gli spostamenti e per i combattimenti. Questione bizantina, le fonti bizantine ricadevano tutte nella generica e antiquaria etichetta di Sciti. Gli Unni diedero vita a un vasto impero, la partenza di questo popolo dalle sue sedi diede l’avvio alla prima grande ondata migratoria all’interno dell’Impero Romano, consapevole di questi spostamenti migratori fu il vescovo di Milano Ambrogio. Dei costumi degli Unni aveva lasciato una minuziosa descrizione lo storico Ammiano Marcellino, il quale sottolinea gli aspetti ferini e subumani degli Unni (fisicamente deformi) i quali non sono mai protetti da alcun edificio, gli uomini vivevano praticante in sella. Dei Goti e dei Vandali ci parla sempre Marcellino definendoli meno selvaggi e più belli invece gli Alani allevatori nomadi con un sistema abitativo simile a quello unno ma con la presenza degli accampamenti formati dei carri/abitazione come città. Tra di essi un secolo dopo gli Unni, si affermarono gli Avari, una popolazione delle steppe orientali, i Bulgari e i Turchi. I Turchi abitavano sotto tende di feltro (yurta) con la tipica apertura a oriente trasportata dai carri quindi non più carro/abitazione ma carro/tenda. Allevavano e cacciavano. Tra i nomadi eurasiatici i Khazari, situati a ovest del Volga e del Mar Caspio, seppero sviluppare una sensibilità particolare per la civiltà delle popolazioni vicine adottando alcuni loro modi di vivere; fonti musulmane dicono che praticavano l’allevamento e l’agricoltura e conducevano una vita seminomade. In primavera fino autunno si riparavano sotto le tende in inverno si ritiravano nelle città con abitazioni stabili, avevano anche una capitale, preludio di un processo di sedentarizzazione. SLAVI, UNGARI E NORMANNI. L’area di insediamento Slava era a nord del Pripet, aperta a influenze germaniche, soprattutto gotiche. Furono sottomessi dagli Unni e sotto la spinta degli Avari fecero incursioni nella penisola balcanica, creando problemi all’impero d’Oriente, si stanziarono definitivamente nelle terre invase provocando la trasformazione del quadro etnico. Si può parlare di Slavi occidentali, Slavi orientali e Slavi meridionali. Praticavano essenzialmente l’agricoltura, oltre che la pastorizia la caccia e la pesca, in quanto nomadi e semi nomadi. Procopio di Cesarea distingueva due formazioni preponderanti, gli Sclaveni o Slavi Occidentali e gli Anti o Slavi Sudorientali. I loro primi stanziamenti erano costituiti da piccoli agglomerati, in seguito si formarono villaggi più consistenti con piani circolare o cinta fortificata (usata solo in caso di pericolo come rifugio). Individualità nella coltivazione della terra, abbandono dell’attività produttiva comunitaria. Esistevano tre tipologie di abitazioni Slave: • Nelle foreste l’Isba: tronchi scortecciati incastrati tra di loro, costruita sul terreno o sopraelevata. La suddivisione interna era provvista di pochi vani riscaldati da un focolare o un forno di creta, poi mattoni. • Nelle steppe la Chata: di argilla, sassi, sabbia, con il tetto di rami di albero o canne intrecciate, anch’essa senza fondamenta ma appoggiata al suolo. • Nelle steppe boschive la Zemljaka: muro basso di tronchi intonacati col fango e un tetto ricoperto di terra, per metà interrata e di forma rettangolare. Gli Slavi avevano una salda consuetudine di igiene personale prediligendo i bagni di vapore, per conservare all’asciutto i cereali scavavano nel terreno silos sotterranei profondi 2/3 metri. Per conservare il pesce in mancanza di sale lo si faceva essiccare al sole oppure lo si conservava per mezzo della cenere o lo si affumicava. Il legno era il materiale più utilizzato e quello che meglio assolveva alle esigenze richieste dalle condizioni climatiche nell’Europa centrale. Per le parti sopraelevate delle abitazioni si potevano usare dei tronchi incastrati fra di loro verticalmente e orizzontalmente, le pareti invece potevano essere cosparse da miscugli di argilla mentre i tetti a due o quattro spioventi potevano essere ricoperti con paglia, canne, tavole di legno. Per la cottura dei cibi veniva acceso un fuoco su focolari aperti, oppure con forni cupola . La luce proveniva per lo più dalla porta d’ingresso (collocata verso meridione); gli oggetti utili per la vita quotidiana erano pochi e molto grezzi: cucchiai in legno, catini e piatti d’argilla, pochi coltelli di ferro. Nelle regioni abitate dagli Slavi è stata fatta notare la mancanza tra gli oggetti da cucina di brocche anfore tipiche del mediterraneo, ma una maggiore quantità di vasi e contenitori di legno. Verso la fine del IX sec fece la sua comparse nell’area Danubiana una nuova etnia quella dei Magiari o Ungari provenienti dalla Siberia mossi verso il Volga e gli Urali. Nella prima metà del VIII sec d.C. gli Ungari si diressero più a sud ed entrarono in contatto con i Khazari - verso la meta di questo secolo si spostarono più a occidente nella regione che chiamarono Etelkoz, qui consolidarono definitivamente una nuova patria dal quale per lungo tempo partivano per compiere razzie nell’occidente Cristiano. Agli inizi gli Ungari erano pastori nomadi, in seguito consapevoli della protezione dei Khazari preferirono stabilirsi in villaggi fissi. Gli Ungari cominciarono ad abbandonare la tenda e le abitudini della vita errante costruendo abitazioni permanenti. Anche la loro abilita cavalleresca fu messa in atto grazie alle azioni di saccheggio e razzia in occidente. Già nel X secolo vediamo la presenza di villaggi a maglie larghe all’interno dei quali vi erano tende e abitazioni fisse che potevano essere delimitati anche da fossati. La tipologia abitativa più utilizzata era la casa monofamiliare, per metà interrata a forma rettangolare o quadrata. I muri erano di graticcio mentre i tetti a due spioventi era ricoperto da legno o pietre, la porta d’ingresso era rivolta verso sud-est per la penetrazione della luce. Il focolare in pietra o argilla era posto di fronte o a fianco dell’entrata, il fuoco C’è da dire che questa differenziazione è molto generica e esistono diverse tipologie tra le appena elencate. In Germania , ad esempio, sulle cose del Mar del Nord le case erano rettangolari e assai lunghe, divise in due parti da una leggere travatura lignea: la parte più grande era adibita per gli animali quella più piccola per gli uomini con al centro il focolare, gli ingressi potevano esserne uno o due. Con il passere del tempo, in seguito a una diminuita importanza delle attività di allevamento, le abitazioni diminuirono di superficie e si restrinse la parte degli animali, comparvero a fianco della casa altri edifici adibiti ad attività artigianali. Anche nello Yorkshire vi erano villaggi con recinti che racchiudevano un giardino/frutteto; le case erano a piante rettangolare divise in due parti: quella per gli animali più bassa e quella per gli uomini sopraelevata, avevano un’entrata o due, le più antiche erano costruite in legno mentre le più recenti in pietra locale (gesso) con pannelli di legno ed il tetto ricoperto da paglia. Sempre in Inghilterra nella zona di Coswold Hills, dove l’allevamento aveva un ruolo importante nell’economia, le abitazioni erano lunghe 30 metri divise tra uomini e animali ma solo in un 1/3 della casa vi abitavano gli uomini. In queste case vivevano le famiglie contadine più agiate però la struttura del villaggio rimaneva sempre “ a corte “; i tetti erano ricoperti in paglia. Il popolamento delle campagne era organizzato intorno al villaggio. La sua popolazione era diseguale socialmente e questo si rifletteva sul livello qualitativo delle costruzioni. Le case rurali avevano una pianta rettangolare, una, due o tre stanze di cui una dotata di focolare. Nel caso di edifici con più vani uno era dotato di focolare mentre l’altro era adibito alla conservazione di cereali immagazzinate nei pithoi (recipienti terracotta) o in goubai (pozzi scavati nel terreno) e del vino nelle pitharia (recipienti). Quando l’abitazione si sviluppava verso l’alto al piano superiore vi era la dimora della famiglia mentre in quello inferiore vi erano i servizi. Edifici in roccia e non in legno per la prevalenza del territorio roccioso, delle estati calde e penuria d’acqua. Sulla collina di Poggio Imperiale vi sono strutture unitarie elementari a forma quadrata, rettangolare e circolare. Una di esse presenta maggiori dimensioni e una suddivisione dello spazio interno in tre ambienti: una zona domestica , una zona magazzino e una a uso misto. Nel villaggio di Dracy in Francia significativi sono i resti di un’abitazione fabbricata con grosse pietre tenute con l’argilla; inizialmente destinata ad un unica famiglia poi suddivisa in due stanze fornite di porte: quella Nord adibita per una stalla con un soppalco sopraelevato, qui viene proposta la casa con piano superiore sviluppata verso l’alto. La sopraelevazione poteva riguardare sia le case a “struttura unitaria“ sia quelle “a corte”. Questo tipo di abitazione si diffuse lentamente in Europa perché a lungo perdurò la tradizione costruttiva che voleva gli edifici rurali al pianterreno, questo per molti motivi: maggiore semplicità architettonica delle casae terraneae, per il costo economico maggiore delle casae solariatae (quelle a due piani, per intenderci) sia per i materiali sia per la manodopera (personale specializzato). Questo tipo di edificio inoltre poteva essere visto come una spia dell’emergere di differenze socio-economiche marcate tra la popolazione delle campagne laddove un’abitazione cosi complessa poteva simboleggiare uno stato sociale privilegiato. L’edificio sopraelevato rappresenta un modello tipico della città ove i problemi dello spazio erano maggiori (Italia centro-settentrionale). La penetrazione economica della città nel territorio porto alla diffusione del modello casa/solarium. Esempi sono le case mezzadrili della Toscana che si presentano con una struttura “a corte” con edifici nel quale vi erano più di un locale e un solaio (soppalco) raggiungibile con una scala interna (legno) o esterna (pietra). LA CASA CONTADINA: MATERIALI, TECNICHE. Per quando riguarda le tecniche di costruzione, il vero cambiamento dell’architettura rurale avvenne tra il XII e XIII secolo. L’impiego di materiali deperibili caratterizzava l’edilizia nell’alto Medioevo tranne poche eccezioni, gli edifici erano fragili, in primo luogo il legno (assi, tronchi grezzi come armatura dei tetti ed ossatura delle pareti). Le pareti potevano essere edificate secondo il sistema del Clayonnage cioè con un graticcio di rami riempito con torchis (argilla amalgamata con paglia) oppure PISÈ (mattoni ottenuti con terra argillosa). Sono state individuate 12 tipi di strutture: a due pali contrapposti, a pali angolari, perimetrali, centrale, a tecnica mista, a due navate, a tre o più navate, pavimento sopraelevato, Fackwerk. Sono state individuate 9 diverse tecniche per la costruzione degli elevati: Stabbau (assi verticali infissi sul terreno), Blockbau (a travi orizzontali sovrapposti e incastrati) Palisandenbau (triplo allineamento di pali perimetrali a tenda , riempito di argilla). Sono stati individuati due tipi di strutture: a livello del suolo e semi scavate. • Del primo gruppo fanno parte diverse tipologie costruttive: armatura a pali, a Blockbau, a canaletta (armatura di pali dentro una canaletta perimetrale), a pali inclinati con pali esterni a sostegno dei pali perimetrali con basamento in pietra o in legno, a tecnica mista, a Fackwerk. • Del secondo gruppo: capanne con struttura portante all’interno di una escavazione tra le quali sono state individuati diversi tipi (Blockbau, Fackwerk, etc.). Il legno come si è potuto vedere aveva un ruolo molto importante (legno di quercia o di conifere). Gli uomini non trovavano difficoltà nell’approvvigionamento di questo materiale poiché avevano a disposizione aree boschive. Inoltre giocò un ruolo fondamentale la tradizione costruttiva dei popoli germanici che avevano invaso i territori dell’impero romano. Il bagaglio culturale non comprendeva certamente esperienza nella tecnica muraria in pietra ma quella in legno. I vocali pertinenti dell’architettura nella lignea germanica erano imperniati sulla radice “bau” suggerendo le origini rurali della loro arte del costruire, nella loro ancestrale utilizzazioni di questo elemento conoscendone a fondo i suoi lati positivi (isolamento termico). Anche in età romana il legno era un materiale largamente usato ma fu con l’arrivo dei popoli germanici che fu generalizzato l’uso del legno anche in ambito urbano sostituendosi ai materiali più solidi. La sostituzione della pietra e del laterizio (usati in età romana) con il legno (medioevo con avvento dei germani) non può essere visto come un regresso della società medievale ma come un nuovo modo di rapportarsi alla natura e al proprio habitat. A partire dal XII/XIII secolo, i materiali e le tecniche dell’architettura rurale cominciarono a cambiare. Si perfezionarono le tecniche di carpenteria con l’impiego di legno lavorato e squadrato, avviene un perfezionamento di assemblaggio del materiale con strutture più robuste. Vennero utilizzati materiali più resistenti come la pietra. In certe zone (nel basso Medioevo) ci furono case in pietra e case in legno, anche nelle terre del Nord si attestano la presenza di case in pietra a causa della scarsa reperibilità del legname. L’utilizzo della pietra porto a una serie di problemi ad esempio il difficile approvvigionamento dei materiali, il trasporto dei materiale dalla cava, la manodopera specializzata. I costi lievitavano pure i tempi di edificazione. Un altro materiale solido e durevole fu il mattone cotto (XIII secolo). L’industria laterizia, vivace in età antica, trovo subito una notevole decadenza nei primi secoli del Medioevo. I mattoni comunque veniva usati durante il Medioevo ma si è scoperto che erano realmente materiale di reimpiego provenienti dallo spoglio di edifici antichi. La produzione laterizia che si è mantenuta meglio fu quella della copertura dei tetti (tegole) solo dove la tradizione romana si è mantenuta a lungo. Nella restante Europa si trovano costruzioni interamente o in parte di mattoni tra Due e Trecento. Gran Bretagna (costruzione di fornaci ma la loro edificazione poneva gli stessi problemi sopra elencati). Solo nelle regioni che rimasero sotto il dominio bizantino fu mantenuta questa tecnica. Nei paesi mediterranei prevale il coppo, una piccola tegola ricurva; nei paesi dell’Europa settentrionale prevalse la tegola piatta. Altri sistemi, quelli vegetali (paglia, legno) erano degli ottimi isolanti termici ma poco duraturi. L’edilizia vegetale fu pian piano sostituita sul Tardo Medioevo (nelle regioni settentrionali venivano impiegati zolle erbose come buon isolante) in altre zone invece vennero usati lastre di pietra calcarea e lavica o ardesia. LA CASA CONTADINA: ARREDI E SUPPELLETTILI. Vani polifunzionali e presenza di oggetti e funzioni diverse. Se vi era un piano sopraelevato esso era la dimora della famiglia, luminosità molto scarsa e molto fumo dal focolare quindi problema di fumosità ed incendi dovuti al focolare e al fatto che ci fosse un’unica entrata; problema risolto con l’invenzione di stufe ad alimentazione esterna dette stube e l’invenzione dei camini (XIV secolo). Nessun servizio igienico era presente in casa per l’estrema semplicità della vita e per l’utilizzo degli escrementi come concime. Nei mesi invernali si preparavano gli attrezzi agricoli per la stagione successiva e la donna badava la focolare. Mobili ed utensili essenziali erano in legno e anche nelle case dei più benestanti il mobilio poteva essere più pregiato ma sempre essenziale e di legno. CAPITOLO III: NELLE CAMPAGNE MEDIEVALI: LA RESIDENZA SIGNORILE. La società romana aveva subito grandi trasformazioni in seguito all’arrivo dei “barbari”. Ci fu una decadenza dei centri urbani e dei piccoli e medi proprietari, la società si divisi in una maggiorana di popolazione ridotta in condizioni economiche disagiate e una parte era costituita da grandi proprietari fondiari. Intorno ai loro possedimenti, organizzati secondo il sistema della villa, si erano sviluppate nuove strutture di aggregazione. LA “VILLA” TARDO-ANTICA. La villa tardo-antica, posta sotto la sovrintendenza di un villicus, un fattore, il quale controllato da un amministratore che aveva un suo centro direttivo in un vero e proprio insediamento, nel quale si contrapponeva la residenza signorile (villa urbana) e la fattoria (villa rustica). Quest’ultima conteneva le strutture necessarie alla lavorazione dei prodotti dell’azienda (magazzini ,fienili, stalle, granai, alloggi per ricovero e per gli schiavi (ergastula). La villa urbana destinata al dominus tese ad avvicinarsi nella disposizione alle domus di città anche se generalmente era di dimensioni maggiori. La parte “urbana” della villa, costruita con pietra mattoni secondo la tecnica dell’opus incertum o dell’opus reticolatum, si articolava unitariamente in diversi locali decorati con marmi, mosaici, affreschi, disposti attorno all’atrio scoperto (peristilio), il cortile centrale scoperto attorniato da un colonnato. Un esempio di villa è quella di Sette Bassi, vicino a Roma, costituita da edifici isolati, da un ambiente centrale con ambienti privati e lussuosi, con una grande rotonda panoramica ed con edifici termali riforniti d’acqua dell’acquedotto aqua Claudia. Fra VI e V secolo molte ville furono fortificate. Dalla tradizione romana, del sistema della villa, si ispirarono i Franchi per la loro azienda curtense, non a caso all’unita economica curtense ci si riferiva con il termine villa oltre che curtis in Inghilterra con il termine manor. DALLA “CURTIS” ALLA VILLA RINASCIMENTALE. La curtis costituiva un centro di aggregazione insediativa, sociale politica, economica. A partire dal IX secolo per l’Italia e da prima per l’area franco-tedesca rappresentò il sistema più diffuso dell’organizzazione della terra, inizialmente lo applicarono le grandi proprietà laiche ed ecclesiastiche in seguito anche le piccole e medie proprietà contadine, si poté così parlare di “sistema curtense”. La sua caratteristica essenziale era la divisione dell’azienda agraria in due parti: la parte dominicale (pars dominica) e il massaricio (pars massaricia). La prima gestita direttamente dal proprietario attraverso il lavoro dei servi e dei contadini del massaricio che erano tenuti a prestare un numero di giornate lavorative (corvée) su di essa. La seconda era frazionata in aziende minori date in concessione a coltivatori dipendenti, di condizione libera o servile e dovevano corrispondere al concedente altre le prestazioni di lavoro anche un canone annuo. Esistevano in questi edifici strutture produttive diversificate perche la curtis puntava all’autarchia. Ogni curtis aveva un centro direttivo che istituiva un nucleo insediativo, nel quale vi era la residenza del dominus, a volte la dimora dell’amministratore, le abitazioni dei servi praebendarii, come edifici agricoli e adibiti alle attività di allevamento e artigianali. Il proprietario generalmente non abitava continuativamente nel centro direttivo ma si spostava lungo tutti i suoi possedimenti. Il Capitulare de Villis fra VIII e IX secolo stabiliva normative dettagliate sulle modalità di gestione delle Villae, prevedeva che sui loro centri vi fossero la residenza padronale, magazzini o stalle, ricoveri per gli animali, opifici per la filatura (modello base). Il modello aziendale della curtis era spesso protetto e delimitato da recinzioni, che ne facevano una Clausura dando vita a una struttura “a corte”. E’ interessante notare la differenziazione netta tra i materiali impiegati per particolari residenze, come quelle regie, rispetto a quelli delle case servili: pietra da un lato, legno dall’altro. Oltre a una maggiore solidità costruttiva, la residenza signorile era caratterizzata anche da maggiori dimensioni. Spesso le residenze signorili, assomigliavano agli altri esempi di edilizia rurale minore nello schema organizzativo e nella scelta dei materiali. A partire dalla fine del XI secolo in un periodo di instabilità politica e di generale insicurezza, le strutture signorili si dotarono di elementi difensivi in grado di garantire protezione, molti di essi davvero veri e propri centri fortificati. Carattere di rozzezza, semplicità ed essenzialità caratterizzavano l’arredo domestico delle abitazioni contadine. Il Capitulare de villis stabilì le modalità di organizzazione dei grandi possessi regi, si occupò anche della necessaria suppellettile (vengono elencati elementi disparati tra gli utensilia, elemento interessante è che gli strumenti da lavoro, arredi, suppellettili fossero elencati insieme come dotazione necessaria della Camera Lectaria) (destinazione polifunzionale che aveva lo spazio interno alla casa e la stretta commistione tra attività produttive e vita domestica dai ceti pii poveri a quelli più potenti). Ci troviamo di fronte a un forte grado di precarietà dell’economia domestica e a difficili condizioni di vita per tutta la popolazione delle campagne europee medievali. Nei secoli posteriori al Mille, l’aumento demografico, la crescita agricola, la rinascita della città, il dinamismo dei traffici commerciali provocarono profonde trasformazioni nella vita delle campagne, laddove i centri urbani dimostrarono una maggiore vivacità sul territorio. I cambiamenti della vita agricola riguardarono il regime della proprietà, i modi di organizzazioni le relazioni tra campagna e città. Si cercarono nuove forme di organizzazione produttiva con trasformazione della società rurale. Come principali strutture di organizzazione del lavoro agricolo restarono le grandi proprietà curtensi che si erano andate rafforzando come signorie territoriali in quanto i proprietari terrieri avevano concentrato nelle loro mani terre uomini e soprattutto poteri giurisdizionali. In molte regioni come in Francia i diritti di giustizia di banno finirono quasi per superare i redditi che il signore ricavava dalle terre. Questo non avvenne in Inghilterra dopo un potere centrale più forte riuscì a limitare il potere signorile. Col tempo entrò in crisi l’aspetto funzionale del sistema curtense, per le ragioni sopraindicate, si vede la lottizzazione del dominico, e anche nel massaricio, la scomparsa delle corvée e a una diffusione sempre più estesa del censo in denaro. La circondato da un colonnato era abbellito da fontane e statue. Vi era un piano solo col pianterreno e vi alloggiava la parte privilegiata della servitù, la parte più povera doveva accontentarsi di giacigli improvvisati.Quando non c’era l’atrio poteva esserci la presenza di botteghe affittate. Sul peristilio si affacciavano locali eterogenei separati da corridoi pareti, stanze da pranzo, luogo dei pasti serali dove si consumava il cibo sui triclini disposti secondo un ordine gerarchico; la cucina era decentrata, pavimenti soffitti erano decorati con mosaici ed erano presentati due tipi di letto, per dormire e per mangiare (triclinio). Esempi di domus a Pompei e a Roma: • Roma l’insula di 5 piani. Si nota l’utilizzo di nuovi materiali più resistenti nell’edilizia, tipo il conglomerato cementizio, ossia calcestruzzo, associato a pietre mattoni. Il legno veniva usato ma per gli elementi accessori e di sostegno. • Pompei: vari esempi di domus signorili. Dal IV secolo iniziò un periodo di trasformazione dell’edilizia abitativa con l’arrivo dei “barbari”; si nota un netto cambiamento delle tecniche costruttive romane mischiatesi con quelle germaniche. Tra IV e VI secolo si verifica la dissoluzione delle domus, solo una parte più ricca riesce a mantenere le proprie domus (elevazione sociale). Dal degrado di queste domus si svilupparono unità abitative unifamiliari con pareti lignee, pavimenti in terra battuta e il focolare al centro dell’abitazione. La tecnica edilizia più utilizzata era quella mista nella quale si integrava il recupero di murature antiche con l’uso del legno e altri materiali deperibili. Al di là delle Alpi la netta trasformazione del tessuto urbano fu più rapida per la poca romanizzazione del territorio. La trasformazione del tessuto urbano prosegui fra VI e X secolo ad esempio nella nostra penisola con i longobardi, differentemente dalle altre invasioni provocarono una rottura violenta degli equilibri precedenti. Nella “Langobardia” la decadenza urbana si accentuò, mentre la campagna divenne il nuovo centro della vita. Le fonti ci mostrano centri urbani che presentavano un aspetto ruralizzato, con zone abbandonate, orti e giardini. La stessa edilizia, ad eccezione dei Palatia del potere pubblico, prefigurava una configurazione delle abitazioni assai vicina a quella a quella che abbiamo individuato per quelle rurali. Si ritrovava in ambito urbano la struttura “a corte” . Strutture monumentali che caratterizzavano il paesaggio della città antica, non essendo più utilizzate, potevano servire come cave di materiale o essere riutilizzate. L’archeologia individua un edilizia di buona qualità che testimonia la continuità di tecnologia costruttiva romane (opus romanense), per lo più per gli edifici religiosi o pubblici, mentre un edilizia più fragile e precaria per le abitazioni più semplici affinate nella lavorazione del legno rafforzate dalle consuetudini germaniche. Consuetudini che si andarono a rafforzarsi, dovuta alla rarefazione dei ceti artigianali, poiché le loro prestazioni non erano più richieste se non da una ristretta élite. È soprattutto l’edilizia in legno ad essere documentata oltre a quella mista in riferimento alla qualità delle pareti ne sono state individuate tre: • edifici con pali portanti infissi nel terreno; • edifici con pareti di tavole o pali verticali insistenti su un basamento in muratura; • edifici con pareti lignee variamente strutturate infisse su travi orizzontali incassate nel terreno. Difficile individuare la tecnica del Clayonnage (muro di rametti intrecciati). Nella “Romania” in quei luoghi rimasti intaccati dalla penetrazione franca e longobarda, sembra essere rimasto più forte il legame con la tradizione romana (Impero d’Oriente). La città, nei territori bizantini, continuò ad avere un ruolo primario nell’organizzazione della vita politica. Siamo a conoscenza di un’edilizia cittadina articolata e complessa. Le case che meglio conosciamo sono quelle dell’edilizia medio- alta delle grandi famiglie, quindi parliamo di case a due piani suddivise in vani con qualifiche funzionali diverse: deposito/magazzino, balneo e i necessaria, la stanza del soggiorno/pranzo e la camera da letto. Al pianterreno generalmente erano ubicati i servizi e le botteghe, al piano superiore i veri e propri locali di abitazione. Le case potevano avere un portico sul fronte dietro di fianco e un cortile. Le pareti erano in pietra e laterizio, alle volte di reimpiego. Edifici anche col pianterreno in muratura e il primo piano in legno (era tipico anche nelle Insulae propriamente romane). Importante per le città fu l’influenza bizantina che mantenne la vitalità urbana a oriente. La ripresa delle città avvenne durante la dinastia macedone ma il suo periodo migliore lo ebbe nella capitale, Costantinopoli. IL PERIODO PIENO-TARDO MEDIEVALE. A cavallo del nuovo millennio lo sviluppo agricolo e demografico e l’incremento degli scambi favorirono il risveglio delle città. All’interno di queste si svilupparono nuovi assetti sociali e nuove forme di vita politica (comuni). Aumentò l’edilizia in pietra ma rimase prevalente quella in legno. Lo sviluppo però fu diverso nelle varie zone d’Europa, ad esempio in Italia centro-settentrionale le città beneficiarono della vitalità dell’urbanesimo antico, mentre al sud lo sviluppo delle realtà cittadine fu limitato dal controllo della monarchia normanna. Nelle Fiandre, Renania e nella Germania meridionale una forte urbanizzazione si sviluppo a partire da piccoli centri, in Inghilterra fu capillare ma non porto alla nascita di grossi centri fatta eccezione per Londra. Le città potevano essere di varia grandezza: • Molto piccole 500 • Piccole 500-2000 • Medie 2000-10000 • Grandi 10000-20000 • Maggiori 20000 Il 95% delle città erano costituite da centri piccoli, poche erano le città “metropoli” (Parigi, Firenze, Milano che ne ebbero 100.000). Terra di città era l’Italia a maglie fitte lungo la rete fluviaria del bacino del Po, Emilia e Toscana. Elemento caratteristico di molte città italiane erano le torri (XII-XIII) che servivano come residenza, come strumento di difesa e offesa per i contrasti tra magnati; esse servivano a esibire ricchezza e potenza. Le case/ torri erano robuste costruzioni svettanti in altezza. Nel corso delle lotte di fazione molte di esse furono atterrate o ridotte in altezza per diminuire l’efficacia sul piano bellico e impedirne un uso militare. Norma De Turribus Exquadrantis del podestà di Firenze nel 1325 che imponeva un altezza massima di 50 braccia e prometteva di tenere a freno la superbia. Prima conseguenza fu la trasformazione da un torre utilizzata per difesa/offesa a una residenza magnatizia. Il loro aspetto fu ingentilito e quando non risposero più alle esigenze della nuova classe dominante vennero affittate anche per botteghe e magazzini. I nuovi ceti del Trecento si rivolsero verso un nuovo modello abitativo: il palazzo. Inizialmente nato dall’accorpamento di più abitazioni riunite in un unico edificio, poteva includere anche una delle vecchie torri. Questo modello rispondeva alle esigenze di famiglie più ristrette; nel ‘400 di massa imponente, possedevano poche finestre, pesanti portali e la struttura era incentrata su un cortile porticato. Il primo piano aveva alti soffitti e spaziose sale, mentre le stanze da letto erano al secondo piano (due piani come a Firenze) e molto più esigue delle sale di rappresentanza. Per quanto riguarda il popolo minuto ed il ceto borghese essi diedero via a un’espansione disordinata del tessuto abitativo, la tipologia più diffusa era rappresentata da un edificio affacciato su di una via edificato su dei lotti che a Firenze avevano forma rettangolare. La faccia sulla strada era soggetta a regolamentazione da parte degli statuti comunali ma la sua organizzazione interna era lasciata interamente alle scelta dei suoi abitanti, questi edifici insistevano su più piani (anche 4 ma solitamente 2). Questo slancio verticale dipendeva dalla fame di spazio che caratterizzo la città con incremento demografico. Questi blocchi edilizi erano separati inizialmente da stretti vicoli, col passare del tempo sempre a causa del poco spazio, iniziarono ad addossarsi in blocchi di abitazioni. Il modulo base era composto in certi casi da un seminterrato, una bottega al pianterreno, mentre ai piani superiori vi erano le abitazioni. Fusione tra attività lavorativa e vita domestica: al primo piano le stanze di rappresentanza, al secondo le stanze private, poi la soffitta o un altro piano con cucina e focolare fino al XIV quando cominciarono a diffondersi i camini più sicuri contro gli incendi. Le stanze erano divise da tramezzi di assi in legno o in caso migliore da muratura. Lo spazio retrostante era occupato da un cortile (socialità). Nella Firenze del XV secolo, all’ultimo piano della casa si aggiunge la Loggia, affacciata sul cortile. La casa inoltre poteva allargare i suoi sporti protendendosi verso la strada (portici Bologna). Le abitazioni del popolo minuto nel caso migliore avevano la sala e camera, mentre nel caso peggiore si tratta di un unico locale. L’acqua si attingeva dai pozzi pubblici e si diffusero anche quelli privati. Nell’edilizia popolare mancavano i servizi igienici pertanto lo scarico si faceva direttamente sulla strada nonostante i divieti. Dal XIV cominciarono a fare la loro comparsa strutture fisse di scarico nelle fogne nelle abitazioni più altolocate. Nel Medioevo venivano cotti i cibi con i focolari anche nelle città ma questi favorivano fumo e incendi per questo si svilupparono lentamente, ma prima in città i camini a muro. Giovanni Musso attorno agli inizi del ‘400 scrisse che a Piacenza nel 1320 c’era una mancanza di camini che era dovuta all’abitudine molto diffusa di accendere il fuoco dentro la casa, cucinare e starci attorno; nel 1388 invece i camini erano molto diffusi. Il freddo, l’umidità e il caldo penetravano nelle abitazioni. Le finestre erano aperte e protette da tendaggi . A partire dal Duecento ci fu la sostituzione di queste ultime con impannate cioè intelaiature sulle quali si tendevano pezzi di stoffa incerata. I materiali da costruzione erano legno, pietra e mattoni. Ancora nel ‘200 l’edilizia in legno era molto utilizzata, si impiegava il legno per l’ossatura delle pareti, per gli elementi architettonici, per i pavimenti e le armature dei tetti. A quel tempo la legislazione vietava l’utilizzo di materiali combustibili per i tetti. Questo tipo di intervento contribuì a far diminuire il numero delle costruzioni lignee. Esisteva anche un edilizia mista che combinava pietra, mattone e legno. Le strutture meno solide erano invece quelle popolari mentre più resistenti quelle medio-alte. Per ricostruire il tipo di arredi e di suppellettili presenti nelle abitazioni di città sono utili le fonti scritte, gli inventari dei bandi mobili di differente condizione sociale di notai . Quantità e qualità dipendevano dalla disponibilità economica (mostrare il proprio status sociale); il letto del povero di pagliericcio posato su un telaio di legno, quello del cittadino medio-alto di legno pregiato. Casse, cassoni, contenevano il corredo e le proprietà delle famiglie più agiate mentre il povero ammassava le sue vesti su stanghe. Si tratta comunque, fino al ‘300, di un arredo essenziale. Tutto rappresentava un elemento di distinzione sociale. Tutte queste forme di costruzioni dalla più povera alla più ricca si giustapponevano in un tessuto urbano caotico e irregolare che tra ‘200 e ‘300 i governi cittadini sentirono l’esigenza di riordinare le sue linee di sviluppo con un programma di decoro urbano. CAPITOLO V. L’OCCIDENTE E GLI “ALTRI”. La conoscenza del mondo extra-europeo deriva dall’osservazione concreta della realtà ma anche da un immagine fantastica di quel mondo che era stata creata dal mito. Furono raccolte testimonianze di geografi e viaggiatori bizantini, arabi, ebrei, missionari. Quanto non si conosceva poteva facilmente sconfinare nel regno dell’immaginario a causa dell’incapacità di omologare nel proprio sistema politico, economico, etc. esperienze del tutto dissimili dalla propria quotidianità. Fondamentale importanza le informazioni fornite dai cosiddetti “viaggiatori”. Tra ‘300 e ‘400 Asia e Africa continuarono a essere ignote all’uomo occidentale. Del continente africano si conoscevano fino al XV secolo le zone costiere del Nord. Invece i rapporti con l’Asia furono ancora più stretti dal ‘200 (Marco Polo). I viaggiatori scrissero o dettarono ad altri ricordi, relazioni della loro esperienza fuori dall’ordinario. L’incapacità di rappresentare e descrivere il diverso fece si che nella visione di un mondo lontano si mescolasse realtà e fantasia. Sempre sospinti dal riconoscimento del superiore livello di civiltà del proprio mondo e delle proprie forme di vita, usi, costumi, l’altro, cioè il non-europeo, veniva sempre raccontato in riferimento ai caratteri della propria identità. L’interesse dei viaggiatori si soffermava sulla descrizione del paesaggio che non veniva mai considerato separatamente dagli uomini che lo animavano. L’attenzione era rivolta a un paesaggio umanizzato con elementi sia naturali che legati alla vita della comunità. Ecco che all’occhio del visitatore occidentale preme cogliere i luoghi della vita associata, città e fortificazioni. Pertanto quello che colpiva un viaggiatore era l’esperienza della vita nomade che caratterizzava stili di vita di nuovi popoli. Al posto di una casa saldamente ancorata a terra si notavano abitazioni come le tende che per quanto grandi e confortevoli, ma continuamente smontate, rappresentavano la sintesi di modi di vita completamente dissimili dai propri . La tenda inoltre rappresentava per il viaggiatore europeo lo sradicamento del proprio luogo di origine e la mancanza di un punto di riferimento. Questo era avvertito con forza dai viaggiatori dell’occidente spinti dal bisogno di certezze e sicurezza. Esperienza ben lontana dalla moderna concezione del viaggio, per l’uomo medievale rappresentava un faticoso destino, una dura necessità. L’ASIA CENTRALE E SETTENTTRIONALE A partire dal ‘200 l’orizzonte europeo comincio ad allargarsi verso l’Asia a causa delle invasioni Mongole: il fondatore dell’Impero mongolo fu Temujin, passato alla storia col nome di Gengis Khan che unificò le tribù dei nomadi della steppa mongolica e diede l’avvio all’opera di conquista della Cina divisa in tre stati fra loro ostili e anche del mondo islamico durante la crisi delle dinastie. Gengis Khan unifico tribù turche e mongole accomunate dalla stessa struttura economica e sociale. La struttura sociale, di tipo aristocratico, si fondava sul clan, mentre la struttura economica si basava sul possesso del bestiame e i diritti di pascolo. Dei metodi di guerra e dell’espansione dei mongoli ci racconta un persiano, Ata-Malik Juvaini. Khan influenzo i metodi di guerra che oltre all’intimidazione mediante la strage, prevedevano la devastazione delle campagne. L’espansione dei mongoli provocò gravi danni alle grandi civiltà agrarie, come quella cinese. L’inevitabile rapporto con le popolazioni sedentarie sottomesse fece si che il successore di Gengis Khan, il figlio Ogodei si ponesse il problema di organizzare un qualche embrione di apparato amministrativo e sentisse la necessita di dotarsi di una capitale, Qaraqorum, al centro della Mongolia, che consisteva in poche strutture fisse circondate dalle tende dei nobili e del popolo. Nel 1223 le armate mongole raggiungono le pianure russe; nel 1236 partì la vera e propria invasione dell’Europa fino in Polonia, Ungheria, Austria. Nel 1241 la campagna si arresto per l‘elezione del nuovo Khan. L’impatto sull’occidente dell’invasione mongola provocò un sentimento di terrore dovuto anche alla scarsa conoscenza dell’invasore. Furono i domenicani ungheresi a spingersi per primi verso Oriente, Guglielmo d’Ungheria nella pianura russa e raccolse notizie su quelli che chiamò tartari. Nel 1245 Papa Innocenzo IV decise di inviare suoi ambasciatori per una possibile alleanza militare con i mongoli contro i domini musulmani per esporre la fede cattolica e cercare di raccogliere informazioni su di essi. Il compito fu affidato agli ordini dei mendicanti, francescani e domenicani. • Domenicani: Ascelino da Cremona raggiunge Tibilisi gli altopiani del Karabagh. Il suo compagno di viaggio, Simone di Saint-Quentin ci parla dell’incapacità di dialogare e del disprezzo del domenicano nei confronti dei tartari. Odorico ci parla della Cina dopo la morte di Qubilai sotto il Khan Yesun Timur, proseguendo potremmo dire il racconto di Marco Polo, eppure in Odorico si sente maggiormente l’attaccamento al luogo d’origine, chiaro segno della nostalgia del viaggiatore, non a caso egli nel descrivere città e paesaggi del territorio li raffronta con quelli della nostra penisola. Nel racconto del francescano il Khan garantisce stabilità, d’altronde Odorico non poteva fare alto che presentare positivamente un regime assolutista, sul favore del quale i francescani dovevano poter operare nel paese. Il territorio cinese era popolato ma, più ci si spostava verso la Mongolia più la popolazione diminuiva. Odorico, in linea con gli altri Occidentali, vedeva nella città era il modello di riferimento del popolamento. Anche il Gran Khan Yesun Timur soggiorna a Cambaluc di inverno, invece non viene nominato il soggiorno a Tarcar Mondum nell’accampamento. L’INDIA E LE ISOLE DELL’OCEANO INDIANO. Odorico da Pordenone aver toccato le coste indiane nel suo viaggio di andata verso la Cina. Era sbarcato in India a Tana (adesso sobborgo di Bombay) e aveva toccato le coste di Sumatra, Giava e la costa indocinese per poi giungere in Cina. Il suo è un racconto nel quale si alternano elementi di verità ed elementi fantastici. Ci parla di Tana e in particolare del regno di Malabar dove era particolare il legname utilizzato per il fuoco aromatico (verzino). Anche nel Milione vi è una elencazione delle province visitate da Marco Polo , che ci fornisce anche indicazioni di distanze, usi, clima e costumi ma sempre mescolati a racconti fantastici. Polo, rispetto a Odorico, è più puntale nell’elencazione delle innumerevoli risorse economiche e naturali. Le isole erano ricoperte da un fitto manto boschivo con pochi insediamenti, semmai portuali, frequentati da mercanti musulmani, cinesi, e indigeni. Se il modello urbano era considerato uno degli elementi determinanti per valutare il grado di civilizzazione di un luogo da parte di un rappresentante della cristianità occidentale come Polo lo era anche per i mercanti, musulmani che molto prima degli occidentali avevano conosciuto le terre dell’Asia. Tra Mediterraneo e Oceano Indiano esistevano relazioni commerciali già dal I secolo e a partire dal VII si erano di nuovo sviluppati attraverso la mediazione bizantina e soprattutto musulmana dei mercati arabi e persiani. La creazione dell’Impero mongolo aveva permesso anche agli occidentali di poter visitare queste terre, ma queste per molto tempo queste erano soggette all’espansione politica, economica e religiosa dell’islam: difatti molti Khan si convertirono all’islamismo. Altro viaggiatore arabo Ibn Battuta viaggio esclusivamente nel Dar Al. Arrivato in India, le prime isole che raggiunse furono le Maldive, che erano abitate da un popolazione dedita alla pesca e a i commerci marittimi, convertiti all’Islam nel XII secolo. Erano soprattutto i commercianti musulmani che controllavano i traffici tra India e Cina (fino alla dominazione dei Ming, xenofoba). Nelle Maldive non esistevano città vere e proprie ed erano governate da una monarchia ereditaria. Sempre Battuta raggiunse l’isola di Ceylon (Sri Lanka), meglio organizzata da un punto di vista insediativo. Altra testimonianza delle abitazioni delle isole le abbiamo dal mercante Nicolò di Conti (1415 - 1439), parlando dell’isola di Sumatra ci dice che le case sono basse, invece nel suo Itinerario Lodovico di Bartema (1500 - 1508) ci dice che nell’isola di Sumatra vi era legno pregiato e che le abitazioni” erano basse, murate e ricoperte da gusci di tartarughe”; quindi caratteristica comune delle abitazioni era la loro bassezza, in quanto sviluppate a pianterreno. Altre case basse furono viste da Lodovico nelle Molucche. Col passare del tempo questi viaggi perdono le descrizioni favolistiche. Dal punto di vista geografico questo mondo era concepito come l’unione di tre Indie: India maggiore (attuale), India minore (sud-est asiatico) e l’India Meridionale che includeva l’Etiopia e le regioni del sud-ovest asiatico. Dell’India erano conosciuti i porti e gli scali commerciali verso i quali erano diretti i mercanti musulmani. Giovanni da Montecorvino ci parla di una frammentazione politica ed etnica dell’India. Nicolò di Conti ci parla di alcune città che aveva frequentato, tra cui Calicut, la città più grande e ricca dell’India. Le case viste dal Conti erano grandi con un raffinato arredamento ma la maggioranza della popolazione mangiava seduta su tappeti; la tavola e le stoviglie era uno status symbol delle classi privilegiate. Per Lodovico di Bartema ciò che rende un insediamento demico una città è la cinta muraria (parametro di distinzione tipicamente europeo). Parla ancora della città di Calicut dove era sbarcato l’ammiraglio Vasco Da Gama e dove si poteva notare la presenza portoghese grazie alla fortezza del re di Portogallo situata a Cananor. Le case sono di dimensioni modeste a causa del terreno friabile ed erano distanziate tra di loro per evitare incendi. Riguardo al palazzo del sovrano, a colpire l’italiano, oltre alle ricchezze, fu l’abbondanza di luci nelle sale delle udienze. Il sovrano mangiava seduto che sembra voler accomunare il re alla popolazione Indù. L’arabo Ibn Battuta arrivò per via terra raggiungendo Multan, avamposto del sultanato di Delhi. La penetrazione musulmana in India era cominciata nel XI secolo e nel 1206 Delhi fu proclamata capitale di un muovo stato militare musulmano. Nel sultanato un ristretta minoranza della popolazione, l’élite militare musulmana, imponeva la sua autorità sulla maggioranza indù traendo ricchezze dalle imposte sui raccolti. Due capitali Delhi e Dauladabad, la prima Ibn Battuta la descrive inizialmente come città grande e ricca, in un secondo momento invece spoglia e povera, questo perché la capitale si era spostata a Dauladabad assieme alla corte. L’AREA ISLAMICA Ibn Khaldun nei suoi Prolegomeni utilizza come materia d’osservazione le vicende della sua patria, devastata a più riprese dai nomadi beduini, ed elaborò una visione avente come tema centrale il ciclico scontro del mondo nomade con quello sedentario. I contatti tra nomadi-pastori e le società stanziali, da tempi lontanissimi, si erano sviluppati o all’insegna di un atteggiamento pacifico o di conflitto. A partire dal XVIII secolo a.C. gli invasori nomadi si riversarono sugli insediamenti agricoli saccheggiando città e devastando territori. L’ultimo grande movimento nomade si verificò nel XIII d.C. con i Mongoli e i loro alleati Turchi. Ma gruppi di nomadi continuarono anche in seguito a costituire una minaccia intermittente. L’Arabia preislamica presentava una struttura politica sociale ed economica diversa in base alle latitudini: a Sud vi erano tribù organizzate in città stato, dedite ai commerci; al Nord tribù di beduini nomadi dedite alla pastorizia; al Centro i beduini e città attive commercialmente (La Mecca era una di queste). Anche un raccolto insufficiente poteva costringere ad una vita nomade. L’espansione araba dei cavalieri del deserto li portò allo scontro con due importanti imperi: quello Bizantino e quello Sasanide, pertanto la vita sociale economica e politica mutò notevolmente, antiche città furono conquistate e altri centri vennero fondati (Il Cairo) . Tra VIII e XI secolo il mondo musulmano fu teatro di un prodigioso rigoglio urbano. Da Samarcanda a Cordova la civiltà musulmana divenne urbana. Il territorio soggetto agli Arabi appariva come un insieme di piccole isole urbane collegate da rotte commerciali. Lo storico Maurice Lombard sostiene che il movimento di urbanizzazione islamico dal VIII al XI secolo fosse superiore a quello dell’Impero Romano e facesse da contraltare a una crisi urbana dell’Europa continentale. Dal XI al XVI secolo si assistette all’espansione dell’Islam non solo come religione ma soprattutto come modello di civilizzazione. L’espansione fu favorita da nuove popolazioni nomadi islamiche come i Turchi Selgiuchidi. Le conquiste mongole misero a rischio la civiltà islamica ma alla fine essi dovettero confrontarsi con la loro cultura. Le tradizioni di vita nomadica continuarono a esistere anche nel mondo musulmano. Niccolò Da Poggibonsi in un pellegrinaggio in Terrasanta (1346) incontrò alcuni di questi nomadi la cui vita era fondata sui cammelli e sul depredare le carovane. Ma quello che colpisce i viaggiatori occidentali nel mondo musulmano è sempre la presenza di grandi popolose città come Baghdad, Damasco, Il Cairo, Alessandra, Samarcanda. LE CITTÀ. • Baghdad: All’incrocio tra Tigri e Eufrate, artigiani e operai edificarono un centro urbano a pianta rotonda raccolto intorno al palazzo e alla moschea principale, la crescita della popolazione favorì l’espansione verso Sud dove si sviluppò il quartiere dei commerci e dell’artigianato. Agli inizi del IX secolo la città aveva raggiunto un’estensione di 10 km per 9. Baghdad nel XII secolo affrontò un periodo di massimo splendore e di declino, ad esempio Ibn Battuta ne riconobbe la decadenza finale pure elogiandola, poiché da capitale (Abbasidi) era diventata un centro di provincia (Omayyade). Nel 1258 la città fu conquistata dai mongoli. Il principale materiale da costruzione non poteva che essere l’argilla (in quanto zona di fiumi), il legno era raro. Anche la pietra era poco utilizzata, la tecnica costruttiva più utilizzata era la muratura in mattoni; per le opere pubbliche potevano essere impiegati anche materiali di antichi monumenti, soltanto le case erano in mattoni ricoperti di gesso. • Samarcanda: In un territorio originariamente Sasanide troviamo la città di Samarcanda, crocevia delle rotte di traffico verso Occidente, Cina, India e Persia. Suddivisa in quattro cinte murarie concentriche. Al centro c’era la cittadella, poi la città, i sobborghi e la zona coltivata. Le strade erano lastricate e un canale forniva l’acqua al centro urbano, l’acqua era un bene primario in tutto il mondo musulmano. • Damasco: Capitale della dinastia Omayyade. La sua decadenza da capitale a città ci provincia, pur restando popolosa e attiva in campo agricolo e commerciale, si ebbe con la dinastia Abbaside (750), circondata da mura, l’acqua era portata tramite tubature, ma solo nelle case dei più ricchi. La città era inoltre piena di botteghe. Niccolò Da Poggibonsi ci dice che il legno era materiale di costruzione e ci parla del mosaico per i pavimenti delle abitazioni. • Il Cairo: Prima dell’epoca musulmana era ubicata la città greco-romana di Babilonia. I Fatimiti fondarono Il Cairo nel 972, i pellegrini occidentali nel ‘300 distinguevano ancora la città vecchia Babilonia e quella nuova: Il Cairo. Ciò che li colpì di più fu la grandezza della città. Le grandi dimensioni de Il Cairo erano dovute al fatto che oltre ad essere la capitale dell’impero mamelucco e residenza di tutta la classe dominate turca era il punto di incrocio delle vie commerciali ed anche un luogo di asilo per rifugiati dalle terre orientali. Si preferivano le pietre al posto dei mattoni per le opere pubbliche ma il mattone caratterizzava l’edilizia popolare, il legno era scarso e moto caro però vi era molta abbondanza di palme da dattero. Le abitazioni dovevano essere molto essenziali. Nel corso del ‘400 la città si presenta agli occhi dei viaggiatori frammentata in isole divise e delimitate da mura e porte, ai primi del ‘500 Ludovico da Bertema la trovò un po’ decaduta. • Alessandria d’Egitto: I pellegrini del ‘300 distinsero la città vecchia da quella nuova, aveva alte mura, un porto, intensi traffici commerciali, chiese, sinagoghe e soprattutto moschee. Ad Alessandria le case erano sopraelevate a causa del pessimo odore proveniente dall’entroterra. Fonti del XVII secolo dipingono una città in decadenza. Anche nell’Occidente arabo tra VIII e XI secolo ci fu una rinascita urbana. Nella penisola iberica a Cordova, in Sicilia a Palermo. Nell’Africa del Nord fu fondata Tunisi che si affermò come ottimo porto. Lo sviluppo dell’Africa settentrionale fu favorito dall’intensificarsi degli scambi commerciali con penisola iberica, Sicilia e con l’Africa più interna, il Sudan, mondo di oro e schiavi. L’AFRICA. Nel cuore dell’Africa si era sviluppato tra VIII e IX secolo il Regno del Ghana che sfruttò il commercio dell’oro. Nel XIII secolo ad esso si sostituì quello del Mali, convertito all’Islam. Lo stretto rapporto con mercati musulmani aveva portato alla creazione di quartieri musulmani nei principali centri. anche queste terre entrano a far parte del Dar Al-Islam. Ibn Battuta descrive la capitale dell’Impero del Mali come un cittadina priva di mura, i palazzi del sovrano, moschee e abitazioni della popolazione in fango intonacate. Dalla parte opposta dell’Africa a Kilwa (in Etiopia?) il nucleo abitativo era caratterizzato da piccole case di canniccio e fango, mentre i ricchi abitavano in case di pietra.
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