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Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente - Galetti, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto molto dettagliato del libro "Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente" di Galetti

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

In vendita dal 03/03/2020

FabioMe
FabioMe 🇮🇹

4.7

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Scarica Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente - Galetti e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente Premessa L’irrompere delle popolazioni barbariche, nomadi o seminomadi nel territorio dell’impero romano, portò alla convivenza e al confronto diretto nello stesso spazio umano e fisico di due mondi, di diverse culture. Tradizioni classiche e mediterranee e tradizioni barbariche si influenzarono reciprocamente nel lungo processo di formazione della civiltà europea. Partendo da ciò, si possono ricostruire le basi, l’evoluzione e le caratteristiche dei modi di abitare dell’uomo nel corso del Medioevo, nei loro diversi aspetti materiali, economici, culturali nell’ambito di una civiltà che nel corso dei secoli, con i suoi caratteri comuni e articolati, si spinse sempre più verso est, verso oriente. Ecco quindi che il mondo delle città e delle campagne europee medievali si popola non solo di uomini, ma anche di quelle strutture di legno, di paglia, di argilla, di pietra, di laterizio, in cui trascorrevano la loro vita agricoltori, nobili signori, borghesi. La casa, le tipologie insediative e, ancora meglio, i modi dell’abitare sono al centro del lavoro, perché l’abitazione è tante cose: realtà costruttiva materiale, ricovero e focolare di una famiglia o di un gruppo più allargato, punto di riferimento della tradizione famigliare e, quindi spazio circonfuso da un’aura di sacralità, luogo di residenza e di lavoro, strumento di lavoro, merce, simbolo di uno status sociale. Capitolo primo: Modelli insediativi a confronto nei primi secoli del Medioevo Nei primi secoli del Medioevo, culture e modi di vita diversi si scontrarono, si confrontarono, stabilirono un contatto diretto e prolungato. Le stirpi germaniche All’interno della complessa galassia barbarica, anche la sua componente germanica si presentava articolata e non omogenea, in particolare dal V secolo d.C. È soprattutto la ricerca archeologica ad aver contribuito a riconoscere i diversi ambiti culturali dell’area germanica. Le tribù germaniche al tempo di Tacito abitavano un <<paese irto di selve e infestato di paludi, più umido verso la Gallia, più esposto ai venti verso il Norico e la Pannonia: fertile di biade, sterile di alberi da frutta, ricco di bestiame da pascolo, per lo più piccolo>>, un paese dal clima rigido. Si dedicavano alla guerra di razzia, alla caccia, all’allevamento del bestiame e all’agricoltura. Gli uomini erano guerrieri. In tempo di pace, si dedicavano <<alla caccia, al sonno e ai piaceri della gola>>. Le altre attività, l’agricoltura e l’allevamento, oltre alla cura della casa e della famiglia, erano invece compito delle donne, dei vecchi e dei più deboli. Si trattava di gruppi seminomadi, in quanto non si soffermavano a lungo in un sito. Praticando un’agricoltura elementare, senza concimazione e riposo annuale dei campi, erano costretti con regolarità ad abbandonare le terre divenute improduttive per ricercarne altre più fertili. Dal punto di vista socio-politico, privilegiavano una condizione che si basava sui clan, che a loro volta formavano la tribù, cioè un gruppo di famiglie discendenti da un antenato comune, cui erano affidate le terre, la cui proprietà a livello individuale era sconosciuta. Il loro tessuto insediativo pertanto era caratterizzato dall’assenza di città (urbes) e dalla presenza di villaggi a maglie larghe, le cui abitazioni erano costruite interamente in legno, al massimo intonacate all’esterno con argilla. Siamo di fronte a un’edilizia semplice ed elementare, che si basava essenzialmente sullo sfruttamento delle risorse ambientali. Il legno, quindi, dominava come materiale da costruzione e il fatto che venisse messo in opera addirittura grezzo rimanda a insediamenti e a strutture destinati a durare per breve tempo, presto sostituiti o abbandonati. La loro vita quotidiana si svolgeva all’insegna della divisione di compiti tra uomini validi e donne, vecchi e bambini, scandita anche dal trascorrere delle stagioni. I guerrieri poi si dedicavano alle loro attività, sempre armati, mentre donne, vecchi e bambini si occupavano della casa e dei campi. L’agricoltura era di mera sussistenza, non favorita dall’impiego di attrezzi agricoli rudimentali, prevalentemente lignei, vista la scarsa abbondanza di ferro. Oltre che di cereali, si cibavano infatti di frutti selvatici, selvaggina fresca o latte rappreso e usavano <<una bevanda ricavata dall’orzo o dal frumento, fermentata a somiglianza del vino (la birra)>>. Accoglievano volentieri gli ospiti. La vita comunitaria rivestiva un ruolo importante, in una società non ancora fortemente segnata da rigide stratificazioni sociali. Un mondo di selve a volte impenetrabili costituiva l’habitat naturale con il quale costantemente dovevano confrontarsi. La foresta improntava di sé la loro vita quotidiana, ma dominava anche nel loro immaginario, nei loro atteggiamenti culturali, nelle loro credenze e pratiche religiose. Oltre che la cultura delle popolazioni germaniche, la foresta dominava la loro vita quotidiana, determinando scelte precise nei regimi alimentari e nelle loro tradizioni costruttive e architettoniche. L’arte del costruire si basava perciò esclusivamente sul legno, di cui per lunghissimo tempo ebbero ampia disponibilità di utilizzo. I nomadi delle steppe I nomadi delle steppe, di stirpe iranica o mongolica, che vivevano negli immensi spazi tra la Cina e l’Ungheria, dovettero esercitare una incisiva influenza sulle stirpi germaniche più orientali, con le quali erano venuti in contatto spingendosi verso Occidente. Si trattava di popolazioni nomadi che, vivendo su territori non adatti all’agricoltura, basavano la loro sussistenza soprattutto sull’allevamento del bestiame e alla ricerca di nuovi pascoli; erano contraddistinte da una frequente mobilità. Centrale nella loro vita quotidiana era il cavallo, che serviva per gli spostamenti, a volte di lungo raggio, e per i combattimenti e il cui ampio impiego essi diffusero anche tra le tribù germaniche orientali, con la conseguenza di dare inizio a un processo di trasformazione della tecnica bellica e degli assetti sociali al loro interno. Il sistema di vita nomadico era <<centrato sul possesso dei cavalli, base dell’alimentazione e base del sistema militare>>, sulla mancanza di sedi stabili, sulla guerra come fonte di arricchimento, sulla poliarchia tribale, su un <<metodo di governo punitivo efficiente ma senza consenso>> e su <<una minacciosa esuberanza numerica>>. Così come complessa e articolata era la galassia barbarica germanica, lo era pure quella dei popoli delle steppe. Per i primi tre secoli dell’era cristiana un sostanziale predominio fu detenuto dai Sarmati, ma nell’ultimo trentennio del IV secolo si imposero gli Unni, provenienti dall’Asia centrale, che diedero vita a un vastissimo impero che toccò il suo momento di massimo splendore con il re Attila verso la metà del V secolo. La partenza di questo popolo dalle sue sedi originarie nella steppa pontica diede l’avvio alla prima grande ondata migratoria da est verso ovest all’interno dell’impero romano, che coinvolse un ingente numero di stirpi diverse e ne provocò la definitiva trasformazione. La corte multietnica di Attila ha aspetti ferini e subumani del modo di vivere e il cui aspetto li avvicina agli animali. Hanno una figura umana, sebbene deforme. Barbaro è il loro modo di procurarsi i mezzi di sostentamento, non praticando l’agricoltura. Non sono mai protetti da alcun edificio. Tutti vagano senza aver sedi fisse, senza una casa o una legge o uno stabile minaccia dei Peceneghi rese necessaria una nuova migrazione, l’intera popolazione, sia quella agricola sia i membri delle comunità pastorali nomadi, si mosse verso la Pannonia, dove il suo stanziamento definitivo nel corso del X secolo ne determinò la stabilità insediativa permanente. Gli Ungari cominciarono ad abbandonare gradualmente la tenda e le abitudini della vita errante, a costruire abitazioni permanenti e villaggi e a dedicarsi alla coltivazione dei campi e a un allevamento più stanziale. La loro abilità di cavalieri venne d’ora innanzi messa a frutto soprattutto nelle attività belliche di saccheggio e razzia rivolte verso i regni occidentali, almeno fino al momento in cui anche le loro incursioni non cessarono. Già nel X secolo, il tessuto insediativo appariva caratterizzato dalla presenza di villaggi a maglie larghe, oltre che di piccoli o piccolissimi agglomerati, all’interno dei quali potevano coesistere tende e abitazioni fisse, che nel corso del tempo divennero prevalenti. Essi potevano anche essere delimitati da fossati. La tipologia abitativa più diffusa per la maggioranza della popolazione era la casa monofamiliare, per metà interrata, di forma rettangolare o quadrata, con gli angoli smussati e di modeste dimensioni. I muri in alzato erano di graticcio, mentre il tetto a due spioventi era per lo più ricoperto con canne o paglia. Consisteva in un solo locale, con il pavimento di terra battuta o ricoperto di legno o di pietre. Il focolare, in pietra o in argilla, era posto di fronte o a fianco dell’entrata a livello o scavato nel pavimento. Siamo di fronte a usi abitativi assai simili a quelli di molte popolazioni slave. All’interno dell’abitazione, per contenere le poche suppellettili, si ricavavano delle nicchie dalla parete interrata, dove parimenti si scavavano sedili; poveri pagliericci che servivano da letto. Diffusa era anche l’attività metallurgica, che si fondava sulla disponibilità di materiale e su tecniche consolidate da lunghissimo tempo in area pannonica, ma che doveva servire prevalentemente per la produzione di manufatti domestici. A partire dalla fine del VIII secolo, emersero altre nuove genti, provenienti in questo caso dalla Scandinavia. Quegli abitanti dell’estremo Nord del continente europeo che si spostarono allora dai loro confini geografici alla ricerca di nuove condizioni di vita, e lo fecero via mare, non formavano né un semplice pulviscolo di tribù, né una nazione unica. Vi si distinguevano i Danesi, nella Scania, nelle isole del Mare del Nord e nella penisola di Jutland; i Gotar nelle province svedesi d’Oster e di Vastergotland; gli Svedesi, attorno al lago Malar; i Norvegesi. L’espansione scandinava, tra il IX e XI secolo, articolata in una molteplicità di imprese dai caratteri diversi, si mosse secondo linee di tendenza ben precise, per lo meno agli inizi: i Norvegesi si diressero verso occidente, verso le isole Shetland, Far Oer, Orcadi, la Scozia, l’Irlanda, le cose della Francia settentrionale, l’Islanda; i Danesi si diressero verso le coste meridionali del Mare del Nord e l’Inghilterra centro-settentrionale e orientale; gli Svedesi si spinsero nell’area baltica e, risalendo i fiumi, si spinsero nelle pianure russe, giungendo fino al Mar Caspio, al Mar Nero, al Bosforo. Dopo le scorrerie a caccia di bottino da portare nelle proprie terre e in certi casi la creazione di nuovi stanziamenti permanenti, la loro pressione sulle civiltà meridionali andò lentamente scemando, parallelamente al consolidamento delle sovranità scandinave, all’impulso dato all’opera di dissodamento interno e a un lento adattamento ai quadri di una vita più regolare. I Normanni erano contadini, artigiani, mercanti, non meno che guerrieri. In patria erano soprattutto agricoltori. Avvezzi ad associare il commercio alla pirateria, crearono attorno al Baltico, nei ripari naturali della costa scandinava, tutta una serie di mercati fortificati, dove vendevano e acquistavano mercanzie che poi venivano smerciate capillarmente sui piccoli mercati locali, che servivano anche come luoghi di rifornimento. Il tessuto insediativo in un mondo di ampi spazi forestali era costituito da piccoli borghi in Svezia e Danimarca e da fattorie isolate in Norvegia e nella lontana Islanda. Le singole comunità erano costituite da quello che era il nucleo più saldo della società vichinga, la famiglia. Si trattava di una famiglia allargata, unita da forti legami di solidarietà, che tendeva anche ad abitare sotto lo stesso tetto. Era diffusa quindi la tipologia costruttiva della cosiddetta Hallenhaus/Hallhouse. Era costituita da un unico ampio locale; la struttura di base poteva poi essere allargata con l’inserimento di corpi secondari. Le pareti longitudinali erano costruite di tronchi e assi di legno, di graticciato, con gli interstizi riempiti da un amalgama di argilla e paglia; il tetto era ricoperto con tavole di legno, paglia e zolle erbose. Come protezione contro il freddo, le aperture erano ridotte al minimo: la luce penetrava soprattutto attraverso la porta d’ingresso e l’interno era rischiarito dalla luce vacillante del fuoco, attorno al quale convergeva la vita familiare. Vicino alla casa lunga vi erano rustici e servizi, tra i quali poteva esserci anche la casupola per i bagni di vapore, al cui pratica era diffusa tra i popoli nordici al pari di quelli slavi. La foresta influenzava in primo luogo le condizioni materiali di vita degli uomini, improntando di sé il modo di abitare. Il legno ancora una volta dominava in una tradizione costruttiva che è continuata non solo per tutto il Medioevo, ma anche fino ai nostri gironi. Capitolo secondo: Nelle campagne medievali: la casa contadina Le campagne tra tardo-antico e alto Medioevo Fra I e II secolo d.C. i ceti dirigenti della società romana possedevano vaste proprietà fondiarie, a volte distribuite in diverse regioni. I latifundia organizzavano e disciplinavano vaste masse rurali, di schiavi ma anche di piccoli coltivatori liberi, che integravano i loro insufficienti raccolti lavorando stagionalmente per i ricchi vicini. Latifondo e piccola proprietà convivevano. Vasti complessi residenziali nelle campagne, di cui si parlerà più avanti, si alternavano, quindi, a strutture di minori dimensioni, a piccole fattorie e a villaggi di maggiore o minore consistenza insediativa. I principi organizzativi delle grandi villae, dal punto di vista costruttivo, ispiravano anche le realtà minori. La struttura era formata da quattro o cinque stanze raccolte attorno a un corridoio centrale, circondata da servizi, rustici, edifici per la manodopera e dotata di un piccolo ma completo stabilimento di bagni. Intorno agli inizi del IV secolo fu protetta da un terrapieno, da un recinto e da un fossato. La crisi che investì il sistema economico dell’impero fra II e IV secolo d.C. cominciò a manifestarsi come crisi agricola e dell’organizzazione produttiva ad essa sottesa, la grande proprietà a conduzione schiavistica, determinando il lento degrado del paesaggio agrario, con l’abbandono delle terre, lasciate incolte o messe a pascolo. Ma grandi aziende agrarie sopravvissero e si mantennero, dandosi nuove strutture produttive e, nel periodo della crisi politica dell’impero, tra IV e V secolo, in una fase di perduranti difficoltà economiche, di decadenza delle città e dei ceti urbani, di gravi difficoltà di sopravvivenza per il ceto dei piccoli e medi coltivatori, costituirono, nella decadenza dei pubblici poteri e di fronte agli incipienti assalti dei barbari, nuove e forti strutture di aggregazione, anche dal punto di vista insediativo. Le grandi aziende agrarie di quei secoli, che si erano formate incorporando a un nucleo originario già consistente terre di piccoli proprietari in rovina o terreni abbandonati e incolti, che spesso godevano di una condizione di immunità fiscale e che erano solo in parte coltivate, erano gestite secondo un sistema di conduzione mista, che aveva già cominciato a prendere piede a partire dalla seconda metà del II secolo d.C., quando il sistema di produzione schiavistico, basato sulla gestione diretta delle aziende mediante l’impiego del lavoro schiavile e di manodopera salariata, era entrato in crisi. Le case isolate o raccolte in villaggi dei coltivatori si contrapponevano ai centri direttivi delle grandi villae, spesso fortificati e difesi da corpi di guardia, che fornivano protezione e difesa in un clima di disordine politico e di insicurezza. L’evoluzione in tal senso delle forme di organizzazione dell’habitat la si può riscontrare, ad esempio, nel cosiddetto Pays de France. Qui, già a partire dal I secolo d.C., l’insediamento era caratterizzato da una notevole densità insediativa e dalla progressiva affermazione di estese villae che costituivano il punto di coordinamento di fattorie e villaggi. Nel proseguo del tempo, tra V e X secolo, a fianco di un processo di decadenza più o meno accentuato nei diversi ambiti territoriali dei centri urbani, la campagna divenne sempre più il luogo primario di organizzazione della vita economica e sociale, oltre che in molti casi di quella politica, religiosa, culturale. L’impatto tra popoli <<barbari>> invasori e aristocrazia militare e senatoria, che aveva le sue solide basi economiche nelle grandi villae rurali, ebbe esiti differenti nei paesi. Nella penisola italiana, invece, l’invasione longobarda, intorno alla metà del VI secolo, provocò una frattura con il passato. Nuovi ceti dirigenti si affermarono, nuovi modi di gestione fondiaria si diffusero, legati alla decimazione degli antichi grandi e medi proprietari, sostituiti dai nuovi, e alla capillare e ampia diffusione della piccola proprietà contadina individuale e collettiva, intendendo in questo caso i beni comuni delle comunità di villaggio cui essa faceva riferimento. La casa contadina: le tipologie Nessun’altra struttura edile come la casa contadina sembra essere strettamente dipendente nella sua articolazione, nel suo impianto complessivo e persino nelle tecniche e nei materiali costruttivi impiegati nella sua edificazione, dal quadro economico e insediativo di riferimento. La dimora rurale è infatti il fulcro funzionale di una azienda agraria e costituisce la sintesi, sul piano insediativo, delle attività che si svolgono al suo interno. Essa corrisponde a un determinato sistema di conduzione della terra, a una particolare situazione dell’economia e anche al livello raggiunto dalle tecniche agrarie. Risulta pertanto estremamente difficile individuare, all’interno delle grandi varietà delle case di campagna costruite nei secoli del Medioevo, delle tipologie precise. Le varianti potevano essere dovute a innumerevoli fattori, come per esempio, la condizione sociale degli abitanti, le differenti attività economico-produttive che si svolgevano nell’azienda, le diverse modalità di conduzione della stessa e, quindi, di fruizione dell’abitazione, i tempi di permanenza di un nucleo familiare al suo interno, la consistenza numerica di quest’ultimo, l’ubicazione della struttura abitativa nel paesaggio circostante e il suo ruolo all’interno delle dinamiche del processo di popolamento di un determinato territorio, l’area economica e culturale di riferimento. È però possibile, anche se difficoltoso, come si è detto, individuare alcune tipologie prevalenti nelle campagne medievali europee. Una di queste è rappresentata dalla cosiddetta casa a <<corte>>, aperta o, più frequentemente, chiusa. La si può riscontrare già a partire dai primi secoli del Medioevo in svariati ambiti territoriali. Questa casa continuò a caratterizzare le campagne europee anche nel pieno e tardo Medioevo. È interessante notare come questa tipologia si presentasse con uno schema organizzativo analogo sia per case isolate sui campi che raggruppate in villaggi, sia per le abitazioni di coltivatori dipendenti che per quelle di piccoli e medi proprietari e anche per le residenze signorili, per lo meno nel corso dell’alto Medioevo. Quello che cambiava nelle diverse situazioni era l’estensione complessiva, l’articolazione sul piano dei servizi accessori del nucleo abitativo, oltre che naturalmente la disponibilità di uno spazio adibito alla vita privata più ampio e maggiormente attrezzato. L’abitazione in senso stretto era circondata da numerosi rustici e servizi, edifici separati quella con basamento in pietra, quella con basamento il legno o altro, quella a tecnica mista, quella della casa costruita con blocchi di terra pressata e messi in opera, quella a fachwerk. Del secondo gruppo fanno parte invece soprattutto capanne con la struttura portante all’interno di una escavazione, tra le quali sono stati individuati diversi tipi che rimandano alle strutture precedentemente descritte: ad armatura di pali, a blockbau, a canaletta, a tecnica mista, con basamento in pietra, a fachwerk. Il legno, come si è potuto vedere, variamente impiegato, aveva un ruolo molto importante nelle costruzioni rurali e non solo per i primi secoli del Medioevo, ma anche per quelli successivi; così come lo aveva anche per l’edilizia urbana. Il legno di quercia, forte e pesante, durevole e resistente, facilmente accessibile, doveva trovare un largo impiego nell’edilizia, accanto ad altre essenze, come il legno di conifera (abete) o di castagno o di olmo. Spontaneo è il rimando alla pratica di impiegare legno verde, non stagionato. Gli uomini del Medioevo, d’altronde, non trovavano difficoltà nell’approvvigionamento di questo materiale, dal momento che avevano a disposizione estese aree boschive cui poter attingere. Le tecniche elementari di lavorazione e messa in opera del legno, erano molto diffuse fra la popolazione delle campagne, che le conservò e tramandò, mettendole a frutto nell’edificazione delle dimore rurali, oltre che nell’edilizia <<alta>>, anche religiosa. Per lungo tempo, infatti, furono i futuri abitanti delle case a costruirle, con l’aiuto tutt’al più dei loro vicini. È a partire dai secoli XII-XIII che materiali e tecniche dell’architettura rurale cominciarono a cambiare. Si perfezionarono le tecniche di carpenteria, con l’impiego di legno lavorato e squadrato, il perfezionamento dei sistemi di assemblaggio del materiale, l’adozione di strutture di base più robuste. In secondo luogo, cominciò ad affermarsi progressivamente la tendenza a utilizzare materiali più resistenti all’azione del tempo rispetto al legno, all’argilla, alla paglia, come pietra e anche il laterizio. Continuarono però ad essere costruiti edifici in legno e altri materiali poveri. Consistettero in certe zone, soprattutto durante il basso Medioevo, case in pietra e case in legno, come nella parte centro-settentrionale della penisola italiana. L’utilizzo diffuso della pietra però, presentava tutta una serie di problemi di non poco conto: l’approvvigionamento non sempre facile, il trasporto del materiale dalla cava al cantiere, un’attrezzatura particolare per la sua lavorazione, il ricorso a manodopera specializzata per la messa in opera. I costi lievitavano, come pure i tempi di edificazione, che si allungavano, anche se i manufatti duravano poi a lungo. Un altro materiale solido e durevole che cominciò a diffondersi a partire soprattutto dal XIII secolo, fu il mattone cotto. Spesso però si trattava di materiali di reimpiego, provenienti dallo spoglio di edifici antichi, riutilizzati per intero o anche sotto forma di frammenti mischiati a malta. C’è da dire inoltre che la produzione laterizia che sembrava essersi mantenuta più durevolmente fu quella di manufatti per la copertura di tetti: le tegole. Nella restante parte dell’Europa si ritrovano costruzioni interamente o in parte di mattoni cotti fra Due e Trecento. La loro diffusione era legata a un affinamento delle tecniche di produzione del materiale, ma la loro edificazione poneva gli stessi problemi riscontrati per l’edilizia in pietra (approvvigionamento, manodopera specializzata). La diffusione del laterizio per la copertura dei tetti costituisce un altro fattore di trasformazione nell’architettura rurale dei secoli centrali e finali del Medioevo. Il sistema di copertura in laterizio era caduto in desuetudine nei primi secoli dell’età di mezzo ma si diffuse di nuovo nel mondo rurale fra XIII e XV secolo. Si presentava però caratterizzato dalla produzione di manufatti laterizi diversi rispetto al passato. Il sistema antico fatto di tegole piane, poste in file accostate e unite da tegole ricurve, fu abbandonato e sostituito dalla messa in opera di sistemi più leggeri, o di sole tegole piatte, su tetti pendenti e inclinati, o di sole tegole incurvate (coppi) su tetti non spioventi. La tegola piatta caratterizzava l’edilizia dell’Europa centro-settentrionale, mentre il coppo quella dell’Europa meridionale e mediterranea. Altri sistemi di copertura dei tetti, oltre a quello laterizio, furono impiegati per tutto il Medioevo, nonostante presentassero problemi e inconvenienti. In primo luogo quelli vegetali, come la paglia, il canniccio, il legno, sotto forma di tavolette. La copertura vegetale ebbe ampia diffusione sia in ambito urbano che rurale e cominciò lentamente ad essere sostituita solo nel tardo Medioevo, continuando però a caratterizzare l’edilizia più povera. Nelle regioni settentrionali si utilizzavano zolle erbose, che trattenevano la neve. La casa contadina: arredi e suppellettili Il perfezionamento delle tecniche costruttive a partire dal pieno Medioevo permise certamente l’edificazione nelle campagne, sia per gli insediamenti sparsi che per quelli accentrati, di case di maggiori dimensioni e complessità, a volte sopraelevate, favorendo una maggiore articolazione dello spazio interno ad esse. Un carattere comune a tutte le costruzioni era comunque l’oscurità che le caratterizzava. Le aperture erano molto poche; la porta di ingresso era spesso l’unica fonte di luce. Di notte era prevalentemente la luce del fuoco che rischiariva l’ambiente, oltre a fornire calore e a servire per la cottura dei cibi. Oscurità e fumosità caratterizzarono, quindi, l’abitazione per lungo tempo. Le condizioni abitative della popolazione contadina subirono un miglioramento con l’introduzione delle stufe da riscaldamento abbinate a stanze riscaldate e libere dal fumo (Stuben) e con la costruzione di camini, con cappa, canna fumaria, comignolo. Si trattò comunque di innovazioni di età tarda e che lentamente si diffusero nell’edilizia rurale. La Stube riscaldata da una stufa sembra essersi sviluppata nel XII secolo nell’area tedesca meridionale. Anche la struttura del camino preservava da incendi e fumo ma è solo a partire dai secoli centrali del Medioevo (XIII secolo) che il camino cominciò a prendere piede. L’estrema semplicità della vita contadina e, in molti casi, delle realtà abitative faceva sì che non venissero previsti servizi igienici al loro interno e probabilmente neppure strutture apposite all’esterno. I principali pezzi del mobilio erano di legno e costituiti dal letto, dal tavolo, da sgabelli e panche. L’armadio non rientrava nella tradizione del tempo, si utilizzavano i ganci per appendere i vestiti. Tra le suppellettili vi potevano essere, recipienti per cuocere i cibi, taglieri di legno. Capitolo terzo: Nelle campagne medievali: la residenza signorile La <<villa>> tardo-antica La villa tardo-antica era posta sotto la sovrintendenza di un villicus, un fattore, controllato a sua volta da un amministratore, il conductor, e aveva un suo centro direttivo, che costituiva un vero e proprio insediamento, sul quale insisteva un nucleo edile complesso, nel quale si contrapponevano la residenza signorile (villa urbana) e la fattoria (villa rustica). Quest’ultima doveva contenere tutte le strutture necessarie alla eventuale lavorazione e conservazione dei prodotti dell’azienda, sia dal punto di vista delle attività agricole che da quello delle attività di allevamento, come granai, stalle, fienili, magazzini, e inoltre anche cucine e alloggi per il ricovero temporaneo della manodopera salariata o per quello fisso degli schiavi. La villa urbana, destinata al dominus, nel corso del tempo tese ad avvicinarsi nella disposizione e nel lusso alle domus di città, anche se generalmente era di dimensioni maggiori. La parte <<urbana>> della villa, costruita con pietra, mattoni e leganti, si articolava unitariamente in diversi locali decorati con marmi, mosaici, affreschi, disposti attorno all’atrio scoperto e al peristilio, il cortile centrale scoperto attorniato da un colonnato. Lo spazio destinato al dominus si ampliava poi fino a comprendere portici laterali, giardini o grandi parchi, terme, padiglioni. Fra il IV e V secolo, molte ville furono fortificate. Della tradizione romana, del sistema della villa, fecero tesoro i Franchi, nell’elaborare quella forma organizzativa dell’economia e del lavoro che fu l’azienda curtense, che si diffuse, seppure con tempi diversi, in tutto il territorio europeo a partire dall’alto Medioevo. Dalla <<curtis>> alla villa rinascimentale La curtis costituiva un centro di aggregazione insediativa, sociale, politica, oltre che una grande struttura di organizzazione economica: non a caso fu alla base dello sviluppo di veri e propri poteri signorili, complementari dapprima e poi sostitutivi di quelli pubblici. A partire soprattutto dal IX secolo per l’Italia e dapprima per l’area franco-tedesca, rappresentò il sistema più diffuso dell’organizzazione della terra: in primo luogo e principalmente lo applicarono le grandi proprietà laiche ed ecclesiastiche o quelle regie, ma col tempo anche le medie e le piccole proprietà contadine tesero ad acquisirne la particolare fisionomia. Si poté parlare allora di sistema <<curtense>>. La sua caratteristica essenziale era la divisione dell’azienda agraria in due parti, complementari tra loro: la parte dominicale (pars dominicia) e il massaricio (pars massaricia). La prima era gestita direttamente dal proprietario attraverso il lavoro di servi, e dei contadini del massaricio, che erano tenuti a prestare un certo numero di giornate lavorative (corvées) su di essa. La seconda era frazionata in aziende minori (mansi), date in concessione a coltivatori dipendenti, di condizione libera o servile, che se ne occupavano in maniera autonoma e dovevano corrispondere al concedente, oltre alle prestazioni di lavoro sulla riserva dominicale, che garantivano l’unità funzionale di tutta la curtis, un canone annuo e dei donativi. Il rapporto tra signorie e contadini si configurava come un rapporto di potere, oltre che di lavoro, un rapporto che tendeva inoltre a uscire dai confini dei legami e degli interessi provati, in quanto il primo un po’ alla volta arrivò a praticare diritti di carattere pubblicistico. Ogni curtis aveva un suo centro direttivo, che costituiva un nucleo insediativo, nel quale vi era la residenza del dominus, a volte la dimora dell’amministratore, le abitazioni dei servi praebendarii, servizi e rustici, come edifici agricoli e adibiti alle attività di allevamento e artigianali. Il proprietario, specialmente se si trattava di un potente laico o ecclesiastico, generalmente non abitava continuativamente nel centro direttivo di una singola azienda curtense, in quanto doveva possederne molte, disseminate in zone diverse, e pertanto le visitava alternativamente, spostandosi dall’una all’altra con il suo seguito. Il Capitulare de villis, che, fra VIII e IX secolo, stabiliva norme dettagliate sulle modalità di gestione della villae del patrimonio imperiale, prevedeva che sui loro centri dominici, ben custoditi da recinzioni, vi fossero la residenza padronale, dei torcularia, locali per la vinificazione, dei cellaria, cantine per le vasculae da vino, delle scurias, magazzini o stalle utili per il pollame domestico, stabula, altri ricoveri per animali, opifici muniti di materiali e strumenti per la filatura, tessitura, tintura, riscaldati e protetti da recinzioni e da porte con infissi resistenti, cucine, forni, oltre a vivarios, peschiere, e agli edifici per alloggiare la manodopera servile, più o meno specializzata in una molteplice serie di attività agricole, di allevamento e artigianali. Il centro direttivo aziendale della curtis spesso era protetto e delimitato da recinzioni, che ne facevano una clausura, dando vita a una struttura insediativa <<a corte>> che abbiamo visto caratterizzare per lungo tempo anche l’abitazione contadina, isolata o ubicata in nuclei accentrati. È interessante notare la differenziazione netta tra i materiali impiegati per particolari residenze padronali, come quelle regie, rispetto a quelli delle case servili: pietra da un lato, legno dall’altro. Oltre a una maggiore villaggio fortificato, all’interno del quale abitava stabilmente una popolazione civile, oltre al signore e al suo corpo di armati, rispetto a una fortezza di esclusivo interesse militare, sede del potere signorile e che poteva offrire in caso di necessità un ricovero temporaneo a una popolazione che normalmente viveva fuori di essa. Dal Duecento in poi, anche qui, funzioni insediative e militari tesero sempre più a distinguersi nelle strutture fortificate, per fare fronte a nemici esterni. Villaggi rurali fortificati, di antico o nuovo impianto per opera dei Comuni cittadini, ville/fattoria anch’esse fortificate, case isolate comunque recintate e protette si affiancavano a castelli signorili, fortezze e apprestamenti di esclusivo interesse militare, che testimoniavano il perfezionamento dei sistemi difensivi, di pari passo con l’avanzamento tecnico di quelli offensivi. La realtà incastellata signorile, pur diversamente caratterizzata, doveva rispondere a due esigenze primarie: quella di essere una struttura concepita per essere razionalmente difesa e quella di servire da abitazione a un signore, alla sua famiglia, ai suoi servitori, ai suoi armati e anche ai suoi vassalli, oltre che eventualmente a una popolazione più allargata. Una struttura che caratterizzò, a partire dal secolo X, fu la motta, intendendo con questo termine un accumulo artificiale di terra battuta, circondato da un fossato e da una palizzata, sul quale si ergeva una torre, inizialmente quadrangolare e di legno, chiamata in francese donjon. Al pianterreno della torre vi erano depositi, magazzini, mentre al primo piano risiedeva il signore. Nel corso del tempo il castello <<a motta>> si rinnovò, con la sostituzione delle strutture in terra e legno con altre in muratura. Il donjon passò dalla pianta quadrangolare a quella poligonale e circolare, perfezionando così le sue capacità difensive. Il castello <<a motta>> non sembra avere avuto grande diffusione in Italia prima del secolo XII e anche nei due secoli successivi sembra essersi limitato a impieghi secondari e limitati. Il castello/villaggio, che sembra avere caratterizzato la realtà italiana, o il castello signorile non <<a motta>>, constava di una serie di opere di difesa diverse: in primo luogo una posizione favorevole, in secondo luogo un apparato fortificatorio che nei secoli X e XI consisteva soprattutto in fossati, terrapieni, siepi, palizzate, dotate o meno di merlatura, bertesche e trabocchetti in legno e terra, una torre. Il castello di quei secoli si presentava, quindi, rafforzato da opere difensive prevalentemente in legno e terra, materiali lentamente e un po’ alla volta sostituiti da una muratura in pietra. Per quel che riguarda le dimensioni, quattro classi di ampiezza dell’area racchiusa nel giro delle fortificazioni. Le diverse misure erano dovute a differenti fattori, come, tra l’altro, la consistenza numerica della popolazione da proteggere e del contingente militare, la maggiore o minore disponibilità di spazio edificabile, il potere economico e politico del signore. Lo spazio interno al recinto fortificato era generalmente occupato da case ed edifici rustici prevalentemente di legno, con il tetto di paglia o scandulae, assicelle lignee, o anche di muratura, e affiancati spesso da orti, vigne, alberi, spazi non edificati, disposti lungo una via principale o lungo viottoli secondari. Vi doveva essere una piazza, un edificio religioso, un cimitero, dei pozzi e, naturalmente, la dimora del signore. Nei secoli successivi si svilupparono i mezzi di attacco e questo comportò un parallelo perfezionamento di quelli di difesa. Si ricercò, quindi, una maggiore solidità costruttiva delle mura, aumentandone lo spessore e ricorrendo sempre più spesso alla pietra e al mattone anche negli elementi accessori; si provvide alla scarpatura di torri e cortine, si raddoppiarono i fossati, si introdussero sistemi di accesso più controllati delle porte si perfezionarono le difese periferiche; si costruirono torri di forma circolare e si rafforzò la copertura delle stesse e del palazzo signorile; fu innalzata una cerchia muraria più interna per proteggere la zona residenziale. Generalmente, gli elementi fortificatori erano scaglionati su tre ordini concentrici: vi era dapprima la cerchia muraria esterna, poi una nuova cinta più interna che delimitava quello che nella penisola italiana era chiamato dongione, cassero, girone, infine il complesso costituito dal torrione e dal palazzo signorile. Le residenze del dominus delle prime realtà incastellate si erano così venute rafforzando, fino a costituire il nucleo più munito e protetto dell’intero complesso. Nella dimora signorile, si è detto, pubblico e privato si compenetravano. Tra gli spazi pubblici vi poteva essere la cappella, ma sempre vi era la grande sala, riscaldata a partire dal tardo Medioevo da un grande camino, in cui il signore amministrava la giustizia, riceveva gli ospiti, teneva corte. Lo spazio privato, consisteva nei locali spesso riscaldati in cui si svolgeva la vita domestica della famiglia signorile. Al pari dei contadini, anche i signori vivevano essenzialmente all’aperto, allenandosi alla guerra, cacciando, esercitandosi nei tornei, semplicemente spostandosi da una fortificazione a un’altra. Ecco, quindi, che all’interno dello spazio chiuso e protetto loro riservato nel castello, si ritagliavano uno spazio verde, un giardino/frutteto, un <<simulacro di foresta>>. Capitolo quarto: Nella città medievale Il periodo tardo-antico e altomedievale La crisi economica dell’impero, tra II e IV secolo d.C., e la crisi politica, fra IV e V secolo, aggravate dagli assalti dei <<barbari>>, determinarono la decadenza dei ceti urbani e la crisi della città, non solo nei loro aspetti funzionali, ma anche nella loro conformazione materiale. Il loro declino, che in molti casi si aggravò nei secoli seguenti dell’alto Medioevo, e lo scontro/incontro tra modo romano e tradizioni germaniche provocarono una profonda trasformazione nell’organizzazione del tessuto insediativo urbano e anche dell’edilizia abitativa, costituita da un lato dalle residenze dei personaggi più eminenti e dall’altro dalle abitazioni della gente comune. Queste ultime spesso erano a uno o due piani e di modesta dimensione, con al piano inferiore botteghe e spazi di lavoro e alcune stanze a uso abitativo al piano superiore; in quelle a un solo piano prevaleva la destinazione abitativa. I grandi casamenti a più piani, le grandi case ad appartamenti, che sono state denominate insulae, erano ben diverse dalle domus unifamiliari e rappresentavano un fenomeno soprattutto legato ai grandi centri urbani: fenomeno ispirato da una forte pressione demografica, da un alto costo dei terreni e dall’esigenza di ricavare in un’area limitata numerose abitazioni e spazi commerciali. Le insulae si innalzavano su più piani e avevano la facciata principale sulla strada e quella secondaria su cortili scoperti. Il pianterreno era destinato a locali per le attività commerciali, mentre i piani superiori erano suddivisi in appartamenti, di varia dislocazione e metratura, per rispondere alle diverse esigenze e possibilità economiche dei loro abitanti. Si trattava di alloggi popolari o semipopolari, oltre che di vere e proprie case-dormitorio, in quanto erano prive di servizi idraulici, cucine o focolari, in genere dei servizi igienici. I loro abitanti potevano soddisfare i loro bisogni servendosi delle taverne e delle botteghe ubicate al pianoterra dell’insula, delle latrine pubbliche e dei piccoli e grandi impianti termali. Le domus signorili si basavano su di una pianta tendenzialmente quadrata o rettangolare. Era composta dall’atrio, dal peristilio, l’impluvio. Attorno al peristilio si disponevano i locali di abitazione. L’elevazione era ridotta al minimo. Sul peristilio si affacciavano locali eterogeni e autonomi, separati da corridoi, pareti, porte e tendaggi. La cucina in genere era decentrata e dotata di focolari. Pavimenti, pareti e soffitti erano decorati con mosaici, stucchi, dipinti, che costituivano un importante elemento di arredo. Nel campo dell’edilizia abitativa si assistette alla sostituzione di materiale da costruzione di tipo deperibile – per esempio, mattoni crudi, legno, paglia – messi in opera nelle case arcaiche, con altri in grado di assicurare una maggiore solidità e soprattutto durata agli edifici: in primo luogo il conglomerato cementizio, basato sul calcestruzzo e il laterizio, sotto forma di mattoni cotti o di coperture per i tetti. Dal IV secolo iniziò un periodo di trasformazione dell’edilizia abitativa urbana. Tra il IV e VI secolo si verificò la dissoluzione di una diffusa edilizia residenziale di livello medio- alto, rappresentata da lussuose domus e da strutture abitative tradizionali più comuni come edifici a due piani. La tecnica edilizia più diffusa sembra essere stata allora quella mista, nella quale si integravano il recupero e reimpiego di murature antiche variamente confezionate con l’uso del legno e di altri materiali deperibili e di leganti di maggiore o minore qualità (calce o argilla). La trasformazione del tessuto edilizio urbano proseguì fra VI e X secolo. Nella nostra penisola, bisogna sottolineare il fatto che la dominazione e l’insediamento dei germani Longobardi in parte provocarono una rottura, all’inizio anche violenta, degli equilibri precedenti, modificando le strutture istituzionali, economiche, sociali e la stessa organizzazione del territorio nelle terre poste sotto il loro diretto controllo. Nella <<Longobardia>> la decadenza urbana si accentuò, mentre la campagna diventò il luogo primario di organizzazione della vita economica, sociale e anche politica. I centri urbani che presentavano un aspetto marcatamente ruralizzato, contratti nella superfice complessiva o nell’area effettivamente frequentata, segnati dalla presenza non solo di zone abbandonate, con edifici in rovina, ma anche di campi, orti, giardini, vigne, frutteti. Si ritrovava anche in ambito urbano la struttura <<a corte>>. Da un lato ci fu un’edilizia di relativa buona quantità che testimonia la continuità di tecnologie costruttive romane riferita agli edifici religiosi e ai palazzi pubblici, dall’ altro, una edilizia più fragile e precaria, realizzata quasi esclusivamente in ambito familiare o di gruppo seguendo generiche conoscenze tecnologiche, particolarmente affinate però nella lavorazione del legno, in quanto rafforzate dalle consuetudini costruttive germaniche nell’uso di questo materiale. Nella <<Romania>>, in quei territori rimasti a lungo o del tutto intoccati dalla penetrazione di Longobardi e Franchi, gravitanti nell’orbita dell’impero d’Oriente, il legname con la tradizione romana sembra essersi mantenuto più stretto. In quest’area, le città continuarono ad avere un ruolo primario nell’organizzazione della vita politica, economica, sociale anche del loro territorio, che continuò non a caso ad essere strutturato secondo schemi antichi, di derivazione romana. L’edilizia residenziale cittadina era abbastanza complessa e articolata, che presentava caratteri nettamente diversi rispetto a quella delle città dell’area <<germanica>>. In età tardo-antica e altomedievale, nei territori dell’impero d’Oriente, si mantenne una certa vitalità urbana. Il periodo pieno-tardomedievale A cavallo del nuovo millennio, lo sviluppo agricolo e demografico, l’incremento degli scambi locali, regionali e internazionali e delle attività manifatturiere, favorirono il risveglio delle città: nuovi centri si formarono, soprattutto nell’Europa centro-settentrionale, mentre alcuni antichi si ripopolarono. Lo sviluppo cittadino fu importante perché all’interno delle città si andarono configurando nuovi assetti sociali, si sperimentarono nuove forme di vita politica (il Comune) ed emersero valori civili e culturali nuovi anch’essi. All’interno delle città, con maggiore frequenza rispetto al passato, iniziarono allora ad essere documentate abitazioni solariatae, come pure un’edilizia in pietra o mattone, a fianco di quella lignea, che comunque continuava ad essere prevalente. Il forte sviluppo dei centri urbani nei secoli posteriori al Mille fu generalizzato, ma si manifestò diversamente nelle varie regioni europee. Il confronto tra tutti i dati ha permesso di concludere che il 95 per cento del totale delle città medievali europee era costituito da centri settentrionale e centrale a quella meridionale, parallelamente alla penetrazione in quelle terre dell’influenza mongola. Una messe notevole di informazioni raggiunse l’Occidente, prima che i canali di collegamento con quei paesi si chiudessero con la caduta della dinastia mongola nel 1368. Un popolo di nomadi Il territorio abitato dai Tartari includeva il terreno in qualche zona molto montuoso, in qualche altra pianeggiante, ma quasi tutto era composto da ghiaia per lo più sabbiosa. In qualche parte vi sono dei piccoli boschi, mentre altrove la vegetazione è completamente assente. È un terreno coltivabile soltanto per la centesima parte, le acque e i ruscelli qui sono pochi e i fiumi poi rarissimi. L’unica attività pratica non poteva essere che l’allevamento del bestiame, <<sia pure in misura ridotta>>. Avevano <<una grande abbondanza di animali: cammelli, buoi, pecore, capre; i cavalli e le bestie da tiro>>. Non vi si poteva ritrovare il modello insediativo occidentale; <<non esistono villaggi o città>>. Accampamenti mobili, non centri demici fissi punteggiavano quelle lande inospitali. Imperatore e principi vivevano in tende, come d’altronde tutto il popolo; una tenda particolare, a struttura rotonda, che si è mantenuta pressoché invariata fino a oggi: la yurta. Sopra nel mezzo, hanno una finestra rotonda, dalla quale entra la luce ed esce il fumo, poiché, al centro, accendono sempre il fuoco. Le pareti e il tetto sono coperti di feltro ed anche le porte sono fatte di feltro. Alcune abitazioni sono grandi, altre piccole, secondo la maggiore o minore dignità di ognuno. Alcune si smontano e si ricostruiscono velocemente e possono essere trasportate su bestie da soma; quelle che non possono essere smontate sono trasportate su carri. I Mongoli avevano elaborato una struttura abitativa perfettamente funzionale alla vita nomade che sfruttava come materiale da costruzione quanto la natura circostante poteva fornire. Siamo di fronte a un prodotto ottimale, pienamente rispondente dal punto di vista tecnico alle esigenze di una struttura economica basata sull’allevamento. Naturalmente le tende dei principi mongoli, delle loro mogli e dell’imperatore si distinguevano dalle altre per la loro ampiezza e la ricchezza delle stoppe di copertura, dei parametri e degli addobbi. La vita del nomade in un ambiente ostile imponeva una certa semplicità dello stile di vita. Pertanto gli arredi interni alle tende erano ridotti al minimo: panche, qualche cassa come contenitore. Per riscaldarsi e cuocere i cibi accendevano il fuoco al centro della tenda. Nel territorio dei Tartari il legno era scarso. Non vi era neppure dovizia di suppellettili. All’interno delle tende non mancavano mai i numi tutelari: <<hanno certi idoli di feltro, fatti a somiglianza umana, che collocano ai due lati della porta delle abitazioni>>. Parimenti all’esterno collocavano davanti alla porta di casa altri idoli fatti di stoffe di seta su di un carro ornato e coperto. Oltre che svolgere una funzione propiziatoria essi avevano il compito di delimitare e proteggere lo spazio sacro rappresentato dall’abitazione/tenda. Regole ferree e disciplina regolavano la vita sociale dei Mongoli. Erano stati forgiati dalle difficoltà, ma avevano anche saputo adattarsi e sfruttare quel poco che avevano a diposizione. Costruiscono la loro abitazione su una base circolare fatta di rami intrecciati; anche lo scheletro interno della casa è fatto di rami che convergono in alto in un’apertura circolare dalla quale di innalza una specie di camini per il fumo. Il panno che ricopre la canna fumaria lo decorano con dipinti fantasiosi e belli a vedersi. Il panno di copertura era di feltro, fatta con lana grezza. Le corde che tenevano fissato il rivestimento alla struttura e che servivano anche per altri usi erano fatte di lana e per un terzo di peli di cavallo. Nella divisione dei compiti relativi all’organizzazione della vita quotidiana tra uomini e donne, erano queste ultime che dovevano occuparsi di produrre i panni di feltro per la copertura delle case oltre a guidare i carri, scaricare le case dagli stessi, mungere le vacche, lavorare il loro latte, conciare le pelli e trasformarle, cucire le vesti e le calzature, cucinare. Gli uomini, invece, dovevano costruire le case e i carri; dovevano poi fabbricare archi e frecce, morsi e briglie, custodire i cavalli, mungere le cavalle, produrre una bevanda di latte equino e fabbricare gli otri in cui si conservava, occuparsi dei cammelli. I bovini erano lasciati in gestione alle donne, gli equini agli uomini, oltre ai cammelli, mentre degli ovini e dei caprini si occupavano tutti. Le grandi tende di lusso dei principi e dell’imperatore dovevano invece essere costruite da artigiani specializzati, particolarmente apprezzati per la loro creatività artistica. Quando tolgono la loro casa dal carro che la trasporta per fermarsi per un certo tempo, rivolgono sempre la porta a sud e quindi collocano i carri con le casse subito dietro la casa, a distanza di un mezzo lancio di pietra. Così ogni casa viene a trovarsi tra due ordini di carri, come tra due muri. Anche all’interno della casa/tenda lo spazio era organizzato secondo un ordine e una gerarchia precisi, oltre a rispecchiare una disposizione a carattere rituale. Una volta che la casa è stata posata a terra e la porta rivolta a mezzogiorno, il letto del padrone viene posto nel lato nord. La zona delle donne è sempre quella orientale, cioè a sinistra di quella del padrone guardando verso l’entrata; gli uomini invece si stabiliscono nel lato occidentale, cioè alla sua destra. Partendo da nord le persone si disponevano nei rispettivi settori secondo il loro sesso e secondo un ordine gerarchico decrescente. Il Nord era la zona di massimo onore. C’era semplicità negli arredi. Come contenitori usavano ceste o sacche di cuoio. Un arredo essenziale era il letto, con materassi e coperte, dove si stava sdraiati per dormire ma anche per ricevere e mangiare. Per sedersi utilizzavano delle panche, che erano usate anche come piccoli tavoli. L’illuminazione era fornita da piccole lucerne o dal fuoco stesso. Per cuocere i cibi venivano impiegate pentole e scodelle di metallo. Anche i nomadi mongoli sentirono la necessità di darsi una capitale, simbolo dell’immenso potere conquistato. La loro capacità di dar vita a un modello urbano è giudicata positivamente. Caracoron/ Caracorum/Caracarum era stata ricordata per la prima volta come una città, a metà strada tra l’accampamento e la sede fissa, in quanto era costituita da un nucleo stabile e dagli attendamenti mobili dei signori e dei loro clan, a volte presenti a volte no, attorno al primo. Il nucleo fisso era di modeste dimensioni. Era circondato da un muro di terra e aveva quattro entrate. Al suo interno vi erano due quartieri: uno <<quello dei Saraceni>>, mercantile, molto frequentato; l’altro <<della gente del Catai>>, tutto artigianale. Vi erano poi <<i grandi palazzi dei segretari di corte>> e dodici <<luoghi di culto di sette idolatriche di diversi paesi>>, due moschee e una chiesa cristiana. Appena fuori dalle mura della città, a sua volta recintato da un muro di mattoni, vi era il palazzo imperiale. All’interno del recinto imperiale vi erano poi dei magazzini per le vettovaglie e per custodire le ricchezze del sovrano. La capitale mongola, era così da un lato il centro politico e amministrativo dell’impero oltre che vivace e dinamico emporio commerciale e centro artigianale, dall’altro il simbolo concreto del potere superiore del khan, che dal suo quartiere separato, dal suo palazzo sopraelevato rispetto all’insediamento urbano, imponeva la sua volontà. La Cina L’Impero mongolo subì una profonda trasformazione ad opera di Qubilai, che trasferì nel 1260 la capitale da Qaraqorum a Pechino, assunse un nome dinastico indigeno (Yuan) e si servì nell’amministrazione di funzionari locali. La Mongolia divenne una provincia, non più il centro, dell’impero e le regioni più occidentali godettero di una ampia autonomia con i loro khan. Il cuore dell’impero divenne la Cina, il Catai. La pax mongolica aveva permesso nella seconda metà del secolo XIII l’infittirsi dei collegamenti e degli scambi commerciali tra occidente e Oriente. Si formò quindi una nuova civiltà mongolo-cinese, quella tradizionale mongola era ormai ridotta a civiltà <<di provincia>>. Ecco quindi che le attività economiche produttrici di benessere e prosperità erano quelle legate alla coltivazione della terra, al commercio e all’artigianato e che il modello insediativo ottimale non poteva che essere quello urbano, o per lo meno quello sedentario e associato. I centri erano di antica tradizione urbana, ben strutturati in relazione alle esigenze della popolazione e delle attività svolte. Nella città vi erano inoltre <<molte belle case e torri di pietre e spesse>>. Le strade erano tutte lastricate con pietre e mattoni, come pure tutte le vie principale della regione. La differenziazione di materiali costruttivi per l’edilizia popolare e per quella “alta”, rispettivamente il legno e la pietra e il laterizio, doveva caratterizzare anche la città capitale, Cambaluc, l’odierna Pechino, frutto dell’unione di due centri urbani – l’uno di antica, l’altro di nuova fondazione -, separati da un fiume. Era <<murata di terra>>. La capitale era così popolosa che al di fuori delle sue mura, in corrispondenza delle porte, si erano sviluppati dodici borghi, molto estesi e popolati. Tra i palazzi reali il più importante e fastoso era quello di Cambaluc, di impianto regolare quadrato come la città. Il territorio cinese era in gran parte densamente popolato: nella Cina meridionale vi era <<tanta moltitudine di gente>>. Man mano che ci si avvicinava alla Mongolia, invece, il popolamento diminuiva e, soprattutto, cambiavano le modalità dell’insediamento. Si crearono veri e propri <<palazzi condominiali>>, probabilmente sviluppati in altezza per sfruttare al meglio lo spazio a disposizione in una condizione evidente di sovrappopolamento. Anche il Gran Khan Yesun Timur, come il suo predecessore, soggiornava a <<Cianbalau/Cambaluc>> durante l’inverno; in estate si trasferiva nella sede estiva, <<in una terra che si chiama Scindau, la quale è sotto tramontana, ed è la più fredda terra ad abitare del mondo>>. L’India e le isole dell’Oceano Indiano Purtroppo, scarse sono nell’opera di Odorico le informazioni relative alle modalità del popolamento nella penisola indiana. Le città costituiscono anche qui il quadro di riferimento dell’insediamento; città che sono generalmente connotate come scali commerciali e qualificate dalle loro principali risorse e attività economiche. Un’interessante nozione relativa al Malabar (regno di <<Minabor>>) riguarda il legname che si utilizzava per il fuoco: un legno aromatico. Le diverse isole dell’Oceano Indiano avevano innumerevoli risorse economiche e naturali: sono le isole delle spezie, dei legni pregiati, come il verzino e il sandalo. Si trattava di isole coperte da un fitto manto boschivo, che rappresentava forse la loro risorsa economica primaria, con pochi insediamenti, in genere scali portuali frequentati dai mercanti. Al di fuori tutto era <<selvatico>>, nulla aveva più a che fare con la civiltà. Erano soprattutto i commercianti musulmani che controllavano i traffici tra India e Cina, particolarmente attivi e vivaci fino al 1368, quando la rinascita della dominazione cinese sotto la dinastia Ming provocò reazioni xenofobe e la chiusura verso l’esterno. Essi davano vita a veri e propri insediamenti commerciali, racchiusi, come nel caso sopra descritto, in quartieri separati, con moschee, ospedali, bazar, case, all’interno dei quali nelle questioni civili e mercantili si seguiva la Sacra Legge. Le abitazioni erano costruite con estrema semplicità; le case erano molto basse, per difendersi dall’eccessivo ardor del sole. Nell’isola di Sumatra, ricca di legname pregiato, le abitazioni sono case murate di pietra, e non sono molto alte. Una caratteristica comune delle case isolane era quindi di essere basse, sviluppate a pianterreno.
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