Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente - Paola Galetti, Sintesi del corso di Storia Medievale

Case contadine e residenze signorili, castelli e ville rustiche, torri e palazzi del patriziato cittadino, dimore borghesi e abitazioni povere. Nei modi di abitare dell'uomo medievale, l'evoluzione e le caratteristiche degli aspetti materiali, economici, culturali della civiltà europea, anche nei suoi con il Vicino ed Estremo Oriente. Nei primi secoli del Medioevo, l'irrompere delle popolazioni barbariche nel territorio dell'impero romano portò alla convivenza e al confronto diretto di diverse c

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 18/03/2015

lucia8729
lucia8729 🇮🇹

4.7

(30)

6 documenti

1 / 43

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente - Paola Galetti e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! Uomini e Case Nel Medioevo tra Occidente e Oriente Paola Galetti 1 La Casa è nello stesso tempo dato materiale e immagine per gli uomini che la progettano, la abitano inserendola in un preciso ambiente che a sua volta modifica le loro scelte costruttive e insediative. La propria scelta abitativa è considerata l'unica possibile e la migliore in base al proprio grado avanzato di civiltà, considerando cosi le scelte altrui inferiori. Da questo scontro/incontro tra la civiltà romana e i popoli barbarici nei primi secoli del medioevo nacque una nuova realtà materiale e una nuova immagine mentale. Tramite il racconto di coloro che percorsero le vie terrestri e marittime in paesi stranieri possiamo ricostruire i modi di abitare e gli stili di vita di altre civiltà. Il visitatore occidentale viene affascinato dalle “stranezze degli altri mondi”, ma tuttavia mantiene come unico metro di riferimento e paragone il modello dell'organizzazione dello spazio Europeo . La casa dunque è il centro del modo di abitare: centro di lavoro , punto di riferimento della famiglia, uno spazio sacro, merce e simbolo di uno status sociale. Capitolo I: Modelli insediativi a confronto nei primi secoli del medioevo Nei Primi secoli del Medioevo con lo scontro/incontro delle tribù nomadi e semi-nomadi barbare con il mondo romano portò alla formazione di nuovi modelli insediativi e di organizzazione della vita. Le stirpi germaniche Il De origine et situ Germanorum (Germania), scritta da Tacito nel 98 d.C, si basa su informazioni reperite in opere precedenti (Cesare, Sallustio, Livio) e su testimonianze di militari e di mercanti. Essa ci offre una descrizione dettagliata della società e delle consuetudini germaniche ed è importante in quanto le stirpi barbariche avevano una cultura prevalentemente orale. Giulio Cesare fù il primo ad utilizzare il termine “Germani” per indicare queste popolazioni stanziate ad oriente del Reno, oltre il limes Romano, distinguendole dai Celti. Tra IV e V secolo, alla vigilia delle grandi migrazioni, si verificò una semplificazione del mondo germanico, con l’aggregazione di gruppi minori attorno a gruppi etnici dominanti e la creazione di stirpi di grandi dimensioni. I gruppi che si imposero nel tempo erano i Goti, Franchi, Vandali, Alamanni, Bavari, Longobardi. Le tribù germaniche al tempo di Tacito abitavano un mondo irto di foreste e paludi, sterile di alberi da frutta, ricco di bestiame da pascolo, dal clima rigido. Si dedicavano alla guerra di razzia, alla caccia, all’allevamento del bestiame e all’agricoltura. Si trattava di gruppi seminomadi in quanto non si soffermavano a lungo in un sito. Praticavano un’agricoltura elementare, senza concimazione e riposo dei campi, così erano costretti ad abbandonare spesso le terre divenute improduttive per altre più fertili. Tali attività agricole erano 2 e Slavi Meridionali (Sloveni, Croati, Serbi, Bulgari, Macedoni). Gli slavi erano soprattutto agricoltori, praticavano anche caccia, la pastorizia, la pesca, la raccolta di frutti spontanei, miele e funghi, seppur prima di stanziarsi nell’Europa orientale praticavano un’agricoltura solo parzialmente sedentaria ed erano quindi seminomadi. I loro primi stanziamenti erano costituiti da piccoli agglomerati, generalmente ubicati in località con facile accesso all’acqua. In seguito si formarono anche villaggi più consistenti, a pianta circolare, alcuni dei quali erano dotati di un cinta fortificata. Alla costruzione del fortilizio partecipavano diversi centri contadini, creando una comunità territoriale più ampia. In certi casi tutti i suoi membri vi si trasferivano al suo interno, ma più spesso esso rimaneva solo un luogo di rifugio in caso di pericolo o usato come luogo di riunione (es. foto villaggio e fortilizio di Tonow VII-X secolo). Sono state riconosciute dagli scavi archeologici tre tipologie costruttive delle abitazioni: - L’isba/izba: nella zona delle foreste, era costruita con tronchi scortecciati, appena sgrossati, incastrati gli uni sugli altri, poteva appoggiarsi sul terreno o anche essere sopraelevata su palafitte. Come anche le altre abitazioni non erano fatte per durare nel tempo, spesso venivano abbandonate in favore di nuove edificazioni. La suddivisione interna dello spazio prevedeva pochi vani, uno dei quali era riscaldato dalla presenza del focolare o anche in un angolo, dal forno, di creta in origine e poi in mattoni. - La chata: nella steppa, era fatta di argilla, sassi e sabbia, di rami d’albero o canne intrecciate e poggiava direttamente sul suolo. - La zemljanka: nella steppa boschiva, era per metà interrata ed era generalmente di forma rettangolare. Al di sopra della cavità si alzava un muro basso di tronchi e rami intonacati con fango, sul quale si posava un tetto a due spioventi ricoperto con terra. (Foto Brezno) Nella zona delle foreste usavano i bagni di vapore, sistemati dentro a fossati (saune). Gli Slavi, specialmente quelli occidentali, per immagazzinare i cereali scavavano nel terreno silos sotterranei profondi anche 2 o 3 metri, a forma di pera o di borsa, con il collo stretto e le loro pareti venivano bruciate col fuoco e poi ricoperte di paglia, poi chiuse da argilla. Inoltre per conservare il pesce in mancanza di sale o delle condizioni meteo favorevoli (sole) si utilizzava 5 un affumicatoio, un focolaio in buche a fior di terra o a forma di pera sui quali si disponeva il pescato. Il legno era comunque la materia base per la costruzione delle abitazioni, come pure dei complessi difensivi e dei ponti. Per le parti sopraelevate generalmente si usava la tecnica dei tronchi d’albero al naturale, sovrapposti orizzontalmente e incastrati all’estremità (Blockbau), e i tetti erano ricoperti con paglia, canne, tavole di legno o zolle di terra. La luce proveniva principalmente dalla porta d’ingresso, fumosità e oscurità prevalevano. Attorno alle abitazioni venivano spesso eretti granai, stalle e magazzini, sempre in legno. Gli oggetti di uso casalingo erano generalmente scarsi: recipienti e cucchiai di legno, catini, vasi e piatti di argilla, pochi coltelli di ferro. Verso la fine del IX secolo, fece la sua comparsa nell’area danubiano pannonica una nuova etnia, quella dei Magiari o Ungari. Stirpe di ceppo ugro-finnico, il cui nucleo originario, intorno al V secolo a.C., dalla Siberia occidentale si mosse verso la regione compresa tra il tratto medio del Volga e le montagne degli Urali. Nella prima metà dell’VIII secolo d.C. gli Ungari si diressero a sud, in una zona della steppa boscosa della regione del Don, dove vennero a contatto con i Khazari. Alla fine si stabilirono in Pannonia. Qui si fermarono definitivamente, consolidando nel X secolo una nuova patria, dalla quale per lungo tempo partirono per compiere razzie contro l’Occidente cristiano. Sconfitti dal sovrano germanico Ottone I nel 955, si stabilizzarono sul loro territorio, si convertirono al cristianesimo e si organizzarono come un regno autonomo che rappresentò un baluardo rispetto alla minaccia di altre stirpi di cavalieri nomadi. All’inizio della loro storia gli Ungari vivevano come gli altri popoli nomadi della steppa, già nel corso dei secolo VIII-IX, approfittando della protezione dei Khazari, una parte di essi si stabilì in villaggi e abbandonò la pastorizia per l’agricoltura e l’allevamento intensivo del bestiame. In Pannonia, come già detto, nel corso del X secolo si stabilirono permanentemente. La tipologia abitativa più diffusa era la casa monofamiliare, per metà interrata, di forma rettangolare o quadrata, di modeste dimensioni, i lati erano generalmente dai 3 ai 5 metri. I muri in alzato erano di graticcio, mentre il tetto a due spioventi era ricoperto di canne o paglia. Consisteva in un solo locale, con il pavimento di terra battuta o ricoperto di legno o pietre. La porta d’ingresso era rivolta verso sud o est per favorire la penetrazione della luce, dal terreno al pavimento interrato si scendeva con una rampa dolce, raramente con scale. Il focolare in pietra o in argilla o rinforzato con frammenti di vasellame, sassi e ossi di animali, era posto di fronte o a fianco dell’entrata, il fumo usciva dalla porta o dalle fessure nel tetto. Poche suppellettili, per le quali si ricavavano nicchie nelle pareti interrate, dove si scavavano anche sedili; poveri pagliericci servivano da letto. Producevano ceramiche e pentole, paioli, ciotole, piatti, fiaschi , 6 lucerne, diffusa era anche l’attività metallurgica. La ricerca archeologica ha riportato alla luce, dal 1968, una particolare struttura insediativa nelle pianure ungheresi, costruita a partire dalla metà del secolo X: il fortino di terra, dall’interpretazione ancora incerta, ma probabilmente si trattava di centri di potere o luoghi di rifugio, di residenza dei capi delle province, con annesse prigioni o anche centri della vita ecclesiastica. Dalle fonti occidentali emersero, a partire dalla fine dell’VIII secolo, altre nuove genti, provenienti dalla Scandinavia. Gli abitanti dell’estremo Nord del continente europeo, si spostarono allora dai loro confini geografici alla ricerca di nuove condizioni di vita, e lo fecero via mare. Vi si distinguevano i Danesi, i Gotar, gli Svedesi e i Norvegesi. Nelle fonti latine erano spesso genericamente indicati come “uomini del Nord” Nordman, ma anche come Viking. I Normanni erano contadini, artigiani, mercanti, non meno che guerrieri. In patria erano soprattutto agricoltori. Gli artigiani specializzati godevano di grande considerazione, come i fabbri e i carpentieri che oltre all’artigianato domestico e all’edificazione delle case, si occupavano anche della costruzione delle navi che permettevano alle schiere di avventurosi di solcare i mari in cerca di fortuna. Avvezzi ad associare il commercio alla pirateria, crearono attorno al Baltico, nei ripari naturali della costa scandinava, una serie di mercati fortificati, dove vendevano e acquistavano mercanzie che poi venivano smerciate capillarmente sui piccoli mercati locali, tra di essi emersero due località: Birka e Hedeby. Il tessuto insediativo in un mondo di ampi spazi forestali era costituito da piccoli borghi in Svezia e Danimarca e da fattorie isolate in Norvegia e nella lontana Islanda. Le singole comunità erano costituite da quello che era il nucleo più saldo della società, la famiglia. Si trattava di una famiglia allargata, unita da forti legami di solidarietà, che tendeva ad abitare sotto lo stesso tetto. Era diffusa la tipologia costruttiva della Hallenhaus. Costituita da un unico ampio locale, che poteva essere lungo circa dodici metri, preceduto a volte da un modesto ingresso; la struttura di base poteva poi essere allargata con l’inserimento di corpi secondari. Le pareti longitudinali tendevano a incurvarsi leggermente, a ricordare una nave capovolta, ed erano di tronchi e assi di legno, di graticciato, con gli interstizi riempiti da un amalgama di argilla e paglia; il tetto era ricoperto con tavole di legno, paglia e anche zolle erbose. Come protezione contro il freddo le aperture erano ridotte al minimo, la luce veniva soprattutto dalla porta d’ingresso e dal fuoco. Vicino alla casa lunga vi erano rustici e servizi, tra i quali poteva esserci anche la casupola lignea per i bagni di vapore. Lo spazio interno era arredato semplicemente. Vi erano banchi di terra lungo le pareti laterali, delimitati da assi di legno, che servivano come sedili e tavole, qualche cassone ligneo, i letti erano mobili e venivano posizionati solo alla sera. 7 La casa contadina: le tipologie La dimora rurale è il fulcro di un azienda agraria e costituisce la sintesi, sul piano insediativo, delle attività che si svolgono al suo interno. Benché difficoltoso, possiamo trovare delle tipologie prevalenti nelle campagne medievali europee. Essa è il frutto di un sistema economico e insediativo di riferimento, di un determinato sistema di conduzione della terra, delle tecniche agrarie, della condizione sociale dei suoi abitanti e della loro permanenza e del paesaggio circostante. Vi sono varie tipologie di case contatine. Una di queste è la casa a corte aperta o più frequentemente chiusa. Essa caratterizzerà le campagne europee per tutto il medioevo. Si trattava di un nucleo edile complesso, nel quale configuravano unitariamente strutture insediative diverse, ognuna delle quali aveva una specifica destinazione. L’abitazione in senso stretto era circondata da numerosi rustici e servizi, edifici separati che fungevano da forno, da cucina, da cantina, da locale per la vinificazione, da magazzino, da stalla, da granaio, da fienile o semplicemente da tettoia. Una corte centrale nella quale era ritagliato uno spazio per l’aia, ne costituiva l’elemento di raccordo. Vi poteva essere il pozzo, e sempre vi era l’orto. Questi elementi erano il più delle volte racchiusi in una “clausura” da recinzioni, naturali o artificiali, da fossati. La struttura a “corte” caratterizzò l’insediamento rurale della nostra penisola, fino addirittura ai secoli più tardi del medioevo, la stessa casa rurale mezzadrile si configurava secondo questa struttura. La casa era inoltre il centro di riferimento della famiglia e uno spazio delle tradizioni familiari e punto di raccordo con i propri antenati (sorta di sacralità). Un esempio concreto è dato dall'insediamento alto medievale di Piadena (Lombardia, fiume Oglio) riportato alla luce da gli scavi del 1984. Gli edifici erano interamente di legno e rettangolari, ricoperte di paglia e le pareti erano poggiate su travi orizzontali o in piccole cavità scavate. Un'altra tipologia insediativa è la cascina a corte mono-aziendale e nasce dall'esercizio esclusivo di una attività di allevamento (bovini). La si può riscontrare nelle campagne emiliane- romagnole, marchigiane e della bassa pianura lombarda. In Francia, Germania e Gran Bretagna l'archeologia del villaggio medievale è maggiormente sviluppata rispetto a quella italiana. Per la Germania lo scavo più importante è quello di Warendorf (Vestfalia) nel quale sono venuti alla luce i resti di 186 abitazioni di varia tipologia: case, rustici, granai, fienili e annessi. Ogni quindici strutture di esse vi era una dimora, siamo quindi di fronte allo schema del nucleo a 10 Villaggio Contadino Ciclo dei mesi (Aprile) castello del Buonconsiglio Trento Villaggio Contadino Ciclo dei mesi (Giugno) castello del Buonconsiglio Trento corte, nel quale si dividono gli spazi domestici, di lavoro e di allevamento. Le case erano a forma rettangolare o di barca, con una struttura di 4/3 pilastri per il sostegno e vi era un solo focolare. In Francia risalente al X sec. Sono stati ritrovati i resti di un villaggio con otto unità agricole. Le case, di forma quadrangolare, separate tra loro da strade, avevano una superficie di 80 MQ e infossate al livello del suolo. Con la casa a corte vi è una maggiore disponibilità di spazio, sia per gli uomini ma anche per gli animali ( es. unità agricole Oxfordshire: casa + unità agricole come pescheria, fienile, porcile, stalle e aia). La coabitazione di uomini e animali era prevista all’interno di una tipologia abitativa attestata per tutto il medioevo, come realtà abitativa elementare a sé stante o come struttura organizzativa della dimora all’interno di una casa a corte. Si trattava della longhouse la casa lunga, che accoglieva persone e bestiame. Aveva uno o due ingressi, in questo caso distinti tra uomini e animali, divisori che isolavano gli uni dagli altri oppure un unico ampio ambiente indiviso. Questa struttura sembra essere documentata più per l’area continentale e insulare del Nord Europa. Un esempio importante è il villaggio di Feddersen Wierde in Germania, che raggiunto il maggiore sviluppo economico tra il '300 e il '500 si ebbe un affiancamento delle attività artigianali a quelle agricole e di allevamento. Ciò incise anche sulle strutture abitative: case rettangolari e lunghe situate su rialzi artificiali, divise in due parti da una leggera travatura lignea, la parte grande per gli animali, quella piccola per gli uomini con al centro il focolare. La porta poteva essere una sola, sul lato corto o sul lato lungo al punto della divisione in due della struttura, oppure due porte nei due spazi sopra indicati. Troviamo questa tipologia abitativa nel villaggio di Wharram Percy (Yorkshire), abbandonato nel 1510 per lasciar spazio ai pascoli e riportato alla luce nel 1950. Le abitazioni rettangolari (23x6 m), suddivise in due zone (uomini e animali) avevano l'entrata in uno dei due lati lunghi ( o due faccia a faccia uno per le persone e uno per il bestiame), erano recintate con orti e frutteti. La struttura della casa lunga si ha anche nella zona di Costwold Hills, in Inghilterra, qui le case potevano misurare fino a 30m, nelle quali la parte riservata agli uomini era poco più di un terzo della struttura (importante allevamento di pecore). I materiali utilizzati erano prevalentemente legno e pietre focali con argilla. I tetti erano ricoperti in paglia, su un’armatura lignea ( in epoca più tarda di lastre di ardesia). All’abitazione organizzata a corte si contrapponeva quella a struttura unitaria o elementare. Ovvero a un complesso di edifici separati e rispondenti a diverse esigenze, si contrappone, quindi, un unico edificio costituito da un vano multiuso nel quale veniva ritagliato 11 uno spazio per il bestiame. La casa elementare costituiva il ricovero fragile della parte più povera della popolazione contadina. Ma la si ritrova anche in centri demici e incastellati e sembra aver connotato poi l’insediamento rurale nei territori dominati da Bisanzio verso oriente. Il villaggio in campagna era il centro dello sviluppo rurale e unità amministrativa, fiscale e culturale. Esso poteva essere accentrato o sparpagliato. Solitamente le case rurali avevano una pianta rettangolare o irregolare, consistevano di una, due o tre stanze, una delle quali dotata di focolare. Nel caso di edifici a più vani, uno doveva essere dotato di focolare, mentre un altro doveva essere adibito alla conservazione delle scorte cerealicole, immagazzinate in phitoi, grandi recipienti di terracotta, o in goubai, pozzi scavati nel terreno, e del vino contenuto in grandi recipienti di nome pitharia (Esempi : Italia → Poggio Imperiale nel Senese; in UK → Suffolk ma con la presenza di edifici minori in legno e paglia per le attività tessili; in Francia → abitazioni a Dracy suddivise in due parti con ognuna una porta, a nord la stalla con un piano sopraelevato adibito a granaio e a sud la parte col focolare per le persone). Quando l’abitazione si sviluppava verso l’alto, al piano superiore vi era la dimora della famiglia, dotata di pochi e poveri arredi. I materiali da costruzione erano quelli reperibili in loco (a Bisanzio in base alle condizioni climatiche e geo-morfologiche, ad esempio si utilizzavano pietra e mattoni e raramente il legno). La sopraelevazione poteva riguardare sia le singole abitazioni a struttura unitaria o elementare, che la dimora in un nucleo a corte. Si trattava però di una tipologia che si affermò molto lentamente nelle campagne, a lungo perdurò la tradizione costruttiva degli edifici rurali sviluppati a pianterreno. Questo per molte ragioni. In primis poiché le case terraneae erano più semplici architettonicamente e la loro edificazione era resa possibile da conoscenze tecniche diffuse tra la popolazione rurale, e poi per il costo economico, sia dei materiali che per la manodopera che doveva essere, per la casa solariatae, specializzata. Essa rappresentava, inoltre una spia delle differenze socio-economiche. La casa a sviluppo verticale interessò più i centri cittadini all’interno dei quali i problemi di organizzazione dello spazio erano più pressanti. La penetrazione anche economica della città nel suo territorio portò alla diffusione, anche per l’abitazione sparsa sul podere, del modello della casa solarium , solido e robusto investimento necessario per la redditività dell’azienda del proprietario cittadino borghese. Ne è un esempio la casa mezzadrile della Toscana nel tardo medioevo, che si presentava, all’interno della struttura a corte, con un pian terreno costituito da uno o due locali e un solaio raggiungibile con una scala interna in legno o una esterna in pietra. 12 dimore a corte fu quella di porlo al di fuori dell’abitazione, in un annesso separato che fungeva da cucina usando per il riscaldamento degli scaldini o dei bracieri. Altre soluzioni potevano essere quelle di posizionare il focolare al centro del locale o lungo le pareti laterali o in un angolo, cercando di isolare il fuoco con pietre, argilla o infossandolo nel pavimento. Ma l’ambiente comunque, date le poche aperture era sempre pieno di fumo. Le condizioni migliorarono con l’introduzione delle stufe da riscaldamento abbinate a stanze riscaldate e libere dal fumo (stuben) e con la costruzione di camini con cappa, canna fumaria o comignolo. Con il termine “Stube” si indicava un locale riscaldato, libero dal fumo, perché il calore proveniva da una stufa, murata con argilla e pietra, la cui parte posteriore, con l’apertura per l’alimentazione del fuoco era posta in un vano all’esterno, mentre la parte ad arco, da cui si diffondeva il calore, si trovava nel locale interno ( stufa: origine romana ma si sviluppa nel XII secolo nell'area tedesca centrale e in quella meridionale fatico sviluppandosi prima in città e poi nelle aree rurali). Essa era il centro della vita domestica. Anche la struttura del camino preservava da incendi e fumo. Inizialmente si trattava di una cappa posta sul focolare, collegata a un condotto di lastre rivestite d’argilla sovrapposto alla parete, che portava il fumo all’esterno; in seguito il condotto trovò posto all’interno del muro, nel caso delle costruzioni in pietra o laterizio. Non erano previsti servizi igienici all’interno delle abitazioni e probabilmente nemmeno apposite strutture all’esterno. Al massimo s'individuavano luoghi per tali funzioni non sempre appartati (promiscuità → pudore diverso da quello odierno). Per quel che riguarda gli arredi e le suppellettili sempre vi era l’essenzialità della dotazione domestica di beni mobili e si deve considerare le differenze in base alla condizione sociale (qualità e rifiniture). La presenza promiscua di suppellettili rispondenti a esigenze diverse si collegava alla poli-funzionalità degli ambienti. Vi è la tendenza a riparare e a conservare gli oggetti, essi rispondono ad esigenze di utilità più che di bellezza. I principali pezzi del mobilio erano di legno e costituiti dal letto (quando vi era e non si trattava quindi di un giaciglio), dal tavolo. Da sgabelli e panche, cassoni e cassapanche. Ganci, scansie o rientranze nelle pareti servivano per appendere e riporre vestiti e oggetti di uso comune, l’armadio non rientrava nella tradizione del tempo. Tra gli oggetti vi erano strumenti per il fuoco, recipienti per cuocere i cibi, contenitori per conservare le vivande, per la mensa, taglieri di legno, più diffusi di piatti, scodelle, coltelli e cucchiai. Potevano essere di materiali deperibili come legno, ceramica e raramente in metallo. 15 Capitolo III: Nelle campagne medievali: la residenza signorile Abbiamo visto come fosse mutata la società romana con le invasioni dei popoli barbari prima dell'inizio del medioevo: decadimento dei centri urbani, crisi agricola ed economica e la maggioranza della popolazione era ridotta in condizioni disagiate rispetto a un ristretto ceto di ricchi potenti. Fu proprio nei loro possedimenti che si sviluppò il sistema della villa. La “villa” tardo-antica La villa tardo-antica era posta sotto la sovraintendenza di un villicus, un fattore, controllato a sua volta da un conductor, un amministratore e aveva il suo centro direttivo, che consisteva in un vero e proprio insediamento, sul quale insisteva un nucleo edile complesso, nel quale si contrapponevano la residenza signorile, villa urbana, e la fattoria, villa rustica. Quest’ultima doveva contenere tutte le strutture necessarie alla lavorazione e conservazione dei prodotti dell’azienda, sia dal punto di vista delle attività agricole che da quello delle attività di allevamento, come granai, stalle, fienili, magazzini, edifici contenenti strumenti per la produzione del vino, dell’olio, cucine e alloggi per il ricovero della manodopera salariata o degli schiavi (ergastula). La villa urbana, destinata al dominus somigliava alla domus di città, ma con dimensioni maggiori in quanto vi era una maggiore disponibilità di spazio edificabile. Essa era costruita con pietra, mattoni e leganti,si articolava in diversi locali decorati con marmi, mosaici, affreschi, disposti attorno all’atrio scoperto e al peristilio, il cortile centrale scoperto e attorniato da un colonnato. Lo spazio destinato al dominus si ampliava fino a comprendere portici laterali, giardini, parchi, terme, padiglioni. Un esempio di villa lo è per esempio quella di Sette Bassi, vicino a Roma, con un estensione di circa 7 ettari. Nella residenza padronale vi erano ambienti lussuosi, un ippodromo-giardino, edifici termali (rifornite dall'acquedotto derivato dall'aqua di Claudia). Un altro esempio è la villa di Chiragan, sulla Garonna (Tolosa) con un estensione di 50 acri e in grado di ospitare fino a 400 persone. La parte signorile era ben distinta dalla parte rustica e recintata da un muro. Tra IV e V secolo molte ville furono fortificate. Della tradizione romana del sistema della villa, fecero tesoro i Franchi, nell’elaborare quella forma organizzativa dell’economia e del lavoro che fu l’azienda curtense che si diffuse nell’alto medioevo. 16 Dalla “curtis” alla villa rinascimentale La curtis costituiva un centro di aggregazione insediativa, sociale, politica, oltre che una grande struttura di organizzazione economica: non a caso fu alla base dello sviluppo di veri e propri poteri signorili. A partire in particolare dal secolo IX per l’Italia e per l’area franco-tedesca, rappresentò il sistema più diffuso dell’organizzazione della terra, applicato prima dalle grande proprietà ecclesiastiche e regie e successivamente anche dai medio-piccoli proprietari terrieri. Il sistema curtense è caratterizzato dalla bipartizione della curtis: pars dominica, pars massaricia l'obbligo per il massaricio a corrispondere una corvée. Il rapporto fra signori e massari assunse carattere pubblico fino all'esercizio della. iustitia dominica. Ogni curtis aveva un suo centro direttivo, che costituiva un nucleo insediativo, nel quale vi era la residenza del dominus, le abitazioni dei servi prebendari, servizi rustici, il tutto in modo da rendere l’azienda autosufficiente in molti casi. Il proprietario non vi abitava fisso in una azienda in quanto ne dovevano possedere altre e perciò si spostava da corte a corte. (Es. monastero San Giulia di Brescia → corte a Nuvolera, una ad Alfiano). Il Capitulare de villis, che fra VIII e IX secolo, stabiliva norme dettagliate sulla modalità di gestione delle villae del patrimonio imperiale, prevedeva che sui centri dominici, ben custoditi da recinzioni, vi fossero la residenza padronale, dei torcularia, per la vinificazione, dei cellaria, magazzini, stalle per ogni genere di animali, opifici muniti di materiali per la filatura, tessitura, tintura e altri ricoveri per animali (porcili, vaccaritias) e infine cucine e forni. Il centro direttivo aziendale della curtis spesso era protetto da recinzioni (lignee con porte in pietra), che ne facevano una clausura, dando vita a una struttura insediativa “a corte”, che abbiamo visto caratterizzare per lungo tempo anche l’abitazione contadina isolata. Dalla fine del IX secolo, in un periodo di grandi instabilità politica e generale insicurezza, molte 17 antichi e medievali: dove acquistare, come coltivare, comunicazione fra campi e vigne, dimensioni della corte e utensili. La parte della corte abitata dal padrone era spesso affiancata da un giardino/frutteto/orto, che allietava lo spirito e dava conforto, ma allo stesso tempo aveva una destinazione produttiva. Il settore frequentato dai contadini doveva comprendere invece, attorno a un cortile centrale, le case per i lavoratori, le stalle, il pollaio, il forno, i granai, il fienile, la cella per il vino (Fontains, regione francese della Brie → grande dimora con sala e tra vani a pian terreno e altri tre al piano superiore, tutti riscaldati + granaio/fienile a due piani, una casa a due stanze, cantina interrata e ricoveri per animali → tutto circondato da un muro). Il trattatista Pier de’ Crescenzi a fianco di questa villa/fattoria individua inoltre un’altra possibile struttura insediativa padronale, rispondente alle esigenze dei più ricchi e potenti proprietari terrieri. La villa signorile fuori città, luogo del riposo e della villeggiatura, improntata all’ostentazione dell’eccessivo, anche negli arredi e nelle suppellettili, mai troppi, ma lussuosi e decorati, il cui sfoggio tendeva alla messa in scena sociale, a costituire il simbolo del prestigio del proprietario. Essa si inseriva in una campagna riconquistata, ordinata, in un paesaggio agrario in cui l’uomo, aveva incominciato a imprimere forme più elaborate, non solo di carattere tecnico ma anche estetico. Il gusto per il “bel paesaggio” trova piena rispondenza nella villa italiana del Rinascimento, laddove lo spazio risulta ordinatamente e sfarzosamente organizzato e l’armonia dell’insieme si riflette anche nei giardini domestici, improntati a un ritmo si simmetria e semplicità. Ne è un esempio la villa medicea di Cafaggiolo, che riprende le forme del castello, affiancata da servizi e annessi e circondata da un giardino all'italiana e alberi. Un altro esempio è la villa Bentivoglio (Giovanni II Bentivoglio 1475- 1481), della quale abbiamo una descrizione del poeta Sabadino degli Arienti → frutteti, giardino, ponti, abitazione lussuosa e con bei ornamenti su due piani. Le residenze fortificate Già dall’età tardo-antica, nelle campagne europee, di fronte a un senso diffuso di insicurezza dovuto alla crisi del potere centrale e alle invasioni barbariche, case isolate, villaggi rurali e residenze signorili si erano circondati di recinzioni più o meno solide per proteggersi dai pericoli esterni. Accanto a queste strutture ve ne erano altre di tipo militare, come i castra che punteggiavano i confini tra i territori longobardi e bizantini (Paolo Diacono). Ma è fra il secolo IX e il X, in seguito alla crisi dell’impero carolingio e al pericolo rappresentato da Ungari, Normanni, Saraceni, che nelle campagne cominciò a svilupparsi un’organizzazione difensiva diffusa. Castra/castella di antica fondazione si sommarono a fortificazioni di nuclei insediativi 20 Veduta castello di Sabbionara metà 1300 preesistenti, in particolar modo di centri direttivi si sistemi curtensi o fortificazioni di nuova progettazione (siti scelti con attenzione). Nella generale debolezza delle grandi strutture di inquadramento territoriale (impero, regni) la società trovò nuove forme di aggregazione, in primo luogo attorno ai potentes che avevano cominciato a esercitare un tipo di autorità pubblica. Molto spesso centri direzionali furono incastellati e si generò una fitta rete di castra di maggiore o minore importanza, parallela a una trama di poteri signorili (aggregazioni attorno a famiglie e a personaggi importanti). In Italia, a differenza dell’Inghilterra e dell’Europa continentale, sembra prevalere un castrum inteso come villaggio fortificato (case, fattorie e castelli signorili). La realtà incastellata signorile, doveva rispondere all’esigenza di una difesa razionale e quella di servire da abitazione del signore e della sua famiglia, servitori, militari, vassalli e ad una parte di popolazione. Una struttura che caratterizzo dal X secolo la Francia, la Germania, la Gran Bretagna e arrivò anche in Sicilia fu la motta, intendendo con questo termine un accumulo artificiale di terra battuta, circondato da un fossato e da una palizzata, sul quale si ergeva una torre, inizialmente quadrangolare e di legno, chiamata in francese donjon (pianterreno → depositi e magazzini; piani superiori vi abitava il signore; intorno vi poteva essere un ulteriore recinto per proteggere edifici di servizio, abitazioni, ricoveri in caso di bisogno). Nel corso del tempo il castello a motta si rinnovò, con la sostituzione delle strutture in terra e legno con altre in muratura. Il donjon passò dalla pianta quadrangolare o rettangolare a quella poligonale e circolare perfezionando le sue capacità difensive. Il castello/villaggio, che sembra avere caratterizzato la realtà italiana, o il castello signorile non “a motta”, constava di una serie di opere di difesa diverse: una posizione favorevole, un apparato fortificato di fossati, terrapieni, siepi, palizzate, dotate o meno di merlatura trabocchetti in legno e terra, una torre. In Italia l'uso della muratura fu più precoce rispetto alla Francia e per quanto riguarda le dimensioni dell'area racchiusa: dai due ettari per le misure alte ad un minimo di un decimo di ettaro per quelle medie e basse (popolazione). Lo spazio interno al recinto fortificato era generalmente occupato da case ed edifici rustici prevalentemente di legno, con il tetto di paglia o scandulae, assicelle lignee, o anche di muratura, laddove vi era abbondanza di materiale lapideo. Vi doveva essere una piazza, un edificio religioso, un cimitero, dei pozzo e, naturalmente, la dimora del signore che veniva frequentata periodicamente, non troppo dissimile da quella degli altri abitanti del castello. Inoltre nei castelli dei signori più potenti e nelle corti regie gli spazi per la vita pubblica venivano separati da quella per la vita privata. Nei secoli successivi al X e all’XI si svilupparono i mezzi di attacco e questo comportò un parallelo perfezionamento di quelli di difesa. Le mura divennero più spesse, si raddoppiarono i 21 fossati e s'introdusse due sistemi di accesso più controllati delle porte. Generalmente gli elementi fortificatori erano scaglionati su tre ordini concentrici: vi era la cerchia muraria esterna, poi una cinta più interna che delimitava quello che nella penisola italiana era chiamato dongione, cassero, infine il complesso costituito dal torrione e dal palazzo signorile. Il termine dongione, domigno, donionum e altre varianti, in Italia non aveva lo stesso significato del termine francese donjon, in quanto indicava non un torrione, ma un ridotto difensivo interno al castello, a sua volta fortificato con mura e fossato, che racchiudeva gli edifici più importanti, come la dimora signorile e la torre maggiore o torrione, che costituivano il simbolo di potere di una famiglia, mentre fra la cinta più esterna e il dongione si estendeva la bassa-corte, con edifici abitativi e di servizio. Mentre il torrione rappresentava l’ultimo ridotto difensivo, il signore soggiornava nel palatium dotato di elementi fortificatori. Oltre a garantire sicurezza doveva essere anche confortevole e lussuosa (prestigio del signore). Nel palazzo signorile vi è la distinzione tra bassa corte (cucine, servizi) ai piani bassi e alta corte (camere e locali pubblici riscaldati) ai piani alti → separazione sociale fra signori e dipendenti. Gli spazi pubblici erano la sala e la cappella. Nella sala, riscaldata da un cammino, vi erano panche, tavoli e credenze (certe volte usata anche come dormitorio) decorata da arazzi e prodotti tessili. Nello spazio privato convivevano uomini e donne e il pezzo più importante dell'arredamento era il letto, oltre a panche per vestiti, biancheria e suppellettili preziosi. Un altro spazio importante era il giardino/frutteto non aperto sull'esterno in cui anche la donna (confinata entro le mura domestiche) poteva circolare liberamente. 22 più diffusa sembra essere stata allora quella mista, nella quale si integravano il recupero e il reimpiego di murature antiche associate all’uso del legno e di altri materiali deperibili e leganti come calce e argilla (solo i più ricchi e potenti pottero continuare ad abitare nelle domus più lussuose → architetture fantasiose, pitture, mosaici e fontane). La trasformazione del tessuto urbano proseguì tra VI e X secolo, subendo un’accelerazione, nella penisola italiana, con l’arrivo dei Longobardi intorno alla metà del secolo VI, (568). Nella “Langobardia” la decadenza urbana si accentuò, mentre la campagna diventò il luogo primario di organizzazione della vita economica, sociale e anche politica (re visigori e di tradizione germanica → abitavo in campagna anche se aveva le loro residenze in città; i carolingi capitale ad aquisgrana con palazzo regioe ma mantennero una corte itinerante). I centri urbani si contrassero nella superficie e si riempirono di superfici coltivate all’interno e si ritrovava anche in ambito urbano la struttura “a corte”. La presenza del “verde” vicino alla casa si legava a un uso utilitaristico (piano alimentare) dello stesso, non più uno spazio del diletto come nelle domus antiche. Le strutture monumentali della città antica, non essendo più utilizzate secondo la loro originaria funzione, potevano servire come cave di materiale da costruzione (pubblico e residenziale). Oltre al materiale da reimpiego è soprattutto il legno ad essere utilizzato. Si ha quindi un edilizia più fragile, realizzata in ambito familiare, e affinando le tecniche di lavorazione del legno, rafforzate dalle tradizioni germaniche. Quindi dal VI secolo è soprattutto l’edilizia in legno ad essere documentata, fino al secolo X. Sono stati individuati essenzialmente tre tipi principali: edifici con pali portanti infissi nel terreno; edifici con pareti di tavole o pali verticali insistenti su un basamento in muratura; edifici con pareti lignee variamente strutturate infisse su travi orizzontali incassate nel terreno. E' difficile individuare la tecnica del clayonnage, se non dai resti di argilla con impronte dell'intreccio della ramaglia. Nella “Romania”, in quei territori dove il legame con la tradizione romana perdurò attraverso la mediazione bizantina, le città, pur all’interno di un generale processo di decadenza continuarono ad avere un ruolo primario nell’organizzazione della vita politica, economica e sociale. Troviamo così dimore per lo più a due piani, suddivise in vani con qualifiche funzionali diverse: il deposito/magazzino, la cantina/dispensa, la cucina, il balneo e i necessaria, cioè i servizi igienici, la stanza da soggiorno/pranzo, la camera da letto. Al pian terreno generalmente erano ubicati i vari servizi e, nel caso, anche botteghe che si affacciavano sulla strada, mentre al piano superiore i veri e propri locali di abitazione. Le case potevano avere un portico sul fronte e, di fianco o sul retro, un cortile (lastricato con un pozzo). Le pareti degli edifici erano in muratura, documentati sono la pietra e il laterizio (tetti → tegole ed embrici), vi erano anche edifici con il 25 pianterreno in muratura e il primo piano in legno (tetti leggeri in scandulae lignee). In età tardo- antica e altomedievale, nei territori dell’impero d’Oriente si mantenne dunque una certa vitalità urbana, nonostante la presenza di momenti di crisi. La lunga vitalità urbana orientale, aveva la sua rappresentazione migliore nella capitale, Costantinopoli (Costantino 330 al posto dell'antica Bisanzio), centro spirituale ed economico, metà affacciata sul mare e metà sulla terra ferma. Il periodo pieno-tardomedievale A cavallo del nuovo millennio, lo sviluppo agricolo e demografico, l’incremento degli scambi locali, regionali e internazionali favorirono il risveglio delle città, configurando nuovi assetti sociali, e si sperimentarono nuove forme di vita politica come il Comune. All’interno delle città iniziarono allora ad essere documentate abitazioni solariatae, come pure un edilizia in pietra o mattone, a fianco di quella lignea. Lo sviluppo dei centri urbani si sviluppò in modo disomogeo da regione a regione: – Italia : centro-settentrionale → rifiorirono le città antiche; sud → sviluppo delle città legate alla monarchia; – Fiandre, Germania meridionale e Renania → sviluppo piccoli centri ubicati su importanti vie di comunicazione – Inghilterra → lo sviluppo non portò alla nascita di centri di grossa dimensione ad eccezione di Londra; Edith Ennen → suddivisione delle città europee in 5 gruppi: – molto piccole → sotto le 500 persone – piccole → da 500 a 2000 persone – medie → 2000 – 10000 abitanti – grandi → 10000 – 20000 abitanti – maggiori → sopra i 20000 abitanti (Lucca, Siena, Pisa) Citta Metropoli → con più di 100.000 abitanti → Parigi, Milano e Firenze. Una caratteristica del paesaggio urbano italiano furono tra XII e XIII secolo le torri, la cui costruzione rispondeva a molteplici esigenze: come residenza, come strumento di difesa e offesa, di lotta armata per il potere, per i contrasti tra magnati e parte popolare, tra fazioni diverse facenti capo a famiglie o a gruppi parentali eminenti e che si richiamavano ai nomi del 26 95 5 Centri Piccoli Centri Grandi- Maggiori guelfismo e del ghibellinismo, fra i diversi comuni; servivano ad esibire ricchezza e potenza. La moltiplicazione delle case-torri rifletteva il modo particolare secondo il quale l’aristocrazia interpretava spazi e luoghi della città. Le case-torri si presentavano come robuste costruzioni, svettanti in altezza (suddivise in stanze con o senza scale interne e da porte ad ogni piano si affacciava un ballatoio esterno in legno, con smerlature), tanto che a Firenze la norma De turribus exquadrandis del 1325 imponeva un altezza massima di 50 braccia, proponendosi di tenere a freno la superbia dei fiorentini. E col corso del tempo, fininirono per non rispondere nemmeno alle esigenze dei nuovi ceti dominanti (non aristocratici) furono affittate → botteghe al pian terreno e magazzini ai piani alti. I nuovi ceti eminenti cittadini, nel corso del Trecento e del Quattrocento, si rivolsero verso un nuovo modello abitativo, quello del palazzo, che inizialmente si configurò come una struttura nata dall’accorpamento di più abitazioni precedenti, dotato di un’unica facciata sul fronte stradale. Il passo successivo fu la costruzione, soprattutto nel Quattrocento, di palazzi staccati ed emergenti dal tessuto urbano circostante, spesso ad esso sovrapposti in quanto la loro edificazione comportava l’acquisto e la distruzione di realtà abitative precedenti (Firenze → Medici Palazzo Medici fatto edificare da Cosimo il Vecchio dopo una serie di acquisti nel Borgo di San Lorenzo). Di massa imponente, presentavano poche finestre sulla facciata al pianterreno. Internamente, la struttura era in genere incentrata su di un cortile porticato, punto d’incontro tra spazio pubblico e privato. Quasi tutto il primo piano, dagli alti soffitti, era occupato da spaziose sale di rappresentanza, mentre le vere e proprie stanze a uso abitativo occupavano uno spazio ristretto o al secondo piano. Fra queste emergenze particolarmente significative sul piano costruttivo, si situavano case borghesi medio-alte e case popolari per il popolo minuto, dando vita ad un tessuto edilizio mosso e articolato, risultato del carattere abbastanza disordinato dell’espansione urbana tra XI e XIII secolo. La tipologia edilizia più diffusa era rappresentata da un edificio affacciato su di una via, (Firenze) i lotti erano rettangolari e si estendevano in media per 4-5 metri sul fronte e per 10-15 metri in profondità, sul retro si trovava un’area vuota delimitata sul fronte opposto. La facciata 27 Città bassomedievale Affresco case a piani e una torre (masolino e Masaccio - La ressurrezionedi tabita) Capitolo V: L’Occidente e gli “altri” La conoscenza del mondo extra-europeo da parte dell’Occidente medievale passava attraverso l’articolato e complesso intrecciarsi e sedimentarsi di una pluralità di elementi reali e fantastici. Nei confronti dell’alterità ci si poteva porre animati da genuina curiosità, stupore, ammirazione, ma anche da incomprensione, diffidenza, paura, sempre però sospinti dal riconoscimento del superiore livello di civiltà del proprio mondo, delle proprie forme di vita, dei propri usi, costumi, abitudini. Dal punto di vista geografico vi è un recupero della cosmologia ellenistico-bizantina che sarà abbinata alle testimonianze dirette di geografi e viaggiatori bizantini, ebrei e pellegrini. Tra i più vistosi segni di riconoscimento e di disuguaglianza su cui si concentrava l’interesse dei viaggiatori vi erano certamente le caratteristiche del paesaggio visitato e le diverse forme di organizzazione del popolamento (osservazioni antropologiche) e dell’insediamento al suo interno. Fino al 1400 dell'Asia e dell'Africa si sapeva ben poco. I primi contatti con l'Asia si avranno nel 1200 e Le Goff spiega il perchè di tali racconti fantasiosi: l'uomo medievale crede a quello che raccontano e sono sono in grado di comprendere e raccontare il diverso. Quello che colpiva maggiormente l’attenzione dei viaggiatori occidentali era l’esperienza di vita nomade che caratterizzava gli stili di vita di nuovi popoli con i quali si veniva in contatto. La tenda contro una dimora fissa, sintesi di un modo di vivere completamente diverso (mancanza di fissa dimora e d'identità). Il viaggio nel medioevo aveva quindi un significato diverso: veniva visto come una missione faticosa e di necessità, mentre per noi è libertà e un mezzo per conoscere se stessi. L’Asia centrale e settentrionale Dal Duecento l’orizzonte dell’Europa occidentale si allargò verso le lontane terre dell’Asia, a causa delle invasioni mongole e della formazione di un impero vastissimo dal Mar Nero fino al Mar del Giappone. Il suo creatore fu Temujin, passato alla storia con il nome di Gengis Khan (1167 ca.-1227), che unificò le tribù nomadi della steppa mongolica e diede l’avvio di una vasta opera di conquista nei confronti dell’impero cinese e del mondo islamico. Gengis Khan unificò le tribù turche e mongole che vivevano nella steppa mongolica, accomunate dalla medesima struttura economica e sociale. Questa, aristocratica, aveva la sua cellula fondamentale nel clan, mentre la struttura economica si basava sul possesso del bestiame e sull’ampiezza dei diritti di pascolo, non tanto sul possesso della terra. Si trattava di tribù nomadi, che stagionalmente si spostavano dai terreni di pascolo estivo a quelli invernali. 30 L’inevitabile rapporto con le popolazioni sedentarie, come la civiltà agraria cinese, una volta sottomesse e passato il momento iniziale cruento della conquista (stragi,devastione delle campagne e dei sistemi di irrigazione), fece sì che il successore di Gengis Khan, Ogodei (1229- 41), si ponesse il problema di organizzare un qualche embrione di apparato amministrativo e sentisse la necessità di dotarsi di una capitale. Questa fu Qaraqorum, al centro della Mongolia: è interessante notare che essa consisteva in poche strutture fisse, circondate dalle tende dei nobili e del popolo. Dal 1236 partì la vera e propria invasione dell’Europa, un corpo di spedizione arrivò fino in Polonia, Slesia, Moravia, un secondo fino in Ungheria, Austria, ai confini del Friuli e in Dalmazia (fino alla morte del Khan → difficoltà ad eleggere un successore). L’impatto sull’Occidente dell’invasione mongola fu fortissimo e provocò un sentimento di terrore, acuito anche dalla scarsa conoscenza che gli europei avevano dell’Asia centro-settentrionale, oggetto solamente di qualche racconto leggendario che narrava la presenza di esseri mitologici (Cinocefali e Prete Gianni → aiuto durante le crociate). Furono i domenicani ungheresi i primi a spingersi verso Oriente: nel 1235 frate Giuliano d’Ungheria si addentrò nella pianura russa e raccolse notizie di quelli che definì Tartari, nome con il quale l’Occidente sempre indicò i mongoli. Innocenzo IV per raccogliere informazioni sui Mongoli affidò a domenicani e francescani i compito di viaggiare verso quelle terre lontane. Di grande importanza per la conoscenza del mondo mongolo furono le missioni dei due francescani Giovanni di Pian di Carpine e Guglielmo di Rubruck. Il primo giunse fino a Qaraqorum e ritornato scrisse la relazione (senza pregiudizi) del suo viaggio, la Historia Mongalorum (tempi del Khan Guiyuk). Lo stesso fece Guglielmo di Rubruck (spinto da Luigi IX) ,il quale a Qaraqorum fu ricevuto diverse volte dal khan Mongke, e scrisse una relazione ancora più ricca di osservazioni su costumi e credenze mongole. Mongke (1251-1259)lanciò l’ultima offensiva contro l’Occidente, fino in Polonia, conquistò Baghdad e la Siria, fermato verso il Mediterraneo dai Mamelucchi d’Egitto. Il suo successore Qubilai (1260-1294), comandante delle truppe in Cina, spostò qui la sua capitale. Qaraqorum perse così d’importanza, diventando un centro di provincia e la Mongolia cessò di essere il cuore dell’impero. La nuova capitale in Cina fu Ta-tu, in turco Khan Baliq, ossia Cambaluc, l’odierna Pechino. Il Catai → meta mercanti europei, 31 Fratelli Polo davanti alla tenda del Gran Khan veneziani e genovesi → Via della Seta → 1260-95: Niccolò, Matteo e Marco Polo. Quest'ultimo ci lascia il libro dettato in una prigione a Genova a Rustichello da Pisa nel quale descrive le varie tappe del suo ritorno in patria per via mare. Odorico da Pordenone ci descrive le sue peregrinazioni durate dal 1318 al 1330 (usi e costumi). Tanti viaggiatori ecclesiastici visitarono e descrissero la Cina. Tra Due e Trecento il quadro andò ampliandosi dall’Asia settentrionale e centrale a quella meridionale, parallelamente alla penetrazione in quelle terre dell’influenza mongola. Una messe notevole di informazioni raggiunse l’Occidente, prima che i canali di collegamento con quei paesi si chiudessero con la caduta della dinastia mongola nel 1368. Un popolo di nomadi Il primo capitolo della Historia Mongalorum di Giovanni di Pian di Carpine si apre con la descrizione del territorio abitato dai Tartari. Subito è evidente l’estraneità di un paesaggio che ci è presentato come ostile alla vita, sabbioso, sterile, dalla vegetazione assente e scarso di acque. A una realtà paesaggistica tale era presentato un popolo altrettanto rude, fortemente integrato in una natura difficile. L’unica attività praticata era l’allevamento del bestiame, non esistono ne villaggi ne città, ad eccetto di Caracorum. Imperatore e principi vivevano in tende, come tutto il popolo; una tenta particolare a struttura rotonda, che si è mantenuta pressoché invariata fino ad oggi, la yurta: circolare, fatta con bastoni e rami sottili, sopra, nel mezzo ha un’apertura rotonda dalla quale entra la luce ed esce il fumo, al centro vi è il fuoco acceso su un piatto metallico, pareti e tetto sono coperti di feltro. Se le portavano con sé anche nell’aldilà, i magnati erano seppelliti con le loro tende (cavalli, puledra da latte). I Mongoli avevano quindi elaborato una struttura abitativa perfettamente funzionale alla vita nomade che sfruttava come materiale da costruzione quanto la natura circostante poteva fornire, evitando gli sprechi attraverso il ricorso a elementi smontabili e riassemblabili. Le tende dei principi mongoli si distinguevano dalle altre, ma non tanto per la struttura, quanto per la loro 32 Accampamento e convoglio Mongolo Palazzo imperiale di Qaraqorum scavi 1948-50 fatto allo stesso modo, che ha una porticina sul lato anteriore. La cassa veniva poi ricoperta di stoffa nera come se fosse una cassetta. Un arredo essenziale era il letto, con materassi e coperte, dove si stava sdraiati per dormire ma anche per ricevere e mangiare. Per sedersi usavano delle panche, usate anche come piccoli tavoli. Il focolare era costituito da un braciere, da un treppiede con un piatto di metallo sul quale bruciava il fuoco. Come contenitori per gli alimenti usavano otri ricavati dalla pelle dei buoi, fatta seccare con il fumo, o dalla pelle di intestino di montone. Per quanto nel suo viaggio per raggiungere Caracorum, Guglielmo di Rubruck, per mesi non vide città, anche i nomadi mongoli sentirono il bisogno di darsi una capitale. Guglielmo ci descrive le caratteristiche essenziali di Caracorum. Si trattava di una città a metà strada tra l’accampamento e la sede fissa, in quanto era costituita da un nucleo stabile e dagli attendamenti mobili dei signori e dei loro clan attorno al primo nucleo. Il nucleo fisso era di modeste dimensioni, circondato da un muro di terra con quattro entrate. Al suo interno vi erano due quartieri, quello dei Saraceni, mercantile e l’altro della gente del Catai, artigianale. Vi erano poi grandi palazzi dei segretari di corte e dodici luoghi di culto di sette idolatriche di diversi paesi, due moschee e una chiesa cristiana. Appena fuori dalle mura della città, a sua volta recintato da un muro di mattoni, vi era il palazzo imperiale, su una collina artificiale. All’interno del recinto imperiale vi erano poi dei magazzini per le vettovaglie e le ricchezze del sovrano. Caracorum diventò la capitale dell’impero di Gengis Khan nel 1220, fu fortificata con mura nel 1325 da Ogodei, fu abbandonata nel 1260 da Qubilai, che trasferì la capitale in Cina a Cambaluc, e ritornò a essere capitale attorno alla metà del XIV secolo, quando i Mongoli furono cacciati dal Catai (nomadi → capitale = segno di civilizzazione). Dagli scavi condotti sull’area della città vera e propria è stato possibile ricostruirne la forma oblunga e i confini esterni, delimitati da un fossato di scarsa profondità e larghezza e da un muro di altezza non superiore ai due metri. Una indagine condotta presso il cancello orientale, ha portato alla luce i resti di un sobborgo di capanne di terra incentrato sull’asse viario e di un edificio ligneo, che doveva ospitare il corpo di guardia. Al suo interno sono stati trovati pezzi di giochi d’azzardo in osso e un intero magazzino di oggetti in metallo. Gli scavi hanno testimoniato l’ampia diffusione della lavorazione del metallo. In città sono state ritrovate fornaci per la fusione. Nel corpo di guardia è stato scoperto un sistema per il riscaldamento complesso: una stufa di mattoni con foro circolare dal quale partivano condotti coperti da lastre di pietra che portavano aria calda per tutta la costruzione. 35 La Cina Con Qubilai, che trasferì la capitale nel 1260 a Cambaluc, il cuore dell’impero divenne la Cina, il Catai. Su di essa sappiamo molto per la diretta testimonianza di Marco Polo che vi soggiornò a lungo. La pax mongolica aveva permesso nella seconda metà del secolo XIII l’infittirsi dei collegamenti e degli scambi commerciali tra Occidente e Oriente. Delle sue peregrinazioni e del suo soggiorno cinese Marco Polo ci ha lasciato un ricordo nella sua famosa opera Il Milione. Nella sua descrizione traspare sempre la sua mentalità di mercante, la sua attenzione si rivolge quindi all’impianto economico dei luoghi visitati, sui prodotti tipici, sulla loro qualità e quantità e sui sistemi di produzione. Polo ci ha fornito così un quadro di estremo interesse degli aspetti più salienti della civiltà mongolo-cinese. Un primo dato che emerge leggendo Il Milione è la contrapposizione tra la civiltà mongolo- cinese, appunto, e le antiche consuetudini di vita dei Tartari, che continuavano a permanere nei domini occidentali dell’impero e nella Mongolia. Una conferma ci viene dal viaggiatore arabo Ibn Battuta che fra il 1332 e il 1334 incontrò la corte del khan Ozbek nelle pianure tra Mar Nero, Mar d’Azov e Mar Caspio. Si trattava di una corte itinerante, pur avendo il khanato il suo centro nella capitale Sarai. In Cina il popolo vincitore era dovuto venire a patti con una antica civiltà agraria e sedentaria. La differenziazione dei materiali costruttivi per l’edilizia alta e quella popolare, legno per quest’ultima e pietre e laterizio per la prima, doveva caratterizzare, come altre città descritte da Polo, anche Cambaluc. Egli parla anche dell'economia delle province cinesi, nelle quali gli abitanti erano dediti ad attività mercantili, artigianali e agricole e per ultimo all'allevamento, che invece era la maggior attività dei Tartari. Marco polo sente più vicino a se la nuova civiltà mongolo-cinese e il modello insediativo ottimale non poteva non essere che quello urbano, sedentario e associato. Egli ricorda in particolare alcune città come Quinsai (Hang-chou) con un perimetro di circa 100 miglia e cerchiata da acqua (botteghe, case belle con torri di pietra). Un altra città che ricorda è Cambaluc (Pechino). Essa aveva un perimetro di 24 miglia e una regolare pianta quadrata. Le mura di terra, erano spesse 10 passi e alte 20, verso l’alto si stringevano fino a 3 passi, merlate e bianche. Su di esse si aprivano 10/12 porte su ognuna delle quali vi era un grande palazzo e su ciascun lato vi erano grandi palazzi sedi di guarnigioni militari a difesa della città. L’impianto quadrato era così regolare che le vie erano tanto dritte, che da una porta era possibile vedere l’altra. Al suo interno si distribuivano i palazzi dei nobili, quello con la campana che per tre volte suonava alla sera il coprifuoco, il palazzo reale, quello dell’erede al trono e quello con molte sale e camere dal quale i “12 baroni grandissimi” che amministravano le province dell’impero esercitavano la loro autorità. 36 La capitale era così popolosa che al di fuori delle mura, in corrispondenza delle porte, si erano sviluppati dodici borghi, molto estesi e popolati. Nel palazzo reale il Gran Khan risiedeva nei mesi invernali, a marzo si dirigeva verso l’Oceano Pacifico e si fermava a soggiornare presso Tarcar Mondun per cacciare fino a Pasqua; in seguito ritornava a Cmbaluc per poco tempo e si dirigeva verso Giandu, in Mongolia, sua residenza estiva. Si trattava di una corte itinerante, segno che le antiche abitudini non erano state del tutto abbandonate. Tra i palazzi reali quello di Cambaluc è il più importante, di impianto regolare quadrato come la città. Era costruito all’interno di due cinte murarie, di forma quadrata di un miglio per lato, e su ciascuna di esse vi erano otto palazzi, contenenti tutto ciò che serve per la guerra, sul lato di mezzogiorno, antica usanza rispettata, vi erano 5 porte, la più grande delle quali era solo per il passaggio del khan, cinque altre porte sul lato sud, e una sola sui lati rimanenti. Tra le due cinte murarie vi erano giardini con animali selvatici. In mezzo alla cinta muraria in posizione sopraelevata vi era il palazzo imperiale dagli alti soffitti. Nella grande sala si tenevano i banchetti solenni (vasellame d'oro e d'argento), il sovrano sedeva su una tavola più in alto rispetto alle altre. La residenza estiva di Giandu in Mongolia, costituiva per il sovrano il punto di incontro tra le antiche consuetudini abitative e le nuove, fra l’accampamento di Tarcar Mondun e il palazzo reale di Cambaluc. Il palazzo di marmo era per le occasioni ufficiali, quello di legno, che doveva essere una tenda in realtà, per la vita quotidiana e veniva montato solo in occasione della visita del khan. Al contrario la vita quotidiana degli artigiani, mercanti e agricoltori era di estrema semplicità e lontana dagli sfarzi di corte. L'edilizia popolare era per lo più in legno e per quanto riguarda gli arredi e gli utensili : letto, panca (contenitori/sedili), piatti, scodelle di legno, metallo e porcellana (città di Tinuguise). A lungo parla della Cina anche Odorico da Pordenone nella sua Relatio. Era arrivato in Cina verso il 1323-24. La sua opera un trattato geografico-commerciale, libro etnografico, apologia del francescanesimo missionario, ci parla della Cina dopo la morte di Qubilai, sotto il khna Yesun Timur (1323-28), proseguendo potremmo dire il racconto di Marco Polo. Al contrario di quest'ultimo oltre agli usi e costumi, aspetti economici paragona anche città visitate in Cina con città e paesaggi della nostra penisola (nostalgia del viaggiatore). L’immagine della Cina che Odorico ci fornisce è positiva: prospera, grandiosa e magnifica (regime assolutista → importante per i francescani per operare nel paese). Il territorio cinese era in gran parte densamente popolato, man mano che ci si avvicina alla Mongolia il popolamento invece diminuiva e cambiavano le modalità di insediamento. Così la città di Cosan, nella Mongolia interna, che 37 con sterco di vacche per onorificenza. Vi erano molte stanze e camere, e molti lumi. Oltre alle pietre preziose e alle ricchezze a colpire l’italiano è l’abbondanza delle luci che di notte illuminavano la sala delle udienze, considerata simbolo di lusso e di sfarzo. Ibn Battuta è arrivato in India via terra e ci ha lasciato importanti notazioni sulla parte continentale del paese. Della capitale Delhi, Ibn Battuta ce ne fornisce due immagini discordanti: in una parte della Rihla la descrive come una vasta e grandiosa città, in un’altra parte come vuota e spopolata. La contraddizione doveva riflettere la fondazione della nuova capitale Daulatabad. La prima Delhi mussulmana era solo un campo fortificato all’interno della vecchia città indù; qui fu costruita la moschea pubblica e un complesso di mausolei, oltre a una grande torre in blocchi di arenaria. Questo materiale da costruzione dominava negli edifici pubblici, civili e religiosi, attorno ai quali si ammassavano le abitazioni, intersecate da stretti vicoli. Ibn Battuta ci descrive anche Daulatabad (1326), nel periodo in cui era già decaduta dal ruolo di capitale, anche qui l’arenaria dominava negli edifici pubblici. Questa città era composta di due parti: una cittadella fortificata, Deogir, ubicata sulla sommità di un’altura di granito con pareti a strapiombo e la città vera e propria, che si estendeva a sud e a est del castello ed era circondata da una cinta muraria di quattro chilometri. Vi è inoltre una separazione del nucleo fortificato (militarizzato) dalla parte residenziale con edifici pubblici. L’area islamica Nel Trecento, il pensatore tunisino Abd az-Rahman ibn Khaldun (1332-1406), scrivendo i Prolegomeni, utilizzando come materia principale delle osservazioni le vicende della sua patria, devastata a più riprese dai nomadi beduini, elaborò una visione del divenire storico avente come tema centrale il ciclico scontro del mondo nomade e del mondo sedentario. I contatti tra nomadi- pastori del deserto e delle steppe e le società stanziali da tempi lontanissimi si erano sviluppati all’insegna di un atteggiamento pacifico o all’insegna di una minaccia dei primi nei confronti delle seconde più ricche e prospere (Nord Africa → Mar Rosso e Egitto → assalivano carovane). Dal XVIII secolo a.C. e anche prima, invasori nomadi si riversarono sugli insediamenti agricoli, saccheggiando città, devastando territori. L’ultimo grande movimento nomade si verificò nel XIII secolo d.C., con i Mongoli e i loro alleati turchi, che mossero dall’Asia centrale e, dopo aver conquistato Cina, Russia e gran parte del Medio Oriente, crearono un estesissimo impero. Il nomadismo era presente anche nell'epoca preislamica e spesso si trattava di una scelta imposta a causa di scarsi raccolti agricoli. L’espansione araba verso il Medio Oriente portò i cavalieri del deserto a contatto con due grandi stati in crisi, l’impero bizantino e quello sassanide. Antiche città furono conquistate e abitate, 40 nuovi centri urbani vennero fondati: all’inizio semplici campi militari, poi vere città. Tra VIII e XI secolo il mondo mussulmano fu teatro di un prodigioso rigoglio urbano. Da Samarcanda a Cordova la civiltà musulmana è una civiltà urbana notevolmente unita. Il mondo mussulmano ha quindi l’aspetto di una serie di piccole isole urbane collegate tra loro da linee commerciali. Dall’XI al XVI secolo si assistette a una continua espansione dell’Islam, come fede religiosa e come modello coerente di civilizzazione. Oltre al perdurare dei tradizioni di vita nomade che continuò a persistere, quello che colpiva nel corso del Trecento i viaggiatori occidentali nel mondo ormai del tutto mussulmano, è sempre stata la presenza si grandi, popolose e ricche città (città giardino), come lungo il corso del Nilo, tra Alessandria e il Cairo (città antica in crisi). Nel territorio che prima della conquista araba faceva parte dell’impero sassanide fu fondata ad opera del secondo califfo abbaside al-Mansur, a partire dal 762 Baghdad, sullo sbocco nel Tigri del canale navigabile che lo collegava all’Eufrate. Il centro urbano è a pianta rotonda, raccolto intorno al palazzo principale, formato da una serie di cinte concentriche, tra le quali furono costruite le abitazioni dei familiari del principe e dei privati, racchiuso entro un bastione murario munito di 360 torri, quattro porte d’accesso e un fossato, intersecato da quattro grandi strade. L’estensione della città alla fine del X secolo raggiungeva i 10 km per 9. Nel XII secolo, l’ebreo Beniamino di Tudela, visitò Baghdad e ne rimase impressionato, la descrive come una “magna urbs”, con all’interno il palazzo del califfo che si estendeva per tre miglia, con un parco delimitato da mura contenente svariati generi di alberi e animali e un lago formato dal fiume Tigri. Altre città della Mesopotamia erano state edificate tenendo conto della rete fluviale. Il principale materiale da costruzione non poteva che essere l’argilla dei terreni alluvionali, che veniva seccata al sole in forme prestabilite o cotta nel forno. Il legno era raro; bisognava importarlo dall’Armenia, dalla Siria e anche dalla lontana India. Le zone ricche di selve erano molto ristrette nel mondo mussulmano, che aveva un gran bisogno di legname non solo per le attività edificatorie e decorative, ma anche per quelle industriali, per le irrigazioni, per costruire le navi. Cosi il prezzo del legname era molto alto. Anche la pietra era poco utilizzata. Le mura delle abitazioni erano solitamente di mattoni, ricoperti internamente di rivestimenti di gesso scolpito e dipinto o più frequentemente di piastrelle di maiolica decorata. L’argilla dominava non solo per i mattoni, ma anche per la terra cotta verniciata e smaltata dei rivestimenti murali, delle ceramiche, del vasellame. 41 Bagdad pianta 762 Al-Mansur Se Baghdad fu la capitale degli Abbasidi, Damasco lo fu precedentemente per la dinastia omayyade. Nel XII secolo Beniamino di Tudela ne parlava come di una “urbs maxima”, circondata da mura, fitta di orti e giardini, piena di botteghe e attiva negli scambi. Il prete tedesco Ludolph von Suchem, che vi soggiornò nel 1340 la ricordava come una città nobile, gloriosa e bella, ricca di merci, cibo e spezie, circondata da giardini e frutteti, alimentata da acque, fiumi, ruscelli e fontane, incredibilmente popolosa. Poco dopo il frate Niccolò da Poggibonsi vi aggiunse interessanti notazioni: Damasco è tutta in piano, le strade illuminate da lampade, le case altissime, in legno, ma non sembra perché dentro sono colorate di azzurro e sotto lavorate a mosaico. Ai piedi della città c’è un grande castello circondato da alte mura. Vi erano tantissimi mestieri come orafi, giardinieri, cambiavalute, speziali, produttori di acque di rosa e cuochi nelle piazze che cuocevano cibi, questo poiché nessun signore e nessun povero cuoce in casa, questo avveniva per la carestia di legname. Nei territori ex bizantini ebbero notevole sviluppo in Egitto i due centri di Alessandria e del Cairo. Il Cairo, fondata su una vecchia città greco-romana nel 671 (Fustat), e poi ripresa successivamente nel 972 dai Fatimiti → Al-Qahira (congiunta alle costruzioni antecedenti di Al- Qata'i), era grandissima, 32 miglia. Non era circondata da mura. Le grandi dimensioni erano dovute al fatto che oltre a essere nel Trecento la capitale del regno mamelucco e residenza di quasi tutta la classe dominante turca, era il punto d’incrocio delle vie commerciali e di traffico dal Mar Rosso al Nilo, dal Maghreb e dall’Africa. Nella città vi era il castello del sultano, con alte mura e torri spesse, chiese e moschee, piazze, mercati, abitazioni di cui si ricorda soprattutto l’altezza, e al di la del Nilo i cosiddetti “granai del faraone”, le piramidi. Per le opere pubbliche (molte ricostruite dopo il terremoto del 1303) gli architetti mamelucchi preferivano le pietre ai mattoni e alla calce delle generazioni precedenti, che comunque caratterizzavano l’edilizia popolare. Vi era grande abbondanza di palme da dattero, che venivano impiegate per svariati usi, anche costruttivi, o cofani, gabbie da sedere e da dormire, dalla scorza funi e corde (foglie → utilizzate anche come combustibile). Le abitazioni dovevano essere essenziali per arredi e suppellettili domestiche: amache fatte con i rami delle palme da dattero o pagliericci posti sul pavimento o su una lettiera, poche le panche e i cofani per riporre le cose, vista la scarsità del legno; ceste fatte con le foglie dei datteri, bacini, brocche, otri di cuoio servivano per gli usi 42 Damasco , pittura murale palazzo al-'Azim
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved