Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

“Utopia. Una storia politica da Savonarola a Babeuf” di Girolamo Imbruglia, Appunti di Storia Moderna

riassunto del libro “Utopia. Una storia politica da Savonarola a Babeuf” di Girolamo Imbruglia.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 26/06/2023

alice-luna-3
alice-luna-3 🇮🇹

4.4

(5)

1 documento

1 / 50

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica “Utopia. Una storia politica da Savonarola a Babeuf” di Girolamo Imbruglia e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! UTOPIA, UNA STORIA POLITICA DA SAVONAROLA A BABEUF di Girolamo Imbruglia CAP 1; L’UMANESIMO E LO SPAZIO DELL’UTOPIA Dalla profezia all’utopia In Savonarola parlando del nesso tra profezia e utopia, (Paolo Prodi) l’elemento utopistico si sfalda per ricomporsi nell’ortodossia cristiana; negli anni dalla scoierà dell’America fino a Moro, c’è uno specifico rapporto tra millenarismo e utopia -> il millenarismo (credenza e attesa di Cristo in terra) intorno alla metà del quattrocento si diffuse in terre lontane, dove circolavano anche nuove merci, uomini, idee, paure e speranze; dopo la caduta di Costantinopoli, vista come una minaccia per il mondo cristiano e la scoperta dell’America e dell’Asia (-> prospettiva escatologica dell’Apocalisse), queste paure furono confortate dal millenarismo, visto come una speranza, perchè la religione esorcizza le paure. I greci e i romani sostenevano che necessarie per pensare la religione fossero la storia e la filosofia; con Gioacchino Fiore la cultura religiosa si appropriò di un aspetto che diventerà essenziale, ossia la tradizione apocalittica. La profezia era solo una categoria erudita della storia sacra, la quale, segnata dall’avvento di Cristo, doveva rappresentare il perimetro entro il quale svolgere la predicazione profetica (-> imposizione della Chiesa); l’avvento di Cristo è la realizzazione definitiva di ogni profezia biblica, per questo la rottura nella storia non era prevista e la parola profetica era ripetitiva -> la profezia non diceva mai nulla di nuovo sulla fede e la storia sacra non si poteva aprire in nessun senso al mondo profano; con Colombo, questo si infranse = il bisogno di religione chiese di ripartire dall’apocalisse. Nell’età delle scoperte il mondo delle religioni viene rappresentato dal millenarismo, ma non pacificamente, perchè si arrivò a molti conflitti religiosi e sociali -> grande opera di evangelizzazione grazie alle scoperte. Il bisogno del millenarismo era molto diffuso, a testimonianza l’apparizione di Nuova Apocalisse, scritta dal francescano Beato Amedeo e rielaborata da Giorgio Benigno Salviati, il quale nella sua opera del 1497 sosteneva che dopo la morte di Cristo produrre profezie fosse ancora legittimo, e un esempio ne era Savonarola, che, in quanto unico profeta voluto da Dio, cercava di trasformare Firenze, destinata a divenire la nuova Gerusalemme. Salviati definiva religioni falsi tutte quelle culture particolaristiche ed ostili, sconfitte invece dal nuovo ordine rigenerato, il quale vedeva la comprensione del disegno provvidenziale universale (che aveva richiesto il sacrificio di Cristo) in seguito al progressivo svelamento delle profezie. Inoltre, anche se la Nuova Apocalisse ebbe successo in Europa, fu giudicata pericolosa dalla Chiesa perchè opera dei “nuovi profeti” che introducevano nuove dottrine a partire dai misteri della fede. Pensiero millenarista <—> pensiero utopistico; nel pensiero di Moro del XVI secolo è già presente il percorso che parte da 1. La vera religione antica e arriva a 2. L’avvento di Cristo, l’autorivelazione del cristianesimo a sé stesso. L’utopia interroga si da subito la storia cristiana, vicine o lontane che siano. Il profetismo di Savonarola e il controllo spirituale della politica Chiara era la spaccatura tra vita cristiana e politica pagana (-> forte corruzione degli uomini di Chiesa, Salutati era stato scomunicato perchè in quanto uomo di fede profonda e salda, aveva deciso di denunciare; guerra degli Otto Santi tra Firenze e Roma 1475-78), e Savonarola l’aveva compreso; egli cercò di formare una politica ibrida unendo Roma repubblicana e l’ideale religioso di Gerusalemme cristiana -> sana la rottura dando al cristianesimo la forza politica della profezia e forma una repubblica cristiana; il fallimento del discorso profetico è ciò che lascia lo spazio per l’utopia. Savonarola iniziò a governare nel 1494, quando l’ultimo dei Medici fu cacciato da Firenze, e lui volle un ritorno ai principi e un nuovo regime -> temi; a. Provare la fede essere vera b. Mostrare la semplicità della vita cristiana essere somma sapienza c. Denunziare le cose future d. E questo nuovo governo delle vostre città Sui primi due temi Savonarola si muove all’interno dell’ortodossia, mentre successivamente viene fuori una nuova idea di profezia, ispirata all’Antico Testamento e mettendo in comunicazione la vita del mondo con la religione. Il cristianesimo di Savonarola dubitò sempre della legittimità di papa Alessandro VI, in quando l’esito della profezia era che la Chiesa non aveva più direzione sacra; Savonarola mise al centro della sua fede lo slancio di vita operante, la semplicitas, la carità e la giustizia, si può dire dunque che essa fosse una fede umanista, attenta alle dinamiche umane che con la profezia dava intelligibilità morale e religiosa all’azione politica. 1496 -> la crisi in cui Firenze era piombata pareva insormontabile solo fino alla denuncia che Savonarola fece riguardo la tirannia medicea insieme alla frattura tra cultura, religione e politica; a questo gli contrappose un nuovo governo, il quale aveva un punto di vista religioso, dunque cristianesimo e storia divennero elementi di una proposta teocratica che sostituiva la repubblica = renovatio religiosa e civile. Per Savonarola il governo monarchico è ottimo, perchè, siccome l’uomo ha una naturale tendenza tanto alla vita in comune, quanto al male, la legge positiva è necessaria per garantire il bene comune; nonostante questo, è buona cosa considerare la natura del popolo, la sua storia, i suoi usi, e il popolo fiorentino non poteva essere ora privato della “forma di governo civile”, considerato per la città l’opzione migliore -> tuttavia, siccome la perfezione della politica si basa sull’ideale cristiano, si sperò in questo tipo di governo; infatti, lasciandosi i cittadini guidare da Dio, la giustizia si sarebbe affermata e alla libertà interna avrebbe corrisposto la pace all'esterno. I fiorentini erano molto inclini « al culto divino» e se a Firenze ci fosse stato un buon governo, il popolo sarebbe stato indirizzato non al male ma al bene e alla democrazia; i cittadini dovevano essere indotti a credere che tale istituzione fosse stata loro data da Dio. Per la repubblica cristiana occorreva amare il bene comune; vivere in con- cordia; imporre la giustizia = condizioni riportavano la Firenze piagnona alla repubblica romana. La quarta condizione era «il timor di Dio», che faceva accettare il potere spirituale fondato sui padrenostri" e sul sacrificio; a base della forza politica sta il controllo spirituale. Il "presente" governo fiorentino, non era ancora perfetto, ma essendo il vero signore di Firenze Cristo, quel governo creava la felicità spirituale, rendeva gli uomini prossimi a Dio, instaurava la libertà; Savonarola aveva organizzato un ottimo Stato e per salvare la repubblica predicò il ritorno alle origini, che fu per lui il ritorno alla comunità apostolica -> l'ideale umanista s'era trasformato in quello di Gerusalemme. La sua repubblica fu un connubio tra ‣ l'esperienza classica di unità e giustizia; paganesimo ‣ il biblico timore di Dio; cristianesimo ed esso corrispose anche alla cultura delle élite umaniste fiorentine di quegli anni, alle quali parve, che le istituzioni avessero bisogno di un fondamento sovrumano, ormai presente nell'Europa moderna. Per Savonarola era essenziale che i cittadini credessero "con fede" che il loro Stato era stato voluto e istituito da Dio; l'energia politica di questa repubblica veniva dalla religione cristiana. A Firenze a fine Quattrocento la repubblica teocratica era comparsa nella realtà politica moderna come un’esperienza epocale. CRITICHE ‣ MACHIAVELLI; pensare la politica senza cristianesimo e secondo ragione ‣ MORO; raggiungere un rinnovato rapporto tra ragione e fede cristiana Machiavelli e la politica senza cristianesimo Machiavelli guarda con rispetto l’operato di Savonarola, e anche se egli è un anti-savonaroliano, l’esperienza del frate lo marcò; S era un politico duttile, disarmato, scrive Machiavelli ne Il principe, un uomo che inevitabilmente, essendo di Chiesa e rinunciando per coerenza alla violenza per detenere il potere pubblico, soccombette non potendo stabilire la sua autorità (≠ Ma; i legislatori devono fidarsi della politica e delle armi e abbandonare la credenza religiosa, illusoria). Costituzione di un sistema politico e sociale in cui non c’è l’idea di sovranità, il potere lo detiene un’idea e non un organismo specifico. L’etica e la morale si fanno legge, l’etica si può insegnare perché si può costringere tutti gli abitanti di un sistema perfetto di tendere alla bontà; l’individuo viene educato a rispettare e interiorizzare le norme civili (-> distribuzione egualitaria dei beni), imposte senza violenza da un sovrano, sostenuto dal generale consenso. Il sistema di norme è quello della police razionale, il quale obbiettivo è che i cittadini siano felici e che non conoscano la corruzione (società inglese); tuttavia, gli uomini di Utopia non hanno la loro tradizionale naturalità, al contrario essi sono resi “buoni per forza” -> la società utopistica aveva il potere produttivo di obbligare gli uomini ad essere buoni; lo stato aveva fatto scomparire la pulsioni negative (aggressività…), ha snaturato la natura stessa dell’uomo, il quale era indotto all’educazione e dal controllo circolare di tutti su tutti ——>> potere religioso di Savonarola; ripreso da Moro, l’educazione diventa la base del potere spirituale diffuso e impersonale. L’obbiettivo dello stato -> che i cittadini dedichino più tempo possibile alla cura dell’animo, perchè questa è la felicità, si tratta di una morale eudemonistica. Il senato dirige Utopia, esso mantiene inalterata la struttura originaria di Utopia che poggia su - Assenza di proprietà, dunque la comunità di beni e - Assenza di denaro perché creano concorrenza e allontanano l’uomo dalla virtù. L’eguaglianza prevede comunità di lavoro, l’attività è infatti valutata in base alla sua utilità sociale, e dunque l’ozio non è permesso. Il senato dirige la police (meccanismo di coesione e controllo sociale) che 1. Consiste in controllo su questioni singole e 2. Costruisce un sistema di vita sociale -> assicura l’abbondanza che viene raggiunta attraverso la tra le economia delle città utopiane 3. Promuove e controlla l’austerità della vita pubblica e privata. Queste norme sono state imposte da Utopo, esse non sono immutabili, ci sono margini di miglioramento e di variazione. Utopia e religione C’è il sistema della religione naturale, che ha un valore sociale, insieme ad altre credenze particolari, dalle quale è però escluso il cristianesimo perché ad Utopia è ignoto; la religione naturale è una religione civile e funzionaria alla politica, dunque è importante avere dei culti e cerimonie pubbliche specifiche al quale è significativo partecipare perchè vita politica e riforma interiore sono il centro. Dinamica tra natura razionale e vita storica perchè la religione rappresenta uno degli aspetti della vita utopistica; «il religioso timore del divino» si traduce nella virtù sociale. La religione utopiana è naturale e razionale -> credenza in una divinità, nella divina provvidenza, nell'immortalità dell’anima e nel fatto che quest’ultima sia stata destinata per volontà divina a una vita felice, che, dopo la morte, virtù e crimini troveranno ricompensa e punizione. La dottrina religiosa è eudemonistica ed è di protezione alla conservazione della comunità cui ci si sacrifica. La religione civile è guidata da sacerdoti, «che regolano il culto divino, si occupano delle questioni religiose e intervengono quali censori dei costumi»; vi sono templi, si recitano pubblicamente preghiere, si pratica la confessione, ma nessun culto comporta lo spargimento di sangue. La religione utopiana sembra essere una forma di teocrazia non biblica, ma deista. Questo sistema di credenze era stato stabilito da Utopo che, al suo arrivo, aveva trovato sull'isola un clima di tensione e contrasti religiosi violenti; proprio per questo, vi è tolleranza religiosa (per evitare una diffusione violenta -> la società sull’isola di Utopia non contempla nessuna forma di violenza), molte se ne affermarono ≠ non è tollerato l’ateismo perchè in contraddizione radicale con la religione civile; chi non credeva non era considerato “umano” perchè incline a soddisfare i suoi bisogni rispetto che favorire quelli della comunità, l’ateo veniva dunque escluso dalla società. La maggioranza degli utopiani aveva rinunciato alle divinità secondarie e credeva in un «unico Iddio», comunque ciascuno era libero». Il cristianesimo era ignoto, infatti primo a parlare di Cristo agli utopiani fu Itlodeo, il quale però portava con sé le opere di filosofi e di storici greci, ma non la Bibbia e dunque, non avrebbe potuto insegnare che il cristianesimo naturale. Nell'incontro del monoteismo naturale utopiano con il cristianesimo c'era tuttavia la difficoltà della teoria del sacrificio; a Utopia sono banditi i riti cruenti e far violenza alla natura è giudicato pazzia, a meno che la scelta ascetica di rinunciare ai piaceri della vita non si risolva a vantaggio della comunità -> la sofferenza non ha per gli utopiani alcun senso né etico, né religioso e il sacrificio di Cristo risulta impensabile. Togliere il sacrificio alla figura di Cristo e salvare i soli insegnamenti morali era quel che aveva fatto Erasmo -> Itlodeo portò agli utopiani l'interpretazione umanista del cristianesimo, con le poche basi necessarie della fede, e così cercò di riuscire a convertire gli utopiani al cristianesimo apostolico; il cristianesimo compatibile con l'utopia era il cristianesimo erasmiano. Moro aveva saputo indicare come vivere bene e felicemente in una maniera ancor più "risoluta" di Platone". Itlodeo aveva detto che i dubbi sulla società senza proprietà venivano o perché si negava la sua eccellenza, o perché non si credeva alla sua realizzabilità -> con l'autorità della sua esperienza di viaggiatore I fornì ai suoi lettori la prova sperimentale della società platonica. Lutero e l’utopia nella storia Nel mondo luterano il rapporto tra religione e utopia è mutevole e complesso; otium e negotium si integrano nel cristianesimo umanista, alcuni utopiani aveva no trovato la via per la salvezza religiosa nella laboriosità giornaliera. 1517; anno dell’affissione delle 95 tesi di Lutero. Le comunità che si creano sentirono un forte bisogno di ritorno alle tradizioni apostoliche col fine di indirizzare il rinnovamento sociale; radicalismo allargato. Eberlin -> immagino il luogo dove tutto va bene, ossia Wolfaria; tuttavia l’ispirazione del suo testo non è utopistica, l’obbiettivo della police di Psitacus (≈Itlodeo) non è infatti la felicità, ma la giustizia religiosa. Il punto di non incontro tra Lutero e l’utopia era il fatto che, lo sguardo più verso il Nuovo che il Vecchio Testamento, porta a una tendenza fortemente individualista, che tende alla volontà di rinnovamento individuale e al forte sentimento per il sommovimento sociale e politico. La rivolta contadina del 1524-25 pose il problema della rigenerazione dentro una società divenuta protestante; Thomas Müntzer pubblicò nove brevi testi, che furono alla base del suo collegamento con il comunitarismo anabattista e della rivolta -> non vi si trovano accenti utopistici; appartengono per questo aspetto a un momento che potremmo dire pre-Utopia per il loro entusiasmo millenarista. Un progetto teocratico animò il movimento anabattista nella prima metà del Cinquecento, in particolare a Leida, ma l'esperimento terminò nel 1535, con la caduta della città. La duplicità dei movimenti, sorti ora dal basso della società ora dall'alto della cultura umanista, alimentò il filone utopista luterano che si trovò subito nel vivo della lotta religiosa e politica, quasi oltrepassando il tempo e lo spazio utopisti; il credente desiderava una trasformazione globale e il suo impegno coinvolgeva la vita presente. La religione luterana non offrì appigli all'immaginazione utopica, Lutero si era volto alla storia, e guardò con vivo interesse a Savonarola, non a Moro o Erasmo; riferimento luterano a Savonarola -> nonostante S accettasse la legittimità dell'istituzione della Chiesa, che per Lutero era estranea al cristianesimo, tuttavia aveva combattuto il papato, e nella sua esperienza politica si ritrovavano uniti Vecchio e Nuovo Testamento al fine di creare una comunità di santi. Utopia e la difesa della civiltà europea Utopia presenta un viaggio nella storia della civiltà: - dall'Europa, dove la vita cristiana si è capovolta nella corruzione, - si giunge in America, dove -per Vespucci- esiste la orrenda società naturale anteriore alla vita storica, - per arrivare infine alle origini della civiltà, in Oriente, dove si realizza la società razionale e felice. Nell'esordio di Utopia Itlodeo osserva che tra le società di recente scoperte c'erano quelle che potevano essere di modello e di ammaestramento per gli europei, e quelle cui invece gli europei potevano apportare miglioramenti e incrementi di civiltà L'utopia per Moro era che in Oriente, dove era possibile pensare un mondo, con il quale civilizzare la società europea; la società selvaggia descritta da Vespucci era invece la società negativa della storia umana, da civilizzare. Quando apparve Utopia c’era l'immagine del mondo selvaggio americano, che Pietro Martire d'Anghiera aveva giudicato pienamente positiva, nella quale gli indiani non avevano proprietà di beni, vivevano con mitezza e concordia; gli Indios senza percezione del futuro erano contenti della loro vita di natura -> ≠ successiva opposta, quindi negativa, descrizione di Vespucci, tacitamente condivisa da Moro; si trattava di società di natura, ma appunto non umane. La duplice, contraddittoria immagine, da una parte elogio, dall'altra condanna della società selvaggia, nacque dal medesimo timore e fascino che si provò davanti a quella condizione naturale; enigma delle loro descrizioni (Léry). Confronto tra società americane, orientali ed europee -> Johann Boemas aveva esposto la duplicità del termine "natura", che aveva un significato al tempo stesso positivo e negativo; denunciò lo stravolgimento della cultura europea, ma difese la sua positività e la possibilità della restaurazione della sua verità. Anche Boemus, quando volle affrontare la società ideale, fece ricorso all'Oriente e il cuore della questione fu la comunità dei beni; in India vigeva una sorta di comunismo. Il discorso utopistico di Moro invece poggiò sul rifiuto della società selvaggia perché in tale rappresentazione essa era collocata fuori dall'orizzonte della civiltà -> l‘idealizzazione dei selvaggi americani era apparentemente sbarrata da due ragioni; - La condanna di Vespucci dei selvaggi - Scoperta di società dove quali una remota saggezza era di fondamento alla giustizia. L'utopia si volse quindi a Oriente; anche gli utopiani vivono "secondo natura", ma nel loro caso significa vivere felicemente secondo virtù e ragione. L'identificazione del mondo orientale con la ragione naturale permise a Moro di rifiutare il mondo sociale europeo e di capovolgerlo nel sistema vero e giusto di Utopia, che, al tempo stesso, si presentò come la difesa della civiltà europea, del valore della sua razionalità. L'utopismo divenne al tempo stesso il pensiero di una società diversa e il luogo della protezione dell'identità culturale europea. La conoscenza che degli americani si ebbe nella seconda metà del Cinquecento fu diversa; la scoperta del Messico azteco e del Perù incaico diedero nuova profondità al mondo americano, e, anche se deboli militarmente, e tecnologicamente inferiori agli europei, quei due grandi Stati conoscevano potere politico, scrittura e cultura, riti e religione; nel 1550, l’imperatore Carlo v riuni a Valladolid i maggiori teologi e intellettuali spagnoli per decidere che comportamento avere verso gli americani dopo la conquista -> nel dibattito ci si chiese se la conquista fosse stata legittima in teoria; se nella pratica gli spagnoli avessero rispettato le norme del diritto di guerra; quali dovessero essere i rapporti tra i vincitori e i vinti, se questi ultimi dovessero essere considerati schiavi dei coloni o sudditi dei re di Spagna. Fu una discussione dai forti contrasti; vennero regolati i rapporti tra la Corona, i coloni e le popolazioni indigene. I protagonisti furono tutti aristotelici: ‣ il filologo Sepúlveda, che sostenne la naturale inferiorità delle popolazioni americane, la loro incapacità di autogoverno e dunque il diritto dei coloni a ridurle nella schiavitù; ‣ il domenicano Las Casas, che all'opposto riconobbe alle popolazioni americane cultura politica e religiosa e chiese per loro riconoscimento di autonomia; giudicò gli indigeni americani pienamente umani. La sauvagerie americana indigena era divisa in tre categorie; - Una, pienamente politica, era rappresentata dagli Stati peruviano e messicano; - la seconda era costituita da una forma di società dove non c'era «quasi nessuna politica», e che tuttavia poteva «essere condotta a una buona e razionale maniera di vita, dunque al cristianesimo»; - il terzo gruppo poteva essere definito barbarico; erano popolazioni non sedentarie, dedite alla guerra, senza strutture politiche. Tuttavia essi, pur se ai suoi margini, si muovevano dentro la sfera della civiltà umana. Con sguardo comparativo, Las Casas definì gli amerindi barbari non in assoluto, ma secundum quid, cioè in riferimento al fatto che non conoscevano la scrittura e il vero Dio. Erano uomini "barbari" come «noi lo siamo rispetto a loro»». Montaigne e l’utopia della società selvaggia Montaigne fece della riflessione sulle barbarie come categoria di relazione tra civiltà il fondamento della sua idea di utopia e della sua critica alla civilizzazione. Testimone delle guerre religiose in Francia a metà cinquecento tra ugonotti e cattolici, cercò, come Moro, di pensare a un mondo diverso basandosi regno divino è infatti illimitata e si fondava sul recupero dell’innocenza originaria. La divinità era razionalità; nel processo verso il ritorno a una dimensione religiosa originaria, la sua opera fu fondamentale perchè distingue tre tempi nella storia della redazione 1. Cristo e apostoli all’origine, poi con la corruzione si ha 2. La diffusione dell’anticristo, degli ebrei e di Maometto e infine 3. Il ritorno di Cristo). In Pucci tuttavia scompare la predestinazione -presente nella tradizione gioachimita- perchè la religione vera è quella della natura e della ragione. Successivamente il millenarismo trova nuova espressione grazie a Pucci, che non guardò alla comunità dell’utopia, perchè, siccome la società pensata dal millenarismo cristiano consisteva bella vita guidata da Cristo imperante, essa non aveva bisogno di essere descritta o immaginata; era importante l’educazione e la formazione di ognuno. Le forme di vita pratica sono descritte nella seconda parte, dunque i modi della vita religiosa di una comunità familiare. Il vero cristianesimo originario, dunque la religione di Pucci, viene retto su due pilastri; l’universalità della fede e l’affermazione della religione naturale, insieme alla condanna dell’anticristo romano. La verità del cristianesimo sta nelle sette, nelle comunità della chiesa invisibile, che si stavano espandendo; i credenti erano spinti a dedicarsi alla vita spirituale, piuttosto che agli interessi carnali, l’iniziativa partiva dal basso e andava allargandosi fino alla formazione di un concilio universale attraverso il quale sarebbe stato possibile tornare al cristianesimo originario e costruire una chiesa libera e vera -> la fede ha fondazione individuale, ognuno è theodidactus. • Come soluzione alla chiesa corrotta propone il nicodemismo (il comportamento di chi, pur aderendo a una nuova fede religiosa o politica, si astiene dal farne pubblicamente professione) che era stato condannato da Calvino, invece strumento necessario per diffondere la dottrina cristiana, con cui si costruisce una sorta di utopia invisibile; chi si non riconosceva nella confessione religiosa dell’autorità poteva andarsene o fingere di riconoscersi nella confessione religiosa -> Pucci difese la formazione della chiesa invisibile, una repubblica nicodemita, priva di ogni obbiettivo politico, e chiunque si sentisse di essa cittadino, doveva rispetto le istituzioni pubbliche; questa utopia invisibile aveva una struttura autonoma e gerarchica. Anche se non c'era più uno Stato, il discorso utopistico non si era volatilizzato e il profetismo divenne l’irenismo; gli irenisti utopisti -come adesso Pucci- pensarono che la violenza delle lotte religiose si potessero risolvere senza l’intervento dei principi, ma lasciando emergere dal basso una nuova idea di religione, che avesse come suo nucleo la ragione e che perciò poteva costruire forme di convivenza naturali e felici -> viene da pensare all'utopismo di Rabelais, che avere insegnato a vivere nel mondo ma secondo regole diverse; come R, anche Pucci pensò che una fosse la tolleranza. Dunque, la sua utopia, in forza della religione, avrebbe cambiato il mondo e arrestato le guerre di religione di Francia. L'esperienza diretta delle lotte religiose e della notte di San Bartolomeo lo allontanò dal cattolicesimo. Egli aveva riconosciuto alla religione un'autonomia così ampia da rappresentare, ancor più della politica, la chiave di volta per il superamento dei mali del mondo (≠ Campanella aveva letto Machiavelli, e religione e politica erano per lui due forze che non potevano separarsi). BODIN; la sovranità Nel Cinquecento la società perfetta fu pensata attraverso la religione e la struttura sociale comunitaria che ruotava sulla police. Con il suo carattere di sistema l'utopia cancellava il disordine della storia e creava un ordine sociale coerente, che garantiva la durata del sistema sociale e politico, e la religione civile ne assicurava la costanza ideale senza la necessità di un traumatico ritorno ai principi, perché poggiava sull'identità del presente e del passato, Quando Pucci scriveva della sua utopia, Bodin si chiedeva se fosse possibile che l'utopia, che si contrapponeva staticamente alla realtà, potesse avere utilità politica in una fase di trasformazione -> egli rifiuta la tradizione utopista di Moro e Platone perchè taceva su quello che per li era un punto decisivo ossia il diritto pubblico, per risolvere il problema della pacificazione francese; lo strumento fondamentale per cambiare era la sovranità, che, insieme alla famiglia costituiva il fondamento della repubblica (elementi che erano stati rigettati dal discorso utopistico). COSTITUZIONE POLITICA Lo Stato è «il governo giusto» e la sovranità è vero fondamento, il cardine su cui poggia la struttura stessa dello Stato e da quale dipende tutto; essa è ciò che unisce le famiglie e le altre istituzioni nel «corpo perfetto» dello Stato. La sovranità è caratterizzata dalla produzione e imposizione di leggi senza che vi sia un'autorità superiore di leggi, nemmeno religiosa, è la potenza assoluta e perpetua d'una repubblica; la fondazione sacra del potere e la capacità normativa della regalità restavano circoscritte alla figura del sovrano e venivano sottratte alla Chiesa. La società si reggeva su strutture amministrative, su leggi e su norme e la persona che detiene la sovranità detiene queste funzioni in modo indivisibile, mentre il cittadino gode della libertà comune e della protezione dell'imperium. Bodin polemizzò con Machiavelli e Moro; - Machiavelli aveva fatto della politica una tirannia e aveva posto empietà e ingiustizia alla base della politica; Il discorso utopistico era invece inutile, dal momento che mettere fine alla crisi politica era fuori dal suo orizzonte. - Rifiuto della definizione di repubblica ideale data da Platone e Moro di una società d' uomini riuniti per vivere «bene e felicemente» perchè insufficiente -dato che ignora le due categorie politiche cruciali, famiglia e sovranità- ed eccessiva -perché scopo d'una repubblica non è il vivere felicemente, ma con virtù. Bisognava elaborare «regole politiche» realistiche, mentre l'ipotesi d'una repubblica stabilmente felice all'interno e all'esterno è irrealistica, ed è quindi inutile costruire una repubblica «nel pensiero e senza effetto». ‣ Inoltre, la repubblica platonica è uno Stato popolare e tirannico -monarchia, quando riduce gli uomini in schiavitù, violando le proprie leggi fondamentali e quelle della natura, che sono invece rispettate dalla monarchia moderata. Tuttavia, anche l'utopia repubblicana è uno Stato violento, contro natura, nel quale la politica è "assoluta", perché viola le leggi della storia e della natura; nell’utopia la società ubbidisce alle leggi che, se pensate secondo le regole della sovranità, sono al contrario in funzione della conservazione dello Stato. ‣ Infine, l'utopia esclude l'autonomia della famiglia, dal momento che Moro aveva sostenuto che la crescita delle famiglie doveva essere controllata dallo Stato. Per Bodin il principio è inaccettabile, come l'ipotesi dell'eguaglianza dei beni e anzi i due aspetti sono collegati. Moro e Platone avevano creduto che il modo per dare saldezza istituzionale alla repubblica fosse l' instaurazione dell'eguaglianza dei beni e l'abolizione della proprietà individuale, ma la comunità dei beni distrugge la famiglia che è la base della società. L'utopismo in conclusione era stato ridotto a logica dell’amministrazione; la critica di Bodin fu la prima ad avere commisurato il progetto utopista alla situazione storica come un discorso politico, e ad averne mostrato l’insufficienza. ANTON FRANCESCO DONI Poligrafo ed editore, le sue opere furono caratterizzate da nuove teorie filosofiche; opera Mondi celesti, terrestri e infernali degli accademici Pellegrini, che compiono viaggi celesti e terrestri, la cui formula letteraria consentì di muoversi con libertà nella cultura della fine del Rinascimento, di capovolgere certezze e risalire a epoche lontane. Uno dei protagonisti dei dialoghi è Momo, a cui è affidato il compito di valutare la possibile ricostruzione della società secondo la sapienza antica; la religione cristiana è la credenza di riferimento sulla quale commisurare la realtà degli altri mondi. - Nel Mondo dei Savi, cioè nel mondo della realtà, si fa in modo che lo Stato e la religione convergano, scompare la distanza che gli eretici italiani avevano messo tra religione e politica, e invece il cristianesimo deve regolare la politica, perchè la Chiesa cattolica esercita la funzione di guida attraverso il culto, basato sul sacrificio, e attraverso la correttezza della vita morale, le cui norme eterne sono date dalla "coscienza" e sono regolate dal principio ortodosso della carità. L’eredità di Savonarola fu presente a Doni, che elogiò il monaco perchè egli seppe unire religione e politica. Savonarola, però, spinse Doni verso una politica religiosa ortodossa, scompare la libertà di critica ch'era stata di Moro, e il rifiuto del millenarismo è netto. Nel Mondo Sesto il Savio e il Pazzo lasciano la realtà, dove saggezza e pazzia sono strette, e sono condotti «in un mondo nuovo, diverso da questo», dove trovano una città geometrica, proprio come la sua struttura sociale: c’era comunismo integrale, economico e sessuale, la famiglia scompariva. Era un mondo uniforme, il valore individuale era ignorato, il mondo senza passioni e dedito a dare risposta solo ai bisogni elementari; l'utopia nasce dalla consapevolezza che, nonostante alcuni lati positivi, «il mondo va tutto a rovescio». FRANCESCO PATRIZI; la città felice La visione di Doni si schiarisce nella Città felice (1553), opera giovanile del Patrizi. L’obbiettivo di Città felice è di consentire a un' élite privilegiata di cittadini di pervenire alla "beatitudine" della contemplazione delle verità religiose. La descrizione della città è molto accurata; essa e da fondare ex novo, che va posta vicino al mare, il cui volume deve essere ristretto a pochi "cittadini", dove poche sono le norme sociali, dove mondo rurale e mondo urbano sono contrapposti con durezza. Per consentire la contemplazione del mondo, il corpo sociale è organizzato in sei classi: a. i contadini e gli artigiani debbono lavorare per garantire il mantenimento della popolazione; b. i mercanti ne facilitano la vita; c. i guerrieri e i magistrati «guidano la numerosa moltitudine camminante verso le felici acque del celeste gorgo»; d. i sacerdoti infine con le loro parole e con l'appoggio divino conducono il popolo verso il piacere non dei sensi ma dello spirito. Soltanto c. e d. hanno compiti e funzioni attive, mentre a. e b. vivono ai margini della città, da dove sono escluse, non godono di "privilegi", e perciò «non saranno da chiamare cittadini» perché cittadino è soltanto chi ha il diritto e sente il dovere di partecipare all' « amministrazione pubblica»; ognuno è consapevole della propria condizione e questo genera armonia. All'interno dell'élite c'è una gerarchia, al cui vertice stanno i sacerdoti, che detengono la conoscenza dei misteri, che presentano la religione nelle cerimonie, tuttavia un'ultima eco umanista fa sì che a questi riti non corrisponda una precisa lex religiosa. I sacerdoti sovrintendono all'educazione, alle pratiche eugenetiche e alla conservazione dell'ordine sociale; il rex, sacerdote, filosofo e governante, è capace sia di comandare, sia di somma contemplazione, sia di fungere da architetto e medico della società. È coadiuvato da un collegio di sacerdoti, che ideano leggi e norme per la vita comunitaria sulla base della conoscenza della religione non già cristiana, ma di quella vera e naturale. La religione civile, che è l'anima dello Stato, ha un modello di ispirazione egizio. LUDOVICO AGOSTINI; la repubblica immaginaria si immagina una Repubblica ideale, immaginaria -> due protagonisti; Finito e Infinito, il secondo dà voce all'ortodossa dottrina cattolica che guida ogni azione e pensiero di Finito, il quale perciò si limita ad aggiungere precisazioni di dettaglio. Lo scopo è che la città goda di un clima vantaggioso, edificata secondo norme geometriche, dove al basso si colloca la plebe, guidata dal vescovo, che dirige la vita spirituale. La moralità individuale è basata sulla religione che controlla le istituzioni pubbliche e la dinamica pubblica cancella ogni area di vita privata; l’ubbidienza non è rinuncia ma realizzazione, il potere controlla e limita l'interesse individuale, e a tale scopo serve l’eguaglianza. La società è fortemente gerarchizzata, e si riconosce assoluta priorità ai magistrati, che debbono controllare. Agostini sa che una società che rinunci alle passioni dell'ambizione e della gloria rischia di perdere l'energia necessaria, tuttavia la sua è la società crudelmente noiosa dell'ordinata police, dell'abitudine, del lavoro, degli obblighi: contestazione dell'utopia di Moro per il rifiuto dell'eguaglianza della comunità dei beni e della tolleranza religiosa. L’isolamento della società è voluto. La politica poggia e dipende dalla religione, che ha a suo centro il sacrificio -> l‘utopia comincia a essere il progetto della Ragion di Chiesa, il cattolicesimo regola la vita di tutti; i modelli di Agostini sono Venezia e Roma, ma la struttura dello Stato è quella della teocrazia. Nella Repubblica immaginaria tra il potere secolare e quello clericale c'è un'armonia ormai pensata nello spirito della Controriforma. L’utopia della Ragion di Stato Con la controriforma le utopie idealizzarono il processi politico di civilizzazione che si stava imponendo perchè doveva consolidare il suo interno assetto di potere e rendere ancora più stabile il dominio e la realtà dominata -> le utopie della Ragion di Stato furono diverse da quelle del cinquecento perchè in questo caso si intende che la gestione del potere era sorretta dalla Chiesa; la d’abilità delle istituzione si ottiene con l’immutabilità delle leggi perchè la norma basilare religiosa sfuggiva al controllo dei governanti - per pensare lo Stato Moderno e realizzarlo nel modo già perfetto possibile era necessario il cristianesimo. comune che esalta la passione per la vita comunitaria, nella Città del Sole infatti i sentimenti di amicizia tra gli individui di appartenenza alla comunità sono assai forti, al punto che l'attaccamento alla patria è molto sentito. La repubblica ha la struttura dell'organismo biologico e la connessione delle parti e delle funzioni non è effetto del caso, ma della provvidenza divina. Campanella, che conosceva la critica di Machiavelli ai poteri intermedi, forse ha guardato con interesse all' immagine del mondo turco; confutazione del dispotismo spirituale tirannico e ateo di quel mondo, meccanismo degno dei "politici", si trova nella Città del Sole, dove l'indispensabile "forza della religione” è rappresentata come religione civile che costituisce il fondamento dello Stato. Al vertice, con una posizione monocratica sta il sommo sacerdote, il SOLE, al quale sono sottoposti i tre vertici dello Stato, che si occupano della sapienza, dell'amore e del potere. La giustizia è esercitata da magistrati e ufficiali, il cui meccanismo di selezione è giudicato infallibile e si basa sulla religione; tutti si confessano ai tre sacerdoti, i quali a loro volta si confessano al Sole, che così conosce gli errori della sua città e «confessa pubblicamente» a Dio i peccati suoi e del popolo -> la condotta morale di tutti trasparente a tutti costruisce la compattezza etica della comunità e permette che le funzioni pubbliche possano creare una gerarchia virtuosa e dedita al bene pubblico. La religione civile ha per suo principio il salus populi, con il quale l'organizzazione sociale può durare per sempre attraverso la saldatura di ragione e religione naturale; la religione è presentata secondo due prospettive, le quali paiono avere una successione temporale che ricorda l'utopia di Moro. a. La religione dei solani è quella NATURALE, anteriore alla rivelazione; non praticano idolatrie, dalla teoria religiosa desumono i due principi cosmologici del freddo e del caldo, è una religione ispirata dalla cosmologia di Telesio, e anch'essa è una religione del sacrificio, sostiene la libertà di arbitrio. b. quando i solani «sapranno le ragioni vive del Cristianesimo, consentiranno perché sono dolcissimi» e perchè tra religione di natura e cristianesimo c'è continuità. Campanella poté concludere che le dimensioni storica e religiosa si uniscono nel millenarismo e la città del Sole è "misura" universale dell'ordine sociale e religioso. - Con le scoperte extraeuropee ci si avviava verso il mondo retto da "un solo pastore, un solo re", come aveva previsto l'Apocalisse. - I solani saranno i filosofi di cui tutti gli uomini sono strumenti - I molti segni astrologici e la scoperta della pensabilità del millenarismo tra storia e verità inducevano a credere che i tempi fossero maturi. La narrazione si conclude con uno squarcio apocalittico; i solani dicono che il mondo « avrà da riducersi a vivere come essi fanno, perché cercano sempre sapere se altri vivono meglio di loro» = la profezia aveva una valenza politica, e calò il progetto politico da realizzare in una tessitura cosmologica e sociale. La strada utopista era stata aperta anche per Campanella da quell’esperienza, egli mostrò infatti che l'utopia era frutto del pericoloso bisogno di contestazione; le descrizioni della Città del Sole e l'eco della fallita rivolta di Stilo del 1599 sono collegate, infatti sconfitto, Campanella immaginò nella Città del Sole una cellula della trasformazione del mondo e ancorò al millenarismo il discorso politico dell'utopia. L'utopia di Moro era stata un mondo laterale, uno spazio all'interno del quale il tempo aveva una propria logica, ma il tempo dell'utopia e quello della realtà restavano incomunicabili. Attraverso la profezia La Città del Sole invece li collegò; tuttavia il tempo profetico e utopico della Città del Sole era ambiguo perchè se da un lato spalancò all'utopia la temporalità storica e la sottrasse alla dimensione mitica dell'immaginazione spaziale, d'altro il tempo in cui venne inserito il progetto era quello del millenario imperiale -> strategie da lui elaborate per sfuggire al tribunale spagnolo; ciò che lo aveva spinto a partecipare a quel sommovimento che non aveva finalità di contestazione ma, al contrario, di integrazione nella struttura imperiale era stata non la sua volontà di ribellione alla Spagna, ma la decifrazione, poi rivelatasi sbagliata, dei segni astrologici delle forze naturali lo avevano spinto. La Città del Sole aprì all'utopia una nuova prospettiva temporale, ma al tempo stesso la chiuse, perché l'aveva collocata in un quadro astrologico. CAP 2; IL SEICENTO E LA SOCIETÀ IDEALE NEL PRESENTE Durante il seicento lo spazio per l’utopia era ormai esaurito sulle carte geografiche, dunque bisognava ora vedere dentro il proprio mondo una nuova società, infatti la riflessione utopista cercò il nuovo Stato nella sua storia -> relazione tra utopia e tempo; il futuro era l’obbiettivo, mentre il passato era certezza storica, ed esso venne utilizzato dal pensiero utopista per costruire la società ideale nel presente. Il modello fu quello della teocrazia biblica, si sente in particolare Machiavelli quando si parla di political hebraism, ossia il significato storico e politico dell’esperienza biblica nel dibattito teologico, politico e sociale; di Machiavelli c’è l’interpretazione della storia romana per la necessitò della religione in politica. L’antica repubblica teocratica fu al centro dell’entusiasmo politico. L’intersezione tra storia e politica fu punto centrale della filosofia di Hobbes e Spinoza; nel seicento l’intreccio tra utopia e teocrazia ebbe i primi riscontri pratici (cinquecento; utopia guadagna spazio di immaginazione critica e razionale per il suo conflitto con la storia). GIOVANNI CALVINO; la disciplina della fede Calvino aveva rivolto un appello alla coscienza ai protestanti, ma nel frattempo la forza dell’immaginazione umanista si era esaurita; il bisogno di utopia c’era a partire dal fatto che la realtà della vita rigenerata della religione affascina gli animi -> rifiuto della simulazione nicodemita da parte di Calvino perchè 1. Rispetto per la dottrina e 2. La fede, se vera, deve investire l’intera vita del credente. Per C la religione significava un modo per placare l’angoscia della vita terrena, infatti a questa fede, predicatrice del mondo del Vangelo, si contrapponeva con forza alla Chiesa di Roma; per i calvinisti era importante, oltre alla teoria della predestinazione, anche l’impossibilità di conoscenza del proprio destino dopo la morte per impedire agli uomini l’accesso alla sacralità, perchè la conoscenza di Dio è qualcosa riservato a Dio stesso. La soluzione di Calvino fu l’obbedienza degli uomini come in sacrificio a Dio, divinità con la quale la conciliazione era impossibile (≠ Chiesa cattolica; offre agli uomini il sacrificio di Cristo per la loro conciliazione salvezza con la divinità). Al centro del percorso di salvezza stava la costituzione di un sistema sociale ed etico a cui bisognava ubbidire per uscire dalla corruzione e dalla violenza; il sistema di legislazione era quello del Dio di Mosè. Diversamente dagli utopisti, il calvinista doveva considerare la realtà per quella che era, perchè la vita politica potesse essere indirizzata dalla è alla religione; necessità di mantenere il proprio ruolo nella gerarchia trovando nel proprio lavoro la fede, che serve a modificare il mondo -> sentimento dell’individuo che il suo lavoro ha un lavoro sacro e religioso, esso lo spinge a 1. Critica della corruzione 2. Desiderare la stabilità culturale e religiosa (in Francia la rivoluzione religiosa e politica ugonotta partì dall’antica nobiltà; il gentiluomo che si faceva calvinista acquisiva l’identità del santo, uomo politico perchè accanto alla disciplina della fede per il calvinista c’era la disciplina del lavoro. La republica hebraeorurm Il testo su cui si basò la sua composizione fu il Contro Apione di Flavio Giuseppe, la quale interpretazione della relazione tra politica e religione -che era a fondo dello Stato ebraico- poggiava su un’idea di religione tanto assurda quanto originarle; la politica ebraica era riducibile alla tripartizione aristotelica di monarchia aristocrazia e repubblica. Per costruire lo Stato perfetto era necessario il patto con Dio -> il modello poteva variare a seconda delle società, ma questa era la condizione religiosa indispensabile; in questo modello politico, tuttavia non specifico, tutte le virtù costituivano il sistema della religione ebraica. L’idea di teocrazia ed ebraismo si sviluppò con i dibattiti sulla natura dello Stato moderno; a. Una prima riflessione si ebbe con BODIN, che analizzò la repubblica non come una teocrazia, ma in quanto modello politico senza alcun valore eccezionale, era uno degli Stati della storia; b. la parola teocrazia apparve con ERASTO, che vede nella teocrazia uno stato perfetto, dove il potere civile è affidato a Dio per volontà della medesima divinità; questo perchè il potere civile è solo autorizzato a regolamentare la vita religiosa (-> originario sistema biblico). Qualunque imitazione del modello non poteva tradire questa caratteristica; il mondo della religione e dei religiosi doveva essere sottoposto all'autorità civile e alle regole che questa poteva emanare in materia di vita religiosa. Lo Stato civile aveva evidentemente interesse a mantenere la concordia, sicché doveva esserci la tolleranza delle varie credenze dal momento che la libertà di coscienza non metteva in pericolo l'ordinamento civile. Erasto si scontrò alla fine del Cinquecento e inizio Seicento con i rigoristi calvinisti; i calvinisti ortodossi ebbero il sopravvento e imposero il proprio predominio nel controllare e guidare i comportamenti civili della nazione nella lotta all'impero spagnolo e nella costruzione della nuova repubblica, che doveva ispirarsi all'insegnamento biblico e calvinista in opposizione alla politica della religione cattolica. c. Al gruppo degli erastiani appartenne Ugo GROZIO, che unì la riflessione storiografica e quella religiosa-politica sulla storia ebraica; egli sostenne che, se si fosse scoperto che esisteva una forma di Stato da Dio voluta, era evidente che questa avrebbe dovuto essere il solo modello politico -> Dio aveva indicato e anzi creato lo Stato a lui gradito, che fu lo Stato ebraico, dunque non ci si doveva fidare della scienza politica tradizionale; aveva avuto ragione Flavio Giuseppe a coniare il nuovo termine, "teocrazia", con il quale si diceva che il potere supremo era di Dio. d. Poco dopo, apparve CUNAEUS, amico di Grozio e partecipe dello stesso orientamento erastiano; lo Stato degli ebrei aveva valore politico universale, perché fondato non da un uomo ma da Dio, e quindi il modello teocratico fu «il più santo e il più perfetto al mondo»” - la struttura della teocrazia poteva essere federale. Alla sua base v'era la legge agraria che assicurava la concordia civile e morale; il potere clericale era subordinato a quello civile. Nella teocrazia biblica la religione non aveva creato intolleranza e non aveva reso fragile lo Stato, e perciò questo sistema politico di remota fondazione era ancora attuale. All'incrocio temporale utopico tra passato e presente Cunaeus prestò una bella immagine -> gli apostoli e gli evangelisti sarebbero ritornati brevemente sulla terra e si sarebbero stupiti nel vedere come le superstizioni ridicole del cristianesimo avessero deformato il loro insegnamento. Viaggiatori utopisti in arrivo dal passato della società perfetta al presente, gli apostoli avrebbero portato il suggerimento che per costruire la società giusta unico modello era Gerusalemme. Pure nel 1617 Grozio ribadì le tesi erastiane sulla necessità che la vita religiosa fosse regolata dal potere civile, tesi poi esposte nella sua opera maggiore, il De jure belli ac pacis; il potere civile aveva il diritto esclusivo di valutare se e in che modo correggere gli errori religiosi. Il criterio di questa valutazione consisteva nell'eventuale effetto nocivo o positivo che una credenza religiosa poteva avere sulla società umana. Esisteva la Vera religione cristiana, costante e comune a tutte le epoche della storia, che definiva la divinità in quattro modi -Dio buono e unico, trascendente, autore della provvidenza, creatore- e che non poteva essere regolamentata da nessun potere civile, il quale anzi ne traeva sostegno e legittimità; inoltre, siccome questa religione si potrebbe definire universale e civile, essa era presente in ogni Stato politico come sua fondazione quasi logica, per una necessità antropologica. Esisteva un nucleo universale di religione, costituita dal riconoscimento della necessità di una divinità di ragione e dalla necessità di collegarvisi mediante cerimonie e sacrifici; tutte le religioni storicamente determinate poggiavano su elementi dottrinari particolari, comunque irrilevanti, che sono gli adiaphora, cioè quelle norme che non contribuivano a determinare la verità religiosa generale e che perciò andavano cancellate. Queste superstizioni e credenze specifiche, inoltre, non erano di garanzia al mantenimento dell'ordine sociale ed era quindi illegittimo punire le cosiddette eresie, perché non c'era differenza con l'ortodossia, giacché erano tutte sullo stesso piano rispetto all'unica vera religione. La religione di cui ha bisogno uno Stato è la religione civile universalistica e razionalistica qual è il cristianesimo -> la teoria di Grozio, che fece del cristianesimo razionalistico il fondamento della religione civile di cui ogni politica aveva bisogno, fu poi confutata da Rousseau. LE MISSIONI GESUITE DEL PARAGUAY Anche se nel mondo cristiano non si parlava di teocrazia (fuori dai confini dello Stato papale si sarebbe messa in discussione la sovranità spagnola e francese), un caso di teocrazia, che si disse aveva riportato in terra il cristianesimo, furono una trentina di missioni gesuite del Paraguay, fondate nel viceregno del Perù e governate dalla Compagnia di Gesù dall'inizio del 1600 al 1756. Ai gesuiti era stato perentoriamente richiesto di intervenire nel Perù dal re di Spagna Filippo II per la loro straordinaria capacità di evangelizzazione, sperimentata in Oriente e in Europa; la compagnia arrivò in Perù nel 1568, i coloni si erano sottomessi al sovrano dopo una lunga ribellione, e uno degli obiettivi proprietà a seconda degli uffici e delle gerarchie attribuendo una porzione eguale alle cinquanta tribù, ma anche, in tal modo, 3. Conservava l'equilibrio tra le varie identità sociali da cui Oceana era formata, e che anzi venivano consolidate. Governo -> principio che al suo interno produceva effetti con una necessità di tipo naturale, quali la proprietà, che determinava l'autorità sociale e politica, e di conseguenza determinava la bilancia dei poteri, cioè il principio del necessario equilibrio tra il governo e la società. Il controllo della proprietà terriera e l'avvicendamento ciclico alle cariche pubbliche erano garantiti dalla periodica rotazione agraria; esempio di Venezia era difeso, mentre l'esperienza di Roma era criticata. La libertà raggiunta con l’equilibrio aveva l'appoggio indispensabile della religione, in Oceana esistevano preti, ma il modello religioso era quello apostolico e i sacerdoti erano scelti con una procedura democratica; la Chiesa era costituita da tutto il popolo e la religione era parte della ragione naturale. Harrington fu fermissimo nel condannare la casta sacerdotale e come tutti i radicali inglesi condannò le teorie che rendevano il potere religioso indipendente, infatti secondo lui l'istituzione del sacerdozio come professione era la principale causa della corruzione politica. La rappresentazione della sovranità teocratica fece di Oceana una repubblica, nella quale libertà civile e libertà cristiana s’identificavano, ma dove la sovranità era un puzzle di tradizioni eterogenee; la teoria repubblicana inglese del governo misto del secondo Seicento aveva ancora fatto perno sull'amministrazione, sulla tradizione umanista e storica. La difficoltà tuttavia stava nel modello medesimo, dove il rapporto tra religione e politica era ancora confuso; la ripresa della teocrazia ebraica nel mondo protestante come modello politico fu uno dei modi con il quale tra Cinquecento e Seicento si ripensò l'esperienza repubblicana. La teocrazia ebraica, giudicata come lo Stato ideale perché l'unico voluto direttamente dall'unica divinità vera, segnò la strada per unire l'utopia alla realtà storica. La respublica hebracorum si poteva conoscere con certezza secondo le regole della scienza storica e poteva divenire oggetto di scienza politica. Alla fine di questa parabola si vide che proprio la religione, che aveva richiesto l'attuazione di quello Stato, aveva decretato l'impossibilità di fare quel che solo Dio aveva potuto fare; l’ebraismo politico si svelò una strada senza sbocchi. Il credente della teocrazia puritana stava trasformandosi non solo in un patriota, ma nel cittadino romano; MOYLE scrisse le Reflections upon the Roman Commonwealth, dove affermava che la concordia era l'obiettivo della vita politica, tuttavia la struttura teocratica gli parve ormai un relitto del passato -> la repubblica romana era dunque il modello politico della compattezza sociale e della tolleranza cui guardò il repubblicanesimo britannico di fine secolo, che tentò di unire le esperienze di Roma e Venezia entro il sistema monarchico (la costituzione romana aveva permesso la pace interna tra gli ordini dei cittadini e aveva fatto sì che i culti esterni venissero assimilati senza conflitti. A Roma la religione ufficiale aveva avuto un numero assai ridotto di dogmi, le altre credenze erano considerate marginali, aggiunte irrilevanti lasciate alla discrezione dei singoli); questa saldatura, a giudizio di Hume, era stata resa possibile anche dall'opera di Harrington, un' utopia immaginaria. I difetti erano la rotazione delle cariche e delle proprietà, la legge agraria, le insufficienti garanzie di libertà e di giustizia, appunto i caratteri che avevano fatto di Oceana un’utopia; con Harrington si era Chiusa l'epoca in cui i piani immaginari di repubbliche erano stati largamente discussi. Nel declino dell'utopismo dell’ebraismo politico la fine dell'entusiasmo religioso giocò un ruolo decisivo perchè lo Stato ebraico perse di consistenza politica e divenne un oggetto di analisi. Si apre però un nuovo confronto della politica e dell’utopia con Spinoza e Locke SPINOZA LA RINUNCIA ALLA TEOCRAZIA Nel Tractatus politicus Spinoza parlò della scienza politica del suo tempo. Nella storia del mondo si erano viste tutte le forme possibili di organizzazione sociale, sicché non era più possibile nella realtà progettarne di nuove, le teorie politiche dei moderni "filosofi" erano irrealizzabili; essi definivano gli uomini non quali sono, ma quali li faceva essere la loro filosofia, e ai loro occhi gli uomini avevano la colpa di seguire le passioni e non la ragione -> era una filosofia della politica lontana, anzi ignara della realtà. Dall'altro canto, dalla parte della realtà, c'erano i politici, i quali per farsi obbedire ricorrevano alla concreta passione della paura, la loro scienza della politica era conoscenza realistica degli uomini, dotati di passioni e di ragione; rischiavano tuttavia di andare in urto con le dottrine religiose e filosofiche, eppure erano comunque preferibili ai filosofi perché almeno parlavano di cose effettuali (=pragmatismo). Ma la loro teoria della prudenza, che è la categoria dell'esercizio del potere, non aveva verità universale, perfino Machiavelli, il più acuto dei politici, aveva lasciata irrisolta tale questione. Nel Tractatus theologicus-politicus Spinoza aveva definito in altra maniera il problema della politica, ossia quello della natura di jus e potestas; il problema che la politica intesa come scienza si doveva porre era dedurre, in modo rigoroso, dalla natura umana, la dottrina della libertà e saper unire pratica e teoria: mostrare come nella sovranità lo jus dell'autorità pubblica derivi dallo jus individuale. Spinoza volle fare una scienza politica che fosse lavoro di comprensione; costruita la sovranità come forma politica analizzò le forme del potere -monarchia, aristocrazia, repubblica- che erano tra loro diverse, ma tutte eguali perché il potere vi era sempre lo stesso, cioè assoluto. Ogni altra forma era mito e andava esclusa, anche la teocrazia; la religione era un linguaggio del cuore, non della ragione, e per quanto riguarda la teocrazia era inutile, e anzi era un' impostura (vengono riconosciute però nella tradizione dello Stato ebraico alcune istituzioni apprezzabili). La legge da seguire era quella della ragione, non della religione, e dunque da tenere presenti erano le repubbliche, sola forma della libertà dello «Stato democratico». Inoltre nel Tractatus politicus, Spinoza approfondì il tema di religione e politica; il principio della tolleranza permetteva che vi fossero varie religioni in uno Stato, ma le loro cerimonie andavano controllate e le affollate riunioni di culto andavano interdette. Era invece necessaria una «religione della patria», che fosse semplice e di un'autentica universalità, espressione e garanzia di una politica razionale; questa «religione nazionale», priva di qualsiasi fondamento irrazionale e superstizioso, doveva essere gestita dai patrizi del Senato, che avrebbero guidato le cerimonie delle religioni particolari -> tale religione civile però non condusse alla ripresa del discorso utopistico; la teoria politica inserì la religione nella sovranità repubblicana, della quale era necessaria funzione, ma rinunciò all’utopia. LOCKE LO “STATO SENZA IMPERFEZIONI” Locke fu lettore di Utopie, e in particolare conobbe GODOLPHIN, autore di fine seicento; Locke a tutte le utopie preferiva Oceana, perchè costituiva una società di poche leggi; tuttavia, con l'esempio di una vita individuale, anche esemplare, non si sarebbe trasformata l'Inghilterra in Oceana. Per fare nella vita reale «un nuovo popolo» occorrevano norme pubbliche -> Locke si trovò ad affrontare il problema di dare istituzioni al "nuovo popolo" delle colonie nord-americane, perchè fu coinvolto a lungo nell’amministrazione britannica come Lords Proprietors della Carolina e si ricordò di Harrington; nella stesura della Fundamental Constitutions of Carolina, un elemento del breve testo che colpì molto i lettori settecenteschi fu la clausola che obbligava il governo, dopo cento anni, alla revisione delle leggi. Condizione di accettazione nella colonia della Carolina del Sud era il fermo riconoscimento di Dio, la volontà e anzi l'obbligo di rendergli il culto (la necessità di rendere evidente la propria fede), il rispetto della tolleranza; questi aspetti costituivano la religione civile della colonia e le sue norme generali non potevano essere contraddette dalle sette particolari. Si sente in questo progetto il ricordo di Oceana, oltre che per l'attenzione alle norme dell'amministrazione, soprattutto per la cura con cui si assegna la terra ai coloni, che riproduce lo schema di Harrington ed esprime il medesimo bisogno di stabilizzare le strutture sociali su una salda base agraria, adesso proiettata sull'orizzonte della conquista coloniale. A parte la presenza di istituzioni feudali, con il ricorso a Harrington Locke mirò a introdurre anche nelle colonie i valori della tradizione civica repubblicana, intesa come strumento di stabilità della società, dunque seguendo la lezione di Oceana. Nella progettazione di Locke della colonia americana abbiamo ritrovato l’insegnamento di Harrington; poi Locke conobbe a Londra l'ugonotto francese VAIRASSE, il quale pubblicò Histoire des Sévarambes, nell'ambito del filone letterario utopista seicentesco, la più importante imitazione di Moro. Vairasse racconta anche la genesi di quella società, introducendo un tratto nuovo nella narrazione utopista,; nella società il potere promana dal Sole, divinità temibile e benefica, e deriva da due contratto -> il Sole delega il potere a un sacerdote che diventa il sovrano, in realtà nominato da un consiglio ristretto eletto dal popolo; questa struttura piramidale poggia su una società basata sul lavoro agricolo, sull'abolizione della proprietà e, quindi, delle classi - il lavoro è obbligatorio e l'eguaglianza completa. Non c'è contestazione politica; l’ordine è interiorizzato dai cittadini attraverso una rigorosa educazione. Insieme al potere spirituale c'è il diritto alla tolleranza; tuttavia, esiste una religione pubblica ufficiale, quella solare -> non è una religione di salvezza, bensì la religione razionale del cosmo meccanicista che ha assunto un valore politico, perché assicura la forza del potere politico e allo stesso tempo la tolleranza e non crea nessuna casta sacerdotale. Il sovrano assomma in sé potere politico e religioso, come si è visto con la tradizione teocratica di Grozio, ma è soprattutto l'Oceana di Harrington a farsi sentire per il sistema di elezione. Tra il 1676 e il 1679 Locke fece osservazioni collegate all'orizzonte coloniale nella sezione che intitolò Atlantis; sebbene non abbia il carattere dell'utopia, tuttavia è un altro luogo dove Locke rifletté sulla tradizione utopista, come del resto indica il titolo, che evoca la Nuova Atlantide di Francesco Bacone. La casa di Solomone è un elemento della nuova Atlantide-> si indagano i fenomeni naturali e si procura l'avanzamento della conoscenza scientifica e che diede al discorso utopista una svolta verso la conoscenza tecnologica del tutto nuova; essa era stata costruita sullo schema tradizionale del viaggio di un gruppo di europei che dall'America andava in Oriente e sul loro naufragio, risoltosi nella scoperta di «una nuova terra ». Essi presto scoprirono di trovarsi in un luogo dove a religione naturale dominante era quella cristiana ma era tollerante, le feste e in generale le cerimonie avevano grande importanza nella formazione e conservazione dell' ethos sociale; molta attenzione era data al matrimonio e si condannavano la sua violazione e l'omosessualità. Nella breve narrazione Bensalem è presentata come un luogo felice, tranquillo, con un tenore di vita elevato, la maggiore preoccupazione è che l'arrivo di stranieri possa minare il sereno equilibrio della comunità e di conseguenza è attivato un rigoroso controllo sia sugli arrivi, sia sui comportamenti degli stranieri, che però possono acquisire e fornire insegnamenti scientifici e tecnologici. Proprio questo aspetto della Nuova Atlantide di Bacone è ripreso da Locke -> nella sua Eutopia ciascun cittadino lavora almeno un'ora al giorno; i regolamenti matrimoniali sono assai precisi, l'educazione è molto curata; si cerca di contenere il lusso. Nel villaggio ogni dieci abitazioni vi è un loro responsabile, il tithingman (paragonabile al constable delle parrocchie inglesi), il quale controlla la vita di tutti ed è tenuto la informare i giudici se conosce infrazioni o reati; una volta al mese visita le case dei cittadini per controllare che vita conducano e se essa sia corretta + gli spostamenti dei cittadini e gli arrivi dall'esterno. Tuttavia il pericolo delle infrazioni delle norme stabilite da Locke è pensato come una minaccia interna (≠ Bacone; esterna); la funzione del tithingman non è soltanto di vertice, ma, come si è visto, dà voce alla circolare, orizzontale forma di controllo interno, si attiva il controllo che tutti esercitano su tutti e che ha il suo vertice nel funzionario locale, che esercita la police e assicura la prevenzione contro i delitti e fa cessare i reati. Locke riprese questi aspetti, che erano, come sappiamo, costanti nelle rappresentazioni utopiste, e ne fece il motore e la condizione dell'indipendenza e dell'autogoverno che andavano riconosciuti alle singole, piccole comunità nord-americane, le quali potevano apparire micro-utopie. Non possiamo definire utopia né Atlantis né le Constitutions of Carolina, però entrambi i testi mostrano che la lettura di utopie costituì una via importante per pensare la felicità; il bisogno di felicità e di utopia era insopprimibile. Se i moralisti cristiani e pagani avevano spesso deriso gli obiettivi delle passioni umane, derivò dal fatto che in quegli obiettivi v'era realmente «una deficienza o un lato oscuro» che non poteva non essere messo in luce: ma quel desiderio nemmeno poteva essere soffocato. In comune le Constitutions of Carolina e Atlantis hanno il riconoscimento che la politica deve governare con prudenza, deve esercitare la forza del governo al fine di instaurare una police che assicuri il benessere dei cittadini. Nell'assenza di un principio giuridico di alienazione del potere dal basso verso l'alto, Locke in Atlantis sembra interno al repubblicanesimo di Harrington, e dunque sensibile alla tradizione utopista della prudenza, così come si stava sviluppando in Inghilterra. La circolarità del controllo di tutti su tutti permetteva di inserire l'insegnamento utopista nella tradizione repubblicana e metterlo in azione nelle comunità coloniali, dove il potere era diffuso dall'interno della società, nella quale l'opinione pubblica andava guidata e, a sua volta, determinava il governo spirituale della società, che era condizione della libertà. L'attenzione alla legge del costume e dell'opinione venne a Locke pure da questa esperienza di ideazione di società coloniali. L'utopia, oltre che una necessità mentale, poteva essere una meta realista; Locke, tornato a Londra, aveva trovato una nazione che gli parve corrotta, lacerata in fazioni a corte e nel governo, la cui vita politica era degradata a impostura. In numerose sue lettere di quegli anni questo scoraggiamento e Roma accolse le altre religioni; Montesquieu sottolineò che questa teologia politica non andava confusa con la teocrazia, in particolare con quella biblica e cristiana, perché la religione politeista classica è opposta al monoteismo cristiano. - La religione politeista ispirò l'amore per la vita e l'indifferenza per la morte; - il monoteismo cristiano era una religione penitenziale, nella quale la vita terrena e l'aldilà appartenevano a due logiche inconciliabili e la prima era una colpa inespiabile". Fermo fu dunque il giudizio di Montesquieu sul fatto che la teocrazia in quanto struttura politica del cristianesimo e delle religioni penitenziali non potesse essere tra le forme della storia politica. Le lettere persiane; La polemica contro l’eurocentrismo Viene descritto un viaggio etnografico, due persiani arrivano Europa e raccontano ai loro corrispondenti quello che vedono; Montesquieu capovolse l'eurocentrismo e fece divenire l'Europa oggetto di analisi antropologica. In un gruppo iniziale di lettere i persiani si chiedono se la felicità venga dai sensi, o dalla virtù, o dal rispetto delle norme religiose -> per capire cosa sia la religione, in una lettera successiva Usbek chiede a un ecclesiastico schiarimenti sulla logica religiosa rituale, in particolare sul puro e l’impuro; la distinzione puro/impuro che sta in ogni religione nulla ha di razionale, ed è il fondamento di ogni credenza religiosa, dei suoi principi ontologici e delle cerimonie e dei sacrifici. La gestione di tale logica è confinata alla sensibilità individuale, oppure delegata a chi abbia il potere di decidere per gli altri. La risposta del sacerdote a questo problema fosse dogmatica e quindi inutile; la verità della religione stava nella sua funzione sociale e nella sua capacità di creare socialità. Usbek narra la storia dei trogloditi, abitanti dell’Arabia, che Erodoto aveva definito più animali che uomini, loro vivevano insieme ad altre popolazioni fantastiche; Montesquieu tolse loro dalla dimensione fantastica, anche se restarono, nella sua concezione, al di fuori dell’umanità, perchè non conoscevano equità e giustizia -> questo popolo segui la sua «indole selvaggia» e ciascuno ascoltò il proprio interesse e nessuno si curò degli altri; la società perì perché i problemi della sussistenza e della fiducia reciproca non ebbero risposta. Sopravvissero soltanto due uomini «ben singolari», che avevano umanità, giustizia, virtù e sapevano ascoltare la voce della natura e della ragione, la loro «pietà» fu il motore di una nuova società, non ci fu un legislatore, le famiglie si unirono, si espansero e si diffuse la felicità. L'utopia è fatta da persone naturalmente buone, che non vanno indirizzate. Grazia alla religione, si costruì una società che potremmo definire del dono, nella quale c'era la comunità dei beni e si sentiva di appartenere a una sola famiglia; alla minaccia di un'ingiusta invasione, tutti si impegnarono a combattere e a sacrificarsi per la famiglia, per gli amici. L'utopia poteva tuttavia evitare la malvagità e la proprietà privata, non il rischio del declino; il volume della società troglodita andò aumentando e gli abitanti decisero di darsi un re, che constatò con dolore che la virtù era divenuta un peso tra i suoi concittadini, un’azione è virtuosa quando è fatta «per la sola inclinazione della natura», e invece i trogloditi preferirono obbedire alle leggi ed essere virtuosi «sotto un capo», piuttosto che seguire i costumi della natura -> la società si diede istituzioni politiche e fu travolta dall' inevitabile corruzione. Lo Spirito delle leggi: la repubblica nella storia Montesquieu osservò che i più illustri teorici politici, da Aristotele a Machiavelli, a Moro e Harrington non avevano avuto pratica politica; i loro progetti furono fantastiche descrizioni di Stati immaginari mitologici. Non a caso, in quell'elenco mancano i legislatori per eccellenza, Platone, Licurgo e Numa, la cui azione è invece testimoniata da fonti certe; la teoria politica doveva muovere dalla storia. Montesquieu sistematizzò le forme politiche in una nuova tripartizione - monarchia, repubblica e dispotismo - diversa da quella aristotelica. Ognuna di queste forme scaturisce dall'incrocio della natura (il numero dei detentori del potere considerato nel rapporto tra costoro e le leggi) e del principio (la passione - onore, virtù, paura - che sta al fondo di ciascuna delle forme politiche); in questa teoria non c'è posto per la teocrazia (In tal caso la società si reggerebbe sulla sola religione e la politica vi sarebbe subordinata e impotente). La politica umana non nasce dalla credenza irrazionale, ma esige che le leggi divine siano distinte da quelle umane, in modo che l'autorità poggi su un valore condiviso; agli occhi illuministi di Montesquieu la natura di qualsiasi teocrazia repubblicana era mitologica. L'utopia poteva però essere pensata in modo politico, e infatti all'interno di quella nuova tripartizione era una delle forme della repubblica, anzi la sua forma ideale. Queste società avevano volume assai ridotto e alla loro base c'era la comunità dei beni, era una repubblica comunista fondata su una regolamentazione pubblica del lavoro e della proprietà, altre istituzioni necessarie, e l'assenza di denaro. Altra caratteristica della repubblica utopista era la educazione generale; l'attention singulière de tous les citoyens les uns sur les autres. Divenuta repubblica, l'utopia aveva conservato tutti i suoi caratteri - comunità dei beni, religione civile, potere spirituale -, ma perse quello della police e acquisì il tratto della sovranità; police e legislazione sono cose different perchè - C'è opposizione tra leggi e regolamenti di amministrazione, soltanto le prime sono garanzia di libertà. - Negli Stati politici gli uomini sono governati da una serie di vari sistemi di diritto: naturale, divino, delle genti, politico generale e nazionale, civile, di conquista. La differenza tra il sistema della legislazione e quello dell'amministrazione risalta nel caso del diritto criminale, per Montesquieu essenziale perché garantisce la protezione della libertà individuale. Nella police, al contrario, domina l’arbitrio, che «ha regolamenti piuttosto che leggi». Nel modello dello Spirito delle leggi ritornano dunque tutti gli elementi della tradizione utopista, come era stata pensata da Moro in poi, però inseriti in un discorso politico della realtà. Montesquieu riconobbe all'utopia la carica di contestazione dell'ordine presente e di progettazione di un' ideale società alternativa, senza le quali non sarebbe stata un'utopia: per mantenere questo carattere l'utopia però non poteva essere solo immaginazione, doveva essere un progetto che unisse antropologia e storia, desiderio di felicità, libertà, eguaglianza e capacità pratica di pensare le istituzioni coerenti e necessarie. Così pensata l' utopia poteva essere il pensiero del futuro. Montesquieu non ha descritto un' utopia, ne ha costruito la teoria = cesura decisiva nella storia dell'utopismo. La trasformazione che Montesquieu fece del pensiero dell’utopia fu una svolta radicale. La comunità dei beni Montesquieu costruì la teoria politica della «comunità dei beni della repubblica di Platone», accanto a un'altra forma di comunità dei beni, quella delle popolazioni selvagge. Questa società restò esterna alla sua tripartizione delle forme politiche, perché, appunto, non era una forma di società politica. ‣ Nel XVI SECOLO, da Moro a Campanella, pensare l'utopia significò pensare la comunità dei beni, che però alla fine del secolo indicò l'impossibilità di una società (Bodin). Perché uno Stato possa esistere occorre la sovranità, la quale esige che vi siano le due distinte sfere del pubblico e del privato; l'area privata, comunque questa deve esistere era indispensabile, perché il loro rapporto rappresentava il rapporto tra lo Stato e le famiglie, e costituiva l'essenza della politica: se veniva meno uno dei due termini la società decadeva. Per pensare la comunità dei beni non restava che la fantasia, oppure bisognava cercarla nella vita selvaggia; per Pietro Martire d'Anghiera e di Montaigne, le tribù selvagge d'America furono i riferimento sperimentale e non letterario per mostrare che la concordia sociale si poteva realizzare con l'assenza di proprietà e senza la costrizione del potere politico. ‣ Nel XVII SECOLO il discorso sulla società comunista proseguì sul nuovo orizzonte del diritto naturale, prospettiva paradossale, perché in tal modo la comunità dei beni fu pensata a partire dall'individualismo. A iniziare tale analisi fu Grozio, che nella rappresentazione delle società selvagge e del loro tipo di comunità dei beni, si limitò a riprendere le migliori descrizioni dei viaggiatori e soprattutto del gesuita Acosta; egli era interessato a mostrare l'origine convenzionale della proprietà, che non era un diritto naturale, ma derivava dall'impossibilità per la società naturale di conservarsi stabile. Due erano per Grozio le esperienze cui una discussione che volesse essere realista poteva fare riferimento; 1. Le comunità selvagge, che poggiavano sulla naturale semplicità -> le società primitive con comunità dei beni non ebbero istituzioni in grado di fronteggiare i conflitti e le rivalità che le investirono per l'aumento di volume. L’instabilità sociale determinò la rinuncia alla comunità dei beni con consenso generale; la proprietà fu accettata perché era anch'essa un effetto della socievolezza naturale. La società commerciale, fondata sullo scambio e sulla proprietà, si rivelò una società pacifica che era in grado di soddisfare l'incremento di bisogni e desideri, che necessariamente avviene nelle società. La comunità dei beni tuttavia non scomparve rimase diventò marginale, riemergeva nei casi di estrema necessità. 2. Le comunità apostoliche del cristianesimo, che poggiavano sulla carità. L'altra fonte storica di società con comunità di beni fu Müntzer; il principio della carità fu sempre più confinato in una dimensione psicologica e morale. Nel 1726 apparve Mosheim, grande storico ecclesiastico luterano, che mostrò che a torto si attribuiva alla Chiesa l'ideale comunista; nella Chiesa originaria era esistito un "tesoro pubblico", ma era una risorsa riservata ai poveri e alle vedove. La comunità apostolica dei beni non esistette mai, perché creava infinite difficoltà pratiche e impediva l'esercizio della carità. Egli indagò l’origine di questo che per lui era un falso. A parlare della familia Communistarum ("famiglia dei comunisti"), così chiamata per la comunione dei beni, erano stati gli anabattisti, i moravi e altri faziosi e fanatici millenaristi; più pericolosi ancora erano tuttavia i deisti, che sostenevano che la sola religione vera fosse quella della ragione, che il cristianesimo nulla avesse di sacro. Il fronte cattolico condivise questa posizione a proposito delle missioni che i gesuiti negavano fossero utopie realizzate. Né utopie, né società selvagge, né comunità apostolica: il mondo cristiano si chiuse la strada dell’utopia. La riflessione sulla comunità dei beni restò dunque nella sola area del diritto naturale. Contro Grozio, Hobbes sostenne che la condizione primitiva, cioè le famiglie o i clan, non era una condizione di società: era nulla societas, non c’era nessuna conoscenza del «vivere sociale, dominava un continuo timore e il pericolo di una morte violenta; siffatto stato di guerra, si creano spaventose condizioni di conflitto. Potevano esserci eccezioni, per esempio presso «il popolo selvaggio dell’America», ma in generale gli uomini nelle famiglie primitive mancano di governo e vivono in «maniera brutale». Lo Stato politico sorge dunque per bloccare questa condizione di violenza e per cancellare la comunità dei beni, che è l'origine dei conflitti e non della pace. Lo stato di natura e «una vita socievole» non furono invece in opposizione per Pufendorf -> la condizione di vita naturale non era quella della societas civilis, cioè per lui, dello Stato politico, e nemmeno quella della violenza di guerra di Hobbes; era già una condizione di società, la sua novità fu di distinguere tra società e Stato; - contro Aristotele; che l'uomo era un animale non gia politico, ma socievole; - contro Hobbes; l'uomo era un «animale socievole». Locke sviluppò la distinzione di Pufendorf tra Stato e società; il mondo delle società primitive è fatto coincidere con i caratteri del mito classico e letterario, perché si tratta di società basate sulla comunità dei beni. La vita selvaggia poteva essere priva dell'avidità e della competizione perché le condizioni non permettevano che la dinamica della competizione e dell’accumulazione -> le condizioni di vita dei selvaggi non erano moralisticamente semplici, ma erano elementari. Nelle società primitive «non vi era alcun governo; la comparsa della proprietà fece scomparire l'innocenza di quelle società e provocò la nascita dell'antagonismo sociale, il quale per essere regolato richiese l'avvento dello Stato. La libertà politica era incompatibile con la comunità dei beni, ma quest'ultima era possibile in condizioni determinate. Montesquieu. Una “grande libertà” ^ Le condizioni -> i popoli del continente americano che sta tra gli spagnoli e gli inglesi danno l'idea di quel che erano i primi uomini, prima che comparissero le grandi società e l’agricoltura; la presentazione delle società selvagge fu approfondita in senso sociologico. Che in America vi fossero tante nazioni selvagge dipendeva dal fatto che li la terra produce spontaneamente ciò ci si può nutrire, che insieme a caccia e la pesca vi completano l'abbondanza. Questa descrizione è in opposizione alla «povertà » che alle comunità selvagge aveva attribuito Locke, rivela lo sforzo di superare l'etnocentrismo e comprendere dall'interno i valori di società diverse, estranei alla società commerciale europe; quelle popolazioni non conoscevano il lavoro sociale perché la natura permetteva loro di vivere in condizioni che esse percepivano di abbondanza. Montesquieu definì la società selvaggia secondo una serie di caratteristiche: e del male, che andava imputato non all'uomo e a Dio, ma alla società, sicché per Rousseau la questione centrale fu la genesi del male sociale. All’inizio la condizione umana fu di debolezza e isolamento, poi nacquero le prime comunità, al loro interno unite dalle condizioni di vita, dal clima, dagli alimenti, anche dai costumi e dai caratteri, ma «non per mezzo di regolamenti e di leggi»; nacquero poi i sentimenti sociali di competizione, che furono la causa di rovina e apparvero i primi doveri della civiltà. Quel periodo, a mezzo tra «l'indolenza dello stato primitivo» e l'attività «frenetica» dell'amor proprio, «dovette essere l'epoca più felice e più duratura» perché tra individuo e gruppo s'era instaurato un felice equilibrio. Gli uomini vivevano in famiglie che erano « una piccola società» e, finché si «dedicarono a lavori che potevano essere fatti da una sola persona», vissero «liberi, sani, buoni e felici quanto glielo permetteva la loro natura e continuarono a godere di un rapporto indipendente». Una volta infranto quel mondo, per la comparsa della divisione del lavoro e di un diritto di proprietà diverso da quello naturale, iniziarono i conflitti. Cancellata la pietà originaria, la società si avviò inesorabilmente verso il perfezionamento dell'individuo e "la decrepitezza" della specie; l’individuo, sospinto dalla perfettibilità, perse la propria natura e se ne diede un'altra. La società si ingrandì, le rivoluzioni dell'agricoltura e della metallurgia trasformarono le condizioni di vita e diedero origine al più orribile stato di guerra. Per risolvere l'endemico stato di violenza i più forti imposero il proprio potere con l’impostura, che gli uomini accettarono, pur di soddisfare loro stessi -> i più abili ne profittarono per guadagnare potere; i più saggi si piegarono alla necessità. S'imposero proprietà, lusso e disuguaglianza; questa storia è stata scandita da tre “rivoluzioni": a. l'istituzione della proprietà e della legge; conflitto iniziale tra ricco e povero b. della magistratura, o amministrazione; il conflitto diventa sociale tra debole e potente c. del dispotismo; esso si trasforma infine in tra schiavi e padrone. La società si diresse verso lo Stato politico per opera del caso e, poiché le forze che hanno condotto al dispotismo non sono sotto il controllo umano, è impossibile che un legislatore realizzi un progetto ragionevole, MA se il cerchio politico si chiudeva implacabile con il dispotismo, restava intatta l'energia sociale; «nuove rivoluzioni» avrebbero forse dissolto il dispotismo e il corso di una nuova storia avrebbe potuto riscoprire «l'istituzione legittima». Ambedue i discorsi stavano all’interno della storia, ma presentarono una differente idea di utopia. ‣ Per il Primo Discorso, l'utopia è quella del cittadino che vive in comunità, nella repubblica del mondo classico o negli angoli nascosti del mondo moderno; ‣ Il Secondo Discorso, fedele a Montesquieu, descrive un’utopia ferma sulla soglia di natura e storia, non era possibile trovare un luogo estraneo alle leggi e, di conseguenza, alla corruzione. Économie Politique. Governo e sovranità Il Discours sur l'origine et les fondements de l'inégalité aveva ricostruito l'origine del potere politico, Économie politi-que descrisse la genesi e l'azione del governo, o amministrazione: sono due testi contigui per tempi e temi. Con il Secondo Discorso, la definizione di legge politica e della sua origine nell'identificazione di popolo e sovrano era acquisita, ma restava oscuro il rapporto del governo con la sovranità, sviluppato ora nella seconda parte di Économie politique, che delineò i due modi con i quali la volontà generale e quella del governo rendono gli uomini virtuosi: uno era l'educazione, con la quale lo Stato insegna «l'amore della patria», cioè la virtù, che è la ricerca della propria felicità in quella di tutti; l'altro era il principio del Salus populi suprema lex esto (= il bene del popolo è legge suprema, quando si tratta del bene del popolo l’individuo scompare). Rousseau ne capovolse la lettura tradizionale e sostenne che il Salus populi è un principio che impone regole anche allo Stato perchè il suo interesse d deve contenere quello di tutti. Il sacrificio è nobile e ammirevole soltanto se è pronunciata dal patriota «che volontariamente e per dovere si consacra a morire per la salvezza del suo paese», perchè se, al contrario, con Salus populi si concede al potere politico il diritto di sacrificare un innocente in apparenza «per la salvezza della moltitudine», ma in realtà a vantaggio di coloro che sono al potere, quel principio tradisce la volontà generale e si rivela un principio dell'impostura, tirannico -> problema profondo della politica: «L'azione della volontà generale sulla forza pubblica è l'abisso della politica nella costituzione dello Stato. Là si sono perduti tutti i legislatori». Il Contratto sociale e il diritto politico La prima versione del Contratto sociale ammette che la "vita felice dell'età dell'oro" è stata una condizione impensabile per gli uomini. La comparsa di un tema politico è collegata alle condizioni pratiche della società, perchè fu impensabile nei tempi dei selvaggi quando si riusciva comprenderne il valore; la loro vita indipendente e senza regole non conosceva la moralità. L'utopia dell'età dell'oro è divenuta però insufficiente. Il progetto sociale alternativo andava pensato non più con il modello utopistico tradizionale, del mito, ma con le categorie politiche del «diritto politico» (Montesquieu). Rousseau affermò nel Contratto sociale che il cittadino andava obbligato «a essere libero», cambiò al formule per mettere la libertà al centro dell'utopia. Aveva trasformato l'utopismo in diritto politico. La questione centrale del Contratto sociale è il rapporto tra volontà generale e governo. Tra i sudditi e il sovrano c'è il governo, la «suprema amministrazione», un corpo intermedio cui spetta l'esecuzione delle leggi e il mantenimento della libertà civile e politica. Con l'amministrazione la sovranità è stata alienata e segmentata in poteri subalterni; il governo è necessario e legittimo quando rispetta i vincoli del legislativo, ma è sempre pericoloso perché può diventare preda di interessi particolari e quindi causa del dispotismo. Se il sovrano controlla questa dinamica, il problema dell'eguaglianza e della libertà di una repubblica è risolto, perché la figura del cittadino coincide con quella del suddito. Con questa soluzione però Rousseau rinunciò all'elemento centrale dell'utopismo, cioè alla comunità dei beni, mentre mantenne la proprietà, che limitò, ma che non ritenne possibile abolire. Il Contratto sociale si rivolge a quei popoli che sono ancora liberi, perché le loro istituzioni non hanno degenerato in dispotismo, per accettare i «sani principi della politica» il popolo dovrebbe già aver provato l'esperienza dello "spirito sociale". Occorrerebbe paradossalmente che gli uomini prima di sottomettersi alle leggi, siano già quel popolo che poi le leggi faranno essere. Per risolvere questo paradosso, Rousseau fece ricorso alla figura del legislatore in maniera diversa (e forse in polemica) da come aveva fatto Morelly; il legislatore non detiene la sovranità e non ha alcuna autorità, non definisce quale sia la costituzione dello Stato, non si arroga la forza del governo, che ancora non esiste, non ha l'appoggio del pubblico, al quale parla una lingua che gli è incomprensibile, ma si limita a descrivere la ragion d'essere di una repubblica, espressione del desiderio di eguaglianza, libertà, sicurezza, sarà poi il sovrano a indicare le forme procedurali. Questa situazione, pur se illogica, si è però ripetuta più volte nella storia, con gli spartani, i romani e gli ebrei"*, ai quali appartennero i principali legislatori dell’antichità; il richiamo a Machiavelli non è alla definizione del legislatore, perché Rousseau contro Machiavelli non riconobbe al legislatore il potere, ma viene ripresa la necessità della religione nella fondazione di uno Stato (per Machiavelli il fondatore di Stato deve controllare la forza armata; per Rousseau invece il legislatore è un profeta disarmato, profeta è chi mostra virtù straordinaria e inclinazione al giusto, al buono e alla ragione). La prova della verità della missione del legislatore sta nell'eccezionalità della sua «grande anima». Dopo aver parlato dei legislatori antichi, Rousseau si volge ai moderni, nei quali Machiavelli aveva analizzato Savonarola e la politica cristiana. Nella rappresentazione di Machiavelli, Savonarola era presentato come un uomo di dottrina e di carisma, ma contraddittorio. Rousseau ne fa un impostore, come l'altro grande legislatore repubblicano moderno, Cromwell. Se nelle nazioni moderne non si vede un vero legislatore, la causa non sta negli uomini, ma nella loro religione che impone il ricorso all'impostura. Il cristianesimo anche per Rousseau, fu ostacolo insuperabile alla fondazione di una giusta legislazione, perché spacca il rapporto tra morale e politica, volta alla negazione del mondo terreno; non poteva perciò sostenere la fondazione di uno Stato ≠ le religioni antiche politeiste furono teologie politiche che sostennero la politica pur se avevano carattere mitico. Caso di Ginevra -> Il "genio" di Calvino fu quello dell'uomo di governo, del creatore di editti, ma anche con lui non si vide il legislatore: il suo Stato fu la teocrazia, come quello di Savonarola e Cromwell. Per non fondare lo Stato sul mito religioso, il legislatore doveva fare appello a «un'autorità d'un altro genere, che possa trascinare senza violenza e persuadere senza convincere», a un'altra religione. La religione civile Nel paganesimo la religione era stata funzione della politica, ma il cristianesimo ha capovolto questa situazione separando «il sistema teologico dal sistema politico»; lo Stato ha perso di unità e vi sono due sovrani, il clero e il potere politico. Il solo Hobbes aveva «osato proporre di ricondurre tutto all'unità politica»; comunque non vi era riuscito, perché aveva pensato in modo nuovo la politica, ma non la religione. Esistono tre tipi di religione; a. il puro teismo, che è la religione del Vangelo, non richiede cerimonie, è limitato al culto interiore, riconosce i «doveri eterni della morale»: è il diritto divino naturale. b. Poi esistono le religioni nazionali, che hanno dottrine e culti specifici a ogni nazione.Ciascuna ritiene di essere la unica vera, condanna come barbare tutte le altre e fa coincidere i «doveri e i diritti dell'uomo» con il proprio culto. Queste furono tutte le religioni dell'antichità, che possono essere chiamate «diritto divino civile o positivo». c. Infine, c'è il tipo «più bizzarro», la religione del Lama, del Giappone d. il cristianesimo, impone agli uomini due legislazioni, due capi, due patrie, li sottomette a doveri contraddittori e li obbliga a essere o devoti o cittadini. A una valutazione politica è evidente che la terza religione è la peggiore, perché è un non senso; la seconda è "buona", perché fa della patria l'oggetto dell'adorazione dei cittadini (= la religione romana, che è «una specie di teocrazia»), anche se in quel sistema c'era una falla costituita dal lacunoso controllo dei costumi, che non era pienamente efficace nonostante l'istituzione dei censori; la causa stava nel fatto che la religione romana, pur positiva, aveva dentro di sé il germe della superstizione, si affermò con l’impostura, rese il popolo unito ma sanguinario. Occorreva rinunciare anche a quella religione e a quella teocrazia, perché, come tutte, era fanatica. Restava il primo tipo di religione, quello del cristianesimo evangelico, religione pura, ma impediva agli uomini di avere interessi terreni, non predicava che servitù e dipendenza; una società di cristiani non era una società d’uomini, era anzi un ossimoro, perché l'un termine contraddiceva l’altro. Tuttavia, di religione c'era bisogno; il problema era evitare la fondazione teocratica della politica. Allo Stato importa che «ogni cittadino abbia una religione che gli faccia amare i suoi doveri», la religione del Contratto sociale è una «fede puramente civile», i cui articoli sono fissati dal sovrano; Il suo catechismo ne indica i semplici e pochi dogmi positivi, che sono l'esistenza della divinità buona e intelligente, la vita post mortem che assicura la felicità ai giusti e il castigo ai malvagi, la santità del contratto e delle leggi; l'unico dogma negativo è l'i-tolleranza. I dogmi della religione civile non appartengono a nessuno dei tre tipi di religione, non sono frutto della logica politica utilitarista, sono sentimenti -> non è necessario per un individuo accettarli, ma per partecipare come cittadino al patto di associazione politica bisogna credervi; chi non vi crede è bandito dallo Stato in quanto asociale. Il cittadino che ha sottoscritto il patto, e quindi aderito pubblicamente alla religione civile e poi si comporti come se non vi credesse, deve essere «punito con la morte». La religione civile, essendo atto del sovrano, produce una legge. In g-nerale, dice Rousseau, sono considerate leggi quelle politiche, civili, criminali, ma c'è un quarto tipo, più importante e a suo dire ancora sconosciuto ai politici moderni, «che forma la vera costituzione dello Sta-to»; Rousseau si riferisce ai «costumi, alle usanze, e soprattutto all'opinione pubblica», che costituiscono il codice che interseca la dinamica della legge, dell'opinione e del potere e che così realizza dal basso l'unità morale della repubblica. La politica non si regge più sul piano separato del sacro ma la religione civile disegna lo spazio simbolico della cittadinanza. I diritti non sono concessi; sono riconosciuti dai cittadini come propri diritti. Appropriarsene significa vivere secondo le norme della religione secolarizzata e non dell'impostura teocratica. Il disincanto del mondo è confutato dalla religione civile per la quale si realizza il sogno profondo dell’utopia; essa sta nella fusione dei cittadini in una sola comunità morale e nel mantenimento da parte di ciascun individuo dei suoi diritti naturali. Un'altra comunità. La Nouvelle Heloise La Nouvelle Heloise fu la descrizione di un mondo «incantato», che aveva «un non so che di magico, di sovrannaturale», dove si poteva dimenticare tutto, anche sé stessi. Del suo giardino privato Julie La filosofia sensista aveva scoperto le leggi dell'utilitarismo che potevano rendere felice la più grande maggioranza possibile di uomini; tuttavia era difficile realizzarli, infatti l’ipotesi che un popolo potesse passare «in modo insensibile» dallo stato di crisi allo stato di felicità, dall'anti-utopia all'utopia, era irrealistica. Bisognava invece accettare l'ipotesi che la sola condizione fosse quella del legislatore alle prese con un popolo nuovo, cioè in una situazione rivoluzionaria. Helvétius fu d'accordo con Rousseau su questo punto e anche per lui «un popolo può rendersi libero finché è barbaro», perché era raro che un «popolo rinasca per così dire dalle sue ceneri» e perché «quando la molla della civiltà è logorata» la libertà è irrecuperabile; per i due philosophes, la rivoluzione era la condizione che rendeva, allo stesso tempo, possibile ma impensabile l’utopia. L’opposizione ma una anche la vicinanza tra i due philosophes divenne poi, come vedremo tema cruciale del dibattito politico rivoluzionario. La forza del pensiero politico utilitarista poteva tuttavia dare energia al progetto delle riforme; Helvetius fu importante perchè nella consapevolezza con cui rinunciò alla trasformazione della società aprì la via al cambiamento graduale. MABLY e CONDORCET: davanti alle rivolte I philosophes sentirono di essere non più i soldati vittoriosi nella battaglia per la raison, ma di essere gli assediati che combattevano contro tante forme di déraison. a. CONDORCET; un philosophe legato alla tradizione deista; b. MABLY; un philosophe che negli anni Sessanta aveva difeso la comunità dei beni. In tutta Europa si ebbero rivolte popolari; a Parigi, Turgot presentò un progetto fisiocratico di liberalizzazione del commercio dei grani, al quale Necker si oppose con il Sur la législation et le commerce des grains -> di li a poco si scatenò la guerre des farines, violente rivolte contadine e urbane. A sostegno di Turgot intervenne Condorcet; che come sfondo alla sua opera utilizzò il problema delle sommosse. Già il titolo era polemico, Lettre d’un laboureur de Picardie à M. N***, infatti il laboureur era una figura di contadino di un livello sociale abbastanza elevato e quindi, esposta da lui, l'argomentazione libeIlista acquistava vigore e la critica ai tumulti maggior forza. All'origine di quei moti c'era stata la miseria delle campagne, che aveva spinto i contadini a esigere la calmierazione dei prezzi del grano e del pane; Condorcet fu attento a questo aspetto, ma più lo interessarono i modi della mobilitazione popolare perchè le rivolte erano state scatenate «non dalla fame ma per un furore che era stato loro suggerito» -> Erano state sommosse non soltanto politiche ma sociali; si era diffusa nelle campagne l'idea che i mali della società nascessero non dagli abusi o dalle storture, riformabili, di un ordinamento sociale fondamentalmente sano, ma dall'esistenza stessa del diritto di proprietà e questo errore aveva eccitato il popolo, ignorante.. Il comunismo utopista non era più l'ideale di colti intellettuali, ma di poveri contadini ignoranti e di entusiasti inferociti e privi di razionalità, i quali furono per Condorcet irrazionali e fanatici perchè alla raison e alla libertà avevano preferito la semplice sopravvivenza. Mably -> nel De la législation aveva delineato una comunità agricola priva di proprietà, dove gli uomini mettevano in comune le proprie forze per creare l'amministrazione pubblica e dove si dividevano i frutti del lavoro. A Mably era parso ancora possibile ristabilire la comunità naturale originaria e far ricorso, invece che all'economia monetaria, alle sollecitazioni della passione della gloria quale meccanismo di coesione sociale. L'anarchia non era il risultato della società comunista perchè controllare la società era il compito dei magistrati di questo Stato, i quali erano i garanti della vita morale ed economica; Mably ebbe fiducia nei selvaggi d'America, che avevano una felice disposizione per la comunità dei beni, approvò infatti le missioni gesuite del Paraguay. Gli indiani, pur senza avere lo sprone della proprietà, lavoravano quanto i manovali d'Europa i quali, comunque, mancavano essi pure di proprietà. E, anzi, i primi vivevano meglio perché stavano in un mondo dove la proprietà, che introduce ozio e fanatismo, era stata del tutto bandita. Le missioni gesuite mostravano la naturalità dell'ideale comunista, mentre al contrario in Europa non v'era invece più spazio per questo ideale; la comparazione tra operaio europeo e indios americani introdusse un elemento incisivo nel dibattito sull'utopia che non andò più perso, ossia il fatto che la progettazione utopistica nasceva dalla considerazione critica e partecipe delle drammatiche condizioni di vita di larghe masse di uomini del Settecento. Ma la guerre des farines fece cambiare idea a Mably, quando nei tumulti popolari vide in movimento forze sociali ostili, l'ideale comunista gli sembrò un pericolo e accantonò l'impossibile utopia -> il pericolo consisteva nel fatto che il popolo si sarebbe potuto abituare a questa «fermentazione». Dunque, mentre Mably rinunciò a quello chi era stato il suo ideale, Condorcet affidò a dei contadini l'utopia di Montesquieu o Morelly. La realtà sorpassava le loro teorie, i Lumi diffidarono di sé stessi. DIDEROT; Dentro e fuori la storia La presenza di Diderot nel dibattito settecentesco sull'utopia è paradossale perchè mentre sul piano della circolazione delle idee, escluse poche voci enciclopediste, i suoi testi rimasero in parte inediti, in parte ebbero una diffusione assai ridotta, altri infine furono pubblicati anonimi, sul piano della teoria politica Diderot pensò l'utopia secondo entrambe le prospettive nella cultura dei Lumi dopo Montesquieu; - Dentro l'orizzonte della storia filosofica, definì la genesi e i caratteri dell'utopia repubblicana incrociando la storia politica con la storia antropologica - dentro il filone mitologico invece, Diderot si pose al centro tra l'utopia philosophique e quella mitico-naturalistica di Morelly e dom Deschamps; e nell'utopia philosophique, tra l'utilitarismo di Helvétius e l'individualismo di Rousseau Isole Diderot sentiva il fascino della vita comunitaria, che immaginò fosse quella vissuta dal «gruppo entusiasta e appassionato», che negli Entretiens sur le Fils natural si diresse a Lampedusa per fondarvi una società libera e felice. Questa comunità aveva come suo modello il poeta, il quale si isola in sé stesso e trova la propria dimensione sociale e la via alla comunicazione con gli altri; da questo gruppo era escluso chi, ignorando cosa fosse la passione, ignorava anche cosa fosse la ragione e dunque non sapeva «riconoscere la verità di tutte le chimere della perfezione». Utopisti erano coloro che avevano energia sentimentale, capacità di unire la forza delle passioni con la ragione e che trovavano in sé la legge della natura e dei diritti umani. La "chimera generosa" della comunità felice per aver senso doveva toccare terra, doveva farsi realtà, ma queste comunità potevano realizzarsi nel settecento solo lontano dai centri del potere, in luoghi ignoti e remoti. Diderot immaginò una società naturale, che avesse cancellato la proprietà -> Ouessant, piccola isola di fronte alla Bretagna, dove un popolo saggio, «oscuro e di conseguenza felice», aveva realizzato un'«utopia»; era ormai difficile comprendere quel modo di esistere, perché le costruzioni con le quali i filosofi avevano descritto «un popolo d'uomini virtuosi» si erano rivelate fragili e false, erano state travolte dalla realtà, e d'altronde gli "scherzi filosofici" di Platone e di Moro, anche se realizzati, non avrebbero procurato autentica felicità, che è soltanto frutto della legge naturale. Avevano invece fatto nascere narrazioni strambe, vacue, adatte alle corrotte società contemporanee, senza radicamento nella storia e contrarie alla legge di natura. Da Ouessant la proprietà privata era stata bandita, e le difficoltà venivano risolte dal sentimento di socialità, e da un cristianesimo di tipo apostolico -la legge dell'amore empatico dei cœurs choisis, privo di riferimenti a sacramento, o rito, o dottrina; ma chi si sottraeva a questa legge di socialità era espulso dall’isola - che tuttavia si poteva realizzare soltanto in una piccola comunità, dal volume ridotto e tutti praticavano la virtù «perché tutti sono costantemente osservati da tutti. Diderot aveva rappresentato l’utopia nei suoi caratteri fondamentali, ma aveva descritto soprattutto l'atteggiamento sentimentale che ne era la condizione, infatti svelava la vita che conducono quei pochi che hanno il coraggio di uscire dal mondo ordinario; un’utopia che non era in contrasto con la storia, ma che si teneva ai suoi margini. In un'altra isola, a Tahiti, Diderot incontrò non una piccola comunità che era riuscita a trovare una via laterale per sfuggire alle leggi dominanti, ma una società complessa. L'aveva descritta il grande navigatore francese Bougainville, in modo sperimentale, il male esisteva, ma «era un male naturale» e invece era assente il male sociale. Lì la natura era tanto feconda da mettere gli isolani al riparo dai «bisogni assoluti della vita» e il lavoro agricolo si svolgeva in comune, anche se era ammessa una piccola proprietà privata. La libido non produceva disordini; dalla serenità scaturiva una vita felice. I tahitiani, il popolo «più selvaggio della terra», smentivano l'ipotesi dello stato di natura del Secondo Discorso -> per Rousseau nella storia umana era esistito un momento di equilibrio tra natura e società, che poi si era spezzato e la società aveva proseguito inesorabilmente verso la civilizzazione e la corruzione perchè i tahitiani erano un «popolo non civilizzato», ma «saggio abbastanza da fermarsi da solo alla condizione di mediocrità» (allo stato di natura la vita era più dura e più corta di quella civilizzata; alcune comunità soltanto erano felici) ≠ Nelle società europee, invece, la vita era «sopportabile», eppure era una condizione rischiosa, perché la violenza distruttiva non vi trovava contenimento. Tutavia, non era sufficiente. Società civilizzata Le società si basano su tre codici: naturale, civile e religioso e le corrispondenti figure dell'individuo sociale -uomo, cittadino e religioso» non debbono essere in contraddizione. Il collegamento dei tre codici non poggia né sulla società né sulla religione, ma per avere le nozioni corrette è necessaria una riforma preliminare che riduca i codici all'identità, cioè a quello della natura. Perché quei tre codici potessero avere unità, la repubblica doveva essere di volume ridotto in modo che gli uomini fossero liberi e la volontà generale si accordasse con quella individuale; la «società», al contrario del governo «tende sempre al bene» e ha in sé il germe della libertà e della sociabilità. Piccole società egualitarie avevano scelto una legislazione che ne conteneva il volume e impediva il sorgere del dispotismo ed erano virtuose e pacifiche; l’eguaglianza era assicurata dal fatto che la proprietà, senza essere comune, era controllata e il lusso non creava disuguaglianze rovinose. In questa società il codice naturale ispirava il codice civile, di modo che i principi naturali e i diritti degli uomini venissero rispettati. Le due categorie fondamentali di una società erano - Amministrazione; nella pratica tendeva al dispotismo - Sovranità; tendeva alla libertà Il governo era l'insieme dei dispositivi utili ad assicurare «la sicurezza generale, la tranquillità interna, il rispetto delle leggi». Il dispotismo era di tre specie; a. Dispotismo orientale, a cui corrispondeva la volontà dei sudditi a obbedire, conseguente della volontà del sovrano di comandare. b. Dispotismo occidentale, quello che Federico di Prussia aveva presentato come governo ideale e che d'Holbach aveva smascherato come tirannico. Gli uomini vi diventavano pecore guidate da un pastore magari saggio e godevano di tranquillità; loro unica ambizione era l'appagamento di bisogni fisici, ma perdevano il gusto della libertà. Diderot rispose con indignazione che questo era il governo peggiore, perché era un male seducente, e insegnava l' obbedienza servile anche a un sovrano stupido. A caratterizzare il potere dispotico era l'ampiezza e la violenza dell'autorità. c. Teocrazia, Diderot segui Boulanger e Rousseau. Nella teocrazia mancava perfino la felicità animale che alcuni regimi dispotici garantivano, era il regno della pura police, imposta dal fanatismo. Il dispotismo riduceva l'individuo alle sue pulsioni elementari, lo riduceva a una naturalità astratta, disumana, perché priva della dimensione simbolica della giustizia. Il dispotismo era per Diderot la condizione della vita europea, l'anti-utopia della realtà contro la quale bisognava ribellarsi perchè le leggi positive si basavano su un fondamento naturale che non poteva essere violato. - Il nucleo dei diritti umani si radicava nella socialità, che per natura era conflittuale, e nelle passioni del risentimento e dell’indignazione. - Il popolo era il soggetto della sovranità, la cui fonte stava nel "sentimento, cioè nelle reazioni dell'opinione pubblica. Dal diritto naturale e dal sentimento dell’indignazione nasceva la rete dei diritti positivi, che costituivano la struttura simbolica della vita politica libera. Con l'illuminismo erano comparse le due grandi passioni della società moderna, «il patriottismo = a religione civile senza divinità, che non produceva superstizione, che univa i cittadini e il sacrificio che chiedeva non era frutto di fanatismo e la teofobia». Nell’indignazione contro la società francese corrotta stavano prendendo forma nuove passioni e un'utopia al tempo stesso entusiasta e razionale, comunitaria e istituzionale. perchè la vera libertà civile e politica dell’uomo consiste nel godere, senza ostacoli e timore, di tutto quanto può soddisfare i suoi appetiti naturali e, di conseguenza legittimi. È un mito che - poggia sull'incrocio del comunismo della società naturale e delle comunità apostoliche - ha il fondamento religioso nell'universale sentimento della benevolenza. - Questa passione mette in azione tutte le facoltà della ragione, le perfeziona e ne indica l'autentico impiego che ha per obiettivo la felicità e costruisce i rapporti umani non sulla paura ma sulla sociabilità L’idea di virtù è collegata all'idea di divinità; quando la prima si corrompe e quando gli uomini smettono di essere tra loro animati da benevolenza, la religione si trasforma in superstizione; Morelly contrappone la sua teoria alle obiezioni della politica che difendeva la proprietà privata. Confronto; Code de la nature di Morelly vs Contratto sociale di Rousseau -> la differenza e la similarità. a. Il Code elencò una serie di funzioni pubbliche cui il cittadino non poteva sottrarsi e che doveva espletare con dedizione assoluta e completa identificazione con il potere. b. Il Contratto mirò a salvaguardare i diritti dell'uomo nella politica, riconosciuta come lo spazio nel quale il cittadino/suddito ritrova la propria libertà, compresa quella di rinunciare al contratto. • Entrambi, con il ricorso alla figura del legislatore, risposero alla domanda che Montesquieu aveva lasciato inespressa sul come realizzare l'utopia. Si potrebbe ipotizzare che forse a. Rousseau abbia voluto rispondere a Morelly formulando il paradosso del legislatore per pensare il passaggio alla società ideale senza violenza, anche al prezzo di rinunciare a metterla in pratica. b. Per Morelly il legislatore nel costruire l'utopia avrebbe potuto incontrare resistenze e opposizioni da parte della popolazione che intendeva sottomettere al governo ideale; non si esclude dunque la presenza ipotetica di un’autorità severa che domi queste prime avversioni obbligandolo, in un primo tempo, a doveri che poi la pratica renderà facilmente eseguibili e che l'evidenza della loro utilità farà in seguito prediligere. Nel discorso utopista era comparso un aspetto nuovo -> il legislatore che puntava alla realizzazione del progetto razionale, cioè all'instaurazione della comunità dei beni, aveva il diritto di ricorrere alla violenza per imporla. Per fare realtà dell' utopia v'era bisogno di violenza; il problema della violenza cominciò a essere pensato nel filone mitico del pensiero utopista. DESCHAMPS Riconobbe nella socialità naturale la bussola per la costruzione dell'utopia e, come Morelly, ritenne che cruciale per la sua realizzazione fosse l'area dei costumi e non della politica; egli definì il piano ontologico come una realtà dialettica di energia naturale e sociale, la decifrazione delle forze che costituivano l'ontologia era indispensabile per fondare correttamente sta il progetto utopistico sia il modo con il quale istituirlo in terra. A inizio degli anni Sessanta dom Deschamps presentò il proprio sistema metafisico e politico; Dom Deschamps aveva visto nel Secondo Discorso di Rousseau (era amico di Diderot, Helvetius e Rousseau) il turning port del pensiero utopista, e vi trovò ragioni di dissenso e consenso; scelse di darvi risposta uscendo dalla strada là tracciata e la sua critica si concentrò su quattro punti. Rousseau • aveva trascurato l'impostazione metafisica; • non aveva compreso che l'attuale Stato sociale, anche a prescindere dalla forma politica, interdiceva una qualsiasi via di passaggio verso la società giusta e ideale, perché la violenza che comportava la proprietà privata era ineliminabile • aveva sbagliato a distinguere tra religione superstiziosa e religione razionale, perché il contenuto di ogni religione era comunque superstizioso e legittimava la subordinazione al potere di altri uomini; • aveva saputo scorgere le ragioni che avevano determinato la condizione di violenza sia dello stato selvaggio sia di quello politico, ma non aveva «visto l'autentico Stato sociale» utopistico, e di conseguenza non aveva inteso né il nesso tra scienza e vita morale, né che la vita sociale autentica negava sia lo stato selvaggio sia lo Stato politico. Tuttavia merito grande del ginevrino era stato di aver mostrato «l'estremo bisogno che noi abbiamo di cambiare i nostri costumi» -> Deschamps criticò l'Emile perché troppo poco utopistico, e perché, se anche fosse stato realizzato, quel progetto non avrebbe impedito agli uomini di continuare a essere quello che erano. Due sono i punti di contrasto tra i due progetti: • la rinuncia completa e radicale all'istituto della proprietà privata, che Rousseau non aveva ritenuto necessaria alla società rigenerata e che per dom Deschamps ne era invece la premesse; • la diversa considerazione della storia perchè mentre Per Rousseau la conoscenza storica era essenziale per comprendere la natura dell'uomo e della società, al contrario, per Deschamps la considerazione della storia è superflua, se non anzi dannosa, perché pone un vincolo fittizio e falso alla trasformazione. Al suo posto Deschamps elaborò una teoria metafisica, che indicò quali fossero gli obiettivi della trasformazione integrale della società e che è alla base della fondazione mitica della sua utopia. Secondo dom Deschamps le società umane potevano trovarsi in tre condizioni, scanalate nel tempo: a. condizione di disunione, cioè società sel-aggia, pur se temperata da un sentimento istintuale di socialità b. condizione presente di disunione e conflitto, che provocava la necessità di leggi politiche, le quali a loro volta incrementavano competizione e violenza, disuguaglianza e infelicità, c. condizione di unione completa e felice, che sarà uno stato sociale felice senza leggi politiche, ma diverso da quello selvaggio. Lo stato politico attuale aveva raggiunto una violenza inaudita, giacché al conflitto materiale si erano aggiunti il conflitto politico e religioso: anche lo stato selvaggio era uno stato violento, sebbene presentasse condizioni migliori di quello politico. Ma, siccome era impossibile tornare alla società dei selvaggi, la via di uscita era un’altra -> per liberarsi dello stato di violenza sociale in cui si trovano società selvagge e politiche era necessario ma sufficiente conoscere e mettere in pratica la verità metafisica e morale, che è la legge naturale, legge che non ha nulla di storico. Dom Deschamps guardò agli individui non nel loro stato presente fondato sulla proprietà, ma «nella condizione opposta»; egli infatti simulò un viaggio utopista verso lo stato dei costumi, l'unica destinazione cui si poteva tendere a partire dallo stato politico. Nello stato utopico la legge di natura è la ragione che dà a sé stessa la propria legge; mancheranno avidità e ambizione e interesse, si vivrà senza malvagità, senza competizione e senza passioni fattizie, senza proprietà, nella piena eguaglianza. Tale stato di eguaglianza morale sembra avere come suo più vicino modello quello dei primi cristiani: lì si raggiungerà un'unione completa, nella quale l'uniformità dello stelle di vita indurrà una nuova rassomiglianza tra gli uomini. Nella società ideale si è sereni e la vita di comunità si svolge senza noia, senza competizione ma nella reciproca solidarietà; l'unita è costituita dal villaggio che collabora con gli altri vicini, e ognuno è sottomesso alle sole leggi della ragione sociale. Inutile sarà la storia e anche le scienze. L'utopia di dom Deschamps si doveva imporre in forza della sua scesa natura, senza il ricorso alla violenza. Circolando, il progetto utopista progressivamente si sarebbe espanso conquistando gli uomini. Deschamps ignorò il tema del diritto alla violenza di Morelly e riprese la riflessione presente in Meslier; la transizione all’utopia era sentita tanto impossibile, quanto necessaria. Lo Stato utopico nasceva quasi ineluttabile da dentro la realtà. Il Prophète philosophe Jeanna-Louis Carra Nel Systême de la Raison, ou le Prophete philosophe, afferma Carra che risultava facile per ai “profeti filosofi” condannare l'ordine esistente e il ritorno alle leggi di natura. La lettura di Holbach lo aveva convinto nella giustezza della critica di Rousseau; nel suo libro Carra costruì una storia naturale dell'umanità, dominata dalla "fatalità sociale", che è la medesima legge della necessità che governa il mondo fisico -> nella storia non era esistita una linea dritta di progresso, ma gli uomini si erano trovati in un dedalo immenso di errori e di mali, si erano infatti perdute le idee del vero diritto naturale e del vero diritto politico. Per denunciare i mali della tirannia e il bisogno di libertà e per recuperare la verità ontologica, gli uomini dovevano scoprire la falsità delle credenze religiose e seguire i principi della sensibilità e della ragione. Carra passò al tableau delle diverse condizioni storiche dell’uomo -> la società costruitasi era ingiusta, spaccata e non era sufficiente l'evidenza dei vantaggi dell'ordine utopista a spingere gli uomini al cambiamento, ma era invece necessario che si sentisse la voce indignata dell' «innocenza oppressa e disperata»; i tiranni, svegliati d'improvviso dal grido che chiede vendetta e giustizia, si sarebbero trovati di fronte milioni d'uomini animati dalle passioni della verità, della libertà, del diritto naturale, che «oseranno infine rivendicare i loro diritti». Nel mito ontologico-naturalista di Carra la violenza era necessaria e spontanea, come una forza ontologica, ma impensabile come elemento di un progetto razionale. L’IDEALE DELLA COMUNITÀ DI BENI A FINE SECOLO Alla fine del Settecento l'idea, a mezzo tra il Diderot e Deschamps, di presentare all'opinione pubblica un appello per l'utopia ebbe successo = terzo modo, dopo quello della storia filosofica e quello del mito naturalistico, di pensare l'utopia della comunità dei beni e di trovare il modo per concepire una società di compiute libertà ed eguaglianza. Hupay de Fuveau L'autore dell'opera Maison de réunion pour la communauté philosophe richiamò Rousseau, «i fondatori del cristianesimo... Platone, Bacone, Moro, Montesquieu, Diderot», e oltre a queste teorie di utopie, esplorò le memorie di esperienze pratiche. L'attenzione per le tradizioni comunitarie si era diffusa in Francia già intorno agli anni Cinquanta, mai né Mo-relly né il Secondo Discorso di Rousseau avevano offerto una soluzione pienamente soddisfacente; Nel "Journal Œconomique" del settembre 1755 era comparso un anonimo Projet d'un établissement singulier, dove l’autore affermò che, oltre che di educazione nella vita pratica, gli uomini mancavano soprattutto di «ordine» e di «unione, di fraternità, di concordia». Una sola era la strada: partire dalla vita quotidiana e «riunire gli uomini e metterli in grado di aiutarsi reciprocamente». «Tutti saranno liberi perché saranno eguali nel modo di vivere». Il modello era la comunità conventuale, dove come i credenti, i laici vi si sarebbero potuti riunire -> vera comunità laica e libera; la comunità garantiva l'educazione, la pratica del lavoro utile, l'opposizione al lusso perchè le cose saranno in modo che ogni associato lavorando per la comunità lavori per sé stesso. È in una comunità retta dalle leggi della filosofia che ci si aspetta la vera giustizia, l'innocenza e la benevolenza reciproca. Questa aspettativa mitica si piegava però verso la realtà, e ci si immaginava che ci sarebbe stato un «governo patriarcale», perché naturale. I partecipanti della comunità si consideravano «sottomessi all'autorità del re e dello Stato». L'autore segnalò l'esistenza di simili associazioni in Auvergne e chiese suggerimenti ai lettori; vennero pubblicate due memorie che illustravano la comunità di Thiers ed egli stesso elogiò simili iniziative. Queste comunità sembravano la maniera giusta per evitare il pericolo della rivoluzione e il mondo rurale poteva essere di modello per l’utopismo, che guardava a tradizioni comunitarie più o meno antiche. Faiguet de Villeneuve L'idealizzazione della comunità patriarcale stette pure nell’Enciclopedia; Diderot la giudicò arcaica, altri redattori ne furono sostenitori, come Faiguet de Villeneuve, che unì l'immagine della teocrazia, privata ormai di ogni valore politico, a quella della vita patriarcale, dove i rapporti economici erano assenti. In queste riflessioni non si descriveva più il modello teocratico, ma il modello della vita comunitaria, «patriarcale e campestre»; Faiguet fu colpito dai Fratelli moravi, secondo lui solo apparentemente il cristianesimo è la loro religione, invece seguono la teologia naturale. Nelle case si trovano famiglie e persone che sono unite dai legami liberi d'una società “dolce”, dove ciascuno esercita le proprie competenze a vantaggio della comunità e comunque vi trova anche un interesse personale; presso i moravi c’era l’eguaglianza più completa, i beni erano in comune e l'esercizio di una professione giudicata « più onorevole» non comportava alcuna superiorità -> le loro esperienze erano giudicate fantastiche e impossibili per l'esasperato individualismo dominante. Eppure c'erano stati altri casi di una simile organizzazione comunitaria; gli spartani, gli esseni, i gimnosofisti in India, le popolazioni del Paraguay, realizzarono i medesimi ideali dei moravi. Un altro esempio viene dall'Auvergne, dove antiche famiglie di contadini vivevano in una «società perfetta». Faiguet provò ad avanzare un progetto di comunità che collegasse le esperienze così ricostruite, ma il punto di maggior difficoltà gli pareva la coesistenza di famiglie e di uomini e donne; con realismo accettò le difficoltà che potevano sorgere da un simile progetto, che però non gli sembrò impossibile. La sua era una comunità ma laica e libera, i cui membri svolgevano diverse professioni, égalisation di tutti. Quando si realizzerà nella storia questa società razionale (la sola vera società) essa sarà amministrata (≠ governata) -> società dove la politica non creava potere. Il ricorso alla storia non era di aiuto, per Babeuf, diritto civile, diritto politico, diritto delle genti s’identificavano, avevano comune radice nel diritto naturale, che era evidente essendo iscritto nell'organizzazione fisica umana; tutti gli altri diritti che ne derivavano erano di convenzione. L'organizzazione fisica doveva far percepire il diritto naturale alla libertà. «La religione del male non potrà essere eterna» -> l'avvento di un tempo nel quale non ci sarebbero stati disperati e miserie sarebbe stato quando si sarebbe scoperto l'ideale dell’eguaglianza perchè la società basata sulla proprietà era ignobile e causa di sofferenze, e quando conculcava il diritto naturale la rivolta dei poveri era inevitabile. Babeuf tuttavia rinunciò a mettere in discussione la "legittimità" delle grandi proprietà e a proporre la sua soluzione radicale. Nel 1787 Babeuf credette che si potesse rispondere all'ingiustizia sociale con una soluzione che non prevedesse l'utopistica e rivoluzionaria cancellazione delle proprietà, ma con la coesistenza della proprietà con forme associate di lavoro, in grado di diffondere il benessere -> l‘origine della proprietà era ingiusta ma, se controllata, poteva essere accettata perché in tal caso non era che un elemento del lavoro, e non danneggiava la vita di tutti -> = l‘ultima scintilla del dialogo tra utopia, riforma e rivoluzione che abbiamo visto svilupparsi nell'illuminismo. Per B soltanto un'enorme crescita della popolazione avrebbe potuto provocare una rivoluzione, e allora ci si sarebbe trovati dinanzi alla necessità di bloccare con metodi violenti l'incremento della popolazione -> idea che tornò a commento del terrore e dell'idea giacobina della legge agraria. Lo scoglio della trasformazione del sogno d'una repubblica comunista in realtà politica moderna era il rapporto tra volume e istituzione politica; Robespierre aveva però stravolto in senso negativo questo che era il tema politico essenziale per un legislatore. CAP 4; LA RIVOLUZIONE E IL SUO “EFETTO UTOPIA” La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino La prima fase della storia della rivoluzione è identificabile con l’utopismo rivoluzionario -> i dibattiti sulla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789. Gli sconvolgimenti rivoluzionari imposero un nuovo piano di realtà -> i Lumi con l'utopia avevano dato voce al bisogno di trasformazione politica e sociale, ma avevano rinunciato alla sua realizzazione, perché giudicarono impensabile la condizione necessaria alla sua attuazione, appunto la rivoluzione, che creò invece l'«effetto di utopia», perché dopo il 14 luglio 1789 aveva abbattuto l'antico regime e aveva aperto l'orizzonte per edificare la nuova società; era la realtà che aveva bisogno dell'utopia per riempire il vuoto di una situazione inimmaginabile e costruire la nuova società, dunque la generò, restarono presenti in modi diversi i temi dell'utopia philosophique. Il discorso utopista creato dall'effetto utopia rivoluzionario fu la Dichiarazione dei diritti stessa, che tracciò le coordinate del corso della rivoluzione fino alla sconfitta del Terrore giacobino; con Termidoro si aprì la nuova e ultima traiettoria dell'utopismo settecentesco e rivoluzionario, che condusse alla Congiura degli Eguali di Babeuf e Maréchal. Nel PREAMBOLO della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino risuonano Moro a Campanella a Rousseau, con il quale il pensiero utopista rivendicò la fondazione di un nuovo diritto politico che descriveva la società ideale e alla sua luce valutava l'ordine presente. Esso esordisce con la denuncia dei «mali pubblici e la corruzione dei governi» attuali, causati dall’ignoranza «loro diritti e doveri»; la loro conoscenza avrebbe permesso ai cittadini sulla base di «principi semplici e incontestabili» di confrontare (comparer) gli atti dei poteri legislativo ed esecutivo con l'autentico «scopo di ogni istituzione politica», che e la realizzazione dei diritti e «la felicità di tutti» -> così Sovranità e governo erano entrambe regolate da un' istanza più alta, appunto la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, che fu la nuova utopia rivoluzionaria, che parve poter risolvere l' irriducibile contrasto tra libertà ed eguaglianza, e poter dirigere la rigenerazione in atto dello Stato e della società ‣ Gli uomini nascono e rimangono «liberi ed eguali nei diritti» (par. 1), tuttavia i diritti naturali individuati nel 1789 furono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all'oppressione; mancò l’eguaglianza, che tornò a essere una condizione giuridica e non sociale nel 1795 nella dichiarazione di Termidoro. La Dichiarazione del 1789 e quella successiva del 1793, per quanto differenti, si basavano sulla logica individualista del diritto naturale -> CONTRADDIZIONE TRA LIBERTÀ ED EGUAGLIANZA, che la lotta rivoluzionaria fece emergere in quanto l’eguaglianza obesa in una prospettiva comunitaria. Da Robespierre il dilemma fu affrontato nella sua azione politica senza mai mettere in discussione la proprietà individuale; la prima legge sociale era quella che garantiva a tutti i membri della società i mezzi per esistere e che tutte le altre erano subordinate a questa legge -> l'apertura molto radicale del principio individualista del diritto naturale; la proprietà era «il diritto di ogni cittadino di godere e di disporre della porzione dei beni che gli è garantita dalla legge» (art. 7), e questo diritto era limitato «come tutti gli altri, dall'obbligo di rispettare i diritti altrui» (art. 8). La lotta per la conquista universale dei diritti politici implica la lotta contro gli effetti «politicamente disabilitanti della proprietà stessa»; la libertà individuale era definita in negativo quale limite reciproco con i diritti altrui, così per definire l'eguaglianza lo stesso principio andava applicato alla proprietà, che era un' istituzione sociale. La politica rivoluzionaria aveva senza esitazioni rinunciato al caposaldo dell’utopia. ‣ CONTRADDIZIONE TRA DIRITTI ED APPARTENENZA -> La Dichiarazione del 1789 aveva formulato i diritti naturali in modo da prevedere la loro realizzazione, ma al tempo stesso aveva mantenuto uno scarto rispetto alla traduzione pratica; su cosa poggiavano questi diritti? Al cuore della politica la Dichiarazione aveva posto la sovranità, la fondazione di leggi che sono «l'espressione della volontà generale», formulata dai cittadini «personalmente o dai loro rappresentanti» (par. 6). Soggetto della sovranità è l'individuo, in nome dei suoi diritti naturali, tuttavia la sovranità «risiede essenzialmente nella Nazione», la quale va oltre gli individui e garantisce l'unità tra i cittadini, stabilisce il criterio dell' «utilità comune», la quale guida il governo e determina il valore sociale degli individui, per natura tuttavia liberi ed eguali nei diritti. Era il contrasto tra diritti individuali e utilità sociale, o tra legislativo e governo. La categoria di nazione scaturiva dalla volontà e dalla passione civile del singolo individuo, ma il patriottismo a sua volta era generato dalla nazione, che esigeva che ciascun cittadino trovasse la propria identità nella nazione repubblicana e a questa si sacrificasse. I rivoluzionari si interrogarono sulla volontà generale e sulla figura del legislatore; - per Rousseau la difficoltà stette nello stabilizzare la nuova associazione secondo regole condivise che non potevano che essere quelle della volontà generale, ma che gli individui ancora non conoscevano: aveva escluso che il fondatore dello Stato fosse già detentore del potere politico per subordinare, non soltanto cronologicamente ma logicamente, il governo al legislativo. Per fondare uno Stato libero questa disarticolazione era indispensabile. - Ma per i francesi del 1789 e degli anni successivi il problema non stava nelle condizioni della nuova associazione: la rivoluzione c'era stata e aveva prodotto la nuova società. La nazione dell'utopia della Dichiarazione dei diritti esisteva e il popolo che così si era generato era il popolo virtuoso -> Diderot; il sangue della violenza aveva creato nella rivoluzione le condizioni per la rigenerazione del popolo nella virtù. La Dichiarazione dei diritti aveva avuto l'effetto di rispondere al bisogno di utopia -> l‘accordo tra appartenenza alla società nata dalla rivoluzione e diritti naturali dell'individuo fu sempre chiaro a Robespierre, che difese la Dichiarazione dei diritti. Tuttavia, alla Convenzione il 19 aprile 1793, contro il girondino François-Nicolas-Léonard Buzot aveva detto l’opposto; a lui che chiedeva la completa libertà di stampa, Robespierre rispose che quel principio era certamente giusto in astratto, ma che, in tempi di rivoluzione, per instaurare i diritti dell’uomo, occorrevano potenzialmente misure che reprimano una cospirazione fondata sulla libertà di stampa. Il popolo già virtuoso aveva preliminarmente bisogno di governo per essere difeso all'interno e all’esterno; l'utilitarismo che stava alla base della politica della nazione esigeva il sacrificio dei diritti naturali alle decisioni del governo virtuoso. Il potere della Dichiarazione era sospeso, aveva perso la forza dell’utopia. Nei dibattiti costituzionali del 1793 di provò a sciogliere la contraddizione e i giacobini furono d'accordo nel sostenere che i diritti naturali dell'uomo e del cittadino fossero anche diritti sociali, convenzionali = una delle teorie più dibattute nell' illuminismo, formulata dagli scozzesi, e in particolare da Ferguson. In Francia questa teoria era stata discussa soprattutto da Helvétius che vi diede una netta inclinazione utilitarista, quel che Rousseau aveva criticato nel Contratto sociale. I giacobini enfatizzarono sia la loro fedeltà a Rousseau sia la loro lontananza da Helvétius, anche se in realtà la loro azione si mosse tra quei due poli, ed erano quasi più vicini a Helvétius che a Rousseau. L'utopia della Dichiarazione dei diritti aveva innescato una dinamica che stava misurandosi con la realtà della rivoluzione. Il governo giacobino dava voce alla virtù del popolo, al quale chiedeva di identificarsi con il governo, che prevalse sul potere legislativo. Il soggetto della politica era la nazione virtuosa, dove i cittadini erano virtuosi se si identificavano con la patria; la politica giacobina rispose all'effetto di utopia della Dichiarazione dei diritti con un mito che costruì l'azione del governo, non con l'utopia della sovranità -> Era comparsa la nazione despota pensata da Helvétius. ANCORA UN’UTOPIA Maréchal Ma all'utopia, al progetto di unire alla virtù libertà ed eguaglianza, non si poté rinunciare -> nel Correctif à la Révolution", Maréchal sostenne che nella rivoluzione si era spalancata una contrapposizione tra le due utopie possibili: ‣ La vita di natura; l’utopia della condizione naturale, estranea alla vita politica, rappresentata dalla famiglia mononucleare, è l'ideale dell'uomo naturale; ‣ la civilizzazione politica; l’utopia della vita politica, il mondo giacobino delle leggi convenzionali, l'individuo non è che il cittadino pronto a sacrificare la propria vita alla patria. Nella società commerciale, le virtù pubbliche si opponevano alle virtù private perché vigeva incontrastata la dimensione pubblica che cancellava la natura e l'indipendenza dell’uomo; la società civile era una condizione di vita conventuale, dove l'uomo era contro natura, ognuno doveva rispettare i propri doveri, dove dominava la legge politica locale (≠ legge della natura) cui si doveva obbedire.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved