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Vademecum esame di Economia Aziendale, Appunti di Economia Aziendale

Vademecum riassuntivo per l'esame di Economia Aziendale (secondo parziale). Il presente riassunto si basa sul libro del prof. Russo Paolo ed è stato stilato, così come il primo vademecum nell'a.a. 2018/2019. Valutazione complessiva riportata l'esame dal sottoscritto: 29/30.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 19/11/2019

francesco-macchi-3
francesco-macchi-3 🇮🇹

3.7

(6)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Vademecum esame di Economia Aziendale e più Appunti in PDF di Economia Aziendale solo su Docsity! A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 VADEMECUM ECONOMIA AZIENDALE • Stato patrimoniale riclassificato Problematiche dello SP classico: - Espone le poste rettificative dell’attivo insieme ai debiti; - Non distingue gli elementi dell’attivo né per durata né per destinazione né per natura. Per ovviare a questi problemi lo SP viene riclassificato secondo uno schema prestabilito, reso obbligatorio in Italia dagli inizi degli anni novanta del secolo scorso. Lo schema prestabilito ha permesso di intendere la riclassificazione dello SP come un percorso analitico che punta fare un passo avanti rispetto al precedente, avvalendosi anche del contenuto delle note integrative, atte a far comprendere meglio la natura delle voci del bilancio. Obiettivi della riclassificazione: 1. Esporre gli elementi dell’attivo al netto degli elementi di rettifica; 2. Ottenere prime indicazioni in merito a liquidità e solidità patrimoniale dell’azienda; 3. Permettere valutazioni dell’impiego del capitale investito; 4. Predisporre una base di partenza adeguata per il calcolo dei flussi di cassa. La riclassificazione avviene secondo due modelli prevalenti: A. Modello che ordina le voci secondo la liquidità decrescente delle poste dell’attivo e secondo l’esigibilità decrescente delle poste del passivo e del PN. B. Modello basato sull’ordinamento delle voci in base ai rami di gestione e le operazioni sul PN a cui possono essere associate. Nello specifico: Modello A I. ATTIVO 1. Liquidità immediate (c/c ed equivalenti); 2. Liquidità differite ( crediti v/ clienti ed altri crediti destinati ad essere incassati entro 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio); 3. Totale liquidità immediate e differite o “liquidità” (usato impropriamente ): ∑(1, 2) 4. Disponibilità (rimanenze) si riferisce a elementi attivi che dovrebbero tradursi in liquidità entro l’anno, ma legate all’incertezza delle fasi di lavorazione vendita cui devono essere sottoposte prima di essere liquidate; 5. Totale attivo corrente: ∑(3, 4) 6. Immobilizzazioni immateriali (brevetti, marchi, oneri pluriennali, avviamento); !1 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 Le poste attive qui registrate al lordo del Fdo. Amm. hanno di seguito i valori dei relativi fondi di ammortamento ed valori espressi al netto dei Fdo. Amm., tranne i terreni, non soggetti a deperimento. 7.1 Immobilizzazioni materiali lorde ( immobili, terreni, macchinari, impianti, attrezzature e altri beni desinati ad essere impiegati pluriennalmente) 7.2 Totale Fdi. Ammortamenti (somma dei diversi fondi di ammortamento impianti, macchinari ecc.) 7. Immobilizzazioni materiali nette: = 7.1 - 7.2 8. Immobilizzazioni finanziarie (partecipazioni, depositi cauzionali) 9. Totale immobilizzazioni nette: ∑(6, 7) 10. Attivo totale: ∑(5, 9) II. PASSIVO e PN 1. Tot. passività correnti (debiti v/ erario e debiti a breve termine per ex. debito v/ fornitori) 2. Tot. passività a medio-lungo termine (debiti v/ dipendenti TFR, debiti v/ banche) 3. Tot. Passività (definisce il tot. del debito): ∑(1, 2) 4. PN (saldo contabile tra attivo e passivo): ∑(4.1, 4.2, 4.3) È diviso in 3 parti ideali: 4.1 utile di esercizio 4.2 utile di esercizio precedenti 4.3 capitale sociale 5. Totale passività e PN: ∑(3, 4) Problematica: questo modello consente di raggiungere solamente gli obiettivi 1 e 2 sopra esposti, ma non il 3 e 4. Si usa quindi il modello B. Modello B I. ATTIVO 1. Attività correnti diverse dalla liquidità ( crediti v/ clienti, rimanenze, altre att. corr. diverse dalla liquidità) 2. Passività correnti diverse dai debiti finanziari (debiti v/ fornitori, debiti v/erario) !2 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 • Indicatori di bilancio: macro-categorie, quali sono, limiti di significatività. Gli indici di bilancio meritano attenzione, poiché: - Molti gli attribuiscono grande importanza; - alcuni indicatori, se non adeguatamente interpretati, possono indurre a giudizi erronei, in quanto, possono indurre a valutare in modo negativo aziende che sono in ottime condizioni, mentre possono portare a sottovalutare le difficoltà di altre aziende; - alcuni indicatori, se non adeguatamente interpretati, possono indurre manager e azionisti a decisioni di investimento e di indebitamento sbagliate, come è accaduto più volte nei casi in cui sono stati applicati in modo erroneo alcuni indicatori di redditività; - alcuni indicatori di bilancio di recente formulazione, relativi soprattutto alla capacità dell’azienda di rimborsare i propri debiti finanziari, hanno una certa significatività. Sono divisibili in tre macro categorie: I. Indici di Liquidità; II. Indici di Solidità patrimoniale; III. Indici di Redditività; I. Indici di Liquidità Liquidità: capacità dell’azienda di far fronte in modo tempestivo e conveniente ai propri impegni di pagamento. L’analisi della liquidità si basa su 4 indicatori, divisi in due coppie: A. Prima coppia: 1. Indice di liquidità primaria o acid test (a dire che se > 1, si possono trarre conclusioni positive, altrimenti se < 1, conclusioni negative): (liquidità immediate + l. differite) / passività correnti 2. Margine di tesoreria: (liquidità immediate + l. differite) - passività correnti B. Seconda coppia: 1. Indice di liquidità secondaria: attività correnti / passività correnti 2. CCN: attività correnti - passività correnti II. Indici di Solidità Patrimoniale Solidità Patrimoniale: capacità dell’azienda di resistere a eventi che possa ridurre le sue risorse patrimoniali, e soprattutto il suo PN. L’analisi della solidità patrimoniale si basa su 3 indicatori: 1. Indice di copertura delle immobilizzazioni: PN / immobilizzazioni !5 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 2. Margine di struttura: PN - immobilizzazioni 3. Rapporto di indebitamento: TOT DEBITI ( = d. commerciali + d. finanziari) / PN Teoricamente dovrebbe essere < 1, invece nella maggior parte dei casi sempre > 1. Limiti di significatività degli indici di liquidità e solidità patrimoniale: I limiti di significatività degli indicatori di liquidità e di solidità patrimoniale, stanno nella definizione distorta di soglie troppo alte o troppo basse, che portano a valutazioni comunque viziate da pessimismo. ( ex. acid test > 1 per trarre conclusioni positive ⇒ tutte le aziende valutate con a.t. <1; indice di cop. imm. Dovrebbe essere <1 ⇒ è sempre > 1; rapporto indeb. Dovrebbe essere < 1, ⇒ sempre > 1 nelle aziende considerate, che comunque hanno un ottimo andamento) III. Indici di Redditività L’analisi della redditività assume come punti di partenza lo stato patrimoniale e il conto economico riclassificati, in linea di principio i dati di inizio periodo possono essere considerati più significativi. Mette in relazione tra loro coppie di valori, ognuna rappresentata da uno stock e da un flusso che ne identifica il rendimento o il costo: 1. Capitale investito (CI) e risultato della gestione tipica corrente (RGTC) 2. Debiti finanziari netti (DFN) e oneri finanziari netti (OFN) 3. Patrimonio netto (PN) E Risultato della gestione corrente (RLGC) Ognuna di queste coppie esprime un indicatore che se valutato singolarmente ha una sua significatività e una sua utilità, infatti: 1. Rapporto tra risultato della gestione tipica corrente (RGTC) e il capitale investito (CI) (RGTC/CI = ROI) dove ROI è la redditività dell’azienda nella gestione tipica 2. Rapporto tra oneri finanziari netti (OFN) e debiti finanziari netti (DFN) esprime il costo dei debiti finanziari (OFN/DFN= costo dei debiti finanziari netti) 3. Rapporto tra risultato lordo della gestione corrente (RLGC) e il patrimonio netto (PN) esprime la redditività lorda del patrimonio netto (ROE lordo) definito prima dei componenti straordinari e delle imposte. (ROE LORDO= RLGC/PN) La relazione che lega questi tre indicatori è descritta in questa espressione: RLGC/PN= RGTC/CI + (RGTC/CI – OF/DF) * DFN/PN Equivalente per significato con: ROE lordo (leva finanziaria) =ROI + (ROI- OFN/DFN) * rapporto di indebitamento Cioè la redditività lorda del patrimonio netto (ROE) è uguale alla redditività del capitale investito (ROI) + la differenza tra la redditività del capitale investito (ROI) e il costo dei debiti finanziari, moltiplicata per il rapporto di indebitamento. !6 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 Quindi in presenza di una differenza tra la redditività del capitale investito e il costo dei debiti finanziari maggiore di zero (situazione favorevole) al crescere del rapporto di indebitamento la redditività lorda del patrimonio netto (ROE) cresce. In presenza di uno scenario sfavorevole dove il ROI è minore del costo del debito l’aumento del rapporto di indebitamento amplifica in negativo la redditività lorda del patrimonio netto. Conclusione: non è possibile ottenerla prospettiva di aumentare la redditività del capitale investito mediante l’aumento del rapporto di indebitamento senza esporsi al rischio che l’indebitamento dia origine a un peggioramento della redditività. Nessuna prospettiva di upside senza il rischio di downside. Detto ciò è utile aumentare il rischio, in modo da poter avere la prospettiva di una redditività molto alta? La risposta è stata data da Modigliani e Miller quando dimostrarono la loro “proposition one”: in assenza di imposte il debito lascia inalterato il valore dell’azienda. Da questa affermazione ne deriva la “proposition two” (che spiega il comportamento degli investitori di fronte al debito) secondo questa seconda Proposition: il tasso di rendimento atteso dall’azionista dell’azienda indebitata (i) era pari al tasso di rendimento atteso dall’azionista per un’azienda dello stesso tipo, ma non indebitata (p) e il rendimento del debito (r), moltiplicata per il rapporto del debito (D) e il valore del patrimonio netto (s) i = p + (p-r) * D/s Esprime l’aumento del rendimento atteso dell’azionista di un’azienda indebitata (i) al crescere del rapporto dell’indebitamento (D/s), secondo la progressione dove: - p è il tasso di rendimento atteso dell’azionista per un’azienda dello stesso tipo ma non indebitata - r è il costo del debito - D è il valore del debito - S è il valore del patrimonio netto Dove questa è la stessa formula usata per calcolare la redditività del patrimonio netto, ma questa spiega i rendimenti attesi, invece quella precedente viene usata per spiegare i rendimenti effettivi e i rendimenti previsti. • Il rendimento atteso: è il rendimento che un soggetto chiede per destinare il suo capitale a un certo impiego, che può essere più o meno rischioso, al crescere del rischio cresce il rendimento atteso. • Il rendimento effettivo: è quello che, indipendente dalle probabilità, abbiamo ottenuto e valutiamo ex post, quindi il risultato che si è ottenuto • Il rendimento previsto: è quello che prevediamo di ottenere facendo un certo investimento. Anche questo è un rendimento futuro ma è un pagamento che esprime una nostra previsione, si può avere un rendimento atteso del 20%, questo vuol dire che noi richiediamo un rendimento del 20% per investire in quella casa; se prevediamo di poter ottenere un rendimento superiore al rendimento atteso, effettueremo il nostro investimento prevedendo un rendimento superiore. La formula dice quindi che all’aumentare del tasso di indebitamento, l’azionista richiederà un rendimento crescente. Quindi tra un’ipotesi più rischiosa e una meno non vi è differenza poiché il rischio ha un prezzo, aggiustato per il rischio il rendimento non cambia. Il problema si pone quando la formula si passa al rendimento previsto, perché alcune analisi affermano che date certe condizioni di redditività del capitale investito e di costo del debito, l’aumento del rapporto di indebitamento assicura un aumento della redditività del patrimonio netto, !7 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 Hp alla base del modello di Maslow: 1. Un bisogno quando soddisfatto cessa di essere motivante. 2. Condizione necessaria affinché un bisogno sia motivante, è che siano stati soddisfatti tutti i bisogni di ordine inferiore. Conseguenze ⇒ non tutti i lavoratori sono motivati dagli stessi bisogni ⇒ azienda dovrebbe prima capire i bisogni motivanti il singolo lavoratore e cercare poi di far leva su di essi per stimolarne il comportamento. 5. Altri collaboratori, consulenti e fornitori. B. Gli individui sono clienti (o clienti di clienti) dell’azienda ⇒ qualsiasi cosa l’azienda produca è destinata a soddisfare i bisogni diretti (beni di consumo) o mediati (beni industriali che terzi utilizzano per produrre a loro volta beni di consumo). Conoscere le esigenze dei consumatori è importante. Alcune aziende cercano di condizionare i comportamenti di consumo, altre si limitano a studiare i comportamenti del consumatore: emerge una relazione fra le scelte dell’individuo e il nucleo familiare ad esso correlato; ne seguono prodotti concepiti appositamente per famiglie (ex. Soggiorni alberghieri nei “family hotels”), che una volta acquistati da un membro coinvolgeranno l’intero nucleo e prodotti atti a soddisfare le esigenze familiari (ex. automobile). C. Gli individui investono nell’azienda i propri risparmi ⇒ ci sono elementi individuali (competenze professionali, propensione al rischio …) che contribuiscono a selezionare gli investimenti realizzabili. Il rischio che gli individui assumono quando investono in un’azienda i propri risparmi, dipende da due circostanze: 1. Forma tecnica dell’investimento: le famiglie possono scegliere tra due forme: a) Investimento in azioni, ovvero nel capitale di rischio; b) Investimento in crediti, ovvero nel capitale di prestito. Esso ottiene il rimborso prima di quello di rischio, ma anche se in linea di principio dovrebbe essere meno rischioso, ciò non è sempre vero: l’esposizione al rischio dipende, oltre che dalla forma tecnica, anche dalle caratteristiche del soggetto finanziato. Nonostante a livello teorico, rischiando di più dovrei ottenere un maggior rendimento, quest’ultimo non produce un beneficio reale. Inoltre le famiglie possono investire in crediti anche al di fuori dell’ambito aziendale (ex. Stati sovrani, enti locali e organismi sovranazionali); questi ultimo comportano teoricamente un rischio implicito minore nei crediti rispetto alle aziende, ma non è sempre così, esistono stati con rischi di default superiori a quelli delle aziende di primaria affidabilità. 2. Caratteristiche dell’azienda destinataria dell’investimento, si nota che: - In ogni azienda A qualsiasi investimento in crediti in A è sempre meno rischioso dell’investimento in capitale di rischio di A; !10 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 - L’osservazione precedente può essere inversa nel caso in cui si confronti il rischio d’investimento in crediti di A e l’investimento in c. di rischio di un’azienda B. In questo caso può accadere che: ⇒ credito di A detenuto dal soggetto più rischioso di titolo di c. di rischio di B; ⇒ rendimento atteso dal soggetto che vanta un credito nei confronti di A, sia maggiore del rendimento atteso dall’investimento in c. di rischio di B. Queste differenze scaturiscono dalla diversità tra l’azienda A e B, in particolare sotto i profili di: - Rischio di business: rischio che i prodotti dell’azienda non si vendano o si vendano a prezzi non vantaggiosi (costi eccessivamente alti); - Rischio finanziario: rischio che gli oneri sopportati per far fronte agli interessi dei creditori gravino eccessivamente sull’azienda, costringendola a registrare difficoltà finanziarie o anche fallimento. D. Gli individui e le famiglie hanno anche rapporti di altro tipo con le aziende ⇒ essi vivono nello stesso mondo e questo comporta da individui e famiglie l’aspettativa che le aziende contribuiscano a migliorare la società e l’ambiente, invece che peggiorarli. Il panorama è vario: ci sono aziende che rispettano l’ambiente più di quanto le leggi impongano e aziende che lo fanno in maniera minore. Indipendentemente dal fatto che gli individui siano azionisti, clienti etc… dell’azienda, si aspettano che essa risponda alla “chiamata” sociale; risposta che presuppone: - in primo luogo la consapevolezza delle aziende dell’impatto che esse hanno sull’ambiente che le circonda; - In secondo luogo, la determinazione a far si che tale impatto sia positivo, ovvero contribuisca a migliorare l’ambiente e a società. 2 . Stati Sovrani, Enti ed aziende pubbliche 2.1 Stati sovrani Uno stato si caratterizza per avere: un popolo, un territorio, un insieme di leggi che disciplinano il comportamento sul suo territorio, la sovranità sul territorio. Ogni stato ha anche una serie di obiettivi ed in questi, la componente economica gioca un ruolo fondamentale. Gli elementi che qualificano la componente economica dell’azione di governo sono: I. Produzione di beni pubblici; II. La redistribuzione della ricchezza. !11 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 I. I beni pubblici, sono beni dei quali lo stato controlla la produzione. Questo controllo può avvenire mediante: a) Produzione diretta, ex. Apparato giudiziario; b) L’intervento in sede di regolamentazione e supervisione della produzione affidata a terzi, ex. Servizi di trasporto aereo; c) Forme ibride di produzione diretta e affidamento a terzi, ex. Servizi sanitari e istruzione (sono parzialmente prodotti dallo stato e affidati a terzi che operano secondo le regole dello stato). Nel concreto la definizione di bene pubblico è molto variabile, essa cambia notevolmente da: (1) Uno stato ad un altro; (2) Nello stesso paese, da un tempo all’altro; (3) Nello stesso paese e nello stesso tempo, da uno schieramento politico all’altro. II. Altro elemento che qualifica la componente economica dell’agire dello stato è la redistribuzione della ricchezza. Dal punto di vista delle aziende, l’aspetto che più interessa dello stato, è la sua influenza sulle attività aziendali. L’influenza dello stato si manifesta mediante: a) Produzione di leggi che regolano l’attività aziendale; b) Produzione di servizi pubblici che regolano l’attività aziendale; c) Il prelievo fiscale; d) L’erogazione di contributi o facilitazioni di altro genere, a favore delle aziende; e) Per alcune aziende, l’acquisto dei prodotti che esse offrono. Sono fattori importanti poiché le aziende valutano le proprie alternative di sviluppo internazionale anche in base a questi fattori. 2.2 Enti pubblici Per raggiungere i propri obbiettivi, lo stato si avvale di una serie di soggetti in cui decentra parte delle proprie attività: - Enti pubblici territoriali, ex. Regioni, province, comuni; - Enti pubblici non territoriali, ex. Ospedale della città X; - Aziende pubbliche, ex. ATM. !12 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 6.2 Il settore È un insieme di aziende che svolgono attività concorrenziali fra loro operando sugli stessi mercati. Ex. I carburanti auto sono un bene standardizzato, quindi c’è poca capacità di differenziazione tra le diverse aziende di distribuzione. L’insieme di queste ultime forma un settore. Il rapporto di concorrenza fra le aziende di un settore si esprime sui mercati di sbocco ( di vendita), ma esistono casi in cui la concorrenza si verifica sui mercati di acquisto, soprattutto in quelli dove la domanda è maggiore dell’offerta e si verifica quindi una scarsità del prodotto che può comportare un aumento dei prezzi. 6.3 Il sistema competitivo 6.3.1 Rapporti di forza contrattuale Le aziende che svolgono attività simili si confrontano ordinariamente sui mercati di acquisto, dove solitamente avvertono concorrenza minore, e di vendita, dove la concorrenza tende ad essere maggiore. Si creano così tre tipi di relazioni principali che condizionano la vita di queste aziende: 1. Rapporti di forza contrattuale con i fornitori; 2. Rapporti di forza contrattuale con i clienti; 3. Rapporti di rivalità/collaborazione tra le aziende dello stesso settore. La forza contrattuale dei clienti dipende da diversi fattori, tra cui: 1. Importanza del bisogno soddisfatto, conseguentemente legato all’impatto che il prodotto acquistato esercita sui costi e sulle attività del compratore; 2. Le alternative disponibili con cui il cliente può soddisfare il suo bisogno, nel caso in cui non acquisti dal suo fornitore. Queste alternative sono correlate con i tempi, i costi ed i rischi della riconversione da un fornitore ad un altro e alla possibilità di procedere in concreto alla sostituzione del fornitore. I rapporti di forza contrattuale la relazione tra aziende clienti ed aziende fornitrici. Per ogni settore esistono quindi “a monte” rapporti di forza contrattuale con fornitori e rapporti di forza contrattuale “a valle” con i clienti, entrambi condizionati dal modo in cui le aziende dello stesso settore si confrontano tra loro. 6.3.2 Rapporti di rivalità e collaborazione tra aziende del medesimo settore I rapporti di rivalità e collaborazione fra aziende del settore dipendono invece da 5 forze principali: 1. L’impatto sulle quote di mercato di iniziative individuali; 2. Grado di unicità del prodotto offerto; 3. Importanza degli obbiettivi di quota di mercato; !15 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 4. Grado di utilizzo della capacità produttiva a livello di settore (domanda e offerta); 5. Modelli di comportamento prevalenti dei produttori. La rivalità si accentua nei casi in cui: 1. L’impatto di iniziative individuali sia maggiore, ovvero l’azienda che innesca una riduzione dei prezzi ottenga maggior quantità di prodotti venduti; 2. Il prodotto offerto sia caratterizzato da un livello di unicità percepita piuttosto basso che dipende, oltre all’unicità del prodotto in se, anche dagli elementi capaci di incidere sulla percezione del cliente; 3. L’importanza degli obbiettivi di quota di mercato sia elevata; 4. Il grado di utilizzo della capacità produttiva sia relativamente basso e quindi capace di innescare una naturale pressione alla ricerca di opportunità di aumento della quantità; 5. I modelli di comportamento dei produttori siano caratterizzati da un alto livello di aggressività reciproca, circostanza legata perlopiù alla tradizione del settore e dei soggetti posti a capo delle aziende che svolgono i ruoli principali nel settore. Bisogna tenere conto di altre due forze che incidono sulle aziende del settore: - I produttori di beni sostitutivi: Essi incidono sulle aziende del settore perché creano rapporti di concorrenza simili ad aziende dello stesso settore. ex. Trasporti sulla linea Milano - Roma: Trenitalia e Alitalia, non sono aziende dello stesso settore ma si fanno concorrenza poiché offrono beni che possono essere considerati sostitutivi. Le variabili che incidono su questo rapporto sono le stesse che incidono sui rapporti di rivalità e collaborazione. !16 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 - I potenziali entranti: essi incidono sulle aziende del settore incentivandole a ridurre i prezzi di vendita creando barrire d’entrata, così da rendere più difficile l’inserimento del settore a chi ancora non vi appartiene. Sistema competitivo: È l’insieme delle cinque forze che agiscono su aziende dello stesso settore condizionandone la redditività. Quindi rapporti più favorevoli con clienti e fornitori, con aziende dello stesso settore e con i produttori di beni sostitutivi aiutano le aziende di settore a guadagnare di più. ! !17 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 per rendersi uniche e coerenti esternamente e internamente, ovvero rispettare le condizioni che permettono all’azienda di avere performance maggiori (o minori) dei concorrenti. 1.2.1 Acquisto Quando si pensa alle attività di acquisto una delle prime cose che viene in mente è il prezzo d’acquisto, frutto del rapporto della forza contrattuale fra fornitore e cliente, che a sua volta scaturisce: - dalle due aziende che assumono i ruoli di acquirente e venditore; - Tra le persone che le rappresentano nella trattativa. La trattativa sul prezzo nono varia solo in base agli elementi tecnici che qualificano le posizioni di forza di venditore e compratore, un ruolo importante deriva anche dagli elementi psicologici, di temperamento e motivazione delle persone che svolgono la trattativa. Le operazioni di acquisto non si concludono con la trattativa del prezzo, ma il prezzo di acquisto e le condizioni di vendita sono quindi frutto di numerose variabili, tra le quali: 1. il valore attribuito al prodotto o al servizio acquistato; 2. il volume di acquisti annuo e la sua incidenza sui conti del compratore; 3. le alternative disponibili e i relativi prezzi di acquisto; 4. i costi e i rischi del ricorso a fornitori alternativi; 5. le relazioni interpersonali stabilite con il venditore; 6. la percezione che il compratore ha dell’equità (o in-equità) del prezzo. 
 Quando l’approccio è razionale, il compratore considera i pro ed i contro di ogni trattativa. Le attività di acquisto, nella maggior parte dei casi, non sono considerate a se stanti: una delle decisioni principali in quest’ambito è tra la scelta di comperare il prodotto dall’esterno o produrlo all’interno (“Make or Buy”), ogni attività di acquisto viene giudicata anche in base alla capacità di produrre internamente il bene in questione. I criteri di una scelta o l’altra, dovrebbero permettere di ottenere il risultato migliore nel lungo periodo, evitando laddove possibile di “spremere” i fornitori per ottenere un buon risultato nell’immediato. L’equilibrio tra gli obiettivi immediati e gli obiettivi futuri è uno dei problemi principali nella conduzione delle aziende (e non solo delle aziende) ed è alla base della conduzione di tutte le attività correnti e di set up. Ma non tutti gli approcci sono razionali. Talvolta, gli acquisti sono condizionati da rapporti più o meno felici tra le persone che rappresentano il compratore e il venditore. In altri casi, il compratore soffre d’inerzia nei confronti del cambiamento. Sopravaluta i rischi associati a un nuovo fornitore o, più semplicemente, agisce (o non agisce) sotto il condizionamento della mancanza di tempo. In altre circostanze, al di là di tutti i fattori appena ricordati, il compratore agisce in base alla sua percezione di “equità” del prezzo di acquisto propostogli. E a volte si rifiuta di accettare un prezzo per lui conveniente in base alla sua valutazione di equità (o di iniquità) del prezzo. !20 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 1.2.2 Vendita Le attività di vendita sono quelle mediante le quali il lavoro svolto in tutte le attività aziendali permette di ottenere la ricchezza che rappresenta la base per il compenso di tutti. Sono quelle più incisive sul valore futuro di un’azienda. Nella fase di pianificazione aziendale, di solito il budget delle vendite è il punto di partenza ed anche quello più importante per determinare le attività da svolgere. In sequenza logica, è opportuno parlare di vendite solo dopo aver parlato di produzione, dato che il ciclo è acquisto-produzione-vendita, ma in realtà alcune aziende non svolgono attività di produzione, motivo per cui acquisti e vendite formano la prima composizione significativa di attività aziendali, ovvero sono quelle che producono ricchezza. La vendita è condizionata dalle medesime 6 variabili che condizionano le attività di acquisto, anche se orientate in modo diverso: il compratore cerca di impiegare le 6 variabili per ribassare il prezzo di acquisto, il venditore va nella direzione opposta. Il compratore cerca di orientare la trattativa in modo impersonale, mentre il venditore tenta di basare il rapporto commerciale sul rapporto interpersonale, volendo creare barriere che impediscano al cliente di passare ad un altro fornitore. Quindi: - il compratore cerca di comprare per telefono o per mezzo di aste on line, puntando dove possibile ad un rapporto impersonale; - Il venditore cerca di vendere di persona se possibile, ma non rinuncia alla possibilità di vendere on line raggiungendo una clientela più ampia e a costi contenuti. Talvolta l’equità del prezzo vince su ogni altra variabile, poiché un soggetto non acquista un prodotto per un prezzo che non ritiene equo. Ma cos’è il prezzo equo? Quando lo scambia è realizzato tra due aziende, il prezzo spartisce il valore complessivamente creato in due, una parte per il fornitore ed una per il cliente. In questo caso, il prezzo equo è quello che lascia alle due parti una percezione di equità nella divisione di valore creato. 1.2.3 Produzione Le attività di produzione aumentano le possibilità che un’azienda renda unico il proprio prodotto, poiché frutto di una trasformazione interna e può fondarsi sull’impiego di conoscenze e pratiche difficilmente imitabili. Inoltre, se l’attività è svolta internamente gli elementi che ne assicurano l’unicità, ovvero le competenze, il saper fare o “know how”, possono essere meno visibili e imitabili dall’esterno. (ex. unicità e produzione. Apple vs. Walmart ⇒ entrambe di successo ma: W. supera A. per ricavi di vendita, ma A. supera W. per valore di borsa ⇒ perché ? W. rivende a basso prezzo prodotti di altri, A. produce, sviluppa e vende suoi prodotti) Le attività produttive comportano un set up lungo nel tempo, più costoso e di difficile reversibilità. Le attività di produzione, oltre a maggiori rischi e benefici per le aziende, comportano anche una serie di obblighi, tra cui: 1. Garantire sicurezza lavoratori; 2. Garanzia delle condizioni di lavoro; ex. Agli inizi degli anni 2000, una grande azienda multinazionale americana, ha chiesto ai propri fornitori di garantire per iscritto di non servirsi delle cosiddette “sweatshop”, fabbriche nelle quali le condizioni di impiego del lavoro sono !21 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 inaccettabili dal punto di vista umano, anche se talvolta non sono proibite dalle leggi locali. Sono diffuse soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Talvolta, le leggi dei paesi in via di sviluppo non vietano le pratiche produttive impiegate nelle sweatshop. Ciò fa sì che, dal punto di vista legale, in alcuni paesi esse siano consentite. E’ derivante dal fatto che i legislatori locali sanno che le condizioni di vita della popolazione locale in assenza di queste forme di industrializzazione sono spesso peggiori di quelle che si realizzano con l’impiego delle sweatshop. 3. Rispetto delle norme della tutela dell’ambiente; 4. Garanzia del la qualità del prodotto ottenuto e la possibilità di risalire al singolo articolo ottenuto, al rispettivo lotto di produzione e ai materiali impiegati nella lavorazione (tracciabilità); 5. Garanzie del rispetto delle procedure previste per la lavorazione. Gli obbiettivi della attività di produzione vanno al di là di questi obblighi, il cui rispetto dovrebbe essere moralmente scontato. Le attività produttive sono in alcuni casi uno strumento fondamentale per l’unicità delle attività aziendali nel suo insieme. Le attività produttive possono distinguersi dal punto di vista: 1. Della qualità del prodotto ottenuto, essa in alcuni casi fa la differenza fra una azienda e l’altra. 2. Dell’efficenza produttiva, che solitamente si esprime come il rapporto tra il risultato produttivo ottenuto ed il fattore della produzione impiegato. In alcune aziende è proprio la maggiore efficenza produttiva garantire l’unicità e in questi casi è tenuta anche a prezzo di alcune rigidità di riconversione. Talvolta è ottenuta assicurando il collegamento tra un’attività e l’altra del processo produttivo (ex. Produzione materiale plastico termo-stampato e successivo assemblaggio). 3. Della velocità e flessibilità della produzione, l’azienda, magari servendosi di una serie di rapporti di collaborazione con soggetti esterni, si dimostra capace di adattare le caratteristiche del prodotto alle esigenze dei propri clienti in maniera più rapida e più versatile. 4. Della affidabilità della produzione, ovvero garantire al cliente un controllo qualità al 100% sul proprio prodotto, o in alcuni casi dove la qualità risulta meno determinante, prediligere un aggiustamento contrattuale tra fornitore e cliente. Perché produrre internamente? Perché in alcuni casi il tocco del tecnico lungo la linea di montaggio è ancora determinante, mentre in altri casi la preferenza per la produzione interna scaturisce anche dalla considerazione che il rapporto di collaborazione con il fornitore potrebbe favorire il nasce di aziende concorrenti. In altri casi ancora si predilige la produzione interna poiché vista come indispensabile al contenimento dei costi. Quindi: le attività produttive si confrontano con un’ampia gamma di obiettivi, dalla soddisfazione individuale del lavoratore a quelli di unicità e coerenza delle attività aziendali nel loro insieme. Il raggiungimento di questi è spesso condizionato dalle regole che condizionano le attività correnti di produzione. !22 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 - l’attività di regolazione assicurata dai sistemi informativi può produrre un ruolo determinante sui risultati aziendali; - la progettazione del sistema informativo deve essere integrata con la progettazione delle attività e presuppone quindi una conoscenza capillare del business e delle sue esigenze di rinnovamento; - il rinnovamento delle attività risulta impossibile senza il rinnovamento del sistema informativo che le regola; - i responsabili delle attività di acquisto, produzione e vendita, per svolgere in modo efficace il proprio ruolo, devono avere le capacità di comprendere, di valorizzare e di discutere le caratteristiche del sistema informativo che regola le rispettive attività. g) La necessità di assicurare la qualità e il rispetto delle procedure interne e la correttezza delle informazioni. E’ questo il campo delle attività di controllo interno (“Internal Auditing”). Si fa riferimento a persone estranee all’organizzazione dato che trattandosi di un’attività di “controllo del controllo”, è intuitivo immaginare come essa sia destinata a essere svolta da soggetti diversi da quelli che lavorano nei processi che l’internal auditing deve valutare. Questo nasce dalla consapevolezza che in alcune circostanze i dipendenti preferiscono evitare la segnalazione di alcuni tipi di problemi. A volte, i dipendenti aziendali ricevono persino pressioni da parte dei loro capi affinché la segnalazione non avvenga. Ed essi possono essere in conflitto d’interessi rispetto all’azienda, in quanto il comportamento professionalmente più corretto nei confronti dell’azienda potrebbe porli in contrasto con il loro superiore diretto. 2. Le attività di set-up 2.1 Cosa sono Sono le attività finalizzate all’avvio o al rinnovamento delle attività correnti. Esse producono sui risultati aziendali un impatto indiretto, determinando innanzitutto il cambiamento delle attività correnti e, mediante il rinnovamento delle attività correnti, il rinnovamento delle premesse per la produzione dei risultati periodici. Considerata la particolarità degli obiettivi di queste attività, finalizzate a rinnovare le attività correnti, nel momento in cui sono realizzate esse danno un contributo negativo ai risultati aziendali, aumentando i costi sostenuti o i capitali investiti. Il frutto sarà raccolto in un tempo successivo, quando i prodotti saranno finalmente venduti sul mercato. 2.2 Come si articolano Se le distinguiamo in base al loro oggetto, si articolano in due categorie principali: - attività finalizzate a definire il disegno generale delle attività correnti; - attività finalizzate all’avvio o al rinnovamento di singole attività correnti. !25 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 Se invece le suddividiamo in base alla loro opportunità di ripetizione, distinguiamo tre categorie principali: - attività destinate a verificarsi una volta soltanto. Appartengono a questa categoria le attività di avvio, di cessazione, di concentrazione tra diversi insiemi di attività destinati a essere combinati tra loro, o di separazione di attività collegate. - attività destinate a ripetersi ciclicamente, al verificarsi di certe condizioni. Appartengono a questa categoria le attività di riesame del disegno generale delle attività correnti, o di rinnovamento di specifiche attività correnti. - attività destinate a ripetersi iterativamente, in quanto orientate all’avvio o al rinnovamento di insiemi di attività correnti relativamente simili. 
 2.3 Caratteristiche delle principali attività di set up Le principali attività di set up hanno un impatto notevole sulle attività correnti e sui risultati aziendali. Innanzitutto, le attività di set up sono scarsamente reversibili. Ovvero una volta compiute, lasciano in essere un insieme di attività correnti che non può essere modificato facilmente. In alcuni casi, un errore nelle attività di set up si traduce – semplicemente – nella soppressione anticipata di un prodotto e nel sostanziale riconoscimento della perdita di valore degli investimenti a esso finalizzati. Seconda caratteristica delle attività di set up è che in molti casi esse finiscono per essere predisposte e realizzate dalle stesse persone che sono responsabili delle attività correnti. Questo è legato con la terza caratteristica: la circostanza che esse, a differenza dalle attività correnti, nella maggior parte dei casi non hanno natura ripetitiva e pertanto trovano spesso impreparate le persone che le promuovono. Come tali, esse hanno maggiore probabilità di sbagliare. La attività di direzione 1. Cosa sono Quando l’azienda non è riconducibile all’attività artigianale di pochi soggetti, acquisti, produzione e vendite sono svolte da persone diverse. Ciò aumenta l’efficienza, perché la divisione del lavoro produce specializzazione e la specializzazione si associa all’accumulo di esperienza e all’aumento dell’efficienza. Ma la divisione del lavoro necessita anche di una direzione energicamente orientata agli obiettivi aziendali.Il punto è che la definizione degli obiettivi generali e individuali, la specializzazione dei compiti e la divisione del lavoro non garantiscono che le attività svolte da persone diverse siano automaticamente coordinate. 
 Il coordinamento è un lavoro a parte ed è forse uno dei lavori più difficili: presuppone la conoscenza delle persone e dei problemi aziendali che ognuno gestisce, la capacità di guidarle nella gestione delle “eccezioni”, ovvero nei problemi che richiedono soluzioni speciali, e la capacità di dirimere e superare i conflitti. !26 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 2. Le responsabilità primarie del direttore generale Si riconducono a tre aree principali: 1. la definizione degli obiettivi di carattere generale; La definizione degli obiettivi è una delle attività di maggiore importanza. Si tratta di convertire la funzione generale dell’azienda (quella di produzione di ricchezza) in traguardi specifici e misurabili: questo anche al fine di creare un punto di riferimento che permetta di stabilire se e in che misura siano stati raggiunti, le cause dei principali scostamenti e le eventuali azioni correttive necessarie. 
 Da diversi anni, hanno trovato diffusione sistemi di determinazione degli obiettivi e di analisi dei risultati che guardano, oltre che ai dati economico-finanziari, a: - la dimensione dei rapporti intrattenuti con la clientela; - la dimensione delle principali attività interne; - la dimensione dei principali processi di rinnovamento. Questa è la ragione per la quale i direttori generali che orientano l’azienda verso la massimizzazione dei risultati di breve periodo – ottenuti anche a costo di produrre insoddisfazione tra clienti e dipendenti – esercitano un’attività tossica. Tossica in quanto capace di pregiudicare i risultati di medio-lungo periodo, che da quei clienti e da quei dipendenti in larga parte dipendono. Di qui la necessità di definire gli obiettivi generali di breve periodo tenendo conto anche di variabili diverse da quelle sintetizzate nei parametri di natura economico- finanziaria di breve termine. 2. l’organizzazione del lavoro dei collaboratori; Consiste nel distribuire e nel coordinare il lavoro, assicurando la responsabilizzazione delle persone cui il lavoro è affidato. Indirizzare il lavoro dei collaboratori in modo coerente con gli obiettivi aziendali è forse il lavoro più importante tra tutti quelli richiesti al direttore generale. 
 Si tratta di: - avere un’idea chiara degli obiettivi generali dell’azienda e del modo in cui essi possano essere riflessi in obiettivi particolari; - trasmettere gli obiettivi particolari ai singoli soggetti responsabili, dove trasmettere è qualcosa di diverso da “notificare”, dal momento che presuppone che gli obiettivi siano compresi e condivisi da chi li riceve; - accertarsi che, una volta ricevuti gli obiettivi, il collaboratore li condivida all’interno del gruppo da lui coordinato. La specializzazione e il coordinamento sono definite di pari passo. 
 La specializzazione è necessaria affinché un’attività sia esercitata in modo professionale. Il coordinamento è indispensabile affinché l’attività sia svolta in modo utile rispetto agli obiettivi aziendali. Chi dirige, in realtà, non specializza direttamente l’attività dei propri collaboratori. Ma pone le condizioni affinché la specializzazione abbia luogo. Nel farlo, deve scegliere una persona capace di una conoscenza professionale dell’attività da svolgere e – ciò che più conta – capace di sintonizzare il proprio lavoro specialistico con il lavoro specialistico degli altri. !27 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 La job description definisce le istruzioni permanenti associate a una certa posizione. 
 Essa infatti precisa le responsabilità nei confronti dell’amministratore delegato e dei collaboratori, nei confronti dei quali la job description prescrive una serie di attività, tra le quali: - la selezione e il controllo dell’adeguatezza rispetto agli incarichi; - la definizione dei ruoli, delle responsabilità, degli obiettivi (strategici e di budget), della valutazione dei risultati, degli incentivi; - Il coordinamento e il controllo dei piani di azione di ognuno e del team di direzione nel suo insieme; - la motivazione, la remunerazione e le altre attività finalizzate alla crescita professionale. L’organigramma (ovvero la mappa delle relazioni gerarchiche) e il sistema delle job description congiuntamente compongono la struttura organizzativa, che identifica il sistema delle istruzioni permanenti per la distribuzione e il coordinamento del lavoro. c) mediante la definizione di istruzioni temporanee e la definizione di incentivi; Le istruzioni temporanee sono finalizzate alla definizione di obiettivi specifici e ad assicurare modalità specifiche di distribuzione e di coordinamento del lavoro a fronte di certe circostanze. Gli incentivi sono invece finalizzati a incoraggiare il raggiungimento di certi obiettivi, associando questi risultati a certi premi, o a scoraggiare alcuni risultati o alcuni comportamenti, cui vengono invece associate azioni repressive. Le istruzioni temporanee per la distribuzione e il coordinamento del lavoro e gli incentivi al raggiungimento degli obiettivi congiuntamente compongono i sistemi operativi. I principali sistemi operativi definiscono modalità e procedure una serie di attività, che possono essere divise in due gruppi: primo gruppo: - responsabilizzazione delle persone sugli obiettivi periodici (giornalieri, settimanali, mensili, annuali e pluriennali); - coordinamento degli obiettivi e delle singole attività finalizzate a raggiungerli; - analisi dei risultati raggiunti e analisi degli scostamenti rispetto agli obiettivi; - definizione di incentivi (premi e punizioni) coordinati agli obiettivi; - valutazione delle prestazioni; - determinazione ed erogazione degli incentivi (si tratta dei cosiddetti “premi” o “bonus” per i risultati raggiunti. Tra questi, nella tradizione italiana hanno particolare diffusione i premi di fine anno; nella tradizione americana trovano invece ampia diffusione anche i premi trimestrali); !30 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 secondo gruppo: - inserimento; - ricerca e selezione; - addestramento e formazione; - valutazione del potenziale; - carriera; - job rotation (ovvero passaggio da un incarico all’altro, anche all’interno di 
 insiemi di attività disomogenee); - definizione della remunerazione di base (riconosciuta per il ruolo ricoperto, a 
 prescindere dai risultati raggiunti); - outplacement (ovvero assistenza nella ricerca di un altro lavoro, all’esterno 
 dell’azienda). Le attività del primo gruppo hanno come obiettivo principale la conduzione dell’azienda e delle persone verso il raggiungimento di alcuni obiettivi. Al raggiungimento di questi obiettivi tali attività assicurano l’erogazione di premi finalizzati ad assicurare riconoscimenti “alla persona”. 
 Le attività del secondo gruppo, invece, pur potendo produrre stimoli e gratificazioni per le persone anche superiori rispetto agli incentivi indicati nel primo gruppo non sono finalizzate ad assicurare riconoscimenti “alla persona”, ma sono concepite per assicurare il soddisfacimento di esigenze organizzative “dell’azienda”. 
 d) mediante relazioni di influenza interpersonali. In alcune aziende si osserva che, a fronte di una certa “struttura organizzativa formale”, esiste una “struttura organizzativa di fatto”, che si discosta – a volte anche in misura sensibile – dalla struttura formale. Le persone in alcuni casi agiscono in modo differente rispetto a quanto previsto nelle istruzioni ricevute (permanenti o temporanee che siano), definendo comportamenti che si scostano per eccesso o per difetto da quanto richiesto. Il comportamento concretamente adottato dalle persone scaturisce, oltre che dalle istruzioni formali, dalle relazioni d’influenza interpersonali che si creano all’interno delle aziende e che producono anch’esse un impatto notevole sull’organizzazione. In numerose aziende, la semplice presenza fisica del capo sul luogo di lavoro è sufficiente ad alterare le modalità di esercizio di alcune attività. Per esempio, un albergo può risultare più pulito, o un processo produttivo più efficiente. Le relazioni di influenza non si traducono soltanto in una maggiore o minore pressione sui risultati. Esse incidono anche sul comportamento dei collaboratori in presenza di scostamenti negativi rispetto ai risultati, o sull’apertura dei collaboratori nell’annunciare la semplice esistenza di un problema. !31 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 Riassumendo gli obiettivi dell’organizzazione, si può affermare che: - l’organizzazione è l’insieme delle attività con le quali il lavoro è diviso e coordinato tra le persone; - l’organizzazione è un’attività che compete per definizione al direttore generale, anche se – nell’esercitarla – può beneficiare dell’aiuto di diversi soggetti, ivi incluso, ove esista, il responsabile (o il direttore) dell’organizzazione; - l’organizzazione presuppone anche la responsabilizzazione delle persone, ottenuta attraverso una serie di attività ad hoc, tra le quali la definizione di sistemi di incentivi capaci di incidere sul comportamento; - la responsabilizzazione non risparmia nessuno, dal momento che, anche chi sia nello stesso tempo socio unico e amministratore unico, mentre svolge il suo lavoro, è responsabile verso se stesso del modo in cui assicura il raggiungimento dei suoi obiettivi di azionista. - Il particolare regime di apparente “de-responsabilizzazione” di cui hanno goduto alcuni “soci-gestori” è stato spesso all’origine di delusioni gravi, derivanti soprattutto dai ritardi nell’assunzione delle decisioni correttive; - il regime di responsabilizzazione del direttore generale è necessariamente accentuato rispetto a quello degli altri ruoli. Le responsabilità inevitabilmente aumentano (e così pure la pressione sui risultati) all’aumentare del “grado”. L’aumento della pressione sui risultati fa sì che i direttori generali che non producono le performance desiderate vengano sostituiti. 3. il controllo dei risultati del lavoro svolto. In ambito aziendale l’attività di controllo identifica la definizione degli obiettivi analitici, l’analisi critica dei risultati e la definizione delle azioni correttive. Essa presuppone una certa dialettica tra soggetti dotati di diversa responsabilità sugli obiettivi e sui risultati aziendali. La dialettica può avere varie forme. Gli obiettivi possono essere proposti dal basso o assegnati dall’alto. In entrambi i casi, la definizione degli obiettivi può essere preceduta da una discussione più o meno ampia e può essere caratterizzata da un livello di condivisione maggiore o minore. I risultati e gli scostamenti tra obiettivi e risultati possono essere controllati più o meno assiduamente, in modo più o meno rigido e più o meno coordinato con sistemi di incentivazione. Tutto ciò ha un forte impatto sui risultati aziendali: - l’attitudine a un controllo serrato sui risultati è spesso alla base del successo, come accade di frequente per diverse aziende che spiccano per la loro capacità di contenere i costi, o per l’efficienza della loro attività commerciale; - per ragioni analoghe, l’assenza di un’attività di controllo efficace è all’origine di situazioni di “sbando”, che a volte tendono a stabilizzarsi e a perpetuarsi nel tempo fintantoché non sopraggiunga uno shock esterno che muova le acque e costringa al cambiamento. Le ragioni all’origine dell’impatto che l’attività di controllo esercita sui risultati dipendono dal fatto che l’attività di controllo, per il solo fatto che viene esercitata, è capace di incidere sui fenomeni osservati. !32 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 L’insieme delle attività specificamente riferite ai singoli business di un’azienda e delle attività comuni ai diversi business definisce la “gestione tipica”, o “gestione caratteristica”. L’analisi delle aziende di successo permette di osservare come questa capacità di ottenere prestazioni superiori scaturisca alternativamente: - dalla capacità di produrre a costi inferiori rispetto ai concorrenti, senza per questo soffrire una riduzione dei prezzi di vendita di portata tale da vanificare i benefici derivanti dalla riduzione dei costi. In questo caso, si parla di un vantaggio competitivo di costo. - dalla capacità di vendere a prezzi superiori rispetto ai concorrenti, senza per questo soffrire un aumento dei costi di produzione di portata tale da vanificare i benefici derivanti dall’aumento dei prezzi. In questo caso, si parla di un vantaggio competitivo di prezzo. Il business è una parte di azienda, rappresentata da attività di natura diversa, destinate a essere gestite in modo autonomo e a produrre risultati significativi. Il settore è una parte di ambiente, rappresentata da aziende o da business che operano in concorrenza tra loro. Alcune aziende sono monobusiness e partecipano al settore mediante tutte le proprie attività di gestione tipica. Altre aziende sono pluribusiness e partecipano a un settore mediante uno dei loro business, mentre con ognuno degli altri loro business partecipano ad altri settori. Il vantaggio competitivo è la capacità di un business di ottenere performance economico-finanziarie superiori nel medio lungo periodo rispetto ai concorrenti (rappresentati da business di aziende pluribusiness, o da aziende monobusiness).
 Il vantaggio competitivo può derivare principalmente dai costi di produzione (vantaggio competitivo di costo), o dai prezzi di vendita (vantaggio competitivo di prezzo). !35 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 In alcuni casi, ai fini dell’ottenimento del vantaggio di prezzo o del vantaggio di costo le aziende trovano utile realizzare restrizioni di ambito competitivo, ovvero limitare deliberatamente la propria attività ad alcuni prodotti o ad alcuni mercati. Le variabili che permettono la restrizione sono 5: 
 
 Importante differenza: Per conseguire e difendere il vantaggio di prezzo è sufficiente ottenere un prezzo di vendita maggiore rispetto alla media del settore. Per conseguire e difendere il vantaggio di costo, invece, è necessario raggiungere un costo inferiore rispetto a tutti i concorrenti e non solo rispetto alla media. Se si raggiunge un costo inferiore alla media ma non inferiore rispetto a tutti i concorrenti, si possono raggiungere performance superiori alla media, ma tali performance non sono difendibili. Infatti, l’azienda che si trovi in queste condizioni, rischia che il concorrente dotato di costi inferiori inneschi un processo di riduzione dei prezzi di vendita finalizzato ad acquisire maggiori quote di mercato. Ove questo accada, è facile che l’azienda che non abbia i costi minori di tutti gli altri sia costretta a sopportare una perdita e – al cumularsi delle perdite – ad abbandonare il settore. I rami di gestione diversi dalla gestione tipica Le attività di gestione tipica non esauriscono tutte le attività e tutte le operazioni aziendali. 
 Oltre alle attività di gestione tipica nelle aziende vi sono infatti una serie di altre attività: - le attività di gestione patrimoniale; Le attività di gestione patrimoniale hanno per obiettivo la gestione delle eccedenze di liquidità, che sono generate prevalentemente (ma non solo) dal ciclo finanziario (ovvero dal ciclo di incassi e pagamenti) della gestione tipica. 
 Si parla di eccedenze di liquidità per specificare che la liquidità destinata alla gestione patrimoniale “eccede” i fabbisogni finanziari della gestione tipica, ovvero non può essere convenientemente impiegata nella gestione tipica. 
 Queste eccedenze di liquidità possono avere due origini principali, cui corrispondono altrettanti significati gestionali: - la prima origine è quella che le associa al ciclo degli incassi e dei pagamenti della gestione tipica. 
 In questi casi, la gestione tipica prevede che gli incassi ottenuti dai clienti avvengano prima dei pagamenti dovuti ai fornitori: ciò crea l’opportunità di impiegare temporaneamente le !36 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 risorse finanziarie ottenute dai clienti, nell’attesa che queste debbano essere utilizzate per pagare i fornitori. - La seconda origine è quella che associa le eccedenze di liquidità a circostanze diverse da quelle riconducibili al ciclo degli incassi e dei pagamenti della gestione tipica. 
 
 - le attività di gestione finanziaria; Le attività di gestione finanziaria hanno per obiettivo la copertura a condizioni convenienti del fabbisogno finanziario, che è generato prevalentemente (ma non solo) dal ciclo finanziario (ovvero dal ciclo di incassi e pagamenti) della gestione tipica. Si parla di fabbisogno finanziario generato dal ciclo finanziario della gestione tipica per specificare che la successione di incassi e pagamenti di tale gestione produce un fabbisogno di liquidità, dal momento che i pagamenti avvengono prima degli incassi. Ciò premesso, il fabbisogno finanziario aziendale può avere due origini principali, cui corrispondono altrettanti significati gestionali: - la prima origine è quella che lo associa al ciclo degli incassi e dei pagamenti della gestione tipica. 
 In questi casi, la gestione tipica prevede che i pagamenti dovuti ai fornitori avvengano prima degli incassi ottenuti dai clienti: ciò crea la necessità di raccogliere temporaneamente le risorse finanziarie necessarie per pagare i fornitori.La raccolta di queste risorse finanziarie avviene spesso con il supporto delle banche, che forniscono alle aziende i prestiti temporanei finalizzati a permettere il pagamento dei fornitori. 
 Dopo il pagamento dei fornitori, all’atto dell’incasso dei corrispettivi dovuti dai clienti, le aziende ottengono le risorse finanziarie per restituire il prestito alle banche e per corrispondere loro gli interessi. - la seconda origine è quella che associa il fabbisogno finanziario a circostanze diverse da quelle riconducibili al ciclo degli incassi e dei pagamenti della gestione tipica. - le attività di gestione tributaria. Le attività di gestione tributaria hanno per obiettivo la determinazione delle imposte sul reddito e assimilate e l’adozione delle soluzioni consentite dalla legge al fine di assicurare, ove possibili, la riduzione e il differimento del carico fiscale. 
 Se si affronta il problema in termini semplicistici, si può osservare che queste attività sono sintetizzate negli oneri che gravano sul conto economico a titolo di imposte sul reddito e nei pagamenti con i quali tali oneri sono corrisposti allo Stato. Se invece si considera il problema con un livello di approfondimento maggiore, si può osservare che: - tali oneri possono essere significativamente riferiti ai singoli rami di gestione che li generano, tenendo conto del diverso livello di tassazione e di deduzione fiscale che può essere ricondotto ai singoli componenti di reddito; - le soluzioni per ridurre e contenere il carico fiscale nel rispetto delle leggi vigenti hanno spesso una serie di presupposti di natura gestionale, come per esempio la localizzazione delle attività in determinati paesi, la realizzazione di certi investimenti e via dicendo. !37 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 un settore è legata esclusivamente all’opportunità, ovvero alla sensazione di poter fare “un affare”, acquistando un’azienda a un prezzo particolarmente vantaggioso. 1.1.2 La scelta del posizionamento strategico iniziale La strategia di business consiste nella composizione delle attività aziendali di gestione tipica in un disegno più o meno unico e coerente rispetto alle aziende concorrenti che compongono il settore. Quando la strategia di business realizza le condizioni di unicità e di coerenza, l’azienda ottiene e conserva un vantaggio competitivo rispetto al settore. 
 E’ così che, dato un certo livello di performance medio di settore, la strategia di business definisce i risultati di business, rendendoli superiori o inferiori alla media dei concorrenti nel medio-lungo periodo. In particolare, possiamo osservare che il posizionamento strategico definisce il disegno delle attività correnti, mentre obiettivi e attività di rinnovamento del posizionamento strategico definiscono il disegno delle attività di set up. 
 Se analizziamo il posizionamento strategico, vediamo che esso presuppone scelte in merito al vantaggio competitivo, che può essere fondato su costi più bassi o su prezzi di vendita più alti rispetto ai concorrenti, e all’ambito competitivo, che può essere più o meno ampio. Diverse opzioni di posizionamento strategico iniziale: 1.1.3 La scelta della struttura dei costi Può essere definita da un maggior o minor ricorso ai costi fissi e ai costi variabili. 
 Sono definiti costi fissi i costi che non variano al variare, in piccola proporzione, della quantità di produzione e vendita. Ciò significa che l’azienda non è in grado di ridurre facilmente questi costi in caso di riduzione delle vendite. Esempi classici di costi fissi sono rappresentati dal costo dei locali occupati, o dal costo del personale indiretto (ovvero del personale che non partecipa direttamente al processo produttivo). Entrambe queste categorie di costi non sono facilmente riducibili se l’azienda si trova a far fronte a un calo della domanda. Sono definiti costi variabili i costi che variano al variare, anche in piccola proporzione, della quantità di produzione e vendita. Ciò significa che l’azienda è in grado di ridurre agevolmente questi costi in caso di riduzione delle vendite. Esempi classici di costi variabili sono rappresentati dal costo dei materiali e dei servizi acquistati dall’esterno per lo svolgimento delle attività produttive e dal costo dei servizi di vendita forniti dagli agenti di commercio. 
 Entrambe queste categorie di costi possono essere ridotti facilmente se l’azienda si trova a far fronte a un calo della domanda. !40 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 La distinzione tra costi fissi e costi variabili è all’origine di un modello di analisi dei risultati molto diffuso, che permette di identificare: 
 - il punto di pareggio (cosiddetto “Break even point”), ovvero il volume di produzione e vendita che permette di ottenere ricavi totali uguali ai costi totali, superato il quale l’azienda accede all’area dei profitti e prima del quale l’azienda versa invece nell’area delle perdite; - la distanza del volume di produzione e vendita (attuale o programmato) dal punto di pareggio, dal quale scaturisce il cosiddetto “margine di sicurezza”, ovvero il massimo livello di riduzione del volume di produzione e vendita sopportabile senza entrare nell’area delle perdite. La scelta tra i costi fissi e i costi variabili ha di solito conseguenze molto importanti sulle opportunità di creazione di ricchezza e sul profilo di rischio cui l’azienda è esposta. 
 Infatti, l’aumento dei costi fissi comporta di solito la riduzione dei costi variabili e l’opzione per una struttura dei costi più rigida, che ha un impatto notevole sul modo in cui l’azienda reagisce alle variazioni dei volumi di attività, positive o negative che siano. Questo perché la struttura dei costi più rigida, caratterizzata da maggior peso dei costi fissi e da minor peso dei costi variabili: - in caso di aumento dei volumi di attività, comporta un aumento maggiore dei margini di contribuzione e permette di beneficiare in modo maggiore della crescita; - in caso di riduzione dei volumi di attività, comporta un calo maggiore dei margini di contribuzione e costringe l’azienda a soffrire in modo maggiore del calo. 
 Ciò premesso, vediamo come queste regole operino quando applicate a una struttura di costi concreta. 
 Cominciamo con la determinazione del punto di pareggio. Partendo dalle definizioni iniziali: - Q = quantità di produzione e vendita; - RT = ricavi totali - CT = costi totali; - CVT = costi variabili totali; - MCC = margine di contribuzione complessivo; - CF = costi fissi; - Π = profitti totali - p = prezzo di vendita; - cvu = costo variabile unitario; - mcu = margine di contribuzione unitario; 
 e dalle formule indicate di seguito: - RT = p x Q - CT=CF+CVT !41 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 - CVT = cvu x Q - MCC = mcu x Q - Π = RT-CT = MCC-CF = (p-cvu) x Q - CF mcu = (p-cvu) 
 Possiamo esprimere i profitti totali (Π) mediante un’equazione definita in base a quattro variabili: 
 Π = (p-cvu) x Q – CF 
 che permette di definire il punto di pareggio in funzione di una delle quattro variabili, lasciando inalterato, ovvero “congelando”, il valore delle altre tre. 
 Il punto di pareggio espresso in termini di quantità vendute è pari al rapporto tra i costi fissi totali e il margine di contribuzione unitario registrati nella condizione di partenza. Inoltre, moltiplicando entrambi i membri dell’equazione per il prezzo di vendita registrato nella condizione di partenza (p), abbiamo: p x Q* = (CF/(mcu)) x p dalla quale, essendo p x Q* l’espressione del fatturato di pareggio, RT*, possiamo scrivere: RT* = (CF/((mcu)/p) E, moltiplicando il denominatore e il numeratore della frazione “(mcu)/p” per il livello iniziale di Q, “Q”: RT* = (CF/((mcu) x Q/(p x Q)) Da cui, essendo (mcu) x Q pari al margine di contribuzione complessivo registrato nella condizione di partenza MCC e (p x Q) pari al fatturato registrato nella condizione di partenza RT, otteniamo: RT* = CF/(MCC/RT) Ovvero, il fatturato di pareggio (o il valore dei “ricavi totali di pareggio”) è pari al rapporto tra i costi fissi iniziali (CF) e il rapporto tra il margine di contribuzione iniziale (MCC) e i ricavi totali iniziali (RT). La formula del fatturato di pareggio è importante perché permette di esprimere il punto di pareggio in funzione del fatturato, anche in mancanza di informazioni sui prezzi unitari, sui costi variabili unitari, sui margini unitari e sulle quantità di produzione e vendita iniziali. 
 L’espressione grafica del punto di pareggio può avvenire indicando sull’asse delle ascisse la quantità di produzione e vendita e sull’asse delle ordinate i ricavi totali (RT), i costi totali (CT) e i profitti totali (Π). !42 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 1.1.4 Obiettivi di conservazione o di cambiamento del posizionamento strategico Le decisioni in merito agli obiettivi di conservazione di cambiamento del posizionamento strategico possono essere più o meno ambiziosi, anche alla luce del posizionamento dei concorrenti. Vi sono settori nei quali i concorrenti hanno un comportamento poco dinamico orientato alla conservazione dello status quo: può apparire con un problema riconducibile al settore, in realtà si tratta di un problema aziendale. Una politica conservativa o comunque difensiva, è tendenzialmente meno rischiosa di una politica che punti ad attaccare i concorrenti per conquistare le loro quote di mercato. Gli obiettivi devono essere quindi valutati in un quadro competitivo non attuale, ma destinato a cambiare per effetto delle iniziative dei concorrenti. La valutazione degli obiettivi di conservazione o di cambiamento del posizionamento strategico e dell'impatto che ne deriva sulle prospettive di creazione di ricchezza e sul profilo di rischio del business, presuppone la comprensione del settore: - nella sua situazione attuale; - nella sua evoluzione inerziale; - nel suo possibile rinnovamento per effetto dei cambiamenti che lo potrebbero alterare in modo strutturale, anche per effetto delle iniziative dei concorrenti. Un elemento di difficoltà importante nello studio del settore è riconducibile al fatto che, se la sua evoluzione inerziale non è sempre facile prevedersi, i possibili scenari di cambiamento radicale sono ancora più difficili da prevedere e immaginare: in questo quadro l'incertezza, il profilo di rischio del business è definito dai possibili esiti associati a ognuno degli scenari possibili, ivi inclusi quelli meno probabili. 2. Decisioni in merito alle eccedenze ed ai fabbisogni di liquidità Le decisioni in merito alle eccedenze e ai fabbisogni di liquidità sono intrecciate con le decisioni di business. Sono decisioni che ricadono nella parte finanza, ma è anche vero che le decisioni della parte industria è quello della parte finanza si condizionano reciprocamente. Ovvero alcuni vincoli di natura finanziaria, possono riflettersi sulle decisioni di business limitandone le opzioni, opponendo vincoli di varia natura. La formazione dell'eccedenza di liquidità scaturisce dal fatto che: - I redditi prodotti in un determinato settore siano molto alti, anche a fronte di ingenti prelievi fiscali; - gli investimenti in un determinato settore siano contenuti. In assenza di variazioni di debiti a medio lungo termine, la variazione di tesoreria è pari alla differenza tra la variazione del patrimonio netto e la variazione del capitale investito: 𝚫T = 𝚫P - 𝚫D con 𝚫T: var. Tesoreria 𝚫P: var. pn 𝚫D: var. CI !45 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 Se la variazione del patrimonio netto è molto alta, per effetto di utili molto alti, e la variazione del capitale investito molto bassa o addirittura negativa, la variazione di tesoreria non può che essere molto alta. Può accadere anche che la parte “industria” generi problema opposto e che la parte “finanza” possa anche non essere in grado di trovare una soluzione al fabbisogno di liquidità. In condizioni normali la finanza serve davvero, servono le eccedenze di liquidità e servono i debiti finanziari, anche se per ragioni e intensità diverse di caso in caso. Tra i motivi che in alcuni casi rendono utili le eccedenze di liquidità vi sono: 1. Ove se ne presenti l'opportunità, le eccedenze di liquidità permettono di effettuare investimenti in tempi brevi (È vero che un'azienda finanziariamente credibile potrebbe ottenere le risorse finanziarie necessarie indebitandosi, ma è anche vero che il percorso a volte richiede tempo); 2. Le eccedenze di liquidità a volte sono trattenute nell'azienda per ragioni fiscali; 3. In alcuni casi, le eccedenze di liquidità sono stagionali e si formano o quantomeno variano sensibilmente in modo ciclico per effetto delle attività aziendali. In questo caso, il possesso temporaneo di ingenti risorse liquide è quasi inevitabile dal momento che non sarebbe possibile restituire la liquidità agli azionisti nei mesi in cui si formano le eccedenze per poi farsela restituire nei mesi successivi per far fronte al fabbisogno finanziario stagionale. Il possesso di eccedenze di liquidità è anche associato ad alcune controindicazioni: 1. Induce una certa mancanza di concentrazione da parte del management sul controllo dei costi e sull'efficienza delle iniziative di investimento: le società in possesso di grandi eccedenze di liquidità sono più esposte al rischio di pagare prezzi eccessivi nell'ambito dei rispettivi processi di acquisizione; 2. Il possesso di ingenti risorse liquide all'interno di aziende che non svolgano come attività tipica l'intermediazione finanziaria, crea una situazione anomala e sub-ottimale dal punto di vista degli azionisti, ciò fa sì che il capitale sia formalmente detenuto da aziende e quindi da veicoli relativamente rischiosi, senza che il capitale sia allo stesso tempo esposto alle prospettive di rendimento e di rischio proprie dell'attività d’impresa. Ciò significa che, se da una parte il capitale impiegato dalle aziende in titoli a reddito fisso produce un rendimento effettivo modesto per le aziende che lo hanno impiegato, dall'altra il rendimento richiesto dagli investitori rimane relativamente maggiore. 
 3. Il possesso di ingenti risorse liquide espone l'azienda a rischio di “scalate ostili”, ovvero ad operazioni di acquisto della quota di controllo del capitale sociale da parte di terzi, che potrebbero impiegare la liquidità aziendale di cui l'azienda dispone, per ripagare una parte del debito raccolto per realizzare l'operazione di acquisto delle azioni. Una serie analoga di elementi positivi e negativi si può indicare con riferimento ai debiti finanziari; tra gli elementi a favore vi sono: 1. Permettono di effettuare investimenti che in assenza delle operazioni di finanziamento sarebbero realizzabili; 2. I debiti finanziari generano benefici fiscali associati alla deduzione fiscale degli interessi passivi, ciò implica che la convenienza del debito sarebbe direttamente proporzionale all'aliquota fiscale rilevante ai fini della deduzione fiscale degli interessi passivi; !46 A cura di Macchi Francesco A.A. 2018/2019 3. In alcune aziende i debiti finanziari si formano per far fronte al fabbisogno finanziario stagionale legato i cicli di acquisto produzione vendita pagamento e incasso; 4. In alcuni casi i debiti finanziari introducono una maggiore concentrazione sul controllo dei costi degli investimenti. Tra gli elementi negativi ricondotti al debito finanziario vi sono: 1. In alcuni casi essi inducono comportamenti di breve periodo, Promuovendo azioni di riduzione dei costi E politiche di investimento definite con una logica miope: il debito promuove l'adozione di una logica di spremitura invece di una logica di lungo periodo E renderebbe impossibile lo sviluppo di una gestione aziendale capace di investire nel futuro; 2. La circostanza che essa non aggiunge valore azienda se non per effetto dei benefici fiscali associati alla deduzione degli interessi passivi; 3. La circostanza per la quale in diversi casi l'elevato rapporto di indebitamento risulterebbe causa di un forte aumento del rischio finanziario che nei casi peggiori, può contribuire o addirittura rappresentare la causa di default dei soggetti indebitati; Si può concludere che: - le eccedenze di liquidità a volte sono gestite nelle aziende per vari motivi legate a obiettivi aziendali o agli obiettivi individuali degli azionisti; in ogni caso l'eccesso di liquidità all'interno delle aziende non è una cosa necessariamente positiva, poiché sottopone risorse finanziarie aziendalmente inattive al rischio di impresa; - il debito finanziario, se impiegato in misura non eccessiva, quindi senza generare rischio di default, può produrre alcuni benefici, associati alla deduzione fiscale degli interessi passivi. Naturalmente il ricorso al debito comporta sempre un aumento di rischio per gli azionisti. Il rischio addizionale assunto dagli azionisti è esattamente lo stesso che viene tolto dalle stalle dei creditori quando questi viene assicurato un privilegio rispetto agli azionisti nella percezione degli interessi attivi e nel rimborso del capitale prestato: non è possibile privilegiare gli interessi di qualcuno, senza postergare gli interessi di qualcun altro. Se si creano dei privilegi per alcuni degli investitori assicurando loro, invece del possesso di azioni di un'azienda senza debito, il possesso di titoli di credito, si creano contemporaneamente due conseguenze: - I creditori saranno esposti a rischio minore rispetto al rischio implicito nelle azioni dell'azienda senza debito; - gli azionisti saranno esposti al rischio maggiore rispetto al rischio implicito nelle azioni dell'azienda senza debito. La problematica da valutare sul debito finanziario, è se il debito finanziario sia sostenibile alla luce del rischio finanziario che esso comporta, e soprattutto, alla luce del rischio di business che grava sull'azienda per effetto della sua attività tipica. Composizione del rischio di business e di rischio finanziario Non si può comprendere il giusto livello del rapporto d'indebitamento e di rischio finanziario senza comprendere riesco di business. Occorre partire dal presupposto che il rischio complessivo massimo !47
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