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Valutazione della qualità nei servizi per l'infanzia. Sistemi e strumenti., Appunti di Pedagogia Sperimentale

Riassunto completo e dettagliato del libro di Emilia Restiglian, utilizzato in preparazione all'esame.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 18/01/2023

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Scarica Valutazione della qualità nei servizi per l'infanzia. Sistemi e strumenti. e più Appunti in PDF di Pedagogia Sperimentale solo su Docsity! Valutazione della qualità nei servizi per l’infanzia Sistemi e strumenti Emilia Restiglian Presentazione Dagli anni 90 si è posta l’attenzione verso i servizi educativi per l’infanzia: -legge 28 marzo 2003, n.53 riforma Moratti -D.P.R. 28 marzo 2013, n.80 ha istituito il Sistema nazionale di valutazione SNV evidenziando la finalità del miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti (art 1) e articolando il procedimento valutativo in 4 fasi: 1. Autovalutazione 2. Valutazione esterna 3. Azioni di miglioramento 4. Rendicontazione sociale (art 6). L’articolazione in quattro punti mira a una progettualità tutta incentrata sul miglioramento partendo da processi partecipativi e riflessivi che tengano conto di tutti gli attori coinvolti. Con la direttiva del 18 settembre 2014, n. 11 si ribadisce la finalità della valutazione connessa alla dimensione della QUALITA’ e si sottolinea l’importanza di avere un Rapporto di autovalutazione RAV nelle scuole, da utilizzare come occasione di verifica e riflessione in chiave di riprogettazione di azioni trasformative tali da consolidare l’identità e l’autonomia della scuola. Tutto puntando alla collaborazione tra gli operatori e responsabilizzando tutta la comunità nel perseguire i risultati migliori. È dunque uno strumento pensato per la crescita delle scuole. Con la C.M. 21 ottobre 2014, n.47 viene specificata l’importanza di un coinvolgimento attivo e responsabile da parte delle scuole, fuori da logiche di mero adempimento formale, fissando tutte le scadenze da dover rispettare per il processo di valutazione dall’anno 2014-15 in poi. Esistono tre diversi modelli di valutazione di sistema che si ottengono incrociando la valutazione esterna e quella interna: la valutazione può essere -in serie, prima esterna e poi interna; -può anche essere sempre in serie, prima interna e poi esterna; -e infine può essere in parallelo con le due forme di valutazione condotte contestualmente. Sicuramente è meglio partire da una focalizzazione interna, perché questa permette di concentrarsi su un quadro selezionato e di osservare le reali necessità del contesto. È importante focalizzarsi sulla promozione e la valorizzazione delle competenze professionali interne ed esterne, l’innovazione organizzativa e quella metodologica (metodologie di progettazione, di erogazione didattica e di valutazione), sviluppo di competenze e la capacità di cogliere anticipatamente i bisogni dell’utenza diretta (bambini e bambine, ragazzi e ragazze) e indiretta (famiglie, la comunità). Si parla in questo volume di QUALITA’ in contesti educativi-formativi e soprattutto rivolta al sistema integrato 0-6 secondo le disposizioni del D.Lgs. 13 aprile 2017, n.65. L’attenzione viene rivolta ai servizi educativi per la prima infanzia partendo proprio dagli asili nido che, non hanno più solo una funzione assistenziale, ma è luogo di educazione in continuità verticale e spazio di crescita per la famiglia e per la comunità. Il principio di qualità si basa sul presupposto che la possibilità di migliorare c’è sempre e che i vari aspetti possono essere sempre ottimizzati. Per fare ciò è necessario puntare sempre a una maggior responsabilizzazione e soddisfazione di tutti i soggetti coinvolti nel processo educativo. Esistono diverse definizioni di qualità che ne evidenziano l’accezione positiva facendo riferimento al raggiungimento di standard prescritti, adeguatezza ai propositi e potenzialità trasformativa. Nell’insieme tali definizioni implicano un concetto di qualità “dinamico” da raggiungere attraverso un’attenta e continua attività di osservazione. In particolare, per educatori e insegnanti, sapersi orientare in un’ottica di qualità richiede capacità e competenze non solo strumentali ma anche strategiche. delle famiglie e delle rappresentanze delle formazioni sociali, di personale qualificato e idoneo a garantire l’assistenza sanitaria e psicopedagogica del bambino e di requisiti tecnici, edilizi ed organizzativi tali da garantire lo sviluppo armonico del bambino. È chiaro il superamento dell’ottica assistenzialistica dei servizi per la prima infanzia non in maniera eguale. Nasce poi anche il privato nella gestione dei servizi. Con il tempo i nidi d’infanzia hanno risposto in modo sempre più articolato alle diverse esigenze delle famiglie per quanto riguarda orari, pasti, riposo e progetti pedagogici. Sono diventati luoghi di incontro, collaborazione e studio rispetto alle politiche dell’infanzia e ai diritti dei bambini oltre che di sostegno alla genitorialità. Il ragionamento sulla qualità dei servizi per l’infanzia ha avuto un impatto diverso tra le diverse Regioni perché c’era chi a favore dell’integrazione di un sistema 0-6 e di un’integrazione tra pubblico e privato e chi meno. Tutto questo fino al D.Lgs del 13 aprile 2017, n.65 che ha istituito il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino ai sei anni e con la legge 13 luglio 2015, n.107 detta “Buona Scuola”. Il sistema integrato diventa importante per gettare le basi per lo sviluppo delle potenzialità di ogni bambino, in particolare dei bambini proveniente da situazioni culturali e sociali svantaggiate, in modo tale da cercare di contrastare tali situazioni. La legge sul sistema integrato insieme alla legge del 5 febbraio 1992, n.104, per le persone con disabilità, è una norma che è stata voluta dal basso, da associazioni come Il Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia fondato nel 1980 da Loris Malaguzzi con l’intento di fornire una rete per il coordinamento e lo scambio composto da educatori, insegnanti e operatori dei nidi, delle scuole dell’infanzia e servizi rivolti ad essa. Ma non solo, anche da Comuni e Regioni che operano in un’ottica di continuità e confronto tra nidi e scuole dell’infanzia. La sentenza della Corte costituzionale del 22 novembre 2016, n.284 e l’esito del referendum del 4 dicembre dello stesso anno hanno semplicemente ribadito il ruolo cruciale delle Regioni e hanno aiutato a superare l’idea di contesto meramente assistenziale ma quanto più educativo, non hanno però aiutato nella costruzione di un sistema integrato. La sentenza ha chiarito nello specifico che la definizione di standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi è di competenza delle Regioni. Il D.Lgs. 65/2017 ha acceso i riflettori sulla questione, puntando proprio sul riconoscimento della centralità del bambino nei processi di apprendimento. Ad oggi, stiamo ancora aspettando le linee guida pedagogiche per il sistema integrato di educazione e di istruzione che sia in coerenza con le Indicazioni nazionali per il curriculo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, che dovrebbe essere proposto al MIUR da un’apposita commissione. Questo dovrebbe aiutare a superare le differenze regionali per convergere verso un’idea nazionale di servizi per la prima infanzia e di sistema integrato. Ricordiamo che in questi contesti non è sufficiente “custodire” i bambini ma c’è molto altro anche se, purtroppo, continua ad essere diffusa l’idea che sia sufficiente custodire (sinonimo di arretratezza dal punto di vista educativo). L’accesso indiscriminato ai ruoli di educatore di nido e di insegnante di scuola dell’infanzia da parte di persone non preparate non ha favorito né sostenuto processi di qualità nei servizi per l’infanzia (accesso non terminato). Chi frequenta l’università, sebbene la si pensi spesso come un’istituzione non in grado di formare i professionisti dell’educazione, ha una e vera propria opportunità di rimanere aggiornato e in questo modo evitare che il servizio per l’infanzia sia un luogo di riproduzione culturale rigido, con modalità di lavoro ripetitive che non tengono conto dei bisogni e dei diritti dei bambini. Perché se questo accade, si provoca una “stasi” nella vita del servizio che frena o blocca le azioni di cambiamento e miglioramento nell’ottica di qualità. Spesso ci si preoccupa troppo di preparare il bambino al grado educativo successivo, concentrandosi sull’ingresso del bambino alla scuola dell’infanzia o sulla continuità con la scuola primaria. Facendo così, il bambino spesso viene abituato a stare seduto e fermo, a completare schede predisposte o a svolgere compiti ripetitivi. In questo modo è come se l’educatore si conformasse a quelle che sono le aspettative delle famiglie o dell’esterno, non dimostra di avere una professionalità forte e diventa difficile parlare di qualità dei servizi per l’infanzia. È vero che i nidi sono nati negli anni Settanta per rispondere alle esigenze lavorative delle donne ma quest’ottica è stata di gran lunga superata. Nei nidi e nelle scuole dell’infanzia si parla di efficienza (congruenza tra risorse e risultati) e di efficacia (congruenza tra obbiettivi e risultati) ma non solo, anche di organizzazione del lavoro e formazione delle risorse umane. La qualità di questi servizi non è paragonabile a quella della qualità di un’azienda perché i clienti dei nidi sono i bambini con le loro famiglie. Inseguire la soddisfazione dei soli genitori può essere fuorviante perché questi con le loro scelte potrebbero influire sulla crescita del bambino e le loro richieste potrebbero essere finalizzate solamente a far accudire il figlio o la figlia come se si trattasse di servizi sociali. Dunque, sarebbe bene creare un’alleanza educativa con il personale dei servizi. Al centro di tutto dovrebbe esserci l’idea secondo cui nido e scuole sono luoghi di educazione e cura del bambino. 1.2Cenni di storia della qualità Qualità come “concetto senza tempo” dice Joseph Juran, qualità legata all’idea di mercato come luogo di incontro tra domanda e offerta, con soggetti che si confrontano: alcuni con l’intenzione di vendere altri con quella di acquistare. Qualità è un concetto che si è evoluto nel tempo ma è sempre rimasto legato al “fare bene qualcosa”. È da sempre esistita l’idea di qualità già dai Fenici e antichi egizi, poi ripresa anche dai Greci e Romani, un’idea di qualità come misurazione di qualcosa, un interesse da sempre esistito. Con la seconda rivoluzione industriale del XIX secolo si comincia a pensare in un’ottica di riduzione dei costi e controllo dei processi, il concetto di qualità si traduce come controllo finale di tutta la produzione che permette di scartare i prodotti difettosi. Questo controllo prevedeva tempi molto lunghi e soprattutto costosi non garantendo l’assenza totale di difetti e inoltre la qualità, in questo modo, valutava solo la rispondenza del bene acquistato all’uso che se ne doveva fare (solo alla fine). Tra gli anni Venti e gli anni Trenta del Novecento inizia a diffondersi l’idea di controllo durante le fasi di produzione e non più solo alla fine, in modo da prevenire la produzione di pezzi difettosi. Vennero introdotti grazie a Shewhart i controlli statistici che, permettevano di non ispezionare tutti i prodotti. Intanto, Edwards evidenziò l’importanza della prevenzione. Possiamo notare quindi che è sempre esistito un controllo della qualità nel mondo dell’industria. Solo dagli anni Ottanta gli Stati Uniti seppero rivalutare la qualità come opportunità e non solo come mezzo tecnico utile a risolvere problemi di produzione. L’idea di controllo della qualità diventa e si diffonde come valida strategia di miglioramento e si diffonde la cultura della qualità soprattutto alla fine del 900 favorendo l’emergere di buone pratiche e stimolando il miglioramento continuo. L’autovalutazione diventa uno degli strumenti più utilizzati e si inizia a sviluppare anche un modello per la valutazione della qualità in ambito scolastico. Questo prende in considerazione 9 criteri di base o aree di analisi, articolati in 5 fattori che sono leadership, gestione del personale, politiche e strategie, gestione delle risorse Governo. È un sistema che comprende la sostenibilità sociale rispetto all’uomo, quella ambientale ossia tutela delle risorse naturali e la sostenibilità economica intesa come crescita che migliori la qualità della vita rispetto all’ambiente. Si basa sulle 5P: persone, prosperità, pace, partnership e pianeta. Gli Stati sono invitati a ridurre il consumo di energie, di rifiuti e di inquinamento a favore di un’economia sostenibile. Non si tratta di obbiettivi semplici da raggiungere. La valutazione delle politiche educative e la riflessione sulla loro qualità iniziano nei primi anni 80 del 900 in molti Paesi avanzati. L’innalzamento dell’obbligo scolastico e la maggior scolarizzazione dei cittadini aumentano le quote di spesa per l’istruzione, spingendo di conseguenza i governi a cercare di controllare e razionalizzare gli investimenti in questo campo. C’è bisogno di giustificare le spese di fronte all’opinione pubblica, assegnare altre risorse ed eventualmente avviare riforme del sistema di educazione e di istruzione. È importante rendere autonome le istituzioni scolastiche per sviluppare un’offerta formativa e educativa contestualizzata e specifica per le diverse realtà locali. In Italia nel 1990 in occasione della Conferenza nazionale sulla scuola si parlò per la prima volta di sistema nazionale di valutazione. Con la direttiva del 21 maggio 1997, n.307 il ministero della Pubblica Istruzione istituisce il Servizio nazionale per la qualità dell’istruzione presso il Centro europeo dell’educazione (CEDE) sorto nel 1974. Nel 1999 il CEDE viene trasformato in Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione (D.Lgs. 20 luglio 1999, n.258) e successivamente riordinato in Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (INVALSI). La strada per giungere a un sistema nazionale di valutazione sarà ancora lunga e bisognerà attendere il D.P.R del 28 marzo 2013, n.80 “ Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione ” per giungere alla valutazione del sistema educativo di istruzione, a chiusura di un processo iniziato con l’attribuzione dell’autonomia alle istituzioni scolastiche prevista con il D.P.R dell’8 marzo 1999, n.275. Il D.P.R 80/2013 prevede che il Sistema nazionale di valutazione (SNV) operi ai fini del miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti, valutando l’efficienza e l’efficacia del sistema educativo di istruzione e formazione. Inoltre, il Sistema nazionale di valutazione (SNV) costituisce una risorsa strategica per orientare le politiche scolastiche e formative alla crescita culturale, economica e sociale del Paese e per favorire la piena attuazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche. Per migliorare la qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti l’SNV valuta l’efficienza e l’efficacia del sistema educativo di istruzione e formazione. Il Sistema nazionale di valutazione è costituito da: INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema di istruzione e formazione), Indire (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa) e Contingente ispettivo (composto da dirigenti di seconda fascia con funzione tecnico-ispettiva che fanno parte dei nuclei di valutazione esterna delle scuole assieme a esperti selezionati e formati da INVALSI). Infine, definisce il procedimento di valutazione scolastico che si snoda in quattro ambiti: 1) L’autovalutazione delle istituzioni scolastiche che consiste nell’analisi e nella verifica del proprio servizio sulla base dei dati resi disponibili dal sistema informativo del ministero, dalle rilevazioni sugli apprendimenti e dalle elaborazioni restituite dagli INVALSI. Tutto deve confluire nella redazione di un Rapporto di autovalutazione (RAV) contenente gli obbiettivi di miglioramento (Piano di miglioramento PdM); 2) La valutazione esterna prevede che INVALSI individui delle situazioni da porre a verifica sulla base di indicatori di efficacia ed efficienza e che i nuclei di valutazione effettuino le visite presso le scuole adottando programmi e protocolli di valutazione specifici. E non solo, ma anche che le istituzioni scolastiche ridefiniscano i piani di miglioramento in base agli esiti dell’analisi effettuata dai nuclei; 3) Le azioni di miglioramento da parte delle istituzioni scolastiche con il supporto di INDIRE, università, enti di ricerca, associazioni professionali e culturali nei limiti delle risorse umane e finanziarie a disposizione, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica; 4) La rendicontazione o resoconto sociale, allo stato attuale tutti gli istituti scolastici del paese sono soggetti a processi di valutazione di sistema, almeno dalla scuola primaria fino alla scuola secondaria di secondo grado. Le normative che hanno stabilito l’entrata in vigore di tale procedimento sono: la direttiva del 18 settembre 2014, n.11 e la C.M. (circolare ministeriale) del 21 ottobre 2014, n.47. Per la stesura del Rapporto di autovalutazione (RAV) e del conseguente Piano di miglioramento (PdM) si trova ancora resistenza perché ciò implica l’abbandono dell’autoreferenzialità richiedendo una revisione del proprio modo di dichiararsi all’esterno, di organizzare gli spazi, tempi e risorse umane e avviando pratiche di osservazione, analisi, riflessione, consapevolezza e valutazione sempre più condivise. 1.3Documenti internazionali per la qualità dei servizi per l’infanzia A livello europeo le politiche destinate all’infanzia inizialmente sono state definite per supportare e favorire l’occupazione femminile, la parità di genere e la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Nel 1992 la Direzione per le pari opportunità della Commissione europea ha instituito la Rete per l’infanzia che ha sottolineato il servizio come espressione del diritto dei bambini, prima che delle madri, a ricevere cure e educazione adeguate. La Rete poneva l’accento anche sull’importanza di un coinvolgimento attivo dei bambini nei processi decisionali e della loro partecipazione alla vita sociale e culturale della comunità. Essa era composta da esperti provenienti da 15 paesi tra cui Patrizia Ghedini per l’Italia. I documenti prodotti dalle Rete per l’infanzia evidenziano già negli anni 90 che la definizione del concetto di qualità doveva intendersi come l’esito di un processo democratico e dinamico che presupponeva lo scambio e il confronto tra differenti idee, prospettive ed esperienze e che non poteva essere ridotto ad un’esperienza prescrittiva. La Rete ha stabilito successivamente 40 obbiettivi di qualità che i servizi per l’infanzia degli Stati membro avrebbero dovuto raggiungere nei successivi 10 anni ma che purtroppo non sono stati raggiunti. Il documento che presentava questi 40 obbiettivi seguiva un’idea di qualità interessante e molto attuale: -la qualità è un concetto relativo, fondato su sistemi di valori e convinzioni; -la definizione della qualità è un processo di per sé importante che offre l’opportunità di mettere in comune, analizzare e comprendere meglio i valori, le idee, le conoscenze e l’esperienza prodotta nel settore; -tale processo dovrebbe essere caratterizzato da una partecipazione democratica, con il coinvolgimento di diversi gruppi di soggetti (bambini, famiglie, genitori, personale); un equilibrio tra elementi cognitivi e non cognitivi nel programma di studi, di sviluppare politiche per attirare, formare e trattenere personale qualificato e di assicurare la garanzia di qualità attraverso la progettazione di contesti pedagogici armoniosi e ben coordinati, coinvolgendo le parti interessate. Le aree principali di intervento definite della comunicazione 66/2011, rispetto alle quali orientare le azioni di cooperazione tra gli Stati membri, al fine di migliorare l’accesso e la qualità dei servizi per l’infanzia da 0 a 6 anni sono state così riassunte da Lazzari:  Creazione di servizi inclusivi ad accesso universale;  Progettazione di curricoli efficaci che rispondano ai bisogni di apprendimento e di socializzazione dei bambini in questa fascia d’età;  Incremento delle competenze del personale che opera all’interno dei servizi per l’infanzia attraverso la formazione e la crescita professionale continua;  Identificazione di forme di finanziamento efficaci ed eque che garantiscano l’accesso ai servizi per l’infanzia, soprattutto ai bambini che provengono dalle fasce sociali più deboli;  Elaborazione di forme di governance che prevedano una solida collaborazione tra le politiche afferenti ai diversi settori di cui i servizi per l’infanzia sono interlocutori (educativo, sociosanitario, welfare…). Nelle conclusioni del Consiglio dell’UE del 2011 queste aree di intervento vengono considerate prioritarie e si invitano quindi gli Stati membri a intraprendere un processo di cooperazione nell’ambito delle politiche per l’educazione e cura dell’infanzia. Nel 2012 è stato istituito un gruppo di lavoro che si sarebbe occupato di educazione e cura dell’infanzia sotto la supervisione della Commissione europea, formato dagli esperti degli Stati dell’Unione, per discute sugli elementi di qualità nei diversi servizi presenti nei vari paesi. Il gruppo ha adottato una specifica metodologia di lavoro: il “metodo aperto di coordinamento” che si fonda sull’apprendimento reciproco tra pari. Che cosa hanno fatto? Sono partiti dall’identificazione e dall’analisi critica delle iniziative politiche che hanno contribuito ad aumentare in modo significativo l’accesso ai servizi per l’infanzia e a migliorare la qualità in ambito educativo. Hanno poi definito tutte quelle raccomandazioni in grado di supportare l’azione dei politici e del personale dei servizi. Il gruppo di lavoro ha messo a punto un documento “Proposal for Key Principles of a Quality Framework for Early Childhood Education and Care” dove vengono presentate, nella prima parte, alcune condizioni che possono contribuire a realizzare e ad assicurare una qualità elevata nei servizi (nonostante la mancata definizione di qualità condivisa a livello internazionale). Tali condizioni sono in interazione tra loro:  qualità strutturale: si riferisce alle norme e all’organizzazione dei servizi, ad esempio, i criteri e le norme per la progettualità educativa, le norme che autorizzano i processi di accreditamento e autorizzazione, le regole per il funzionamento, il rapporto numerico bambini-adulti, requisiti di igiene e sicurezza ecc…  qualità di processo: si riferisce alle pratiche attuate nei servizi, ad esempio, il gioco, le relazioni tra gestori e famiglie, tra bambini e adulti e tra i bambini stessi, l’integrazione tra pratiche di cura e pratiche educative, l’attuazione del progetto pedagogico e il coinvolgimento dei genitori nella vita del servizio;  qualità degli esiti formativi: fa riferimento alla ricaduta che i processi educativi hanno sulla famiglia, sulla comunità e sulla società e i benefici che comportano sui bambini, inclusi i risultati sugli apprendimenti, sviluppo e acquisizione di tutte le abilità utili alla vita adulta e alla scuola dell’obbligo. La seconda parte del documento presenta dieci principi articolati in cinque aree ed elaborati in modo congiunto come stimolo per azioni di potenziamento dei servizi nei vari paesi: A. Accesso ai servizi educativi e di cura per l’infanzia -disponibilità di servizi a costi accessibili per tutte le famiglie e i loro bambini; -servizi che incoraggino la partecipazione, rafforzino l’inclusione sociale e accolgano le diversità. B. Personale che opera nei servizi educativi e di cura per l’infanzia -personale qualificato la cui formazione iniziale e in servizio consenta di adempire al ruolo professionale richiesto; -condizioni di lavoro supportanti, inclusa una leadership educativa all’interno del servizio, che creino occasioni per lo sviluppo professionale del personale attraverso l’osservazione, la riflessione, la progettualità, la collegialità e la collaborazione con i genitori. C. Curricolo -un curricolo fondato su obbiettivi, valori e approcci pedagogici che consenta ai bambini di sviluppare appieno le loro potenzialità in modo globale; -un curricolo che richieda agli operatori di collaborare con i bambini, con i colleghi, con i genitori e di riflettere sulle pratiche agite. D. Monitoraggio e valutazione -i processi di monitoraggio e valutazione producono informazioni a livello locare, regionale e/o nazionale che sono rilevanti per sostenere la qualificazione continua delle politiche e delle pratiche educative; -procedure di monitoraggio e valutazione che siano riconducibili al primario interesse del bambino. E. Condizioni di governance che rendono possibile la realizzazione dei principi -tutti coloro che prendono parte al sistema di servizi per l’educazione e la cura dell’infanzia hanno una visione chiara e condivisa del loro ruolo e delle loro responsabilità e sono consapevoli che sono chiamati a collaborare con organizzazioni partner -i provvedimenti che normano, regolamentano e/o finanziano il settore sostengono una progressiva generalizzazione dell’offerta di servizi per l’infanzia a sovvenzionamento o a finanziamento pubblico, e i progressi compiuti verso tale traguardo sono regolarmente riportati a tutti i soggetti interessati. A fondamento di questi principi c’è alla base l’idea di considerare il bambino come attivo e competente, al centro dell’attenzione educativa e di cura, protagonista intenzionale del suo apprendimento. Le sue potenzialità devono essere incoraggiate e sostenute dagli adulti. Ogni bambino deve essere considerato per la sua unicità, con i suoi bisogni dal punto di vista emotivo, motorio, sociale e cognitivo. Per fare questo, ciascun servizio deve andare nella direzione di utilizzare un approccio olistico all’educazione e allo sviluppo dell’infanzia considerando inseparabile il binomio cura-educazione. Gli anni dell’infanzia sono fondamentali non solo in vista del futuro ma anche del presente, i nidi e le scuole dell’infanzia non sono solo una preparazione per la vita futura ma anche per la vita presente. I bambini possono assumere un ruolo attivo e portare il proprio punto di vista in un contesto che può essere stimolante, accogliente e predisposto a sviluppare le loro potenzialità. Per fare questo, è necessaria la partecipazione e l’alleanza delle famiglie con le quali si dovrebbero instaurare relazioni di fiducia e rispetto reciproco, per giungere a una visione complementare dell’educazione. Un aspetto interessante è che il ragionamento sulla qualità dei servizi è stato fatto per la fascia 0-6 anni indipendentemente dalle realtà dei diversi paesi che magari strumenti che cosa fanno? Pongono in rilievo indicatori e standard di riferimento, partendo dai requisiti minimi che devono essere garantiti per assicurare lo star bene di utenti e operatori, per poi raggiungere livelli di eccellenza relativi ad ogni servizio. Valutare in senso educativo significa usare strumenti scientificamente rigorosi per raccogliere informazioni su un dato evento, attivare un processo dinamico attraverso cui i dati vengono interpretati sulla base degli strumenti, per poi attivare processi, azioni di cambiamento e innovazione per portare ad un miglioramento, ad una decisione innovativa. Gli strumenti presi in considerazione sono vere e proprie scale di valutazione che definiscono una determinata realtà considerata come un modello, facendo riferimento a vari aspetti che la compongono e alle relazioni tra gli stessi. Una delle distinzioni classiche della letteratura sulla valutazione è quella tra valutazione formativa e valutazione sommativa, i due termini sono stati poi trasposti nella valutazione degli apprendimenti e proprio per questo ad oggi si parla di “valutazione degli apprendimenti”: -Valutazione formativa: accompagna il processo di apprendimento nel suo svolgersi per correggerlo o migliorarlo in alcuni aspetti e renderlo adatto all’utente. Questo tipo di valutazione è diventata una soluzione essenziale per fornire feedback da recuperare in caso di risultato non raggiunto. Ad oggi può essere anche definita “valutazione per l’apprendimento o a sostegno dell’apprendimento” o “valutazione dell ’ apprendimento”. È una forma di valutazione in itinere, al fine di migliorare e innovare il servizio stesso dopo averne osservato le realizzazioni e le pratiche, facendo riferimento alle finalità e agli obbiettivi che il gruppo di lavoro intendeva raggiungere. La valutazione formativa ha a che fare con i processi di consapevolezza rispetto al proprio sé professionale, è un lavoro che porta all’esplicitazione delle idee che fondano il lavoro con i bambini, dei parametri di qualità che si intendono realizzare e alla ridefinizione del proprio lavoro sulla base degli esiti del processo valutativo. È una valutazione che chiama in causa tutti i soggetti che a vario titolo hanno una responsabilità all’interno del servizio, in modo continuativo e sistematico. Questo tipo di valutazione è vera e propria ricerca e riflessione sulle pratiche educative al fine di stimolare la partecipazione attiva alla progettualità di nidi e scuole; -Valutazione sommativa: si colloca al termine di un certo apprendimento o programma e mira a controllare e verificare i risultati, potremmo definirla una sorta di rendicontazione finale dei risultati raggiunti. Sarebbe finalizzata dunque e formulare un giudizio finale su quella realtà educativa e sulla sua capacità di assolvere ai compiti che si era prefissata di compiere. È una forma di valutazione conclusiva che giudica la qualità delle prestazioni erogate da un servizio o da un’agenzia educativa. La valutazione sommativa è sempre più diffusa in quanto si cerca di giungere a forme di certificazione della qualità richieste dalle amministrazioni pubbliche, che cercano di assicurare livelli di qualità dei servizi per l’infanzia, da loro gestiti o dati in gestione ad altri enti, in relazione alle risorse impiegate. Si tratta di un controllo della qualità che viene affidato per lo più a figure esterne al servizio, soprattutto a tecnici della valutazione e spesso con scadenze prefissate. La valutazione che cos’è alla fine? È raccolta e interpretazione che punta a dare un giudizio di valore e che mira all’azione. Si ha una valutazione quando si dà un giudizio di valore (in cui si concretizza) e non è solo attività implicita o spontanea. Il concetto di valutazione è il risultato di un giudizio di valore in riferimento a un certo oggetto mediante un confronto tra la realtà e il piano ideale delle attese o idee che riguardano l’oggetto stesso. Da qui, deriva l’importante aspetto del carattere situato, soggettivo e negoziato di ogni valutazione. Valutare significa attribuire un giudizio di sostanza e non di semplice forma, è un’attività o un processo volto a migliorare qualcosa che richiede una professionalità specifica. È un processo complesso che porta per forza a relazionarsi con il contesto esterno, il contesto è una componente molto importante da non trascurare. A questi punti potremmo definire la valutazione come un processo complesso di attribuzione di significato, attraverso giudizi di valore a fatti, eventi e relazioni; si tratta di un processo complesso proprio perché qualsiasi oggetto da valutare è caratterizzato da complessità collocandosi in una rete di interdipendenza. Chi partecipa al processo di valutazione sono i soggetti che possiedono punti di vista diversi perché hanno formazioni, interessi, valori e aspettative diverse e proprio per questo motivo si dice che la qualità non è un concetto assoluto ma bensì relativo e molto complesso perché riguarda tutto ciò che sta dentro, fuori e intorno alla singola istituzione educativa. LA VALUTAZIONE È DINAMICA E RELATIVA. Diventa importante porre l’accento sulla dimensione soggettiva della valutazione della qualità in quanto “costruzione sociale” legata al processo di comunicazione e confronto tra i diversi attori sociali. La valutazione deve essere poi resa comunicabile. Riprendendo un po’ quello che è il mondo produttivo, potremmo dire che la valutazione cerca di portare ad un miglioramento progressivo in termini di efficacia e di efficienza a tutti i livelli per fornire prodotti e servizi che soddisfino il cliente. Efficienza: rapporto tra i risultati raggiunti e le risorse impiegate; Efficacia: raggiungimento degli obbiettivi e si articola in esterna e interna efficacia interna: raggiungimento degli obbiettivi interni organizzativi senza badare ai cambiamenti prodotti sui beneficiari mentre efficacia esterna: riguarda il reale cambiamento che il programma o il servizio ha realizzato. Per fare chiarezza, quando ci riferiamo a nidi o scuole dell’infanzia, l’efficacia interna fa riferimento agli aspetti organizzativi come, ad esempio, al numero di bambini accolti, il rapporto numerico tra educatore-bambini o gli orari di apertura. Tutti questi aspetti non tengono conto dei processi svolti sui bambini per lo sviluppo di apprendimenti e relazioni, di questo se ne occupa l’efficacia esterna che si pone il problema di un confronto tra quanto realizzato e i bisogni originari ai quali si voleva dare risposta. Si tratta di due punti di vista complementari, non esiste l’uno senza l’altro. Coloro che lavorano nei servizi educativi proprio come nelle aziende sono legati da una catena di prestazioni, se l’insegnante offre un servizio allo studente, ciò è reso possibile perché alle spalle ci sono una segreteria e un dirigente scolastico, il miglioramento progressivo di una scuola coinvolge a tutti i livelli coloro che vi lavorano. Nella scuola, a differenza dell’azienda, i poteri sono ripartiti tra i diversi organi collegiali in modo differente e le modalità decisionali sono disuguali. Per questo possiamo confermare la difficoltà di paragonare la scuola all’azienda, anche perché il prodotto è la formazione dello studente e non lo studente in sé per sé e la riuscita della formazione richiede soprattutto il coinvolgimento e l’impegno in prima persona dell’alunno (il processo di apprendimento e insegnamento vanno di pari passo). adeguarsi con flessibilità (vista anche l’influenza del contesto). L’approccio metodologico è partecipato; coinvolgimento e responsabilità degli operatori: chi lavora nei servizi alla persona ha inevitabilmente un forte coinvolgimento emotivo e un notevole grado di responsabilità, è una professione che presuppone un atteggiamento etico e umano; beneficiari: sono allo stesso tempo co-partecipi dell’azione valutativa e beneficiari ultimi della valutazione del servizio indipendentemente dalla consapevolezza; limitazione delle risorse: è una caratteristica dei servizi alla persona, c’è sempre pochissimo tempo, pochissimo personale e pochissima disponibilità economica. La ricerca della qualità nei servizi educativi porta innovazione, l’innovazione si articola in processi di verifica e valutazione che a loro volta promuovono qualità. Bisogna valutare la qualità dell’innovazione attraverso alcuni criteri cui associare domande-guida specifiche che variano da contesto a contesto. C’è chi critica la possibilità che la qualità sia un tema che può interessare i servizi per l’infanzia quando viene intesa come “discorso sulla qualità” e cioè come un prodotto del pensiero illuminista e dell’entusiasmo modernista. Osservare il mondo attraverso una chiave modernista significa considerare i servizi per l’infanzia come produttori di esiti già predeterminati, che considerano il bambino come un contenitore vuoto che deve essere preparato per l’apprendimento scolastico. Parlare di qualità significa introdurre dei metodi imparziali e trasparenti di valutazione che consentono di sostituire i giudizi personali riducendo il bisogno di conoscenza e responsabilità personale. Il “discorso sulla qualità” richiama l’esigenza di avere risposte chiare, semplici e certe, certificate da autorità professionali. Un approccio alla qualità di questo tipo è basato sulla concezione positivistica, secondo cui il mondo esterno può essere conosciuto tramite misurazione e sulla convinzione che il ricercatore sia in grado di adottare una posizione obbiettiva e neutrale rispetto all’oggetto di indagine, separando i fatti dai valori. Alla base c’è l’assunto che vi sia un’essenza di qualità nel senso di verità conoscibile, obbiettiva e certa che attende di essere scoperta e descritta. Il “discorso sulla qualità” ricerca la certezza applicando un metodo scientifico che consente di tendere a universalità, stabilità, normalizzazione e standardizzazione. Indicare criteri di qualità spetta a esperti che attraverso strumenti adeguati riuscirebbero a ridurre la complessità e la diversità dei prodotti misurati ad un numero limitato di criteri misurabili che possano poi essere introdotti in una serie di punteggi numerici. In questo modo però ne deriva una scarsa partecipazione e coinvolgimento di persone potenzialmente interessate, resta tutto decontestualizzato. Nei servizi per l’infanzia non si parla di consumatore o di cliente ma di utente, anzi di utenti. Effettivamente non ci si focalizza su una sola persona ma sulla collettività. Se ipotizziamo che un servizio di qualità sia tale quando soddisfa le esigenze di tutti i consumatori e della comunità in generale, possiamo dire che la definizione di qualità dovrebbe emergere da un dialogo con la comunità stessa, dall’incontro con gli altri. Questo è un approccio postmodernista definito “discorso della costruzione del significato” che si fonda dall’incontro con gli altri. I richiami sono al costruzionismo sociale e a un’idea di apprendimento come processo di costruzione sociale, per mezzo del quale diamo un senso al mondo. La “costruzione del significato” richiede condizioni precise quali: l’inquadramento del lavoro pedagogico in un contesto più ampio, una riflessione continua e critica sulle questioni di fondo, la documentazione come strumento di riflessione. Inoltre, fa leva sull’importanza degli incontri, del dialogo e della partecipazione (coltivando la capacità di esprimere giudizi). Si costruisce un significato partendo dalla pratica, riconoscendo che ci possono essere più interpretazioni, senza cercare di ricondurre il tutto a categorie precostituite in modo categorico. In questo modo vengono accolte: complessità, diversità, soggettività, prospettive e punti di vista altrui fino a giungere a una riconcettualizzazione del termine stesso di qualità. I due approcci non possono essere considerati come alternativi perché sono fondati su posizioni differenti, non bisogna cercare di capire quale sia il migliore ma piuttosto cercare di riconoscerne i limiti, i rischi e i valori. 1.5Valutazione formativa e partecipata Un gruppo di ricercatori di Pavia ha messo a punto l’approccio del “valutare- restituire-riflettere-innovare-valutare”. L’approccio parte dalla definizione di valutazione come “accertamento intersoggettivo di più dimensioni formative e organizzative di un contesto educativo e indicazione della loro misurabile distanza da espliciti livelli considerabili ottimali da un gruppo di riferimento, in vista di un’incidenza concreta sull’esperienza educativa”. Valutazione come “investigazione sistematica del valore e del merito di qualche oggetto”. Questo gruppo di ricercatrici ha evidenziato il carattere pragmatico, pratico e concreto della valutazione che ha un impatto sul contesto oggetto di valutazione, esaminato e giudicato nelle sue diverse dimensioni, utilizzando processi intersoggettivi e raccogliendo dati che vengono confrontati con determinati standard (livelli espliciti considerati ottimali). Il confronto viene considerato attendibile in quanto i valori di riferimento sono condivisi e la misurazione avviene in modo rigoroso. L’approccio ha una funzione formativa, avviene in itinere, difficilmente sommativa (non è da escludere che gli esiti possano avere anche una funzione sommativa). La funzione formativa ingloba l’empowerment evaluation (valutazione di curriculi, progetti e contesti vs assesment per la valutazione dello studente) per promuovere processi di consapevolezza e autodeterminazione nelle organizzazioni, in modo tale che la valutazione possa diventare parte integrante del lavoro di progettazione di ogni intervento educativo. Grazie all’empowerment evaluation i soggetti apprendono a valutare e a formulare i loro obbiettivi in modo più consapevole e autonomo, negoziando con gli altri valori, obbiettivi e significati del processo di valutazione. Nell’approccio pavese la valutazione formativa attiva una funzione trasformativa che induce a una modificazione di atteggiamenti, fornendo l’opportunità di acquisizione di capacità e conoscenze, arricchendo l’esperienza dei partecipanti relativamente all’oggetto che si è andati a valutare e promuovendo una vera e propria formazione continua. Oggetto della valutazione è una particolare realtà educativa, realtà complessa situata e specifica, caratterizzata da una finalità educativa. Può essere un asilo nido, una scuola dell’infanzia, un istituto comprensivo o un centro per famiglie. Per essere valutato l’oggetto deve presentarsi in una forma organizzata con finalità, responsabilità, destinatari e operatori ben riconoscibili. Non vengono valutate situazioni educative informali, prestazioni dei singoli soggetti o valutazioni di aspetti parziali di un’istituzione. La valutazione è rivolta alla qualità intrinseca di un servizio educativo più che agli aspetti gestionali e/o organizzativi, pur con la consapevolezza che le due cose possono influenzarsi. L’oggetto della valutazione è dunque l’insieme delle risorse materiali, umane e simboliche di un’istituzione o agenzia organizzata con lo scopo di produrre una ricaduta formativa. Ciò che viene valutato è l’offerta formativa di una scuola nella sua interezza, l’ambiente fisico, le relazioni interne ed esterne all’aula, il lavoro quotidiano con i bambini e le strategie adottate, il curriculo e il pensiero pedagogico dell’istituto, la riflessione sull’intenzionalità educativa che si esplica in ogni gesto e in ogni scelta. Sono sicuramente anche importanti le porta sicuramente dei benefici, in quanto portatori di saperi differenti circa la realtà da valutare. Il modello pavese poggia su alcuni assunti di base:  La natura costruita dei dati valutativi: se partiamo dal presupposto che la realtà sia costruita, significa che i valori che si assumono danno luogo a uno strumento che non è neutro, ma che si configura come rappresentazione possibile della realtà da valutare, capace di stimolare il confronto, e anche passibile di essere decostruito nel corso del processo stesso;  La natura situata dell’oggetto di valutazione: lo strumento di valutazione è situato e collocato in un certo territorio e riesce a cogliere la complessità della realtà da valutare con le sue specificità;  Il carattere democratico e partecipativo della valutazione: lo strumento ha natura intersoggettiva, è stato costruito da persone diverse, che rappresentano ruoli e funzioni differenti nei servizi. Tutti partecipano con pari dignità al processo di valutazione. Il confronto e la negoziazione sono considerati essenziali;  Il carattere formativo della valutazione: il lavoro previsto dal modello consente alle persone di assumere consapevolezza rispetto alle proprie idee e ai propri valori di riferimento, di sviluppare capacità di esprimere il proprio pensiero e di argomentare il proprio punto di vista, di comprendere i significati delle scelte compiute quotidianamente verso i bambini, colleghi e famiglie, di acquisire competenze di ricerca e di valutazione e di vedere la realtà professionale con occhi diversi e di arricchirsi nel confronto con gli altri;  Il carattere continuativo del processo valutativo: adottare questo tipo di percorso di valutazione presuppone che il gruppo possa guardare al futuro in un’ottica di cambiamento e riflettere su quanto agito in vista della riprogettazione del proprio contesto. Il processo di valutazione si articola in sette momenti: 1) Precisazione degli scopi per cui la valutazione viene condotta. Definizione e coinvolgimento del gruppo di lavoro. I motivi per cui un gruppo di lavoro inizia a intraprendere un percorso di valutazione possono essere molteplici e può essere o un bisogno espresso dal gruppo stesso o una richiesta da parte dell’ente responsabile del servizio o della scuola. È importante che gli scopi per cui si sceglie di intraprendere un percorso di valutazione vengano resi noti in modo da poter essere discussi, negoziati e accettati. Deciso il gruppo è necessario assicurarsi che tutti partecipino al percorso; 2) Definizione negoziata dell’oggetto di valutazione e dello/degli strumenti con cui effettuarla: definire gli scopi della valutazione permette di precisare l’oggetto o gli oggetti della valutazione e quindi di scegliere lo strumento/strumenti più adatti; 3) Addestramento allo strumento/strumenti: successivamente il gruppo di lavoro deve familiarizzare con lo strumento scelto per poterlo utilizzare al meglio; 4) Accertamento della qualità mediante l’impiego di strumenti: sia i componenti del gruppo che il valutatore esterno dovrebbero utilizzare lo strumento completandolo individualmente, cioè formulando il proprio apprezzamento in base ai criteri. Gli apprezzamenti risultano spesso diversi ed ogni persona si trova a negoziare tra la sua idea di qualità spesso implicita, i criteri dello strumento e ciò che realmente avviene nel servizio o nella scuola.; 5) Discussione dei dati valutativi: è il momento centrale di ogni processo di valutazione, i dati vengono restituiti in modo da fornire un quadro complessivo di tutti i punteggi assegnati, compresa la media, il rapporto tra la somma dei dati numerici e il numero dei dati, la deviazione standard e un indicatore di dispersione cioè la distanza di un valore dalla media dei valori. Anche la “moda” è interessante. Alti valori di deviazione standard fanno emergere le idee implicite di qualità di ognuno, spingendo ad interrogarsi sui significati attribuiti ai medesimi criteri. Mentre alti livelli di accordo possono supportare la presa di coscienza degli elementi da rinforzare o da modificare per il miglioramento del servizio. Il momento è molto delicato e deve essere sostenuto da un formatore in grado di facilitare il lavoro, far emergere le diverse opinioni e di ricomporle in vista di un cambiamento; 6) Valutazione dello strumento: le modalità possono essere diverse o si assegna un valore ai diversi item dello strumento per giudicarne la validità e la pertinenza al contesto oppure si svolge un questionario che rilevi il consenso del gruppo rispetto ai criteri proposti da quello strumento. Si configura come un’attività di metavalutazione “valutazione della valutazione” “riflessione critica sul processo di valutazione che consente di migliorare la valutazione stessa”. I dati che ne derivano vengono organizzati e discussi in modo collegiale; 7) Valutazione-bilancio dell’esperienza: avviene a conclusione del processo e prevede un bilancio dell’intera esperienza valutativa al gruppo di lavoro o a un gruppo più ampio. Da qui possono scaturire nuove ipotesi di lavoro, altri momenti valutativi e altro ancora. Nel tempo l’approccio pavese è stato ribattezzato con il nome “valutare, riflettere e restituire” e ha ribadito il fatto che i gruppi di educatori e insegnanti, sotto la guida di un formatore, possano riflettere sulla realtà in cui operano al fine di diventare più consapevoli dell’organizzazione pedagogica e delle pratiche educative realizzate, oltre che delle proprie convinzioni, e giungere a progettare interventi di miglioramento. L’approccio si colloca in una “valutazione di quarta generazione”. Con il tempo la valutazione ha subito delle modificazioni: in un primo momento era costituita dalla misurazione in cui il valutatore è un tecnico che conosce gli strumenti o li costruisce e li applica (prima generazione), in un secondo momento la misurazione veniva continuata ad essere utilizzata ma affiancata ad altri strumenti (seconda generazione). Successivamente viene introdotto il giudizio, che richiede determinati standard rispetto ai quali formularlo, il giudizio è sempre guidato da valori e questo è un aspetto del tutto nuovo perché fino a quel momento la valutazione era sempre stata considerata indipendente dalla dimensione valoriale. Al valutatore viene chiesto di essere giudice e di possedere nozioni sia tecniche che descrittive, cosa che si è rivelata non essere facile. Secondo la recente valutazione di quarta generazione la realtà è costruita e quindi si modifica nel tempo per forma e contenuto a seconda delle persone e dei contesti considerati. La valutazione è dunque un processo sociale mutevole in cui i valutatori entrano in relazione. Tutto ciò ribadisce il concetto di qualità relativa e non assoluta. Alla base di ogni valutazione c’è la negoziazione, la collaborazione e l’inclusione di tutto gli stakeholder, non ci può infatti essere qualità senza partecipazione, è l’intersoggettività che garantisce la validità dei criteri su cui fondare la qualità e sono le azioni degli stessi attori per perseguire fini comuni che rende effettiva la possibilità di realizzarli. Definire e produrre qualità è un compito democratico. La negoziazione è utile per mettere insieme diversi punti di vista e diverse prospettive includendoli in un’azione percorribile, è importante far emergere gli elementi di mediazione per superare una situazione iniziale e giungere a scelte e decisioni condivise, con il consenso di tutti. La negoziazione e il confronto servono per definire la qualità intrinseca di un servizio o di una scuola e costituiscono anche la “posta in gioco” di obbiettivi formativi e valori che si intendono perseguire. servizio che implica una relazione diretta con il cliente/utente/fruitore. Nella maggior parte dei casi quando si parla di servizi alla persona ci si riferisce ai servizi sociosanitari, servizi sociali, servizi assistenziali, attività associative, attività di educazione e formazione, attività di turismo, ospitalità e tempo libero. Questi servizi possono essere gratuiti o a pagamento e con la legge quadro 8 novembre 2000, n.328, sono state poste le basi per la realizzazione di un sistema integrato di servizi e interventi socioassistenziali e educativi, ma soprattutto è stato introdotto il riconoscimento di un ruolo attivo dei soggetti privati, in particolare del privato sociale, comunemente chiamo terzo settore. Il terzo settore è rappresentato da cooperative, enti, fondazioni, associazioni di volontariato che si occupano non solo della gestione dei servizi stessi ma anche della programmazione e della realizzazione di interventi. Nasce così l’impresa sociale una categoria del terziario che include tutte le organizzazioni private che svolgono attività con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale ma anche in grado anche di agire sul libero mercato che essendo un ambito competitivo porta molte cooperative a scegliere di certificarsi ISO per avere un vantaggio competitivo rispetto alle cooperative non certificate. Entriamo così a parlare del mondo del no profit (non orientate al lucro). In Italia, soprattutto al Centro-Nord si è assistito a un notevole aumento di cooperative sociali di tipo A o di tipo B (la cooperativa di tipo B si distingue perché prevede che al proprio interno, nel ruolo di lavoratori e di soci, vi siano persone portatrici di svantaggi come persone con disabilità, ex carcerati, ex tossicodipendenti che si occupano di servizi alla persona o che operano nel mondo dei servizi sociali, sociosanitari, educativi e formativi. Non vi è alcun obbligo a certificarsi, è una libera scelta ma quando si decide di farlo ciò comporta lavorare facendo riferimento a norme definite dall’Unione Europea. La certificazione ISO 9001 è una norma internazionale che attesta la qualità dell’azienda e si tratta di uno strumento essenziale per le imprese che intendono migliorare la propria produttività e acquisire aggressività sul mercato. Nel 1994 sono state emanate alcune norme che contengono i requisiti minimi che le aziende devono soddisfare per impostare la propria attività secondo criteri di garanzia della qualità. La famiglia delle norme ISO 9000 comprende tre norme utilizzabili come riferimento per ottenere delle certificazioni: la ISO 9001, la ISO 9002 e la ISO 9003. La ISO 9001 è utilizzabile nel caso l’azienda o la cooperativa voglia certificare una garanzia di qualità nelle fasi di progettazione, sviluppo, fabbricazione, installazione e assistenza di prodotti e servizi. La ISO 9002 è invece utilizzabile nel caso si voglia garantire la qualità nella fabbricazione, installazione e assistenza di prodotti e servizi. Mentre la ISO 9003 è utilizzabile nel caso si voglia garantire una qualità dei controlli e delle ispezioni finali di prodotti o servizi. Tutte le azioni messe in atto da chi applica le ISO 9000 per effettuare tutto in modo progettuale e organizzato devono essere messe per iscritto, devono essere dichiarate per far si che diventino patrimonio di ogni addetto, il quale a propria volta è tenuto a migliorare i processi. Applicare questo modo di procedere prevede di possedere una chiara impostazione della struttura che vada a individuare per ogni attività le relative autorità e responsabilità, le procedure da applicare devono essere definite formalmente. Lavorare in un’ottica di organizzazione permette di generare fiducia da parte della clientela e permette di raggiungere vantaggi commerciali e di immagine che portano i clienti e gli utenti a scegliere quell’organizzazione piuttosto che un’altra. Sarebbe bene collaborare con aziende certificate. “Certificate” dal latino “certum facere” che vuol dire “rendere conto, rendere evidente”. L’organizzazione, l’azienda o la cooperativa sono tenute a dichiarare tutto formalmente quindi e a presentare una precisa documentazione a un terzo soggetto rappresentato dall’ente di certificazione che opera il controllo della corretta dei processi. Che cosa controlla? Si assicura che tutti i prodotti o servizi raggiungano un determinato livello di qualità e che siano in grado di mantenerlo nel tempo, con un costante impegno al miglioramento e tenendo sempre presenti le esigenze del cliente. Con cliente ci riferiamo sia al cliente esterno che è l’acquirente o il committente sia al cliente interno e dunque il lavoratore: le procedure che assicurano qualità devono preoccuparsi si del cliente ma devono anche saper salvaguardare il lavoratore, il quale deve percepire coerenza tra ciò che l’azienda dichiara di fare e ciò che mettere in atto realmente. Non c’è però alcun obbligo a certificarsi, è una scelta. Non è quindi corretto affermare che il prodotto o il servizio di un’azienda certificata sia migliore di quello di un’azienda non certificata: è invece corretto affermare che un’azienda certificata è in grado di dimostrare ai clienti/utenti che il proprio prodotto o servizio non scende al di sotto di un certo livello di qualità es è sempre in grado di darne prova attraverso fatti e documenti. Come si ottiene questo tipo di certificazione e chi la rilascia? Sicuramente è assai diverso certificare un’azienda da una cooperativa da una fabbrica. 1. Il primo passo è farsi affiancare da una società di consulenza specializzata che invierà un consulente per la creazione del sistema qualità che aiuterà il gruppo di lavoro a descrivere le procedure adatte al tipo di prestazione che si vuole erogare e la documentazione necessaria a dimostrare che le procedure sono state eseguite correttamente. L’azienda poi formalizzerà per iscritto le attività svolte e predisporrà:  Un manuale della qualità dove viene descritto tutto ciò che si fa;  Procedure che spiegano come operare a seconda delle situazioni;  Eventuali istruzioni cioè le direttive impartite a un lavoratore in riferimento a compiti specifici;  Altri documenti utili allo scopo;  Una precisa modulistica (es. moduli per i controlli o moduli per le verifiche). È bene che un’azienda o una cooperativa che decide di certificarsi si affidi a una società di consulenza che la accompagni nel percorso, perché è bene affidarsi a chi è competente ed esperto. La presenza di un consulente in un contesto che desidera farsi certificare ha lo scopo di garantire all’organizzazione di raggiungere gli obbiettivi prefissati. Grazie alla guida di un esperto, a maggior ragione, sarà possibile individuare le modalità di risposta ai requisiti della norma che più si adattano alla azienda e di raggiungere l’obbiettivo più facilmente. I tempi di consulenza sono abbastanza lunghi si va dai 8-10 mesi ai 12-14 mesi nei casi di grandi aziende o grandi società e cooperative. 2. Una volta scelta la società di consulenza, quest’ultima dovrà essere di supporto nell’individuare il responsabile assicurazione qualità interno che dovrà essere dotato di grandi doti e avrà il compito di aiutare l’azienda a redigere tutti i documenti richiesti dalla norma. 3. Il passo successivo consiste nella scelta dell’ente di certificazione tra quelli accreditati. Gli enti certificatori per poter svolgere la loro funzione devono essere accreditati dal Sistema nazionale per l’accreditamento degli organismi di certificazione: ACCREDIA. ACCREDIA ha l’obbiettivo di rafforzare la credibilità, sia a livello nazionale che internazionale, degli organismi di certificazione attestando che tali organismi hanno i requisiti e la professionalità per svolgere il proprio compito e che tale compito è svolto correttamente ed equamente. impostazione pedagogica, progettazione educativa, verifica di questa, relazione con le famiglie, relazione con i servizi sociali e sanitari e relazione con le agenzie formative del territorio;  Si avvalga di un personale qualificato e sempre formato e aggiornato;  Si assicuri che tutti i lavoratori seguano corsi di formazione che vadano a colmare eventuali lacune e puntino ad aggiornare sulle recenti teorie pedagogiche;  Stabilisca modi e tempi del monitoraggio delle azioni educative, della valutazione e della verifica. Quali sono i vantaggi di una certificazione UNI 11034? Ottenere questo tipo di certificazione significa differenziarsi ed elevare i propri standard qualitativi, è sinonimo di impegno, professionalità, volontà di innovazione e di azioni tese al soddisfacimento del benessere del bambino e della sua famiglia e della diffusione sul territorio di una corretta cultura dell’infanzia. 1.7L’autorizzazione all’esercizio e l’accreditamento istituzionale Il 10 gennaio 2000 venne varata una legge regionale ER (Regione Emilia-Romagna) “Norme in materia di servizi educativi per la prima infanzia”. La regione italiana venne riconosciuta come detentrice di un modello pedagogico avanzato, fonte di ispirazione a livello internazionale, e fu la prima ad approvare una legge rivolta a regolamentare i servizi educativi per bambini e bambini dai 0 ai 3 anni. Questa venne considerata una delle leggi regionali più importanti che definì i requisiti necessari per autorizzare e accreditare i servizi nido pubblici e privati. Dagli anni Ottanta ci fu un forte boom economico, la ripresa dell’Italia su resa possibile grazie a una buona situazione dell’economia mondiale. Questa generò un forte aumento delle possibilità lavorative, una maggior ricchezza delle famiglie e la nascita del settore terziario (settore per cui si erogano i servizi). Tutto questo portò a maggiori opportunità di lavoro per la famiglia, per entrambi i membri della coppia. Questo miglioramento delle condizioni economiche della famiglia italiana portò, soprattutto al Nord, all’apertura di nuove scuole (infanzia e secondarie), nuovi sedi universitarie, nuove case di riposo (conseguenza dell’aumento dell’età media), nuovi sedi ospedaliere e nuovi asili nido che si diffusero maggiormente in Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte e Toscana (regioni dove lo sviluppo economico era più intenso). Dato che entrambi i membri della coppia iniziano a lavorare nasce l’esigenza di ricorre a delle strutture a cui poter affidare i bambini di età 0-3 anni. E proprio per questo motivo inizia ad aumentare il numero di nidi, ancora insufficiente. Le province capoluogo furono le prime a mettersi in moto ma il benessere economico si diffuse in tutte le zone anche quelle lontane dalla città. Il bisogno di asili nido risultò impellente in Veneto, al quale si deve il merito per essersi attrezzato velocemente un la legge regionale del 23 aprile 1990, n.32, presa come esempio da molte regioni italiane. Questa legge consentiva l’implementazione di servizi per l’infanzia innovativi da parte di enti pubblici e del privato sociale. Questa normativa ebbe due grandi meriti: a) La fondazione di servizi diversificati sulla base delle esigenze di famiglie e territori (micronidi, centri per l’infanzia, atelier pomeridiani); b) L’erogazione di contributi economici a fondo perduto per l’edificazione o la ristrutturazione di nuovi servizi e per la loro gestione. I Comuni fissarono delle rette mensili (rette nido) sostenibili per tutte le famiglie perché calcolate in base al reddito annuo della famiglia. Si tratta di un momento meraviglioso per l’infanzia. L’Emilia-Romagna prima e attualmente ha un ruolo prestigioso nella ricerca pedagogica e gode di una forte fama internazionale. Iniziarono così a diffondersi moltissimi servizi rivolti all’infanzia, gestisti per la maggior parte da privati poco consapevoli della delicatezza e della complessità di un servizio rivolto ai bambini dai 3 ai 36 mesi. Nacquero strutture dai nomi più disparati come: giardini dell’infanzia, baby parking, centri prima infanzia. Il problema è che contemporaneamente alla nuova legge sui finanziamenti non nasce alcun organo di controllo, soprattutto nel privato, che monitorasse gli aspetti di sicurezza degli edifici, le modalità educative, il progetto pedagogico e la preparazione del personale. I nidi pubblici erano invece oggetto di rigorosi controlli grazie all’apporto delle Unità sociosanitarie locali (USSL) che avevano il compito di rilasciare il certificato igienico- sanitario dopo attenti controlli. Nel privato ciò non accade, difficilmente risultava essere posto sotto controllo e regnava l’anarchia: orari di apertura non precisati, rette mensili non calibrate, servizi senza progettazione educativa. Si sfiorava l’assurdo: si potevano osservare case trasformate in nidi, bar che chiudevano e si trasformavano in nidi, strutture che accoglievano bambini senza alcun criterio. Ciò avrebbe potuto causare gravi rischi, era necessario l’intervento di una normativa atta a regolamentare tale ambito. Proprio per questo le regioni si impegnarono nel varare leggi destinate a mettere ordine in questa crescita utile ma incontrollata di servizi all’infanzia. Le prime regioni furono proprio l’Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto e Toscana. Sono state tante le leggi regionali che hanno disciplinato il mondo dell’infanzia, queste pur nella loro diversità hanno dei denominatori comuni, tra cui: a) L’attenzione alla sicurezza delle strutture in cui sono garantiti i servizi; b) Il rigoroso controllo della qualità pedagogica dei servizi e della preparazione tecnica di chi ci lavora. Prendiamo a riferimento la situazione normativa veneta dove nel 2002 è stata pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale” la legge regionale 16 agosto 2002, n.22, la quale prevedeva che tutte le strutture sanitarie, sociosanitarie e sociali per poter operare nel territorio regionale debbano essere in possesso di un’autorizzazione che garantisca qualità dell’assistenza rilasciata dalle varie strutture. La legge 22/2022 sancisce che l’accudimento del bambino debba essere di elevato livello tecnico- professionale e scientifico, che sia effettuato in condizioni di efficacia, efficienza e di equità, inoltre deve essere garantita pari accessibilità a tutti i cittadini e i servizi si devono dimostrare appropriati ai bisogni di salute, psicologici e relazionali. Questa legge ha inoltre definito i criteri per ottenere l’accreditamento istituzionale (processo con il quale la Regione riconosce alle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, la possibilità di erogare prestazioni sanitarie e sociosanitarie per conto del Servizio sanitario regionale) che deve concorrere al miglioramento della qualità del sistema sanitario, sociosanitario e sociale, garantendo ai cittadini prestazioni di adeguato livello quantitativo e qualitativo. Nel 2007 il rispetto della normativa diventò obbligatorio per tutti grazie all’emanazione del decreto della giunta regionale (D.G.R) del 16 gennaio 2007, n.84. La Giunta nominata dal presidente della regione ha definito i nuovi standard di cui deve essere in possesso l’intero sistema dei servizi sociali della nostra regione. È un atto che coinvolge 3000 realtà e tutti i servizi rivolti alla persona attivi sul territorio regionali da quelli per i bambini, per gli anziani a quelli per le famiglie. Il D.G.R. 84/2007 descrive nell’allegato A i requisiti da rispettare nella realizzazione di interventi sociosanitari e sociali a carattere residenziale e semiresidenziale rivolti a prima infanzia e età evolutiva, persone con disabilità, persone anziane e soggetti affetti da problematiche di dipendenza da sostanze d’abuso. proveniente dall’USSL o dall’amministrazione comunale, composto da due o tre professionisti, a seguito della richiesta di accreditamento, si reca presso la struttura e controlla che veramente il servizio in questione risponda correttamente ai requisiti. Il livello di adesione ai requisiti viene espresso in percentuali: 0% quando il requisito non è minimamente soddisfatto, 60% quando è soddisfatto in parte e 100% se soddisfatto pienamente. Non è obbligatorio essere accreditati, è una cosa in più mentre essere autorizzati lo è. L’accreditamento consente alle strutture aperte entro il 2010 di accedere ai contributi regionali mentre a quelle aperte successivamente di avere un punto d’onore, senza alcun riscontro economico. L’accreditamento serve a dare un’identità al servizio e a garantirne la qualità. I requisiti per l’accreditamento si dividono in: requisiti generali: deve essere garantita la rilevazione del grado di soddisfazione da parte dell’utenza, della committenza, degli operatori e delle famiglie. In caso di indagine campionaria, il campione stesso deve essere statisticamente significativo. Garantire la rilevazione del grado di soddisfazione significa dare agli stakeholder la possibilità di esprimere un giudizio sul servizio stesso, di presentare, se presenti, delle critiche e delle osservazioni e dare dei suggerimenti. Nel caso del nido la possibilità di esprimere un parere viene dato a: I. Utenza: nel nostro caso l’utenza diretta è rappresentata dai bambini, è possibile valutare il loro benessere nella fase dell’ambientamento attraverso continue osservazioni e un modulo di verifica specifico che aiuti l’educatore a tenere memoria del percorso del bambino, per poterlo seguire al meglio nel processo di sviluppo; II. Committente: ovvero all’ente che decide di dare il servizio in gestione, portiamo l’esempio del Comune che affida un nido in gestione a una cooperativa sociale: in questo caso per la cooperativa il committente è rappresentato dal Comune alla quale viene dato il diritto di esprimere il proprio grado di soddisfazione nei confronti dell’operato della cooperativa; III. Gli operatori: è giusto che i “i clienti interni” cioè i lavoratori che lavorano all’interno della struttura esprimano il loro grado di soddisfazione e un loro giudizio; IV. Le famiglie: alle famiglie viene richiesto più volte all’anno di esprimere un proprio giudizio e un grado di soddisfacimento. Risultano essere una grande risorsa per il servizio stesso che può cercare di colmare o migliorare gli aspetti negativi riscontrati e verificarne il miglioramento. Al di là di tutto è bene ricordare che nei questionari per valutare il livello di gradimento tutto deve rimane nell’anonimato, tale deve essere tutelato al massimo. requisiti di area: il progetto deve essere documentato e messo a disposizione di tutte le persone che accedono al servizio. Il progetto educativo è finalizzato a: -creare un ambiente che favorisca l’instaurarsi di relazioni significative tra bambini e adulti e tra gli stessi bambini; -mettere in atto azioni educative e didattiche differenziate per processi di crescita e sviluppo. L’esperienza è bene che sia differenziata per età; -garantire interventi di personalizzazione educativa e interazione con la famiglia. La famiglia ha bisogno di sapere e conoscere che cosa il proprio bambino fa durante la giornata. Tra i requisiti generali e quelli di area si arriva a un totale di 13 requisiti. È bene che l’esperienza educativa venga personalizzata, ogni bambino deve essere considerato nella sua individualità, con le sue caratteristiche peculiari e i suoi bisogni. Un buon educatore sa porsi in relazione con ciascun bambino in modo diverso, conosce il carattere e la personalità di tutti i bambini, li accoglie e li rispetta. È bene sapere che ogni bambino necessita di supporti diversi e diversificati e proprio per questo deve avvenire una progettazione individuale per ciascun bambino. 1.8Governance dei servizi per l’infanzia Legge 6 dicembre 1971, n.1044: ha istituito gli asili nido comunali. Questa legge ha dato vita molte ricerche educative che hanno portato a riconoscere il nido non solo come luogo di accudimento e cura ma come luogo di incontro e di opportunità educative. Tutto ciò ha determinato lo sviluppo e la diffusione di una nuova cultura dall’infanzia e del ruolo dell’educazione. Intorno all’Ottocento i nidi d’infanzia hanno iniziato a diffondersi soprattutto al Nord e al Centro del paese, un po’ meno al Sud dove tutt’ora sono ancora molto pochi. Questa disomogeneità dell’offerta porta a una copertura di servizi per la fascia 0-3 anni di massimo il 23% dei bambini (solo il 12,3% nei pubblici), rivelando di essere molto distanti dall’obbiettivo che, era stato imposto agli Stati dell’Unione del Consiglio europeo di Barcellona del 2002, di garantire entro il 2010 ad almeno il 33% dei bambini tra i 0 e i 3 anni l’accesso al nido o ai servizi integrativi. Al Centro-Nord la copertura dei servizi per la fascia 0-3 è del 31%, mentre al Sud è circa del 13,5%. La soglia del 33% è stata superata in regioni come la Valle d’Aosta, l’Umbria, l’Emilia- Romagna e la Toscana mentre in altre regioni la percentuale è davvero allarmante. Invece, per quanto l’accesso alla scuola dell’infanzia in Italia sono stati accolti circa il 92,6% dei bambini tra i 3 e i 6 anni, superando l’obbiettivo europeo del 90% di copertura. Dopo la legge 1044/1971 le Regioni hanno regolamentato il funzionamento dei servizi per la prima infanzia che nel corso degli anni si sono modificati nel tentativo di rispondere in modo adeguato ai cambiamenti sociali in corso e ai bisogni delle famiglie. Inizialmente i Comuni hanno gestito in forma diretta nidi e servizi integrativi, poi la domanda da parte delle famiglie ha iniziato ad aumentare in maniera esponenziale e le richieste di misure di contenimento della spesa pubblica sempre più necessarie. Così il Comune ha intrapreso forme di gestione indiretta: -l’appalto di servizi in cui il Comune ha mantenuto la titolarità del nido/servizio integrativo; -la concessione, la titolarità del servizio è passata al concessionario che si è assunto in modo sostanziale il rischio economico della gestione. Dunque, a partire dagli anni Novanta, la gestione da parte dei Comuni divenne completa o parziale. Grazie alla legge 8 novembre 1991, n.381, sulla Disciplina delle cooperative sociali si è segnato il passaggio dal government alla governance, portando il Comune a sperimentare soluzioni nuove con l’esigenza di garantire la qualità dell’offerta educativa dei servizi del territorio. Il Comune, nei bandi di gara per il gestore o il concessionario del servizio, ha iniziato a dare maggior valore alla dimensione della qualità del progetto educativo piuttosto che dell’offerta del prezzo più basso, premiando anche il possesso di specifiche certificazioni di qualità da parte dei concorrenti. Nello stesso periodo l’offerta di servizi per l’infanzia è andata ampliandosi anche grazie alla diffusione di strutture educative private, che avevano la possibilità di accedere a finanziamenti pubblici grazie alle leggi regionali sull’autorizzazione e coordinamento pedagogico dei servizi a livello territoriale, composto da coordinatori pedagogici dei servizi per l’infanzia pubblici e privati. In questo modo, l’obbiettivo è quello di garantire, non solo la qualità dei singoli servizi, ma dell’intero sistema. E non solo, ma anche quello di non far passare l’ottenimento della qualità solo per il rilascio di un’autorizzazione o di un accreditamento istituzionale da parte dell’ente pubblico ma come qualcosa di più, sviluppando una cultura del confronto e pratiche di partecipazione: la cooperazione e il coordinamento sono alla base dell’effettiva qualità di tutti i servizi educativi. Nel D.Lgs. 65/2017 si valorizza anche l’importanza della costruzione dei Coordinamenti pedagogici territoriali (CPT), molte regioni non hanno ancora emanato le linee guida per la costruzione di questi CPT ma nella realtà italiana di fatto operano già di diversi anni. A questi spetta il compito di indicare i principi educativi e pedagogici comuni da cui partire per:  Progettare dei percorsi formativi rivolti a tutto il personale del sistema integrato di educazione e istruzione, allo scopo di favorire un approccio educativo e pedagogico coerente e la costruzione di percorsi di continuità tra i servizi per la prima infanzia e le scuole dell’infanzia: curriculo 0-6 anni;  Sostenere l’attività dei coordinatori pedagogici dei servizi, attraverso il confronto e la condivisione di saperi, esperienze e metodologie, la visione pedagogica deve essere comune;  Sostenere ricerche e iniziative innovative in ambito educativo e didattico. Due sono le componenti importanti della qualità: quella statica che si riferisce agli elementi fissi che possono essere esplicitati e definiti e quella dinamica promotrice, trasformativa e generatrice di cambiamenti. Così dicendo, si deduce che la qualità non è solo capacità di conformarsi a valori, condizioni e modalità che rispondono alle finalità delle istituzioni educative ma anche capacità di tenere vivo il processo di ricerca e innovazione. La tensione deve essere sempre improntata verso il rinnovamento e miglioramento continuo. Per garantire pari qualità dell’offerta educativa-formativa su tutto il territorio bisogna poter contare su figure pedagogiche di sistema, solo così è possibile garantire e tutelare i diritti dei bambini e delle bambine a fruire di servizi educativi di qualità elevata. 2.Sistema e strumenti di valutazione della qualità nei servizi per l’infanzia In questo capitolo vengono presentati alcuni strumenti di valutazione dei servizi per l’infanzia messi a punto in un arco temporale piuttosto ampio. Alcuni strumenti sono destinati in modo specifico ai servizi per la prima infanzia (0-3 anni), altri alla scuola dell’infanzia (3-6 anni) e altri ancora per il sistema integrato 0-6. PER LA PRIMA INFANZIA: SVANI: chiamata anche ITERS-SVANI perché fu l’adattamento italiano, da parte di Ferrari e Livraghi, della scala statunitense ITERS. Quest’ultima è una scala di valutazione dell’asilo nido che ebbe un enorme successo in Italia e che venne pubblicata nel 1992 da Harms, Cryer e Clifford con alcune variazioni rispetto all’originale. Questa era di fatto la rielaborazione di due scale precedenti: la scala ECERS (Early Childhood Enviorenment Rating Scale) relativa alla fascia 0-6 anni e la scala FDCRS (Family Day Care Rating Scale). Entrambe sono state messe a punto da Harms e Clifford, la ECERS nel 1980 e la FDCRS nel 1989. Abbiamo detto che la scala SVANI fu l’adattamento della scala ITERS, quest’ultima si rivolge alla fascia di età 0-30 mesi e si compone di 7 aree tematiche articolate in 35 item e consente a osservatori interni ed esterni di delineare il profilo di ogni singola sezione di asilo nido o servizio per la prima infanzia. Ciò dà la possibilità di riflettere sui contesti educativi e di supportare la valutazione della singola sezione di bambini. Lo strumento è dunque articolato in 7 subscale o aree di interesse (in ordine: arredi e materiali a disposizione, cure di routine, ascoltare e parlare, attività di apprendimento, interazione, organizzazione delle attività e bisogni degli adulti) e per ciascuna sono presenti un certo numero di item, per ciascuno di questi viene richiesto di assegnare un punteggio da 1 a 7. I punteggi dispari sono accompagnati da esemplificazioni mentre i punteggi pari no e vengono assegnati solo quando tutti i requisiti del punteggio precedente sono soddisfatti ma non lo sono alcuni di quello successivo. I punteggi servono per collocare il nido in un certo livello: si parte dal livello inadeguato (livello 1), per proseguire con un livello minimo (livello 3), buono (livello 5), fino ad arrivare a un livello eccellente (livello 7). Appare così chiara la progressione dei sette livelli che permette a ciascun servizio di collocare il proprio agire educativo in un continuum che va da una situazione di assenza di interesse fino alla scelta di prevedere certe esperienze almeno una volta al giorno. La scala SVANI prevede alcune modifiche allo scopo di aggiornare lo strumento alla situazione italiana, ad esempio, sono stati introdotti due item nella subscala 5 dedicata ai tempi e alle modalità dell’inserimento del bambino, allo scopo di sottolineare la definizione di “ambientamento” che ha sempre caratterizzato i nidi italiani. Ma non solo, nell’item 7 “Pasti e merende” è stata sottolineata la promozione dell’autonomia del bambino nell’alimentazione e la preparazione di cibi adatti a questo scopo. I curatori dell’edizione italiana, già citati, Ferrari e Livraghi hanno testato lo strumento rispettivamente in 25 e 32 nidi. Sicuramente le scale offrono la possibilità di arrivare a definire veri e propri profili dei servizi per poter in seguito attivare processi di miglioramento. ISQUEN: in seguito a un’iniziativa di valutazione della qualità in 36 nidi umbri con l’uso della scala SVANI, si è giunti alla conclusione che questo tipo di scala aveva dei difetti tra cui quello di fare affidamento ad aspetti verificabili nel concreto tramite l’osservazione e non tanto a un’idea di qualità più astratta e riflessiva. La scala SVANI è stata così decostruita e discussa dal personale educativo e di coordinamento dei nidi, supportato da un gruppo di esperti e il risultato di ciò fu proprio ISQUEN: indicatori e scala di valutazione della qualità educativa del nido. Lo strumento venne elaborato in modo condiviso da Becchi, Bondioli e Ferrari nel 1999. La presenza di un osservatore esperto esterno non è esclusa ma ha la funzione di facilitare il processo di restituzione dei dati. Questo tipo di scala consente al personale del nido di soffermarsi maggiormente sulla pratica, la riflessione è importante e va mantenuta. ISQUEN si articola in 4 parti o aree tematiche che sono i soggetti, i contesti e le pratiche, i saperi del fare e le garanzie chiamati parti. Queste sono articolate a sua volta in 14 aspetti, contrassegnati dalla lettera A e il relativo numero, e in 51 item chiamati criteri contrassegnati con la lettera C. Ogni aspetto ha i suoi item di riferimento. Ogni criterio C è suddiviso in tre descrittori indicati con le prime tre lettere dell’alfabeto, questi serviranno ad assegnare un punteggio al criterio espresso. tema della qualità: l’importanza dell’educazione di qualità fin dall’infanzia per spezzare le disuguaglianze e per costruire la base essenziale per un apprendimento permanente, per favorire l’integrazione, lo sviluppo personale e la successiva occupabilità. Il pensiero di base è che una buona educazione abbia un impatto profondo e duraturo, rispetto a provvedimenti presi successivamente. Lo scopo dello strumento è quello di redigere delle regole e delle procedure che possano monitorare la qualità dei servizi. Si articola in due parti: una prima parte è di “Orientamento per la qualità” mentre una seconda è dedicata alla “Valutazione della qualità”. Nella prima parte vengono definite e approfondite le dimensioni che costituiscono lo strumento: “ambiente, spazio, arredi e materiale” “assetto organizzativo” “programmazione del servizio” “relazioni e processi di esperienza” “relazioni con le famiglie, gli altri servizi e il territorio” Ciascuna dimensione si articola in alcune sottodimensioni o aree di attenzione, e per ognuna di queste l’osservatore potrà esprimere un giudizio in una scala di punteggio che va da 1 a 5, i primi due livelli esprimono una valutazione insufficiente (critica), il terzo sufficiente e gli ultimi due pienamente sufficiente. Ciascun giudizio può essere integrato con eventuali suggerimenti. La possibilità di dare un voto dà vita al valore medio che consente di esprimere una sintesi della valutazione della qualità di quel servizio. Già dagli anni Novanta, in Toscana, si cercava di avere delle indicazioni orientative per accompagnare una crescita di qualità nel sistema integrato di servizi per l’infanzia. Ciò è stato reso possibile grazie all’aiuto dell’Istituto degli Innocenti, insieme hanno individuato degli indicatori di qualità per i nidi, allo scopo di creare un documento in grado di definire un progetto educativo di qualità. Come si arrivò a tale strumento? Nel 1998 venne pubblicato un Manuale per la valutazione della qualità degli asili nido nella Regione Toscana che venne rivisto più e più volte dal 2003 al 2005 fino ad arrivare allo strumento attuale descritto. L’Istituto degli Innocenti è una delle più antiche istituzioni italiane dedicate alla tutela dell’infanzia. Dopo essersi occupata per secoli di bambini abbandonati, oggi l’istituto è un’Azienda pubblica di servizi alla persona (ASP) che promuove i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e collabora con il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF). Si occupa di studio, promozione della cultura dell’infanzia e formazione attraverso ricerche, monitoraggi, documentazione, informazioni. In particolare, gestisce le attività di documentazione e monitoraggio del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza e del Centro regionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza. Per valutare la qualità del servizio, l’Istituto degli Innocenti ha messo a punto diversi strumenti di valutazione quali l’intervista, l’osservazione, l’analisi dei documenti, per giungere a un giudizio valutativo. Ha inoltre messo a punto un manuale per calcolare i punteggi. Nel manuale sono oggetto di misurazione: le risorse umane, gli aspetti organizzativi, le relazioni, lo stile educativo e gli aspetti strutturali. SPRING Strumento per lo sviluppo di processi riflessivi e indagini valutative nei nidi da parte dei gruppi di lavoro educativi, è uno strumento di valutazione elaborato dal Coordinamento pedagogico provinciale CPP della Provincia di Forlì-Cesena da Marcuccio e Zanelli nel 2013. In realtà. Fin dalla fine degli anni Novanta, il Coordinamento ha riflettuto e lavorato sul tema con percorsi di ricerca-azione tra gli anni 2000 e 2003. Il gruppo si è riunito per confrontarsi sul significato di “qualità” e per elaborare una serie di riflessioni che hanno dato vita a uno strumento conosciuto come SCIN (Strumento condivisione/costruzione identità nidi) e articolato in tre ambiti: le attività con i bambini/ il contesto educativo il rapporto con le famiglie il lavoro d’equipe Ogni ambito è costituito da una prima parte che contiene una breve descrizione generale degli elementi di qualità fondamentali e una seconda che individua indicatori specifici, che descrivono in modo approfondito ciò che si intende per “qualità eccellente” nei nidi del territorio. Lo scopo dello strumento è quello di facilitare i processi di autovalutazione della qualità del contesto educativo sulla base di scelte pedagogiche e strategiche educative ritenute qualificanti a livello di territorio provinciale e quindi condivise. Nello specifico, bisogna tenere conto dello “scarto” tra la situazione descritta come ottimale e la situazione reale. La versione più recente, successiva a SCIN, che è appunto SPRING ha lo scopo di promuovere processi di riflessione sulla pratica educativa e avviare percorsi di miglioramento finalizzati all’aumento del livello di qualità del proprio servizio. È uno strumento che è nato per essere utilizzato dagli educatoti dei nidi. Parliamo di nidi perché è proprio qui dove lo strumento è stato sperimentato ma può anche essere utilizzato in altre tipologie di servizio per la prima infanzia. Questo tipo di strumento presenta degli aspetti originali rispetto a quelli precedentemente citati, innanzitutto la rilevazione della qualità del contesto educativo è di tipo narrativo, senza la definizione di scale o livelli. L’atteggiamento utilizzato è di tipo argomentativo, valutativo. SPRING si basa su quattro dimensioni: funzionamento del gruppo di lavoro organizzazione del contesto educativo relazioni del servizio con famiglie e territorio processi di valutazione Le prime tre si articolano a loro volta in sottodimensioni e per ognuna di queste sottodimensioni sono stati stabiliti dei criteri o anche detti aspetti di qualità. I criteri sono 33, enunciati in forma affermativa, quindi privi del verbo modale “dovere” e dunque modificabili nel tempo. Ogni dimensione e sottodimensione è preceduta da un’introduzione che sintetizza le idee di fondo e i convincimenti pedagogici sottesi alla scelta di C’è una spiegazione iniziale che qualifica ciascun ambito per poter facilitare la comprensione dei contenuti espressi nelle dimensioni e sottodimensioni che lo compongono, rendendo espliciti i principi pedagogici. Le dimensioni racchiudono tutti gli elementi significativi ai fini della valutazione della qualità del servizio, le caratteristiche che contraddistinguono ogni dimensione sono declinate nelle sue sottodimensioni a cui corrispondono degli indicatori che esplicitano le condizioni che soddisfano un livello elevato di qualità. La compilazione dello strumento in gruppo stimola processi di confronto e di negoziazione. Inoltre, spinge a modificare e rinnovare grazie alle riflessioni. Una volta realizzato un progetto di miglioramento dovrebbe seguire una verifica su quanto realizzato dando vita al circolo vizioso: “valutare, riflettere, restituire”. La valutazione viene vista come un processo trasformativo, l’obbiettivo non è solo il miglioramento del servizio ma anche la promozione di una trasformazione anche negli stessi educatori che, grazie al coinvolgimento diretto nel processo valutativo, dovrebbero acquisire maggior consapevolezza e padronanza di sé, nonché del come e del perché si contribuisce a determinare la qualità della realtà educativa in cui si opera. L’approccio nella realizzazione di questo strumento è stato un “approccio generativo”, in grado di stimolare negli educatori e nei coordinatori interrogativi maieutici (Che cosa posso fare per…? Quali ricadute ha questo atteggiamento?) e di dare avvio ad azioni di miglioramento attraverso l’analisi dei risultati del processo valutativo. In tal modo vengono stimolati processi di ricerca-azione e soprattutto una progressiva coscientizzazione di quella “pedagogia latente” che induce in modo inconscio ma potente ad azioni ripetitive e irriflessive, senza alcuna intenzionalità educativa. Per ogni indicatore gli educatori, da soli o in gruppo, devono esprimere una valutazione utilizzando una scala a quattro livelli: per niente, poco, abbastanza, molto. C’è poi uno spazio, accanto ad ogni indicatore, riservato alle note, dove è possibile riportare considerazioni, chiarimenti, qualcosa che si vuole evidenziare o sottolineare, ad esempio fatto che impediscono il raggiungimento di un certo livello di qualità o fattori che al contrario lo alimentano. Come nella scala ISQUEN, gli indicatori delle sottodimensioni si collegano tra loro, esistono correlazioni tra i diversi ambiti, dimensioni e sottodimensioni che garantiscono una visione ecologica del sistema educativo inteso come un insieme complesso e interconnesso (connessioni tra microsistema, mesosistema, esosistema e macrosistema). Si differenzia, invece, da ISQUEN nella struttura e nell’articolazione che agevola sicuramente la lettura, la riflessione e la valutazione perché meno complessa. Proprio per questo sono stati individuati solo tre macroaree o dette anche ambiti. PER LA SCUOLA DELL’INFANZIA: SOVASI: (scala per l’osservazione e la valutazione della scuola dell’infanzia) è detta anche ECERS-SOVASI, è uno strumento di valutazione di ambienti educativi per bambini dai 3 ai 6 anni. Pubblicata negli Stati Uniti nel 1980 da Harms e Clifford, venne tradotta in italiano nel 1994 da Ferrari e Gariboldi. I processi di valutazione della qualità, supportati da questi strumenti, permettono di lasciare una traccia che è appunto documentazione di tutte le esperienze che i gruppi di insegnanti fanno negli anni. Ciò permette, a chi si inserirà successivamente in un certo team educativo, di conoscere la storia della sezione e di acquisirne il profilo. La documentazione è una traccia del lavoro svolto che risulta molto utile anche ai responsabili del servizio educativo. SOVASI permette agli insegnanti di riflettere su vari aspetti del servizio: dai tempi, al materiale, ai ritmi, ai turni, agli orari, alla qualità pedagogica complessiva, all’attenzione da rivolgere ai bambini e alle loro famiglie. Lo strumento si articola in sette aree di interesse: cure di routine arredi e materiali a disposizione dei bambini esperienze cognitive e linguistiche attività motorie attività creative ed espressive sviluppo sociale bisogni degli adulti Ogni area si articola in item per un totale di 37, ciascun item è accompagnato da un’esemplificazione che guida il valutatore nell’assegnazione del punteggio. I punteggi vanno da 1 a 6 e sono seguiti da esemplificazione il punteggio 1,3,5 e 6. Nel caso di osservazioni fatte da coordinatori, ricercatori e personale esterno alla scuola (valutatori esterni) è importante che passino dalle 2-3 ore all’intera giornata nella sezione oppure che osservino la stessa sezione in momenti diversi dell’anno. AVSI: (Autovalutazione della scuola dell’infanzia) è uno strumento che è stato pubblicato nel 2001, a cura di Bondioli e Ferrari, dopo il D.P.R. 8 marzo 1999, n.275 sull’autonomia della scuola, documento importante per la storia scolastica italiana. Lo strumento è stato elaborato presso il CEDE (Centro europeo dell’educazione) trasformato poi in INVALSI dopo il D.P.R. 275/1999. A partecipare alla sua formazione è intervenuto un team di esperti con l’obbiettivo di giungere a creare uno strumento che potesse risultare chiaro, coerente ed esaustivo. AVSI considera la scuola dell’infanzia un’ambiente importante per i processi di sviluppo. Questa è interconnessa con il contesto dentro cui si colloca, da cui si creano relazioni che la influenzano. Le scuole dell’infanzia, come tutte le scuole, hanno come obbiettivo naturale l’educazione e la formazione dei bambini. L’offerta formativa si inserisce in un ambiente fisico, relazionale e sociale specifico dato da ambienti, persone, materiale, famiglie e territorio che comprende una serie di scelte. La scuola agisce si dentro un contesto proprio ma deve tenere conto anche del contesto in cui è inserita, contesto più ampio con il quale interagisce influenzandolo e venendone influenzata. poi si è provveduto a verificare se quanto adottato avesse prodotto gli effetti desiderati. Questa fase prevede la definizione di una “Griglia della giornata educativa” utile a descrivere in modo dettagliato la quotidianità di una giornata scolastica; successivamente i protocolli osservativi utilizzati dagli insegnanti coinvolti nel progetto sono stati analizzati e commentati e hanno consentito un’ulteriore riflessione da parte degli insegnanti; la sintesi delle riflessioni ha prodotto una serie di indicatori di qualità rispetto ai diversi aspetti presi in considerazione che hanno dato vita, a seguito di diverse elaborazioni, al DAVOPSI. Lo strumento ha avuto lo scopo di aiutare gli insegnanti a riflettere sulle dimensioni dell’organizzazione pedagogica attraverso un percorso valutativo che consentisse un confronto tra la “realtà come si presenta” e la “realtà come dovrebbe essere”. DAVOSPI è articolato in 4 tematiche o anche dette aree di interesse che sono: l’organizzazione pedagogica dei tempi (scala A) l’organizzazione pedagogica degli spazi (scala B) con le sue sub scale: spazi interni B1 e spazi esterni B2 l’organizzazione dei gruppi/raggruppamenti (scala C). Ciascuna scala è introdotta da una parte di riflessione e poi ciascuna di esse è articolata in item o voci che ne declinano le varie sfaccettature e aspetti. Ogni item presenta tre situazioni (A,B,C) che configurano 3 livelli di qualità differenti: la situazione A è di qualità inferiore rispetto a B che sarà a sua volta inferiore rispetto a C (situazione ottimale sarà C). Ciascun item è inoltre corredato da “spunti di riflessione” che sono una sorta di spiegazione e di considerazione delle ragioni pedagogiche sottese. Lo strumento si dispone come uno strumento di autovalutazione e permette all’insegnante, o eventualmente a un osservatore esterno, di confrontare la propria realtà scolastica con una delle tre situazioni proposte per ciascun item. Il DAVOSPI consente agli insegnanti di riflettere, individuare i punti di forza e gli aspetti critici della propria sezione o scuola. Inoltre, consente eventualmente di progettare percorsi e progetti di miglioramento. Il DAVOPSI include un foglio di risposta in cui per ogni item è necessario barrare la casella corrispondente al punteggio che si intende attribuire da 1 a 5. I punteggi dispari (1,3,5) si riferiscono alle situazioni proposte nell’item (situazione A: 1, situazione B: 3, situazione C: 5), mentre i punteggi pari (2,4) vanno attribuiti nel caso in cui la scuola valutata ritenga di collocarsi in una situazione intermedia rispetto a quelle descritte. In questo caso, c’è uno spazio in cui poter descrivere quanto realizzato nella scuola. Se invece, si attribuisce un punteggio dispari c’è sempre un apposito spazio per l’aggiunta di osservazioni, precisazioni ed esemplificazioni se lo si ritiene necessario PRADISI: (Prassi didattiche dell’insegnante della scuola dell’infanzia) è uno strumento di autovalutazione e di eterovalutazione di prassi didattiche e nasce dal lavoro di due ricercatrici di area pedagogica di Bologna: Rossella d’Ugo e Ira Vannini in collaborazione con il Coordinamento pedagogico dello stesso Comune nel 2013. È stato messo alla prova sul campo insieme a esperti nazionali dell’area pedagogico-didattica. Lo strumento ha come oggetto di interesse l’insegnante e il suo fare didattico, la sua principale intenzionalità pedagogico-didattica appare indirizzata verso un miglioramento delle prassi educative e didattiche degli insegnanti di scuola dell’infanzia al fine di garantire a tutti i bambini lo sviluppo delle loro competenze in un clima di rispetto e di valorizzazione del singolo e del gruppo. Ciò per garantire uguaglianza nelle opportunità formative dei bambini accanto alla valorizzazione delle loro potenzialità individuali. PRADISI è uno strumento costruito tenendo conto degli ambiti pluridisciplinari di sviluppo del bambino della scuola dell’infanzia (sviluppo motorio, sviluppo delle competenze, simboliche, sviluppo della teoria della mente, sviluppo affettivo e relazionale, sviluppo della mente ecologica) correlati ad alcune situazioni didattiche e con una serie di altre situazioni didattiche che nello strumento vengono definite “trasversali”. Lo strumento si ispira al modello di valutazione formativa delineato nella scuola pavese di Egle Becchi. Che obbiettivo ha? Quello di supportare pratiche riflessive e orientare ciascuno a scoprire le proprie potenzialità, porre gli insegnanti nella condizione di farsi delle domande sulle proprie pratiche e insegnamenti costantemente. PRADISI si articola in tre aree: area A: “le routine della giornata educativa” area B: “promozione delle competenze”: le varie competenze sono classificate come B1,B2,B3 area C: “scelte di metodo dell’insegnante”: prassi dell’individualizzazione e della personalizzazione da parte dell’insegnante Ogni item propone micro-situazioni con due o tre modalità comportamentali con dei punteggi che sono: 10 per la situazione A, 30 per la situazione B e 50 per la situazione C. Questi punteggi devono essere assegnati quando le situazioni didattiche descritte sono pienamente soddisfatte (almeno due categorie comportamentali per ogni indicatore). Se non è così allora bisogna indicare il punteggio inferiore: non adeguato 0, 20 o 40. Personalizzazione: permettere al bambino e allo studente di dare il meglio di sé sviluppando i propri talenti; Individualizzazione: lavora per far perseguire a tutti abilità e competenze comuni. RAV: (Rapporto di autovalutazione infanzia), questo strumento è stato pensato nel momento in cui le scuole sono state chiamate a essere le principali protagoniste nel processo di valutazione. Il pensiero sotteso è che la valutazione dall’interno del servizio possa finalizzare al miglioramento della qualità. Nel 2015 venne introdotto uno strumento per l’autovalutazione delle scuole: il Rapporto di autovalutazione (RAV). Ogni scuola viene richiamata a attuare un processo di autovalutazione e ad elaborare il RAV che doveva essere articolato in cinque dimensioni: contesto e risorse esiti: in termini di benessere, sviluppo e apprendimento dei bambini titolarità e caratteristiche dell’edificio dotazioni materiali bambini personale orario, calendario e servizi ASEI comprende anche un questionario rivolto alle famiglie che frequentano il servizio. È importante alla fine del suo utilizzo saperne restituire i risultati. ASEI è stato pensato anche per poter essere utilizzato in modo autonomo e indipendente, prendendo in considerazione anche solo alcuni item ma ovviamente la sua applicazione completa consente di avere uno sguardo globale e completo sul servizio. Ogni item prevede una breve definizione. Ciascun educatore è chiamato a individuare per ogni item la situazione che illustra meglio quella del servizio nel quale lavora, scegliendo tra 5 situazioni (A, B, C, D, E). Le prime due opzioni fanno riferimento a iniziative individuali o non formalizzate, prive di un progetto di base comune. L’opzione C prevede un certo accordo in merito a vari aspetti del servizio. L’opzione D contempla l’esistenza di un progetto educativo definito assieme al controllo periodico dei risultati, mentre la quinta opzione E presuppone che si attui una revisione costante dello stesso. Le scelte vengono convertite in punteggi (A:1, B:2. C:3, D:4, E:5), in modo da consentire il calcolo della media e della deviazione standard. Le medie delle due parti del questionario (“Progetto educativo” e “Organizzazione e gestione del servizio”) vanno tenute distinte in quanto fanno riferimento ad aspetti differenti dell’oggetto di valutazione. Gli autori dello strumento propongono inoltre di assegnare un valore da 1 a 10 ad ogni item, per valutare l’importanza di ognuno. Questa operazione viene definita “operazione criteriale” e permette di arrivare a definire un modello ideale di servizio. Il punteggio assegnato non deve per forza coincidere con la situazione scelta in precedenza, potrebbe succedere che una situazione “alta” scelta nella valutazione del servizio corrisponda a un punteggio basso nella valutazione criteriale. Dunque, si possono ottenere quattro casi tipo: 1. Entrambi i punteggi sono alti; 2. Punteggio alto e valutazione criteriale bassa; 3. Punteggio basso e valutazione criteriale alta; 4. Punteggio basso e valutazione criteriale bassa. Lo strumento include anche una scheda contenente dati socio-contestuali con i dati complessivi di lavoro nei servizi per l’infanzia, gli anni di lavoro nel servizio in questione, l’età dei bambini con cui si lavora e il ruolo ricoperto. TRA 0-6: è uno strumento che propone una nuova visione dei servizi per l’infanzia, affermatasi nel nostro paese a seguito dell’emanazione del D.Lgs. 65/2017 e dell’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino ai sei anni. Questa prospettiva unitaria è stata delineata dalla Commissione europea tramite il documento “Proposal for Key Principles of a Quality Framework for Early Childhood Education and Care” che propone dieci dichiarazioni di qualità che il sistema educativo deve perseguire. Lo scopo di questo strumento è quello di sostenere e promuovere la riflessione di educatori di nido e insegnanti di scuola dell’infanzia nella continuità del percorso 0-6 anni. Le autrici sono partite dall’analisi di due strumenti: ISQUEN per il nido e AVSI per l’infanzia, individuando 12 item considerati come aspetti di qualità trasversali ai due servizi. Successivamente sono stati coinvolti anche gruppi di educatori che hanno aiutato ad individuare item ritenuti trasversali. La redazione dello strumento è avvenuta in tre fasi, utilizzando una metodologia di lavoro partecipativa. TRA 0-6 è composto da 10 indicatori o item trasversali, validi sia per il nido che per la scuola dell’infanzia e sono: inserimento la relazione educativa tempi e ritmi della giornata educativa gli spazi il gioco le attività di apprendimento la partecipazione delle famiglie la cooperazione tra operatori il progetto pedagogico annuale la continuità Ciascun item è suddiviso in due sezioni: “I principi” e “Le buone pratiche”. Ogni sezione si articola in affermazioni, ciascuna delle quali è contrassegnata da una lettera, ad esempio a) o da una lettera e un numero a)1. Chi compila lo strumento ha il compito di segnalare, per ciascun item, quali affermazioni ritiene non pertinenti esclusivamente per il nido, quali esclusivamente per la scuola dell’infanzia e quali per entrambe. La compilazione deve essere svolta da tutti i componenti di un team educativo e alla fine un responsabile di processo che può essere un formatore, un coordinatore pedagogico o altro, avrà il compito di riassumere le scelte fatte tramite schede predisposte nello strumento. Eventuali punti di disaccordo o divergenza dovranno essere resi espliciti per poter co-costruire insieme un punto di vista condiviso. ALTRI STRUMENTI DI VALUTAZIONE: Successivamente sono stati tanti i comuni che hanno elaborato dei propri strumenti di valutazione di servizi per l’infanzia che sono stati poi diffusi in tutto il Paese, come il Comune di Milano, di Roma, di Parma ecc.
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