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variazione linguistica, Appunti di Linguistica Generale

variazione linguistica

Tipologia: Appunti

2013/2014

Caricato il 18/02/2014

sweetnectar
sweetnectar 🇮🇹

4.3

(11)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica variazione linguistica e più Appunti in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! 1 Laboratorio critico 2012, 2 (2), pp. 1-36 Sezione: Convegni e Giornate di studio ISSN: 2240-3574 Perché c’è variazione invece di niente? Laks, Bernard Institut Universitaire de France Université Paris Ouest Nanterre La Défense, Modyco UMR 7114 laks@u-paris10. fr 1 Teorie della variazione in prospettiva storica Nella storia recente della linguistica, la pubblicazione di Weinreich, Labov e Herzog (1968) ha segnato una svolta decisiva. All’epoca, per molti giovani linguisti questo testo non solo ha rappresentato l’atto di nascita della sociolinguistica moderna ma ha orientato] anche la loro carriera intellettuale. In realtà, nel ‘68, il termine di «sociolinguistica» aveva già qualche anno1. Currie l’aveva creato negli anni ’50 per spiegare, tra le altre cose, la relazione tra lingue e caste in India (Currie 1952). Mentre nei primi anni ’60, la sociolinguistica e la sociologia del linguaggio si fanno strada progressivamente grazie alle grandi conferenze internazionali che ne delimitano il territorio2, è nel 1968 che la prospettiva sociolinguistica si impone veramente riunendo in modo originale la dialettologia strutturale, specialmente quella urbana, i lavori sul contatto e sull’interferenza linguistica da una parte, la linguistica storica dall’altra3. Una tale convergenza non ha nulla di strano. Era stata annunciata mezzo secolo prima da Meillet che nella sua lezione inaugurale al Collège de France (Meillet, 1921) sosteneva che tutte le dimensioni del cambiamento linguistico (geografico, sociale, stilistico o storico) hanno un’unica origine : il carattere di istituzione sociale della lingua. Ne consegue, secondo lui, che tutti i fenomeni di interferenza, di evoluzione, di separazione – insomma, tutto quello che per Whitney (1875) fa che la lingua sia viva - hanno sempre un’origine esterna. Ecco perché i linguisti che adottano un punto di vista interno possono sicuramente descrivere questi fenomeni ma esclusivamente per quello che sono, senza riuscire a spiegarli in maniera definitiva4. Per arrivare ad una spiegazione causale, sempre secondo Meillet, è necessario adottare un punto di vista esterno e sociale. Per ricondurre i fatti linguistici alla loro causa, e dunque spiegarli, bisogna riconoscere il ruolo centrale che gioca la variazione nella fenomenologia linguistica. Tale variazione è legata alla dimensione intrinsecamente sociale del linguaggio5. Questa è stata la lezione di Meillet ripresa cinquant’anni dopo da Weinrich. Mi propongo di mostrare in questa sede che questa lezione è stata globalmente ignorata dalla linguistica del ventesimo secolo, ma che ritorna attualmente in primo piano con una specificità rinnovata. Nel ’68, nel loro manifesto per un’analisi empirica del cambiamento linguistico, Wienrich e i suoi due dottorandi6 mettono dunque la variazione al centro dei fenomeni linguistici. Per ottenere questo, uniscono più problematiche. A partire da una riflessione sui differenti modelli del cambiamento storico dai neogrammatici in poi, discutono in particolare dei fenomeni di evoluzione 2 graduale o repentina, del ruolo comparato delle leggi fonetiche e della dispersione lessicale, dell’esistenza di residui e di eccezioni al cambiamento, ecc. 7 Questo li conduce ad una analisi dei modelli della trasmissione intergenerazionale come origine del mutamento. Le proposte di Paul (1909), così come quelle di Chomsky e Halle (1968), sono criticate a partire dal criterio della variabilità interna delle grammatiche e del radicamento sociale della lingua nelle comunità linguistiche e nei gruppi di pari dove si crea l’identità linguistica. Come sottolineato nel terzo punto della loro conclusione, se ogni variazione ed ogni eterogeneità interna ad una data lingua non conducono necessariamente a un mutamento, ogni processo di cambiamento discende necessariamente da una eterogeneità e da un variazione interne, socialmente individuate, valutate e promosse. Le lingue sono di conseguenza concepite come sistemi instabili, aperti, plastici, deformabili e porosi. Legati al contatto, i concetti di interferenza, contaminazione, interlingua - che almeno da Schuchardt (1909, 1922) in poi, pongono la creolizzazione come principio di evoluzione di qualsiasi lingua - vengono così riaffermati. In definitiva, è nel carattere intrinsecamente sociale della lingua, nell’intimità del legame tra lingua e comunità linguistica socialmente qualificata che Weinrich, Labov e Herzog (1968) vedono la fonte primaria ed il motore del mutamento linguistico. La comunità linguistica, continuano, è un’organizzazione sociale concreta. È dunque, ex definitio, profondamente eterogenea, divisa, gerarchizzata, strutturata da dinamiche sociali antagonistiche. Sia la variazione e l’eterogeneità linguistiche che la variazione e l’eterogeneità sociali non sono altro che i due aspetti della stessa realtà sociale. È perché non esiste mai una comunità omogenea e perfettamente stabile che di riflesso non può esistere mai una lingua omogenea perfettamente invariante e stabile. Il legame intimo tra la lingua e la struttura sociale, rivendicato da tutti i maestri della linguistica moderna del ventesimo secolo, è analizzato a partire dal problema del cambiamento, ma Weinreich, Labov e Herzog ne tirano delle conclusioni linguistiche di portata più generale tali da segnare profondamente il paesaggio teorico e da dare i natali alla (socio)linguistica variazionista. Se si vuole avanzare verso la comprensione dei fenomeni linguistici, al di là della semplice descrizione fenomenologica, continuano gli stessi, la linguistica deve rompere il legame tra struttura e omogeneità, organizzazione sistemica ed invarianza. Ogni società, ogni cultura ed ogni organizzazione umana lascia intravedere delle forti differenziazioni interne, delle gerarchie strutturate, delle eterogeneità più o meno conflittuali, ed è l’essenza stessa del sociale quella di organizzare tali differenze in sistemi dinamici in constate evoluzione8. L’eterogeneità e la variabilità sociali non devono essere considerate come dimensioni parassitarie, sovrapposte o anomale. Costituiscono le dimensioni stesse del sociale. Come avrò modo di mostrarlo qui, ne discende che la variazione e l’eterogeneità devono essere collocate al centro stesso dei sistemi linguistici di cui costituiscono il principio organizzatore e funzionale. La linguistica variazionista pone dunque la variazione al centro stesso del modello linguistico e respinge di fatto quegli approcci legati alle categorie di invarianza e di omogeneità, giacché una grammatica omogenea e invariante non è nient’altro che un sistema grammaticale regolato da quello stesso sociale che vorrebbe ignorare. Ne consegue che se ogni lingua è eterogenea e variabile, la grammatica che vuole descriverla e modellizzarla deve esserlo ugualmente. Ma c'è di più, bisogna vedere nella sistematicità della variazione e nell’organizzazione dell’eterogeneità il fondamento stesso di ciò che fa struttura e sistema nelle lingue. È in effetti l’esistenza di modalità e di regimi differenti di interlocuzione che induce a grammaticalizzarli ed a sistematizzarli, come avremo modo di vedere oltre. Il Maestro di Ginevra non aveva una concezione differente quando affermava che la lingua come sistema è ciò che accade quando le diverse forme della parola sono percepite simultaneamente dalla stessa coscienza collettiva. Di conseguenza, la linguistica della parola (variabile) è per Saussure la condizione preliminare ad ogni linguistica della lingua (Saussure 1916, 2759 ; 2001, 83)9. Cinquant’anni dopo, l’idealismo cartesiano per bocca di Chomsky (1966) obbietterà che per essere cognitivamente oggettivate, le strutture linguistiche e la stessa grammatica sono per la loro stessa natura formale necessariamente omogenee, monotone ed invarianti. Questo deriva dal carattere immanente del pensiero e della logica che ne sono il principio. Questa posizione, che è poi quella dei grammatici dell’omogeneità e della statica linguistica già prima di Port Royal10, scotomizza tutte le dimensioni sociali della grammatica. Chomsky, per esempio, che strumentalizza la competenza 5 cammino di verità per l'allievo che progredisce verso il controllo di un pensiero corretto attraverso l’imitazione23. Si tratta di una scuola e, in quanto tale, la sua virtù consiste nel superare l’imitazione iniziale per arrivare all’edificazione (ædificatio) attraverso l’integrazione mentale. Dunque l’esempio non ha valore solo per l’imitazione ma ha anche una funzione di motore inferenziale24. Come ha visto bene Valéry (1941), l’esempio non ha un uso diretto, vale per il paradigma e conduce alla regola che esso stesso nomina e permette di memorizzare : « Quia nominor leo non vuole dire « perché mi chiamo leone », ma « io sono una regola di grammatica ». 2.2 La linguistica dell’exemplum oggi : la Grammatica Generativa La grammatica generativa fa parte di questa tradizione. Del resto, giacché rifiuta i dati variabili dell’uso e sceglie di fondare il proprio ragionamento su dei corpora di esempi costruiti attraverso il giudizio di grammaticalità, essa è portata a sposare un quadro epistemologico che Chomsky (1966) definirà cartesiano. Nello sviluppo progressivo di questo quadro teorico, la questione dei dati linguistici è stata cruciale. Nella linguistica degli anni ’50, il corpus strutturalista era esplicitamente inteso come un compendio degli usi attestati. È su questo punto critico che Chomsky rompe con Harris. Rifiutando i dati della performance e rompendo con le linguistiche del datum, la Grammatica Generativa si ricollega esplicitamente alle linguistiche dell’exemplum. La critica del modello sintagmatico (Chomsky 1957) e la strumentalizzazione del teorema di Gold (1967) concorrono a definire un nuovo approccio linguistico e cognitivo (Chomsky 1965, 1968) per il quale i dati che bisogna spiegare non sono il frutto di produzioni spontanee di locutori in situazioni di comunicazione, bensì il prodotto di un esame introspettivo di costruzioni decontestualizzate manipolate come exempla (vedi alla nota 16 la critica dell’introspezione di Durkheim). Ne consegue logicamente che Chomsky (1995) finirà per porre come oggetto della Grammatica Generativa non tanto il linguaggio osservabile esterno ma quello interno del pensiero, ricollegandosi così alla tradizione di Port Roy al 25. La Grammatica Generativa si presenta allora coma una teoria degli stati mentali con lo scopo di modellizzare le funzioni cognitive proprie della capacità di linguaggio nella specie umana. Il suo oggetto non è più l’analisi dei fatti d’uso (performance) ma piuttosto la (ri)costruzione della logica dei processi mentali impliciti nell’organizzazione sintattica delle frasi (competenza). Come notava Milner (1989), per caratterizzare tali processi linguistico-cognitivi, la Grammatica Generativa prova a circoscrivere il possibile, e soprattutto l’impossibile, della lingua e delle lingue. Il giudizio di grammaticalità è allora lo strumento di questa partizione e costituisce il vero osservabile di cui la teoria deve rendere conto. Attraverso il giudizio di grammaticalità si costruisce un corpus di esempi di funzionamento formalmente corretto (o scorretto) della capacità cognitiva specifica di una lingua. La formalizzazione di questa grammatica particolare (GP), debitamente parametrizzata, permette a sua volta di inferire e di formalizzare i principi della grammatica universale (GU), propria della facoltà linguistica della specie. In questo senso, la Grammatica Generativa è una teoria cartesiana della mente il cui oggetto non è il sistema di comunicazione interindividuale dei soggetti sociali, bensì il linguaggio (universale) del pensiero umano. Il locutore-uditore ideale ed astratto, portatore di giudizi e di esempi di grammaticalità non è pertanto un soggetto sociale. Encrevé (1986) l’ha ricordato con forza : il locutore chomskyano è sordomuto, non comunica e non ha relazioni intersoggettive. Egli è preso in un solipsismo radicale, senza un qualsiasi orizzonte dialogico. In definitiva, GU e GP sono basate su di un corpus di esempi senza rapporto diretto con gli usi osservabili in una comunità linguistica precisa. Si comprende meglio allora il disinteresse di Chomsky per la raccolta dei fatti e per l’inchiesta linguistica, centrali invece nelle linguistiche del datum. Respingendo la base tassonomica del pensiero scientifico, egli promuove un’epistemologia delle scienze esclusivamente di tipo ipotetico-deduttivo. Ed aggiunge, con disprezzo, che la raccolta dei dati, così come quella delle farfalle, non permette di fondare una pratica di ricerca realmente scientifica (vedi nota 19). 6 2.3 Le scienze del datum In linguistica e in filologia, la descrizione degli usi è tanto antica quanto la prospettiva grammaticale appena menzionata. Contrariamente alla linguistica dell’exemplum che si interessa ai dati di lingua solo in quanto supporto inferenziale, la linguistica del datum si costruisce come una osservazione minuziosa ed una descrizione delle pratiche attestate nella loro diversità, eterogeneità e variazione. L’idea di uso domina di conseguenza su quella di esemplarità dei dati osservati. In Cicerone, Orazio e i grandi retori26, come in Quintiliano successivamente, l’uso è sempre al primo posto27. Il compito del grammatico consiste principalmente nello stilare delle liste di fatti linguistici, che possiamo chiamare dei corpora di usi attestati. Sono queste raccolte che fondano le regolarità linguistiche poiché, come diceva Meigret (1542) agli albori della storia del francese : «Les règles sont dressées sull’uso et façon de parler lesquels ont toute puissance, autorité et liberté ». Le regole non sono pertanto dedotte dagli esempi come principi immanenti, bensì « de la commune observance qui comme une loi nous les a tacitement ordonnées »28. Come si vede, siamo vicino al concetto di « comunità linguistica» che sarà teorizzato qualche secolo dopo. Come abbiamo già visto, per Saussure questa coscienza collettiva sostiene un sapere linguistico comune condiviso. Cionondimeno, se il grammatico del datum è un raccoglitore di fatti linguistici di cui cerca la ratio29, le opposizioni teoriche rimangono forti. Tra i contemporanei le scelte sono nette, poiché se la raccolta degli usi costruisce dei corpora di riferimento, questi corpora mostrano in maniera implicita o esplicita dei principi di costruzione e di delimitazione molto differenti. Chi decide dell’uso e qual è il suo valore prescrittivo ? Queste sono le questioni poste e il territorio della linguistica degli usi nel XVI° e XVII° secolo è attraversato da concezioni opposte del datum linguistico. Nel momento in cui nasce il francese moderno con le sue prime grammatiche, il dibattito vede opposti i normativisti che prescrivono ai descrittivisti che constatano. Come Meigret, Ramus (1562) conferisce ogni privilegio al popolo, ovvero alla comunità intera dei parlanti, per regolamentare la lingua30, mentre Vaugelas riduce questo potere quasi giudiziario ad alcune élite prescelte31. Osserviamo dunque che le opzioni normative e prescrittive, al pari di quelle descrittive sono ugualmente compatibili con le linguistiche del datum. Quello che fa la differenza rimane il principio di costruzione e di delimitazione dei corpora nonché la qualità dichiaratamente normativa che il grammatico conferisce ai dati. Se, come nel caso delle linguistiche dell’exemplum, la questione non suscita dibattiti, o quasi, in ragione del fatto che ogni esempio - costruito col giudizio qualitativo o con una raccolta selettiva – può sempre essere visto come una interiorizzazione pratica della norma in oggetto (Bourdieu, 1982), per le linguistiche del datum per converso, prescrizione e descrizione costituiscono due scelte antitetiche. In definitiva non è solamente il tipo di indagine, ma soprattutto la teoria dell’indagine linguistica promossa quello che discrimina i due approcci. Da una parte l’inchiesta serve a mettere in luce la prassi selezionandone all’interno della comunità linguistica i legittimi rappresentanti, dall’altra invece mira a descrivere l’oggetto linguistico attivo in questa comunità. Nel primo caso, il corpus mostra le forme corrette che sono paradigmatiche e stigmatizza i solecismi più volgari32, nel secondo caso descrive degli usi nella loro effettiva eterogeneità e variabilità. Effettivamente, ogni dato linguistico è sempre naturale a partire dal momento in cui è un soggetto parlante che lo produce, ancorché costruito come esempio dai linguisti o suscitato presso un locutore facendo appello al giudizio di grammaticalità. Quello che importa è sapere come e per quali fini è stato prodotto. Parimenti, rispondendo a Milner che poneva il primato del solo giudizio di grammaticalità, Bourdieu riafferma il carattere di datum di qualsiasi produzione linguistica, compresi gli errori o le frasi impossibili forgiate dai grammatici a fini argomentativi, non appena si prende in considerazione il loro contesto sociale e pragmatico di produzione33. Ogni dato linguistico è per lui il prodotto di una osservazione precisa o di una domanda : di una indagine. È pertanto sempre necessario esplicitare la situazione di indagine nella quale è stata condotta perché è dalla messa in relazione di questa, fosse anche erronea o assurda, con le condizioni sociali di produzione e di ricezione che diventa possibile costruire un’analisi esplicativa (vedi supra la posizione di Meillet). Di contro alla grammatica dell’exemplum che ipostatizza il giudizio di grammaticalità, « La sociologie (ou, si l'on veut, la sociolinguistique comme 7 branche de la sociologie) […] s'accommode de toutes les formes d'acceptabilité; son datum, c'est la relativité absolue de l'acceptable et non l'absolutisation d'une forme particulière d'acceptabilité » (Bourdieu in Bourdieu e alii 1977, 45). Da ciò ne discende che ogni (socio)linguistica del datum poggia, in definitiva, sulla teoria dell’indagine che ne è il principio, in modo implicito o esplicito. Per esempio, come mostrato da Encrevé (1976, 1982), è partendo da una decostruzione del paradosso dell’osservatore e avendo come obiettivo uno stato della lingua vernacolare che Labov (1966, 1976, 1979) costruisce il datum particolare sul quale si erige l’edificio della sua (socio)linguistica. 2.4 La linguistica del datum oggi : lo strutturalismo Come la linguistica dell’exemplum, quella del datum è viva nelle correnti contemporanee. Come ho avuto modo di parlarne altrove (Laks, 2008), lo strutturalismo, europeo o americano che sia, fonda la sua epistemologia sulla raccolta e la catalogazione sistematica dei dati osservati. Come tutte le grandi scienze moderne a partire da Linneo (1735), Buffon (1749) fino a Lamarck (1809) e Darwin (1859) si tratta di una scienza tassonomica. Nella sua espressione formale, che questa prenda forma di una modello strutturale (Troubetzkoy 1939, Hockett 1942), funzionale (Martinet 1962) o trasformazionale (Harris 1951), si tratta pur sempre di fondare una sistematica sulla tassonomia ragionata di un corpus di fatti linguistici. È il frutto del repertoriare, quindi di un’inchiesta. In questa inchiesta, la nozione di comunità linguistica è centrale. Contrariamente all’approccio chomskyano - che riduce la comunità linguistica a un punto di vista unico virtuale di cui il locutore- uditore ideale costituisce in qualche modo l’eponimo - l’inchiesta strutturalista rende operativa la nozione di relazione di comunicazione. Questa permette di circoscrivere la comunità linguistica come la rete degli interlocutori potenziali. In effetti, per gli strutturalisti, almeno a partire a Bloomfield, l’oggetto primo dell’inchiesta linguistica non è tanto la lingua, quanto la comunità linguistica: la lingua non è altro che quello che si osserva in seno ad una comunità linguistica data come supporto alla comunicazione tra gli individui. La natura sociale e culturale della lingua, così come la intendono Whitney e Saussure, è alla base della raccolta dei dati linguistici osservabili entro il perimetro dato dall’insieme dei locutori che usano lo stesso codice. Come dice Bloomfield (1933, 46) bisogna immaginare di tracciare una linea tra due soggetti sociali, ogni volta che un locutore si rivolge ad un altro. Dopo un certo periodo, questo grafico virtuale, a causa della densità delle zone nere, grigie e bianche, permetterebbe di cogliere al contempo la comunità linguistica e la lingua che la organizza così come farebbe emergere le densità relative di comunicazione e scambio. Il concetto di rete di comunicazione è, come si vede, consustanziale ad un tale approccio. Del resto, è pur sempre vero che tali reti non sono sociologizzate. La comunicazione è ancora intesa come simmetrica e reciproca ed i rapporti sociali di denominazione e di prestigio, che di fatto rendono lo scambio sempre ineguale, sono ignorati. Ma è sufficiente, come ha fatto il primo Labov, aggiungere all’inchiesta linguistica una dimensione sociologica (Labov 1966), o meglio ancora, come ha fatto il secondo Labov34, decostruendo la comunità linguistica unica e prendendo in considerazione l’asimmetria delle relazioni sociali (Labov 1972), oppure come ha fatto Milroy (Milroy e Milroy 1985) interrogando l’intrico delle reti sociali, per andare oltre l’inchiesta linguistica di tipo strutturale e costruirne una propriamente sociolinguistica. In ogni modo, come stottolineato da Hymes (1972, 43), « The natural unit for sociolinguistic taxonomy is not the language but the speech community35. Lo spartiacque tra la sociologia strutturale e la dialettologia classica è per l’appunto l’attenzione all’organizzazione sociale interna della comunità linguistica. Là dove la dialettologia vedeva variazione e cambiamento come segni della disgregazione della comunità originaria e della sua lingua, collocando di conseguenza le NORMS36 al centro della propria ricerca, i sociolinguisti moderni vedono la comunità linguistica come intrinsecamente eterogenea, divisa, gerarchizzata e strutturata. Ne consegue che la variazione sociolinguistica è veramente il cuore delle lingue vive, ovvero socializzate. In questo approccio, la comunità linguistica non presenta mai un’uniformità degli usi e delle pratiche. Queste sono al contrario stratificate e diversificate tanto 10 esplicative sempre più comprensive. Questa svolta verso quello che Goldsmith (in stampa) definisce come un neoempiricismo è quindi contraddistinta dall’apparizione di numerosissimi corpora iperdimensionati e dalla costruzione di strumenti metodologici e teorici di trattamento particolarmente potenti. Come anche lo evidenzia, gli sviluppi recenti della statistica, della probabilistica e più in generale della stocastica matematica, rinnovano gli approcci formali e modellizzatori. La linguistica di corpus che costituisce la base empirica e descrittiva indispensabile agli sviluppi di tali analisi si impone per questa via in tutte le dimensioni della ricerca sulle lingue ed i linguaggi, comprese le dimensioni di grammatiche formali o di apprendimento psicolinguistico47. Nell’ambito di questo neoempirismo, le questioni della variazione e dell’eterogeneità dei dati, e quindi della variabilità e della plasticità dei modelli capaci di darne conto, che furono a lungo escluse dalla linguistica dell’exemplum ricompaiono al centro della scena. La linguistica variazionista laboviana non può più di conseguenza essere considerata alla stregua di Chomsky (1977, 74-75) una dialettologia periferica senza interesse teorico. L’analisi quantitativa di grandi corpora e l’approccio sistemico della variazione interna delle lingue e delle grammatiche che costituiscono il nucleo del suo programma scientifico ritrovano così un’attualità di primaria importanza (Labov 2004)48. Questo riorientamento neoempiricista, che Labov chiama materialista, non rinuncia tuttavia all’ambizione teorica qual è proclamata dalla linguistica cartesiana . Al contrario, riprendendo i concetti funzionalisti di comunicazione interpersonale in situazione, di comunicazione linguistica e d’interazione, i primi anni 2000 vedono emergere nuovi approcci teorici ed analitici del fenomeno di linguaggio. 3.2 Dalle linguistiche di corpus alle linguistiche dell’uso Queste nuove tendenze empiriciste, pur poggiando su un certo numero di tesi strutturaliste (approcci funzionalisti, ruolo della comunicazione interpersonale socializzata, circoscrizione delle comunità linguistiche) hanno origine in un’antica stratificazione della nascitura Grammatica Generativa. Come mostrano Goldsmith e Huck (1995), la polemica della « semantica generativa », ben lungi dal costituire un epifenomeno storico, semplicemente aneddotico o meramente superficiale, attualizza a metà degli anni 1960 una rottura fondamentale ed estrememente profonda nella giovane corrente generativista e trasformazionista. Anche se alla fine degli anni 1970 la corrente della semantica generativa sembra definitivamente superata e la polemica si esaurisce progressivamente, i principali contestatori del modello generativista ortodosso restano molto attivi e si ritroveranno, per la maggior parte, al centro delle ricomposizioni teoriche che occupano il proscenio cognitivo nei primi anni 2000. Essendo questi modelli centrali nell’attuale dibattito, appare utile ritornare rapidamente su un tale momento cruciale di rottura in cui numerosi autori si sono allontanati dal modello chomskyano standard49. In effetti, quando si esaminano i principali temi affrontati dai semanticisti generativisti e le loro principali critiche50, si è colpiti dalla contiguità con numerose questioni contemporanee. Per Lakoff (1973a) ad esempio è assolutamente necessario prendere in considerazione il contesto sociale, culturale ed interazionale nel quale si sviluppa il linguaggio. La sua critica della svolta cartesiana riafferma il carattere funzionale della lingua e la necessità di porre la comunicazione interpersonale al centro del dispositivo linguistico. Ne consegue, fin da questo periodo, un apprezzamento della necessità di una base empirica e descrittiva solida. Contro l’inneismo cartesiano, difende una concezione sociale e culturale dei fatti di linguaggio che sfocia nel conferimento del primato al contenuto semantico e pragmatico delle occorrenze linguistiche allo scopo di analizzarne la forma e le caratteristiche tanto specifiche quanto universali. Perciò, un certo numero delle linee di forza strutturanti il dibattito contemporaneo erano già attive nella polemica della semantica generativa degli anni 1960 e 1970. La maggior parte dei suoi attori si ritroveranno a partie dagli anni 90 nella scia della linguistica cognitiva. La linguistica cognitiva costituisce oggi un polo di raggruppamento per numerose correnti contemporanee, dalla semantica e la pragmatica, alle grammatiche di costruzioni ed al variazionismo sociolinguistico, passando per il connessionnismo. Tali correnti, pur mantenendo ciascuna il proprio orientamento specifico cooperano e convergono in un certo numero di grandi 11 orientamenti. Langacker (1987) a proposto di raggruppare tali correnti dietro l’etichetta comune di « modelli linguistici fondati sull’uso ». Questa comoda denominazione sintetica copre un largo settore della ricerca linguistica internazionale che condivide posizioni comuni, senza raggrupparsi intorno ad una teoria standard rigida. In effetti, esattamente all’opposto della Grammatica Generativa, questa corrente contemporanea difende la ricchissima messe di dati d’uso ma si schiera a favore di una certa austerità dell’apparato concettuale e del quadro teorico e formale51. In tale contesto, l’uso sedimenta effettivamente un notevole sapere linguistico pratico, attivo in tutti gli ambiti della produzione e dell’interpretazione delle occorrenze, mentre i principi cognitivi astratti e generali, ridotti al minimo, non sono specifici dell’ambito del linguaggio ma corrispondono a funzioni cognitive generali. Per questi tipi di approccio, le pratiche linguistiche hanno lo statuto di osservabili situati, mentre la ricchezza del contesto sociale e culturale di sfondo determina in gran parte la loro interpretazione condivisa (Barlow e Kemmer (2000) XXVI). Così, in un ambito strutturato dalle relazioni interpersonali e dalla funzione di comunicazione, predominano le pratiche di linguaggio e la loro interpretazione semantica e pragmatica52. La grammatica non è più una condizione della produzione di eventi di linguaggio, ne è al contrario il sottoprodotto routinizzato ed impoverito (Barlow e Kemmer (2000) XI). Accordando un posto centrale al processo di grammaticalizzazione, visto nel contempo come cognitivo e diacronico, le linguistiche dell’uso ribaltano completamente la dicotomia classica chomskyana competenza/performance, generalizzando la performance quale motore pratico e funzionale della comunicazione e restringendo la competenza ad una sottoparte sedimentata interna della seconda (Langacker 2000, 6-9). Riecheggiando Benveniste e le correnti discorsive che ne sono scaturite, Langacker individua chiaramente nel discorso la fonte della lingua e della sua routinizzazione grammaticale e adotta così la prospettiva neoempricista sopraevocata53 Come l’ho mostrato altrove (Laks 2011b), era questa la posizione di Saussure che difendeva il primato della linguistica della parola quale condizione sine qua non di una grammatica della lingua. Tematizzando in questa maniera le pratiche di linguaggio nel loro contesto ecologico, sociale e culturale, le linguistiche dell’uso riconferiscono uno statuto centrale alla descrizione linguistica, alle analisi distribuzionali, statistiche e frequenziali, e si situano chiaramente nel contesto delle linguistiche di corpus54. Sono linguistiche del datum e, per correlazione, la variazione e l’eterogeneità interne vi sono riconosciute per quello che sono. Ma soprattutto, nei modelli basati sull’uso, questa variazione sociolinguistica, sia sincronica che diacronica, recupera uno statuto sistemico e funzionale55. Infine, tanto dal punto di vista dell’istanziazione cognitiva delle regolarità linguistiche quanto da quello dell’apprendimento situato della lingua e della grammatica, quesi approcci sono paralleli a quelli connessionisti e neuromimetici. Più in generale si apparentano alle modellizzazioni dinamiche del linguaggio. Con tutte le loro varianti e approcci connessi, grammatiche di costruzione, grammatiche esemplariste e occorrenzialiste, grammatiche discorsive, neurali e cognitive, grammatiche stocastiche e probabilistiche ecc. 56, i modelli basati sull’uso e le linguistiche del datum hanno modificato in profondità il campo linguistico internazionale e, marginalizzando la linguistica cartesiana, costituiscono, come vedremo, il paradigma dominante di questo inizio del 21o secolo. 3.3 La grammatica e l’uso, un bilancio critico Nel suo discorso presidenziale al congresso della Linguistic Society of America, Newmeyer (2003), di cui è noto il fervore in difesa della linguistica chomskyana (vedi Newmeyer 1988), conferma un tale cambiamento e dà un’analisi abbastanza disillusa del paesaggio internazionale della ricerca linguistica. Conferma che il paradigma della Grammatica Generativa è ormai minoritario a livello internazionale mentre nell'attualità domina quello dei modelli d’uso. Per Newmeyer, la semantica generativa che si è rigenerata in linguistica cognitiva ha finito, con le linguistiche dell’uso, con l’imporre il rigetto di qualsiasi distinzione chiara tra sapere linguistico e uso della lingua, distinzione eppure che è al centro del paradigma chomskyano (op. cit. 683). L’autonomia e la stabilità cognitive della grammatica sono state smantellate a vantaggio di dinamiche transitorie, di strutturazioni parziali, di organizzazioni stocastiche. Tutti questi approcci prevedono uno 12 stoccaggio notevole di forme e di occorrenze concrete e minimizzano la portata e l’effetto dei vincoli grammaticali formali (op. cit. 683-684)57. La diffusione di tali metodi è stata larghissima, finanche nei modelli ottimalisti, vicini inizialmente al generativismo. Il connessionnismo ed i sistemi neuromimetici, oggetto di tanti attacchi negli anni 1980 (Pinker e Mehler 1989) si sono sviluppati e forniscono un sostegno computazionale a tali approcci. Questa la costatazione del Presidente della LSA nel 2003. Nessun ambito di ricerca sfugge a questo cambiamento del paradigma di riferimento. Il trattamento automatico delle lingue e la ricerca in grammatica formale sono coinvolti, ed anche la fonologia, la sintassi o la semantica. 58 Ma c’è di più : la stessa distinzione chomskyana competenza/performance è divenuta obsoleta59 e la psicolinguistica rigorosamente generativa si è ridotta come una pelle di zigrino60. In definitiva, l’opzione funzionalista e comunicativa torna a dominare la prospettiva linguistica e non si può non constatarlo : argomenti pesanti sono stati prodotti a sostegno delle linguistiche dell’uso61. Con questo nuovo paradigma, la variazione, l’eterogeneità e la sociolinguistica, pur tanto criticate perché epifenomeniche (vedi supra), tornano sul proscenio teorico. Se inoltre, la nozione stessa di frase è contestata e se la disparità completa tra ciò che predica la grammatica e quanto attesta l’uso è ammessa da tutti, che cosa resta della linguistica cartesiana e della Grammatica Generativa?62 Come accade molto spesso quando il paradigma chomskyano è maggioritariamente contestato, più che ad un dibattito con i contraddittori, ad un’evoluzione o ad un adattamento che prenda in considerazione gli argomenti opposti, si assiste a partire dagli anni 2000 ad una completa riorganizzazione dell’ambito di riferimento della Grammatica Generativa63. Con l'apparire della Biolinguistica, tale riorganizzazione della teoria generativa tenta d’imporre un cambiamento radicale dei termini del dibattito. La questione si situerebbe ormai sul terreno dell’evoluzione delle specie ove la Bolinguistica chomskyana propone di dimostrare la specificità della facoltà di linguaggio propria dell’uomo. Fondandosi sulla distinzione delle due estensioni del concetto di facoltà di linguaggio già impostata nel programma minimalista (Chomsky 1995) e riformulata nel nuovo contesto evoluzionista biogenetico (Hauser, Chomsky e Fitch 2002), Newmeyer propone una difesa ed illustrazione della Grammatica Generativa rivendicando una distinzione radicale tra grammatica e uso. Con un’argomentazione che concede tutto ai modelli fondati sull’uso, riprende quindi la tematica chomskyana secondo cui la Grammatica Generativa e la Biolinguistica non sono delle linguistiche in quanto non assumono per oggetto la lingua nel senso diffuso del termine. Si interessano esclusivamente al dispositivo cognitivo che ne è il principio. Così, con una politica della terra bruciata, concede che le linguistiche del datum e i modelli fondati sull’uso coprono soddisfacentemente tutta l’ampiezza del campo linguistico, ma resta, aggiunge, la grammatica, ed essa, per effetto del suo principio stesso, deve essere radicalmente distinta dall’uso. Tale residuo cognitivo e grammaticale è propriamente l’oggetto della Grammatica Generativa e della Biolinguistica che è implicata soltanto dalla facoltà di linguaggio in senso stretto e in alcun modo dal senso lato. In effetti, la facoltà di linguaggio nel senso lato del termine (Faculty of Language in the Broad sense – FLB) non presenta nulla di specifico rispetto all’uomo. Copre tutti gli aspetti comunicazionali, interazionali, sociali e culturali. Come già notato da Chomsky (1995) a seguito di Fodor (1983a), essa si applica a tutti i sistemi periferici e copre la fonetica, la fonologia, la morfologia, la semantica e la pragmatica delle lingue. In breve, tutto ciò che non è la sintassi. Ed inoltre, la facoltà di linguaggio nel senso stretto del termine (Faculty of Language in the Narrow sense – FLN) che le è opposta non copre tutta la sintassi, ma riguarda esclusivamente la sintassi profonda. Più precisamente, uno dei suoi principi computazionali : la ricorrenza quale si esprime attraverso il principio di FUSION (MERGE). Nel suo tentativo di salvaguardia del nucleo stesso della grammatica, Newmeyer concede quindi tutta la FLB alle linguistiche dell’uso per concentrare, con Hauser, Chomsky e Fitch (2002), la Biolinguistica soltanto sull’analisi della FLN64. Nel dibattito tra linguistica del datum e linguistica dell’exemplum, tra modelli fondati sull’uso e linguistica cartesiana, si ritorna quindi in fine, alla questione cognitiva. 15 4. 2 Del non apprendimento delle lingue Non è stato sufficientemente notato che dopo la svolta cartesiana del 1965, la linguistica chomskyana si proponeva come una teoria del non apprendimento delle lingue. Questa tesi è ulteriormente rafforzata dall’approccio Principi e Parametri e dal Programma Minimalista (Chomsky 1995). L’apprendimento vi è ridotto ad una messa a punto parametrica dei principi della grammatica universale (GU). Questa operazione è realizzata con un dispositivo d’acquisizione del linguaggio (DAL) che confronta GU ai dati ovvi per produrre una grammatica particolare (GP). L’apprendimento è quindi modellizzato con la ben nota formula : (GU X DAL) (data) = GP In questa formula, due dei tre fattori sono considerati innati e sono quindi dati in partenza. Ne consegue che l’apprendimento linguistico propriamente detto non corrisponde a niente di più di una specificazione locale di meccanismi geneticamente impressi nella mente del locutore. Questa tesi, tipica del razionalismo cartesiano che ritiene immanenti la logica ed i principi della grammatica universale (Arnauld e Lancelot 1660), era già stata quella di Platone quando dimostrava a Menone che il suo schiavo conosceva già perfettamente, ed in maniera innata, la geometria del quadrato77. Eppure, nel corpus della Grammatica Generativa, questa tesi nativista non è mai presentata come una presa di posizione filosofica ma come la conclusione d’un ragionamento empirico. Tale ragionamento, proprio come quello di Platone d’altronde, si basa sulla presupposta povertà dello stimolo accessibile al bambino nel corso del suo apprendimento78. Se si tiene conto della sua importanza centrale per l’equilibrio della teoria chomskyana, ci si attende che abbia suscitato numerosi studi fondati su osservazioni empiriche di lunga durata e che sia stata solidamente dimostrata. Ora, nell’ambito chomskyano, non si può non constatare che non se ne è fatto niente. La tesi della povertà dello stimolo, costituisce uno degli elementi più ricorrenti della letteratura generativa eppure è uno dei meno empiricamente stabiliti in tale contesto. Non è quanto si verfica nell’ambito dei modelli fondati sull’uso. Nella linguistica del datum, numerosissimi corpora, particolarmente voluminosi, sono stati costruiti proprio per verificare l’ipotesi della povertà dello stimolo. Numerose sono le analisi quantitative e qualitative con monitoraggio longitudinale regolare di bambini in situazione di apprendimento. Sono molto ben documentate, in numerosissime lingue diverse, le produzioni di bambini, dalla lallazione precoce fino ad una competenza stabilizzata,79 (vedi supra il programma cooperativo CHILDES). Del resto, queste analisi inducono precisamente a contestare in maniera radicale l’ipotesi chomskyana . Newmeyer, giustamente, le evocava supra. Del resto, il campo estremamente dinamico della psicolinguistica dell’acquisizione propone numerosissime refutazioni empiriche dell’impossibilità d’acquisire questa o quella funzione sintattica sulla sola base dei dati disponibili nell’ambiente80. I dati linguistici ai quali un locutore est quotidianamente confrontato sono frequenti e portatori di tutta la ricchezza di un contesto sociale, culturale e interazionale che li rinforza e li sanziona81. Mehl, Vazire, Ramirez-Esparza, Statcher e Pennebaker (2007) hanno valutato a 16 000 parole circa la produzione giornaliera di un locutore, con ovviamente una larga dispersione intorno a questa media. Quanto all’apprendimento linguistico nativo, Morgan (1989, 352) ha stimato che un bambino acquisiva la propria lingua dopo essere stato confrontato a circa 4 280 000 frasi. Tali ordini di grandezze suggeriscono immediatamente di verificare dei modelli statistici e probabilistici per rendere conto dell’acquisizione. Nei fatti, un gran numero di analisi che utilizzano techniche bayesiane, neurocomputazionali o altri strumenti stocastici hanno messo in dubbio, fenomeno sintattico per fenomeno sintattico, la tesi della povertà dello stimolo e ricusano in modo convincente l’approccio nativista82. L’approccio nativista della Grammatica Generativa non è fondato unicamente sull’argomento della povertà dello stimolo di cui ho appena dimostrato la particolare fragilità. Un secondo argomento, formale stavolta, è proposto per sostenere la necessità per il bambino che apprende una lingua di disporre d’un ricco repertorio di conoscenze linguistiche a priori. Si tratta del teorema di Gold (1967) che ho già evocato. Come era già successo con la tesi della povertà dello stimolo, il teorema di Gold è spesso citato come una prova definitiva nella letteratura generativa ma 16 molto raramente commentato o analizzato nella sua portata pratica. Come sottolinea Johnson (2004), la preoccupazione di Gold era ben lontana da qualsiasi intento linguistico ed ancor più da qualsiasi ipotesi riguardante l’apprendimento umano. Il teorema di Gold è una dimostrazione strettamente matematica nell’ambito della teoria générale dei linguaggi formali. Gold non si pone alcun problema di acquisizione o di selezione di grammatica da parte di un locutore. Come indica l'intitolato, il suo teorema riguarda esclusivamente l’identificazione di una grammatica formale tra tutte quelle che appartengono ad una classe che genera uno stesso assieme di successioni-simboli. Dopo aver criticato con estrema precisione ognuna delle interpretazioni del teorema di Gold e averne mostrato il carattere ampiamente interpretativo, Johnson conclude che esso manca di pertinenza nel quadro del dibattito cognitivo83. Ne consegue che il teorema die Gold non aggiunge alcun argomento alla teoria della povertà dello stimolo e conferma che la tesi innatista non è che quello che è : una costruzione di natura unicamente epistemologica del tutto legata all’orientamento razionalistico della linguistica dell’exemplum. Ma, se il teorema di Gold non permette di fondare il non apprendimento delle grammatiche delle lingue umane, ne consegue che, dato un corpus di occorrenze linguistiche, non esiste una soluzione unica per costruirne un modello formale. Nell’ambito del neoempirismo che difende, Goldsmith (2010) si è fondato sui lavori di Marcken (1996) riguardanti l’apprendimento automatico senza supervisione. Distinguendo nettamente il contesto dell’argomentazione cognitiva da quello dei modelli formali dell’apprendimento linguistico, ha dimostrato che un'applicazione del principio statistico della « Lunghezza Minima di Descrizione (Minimum Description Length - MDL, Rissanen 2007) permetteva di far convergere e di ottimizzare un dispositivo d’apprendimento automatico della morfologia (Goldsmith 2005a, 2011), senza alcuna conoscenza a priori. Proprio perché rifiuta l’interpretazione metaforica che abbiamo visto operare nello sfruttamento del teorema di Gold, Goldsmith sottolinea giustamente che l’interpretazione cognitiva della MDL e dei risultati ottenuti nell'apprendimento automatico senza supervisione resta una questione teorica aperta. 4. 3 I modelli basati sull’uso e sulle grammatiche di costruzione : un modello cognitivo alternativo Come ho già avuto modo di dirlo, con le grammatiche basate sull’uso, la questione cognitiva può essere pensata in un quadro rinnovato. I problemi riguardanti la variazione e l’eterogeneità che abbiamo sollevato trovano lì una loro collocazione. Da una trentina d’anni, il territorio dell’antropologia cognitiva ha conosciuto degli sviluppi spettacolari. La collaborazione di neuropsicologi, sociologi, antropologi, etnologi, linguisti e psicologi ha permesso dei passi in avanti decisivi nella comprensione della genesi e dell’evoluzione dei sistemi simbolici, culturali e sociali84. L’analisi comparata di questi sistemi, nel regno animale e nell’uomo, così come l’analisi del loro sviluppo filogenetico e della loro maturazione nei gruppi umani, ha permesso di arrivare a delle solide conclusioni in un campo dominato in larga parte da quello che Changeux (1983) ha definito un neodarwinismo neuronale. Le questioni poste dal funzionamento e dalla riproducibilità intergenerazionale dei sistemi linguistici, culturali e sociali erano stati già affrontate in prospettiva evoluzionistica e neodarwiniana da Dawkins (1976) che proponeva di trattarle metaforicamente come alleli di un nuovo gene specifico apparso con l’uomo moderno. Questi dibattiti e queste proposte sono beninteso importantissimi in una prospettiva di ricerca come quella biolinguistica, anche se sono rimasti largamente marginali nella riflessione generativista. L’ambito dell’antropologia cognitiva è in effetti largamente dominato da un paradigma con il quale è, come abbiamo appena visto, incompatibile. Nella sua dimensione funzionalista, questo paradigma cerca nell’analisi delle funzioni di un dispositivo le motivazioni della sua esistenza. Nella sua dimensione interazionale e comunicativa, accorda alla comunicazione ed alle relazioni interpersonali un ruolo centrale. Del resto, come già sottolineato precedentemente Hauser, Chomsky e Fitch (2002), Berwick e Chomsky (2011), Di Sciullo e Boeckx (2011), e con loro i linguisti della corrente biolinguistica si sforzano di confutare ogni approccio funzionalista in campo linguistico negando che la comunicazione sia minimamente implicata nella genesi e nello sviluppo della facoltà del 17 linguaggio dell’uomo, come ho già detto. Chomsky (2007) è molto preciso al riguardo : la funzione di ricorsività propria a FNL è innanzi tutto totalmente endogena e creatrice di un linguaggio interno del pensiero che si esternalizza come supporto della comunicazione interpersonale solo in modo secondario ed accessorio85. Gli approcci funzionali e comunicativi sono dunque respinti ex definitio. In definitiva, se, come accade in antropologia cognitiva, si attribuisce alla funzione di organizzazione gregaria e alla funzione di comunicazione regolatrice del gruppo uno statuto di motivazione primaria, ci allontaniamo de facto da un quadro razionalistico per quello della linguistica del datum. La varietà e la l'eterogeneità dei sistemi guadagnano il proscenio e una sistematica analitica è allora messa in atto per rendere conto della loro estensione e della loro varietà86. Si capisce così perché le linguistiche fondate sull’uso e gli psicologi dello stesso campo si sono trovati coinvolti nel recente sviluppo dell’antropologia cognitiva ed anche perché ciò non è avvenuto nel campo generativista. All’interno di una antropologia cognitiva generalizzata, Tomasello elabora da una quindicina d’anni un modello linguistico e cognitivo che si iscrive nella linea generale dell’evoluzione così come la intendono i neodarwiniani che a loro volta fondano la loro teoria sulle linguistiche dell’uso87. Egli è così esplicitamente inserito in una linguistica del datum88. Come sottolineato da un gran numero di antropologi cognitivisti, la comunicazione verbale interpersonale e l’elaborazione di forme assai sofisticate di comportamenti culturalmente e socialmente regolati procurano al genere umano un vantaggio selettivo che risulta decisivo. Ma questa attitudine comunicazionale non è esclusiva della specie umana. Troviamo numerosi prodromi presso tutti gli animali sociali, dai più distanti come gli insetti fino ai più vicini all’uomo come i primati e le grandi scimmie. L’altruismo reciproco (Trivers 1971, 2002) nelle strategie complesse di spidocchiatura o la condivisione delle risorse è stato proposto come una delle molle regolatrici delle pratiche sociali la cui complessità aumenta con l’evoluzione. In tale calcolo anticipativo, di regolazione dei comportamenti e delle strategie individuali in seno al gruppo, un certo numero di sociobiologi ha scorto l’origine dei comportamenti sociali complessi propri dell’uomo 89. Per molti antropologi tuttavia una tale dinamica non è sufficiente a spiegare la discontinuità nella quale l’uomo si iscrive. Pur accordando allo sviluppo dell’altruismo reciproco un ruolo importantissimo nell’evoluzione verso l’uomo, Tomasello costruisce la sua analisi sulla rottura di continuità fondamentale che l’apparizione nell’uomo dell’intenzionalità90 introduce nei sistemi sociali e nei modi di comunicazione regolatrice che ne derivano, già molto sofisticati. Questa qualità modifica radicalmente le funzionalità dell’altruismo reciproco. L’intenzionalità è peculiare della specie umana ed è motivata dal rinforzo della funzione gregaria91. Dal punto di vista ontogenetico, Tomasello ne individua il sostrato nelle attività di indicazione, pantomima e mimica imitativa del bambino, come nelle attività di deissi condivisa che regolano la denominazione comune degli oggetti. La « lettura delle intenzioni », funzionalità che emerge nel bambino tra i 9 e i 12 mesi, gli permette di costruire una vera teoria della mente, base di un pensiero astratto (Tomasello 2003, 3). È a partire da ciò che la comunicazione è analizzata come una funzione che permette a una persona di manipolare simbolicamente gli stati intenzionali e mentali delle persone con le quali interagisce. Il linguaggio è di conseguenza concepito come « un inventario strutturato di simboli» (Langacker 1998, 1) che assumono la funzione di manipolazione degli stati mentali. Il duplice orientamento, comunicativo e funzionale, di tali modalità è pertanto assai chiaro. Il loro ancoraggio alla struttura sociale e all'organizzazione culturale e simbolica dei gruppi umani è, da questo punto di vista, fondamentale 92. Attribuire intenzionalità e leggere le azioni, i comportamenti e gli accadimenti alla luce di questo rapporto di per sé generatore di una forma di pensiero astratto perché ci si focalizza immediatamente sulla significato pratico nella relazione interpersonale. Confrontato alla enorme variabilità degli atti e degli oggetti, l’uomo sviluppa una particolare abilità per il riconoscimento di somiglianze parziali. La ricerca degli schemi comparabili, tanto sul piano percettivo che su quello concettuale, sfocia in uno sviluppo assai spettacolare della capacità di categorizzare, ossia di schematizzare, di estrarre delle forme ricorrenti astratte e di riunire in classi di equivalenza oggetti o atti parzialmente differenti, ma equivalenti dal punto di vista funzionale. Questa dinamica ascendente di astrazione e di concettualizzazione va di pari passo con una grandissima sensibilità statistica e probabilistica alla ricorrenza dell'equivalente, al riconoscimento 20 potenzialità strutturanti insite e sulle dinamiche che introducono. È, l'abbiamo visto, la variabilità delle forme nell'uso che costituisce il motore e la motivazione della loro organizzazione tassonomica sempre più astratta nonché la cristallizzazione progressiva di categorie funzionali di trattamento. Tale variabilità non agisce soltanto sulle differenze interindividuali. Per il fatto di rappresentare una delle dimensioni fondamentali di qualsiasi uso, e per il fatto che la grammatica è edificata sull'uso, questa variabilità e questa eterogeneità interna agiscono anche sul dispositivo di linguaggio, cognitivo e pratico, di qualsiasi locutore, sia sincronicamente sia diacronicamente. In questo approccio, la competenza linguistica di un locutore situato non è né stabile né omogenea. Trattandosi di una competenza pratica, socialmente costituita e socialmente esercitata, è incontestabilmente un prodotto storico e culturale tanto sul piano individuale che su quello sociale. Ciò che l’unifica relativamente et la costringe entro limiti dati di variabilità, è proprio quello che fa l'unità storica e sociale delle comunità umane, la condivisione ineguale ma cogente delle norme, delle regole e delle routine, insomma l'appartenenza ad una stessa cultura. Questo permette anche di risolvere una questione che non è mai stata realmente argomentata nell'approccio cartesiano : la supposta stretta identità delle grammatiche di tutti i locutori di una lingua che implica il famoso problema della convergenza degli apprendimenti e motiva indirettamente l'utilizzo, metaforico come si è visto, del teorema di Gold. In una linguistica degli usi, niente impone una tale convergenza degli apprendimenti né una tale stretta identità delle grammatiche mentali. La comunicazione interpersonale in una comunità reale, intessuta di variazione e di eterogeneità strutturali, non impone la stretta identità delle competenze. Al contrario, come si osserva per tutti i dispositivi culturali e sociali, è la condivisione delle stesse norme e delle stesse modalità di valutazione che, quand'anche i soggetti sociali ne avessero un uso inegualitario e differenziato, garantisce la coerenza del tessuto sociale e frena la sua eterogeneità interna limitando nel contempo la variazione delle pratiche e degli usi. Se non presuppone una completa convergenza ed un’identità perfetta degli stati stabilizzati in età adulta, l’apprendimento in situ delle competenze comunicazionali, linguistiche, culturali e sociali non impone neanche una omogeneità dei dati di cui si nutre. Si sa che le modellizzazioni statistiche utilizzate nei diversi sistemi di apprendimento - automatiche, simboliche, subsimboliche o connessioniste - non possono convergere se i dati sono troppo regolari e troppo omogenei. Una certa quantità di elementi perturbanti o di incertezza è sempre necessaria ai sistemi ed occorre talvolta garantirne la presenza introducendoli esplicitamente di sbieco. Come ho sottolineato dopo Tomasello (2008b), la cognizione umana è estremamente sensibile alle regolarità ed alle differenze, alla loro ricorrenza ed alla loro organizzazione nel tempo, insomma l'intelligenza umana dei fenomeni e degli atti è in grandissima parte di tipo statistico-probabilistico. Per questa ragione, ben lungi dal costituire un freno o un impedimento, l'esistenza di una variabilità strutturata limitata e frenata costituisce al contrario un vantaggio formale ed una decisiva facilitazione cognitiva. Considerando gli argomenti che permettono di fondare l'idealizzazione del locutore-auditore e l’omogeneizzazione a priori delle comunità linguistiche, Chomsky (1980, 27-28), mancando di qualsiasi dato empirico o di qualsiasi osservazione fattuale, scrive : « Restiamo perciò con quella che deve essere la domanda di fondo : la nostra idealizzazione deforma a tal punto il mondo reale da non poter produrre alcuna intuizione veritiera della facoltà di linguaggio, oppure, al contrario, ci offre la possibilità di scoprire proprietà fondamentali di tale facoltà? Insomma, è legittima? Supponiamo che si risponda negativamente. Ciò condanna ad optare per una delle due tesi seguenti : 1. gli uomini sono fatti in modo tale da essere incapaci di apprendere il linguaggio in una comunità linguistica omogenea ; la variabilità o l'incoerenza dei dati accessibili rappresentano una condizione necessaria dell'apprendimento ; 2. gli uomini potrebbero apprendere il linguaggio in una comunità linguistica omogenea, ma le proprietà della mente che potrebbero permetterglielo non dipendono dall'acquisizione normale nel mondo reale, fatto di diversità, di conflitti dialettali, ecc. Non posso credere che chiunque abbia riflettuto sulla questione aderisca all'una o all'altra di queste affermazioni, che appaiono chiaramente sia l'una che l'altra altrettanto disperatamente improbabili. Dunque respingiamole. Con tale rifiuto, tuttavia, ammettiamo che l'essere umano possiede una proprietà della mente che gli permetterebbe di apprendere la lingua di una comunità linguistica omogenea ». Il panorama 21 della ricerca linguistica contemporanea che ho qui abbozzato, fondato sulla distinzione epistemologica tra linguistica dell’exemplum e linguistica del datum induce a contestare punto per punto questa reductio ad absurdum. Proprio al contrario, non appena si prendono in considerazione con la dovuta serietà i dati massiccci dell'uso, il funzionamento delle comunità reali, la variazione strutturata appare come una motivazione ed un motore delle dinamiche dell'apprendimento nonché come un elemento organizzatore e regolatore delle comunicazioni interpersonali. In una prospettiva funzionalista, ci ritroviamo, cinquanta anni dopo, in quella che fu l'intuizione geniale di Weinreich : « The solution, we will argue, lies in the direction of breaking down the identification of structuredness with homogeneity. The key to a rational conception of language change — indeed, of language itself — is the possibility of describing orderly differentiation in a language serving a community. We will argue that nativelike command of heterogeneous structures is not a matter of multidialectalism or « mere » performance, but is part of unilingual linguistic competence. One of the corollaries of our approach is that in a language serving a complex (i. e. , real) community, it is absence of structured heterogeneity that would be dysfunctional ». Weinreich, Labov et Herzog (1968, 96). Références bibliographiques Aarts, Bas (2000): Corpus linguistics, Chomsky and fuzzy tree fragments, in C. Mair et M. Hundt (dirs. ), Corpus Linguistics and Linguistic Theory. , Amsterdam/Atlanta: Rodopi, 5-13 Antilla, Arto (2007): Variation and optionality. , in P. de Lacy (dir. ) The Cambridge Handbook of Phonology, Cambridge: Cambridge University Press, 519-536. 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La grammaire n'apprend pas à parler latin, mais elle renvoie la langue latine à un art de sorte qu'ensuite, par imitation du latin, on puisse parler» Chevalier (2007,155). 25 « We are concerned, then with states of language faculty, which we understand to be some array of cognitive traits and capacities, a particular component of the human mind/brain. The language faculty has an initial state, genetically determined; in the normal course of development it passes through a series of states in early childhood, reaching a relatively stable steady state that undergoes little subsequent change […). We call the theory of the state attained its grammar and the theory of the initial state universal grammar. [...] When we say that Jones has the language L, we now mean that Jones's language faculty is in the state L […] To distinguish this concept of language from others, let us refer to it as I-language, where I is to suggest 'internal', individual', and intentional. The explanatory model outlined deals specifically with language acquisition under the idealized conditions of an homogeneous speech community. [...] The (acquisition) process is (viewed) as if it were instantaneous » Chomsky (1995, 18-19). 26 « Licuit semperque licebit signatum praesente nota producere nomen. Multa renascentur quae iam cecidere, cadentque quae nunc sunt in honore uocabula, si uolet usus, quem penes arbitrium est et ius et norma loquendi » Orazio (457, 1944). 27 « Consuetudo uero certissima loquendi magistra, utendumque plane sermone ut nummo, cui publica forma est. Omnia tamen haec exigunt acre iudicium, analogia praecipue, quam proxime ex Graeco transferentes in Latinum proportionem uocauerunt » Quintiliano (1842, I, 6, 3). 28 « Je confesse que cela serait raisonnable, si les règles qu'on fait de grammaire, commandaient à l'usage : vu qu'au contraire les règles sont dressées sur l'usage et façon de parler » Meigret (1542, 46). Su questi problemi, vedi Glatigny (1982). 29 Come dice giustamente Glatigny (1982, 104) « Alors que Palsgrave prescrit, que Sylvius déduit, [Meigret] explique ». 30 « Le peuple est souverain de sa langue et la tient comme un fief de franc alleu, et n'en doit reconnaissance a aucun seigneur. L'école de cette doctrine n'est point es auditoires des professeurs hébreux, grecs et latins en l'Université de Paris; elle est au Louvre, au Palais, aux Halles, en Greve, à la place Maubert » Ramus (1562). 31 « De ce grand Principe, que le bon usage est le Maitre de notre langue, il s'ensuit que ceux-là se trompent, que en donnent toute la juridiction au peuple […], C'est la façon de parler de la plus saine partie de la Cour, conformément à la façon d'écrire de la plus saine partie des Auteurs du temps. Toutefois quelque avantage que nous donnions à la Cour, elle n'est pas suffisante toute seule de servir de règle, il faut que la Cour et les bons Auteurs y concourent, et ce n'est que de cette conformité qui se trouve entre les deux, que l‘Usage s‘établit » Vaugelas (1647/1934). 32 Si ricorderà che i trattati di buon uso della lingua sono utilmente completati da prescrizioni « non dite, dite piuttosto » come l’Appendix Probi fu aggiunta agli Instituta Artium. 33 « La sociologie se donne pour première tâche le recensement des formes d'acceptabilité, c'est-à-dire de la relation entre une phrase et les situations où elle est acceptable. […] Donc, premier travail du sociologue : recenser. Ensuite, il reste à faire la science des conditions de production de la phrase et des conditions de son acceptabilité”(Bourdieu in Bourdieu e alii 1977, 45). 34 Sulla distinzione tra il primo ed il secondo Labov, vedi Encrevé (1976). 35 Per un’analisi dettagliata del concetto di comunità linguistica vedi Patrick (2002). 36 Acronimo forgiato da Chambers e Trudgill (1980) per designare i « Non-mobile, Old, Rural, Male Speakers » che costituiscono i locutori di riferimento dei dialettologi classici. 37 « The speech community is not defined by any marked agreement in the use of language elements, so much as by participation in a set of shared norms. These norms may be observed in overt types of evaluative behavior, and by the uniformity of abstract patterns of variation which are invariant in respect to particular levels of usage. « Hymes (1972, 120). 38 « A SpCom is defined in functionalist terms as a system of organized diversity held together by common norms and aspirations… Members of such a community typically vary with respect to certain beliefs and other aspects of behavior. Such variation, which seems irregular when observed at the level of the individual, nonetheless shows systematic regularities at the statistical level of social facts » Gumperz (1982, 24). 39 « It has been conventional to regard language as a system whose function is communication. This is indeed the widespread view invoked in most selectionist accounts of language, which almost invariably start from this interpretation. However, to the extent that the characterization has any meaning, this appears to be incorrect, for a variety of reasons to which we turn below. ”Berwick e Chomsky (2011, 25 anche 35, 36). 31 « Accordingly, any approach to evolution of language that focuses on communication […] may well be seriously misguided”Chomsky (2011, 61). Vedi anche, Chomsky e Fitch (2002, 1569). 40 « The word “language” has highly divergent meanings in different contexts and disciplines. In informal usage, a language is understood as a culturally specific communication system (English, Navajo, etc. ). In the varieties of modern linguistics that concern us here, the term « language”is used quite differently to refer to an internal component of the mind/brain (sometimes called « internal language”or « I-language”. We assume that this is the primary object of interest for the study of the evolution and function of the language faculty. However, this biologically and individually grounded usage still leaves much open to interpretation (and misunderstanding)”. Hauser, Chomsky e Fitch (2002, 1569). 41 «What is language? The idealist conception is that language is a property of the individual, a species-specific and genetically inherited capacity to form rules of a particular type, relatively isolated from other activities of the human intelligence. The materialistic conception is that language is a property of the speech community, an instrument of social communication that evolves gradually and continuously throughout human history, in response to a variety of human needs and activities. » Labov (1987, x). 42 È abbastanza raro trovare negli scritti di Chomsky una caratterizzazione, anche critica, della linguistica strutturale e dei linguisti che lo hanno preceduto. Merita di essere sottolineato il riferimento a Sapir, Boas e Bloomfield, come anche allo strutturalismo europeo tramite Troubetzkoy, e la messa in evidenza di Harris, tutti considerati dei linguisti della diversità linguistica mentre lui stesso difende l’unicità linguistica,. 43 Questa unicità e questa singolarità risiedono nel principio di ricorsività la cui funzione di unificazione FUSION (MERGE) è un’istanza. Ci ritornerò più in là. 44 Così l’analisi della liaison e dell’e muto in francese in un ambito generativo (Schane 1965) propone 41 regole ordinate fondate su 73 esempi (vedi Laks 2011a). Al contrario, il programma « Phonologie du Français Contemporain » offre, per gli stessi fenomeni, una base de 190 000 e 47 500 siti fonologici pertinenti che permette di rigenerarne completamente la fenomenologia. Diventa allora possibile proporre per queste questioni classiche della fonologia del francese analisi radicalmente nuove (vedi Durand, Laks, Calderone e Tchobanov 2011). 45 Per una presentazione generale, vedi MacWhinney (2000, 2007). Per una sintesi, vedi Gleason e Thompson (2002). A questi dati vanno aggiunti quelli del corpus Talkbank che pesa 450 GB per 55 milioni di parole in 18 lingue : http://childes. psy. cmu. edu/ 46 « The publication that was the foundation of American structural linguistics in the 1950s, Zellig Harris’s Methods in Structural Linguistics (1951), was called “ methods” because there seemed to be little to say about language beyond the methods for reducing the data from limitlessly varying languages to organized form. European structuralism was much the same. Nikolai Troubetzkoy’s classic introduction to phonological analysis was similar in conception. More generally, structuralist inquiries focused almost entirely on phonology and morphology, the areas in which languages do appear to differ widely and in complex ways, a matter of broader interest, to which we will return » Berwick e Chomsky (2011, 2). 47 Vedi per esempio Goldsmith e Aris (2009) per un’analisi quantitativa e formale dell’apprendimento tabula rasa delle categorie fonologiche. 48 È senza dubbio sul terreno della fonologia, specialmente ottimalista, che la relazione tra modellizzazioni fonologiche e variazionismo è stata recentemente più produttiva. Vedi per esempio Antilla (2007), Antilla e Cho (1998), Boersma (1998). Per un approccio della relazione tra fonetica e fonologia sotto questo rapporto vedi Hayes e Cziráky Londe (2006), Hayes, Kirchner e Steriade (2004). Vedi anche gli atti di « Workshop on Variation, Gradience and Frequency in Phonology (Stanford, CA, 2007) : http://www. stanford. edu/dept/linguistics/linginst/nsf-workshop/workshop-july-2007. html 49 Lakoff, cita Ross e MacCawley quali costituenti del nucleo iniziale al quale si sono poi aggiunti Fillmore, Talmy e Langacker, nonché in seguito, con lo sviluppo della linguistica cognitiva, Fauconnier, Rosch, Kay, MacDaniel. Negli anni 1980 e 1990, convergono con i partigiani del connessionismo, Rumelhart, Feldman ecc. Lakoff (1973a) stabilisce quindi un legame tra linguisti che furono successivamente attivi, per un periodo di una quarantina d’anni, in vari ambiti : la semantica generativa, la pragmatica, le grammatiche casuali, le grammatiche di costruzione, la teoria della metafora, il connessionismo ecc. 50 Un’analisi dei fondamenti teorici della polemica non rientra nei miei intenti. Ci si riferirà ad Harris (1993) per un’analisi storica ed a Goldsmith e Huck (1995) per un »analisi più epistemologica. I testi di sintesi dei semanticisti generativisti che non riguardino un punto tecnico o argomentazioni precise sono abbastanza rari. Rinvio tuttavia a Lakoff (1973a, b). Un secondo testo di Searle (Searle 1972) costituisce una risposta all’analisi, essa stessa critica, del dibattito tra i semanticisti generativisti ed i partigiani del modello standard. 32 51 « I have argued, both on methodological and on empirical grounds, that the principle of generality have received in linguistics a commonly accepted interpretation that is in fact not appropriate to its subject matter. Current doctrine favors a minimalist account of linguistic knowledge, described in accordance with complex array of theoretical apparatus featuring specialized devices for the various ‘components’ of the linguistic system. By contrast, cognitive grammar pursues a maximalist account of linguistic knowledge, and tends toward austerity in adoption of theoretical constructs; it seeks a unified treatment of the various facets of linguistic structure, attributing their differences to the content of the domain in question rather than the basic constructs invoked to handle them”. Langacker (1988, 160). 52 « A usage-based model is one in which the speaker's linguistic system is fundamentally grounded in ·’usage events': instances of a speaker's producing and understanding language […]In this view, it does not make sense to draw a sharp distinction between what is traditional called 'competence' and 'performance,' since performance is itself part of a speaker's competence. Instead of viewing language processing as something external to the system, which happens only to the outputs of competence, processing is rather to be seen as an intrinsic part of the linguistic knowledge system, which cannot he treated separately from it? Kemmer e Barlow (2000 VIII- IX). 53 Per fondare questo primato del discorso, ci si è spesso riferiti a Benveniste (1966, 131) senza rendersi sempre conto che la massima da lui forgiata a tale scopo « nihil est in lingua quod non prius fuerit in oratione. » non è che il calco di quella scolastica perfettamente aristotelica « nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu » che costituisce il fondo dell’empirismo sensualista di Hume o di Locke. 54 « A usage-based theory, whether its object of study is the internal or external linguistic system, takes seriously the notion that the primary object study is the language people actually produce and understand. Language in use is the best evidence we have for determining the nature and specific organization of linguistic systems. Thus, an ideal usage-based analysis is one that emerges from observation of such bodies of usage data, called corpora. But even if not based primarily on such data, at a minimum, analyses must ultimately be at least consistent with production data […]« The importance of frequency: Because the system is largely an experience-driven one, frequency of instances is a prime factor in its structure and operation. Since frequency of a particular usage pattern is both a result and a shaping force of the system, frequency has an indispensable role in any explanatory account of language » Kemmer e Barlow (2000, XV, IX). 55 « [There is an] intimate relation between usage, synchronic variation, and diachronic change : Patterns in usage data are in general patterns of variation along different dimensions of various kinds, from formal to social. In a cognitive usage-based model, variant linguistic forms can be thought of as alternate possibilities licensed by the linguistic network. The selection of a given entrenched variant for activation is governed by a complex set of motivating factors, including system-internal as well as contextual, situational factors. As observed in the seminal work of Labov, variation is highly structured, not only in the individual's system, but across groups of speakers. The effects of usage on the linguistic system […] lead us to expect that speakers' language will be influenced by the productions they hear in particular speech communities of which they are members. […. ]”the more speakers talk to each other the more they will talk alike, and so linguistic variation will pattern along lines of social contact and interaction » Kemmer e Barlow (2000, XVII). 56 Goldberg (2006), Goldberg (1995), Bybee (2001), Bybee (2006), Feldman (2006), Lakoff e Johnson (1999), Chater e Manning (2006), Goldsmith e Aris (2009), Manning (2003) 57 Vedi Langacker 1998 citato supra nota 52 58 « I am quite sure that Christopher Manning is right when he writes that ‘[during] the last 15 years, there has been a sea change in natural language processing (NLP), with the majority of the field turning to the use of machine learning methods, particularly probabilistic models learned from richly annotated training data, rather than relying on hand-crafted grammar models’ (Manning 2002b:441)”Newmeyer (2003, 682). 59 « I believe that the great majority of psycholinguists around the world consider the competence- performance dichotomy to be fundamentally wrongheaded”. (Newmeyer 2003, 682). 60 Questa constatazione era già stata fatta da Tomasello (1995, 135). « The list [of innate aspects of language] contains things that no nonlinguist would ever recognize: such things as the projection principle, the empty category principle, the subjacency constraint, and the coordinate structure constraint. All of these universals are described in linguistically specific terms such that it is very difficult to relate them to cognition in other psychological domains”. 61 « First and most importantly, there is the evidence that has mounted n the past quarter-century that significant aspects of grammars are motivated by considerations of use. Functional linguists and generative linguists with a functional bent have provided (to my mind) incontrovertible evidence that grammars are shaped in part by performance considerations”(Newmeyer 2003, 683). 35 argomenti empirici contrari alla tesi della povertà dello stimolo vedi per esempio Pullum e Scholz (2002), Sampson (2002). Per una difesa di questa tesi vedi Berwick, Pietroski, Yankama e Chomsky (2011). 80 Numerosissime funzioni sintattiche, coordinazione, subordinazione, inversione del soggetto ecc. sono analizzate in questa prospettiva. Vedi per une presentazione Parisse (2005). 81 Ciò che Mufewene (2001) a opportunamente chiamato l’ecologia del linguaggio. 82 Vedi per esempio Elman e Lewis (2001) per un approccio neurocomputazionale, Perfors, Tenenbaum e Regier (2006) per un'analisi bayesiana della posizione dell’ausiliare nelle interrogative, Foraker, Regier, Khetarpal, Perfors e Tenenbaumb (2009) per un'analisi bayesiana delle anafore, Reali e Christiansen (2005) per un'analisi statistica della posizione degli ausiliari nelle domande polari. 83 « In fact, as long as the notion of identifiability in the limit from any environment has no obvious psychological interpretation. there is little of psychological interest to be concluded from Gold's Theorem […] Despite its simplicity, many authors have taken Gold's Theorem to threaten some fundamental views about the mind, and they have responded with various criticisms. However many of these attacks are misguided for largely formal reasons. But a look at the details shows that Gold's Theorem is still of questionable direct relevance to cognitive science » Johnson (2004 587). 84 In Levinsonet Jaisson (2006), i risultati di un recente simposio interdisciplinare coordinato dall fondazione Fyssen per l’antropologia. 85 « Emergence of unbounded Merge in human evolutionary history provides what has been called a “ language of thought ” an internal generative system that constructs thoughts of arbitrary richness and complexity, exploiting conceptual resources that are already available or may develop with the availability of structured expressions. If the relation to the interfaces is asymmetric, as seems to be the case, then unbounded Merge provides only a language of thought, and the basis for ancillary processes of externalization. […] The capacity would be transmitted to offspring, coming to dominate a small breeding group. At that stage, there would be an advantage to externalization, so the capacity would be linked as a secondary process to the sensorimotor system for externalization and interaction, including communication » Chomsky (2007,22, 23). 86 Posizioni che Chomsky (2007, 1) attribuisce esplicitamente ai behavioristi skinneriani e più particolarmente agli strutturalisti (americani ed europei) preoccupati prima di tutto di corpus e di metodi di raccolta di dati, al primo posto dei quali cita Harris e la sua opera Methods in structural linguistics. Langacker non ricusa questa constatazione quando nota : « language has two basic and closely related functions: a semiological function, allowing thoughts to be symbolized by means of sounds, gestures, or writing, as well as an interactive function, embracing communication, expressiveness, manipulation and social communion. A pivotal issue in linguistic theory is whether the functions language serves should be taken as foundational or merely subsidiary to the problem of describing its form. The recognition of their foundational status is the primary feature distinguishing functionalist approaches to language from the formalist tradition (notably generative grammar)» Langacker (1998, 1). 87 Nei due volumi che ha riunito col titolo sufficientemente esplicito « The new psychology of language : cognitive and functional approaches to linguistic structure » Tomasello (1998), Tomasello (2008a) presenta in questo modo i contributi di linguisti operanti nell'ambito dei modelli basati sull’uso, molti dei quali parteciparono ai dibattiti della semantica generativa e delle linguistiche che ne sono derivate : Langacker, Talmy, Fillmore, Fauconnier, Givón, ma anche Croft, Bybee, Goldberg, Haspelmath, Van Valin ecc., il che identifica abbastanza bene la corrente linguistica sulla quale si fonda. 88 « In diametric opposition to [generative] methodological assumptions, cognitive-functional linguists take as their object of study all aspects of natural language understanding and use, including unruly idioms, metaphors, and irregularities. They […] take as an important part of their data not disembodied sentences derived from introspection, but rather utterances or other longer sequences from naturally occurring discourse » Tomasello (2008a, XII). 89 Dalla questione dei « truffatori » sorge così un'interrogazione sulla dissimmetria tra benefici ed obblighi. Si troveranno delle indicazioni sugli sviluppi dell’altruismo reciproco nella sociologia morale e politica, nella teoria dei giochi e finanche nella modelizzazione matematica dei comportamenti e dei mercati, per esempio in Clavien (2010). 90 « Specifically, human cooperation is structured by what some modern philosophers of action call shared intentionality or “ we”intentionality In general, shared intentionality is that is necessary for engaging in uniquely human forms of collaborative activity in which a plural subject “ we”is involved: joint , intentions, mutual knowledge, shared beliefs-all in the context of various cooperative motives» Tomasello (2008b, 7). 36 91 « specifically, human beings cooperate with one another in species-unique ways involving processes of shared intentionality [… ]This fundamentally cooperative process makes human communication utterly different from the communicative activities of all other species on the planet » Tomasello (2008b, 72, 99). 92 « At some point in human evolution, Homo Sapiens evolved the ability to communicate with another symbolically. […] These transformations of linguistic structure occur as a result of social-interactive processes » Tomasello (2008b), « And what about language? The current hypothesis is that it is only within the context of collaborative activities in which participants share intentions and attention, coordinated by natural forms of gestural communication, that arbitrary linguistic conventions could have come to existence evolutionarily […] this perspective on human communication and language thus basically turns the Chomskian proposal on its head, as the most fundamental aspects of human communication are seen as biological adaptations for cooperation and social interaction in general, whereas the more purely linguistic, including grammatical, dimensions of language are culturally constructed and passed along by individual linguistic communities » Tomasello (2008b, 9, 11, 163). 93 Qui traspare la tesi dei linguisti cognitivi e di quelli dell’uso (Langacker 1987,1991), Fauconnier (1997), Lakoff e Johnson (1999). Con ogni evidenza, non si tratta di una casualità. 94 « If grammatical structure do not come directly from the human genome, as above-reported data suggest they do not, and if children do not invent then de novo, as they clearly cannot, then it is legitimated to ask, Where do grammatical structures come from? The answer is that, in the first instance they come from processes of grammaticalization in language history. […]”Even so, grammaticalization by itself is not enough because, it does not account for the abstractness of linguistic structures. […. ] children make this contribution in more extended developmental processes in which they apply their general cognitive, social-cognitive, and vocal-auditory processing skills to the historical products of grammaticalization » Tomasello (2008b, 163). 95 Si può riconoscere qui, il dibattito che attraversa tutta la storia della grammatica e della filosofia : le categorie dell’intelletto (per esempio quelle grammaticali) sono a priori o costruite dall’attività cognitiva? Questo dibattito si è recentemente rianimato nel campo della matematica: da un lato Connes difende una posizione platonica sul carattere a priori degli elementi e delle leggi matematiche che lo scienziato non fa che (ri)scoprire, dall’altro Changeux ribatte che abbiamo a che fare sempre con costruzioni mentali che nascono dal rapporto tra le funzioni cognitive superiori e i dati dell’esperienza e del contesto. Vedi Changeux e Connes (1989). 96 « La grammatica è un oggetto sistematicamente ambiguo che designa nel contempo l'oggetto mentale costruito dal bambino che apprende la propria lingua materna e l'oggetto astratto costruito dal linguista per rendere conto di questo apprendimento : “ Impieghiamo il termine “ grammatica”per designare nel contempo il sistema di regole rappresentato nel cervello del locutore/auditore, sistema che si acquisisce normalmente nella prima infanzia ed è utilizzato nella produzione ed interpretazione delle enunciazioni, e la teoria che il linguista costruisce a titolo di ipotesi a proposito della grammatica interiorizzata del locutore/auditore ». (Chomsky Halle 1968, 26). 97 « La lingua non può procedere come il grammatico, possiede un altro punto di vista e non le sono dati gli stessi elementi, fa ciò che il grammatico considera degli errori ma che tali non sono, dato che essa sancisce solo ciò che ha immediatamente riconosciuto. […] Tra l'analisi soggettiva dei soggetti parlanti stessi (che è la sola che conta!) e l'analisi obiettiva dei grammatici, non c'è quindi alcuna corrispondenza, anche se, in definitiva, sono ambedue fondate sullo stesso metodo (confronto di più serie) » Saussure (1916 edizione Engler 1968, 2759).
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