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Variazione Linguistica, Appunti di Linguistica

Appunti completi delle lezioni di Variazione Linguistica

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 08/06/2024

chiara.lucchese
chiara.lucchese 🇮🇹

4.6

(5)

17 documenti

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Scarica Variazione Linguistica e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! VARIAZIONE LINGUISTICA Letture settimane 1-2: - A ritroso nel tempo per capire le relazioni fra le lingue, Cristina Guardiano - Lingue e storia umana, Cristina Guardiano - Ricostruzione di lingue e culture, Romano Lazzeroni Letture settimane 3-7 (i principali su cui verteranno le domande d’esame) - La sintassi come segnale di relazione storica, Giuseppe Longobardi e Cristina Guardiano à tralasciare la parte di commento ai risultati storici, importante capire punti di riferimento e principali procedimenti metodologici del metodo di comparazione parametrica - Syntactic diversity and language learnability, Paola Crisma, Cristina Guardiano e Giuseppe Longobardi à spiega il sistema dei parametri, quali sono i parametri sintattici usati nella comparazione parametrica e come individuare nelle lingue i dati che servono a fissare questi parametri. Parti più importanti le due appendici elettroniche - Towards a syntactic phylogeny of Indo-European languages, Giuseppe Longobardi Modalità d’esame: - 6 domande a risposta multipla (3 risposte): risposta corretta +2 punti, risposta errata -1, non data 0 - 5 domande in cui si dovrà, sulla base di istruzioni date sull’esercizio, fissare 5 parametri diversi nella nostra lingua utilizzando dati della nostra lingua o di altre che conosciamo - 2 esercizi di analisi comparativa NB Si potrà tenere una copia cartacea delle letture in programma (senza appunti) e delle slide mostrate a lezione e saranno consultabili durante l’esame. Non si potranno tuttavia portare le slide relative alle esercitazioni. Lezione 1 Metodo di comparazione parametrica: metodo di ricerca storica che fa uso di alcune proprietà delle lingue per obiettivi di ricostruzione storica. Come si fa ad utilizzare le lingue per comprendere qualcosa di più della storia umana. Metodo pensato all’inizio degli anni 2000 (metodo ancora preliminare) e da lì sono state costruite e consolidate le basi metodologiche, concettuali e teoriche. Non esiste un manuale di comparazione parametrica, anche a livello universitario si tratta di uno dei primissimi tentativi di insegnare agli studenti la comparazione parametrica. Il metodo di comparazione parametrica è un metodo di analisi storica che fa uso di certi particolari tratti linguistici e, in particolare, di certi particolari aspetti della diversità linguistica, per cercare delle informazioni sulla storia profonda delle lingue umane e di conseguenza anche delle popolazioni umane. La novità del metodo di comparazione parametrica consiste nel fatto che utilizza come strumento di analisi dei tratti linguistici che sono le strutture profonde delle lingue umane che non sono mai stati utilizzati prima per fare ricerca storica. La novità principale del metodo è quindi l’utilizzo di queste strutture cognitive astratte del linguaggio umano che prendono il nome di parametri sintattici. Di identificare il nucleo di struttura profonda del linguaggio umano e le sue caratteristiche universali se ne occupa una branca della linguistica chiamata linguistica cognitiva o linguistica formale o biolinguistica. Questa disciplina ha l’obiettivo di scoprire il nucleo universale che governa qualunque forma di linguaggio umano. Nel tentativo di capire com’è fatto il nucleo universale del linguaggio umano la linguistica cognitiva ha formulato alcune ipotesi (teoria dei principi e dei parametri). Un’altra disciplina che sarà importante prendere in considerazione poiché ha fornito una parte importante degli strumenti del metodo di comparazione parametrica è la filogenetica computazionale. La filogenetica computazionale è una disciplina che sta al confine fra discipline informatiche, discipline statistiche e discipline linguistiche che ha introdotto nello studio del linguaggio umano, ed in particolare nello studio della storia del linguaggio umano, gli strumenti più avanzati di natura computazionale a disposizione degli studiosi. Nelle scienze contemporanee è impossibile fare analisi scientifiche senza che gli esperimenti siano consolidati da indagini quantitative. Un aspetto importante per il metodo di comparazione parametrica, così come per tutti gli altri metodi di indagine scientifica in ambito linguistico, è l’analisi della diversità linguistica. Con il termine diversità linguistica si fa riferimento al fatto che ogni essere umano produce prodotti linguistici (= qualunque parola, frase, enunciato, che un parlante è in grado di produrre quando parla, scrive o digita) diversi da ogni altro parlante, alcuni si somigliano più di altri, mentre altri sono talmente diversi da impedire la mutua comprensibilità. Nella percezione comune la diversità linguistica è percepita come un ostacolo (se parliamo due lingue diverse non ci capiamo e non riusciamo a comunicare e interagire reciprocamente), tanto che nel contesto attuale si cerca di aggirare l’ostacolo, per esempio utilizzando una lingua non nativa di nessun parlante ma percepita come lingua franca, di comunicazione generale (es. l’inglese), una lingua di nessuno ma parlata da tutti. Per un linguista invece la diversità linguistica non è un ostacolo ma una fonte di scoperta e attraverso lo studio della diversità linguistica i linguisti cercano di capire cosa c’è di universale nel linguaggio umano, qual è il nucleo fondativo del linguaggio umano, cosa deve avere l’essere umano per essere un parlante. È evidente che il linguaggio umano è un’entità unica, per quanto le sue manifestazioni siano diverse da parlante a parlante, nonostante questa molteplicità di diverse manifestazioni linguistiche è evidente che esiste un linguaggio umano condiviso da tutti i membri della specie umana con delle caratteristiche che si manifestano nello stesso modo in tutti i membri della specie umana, cioè ha un nucleo universale che è invariante nella specie umana. Il linguaggio umano è una proprietà specie specifica cioè è una proprietà biologica che caratterizza la specie umana, è peculiare solo della specie umana, non lo condividiamo con nessun’altra specie ci sono tante specie viventi che sono in grado di interagire fra loro attraverso mezzi di comunicazione varia ma nessun altra specie vivente ha mai sviluppato un'entità paragonabile al linguaggio umano. Quindi il linguaggio umano: - È una proprietà universale perché e tutti gli esseri umani, tutti i membri della specie la possiedono Per metodo scientifico si intende una serie di procedimenti controllati di misurazioni o di esperimenti che servono a testare un’ipotesi o una domanda di ricerca. La caratteristiche che devono avere gli esperimenti per essere definiti scientifici sono: - le misurazioni devono essere oggettive: basate su delle unità di misura definite chiaramente che possono essere replicate. - devono essere ripetibili: qualunque esperimento e misurazione deve poter essere rifatta con gli stessi strumenti e attraverso le stesse unità di misura da qualcun altro che possa confermare o smentire le tesi del primo. - Quando studio un fenomeno devo farlo controllando tutti i fattori che possono condizionare quel fenomeno, quindi isolando il fenomeno che sto osservando da tutti i fenomeni contestuali (quindi analizzare il fenomeno in condizioni ideali = condizioni in cui tutto ciò che potrebbe influenzare viene controllato)à compio un’ASTRAZIONE: non lo analizzo come si manifesterebbe nel mondo reale ma astraendolo da tutti i fattori condizionanti - Gli esperimenti devono permettere di fare delle generalizzazioni: devo individuare una legge astratta universale che si applichi non al singolo fenomeno ma a un’intera classe di fenomeni che condividono certe caratteristicheà generalizzazione: una formula non tangibile che rappresenta una regola generale che spiega e rende possibile una classe di fenomeni empiricamente osservabili Formulare una legge scientifica (fare una generalizzazione) significa spiegare un fenomeno o più specificamente una classe di fenomeni. Un procedimento che segue il metodo scientifico procede per livelli di astrazione. Parto dall’osservazione di un fenomeno o da una classe di fenomeni e mi pongo il problema di capire quali sono le regole che permettono a un certo di fenomeno di verificarsi come io lo vedo e che permettono a una certa classe di fenomeni (anche che non vedo) di verificarsi nel modo in cui si verificano. Una legge scientifica permette di fare delle previsioni su un certo fenomeno con certe caratteristiche. Fasi: 1. Osservazione: di un certo fenomeno o classe di fenomeni o oggetto del mondo che voglio osservare scientificamente, permettendomi di fare delle ipotesi sul perché quel fenomeno è così come lo vedo 2. Descrivere: fare delle misurazioni oggettive, esperimenti replicabili, per testare questo fenomeno è necessario che faccia una serie di osservazioni specifiche, un esperimento che mi permetta di misurare le caratteristiche di quell’oggetto o fenomeno per estrarre una generalizzazione/regola generale che spieghi non solo il fenomeno singolo ma una serie di fenomeni con lo stesso principio 3. Spiegare: formulare una legge universale La linguistica cognitiva risponde a tutte queste caratteristiche, il suo obiettivo è spiegare il linguaggio umano, individuare una serie di leggi universali che spieghino perché il linguaggio umano è così com’è. Deve definire gli aspetti universali del linguaggio umano ma deve anche spiegare la diversità osservabile nelle lingue umane. Come per tutte le osservazioni scientifica anche per la linguistica l’osservazione parte dal dato empirico, cioè dalle lingue come le vediamo manifestarsi nella vita quotidiana di ciascun essere umano. Problema dell’idealizzazione: Per lo studio del linguaggio umano è molto complesso perché i prodotti dell’attività umana e anche il linguaggio umano sono frutto dell’intersecarsi molto complesso di una enorme serie di fattori contestuali. Il modo in cui ogni parlante realizza fatti concreti di lingua e i fatti concreti di lingua stessi, sono costantemente condizionati dal contesto: - Sono condizionati dal mezzo attraverso cui si produce lingua (scritto, orale, digitato) - Sono condizionati dal contesto in cui produciamo lingua (per noi stessi, per interagire con un nostro pari, per scopi di natura personale o professionale) - Il luogo fisico ha un influsso importante nel tipo di prodotti linguistici che produciamo. - Il tempo anche influisce (1000 anni fa si parlava in modo diverso perché c’era un contesto sociale diverso) Analizzare questi fattori serve a identificare la competenza del parlante, isolandola da tutti i fattori esterni che interferiscono con la produzione effettiva di lingua da parte del parlante. Misurare l’impatto di questi fattori esterni sui prodotti linguistici è oggetto di studio della sociolinguistica. La sociolinguistica quantitativa è stata fondata a metà del Novecento da William Dabof. Ha costruito degli strumenti per misurare oggettivamente l’impatto che diversi tipi di fattori contestuali hanno sulla realizzazione di specifici fenomeni linguistici. Misurare l’impatto che questi fattori contestuali hanno sulla concretizzazione della lingua aiuta ad isolare questi fattori, cioè astrarre da questi fattori per risalire alla competenza di fondo, al nucleo universale della competenza linguistica che dal punto di vista della linguistica cognitiva ci intessa studiare. Condurre esperimenti controllati sotto questo punto di vista significa prendere i dati linguistici concreti, cercare di capire come e cosa incide quali fattori incidono sulla produzione di quei dati e quanto ciascun singolo fattore incide su quel certo fenomeno o su quella classe di fenomeni. Per poter fare un'osservazione e una descrizione scientifica di un fenomeno/classe di fenomeni è necessario dotarsi di unità di misura condivise, cioè di unità di misura che chiunque altro voglia condurre un certo esperimento può adottare per ripetere le misurazioni. Queste unità di misura ci vengono fornite dalla linguistica generale. La linguistica generale (linguistica teorica) ha elaborato tutta una serie di unità di misura che servono a descrivere il linguaggio umano. Quindi per esempio un linguista sa che prodotti concreti (quindi le lingue concrete) che noi vediamo e sentiamo intorno a noi sono caratterizzate da diversi livelli di articolazione. Livelli di articolazione: significa che ogni prodotto linguistico è costituito dalla combinazione di una serie di unità minimali che si combinano fra loro secondo delle regole precise, universali, per produrre unità di livello superiore, le quali a loro volta si combinano fra loro per produrre unità di livello superiore e così via. I livelli di articolazione principali in cui si articola il linguaggio umano sono: - Livello dei suoni: • unità minime di articolazione, le entità più piccole combinando le quali si ottengono prodotti linguistici • le discipline che lo studiano sono la fonetica (studia fisicamente com’è fatto un suono umano) e la fonologia (come la nostra competenza linguistica codifica i suoni che la bocca produce, studia il significato linguistico che ogni parlante attribuisce a un suono e il modo in cui gli esseri umani combinano i suoni fra loro per formare entità di livello superiore) • ogni suono che un parlante produce sarà sempre diverso da tutti quelli prodotti dagli altri parlanti e dallo stesso parlante, nonostante ad alcuni, anche se diversi, attribuiremo lo stesso significato linguistico (è la competenza linguistica che fa queste associazioni) à es. rana con e senza erre moscia lo intendiamo sempre come rana • esiste un certo numero di suoni che possono essere combinati in un gran numero di combinazioni (non sono infinite perché alcune combinazioni violano principi articolatori o principi di combinazione più astratta di unità fonologica che il parlante non riesce a violare, per cui non vengono accettati dalla nostra competenza linguistica) à alcuni di questi principi astratti sono universali, altri valgono solo per alcune lingue - Livello dei morfemi (successivo a quello dei suoni): • Morfemi: entità linguistiche che possono coincidere con un singolo suono o essere combinazioni articolate di suoni, a differenza dei suoni hanno anche associato un significato • Suoni diversi corrispondono a significati diversi à es. rana e rane, hanno un suono diverso ma sono due parole con significati diversi, non come prima che venivano intesi sempre come rana à a ed e, quindi sono frammenti di parola cui è associato un significato (a = femminile singolare; e = femminile plurale) • Alternanza morfologica: a questa alternanza (tra a ed e) io associo una differenza di significato • Morfologia: disciplina che si occupa di capire come in ogni elemento della lingua si distribuiscono diversi tipi di informazioni e significati à scopriamo che esistono morfemi che codificano certi tipi di significati ed altri che ne codificano altri. • Morfemi lessicali: classe di morfemi che esprimono significati per cui collegano una certa parola a una certa classe di oggetti, eventi, azioni, caratteristiche • Morfemi grammaticali: danno le informazioni tecniche, grammaticali o funzionali relative a una certa parola (plurali/singolari, maschili/femminili, tempo presente/futuro, numero della persona) à danno info su come si possono usare all’interno di una frase • Accordo morfosintattico: processo interno alla lingua (visibile in alcune lingue e in altre no) che riguarda la combinazione delle parole all’interno di strutture più grandi e per il quale tutte le parole che fanno parte della stessa struttura devono contenere le stesse informazioni grammaticali à si osserva per esempio tra soggetto e verbo: se il soggetto è in prima persona singolare il verbo sarà in prima persona singolare • L’accordo morfosintattico è un esempio di legge, di generalizzazione à quindi se è attiva questa regola tra articolo e nome, tutte le volte che costruisco una struttura Se intendiamo la storia come documentazione l’unico strumento a nostra disposizione per ricostruire il passato sono le fonti. C’è però un altro modo di intendere la storia, più dinamico e più vicino al concetto di scienza. Qui la storia non è più solo documentazione di eventi ma identificazione di processi. Lo stesso evento non viene studiato solo come singolo evento ma come una delle manifestazioni di un certo processo. È questo che intende Mark Bloch quando parla di ‘’scienza degli uomini nel tempo’’. La storia contemporanea è una scienza a lungo termine perché si pone di ricostruire eventi del passato che non sono documentati da alcun tipo di fonte. Significa identificare attraverso lo studio degli eventi concreti che abbiamo documentato, identificare dei processi che possiamo proiettare anche su eventi di cui non abbiamo alcuna documentazione. Possiamo quindi fare delle previsioni. Questo è esattamente ciò che fa una legge: essa mi permette di prevedere come si svolgerà un certo evento in base a una serie di parametri. Conoscere un processo storico significa dotarsi di strumenti che mi permettano di proiettare su un tempo di cui non ho documentazione certi fenomeni e avere degli strumenti che mi permettano di spiegare ciò che io vedo oggi come il prodotto di una serie di eventi di cui io non ho evidenza empirica ma che devono per forza essersi verificato perché ciò che vedo oggi sia possibile. Spiega il presente ipotizzando l’esistenza di fenomeni che devono necessariamente essere esistiti per spiegare i fenomeni attuali anche se non li abbiamo mai visti. La storia contemporanea ha l’ambizione di ricostruire andando indietro nel tempo eventi che non sono mai stati visti o documentati che però devono esserci stati per forza per spiegare ciò che noi oggi vediamo. Questi eventi prendono il nome di migrazioni umane. Lezione 3 Due concezioni di storia: - Storia come testimonianza/storiografia (Tucidide – Grecia classica): • orientamento descrittivo: descrizione precisa e oggettiva di eventi del passato di cui esiste documentazione concreta/evidenza empirica, descritti nei loro singoli aspetti specifici ma anche spiegati come risultato congiunto di una serie di forze che li hanno prodotti/causati • limite: non ci permette di fare proiezioni a lungo termine, consideriamo come storia solo ciò di cui abbiamo fonti empiriche, ciò che non è documentato da testimonianze non è storia in questa concezione - Storia come scienza dinamica: • studio di processi generali, più astratti, cui soggiacciono tutti gli eventi empirici che siamo in grado di osservare e testimoniare • Quello che conta non è il singolo evento storico in quanto tale ma il processo/insieme di processi che consente il verificarsi di una serie di eventi storici con caratteristiche comuni • Obiettivo ricerca storica contemporanea: non la precisione della descrizione dell’evento empirico ma l’identificazione delle leggi generali cui i singoli eventi storici osservabili soggiacciono • Necessari elementi ulteriori: elementi di analisi quantitativa per fare previsioni su processi astratti cui soggiacciono gli eventi concreti, necessario formulare generalizzazioni basate sull’osservazione di un numero molto ampio di fatti à necessario discriminare tra eventi casuali ed eventi frutto di una serie di processi astratti à le scienze storiche oltre all’aspetto qualitativo diventano anche scienze quantitative Ad aver svolto un ruolo importante nella creazione di questo nuovo paradigma è stata la genetica di popolazioni. Mark Bloch: ‘’scienza degli uomini nel tempo’’ Si osservano gli spostamenti delle popolazioni (migrazioni umane), di gruppi di uomini che hanno definito l’attuale distribuzione delle popolazioni nel globo. Quando gli uomini si spostano, non portano con sé solo il materiale genetico ma anche del materiale culturale: - prodotti della cultura materiale: oggetti, vestiti, attrezzi, tecnologie, metodi di costruzione - cultura ideologica/immateriale: sistema ideologico-concettuale che qualunque società umana porta con sé e costruisce in quanto aggregazione umana à religione, forme di regolamentazione sociale-civile (codici di leggi ecc.) la disciplina che si occupa delle tracce biologiche che le popolazioni umane lasciano spostandosi da un luogo a un altro è la biologia o più nello specifico la genetica di popolazioni. La disciplina che si occupa della cultura materiale è l’archeologia. La disciplina che studia la cultura immateriale-ideologica è l’antropologia e in parte la sociologia. Tutte queste discipline osservano/studiano fatti, eventi ed oggetti empiricamente attestati e lo fanno non solo nella prospettiva storica (cioè guardando al passato) ma anche guardando al presente à studiano eventi/fatti che osserviamo nelle società di oggi per cercare dei processi più astratti da cui gli eventi che osserviamo empiricamente discendono. Alla base di tutte queste discipline, quindi, c’è l’osservazione del presente. Non si può fase storia se non si ha bene in mente il presente e non si può avere un’idea del presente se non si ha idea di come certi eventi del presente rappresentino uno dei tanti modi di realizzarsi dei processi più generali realizzati anche nel passato. à Storia = disciplina che studia passato in funzione del presente e il presente in funzione del passato. Una delle discipline che hanno già un po’ guidato questa nuova prospettiva è la genetica di popolazioni. La geetica di popolazioni nasce da una delle scoperte più importanti del mondo contemporaneo, la scoperta del DNA, la scoperta dell’esistenza di un codice di regole astratte che governa tutte le caratteristiche biologiche, cognitive e anatomiche dell’essere umano. Da qui sono discese una serie di altre scoperte fra le quali rientra la nascita della genetica di popolazione, ovvero una disciplina che utilizza certe caratteristiche del genoma umano per individuare e classificare le popolazioni umane. Com’è costituita la struttura genetica/genomica di un essere umano? Tutti noi abbiamo delle caratteristiche/tratti identici che ci distinguono in quanto specie da tutte le altre specie. Ci sono delle caratteristiche del nostro genoma specifiche della specie umana e tra queste ci sono: - delle caratteristiche universali che tutti noi possediamo in quanto esseri umani - delle caratteristiche variabili, cioè ci sono degli individui che hanno dei tratti genomici, delle porzioni diverse dagli altri individui. Questi tratti comuni e queste differenze hanno delle manifestazioni empiriche nelle nostre caratteristiche fisiche. Non tutte le differenze interne si manifestano all’interno e non tutte le differenze esterne sono motivate da differenze interne. Quindi la diversità è codificata nella nostra struttura genetica. L’intuizione di Cavalli Sforza e di tutti gli studiosi che hanno creato la genetica di popolazione è stata quella di studiare come si distribuisce la porzione di diversità, come si distribuiscono i tratti variabili da individuo a individuo. La diversità è casuale o si può dare un ordine alla diversità? La risposta è che la diversità per una larghissima parte non è casuale, c’è una ragione per cui certi individui condividono certe caratteristiche e altri no. Si può quindi classificare gli individui in gruppi sulla base del fatto che un certo numero di individui condivide un certo numero di tratti comuni che non condividono con altri. Un gruppo di individui che condivide un certo numero di tratti genetici in comune è una popolazione. A loro volta le popolazioni si possono ordinare/classificare in base a quante caratteristiche genetiche una popolazione condivide con un’altra. Ci sono popolazioni più simili le une alle altre e altre geneticamente più distanti (concetto di distanza genetica). La distanza genetica si può misurare attraverso delle misurazioni di distanza più o meno raffinate e ci permette di confrontare popolazioni le une con le altre. Posso quindi misurare la distanza tra una coppia di popolazioni A e B, poi tra A e C e infine tra B e C e sulla base di queste misurazioni ordinare le coppie e fare una gerarchia. Subentra quindi la necessità di spiegare il perché una certa coppia ha una distanza genetica minore rispetto a un’altra. La spiegazione che danno i genetisti di popolazione è la comune origine storica: il fatto che due popolazioni siano molto vicine geneticamente è che si siano da poco separate a partire da una comune popolazione originaria à distanza genetica minore = tempo di separazione minore à distanza genetica maggiore = separazione più antica La distanza genetica di due popolazioni è quindi funzione del tempo trascorso dalla loro separazione. classico, ovvero il metodo scientifico che i linguisti hanno costruito per dimostrare la parentela fra le lingue. La linguistica storica stava scoprendo in quel periodo che esistono dei legami tra le lingue tali che è possibile ricostruire i percorsi che hanno portato un certo numero di lingue a diversificarsi da una lingua comune. I linguisti in quel periodo stavano costruendo i primi alberi genealogici delle famiglie linguistiche. La linguistica storica sviluppava la nozione di famiglia linguistica, spiegava certi tipi di somiglianze tra lingue diverse come il risultato di una comune origine storica. In questa visione dello sviluppo storico delle lingue le lingue venivano trattate come esseri viventi che nascono, si sviluppano, si riproducono dando origine a nuovi esseri che si sviluppano a loro volta à affinità tra oggetti di studio della linguistica e della biologia. Nel momento in cui Cavalli Sforza ha avuto a disposizione un albero genealogico delle popolazioni umane, ha provato a testare l’ipotesi di Darwin mettendolo a confronto con un albero genealogico delle lingue umane. Il problema di questi studi è che nessun linguista ha mai preso sul serio questa rappresentazione e le sue derivazioni. Questo perché queste ipotesi si basano su un albero genealogico delle lingue umane che non ha nessun valore scientifico, in quanto costruito (almeno in parte) utilizzando un metodo di ricostruzione storica i cui risultati non sono considerati scientificamente attendibili. Nel corso dell’Ottocento i linguisti storici hanno fatto della linguistica una disciplina scientifica storica perché hanno elaborato il metodo comparativo classico grazie al quale è possibile fornire la prova scientifica della parentela scientifica. Quando vedo che due lingue si somigliano molto (es. parole simili) posso avere il sospetto che queste somiglianze non siano casuali e una delle possibili spiegazioni di queste somiglianze può essere la parentela, quindi l’origine comune delle due lingue dalla quale si sarebbero separate (ipotesi storica). Per fornire la prova dell’origine comune (se quell’origine non è documentata) devo individuare una serie di tratti che provino, che siano oggettivamente derivati, dalla stessa lingua (corrispondenze fonetiche regolari o sistematiche). Se tra due lingue individuo anche solo una corrispondenza fonetica sistematica regolare, quella è la prova che le due lingue sono derivate da una lingua originaria. Il numero di corrispondenze mi dice poi la vicinanza/lontananza tra le due lingue, tuttavia mi basta trovare solo una corrispondenza sistematica per avere la prova della loro origine storica comune. Se però non trovo nessuna corrispondenza non posso comunque escludere un’origine comune poiché potrebbe semplicemente esser passato così tanto tempo da non lasciare alcuna traccia. à di fronte alla presenza di una/più corrispondenze ho la certezza dell’origine comune, di fronte all’assenza non ho certezze né della parentela né della non parentela. Le corrispondenze fonetiche sono delle regolarità che si riscontrano tra due lingue, in una certa classe di parole, fra suoni. Quindi dato il suono X nella lingua A in una certa posizione, troverò in una lingua B il suono Y nella stessa posizione. Corrispondenza vuol dire che a un certo suono di una lingua ne corrisponde un altro (uguale o no) in un’altra lingua. Quello che si osserva quando si cerca una corrispondenza fonetica sono caratteristiche superficiali (i suoni). Proprio perché la forma fonetica delle parole è superficiale è anche quella che tende a cambiare più rapidamente nel tempo. Non è quindi improbabile che quando osservo due lingue che non hanno un’origine comune vicina, quelle due lingue abbiano perso caratteristiche fonetiche che ci permettano di ricostruire delle corrispondenze. Se ci troviamo in una situazione particolarmente fortunata (es. famiglia indoeuropea, semitica), di cui abbiamo numerose attestazioni diacroniche siamo in grado di ricostruire la storia di queste famiglie con una buona approssimazione. Quando non siamo così fortunati (es. lavoro di Greenberg quando ha voluto ricostruire le lingue dei nativi americani) ci si trova nella condizione di tentare di ricostruire le relazioni storiche tra le lingue senza avere nessun sostegno da dati documentari. Greenberg decise di creare un nuovo metodo, il metodo di comparazione di massa, ovvero un metodo di confronto fra le lingue che parte da due punti di riferimento: 1. l’intuizione che è molto improbabile che se due lingue condividono centinaia di somiglianze lessicali (parole comuni, uguali o molto simili), è molto difficile che ciò avvenga per caso à somiglianza non è prova di parentela ma forte indizio di parentela 2. se queste somiglianze si notano non fra due lingue ma fra gruppi di lingue, è sempre meno probabile che sia un caso. Alla qualità del dato (corrispondenza fonetica che è prova schiacciante di parentela) Greenberg sostituisce la quantità à statisticamente difficile definire come casuale una concatenazione di eventi per cui gruppi di lingue diverse condividono interi gruppi di parole I meriti del metodo di comparazione di massa sono: - l’aver tentato di trovare un metodo alternativo di analisi storica che potesse essere applicato laddove il metodo comparativo classico non può essere applicato. - aver introdotto la componente quantitativa all’interno della linguistica storica. Il problema del metodo di comparazione di massa è che le somiglianze non possono mai essere usate come prova assoluta di parentela linguistica. Al massimo come prova che c’è stata una relazione storica tra le lingue (che siano entrate in contatto) ma non della loro origine comune. Nonostante ciò le applicazioni che Greenberg ha fatto sulle lingue dei nativi americani tramite il metodo di comparazione di massa non sono mai state totalmente smentite. L’applicazione del metodo di comparazione di massa per costruire questo albero produce delle ipotesi che non sono solide da nessun punto di vista e quindi nessun linguista storico le prende in considerazione, così come le ipotesi che scaturiscono da questo albero. La ricerca sulla congruenza genilingue si è un po’ arrestata perché i linguisti non sono mai stati in grado di dare ai genetisti un albero genealogico attendibile da poter confrontare con quello delle popolazioni umane. Si è deciso di porzionare le analisi, prendere gruppi di popolazioni di cui si conosce la storia e analizzarli isolatamente, in determinati punti del globo e in singoli momenti del tempo. Si è rinunciato al concetto di globalità per fare analisi di congruenza su porzioni relativamente isolate dello spazio. Questo ha prodotto analisi interessanti dimostrando che c’è una certa corrispondenza fra distribuzione delle popolazioni umane e delle lingue umane ma questa corrispondenza non può essere totale perché i meccanismi delle migrazioni umane (distribuzione dei geni) non sono esattamente gli stessi rispetto cui avviene la distribuzione delle lingue. Quindi il limite degli studi storici in linguistica è un limite temporale. Le ipotesi nell’ambito della linguistica corroborate da evidenza scientifica arrivano solo fino a un certo momento e non ci permettono di fare analisi storica profonda, cosa che oggi invece la genetica di popolazione riesce a fare. In questo contesto l’unica soluzione è sfruttare le conoscenze che la linguistica teorica ha prodotto negli ultimi anni per consolidare la linguistica storica (come ha fatto Cavalli Sforza quando si è avvalso della scoperta sincronica del DNA fatta dalla biologia e l’ha utilizzata per consolidare gli studi storici sulle migrazioni umane). Questi fattori di eccezione devono a loro volta poter essere controllabili, cioè l’eccezione non è un evento casuale (come la nozione comune di eccezione ci farebbe credere) ma è un evento che può a sua volta essere previsto. Cioè io devo poter formulare un’altra generalizzazione che dica che la generalizzazione A non si applica se interviene un certo fenomeno. Le eccezioni per essere tali devono essere giustificabili, devo spiegare perché, dato un certo contesto, una certa generalizzazione non è stata applicata. Valutando quante e quali classi di corrispondenze fonetiche sono condivise da due lingue si può stabilire quanto vicina/lontana sia la loro origine comune. E le coppie di lingue si possono a loro volta confrontare, costruendo una tassonomia filogenetica o filogenia (rappresentazione di tutte le relazioni storiche intervenute in un certo gruppo di lingue). Un gruppo di lingue che ha avuto origine comune si chiama famiglia linguistica. Obiettivi della linguistica storica: - La ricostruzione di filogenie, ossia individuare le relazioni storiche intercorse in un certo gruppo di lingue. - ricostruire fasi linguistiche/storiche di una lingua non attestate, ricostruire le lingue originarie (protolingue) da cui un certo gruppo di lingue si è originato, ricostruire gli eventi/passaggi che hanno portato da una lingua originaria alla diversificazione storica di un certo gruppo di lingue. Il processo di ricostruzione consiste nel fare delle ipotesi su come dovevano essere certe parole/suoni in una certa lingua che si ipotizza essere esistita come lingua originaria di due o più lingue ma di cui non ho attestazioni empiriche (no documentazione). Ci troviamo a dover ipotizzare l’esistenza di una lingua della quale non abbiamo alcuna documentazione. Essa sarà quindi una protolingua, ovvero l’ipotesi che una certa lingua sia esistita come lingua madre dalla quale altre lingue si sono sviluppate, che tuttavia non è documentata da nessun dato empirico à ipotizzo che una lingua sia esistita senza mai averla vista Lo scopo della ricostruzione delle protolingue non è solo quello di ipotizzare l’esistenza di una certa lingua ma anche ipotizzare come essa dovesse essere fatta visto che le sue figlie si sono sviluppate in un certo modo. Visto che per ricostruire le tassonomie (parentele linguistiche) usiamo le forme fonetiche delle parole, quello che ricostruiamo delle protolingue sono le forme fonetiche delle parole. Protoforma: la forma che una parola avrebbe dovuto avere nella protolingua. In linguistica storica per indicare che una certa forma è una forma ricostruita si usa l’asterisco * a sinistra della parola. In linguistica l’asterisco a sinistra può avere due significati diversi: - a sinistra di singola parola: parola ricostruita (mai vista da nessuno ma deve essere stata più o meno così per giustificare le manifestazioni attuali delle lingue) - a sinistra di sequenza di parole: la sequenza non è una frase, è una sequenza agrammaticale, una sequenza impossibile in una certa lingua date le regole di una certa lingua. Distinzione tra somiglianza e corrispondenza: Non basta la somiglianza a fornire prova di parentela, è necessario identificare altro. Quando vediamo che due lingue si somigliano molto (interi gruppi di parole simili o identici e con stesso significato) è molto probabile che siano imparentate. Una forte somiglianza non è prova di parentela perché esistono tante ragioni diverse per cui due lingue o certe parole tra due lingue possono somigliarsi. à Non è detto che somiglianze lessicali tra due lingue siano parole ereditate da una lingua comune, possono semplicemente essere prestiti linguistici. Prestiti linguistici: fenomeni per cui certe entità linguistiche (es. parole) cominciano ad essere utilizzate dai parlanti di una certa lingua perché i parlanti di quella lingua li vedono usati dai parlanti di un’altra. Quindi il prestito linguistico è un fenomeno di trasmissione orizzontale. Differenza tra trasmissione: - Verticale o diacronica: processo per cui una certa entità linguistica (es. modo di pronunciare una certa parola) viene trasmesso dai genitori ai figli, di generazione in generazione. - Orizzontale o sincronica: tutti gli eventi per cui una certa entità linguistica non viene trasmessa da un parlante ad un altro per generazioni ma viene trasmesso in sincronia, cioè due parlanti che parlano lingue diverse e che vivono nello stesso momento storico si passano un’entità linguistica da una lingua all’altra. In genere i fenomeni a trasmissione orizzontale sono fortemente dipendenti da elementi esterni (es. vicinanza geografica). Normalmente, se due gruppi di parlanti che parlano lingue diverse si trovano a convivere o ad abitare molto vicini, il prestito può essere favorito. Esistono eccezioni per quanto riguarda la vicinanza spaziale in casi di barriere fisiche che impediscono il contatto (es. montagne, fiumi) oppure barriere sociali (es. comunità in scontro tra loro). L’aspetto scientificamente interessante del metodo storico-comparativo risiede nel distinguere fra le somiglianze causate da trasmissioni orizzontali (somiglianze non genealogiche) e le somiglianze che sono il risultato di trasmissione verticale (origine storica comune). Soltanto queste ultime che derivano da un percorso genealogico condiviso sono collegate da corrispondenze fonetiche sistematiche/regolari. Il metodo storico-comparativo classico ci offre quindi uno strumento che ci mette nelle condizioni di smascherare i falsi parenti, cioè discriminare tra somiglianze dovute a un’origine comune (parentela) e somiglianze di altra natura. Le somiglianze di altra natura, spesso, quando sono numerosi, sono frutto di trasmissioni orizzontali/prestiti. Tuttavia c’è una terza causa di somiglianza, ovvero il caso. Può capitare infatti che per puro caso in due lingue diverse per dire la stessa cosa si usino parole identiche o molto simili. È possibile ma molto improbabile per via della proprietà linguistica dell’arbitrarietà del segno linguistico. Arbitrarietà del segno linguistico: principio universale osservabile in tutte le lingue, consiste nel fatto che nelle lingue non c’è nessuna ragione logica-naturale per la quale una certa forma/significante/successione di suoni debba essere associata a un certo significato. à Non c’è nessun motivo naturale per cui in una certa lingua una certa successione di suoni debba significare una certa cosa. à Qualunque lingua può decidere di rappresentare un certo significato con qualunque forma possibile. à Nelle parole l’associazione tra significante (forma fonetica) e significato è arbitraria o convenzionale. Dato il principio di arbitrarietà del segno linguistico non ci aspettiamo che due lingue in maniera indipendente l’una dall’altra scelgano gli stessi significanti per rappresentare gli stessi significati, è molto improbabile. Per spiegare le somiglianze eclatanti tra Sanscrito e Greco, i filologi a partire dai primi anni dell’Ottocento hanno costruito il metodo storico-comparativo classico e hanno trovato un metodo per provare che il Sanscrito e il Greco si somigliano per ragioni storiche, che si sono originate da un unico gruppo comune che è stato chiamato proto-indoeuropeo. I processi di trasmissione orizzontale e verticale nel mondo reale si intersecano gli uni con gli altri. à Ad es. italiano e inglese hanno delle somiglianze per via di un’origine comune ma anche per una comunicazione costante data dalla vicinanza fisica e dal contatto. Motivi somiglianza tra due lingue: - Parentela/trasmissione verticale - Trasmissione orizzontale - Caso (improbabile) Schema utilizzato per spiegare la convergenza reale (trasmisisone orizzontale) à modello delle onde. Questo modello si fonda in larga parte sulla somiglianza derivante dalla vicinanza geografica. Per identificare delle leggi del mutamento i linguisti hanno inventato il metodo storico- comparativo e hanno chiamato queste leggi fonetiche, leggi del mutamento linguistico che non riguardano singole parole in singole lingue ma si applicano a tutti i contesti che hanno certe caratteristiche. à In questo gruppo di parole osserviamo un fenomeno analogo a quanto detto prima, con la differenza che in questo caso italiano e francese sono conservativi mentre lo spagnolo innova. à In questo caso invece osserviamo come ci sia corrispondenza fonetica sistematica ma rispetto al latino tutte e tre le lingue figlie hanno innovato. Questo è un caso in cui la lingua madre (qui non parliamo di protolingua perché il latino è una lingua nota/documentata/attestata come lingua progenitrice di tutte e tre) ha una caratteristica fonetica che non si è mantenuta in nessuna delle lingue figlie, c’è stato un cambiamento fonetico in tutte le lingue figlie. Cambiamento fonetico: cambiamento della pronuncia di un suono originario che si può osservare nel corso del tempo. Cosa genera la corrispondenza sistematica? Il fatto che il cambiamento della pronuncia di un suono non avviene casualmente ma sistematicamente in tutte le parole in cui un certo suono si trova in un certo contesto fonetico. Il cambiamento è regolare quando il passaggio da un suono a un altro non è un fatto estemporaneo (legato a un parlante x e basta), bensì interessa un’intera classe di suoni in tutti i contesti fonetici con determinate caratteristiche. Un mutamento fonetico può impiegare secoli per compiersi, si origina dalla variazione. Due parlanti (o anche lo stesso parlante) nel pronunciare la stessa parola, dal punto di vista fisico, pronunciano suoni sempre diversi, anche se a noi sembrano lo stesso suono (es. rana con e senza erre moscia). Ritornando all’esempio di prima è possibile/probabile che in un certo periodo storico la pronuncia del suono latino ct (di octo) abbia convissuto con la variante del suono tt (di otto) utilizzate da parlanti diversi o anche dallo stesso parlante. Parliamo di mutamento quando ad una variante A se ne affianca una B, esse convivono per un certo periodo e, ad un certo punto, la variante B sostituisce/vince la variante A, si generalizza. Non è detto che questo fenomeno si compia, due varianti possono convivere in eterno senza che mai una prevalga sull’altra. Quando osserviamo i percorsi storici e soprattutto varianti di lingua diacronicamente lontane, ciò che osserviamo sono fotografie molto nitide quando due lingue sono relativamente lontane l’una dall’altra (es. latino classico ‘’factum’’ e italiano contemporaneo ‘’fatto’’). Man mano che osserviamo varietà vicine nel tempo osserviamo un continuum costituito da molte più sfumature (es. volgare e latino tardo) cui è difficile porre dei confini/passaggi netti. Ci sono dei fenomeni fonetici o di altra natura che si osservano nelle varietà molto antiche di latino (testi non formali, non letterali) e che non si vedono mai nei testi del latino classico. Questi stessi fenomeni si ritrovano nelle lingue romanze. à Questo ci dice che certi fenomeni sono sempre esistiti nella lingua latina, non sono stati codificati nelle forme standard del latino (i testi letterari non li contemplavano/usavano) e sono riemersi soltanto quando si sono stabilizzati nelle varietà romanze. Per quanto una lingua possa essere ben documentata, quella documentazione rappresenterà sempre una classe molto piccola/limitata di tutte le cose che i parlanti di quella lingua potevano fare à I testi ci forniscono di una lingua solo una visione molto parziale. Nel caso delle lingue antiche dobbiamo farci bastare queste testimonianze perché sono le uniche che abbiamo, nel caso invece delle lingue con parlanti vivi ai prodotti concreti che i parlanti producono (sottoinsieme comunque limitato di ciò che potrebbero fare con la lingua) possiamo affiancare un’altra classe di strumenti per capire com’è fatta la competenza linguistica, sono i giudizi di grammaticalità. à in questo gruppo di parole sono messe a confronto due lingue germaniche contemporanee e il latino (lingua antica). Grazie al metodo storico-comparativo classico possiamo quindi confrontare lingue attestate in epoche differenti. In questo esempio possiamo osservare che per le parole di queste lingue che significano ‘’pieno’’, ‘’piede’’ e ‘’padre’’ sussiste una corrispondenza sistematica nel suono iniziale (f) seguito da vocale cui corrisponderà nel latino un suono occlusivo bilabiale sordo (p). Ci aspettiamo che anche a una quarta parola che inizi per f nell’inglese o nel tedesco, corrisponda una parola latina con suono p, cosa che in realtà non succede. à infatti all’inglese ‘’five’’ e al tedesco ‘’fünf’’ (cinque), corrisponde la parola latina ‘’quinque’’ che viola la corrispondenza fonetica p. Deve essere intervenuto un fattore che ha modificato i fatti, in questo caso abbiamo avuto un’assimilazione regressiva, cioè un processo fonetico riguardante la pronuncia che consiste nel fatto che i parlanti nel pronunciare il primo suono della parola lo adattino al suono consonantico successivo (principi di economia di pronuncia) à adatto la pronuncia del suono precedente (per questo regressiva) alla pronuncia del suono successivo. à di conseguenza quello che originariamente in latino doveva essere stato qualcosa (non attestato) come *penque, in latino è diventato quinque, adattandosi alle caratteristiche fonetiche del suono successivo. à In questo esempio si nota invece come smascherare i falsi parenti. In questo caso abbiamo il latino habeo e il tedesco haben, molto simili tra loro, ma che non sono il risultato dell’evoluzione di una parola unica, perché non c’è nessuno dei suoni che costituiscono le due parole che si corrispondono sistematicamente. La quasi identità delle due parole potrebbe essere dovuta a prestito o altri fattori ma non a una comune etimologia. à Cioè provando a innestare un cambiamento qualitativo dei dati che va nella direzione non di un indebolimento ma nell’osservazione di dati universali, astratti e variabili (che abbiano le stesse proprietà dei marcatori genetici che hanno permesso alla genetica di popolazione di divenire una disciplina che risolve problematiche di storia profonda). Tema della ricostruzione culturale: per ricostruire la storia umana si usano tre tipi di indicatori: - Indicatori biologici à Di ricostruire la storia biologica dell’umanità se ne occupa la genetica di popolazioni. - Indicatori di cultura materiale à Di ricostruire la storia della cultura materiale se ne occupa l’archeologia. - Indicatori di cultura immateriale à Di ricostruire la storia della cultura immateriale se ne occupa l’antropologia (e la sociologia). In questo quadro la lingua come interviene? Certi linguisti storici hanno ipotizzato che attraverso la lingua si potesse ricostruire la cultura materiale di una popolazione. In parte è vero: se ci sono parole che servono a denominare certi oggetti, è probabile che quegli oggetti siano presenti nella vita quotidiana dei parlanti di quella lingua, che quegli oggetti facciano parte della cultura materiale dei parlanti di quella lingua. Questa non è però una legge universale: come dice Lazzeroni, in alcune lingue non esistono termini propri di quella lingua (sono stati acquisiti da altre lingue) che definiscano un determinato oggetto pur esistendo quell’oggetto designato da quella parola. Possono esserci quindi casi in cui: - In una certa lingua si conosca una parola ma non l’oggetto designato da quella parola - In una cultura esista un certo oggetto cui però non corrisponde una parola specifica in quella lingua Fare ricostruzione culturale intesa come ricostruzione della cultura materiale partendo dalla ricostruzione linguistica non è un’operazione scientifica, perché non abbiamo nessuno strumento per testare le nostre ipotesi. Dice Lazzeroni che esiste un altro modo per fare ricostruzione culturale: attraverso la lingua è possibile ricostruire la cultura ideologica di una certa comunità, quindi il sistema ideologico attraverso cui una comunità descrive il mondo che la circonda (i miti, le fiabe, il sistema concettuale alla base di una certa religione, il codice della strada). Sono strumenti che fanno uso della lingua, attraverso cui una certa società dà un’interpretazione al mondo che la circonda, ordina i dati dell’esperienza. La lingua può servire a rappresentare la cultura ideologica in due modi: - Modo diretto: quando mettiamo per iscritto (libro, testo sacro, codice di leggi), affidiamo alla lingua la conservazione di un certo prodotto culturale (lo rendiamo fisso, visibile). - Modo indiretto: attraverso le parole che scegliamo per definire il mondo che ci circonda Esempio: la penna si chiama così perché una volta per scrivere si usavano le ‘’penne’’, le piume di uccello intinte nell’inchiostro. Oggi lo strumento si è modificato radicalmente ma la lingua ha conservato questa definizione. La lingua conserva nelle sue forme le tracce di un sistema concettuale passato. Proprio per questo possiamo proiettare questo tipo di processi anche su sistemi concettuali e su culture ideologiche di cui non abbiamo traccia. Altro esempio: la parola ‘’malaria’’ Oggi conosciamo questa parola per la definizione di una malattia portata dalla zanzara anofele. Il significato della parola però è ‘’aria cattiva’’, questo perché un tempo si credeva che la malattia fosse prodotta dai miasmi della palude vicino a cui le persone che accusavano la malattia vivevano. Ciò che ci interessa è il processo: osservando una parola nella lingua siamo in grado di ricostruire un sistema concettuale che sta alla base di quella parola ma che oggi non esiste più. Cosa vuol dire riportare tutto questo alla ricostruzione di una proto-cultura? Lazzeroni ne fa un esempio che riguarda il sistema concettuale attraverso cui nei poemi vedici (lingue dell’India antica) vengono classificati gli oggetti del mondo. Nei poemi vedici questa classificazione del mondo è descritta in modo molto preciso, quindi il mondo viene descritto in categorie di esseri: - gli esseri che stanno fermi (senza piedi) - gli esseri che si muovono (provvisti di piedi) - gli esseri che volano (provvisti di ali) Gli esseri che camminano sono divisi a loro volta in: - esseri bipedi (uomini) - esseri quadrupedi (animali) Questa divisione la troviamo solo nei poemi vedici, con l’unica eccezione di un testo in umbro antico (lingua italica antica) chiamato ‘’tavole iguvine’’ (uno dei pochi testi in umbro antico che ci sono pervenuti), in cui troviamo la stessa classificazione in bipedi e quadrupedi. In queste tavole iguvine non abbiamo una classificazione del mondo precisa come nei poemi vedici, quindi la domanda è: com’è possibile che questa classificazione compaia in un testo di una lingua, di una zona completamente diversa? - Potremmo dire che sia casuale - Possiamo dire che nelle tavole iguvine sia sopravvissuta una classificazione bipedi- quadrupedi che in quel contesto non è interpretabile ma che in un altro contesto in cui è inserita in un sistema più articolato è perfettamente interpretabile. à Classificazione sopravvissuta dal sistema concettuale del proto-indoeuropeo di cui il vedico ha conservato tracce facilmente interpretabili e di cui l’umbro antico ha conservato solo una traccia apparentemente misteriosa che si spiega attraverso la spiegazione storica. à quindi la classificazione bipedi-quadrupedi è il relitto di un sistema concettuale ben più complesso che l’umbro antico e il vedico hanno ereditato dalla comune origine indoeuropea. Quindi fare ricostruzione della cultura immateriale da questo punto di vista significa interpretare un sistema ben osservabile in una certa lingua, alla luce del fatto che tracce di quel sistema sono osservabili, sia pure in modo molto più residuale, anche in altri contesti, e che il fatto che tracce di questo sistema si vedano in luoghi lingue e contesti diversi si spiega soltanto con una comune origine storica. Lezione 6 La prospettiva biolinguistica cognitiva L’orientamento biolinguistico (o anche linguistica formale) si è sviluppato intorno alle idee di Noam Chomsky a partire dagli anni ’50 del Novecento. È un orientamento sullo studio del linguaggio umano molto più recente rispetto al metodo comparativo classico. Quando si parla della prospettiva biolinguistica formale la si cita come un momento di rivoluzione nell’ambito degli studi del linguaggio umano, si parla di rivoluzione cognitiva. L’aspetto rivoluzionario della prospettiva biolinguistica consiste nel fatto che per la prima volta nell’ambito degli studi del linguaggio umano la lingua e il linguaggio vengono visti come un fenomeno naturale prima ancora che come un prodotto culturale. Quando pensiamo alle lingue normalmente pensiamo a ciò che delle lingue vediamo (parole e frasi che i parlanti producono parlando o scrivendo), quindi nella percezione comune la lingua è un qualcosa di fisico che si vede e si sente e che in qualche senso serve agli esseri umani per esprimere sé stessi dal punto di vista individuale, collettivo e sociale. Quindi nella visione comune la lingua è vista come un prodotto culturale, come un prodotto dell’attività umana, cosa che effettivamente è. La prospettiva biolinguistica inaugura un modo diverso di osservare il linguaggio e le lingue umane e si concentra sul linguaggio inteso come capacità/abilità naturale, come capacità codificata biologicamente che mette i parlanti nelle condizioni di essere dei parlanti, nelle condizioni di produrre quei prodotti culturali che abbiamo nominato. Quindi alla base della prospettiva biolinguistica c’è l’idea che ci deve essere a monte delle lingue intese come prodotti culturali una capacità che tutti gli esseri umani condividono e che fa sì che loro siano parlanti (questo si intende per biologicamente codificata). La linguistica, cioè la disciplina che si occupa di studiare il linguaggio come un fenomeno naturale, è intesa primariamente come una scienza naturale come può essere la biologia (per questo si parla di prospettiva biolinguistica). Quindi l’oggetto dell’analisi scientifica della linguistica è il nucleo biologico che permette ad ogni essere umano di essere un parlante. Questo nucleo biologico prende il nome di capacità linguistica o linguaggio. In questa prospettiva lo scopo non è tanto il descrivere prodotti linguistici prodotti dai parlanti in quanto tali, quanto capire attraverso l’analisi di ciò che vediamo, cosa c’è nella natura umana che ci permette di produrre certi prodotti. La prospettiva biolinguistica, dunque si pone il problema di come si spiega l’esistenza delle lingue umane dal punto di vista biologico. Se mi limito ad osservare i dati empirici, di prodotti linguistici concretamente prodotti dai parlanti, posso estrarre da questi dati solo un certo tipo di regole. à L’assenza di una certa struttura da un corpus di dati non è garanzia che la regola che produce quella struttura non sia presente nella grammatica del parlante. La competenza interna (lingua-I) è un sistema generativo. Sistema generativo: sistema per cui dato un insieme finito di entità minimali e dato un insieme di regole combinatorie, le entità minimali grazie a queste regole possono combinarsi in entità di livello superiore, che a loro volte possono combinarsi in entità di livello superiore ecc. à è un sistema tale da permettere la combinazione/costruzione di entità complesse, partendo da un insieme finito di entità minimali e da un insieme finito di regole combinatorie. à ogni parlante grazie alla propria competenza linguistica può produrre e recepire qualunque combinazione possibile date le entità minimali e le regole combinatorie presenti nel suo sistema. à Non c’è un limite alle combinazioni. Le regole combinatorie definiscono le combinazioni possibili (quindi non tutte le combinazioni sono possibili) ma date le entità minimali e le regole combinatorie il parlante può produrre tutte le combinazioni possibili. La nostra competenza linguistica ci mette nelle condizioni di interpretare qualunque frase possibile dato il sistema di regole alla base della nostra competenza, anche se non le abbiamo mai sentite prima. à Non è necessario per interpretare una frase averla sentita prima, è necessario attivare nella nostra competenza linguistica una serie di regole che ci servono a processarla. Lo stesso vale per la produzione: tutti noi siamo in grado di produrre una frase anche se non la abbiamo mai sentita prima. Sono regole che non si imparano come conseguenza di apprendimento consapevole: nel momento in cui leggiamo una sequenza di parole e la interpretiamo come frase stiamo attivando un serie di meccanismi in modo del tutto inconsapevole (è una capacità naturale). Tornando al problema di come estrarre le regole, un sistema efficace è l’osservazione empirica: osservo certi dati, li metto insieme, metto insieme elementi somiglianti ed estraggo la regola per spiegare questo insieme di dati. Le lingue prodotte dai parlanti, cioè l’insieme dei prodotti linguistici prodotti da un certo parlante nell’arco della sua vita, è comunque un insieme piccolissimo di tutti i prodotti linguistici che potrebbe generare grazie alla sua competenza linguistica. à Le lingue, quindi, costituiscono una porzione piccolissima di tutti i prodotti linguistici che qualunque parlante potrebbe generare grazie alla sua competenza linguistica. à Per questo potrebbe darsi che osservando un insieme di prodotti linguistici non ci siano certe strutture che la grammatica di un parlante potrebbe produrre per puro caso. à Di conseguenza l’assenza di una certa struttura in un corpus di dati di una lingua-E non è garanzia che la regola che produce quella struttura non sia presente nella grammatica del parlante. Un altro sistema per verificare ciò (e per studiare le lingue-I) è chiedere al parlante. Se anziché limitarmi a osservare ciò che un parlante produce (la sua lingua-E, i prodotti empirici che produce), prendo un parlante e gli chiedo se la sua grammatica ammette una certa struttura, dalla sua risposta posso avere la prova che nella grammatica di un parlante non esiste la regola che genera quella struttura. Questo modo di osservare la lingua-I prende il nome di analisi di giudizi di grammaticalità o di intuizioni di grammaticalità. Qualunque parlante ha delle intuizioni di grammaticalità: cioè è in grado, data una certa sequenza, di dire se quella sequenza è possibile o impossibile nella propria lingua. La strategia più utilizzata in linguistica formale per avere informazioni sulla lingua-I, per estrarre le regole della grammatica mentale di un parlante è prelevare giudizi di grammaticalità da quel parlante, ossia sottoporgli delle strutture e verificare che quelle strutture siano possibili (grammaticali) o impossibili (agrammaticali) sulla base delle sue competenze. à il parlante non sbaglia mai, in quanto la competenza linguistica di un parlante lo mette nella condizione di produrre solo sequenze possibili. Dire che una certa sequenza è agrammaticale significa dire che nella competenza linguistica di un parlante non è presente la regola per generare quella sequenza. Grammatica mentale: (anche lingua-I o competenza linguistica) è data dall’insieme delle regole combinatorie che servono a quel parlante a produrre/recepire solo sequenze possibili nella sua lingua. à è una capacità naturale: insieme di meccanismi/azioni che un parlante fa senza averne coscienza/consapevolezza (le regole della grammatica mentale non si insegnano/imparano). à Andrea Moro dice che non possiamo fare a meno di processare una sequenza, non possiamo scegliere consapevolmente di sottrarci al processare una sequenza nel momento in cui vediamo poiché la nostra competenza linguistica si attiva automaticamente/inconsapevolmente. à Errore come assenza: una sequenza impossibile è una sequenza assente, una sequenza che nella lingua di un parlante non vedremo mai, è qualcosa che il parlante è fisicamente impossibilitato a fare. Grammatica normativa: insieme di regole sociali, di comportamento. à mentre la grammatica mentale è un insieme di meccanismi mentali che ci impedisce di fare delle cose (per forza), la grammatica normativa è una norma sociale, di comportamento, non c’è un ostacolo fisico/naturale che ci impedisce di fare una cosa, semplicemente sappiamo che in certi contesti è inappropriato utilizzare un certo tipo di linguaggio/struttura. à es. non c’è un ostacolo naturale che mi impedisce di dire ‘’a me mi’’, tuttavia se lo faccio a scuola sarò sanzionato. à Errore come sbaglio: faccio una cosa non appropriata. Nella grammatica normativa non sono codificate le regole della grammatica mentale poiché non ce n’è bisogno, sono regole scontate, naturali, non c’è bisogno di apprenderle. Elicitare (tirare fuori) i giudizi di grammaticalità ci aiuta a capire cosa un parlante può o non può fare data la sua lingua-I (distinguiamo tra sequenze possibili/grammaticali o impossibili/agrammaticali). La frase ‘’questo cerchio è quadrato’’ ci dà un’altra informazione riguardante il fatto che l’insieme delle lingue-I dei diversi parlanti sono articolate su diversi livelli: - A livello sintattico questa frase è possibile poiché è costruita seguendo le regole di composizione meccaniche. - A livello semantico però non ha alcun senso poiché i significati delle parole che la compongono sono contraddittori. à Questo è un esempio di esperimento idealizzato. Si è visto come un parlante italofono reagisce di fronte a una sequenza di parole che non esiste e che non è mai stata pronunciata prima. Per le attività di elicitazione di giudizi di grammaticalità qualsiasi parlante va bene poiché le differenze di giudizi di grammaticalità dati da parlanti diversi non dipendono da fattori esterni (es. scolarizzazione, contesto) ma dal fatto che il parlante possiede una lingua-I e visto che ogni parlante ne possiede una è in grado di produrre giudizi di grammaticalità. Tuttavia parlanti diversi producono giudizi di grammaticalità diversi, ciò significa che le I-language di parlanti diversi sono leggermente diverse. Le differenze nelle lingue-E che producono i parlanti sono differenze lessicali (usano parole diverse) ma non dipende solo da quello, ciò che fa di una lingua, una lingua diversa dalla nostra sono le regole attraverso le quali costruiamo sequenze possibili in quella determinata lingua. Osservare le differenze nei giudizi di grammaticalità di parlanti diversi ci aiuta ad estrarre/elicitare/capire quali sono le regole variabili che rendono diversa ogni lingua-I dalle altre. à Queste regole variabili (attive in certe lingue e non in altre) sono quelle che determinano la variazione sintattica (le differenze) tra le lingue. à Queste regole si definiscono PARAMETRI. PARAMETRO: regola variabile, ossia una regola che può essere estratta dal nucleo universale del linguaggio (grammatica universale) ma che in alcune lingue si attiva e in altre no. Alla base del metodo di comparazione parametrica c’è l’idea di confrontare le lingue vedendo quante delle regole variabili sono attive in entrambe le lingue, quante solo in una delle due e quindi misurare la distanza linguistica sulla base del numero di regole variabili che due o più lingue condividono. Lezione 7 La lingua come la studia la prospettiva biolinguistica è una lingua come competenza astratta, di cui ciò che vediamo concretamente è solo un sottoinsieme di tutti i prodotti concreti possibili. Fissare un parametro significa quindi decidere che un parametro in una certa lingua-I è attivo sulla base che nella lingua-E si vedono le conseguenze, delle strutture che possono essere generate solo postulando quel parametro. A ogni parametro sono associate delle strutture chiamate manifestazioni di quel parametro. Se in un corpus di lingua-E troviamo le manifestazioni di un certo parametro allora stabiliremo che quel parametro è attivo. - Se non le troviamo ma abbiamo a che fare con una lingua viva à elicitazione dei giudizi di grammaticalità. - Se siamo dei bambini che stanno apprendendo o se siamo dei linguisti storici che hanno a che fare con una lingua antica (quindi solo con la lingua-E, senza presenza di parlanti) à no giudizi di grammaticalità. Bisogna considerare poi che i parlanti non possono usare i giudizi di grammaticalità di altri parlanti à devono decidere se un parametro è attivo o meno solo in base alla lingua-E che vedono. Per i linguisti è più facile definire se un parametro è attivo o meno poiché basta chiedere un giudizio di grammaticalità a un parlante ma un modello di questo tipo non può essere applicato a un bambino. Un bambino non può decidere che un parametro è o non è attivo se non vede niente. Quindi il modello di acquisizione del linguaggio deve essere in grado di spiegare anche cosa fa un bambino quando non vede le strutture generate da un certo parametro, cioè come fa a sapere che non le vedrà mai e che quindi il parametro non è attivo. L’insieme delle cose che un parlante impara durante il suo processo di acquisizione del linguaggio include anche una serie di competenze che hanno a che fare con il contesto nel quale si trova, delle competenze sociali che gli serviranno per capire come approcciarsi e come comunicare con altri parlanti a seconda del contesto. Il processo di acquisizione della lignua-I è un processo che avviene contro la nostra volontà, è inconsapevole, tuttavia la capacità di affinare le nostre abilità linguistiche (abilità di usare la lingua a seconda del contesto) è una capacità che possiamo affinare per tutta la nostra vita anche in maniera consapevole. Al contrario, il processo di costruzione della lingua-I è caratterizzato dal fatto che dopo un certo tempo (intorno agli 11-12 anni) finisce e non possiamo fare nulla a livello consapevole per modificare o bloccare determinati parametri una volta che sono stati attivati. Quindi: - Le competenze d’uso sono competenze che si possono acquisire, in maniera sia consapevole che inconsapevole, per tutta la vita e si possono modificare. - Le competenze intese come lingua-I, una volta che sono state sviluppate, si fermano e rimangono uguali. La componente legata all’uso della lingua-E (lingua come prodotto culturale) è una componente che nella prospettiva biolinguistica viene tenuta da parte, si concentra della natura intrinseca della capacità linguistica. Tuttavia trattandosi di due facce della stessa medaglia, anche occupandoci di competenza interna, non possiamo prescindere dall’osservare le caratteristiche della lingua-E. Esempio: se siamo tutti parlanti italofoni ognuno avrà la propria lingua-I, possono variare minimamente i giudizi di grammaticalità, tuttavia il grosso dei parametri attivati nelle lingue-I di ciascuno di noi sono molto simili. à Si dice quindi che produciamo lingue-E mutualmente intercomprensibili (ci capiamo quando parliamo) à Comunità linguistica: insieme di parlanti le cui lingue-E sono mutualmente intercomprensibili. Per quanto le lingue-E possano essere diverse si caratterizzando dal fatto che quando si parla ci si comprende. Le differenze nelle lingue-E possono essere in parte dovute a differenze nelle lingue-I, quindi non è improbabile che due parlanti appartenenti alla comunità italofona abbiano lingue-I leggermente diverse. Se vediamo la lingua da questa prospettiva come possiamo definire l’italiano o l’inglese o dove comincia l’uno e finisce l’altro? Che oggetto è l’italiano? à Non esiste, non è un’entità che possiamo definire in modo univoco. Possiamo descrivere la lingua-I, la competenza di un singolo parlante italofono, possiamo osservare le somiglianze/differenze nelle lingue-I di più parlanti italofoni e vedere cosa le accomuna/distingue, possiamo (dal punto di vista della lingua-E) descrivere le caratteristiche delle lingue-E prodotte dalla comunità dei parlanti italofoni. à non stiamo tuttavia dicendo cos’è l’italiano. Posso idealizzare dicendo che tutti i parlanti italofoni che considero hanno una competenza linguistica con le stesse caratteristiche ma rimane un’idealizzazione: esistono lingue-E diverse prodotte dai parlanti italofoni che certi parlanti usano come stimolo per costruire le proprie lingue-I ma non tuti i parlanti italofoni producono le stesse lingue-E, quindi a seconda del contesto acquisiranno lingue-I leggermente diverse (magari a seconda della zona in cui nascono, se al nord o al sud). à queste però son considerazioni politiche o antropologiche à ciò che interessa a un linguista sono le lingue-I e le lingue-E indipendentemente dall’etichetta che associamo a queste lingue-I o lingue-E. Quindi, quando considereremo per esempio ‘’l’italiano’’ o ‘’il francese’’ faremo riferimento alla lingua-I di un parlante italofono o francofono, se però considererò due parlanti dovrò codificare due ‘’italiani’’, due ‘’francesi’’ ecc. La nozione di struttura La struttura è la forza di gravità che tiene insieme le entità linguistiche e che ne fa delle frasi. Non solo le frasi hanno una struttura, tutte le entità linguistiche che non siano entità minimali (quindi che non siano suoni) hanno una struttura. Tutte le entità superiori che derivano dalla combinazione di entità inferiori hanno una struttura. Utilizzeremo come entità di riferimento la frase e definiremo la nozione di struttura per definire la frase in quanto tale e l’organizzazione delle sue singole componenti. Tuttavia, si può parlare di organizzazione strutturale anche quando parliamo della struttura dei morfemi, delle parole ecc. à la nozione di struttura si applica a tutti i livelli di articolazione superiori alle entità minimali. Tuttavia, noi facciamo riferimento a una nozione di struttura che prende il nome di sintassi. à Sintassi: insieme dei legami di natura gerarchica che tengono insieme i vari elementi che compongono una frase. Nella vita reale le frasi si presentano come sequenze (successioni lineari) di parole che vengono una dopo l’altra. Quindi, dal punto di vista fisico le frasi si presentano in una dimensione lineare, le componenti sono ordinate linearmente una dopo l’altra. In realtà, perché esista una frase e che noi siamo in grado di pronunciare una certa sequenza lineare, deve esistere una struttura, un processo per cui ogni singola unità che compone quella frase, viene collocata in una determinata posizione e viene associata a una specifica funzione. à La struttura serve ad assegnare alle singole componenti di una frase una funzione che in genere corrisponde a una posizione. Quindi per costruire una frase non mi basta avere un mucchio di parole e metterle in fila a caso. Se noi componiamo tutte le possibili combinazioni con queste parole, solo alcune delle sequenze corrisponderanno ad una frase perché non tutte corrispondono a una strutturazione gerarchica che mi permette di assegnare ad ogni parola una specifica funzione. Questo ci dice che non tutte le parole sono uguali perché all’interno di una struttura possono svolgere funzioni diverse specifiche a seconda del tipo di parola. Le parole di una lingua si classificano in classi o categorie sintattiche diverse. Due parole rientrano nella stessa categoria sintattica quando possono svolgere le stesse funzioni all’interno di una struttura. Esistono due classi principali: - Categorie lessicali: una delle cui funzioni è contribuire al significato concreto (lessicale) della struttura. - Categorie funzionali: hanno la proprietà principale di fungere da anello di congiunzione tra le diverse categorie lessicali, tengono insieme le diverse parti della struttura. à abbiamo diversi tipi di categorie funzionali a seconda di quali parti della struttura dobbiamo tenere insieme. Riconosce queste parole come possibili anche la nostra competenza fonologica poiché si tratta di combinazioni di suoni ammissibili per la nostra competenza fonologica. Di conseguenza dal punto di vista morfologico o fonologico sono parole dell’italiano, sono parole compatibili con le regole della competenza linguistica di un parlante italofono. Se chiediamo a un parlante di costruire una frase costruirà una sequenza come ‘’un gulco pitoffava le brale’’ e sarà in grado di individuare come soggetto ‘’un gulco’’ e come complemento oggetto ‘’le brale’’. È quindi in grado di attribuire una funzione sintattica alle parole all’interno della frase, quindi di individuare una struttura cui a una certa posizione viene associata una certa funzione. à Quindi non è il buon senso a guidarci perché di queste parole non sappiamo il significato. Quindi grazie alla nostra competenza sintattica siamo in grado di associare ad una certa sequenza lineare una struttura, questo significa attribuire a ciascun elemento una funzione, ma significa anche individuare le aggregazioni intermedie. Non sarebbe grammaticale una frase ‘’gulco pitoffava le brale’’, poiché ‘’gulco’’ da solo o ‘’un’’ da solo non bastano a svolgere la funzione di soggetto, devono essere combinati insieme. Questo significa riconoscere un’aggregazione intermedia, significa cioè riconoscere che nella frase ’’un gulco pitoffava le brale’’, ‘’un’’ e ‘’gulco’’ dal punto di vista sintattico non sono due parole diverse, sono un’unica entità sintattica. L’accordo morfosintattico è un fenomeno che si realizza tra elementi di una struttura che instaurano un legame l’uno con l’altro. Quindi se due parole che ci sembrano distinte, per entrare in una struttura devono avere le stesse caratteristiche morfo-sintattiche vuol dire che fra quelle due parole c’è un legame. L’accordo morfo-sintattico nelle lingue in cui c’è (non è in tutte le lingue) segnala la comune appartenenza di due elementi a una stessa struttura. Ci sono legami di accordo morfo-sintattico non solo tra parole vicine ma anche tra elementi distanti all’interno della struttura di una frase. Tutte queste frasi sono frasi possibili nell’italiano perché rispettano le regole morfologiche e fonologiche dell’italiano. Ciò che manca è il collegamento a un significato in quanto queste parole non hanno alcun senso. Attraverso questi esempi dimostreremo che non solo le parole si classificano in classi o categorie sintattiche diverse a seconda della funzione che possono svolgere ma all’interno di ciascuna categoria non tutte le parole sono uguali. Si possono cioè individuare, in ciascuna categoria, delle sottocategorie associate a proprietà sintattiche diverse. § Tipo di struttura: Non tutti i verbi hanno le stesse proprietà dal punto di vista sintattico. I verbi sono quegli elementi attorno ai quali si costruiscono le strutture frasali. In base alle caratteristiche sintattiche del verbo costruiamo tipi di frasi diversi. à questo significa che esistono delle sottocategorie di verbi che costruiscono tipi di frasi diversi. Esempio: verbi come il verbo ‘’mangiare’’ possono costruire delle frasi in cui esistono due diverse funzioni sintattiche: quella di soggetto e quella di complemento oggetto. à es. Gianni mangia due mele à Gianni (soggetto) mangia (verbo) due mele (compl. oggetto) à al verbo mangiare si associano un complemento oggetto e un elemento che funge da soggetto della frase. à questi sono i verbi transitivi o strutture transitive. à Con un verbo come dormire non possiamo costruire una struttura transitiva. Un verbo come ‘’mangiare’’ ci permette di costruire anche una struttura NON transitiva come ‘’due mele sono mangiate’’. In questa struttura la presenza di un complemento oggetto diventa agrammaticale. à struttura intransitiva. Con i verbi come mangiare nella struttura transitiva ad ogni posizione (soprattutto quella di soggetto) corrispondono certe specifiche funzioni semantiche chiamate ruoli tematici. à Ruoli tematici: rappresentano la funzione semantica che una certa struttura semantica svolge rispetto al significato del verbo. Esempio: Il verbo ‘’Mangiare’’ descrive un’azione che in genere viene compiuta da qualcuno e subita da qualcun altro. L’entità sintattica che ricopre il ruolo tematico di agente, nelle strutture transitive è il soggetto. In una struttura transitiva alla funzione sintattica di soggetto viene assegnato il ruolo tematico di agente (se animato) o causa (se inanimato). Alla funzione sintattica di complemento oggetto viene assegnato il ruolo tematico di paziente o tema. Nella struttura intransitiva il soggetto riceve il ruolo tematico di paziente. Struttura transitiva e intransitiva prendono anche il nome di struttura attiva e struttura passiva. § Selezione dell’ausiliare: L’esempio 2 dimostra un’altra proprietà chiamata selezione dell’ausiliare. I tempi composti del verbo sono caratterizzati (in una lingua come l’italiano) dal fatto di essere costituiti da due parole staccate: il verbo vero e proprio e un’altra parola che esprime le proprietà flessive chiamata ausiliare. In italiano i tempi composti dei verbi si possono costituire con due ausiliari diversi: - Ausiliare avere - Ausiliare essere à non scegliamo noi quale usare, alcuni verbi a seconda del tipo di struttura in cui si trovano, possono usare solo avere, altri solo essere. § Accordo del participio: La terza proprietà prende il nome di accordo del participio. Riguarda i tempi composti: nei tempi composti il verbo lessicale viene realizzato nella forma di participio passato. Il participio passato è una forma le cui caratteristiche morfologiche (e in parte sintattiche) somigliano molto a quelle degli aggettivi, cioè i participi passati si flettono per genere e numero e si possono usare come aggettivi (es. la partita persa dall’Italia). Quando il participio si trova in un tempo composto di un verbo può o meno accordarsi con il soggetto: l’accordo del participio è a sua volta regolato dall’accordo dell’ausiliare. à se l’ausiliare selezionato è avere, il participio non si accorda mai à Se l’ausiliare è essere il participio si deve accordare sempre. Ricapitolando: - Il tipo di struttura (attiva/passiva) - La selezione dell’ausiliare (avere/essere) - L’accordo del participio (no/sì) Sono tre proprietà diverse che co-variano, cioè da una posso prevedere le altre due. à Esempio: se trovo un verbo transitivo con l’ausiliare ‘’avere’’ sono sicuro che non avrò mai accordo di participio e che quella è una struttura attiva. Il paradigma dei pronomi personali e marginalmente negli elementi relativi è caratterizzato dal fatto di esprimere anche le distinzioni di caso, cioè il fatto che a seconda della funzione che un elemento pronominale svolge nella frase, la forma di quell’elemento cambia. à esempio: se voglio realizzare un pronome personale di prima persona singolare in posizione di soggetto devo usare la forma ‘’io’’, se invece lo voglio in posizione di complemento oggetto dovrò usare la forma ‘’me’’ se tonico, oppure ‘’mi’’ se clitico, non posso invertirli. à questo è quello che si intende per caso morfologico. Quindi in tutte le lingue, ai diversi elementi che entrano in una struttura frasale viene assegnato un caso sintattico, quindi una funzione specifica che quell’elemento svolge nell’economia di una frase. Se a funzioni diverse corrispondono forme superficiali diverse significa che in quella lingua esiste il caso morfologico. à nell’italiano esiste solo sui pronomi. - Caso nominativo: insieme delle forme delle funzioni associate alla posizione di soggetto di frase (tuttavia i soggetti non sono uguali) - Caso accusativo: caso che si assegna ai complementi diretti dei verbi transitivi (complemento oggetto) à in italiano nel caso dei pronomi, anche i complementi delle preposizioni prendono il caso accusativo (es. con me, a me, di me, non con io, a io ecc.) à quindi la forma di accusativo è associata alla funzione di complemento oggetto di un verbo transitivo in una struttura attiva ma anche alla funzione di complemento di una preposizione. - Caso dativo: normalmente associato al complemento di termine à in italiano, a eccezione della classe dei pronomi personali clitici, il caso dativo si realizza attraverso un complemento preposizionale introdotto dalla preposizione ‘’a’’. - Caso genitivo: caso assegnato ai complementi dei nomi, in particolare ai complementi che rispetto a un nome svolgono 3 particolari funzioni: • Funzione di possessore • Funzione di soggetto • Funzione di oggetto à Esempio: nella struttura ‘’la foto di Gianni’’ si instaura una relazione tra il nome ‘’foto’’ e la struttura nominale ‘’Gianni’’, mediata dalla preposizione ‘’di’’ che è una relazione di tipo genitivale. La frase può essere interpretata in tre modi: o La foto appartiene a Gianni (possessore) o La foto è stata scattata da Gianni (sintagma ‘’di Gianni’’ ha funzione di soggetto) o La foto ritrae Gianni (‘’di Gianni’’ ha funzione di complemento oggetto) In una lingua come l’italiano il genitivo non ha una realizzazione morfologica, cioè per realizzare formalmente un complemento genitivo in una struttura nominale dobbiamo ricorrere a una struttura preposizionale introdotta da ‘’di’’ (preposizione che svolge funzione genitivale). Ci sono lingue invece in cui le funzioni normalmente ricoperte dal caso genitivo nell’economia di una struttura nominale, vengono realizzate attraverso una struttura morfologica particolare chiamato caso morfologico genitivo o caso genitivo (es. genitivo sassone è una forma di genitivo non preposizionale che sfrutta anche una strategia morfologica che è la realizzazione ‘s, la quale non è un vero e proprio morfema di caso ma uno strumento morfologico attraverso cui si esprime il caso genitivo). Queste diverse possibilità di realizzare il genitivo nelle diverse lingue sono il risultato di scelte parametriche diverse, cioè sono governate da una classe specifica di parametri sintattici che definiscono le strategie morfo-sintattiche che una lingua ha a disposizione per realizzare il genitivo nominale. Le differenze nella diversa realizzazione del caso genitivo non riguardano solo la forma morfologica ma anche fatti di struttura, cioè il tipo di restrizioni cui queste forme sono soggette quando compaiono in una struttura nominale. Altra caratteristica del genitivo preposizionale è che è iterabile, cioè nella stessa struttura nominale posso trovare più di un genitivo che modifica lo stesso nome. à esempio: nella sequenza ‘’la fotografia di Gianni della casa’’ il nome ‘’fotografia’’ è modificato da due genitivi realizzati come genitivi preposizionali. Queste proprietà, ossia la necessità di stare in posizione post-nominale e di essere iterato, non si applicano invece al genitivo sassone che deve essere pre-nominale (sta sempre a sinistra e mai a destra del nome) e che non può essere iterato. Eredità della definitezza: proprietà per cui una struttura nominale modificata da un genitivo sassone può essere solo interpretata come definita. à esempio: ‘’Harry’s picture’’ può significare solo ‘’LA fotogradia di Harry’’, non ‘’UNA fotografia di Harry’’. Il confronto fra genitivo sassone e genitivo preposizionale ci fa vedere come il caso genitovo può essere realizzato in modi diversi, non solo dal punto di vista morfologico ma anche con delle differenze distribuzionali/sintattiche (nella posizione e nelle proprietà) che una struttura nominale associata a genitivo preposizionale ha rispetto a una struttura nominale non associata a genitivo preposizionale). I genitivi preposizionali, per il fatto di essere iterabili, si dicono anche genitivi liberi, perché non soggiacciono a limitazioni di iterabilità cui al contrario soggiacciono genitivi non preposizionali. A loro volta i genitivi genitivi non preposizionali possono essere realizzati in diversi modi: - I genitivi non preposizionali in alcune lingue possono essere associati a distinzioni morfologiche - In altre lingue il genitivo non preposizionale non presenta alcuna differenza morfologica rispetto ai nomi in posizioni diverse da quelle del genitivo. à es. in una struttura nominale come ‘’casa Rossi’’ è presente un genitivo non preposizionale (‘’Rossi’’ che sta per ‘’dei Rossi’’). Quindi dal punto di vista formale nelle lingue che hanno genitivi non preposizionali distinguiamo fra lingue in cui il genitivo è morfologicamente marcato e lingue in cui non lo è. In tutte le lingue che hanno un genitivo non preposizionale, il genitivo non preposizionale è soggetto a certe restrizioni: 1. non può essere iterato (non è libero) 2. non è introdotto da una preposizione 3. può occupare solo una specifica posizione all'interno della struttura nominale Rispetto alla posizione che il genitivo non preposizionale può occupare nella struttura nominale distinguiamo due tipi di genitivi non preposizionali: - Genitivo alto (Gen H – High Genitive): genitivo che normalmente occupa una posizione molto a sinistra della struttura nominale (es. a sinistra del nome o dei numerali, come nel caso del genitivo sassone) - Genitivo basso (Gen L – Low Genitive): solitamente si realizza a destra degli aggettivi e talvolta del nome (alcuni esempi sono le lingue slave, oppure il greco moderno à in quest ultimo il genitivo però non fa eredità di definitezza) Quindi la variazione interlinguistica, rispetto alla realizzazione del caso genitivo, riguarda la sua realizzazione morfologica che però diventa interessante dal punto di vista sintattico quando è associata a restrizioni sintattiche diverse. Quindi da una parte la possibilità di essere realizzato come preposizionale o non preposizionale, la realizzazione preposizionale è associata ad una serie di proprietà, mentre la realizzazione non preposizionale è associata ad un'altra serie di proprietà. I non preposizionali distinguono fra genitivo alto e genetico basso, ci sono lingue che hanno: - solo basso o alto - sia basso che alto - genitivo alto e il genitivo preposizionale (es. l'inglese) - solo il basso e il preposizionale - tutti e tre Le lingue si distinguono l’una dall’altra anche in base a quali strategie strutturali utilizzano per realizzare il genitivo. Tutte le possibilità sono attestate meno quella in cui non si realizza il genitivo (non esiste nessuna lingua che non abbia almeno una strategia per realizzare complementi genitivali). Con queste strategie si combinano altri modi di realizzare la relazione nome-genitivo nelle strutture nominali (es. alcune lingue uraliche in cui il nome modificato dal genitivo si accorda col genitivo o contiene un morfema che ci dice che quel nome è modificato da un genitivo). Tutte queste possibilità si possono definire sulla base dell’interazione di una decina di parametri sintattici. A seconda di come l’attivazione di questi parametri si combina nelle diverse lingue, le lingue realizzano empiricamente strategie diverse del caso genitivo. Da questi esempi deduciamo che: - Esistono radici verbali (verbi) che possono costruire due tipi di strutture: • Struttura transitiva attiva: o il verbo prende due argomenti, soggetto (sempre agente) e complemento oggetto (sempre paziente) o quando il verbo è di tempo composto prende l’ausiliare avere o il participio dei tempi composti non si accorda mai numero con soggetto o il complemento oggetto ma non il soggetto, in particolari condizioni, può essere sostituito con ‘’ne’’ • Struttura passiva: o Non può prendere un complemento oggetto (verbo mai biargomentale) o Ausiliare è sempre essere o C’è sempre accordo tra participio e soggetto o Soggetto sempre sostituibile con ‘’ne’’ - I complementi oggetto delle strutture attive hanno molto in comune con i soggetti delle strutture passive e che i soggetti delle strutture attive si comportano in modo diverso. - Queste proprietà sono covarianti, cioè la selezione dell’ausiliare avere comporta sempre l’assenza di accordo con il participio e la selezione dell’ausiliare essere implica sempre l’accordo. à Quindi abbiamo due proprietà binarie: 1. selezione dell’ausiliare: essere o avere 2. accordo del participio: sì, no à Possiamo immaginare 4 combinazioni logiche: - ausiliare essere + accordo - ausiliare essere senza accordo - ausiliare avere + accordo - ausiliare avere senza accordo à Di queste se ne realizzano solo due, quindi le proprietà sono covarianti (data una proprietà posso dedurre l’altra). à Le combinazioni possibili non sempre coincidono con quelle che osserviamo in una lingua nel concreto. à le due proprietà logicamente generano due varianti ma empiricamente ne generano solo due, questo significa che non sono due proprietà indipendenti e che quindi da una posso prevedere l’altra, mentre due proprietà indipendenti generano 4 possibilità. Se due proprietà non sono indipendenti (covariano) allora NON SONO DUE PROPRIETÀ ma sono due manifestazioni diverse di un’unica proprietà (due cose che superficialmente ci sembrano due cose diverse, dal punto di vista astratto sono la stessa cosa). Negli esempi vediamo che corrispondono le stesse proprietà degli esempi della slide precedente: - (1) possibilità di costruire una frase con complemento oggetto - (2) selezione dell’ausiliare - (3) accordo tra participio e soggetto - (4) possibilità di sostituire soggetto con ‘’ne’’ in un contesto appropriato Vediamo che il verbo nella colonna di sinistra si comporta come ‘’mangiare’’ nella struttura attiva, con l’unica differenza che non seleziona un complemento oggetto, mentre il verbo della colonna di destra si comporta come ‘’mangiare’’ nella struttura passiva. Quindi le stesse proprietà covarianti che abbiamo visto nella struttura attiva e passiva le troviamo nelle strutture costruite attorno al verbo ‘’telefonare’’ e ‘’arrivare’’. L’unica differenza è che sia telefonare che arrivare sono verbi che non possono costruire strutture contenenti complemento oggetto (verbi intransitivi). Da questi esempi emerge che: - Non tutti i verbi intransitivi sono uguali, esistono almeno due classi di verbi intransitivi: • Un gruppo che si comporta come i verbi transitivi attivi • Un gruppo che si comporta come i verbi passivi - Non esiste una terza tipologia di verbi che si comporta in modo diverso da questi. - Le proprietà covariano, non solo nel caso dei verbi attivi e passivi, ma per tutti i verbi vediamo che queste proprietà che stiamo osservando sono sempre covarianti. Queste due classi di verbi corrispondono alla classe dei verbi inergativi (quelli di sinistra) e dei verbi inaccusativi (quelli di destra). Quindi abbiamo almeno 4 tipi di verbi: - Verbi transitivi attivi - Verbi passivi - Verbi inergativi - Verbi inaccusativi Se li osserviamo rispetto alle proprietà che stiamo osservando vedremo che i verbi inergativi e i verbi transitivi attivi condividono una serie di proprietà strutturali: - Selezione dell’ausiliare - Accordo del participio - Sostituibilità con ‘’ne’’ E che queste proprietà vengono condivise, dall’altro lato, dai verbi inaccusativi e passivi. L’unica differenza tra inergativi e transitivi attivi è che solo i transiitvi attivi selezionano un complemento oggetto. à Queste sono differenze di tipo strutturale (non dipendono dal significato, dal tipo di azione espressa del verbo) ma dal modo in cui il verbo sceglie gli elementi che devono combinarsi con esso per costruire una frase. Lezione 9 La variazione strutturale Quando si parla di variazione interlinguistica la prima cosa che viene in mente è la variazione lessicale (in lingue diverse si usano parole diverse), tuttavia si manifesta anche nel modo in cui lingue diverse costruiscono le strutture sintattiche. Ogni grammatica (intesa come I-language) possiede delle regole combinatorie che separano le combinazioni possibili da quelle impossibili. La struttura è quindi ciò che definisce i limiti della variazione, quindi le regole combinatorie presenti in ogni grammatica mentale limitano il numero di combinazioni possibili (ne ammette alcune e ne esclude altre). à La variazione, quindi, non è libera/casuale ma è strutturata e prevedibile a partire da una serie di osservazioni. Ogni lingua nel costruire le proprie strutture deve rispettare una serie di regole definite dalla grammatica universale. Il fatto che lingue diverse debbano soggiacere a regole diverse ci dice che la variazione interlinguistica non è solo variazione lessicale ma anche strutturale. Esempi: Sono due proprietà binarie (ammettono 2 valori): - una lingua ammette il soggetto sottinteso? (sì, no) - una lingua permette di lasciare vuota la posizione a sinistra del verbo? (sì, no) à abbiamo quindi 2! combinazioni possibili: - Sì – Sì - Sì – No - No – No - No – Sì à In realtà solo due di queste combinazioni sono attestate: - Entrambe attive - Nessuna attiva Quando ciò accade, quindi quando dal modo in cui si realizza una proprietà possiamo prevedere come se ne realizzerà un’altra diciamo che queste sono covarianti, quindi dall’assenza di una possiamo prevedere l’assenza dell’altra e dalla presenza di una possiamo prevedere la presenza dell’altra. à questo implica che queste non sono due proprietà separate ma sono due manifestazioni di un’unica proprietà astratta che prende il nome di soggetto nullo. La proprietà più astratta, caratteristica che accomuna queste due proprietà e che in lingue come l’italiano la posizione a sinistra del verbo può restare vuota e ciò si realizza o con il soggetto sottinteso o con la possibilità di mettere il soggetto a destra del verbo lasciando vuota la posizione dove ci aspetteremmo di trovare il soggetto. Dal punto di vista dell’acquisizione per un bambino per decidere se la sua lingua è a soggetto vuoto o meno basta vedere una delle due proprietà per concludere se è a soggetto vuoto o meno. Il parlante sarà quindi in grado di costruire tutte le strutture seguendo quella regola, indipendentemente se le ha mai viste nel suo stimolo primario o meno. à primo livello di struttura deduttiva dei parametri: il fatto che da un’unica regola astratta derivano più proprietà empiriche covarianti. Un secondo livello di struttura deduttiva dei parametri riguarda le interazioni reciproche: i parametri non sono indipendenti gli uni dagli gli altri, ma ogni parametro instaura con altri dei rapporti di interdipendenza o relazioni implicazionali. La nostra grammatica universale è capace di generare una regola, di attivare un parametro, dal quale dipende la possibilità di avere un articolo definito. Ci sono lingue che attivano questo parametro (es. lingue romanze e germaniche) e lingue che non lo attivano e che quindi non hanno un articolo definito. Quindi per ottenere una certa interpretazione di una struttura nominale (interpretazione definita) è necessario avere questo elemento visibile (determinante) e che nel caso specifico prende il nome di articolo definito. In lingue come il latino questa regola non è attiva, nessun nome quando ha una lettura definita deve essere necessariamente essere associato a un determinante visibile, quindi il determinante può rimanere vuoto anche quando un nome ha una lettura definita. Nelle lingue in cui la definitezza è grammaticalizzata (il parametro dell’articolo definito è attivo) questo elemento è obbligatorio in tutti i contesti sintattici in cui un nome ha lettura definita. C’è un’altra regola che riguarda il comportamento dei possessivi nelle strutture nominali. Ci sono lingue in cui gli elementi possessivi devono svolgere oltre alla funzione di possessivo (genitivo pronominale) anche le funzioni normalmente svolte da un articolo definito. Quindi nelle lingue dove i possessivi hanno queste proprietà il possessivo assegna alla struttura nominale una lettura definita. à In questi casi si dice che i possessivi hanno la stessa distribuzione degli articoli definiti (svolgono quindi le stesse funzioni). Quindi nelle lingue dove i possessivi hanno queste proprietà, quando un nome è modificato da un possessivo quel nome non prende l’articolo definito e ha sempre lettura definita. à quindi frasi come ‘’mon livre’’ (francese) o ‘’my book’’ (inglese) o ‘’mi libro’’ (spagnolo) sono l’equivalente della sequenza ‘’IL mio libro’’ in italiano. à ‘’mon’’, ‘’my’’ e ‘’mi’’ svolgono le funzioni sia del possessivo, sia dell’articolo definito. In una lingua come il latino una proprietà di questo tipo non la possiamo vedere perché se la proprietà consiste nel fatto che i possessivi hanno la stessa distribuzione degli articoli definiti, allora possiamo vederla solo in lingue che hanno gli articoli definiti (il latino non ce li ha). Quindi la proprietà numero 2 dipende dalla proprietà numero 1 visto che è osservabile solo in quelle lingue che presentano la proprietà numero 1. à C’è quindi una relazione di dipendenza logica (implicazione logica tra due parametri) tra proprietà 1 e proprietà 2. Si possono instaurare rapporti di dipendenza logica non solo tra le proprietà empiriche generate prodotte dai parametri ma anche tra parametri diversi. - Il primo livello di struttura deduttiva dei parametri è quello che lega manifestazioni diverse ad una stessa regola astratta (da un’unica regola astratta derivano più manifestazioni empiriche) à è codificato dal rapporto tra il parametro e le sue manifestazioni - Il secondo livello di struttura deduttiva dei parametri è quello per cui regole astratte diverse, cioè parametri diversi, dipendono l’uno dall’altro parzialmente (solo dalla presenza o assenza dell’uno possiamo attivare l’altro) à è codificato dalle formule implicazionali (formule logiche che definiscono le interazioni reciproche tra parametri diversi). L’esistenza di questi due livelli di struttura deduttiva è la prova che la variazione strutturale tra le lingue non è libera/arbitraria ma che su queste lingue agiscono delle regole e che queste regole sono reciprocamente dipendenti. Le strutture nominali Una struttura nominale può essere definita da due punti di vista: - Della sua distribuzione: quello che fa una struttura nominale, le sue funzioni e le posizioni che può occupare in contesti di strutture più ampie (es. frase) - Della struttura interna: come sono fatte, quali sono le componenti che si combinano Distribuzione: insieme dei contesti in cui può occorrere un costituente. à Si dice che due costituenti hanno la stessa distribuzione quando possono occorrere negli stessi contesti sintattici. Dal punto di vista distribuzionale definiamo struttura nominale un costituente sintattico che può occupare le posizioni argomentali di una frase (posizione di soggetto di una frase, di complemento oggetto di un verbo transitivo attivo e la posizione di complemento di una preposizione). Qualunque cosa possa ricoprire queste posizioni si definisce struttura nominale a prescindere dalla sua forma. à in questi esempi ‘’Mario’’ e ‘’il ragazzo con i capelli rossi che ho incontrato ieri’’ sono costituenti distribuzionalmente equivalenti e possono essere considerati strutture nominali. In tutti questi esempi troviamo dei nomi transitivi o biargomentali perché hanno la stessa struttura argomentale del verbo corrispondente. Ciascuno di questi verbi si può costruire come un verbo transitivo attivo e si può associare a un nome che può avere la stessa struttura transitiva attiva del verbo, con l’unica differenza che gli argomenti del nome invece che come soggetto o oggetto vengono realizzati come genitivi preposizionali. Ci sono nomi che hanno la stessa struttura di un verbo intransitivo cioè corrispondono strutturalmente a un verbo intransitivo inergativo. ‘’La telefonata di Gianni a Maria’’ equivale a ‘’Gianni ha telefonato a Maria’’ in ci ‘’di Gianni’’ svolge rispetto a ‘’telefonata’’ la stessa funzione di soggetto che ‘’Gianni’’ svolge rispetto a telefonare nella frase corrispondente. Lo stesso vale per gli esempi seguenti: La funzione che nella frase viene svolta dagli avverbi (es. lentamente, lungamente, velocemente…), nelle strutture nominali è svolta dai modificatori aggettivali (es. spensierata, veloce, lungo, lenta). Esiste quindi un altro parallelismo: la funzione sintattica che viene svolta nelle strutture verbali dai modificatori avverbiali, nelle strutture nominali viene svolta dagli aggettivi. I complementi che nella frase non sono complementi diretti (es. ‘’a Maria’’, ‘’per la città’’, ‘’in America’’), nella struttura nominale vengono realizzati in modo identico alla frase. I verbi degli esempi precedenti sono verbi monoargomentali inergativi cui corrisponde un nome monoargomentale, mentre negli esempi successivi troviamo dei verbi mornoargomentali inaccusativi cui corrisponde sempre un nome monoargomentale (quindi associabile a un genitivo che svolge funzione di soggetto). Nella slide sotto, vediamo dei casi in cui alla struttura argomentale del verbo non corrisponde la stessa struttura argomentale nel nome corrispondente. Nella frase ‘’la polizia ha catturato il ladro’’ abbiamo una struttura transitiva biargomentale con due costituenti nominali realizzati come argomenti del verbo (‘’il ladro’’ oggetto/paziente e ‘’la polizia’’ soggetto/agente). Il nome ‘’cattura’’ non è un nome biargomentale, quindi una struttura come ‘’la cattura del ladro della polizia’’ è agrammaticale poiché vi si può legare un solo genitivo (monoargomentale) e questo svolge il ruolo di paziente (‘’la cattura del ladro’’ = il ladro è stato catturato). Se vogliamo costruire un agente dobbiamo costruire qualcosa del tipo ‘’da parte della polizia’’. à si dice quindi che il nome ‘’cattura’’ è un nome che si può collegare a una sola struttura argomentale e che quindi può assegnare solo il ruolo tematico di paziente al suo gentitivo. Lo stesso vale per le parole ‘’passione’’, ‘’interesse’’, ‘’situazione’’ che possono essere associate ad un unico genitivo con un’unica funzione argomentale. La parola ‘’giudizio’’, al contrario di ‘’cattura’’, può assegnare solo il ruolo tematico di agente (es. ‘’il giudizio di Gianni’’ = Gianni giudica). I nomi come i verbi, si possono classificare rispetto alla loro struttura argomentale. Ci sono nomi che per essere costruiti necessitano dell’equivalente di due argomenti e dei nomi che si possono costruire con l’equivalente di un argomento. Quasi sempre la struttura argomentale di un nome corrisponde a quella del verbo corrispondente ma ci sono casi in cui la struttura argomentale di nome e verbo non corrispondono. La prima cosa che dobbiamo osservare quando costruiamo una struttura nominale intorno ad un nome è la struttura argomentale di quel nome. Ci chiediamo innanzitutto se quel nome ha una struttura argomentale e in quel caso richiederà dei complementi realizzati come genitivi, cui saranno associate specifiche funzioni. Se un nome ha una struttura argomentale è il nome che decide con quali modificatori deve combinarsi e quali funzioni devono svolgere. Ci sono nomi che non hanno nessuna struttura argomentale (e che quindi non corrispondono a nessun verbo) ma che descrivono entità che non richiedono una struttura argomentale. Questo non vuol dire che questi nomi non possono essere costruiti per esempio con un genitivo, vuol dire che la funzione svolta dai complementi o dal complemento genitivo non è predefinita dalla struttura stessa del nome. Esempio: un nome come ‘’casa’’ può essere costruito con un genitivo, o anche con più di un genitivo (es. ‘’la casa di Gianni è del mio architetto preferito’’). Tuttavia, un nome come casa non ha segna delle funzioni predefinite ai suoi argomenti. Mentre in un nome nel caso di un nome come ‘’la telefonata di Gianni’’ o ‘’la partenza di Gianni’’, Gianni può essere interpretato solo come colui che telefona o colui che parte, cioè il soggetto, in una sequenza come ‘’la casa di Gianni’’, Gianni può svolgere diversi ruoli, per esempio può essere il possessore della casa, oppure l'architetto che ha costruito la casa. Quindi mentre il nome ‘’telefonata’’ assegna al genitivo una funzione specifica, un nome come ‘’casa’’ può essere combinato con argomenti genitali diversi che svolgono funzioni diverse. Lezione 10 Uno dei mutamenti più osservabili nel passaggio dal latino alle lingue romanze ha riguardato il genitivo: - Nel latino era un genitivo non preposizionale, c’era un morfema dedicato all’espressione del genitivo e questo genitivo aveva la caratteristica di poter occupare tutte le posizioni dei genitivi strutturali (alta e bassa) e anche quella dei genitivi liberi à un genitivo di questo tipo prende il nome di genitivo uniforme: • non è preposizionale • solitamente realizzato attraverso forme morfologiche • può occupare tutte le posizioni dei genitivi liberi e strutturali • lo troviamo nel latino, nel greco antico, nel finlandese ecc. - le lingue romanze hanno sviluppato dei genitivi preposizionali di cui non c’è traccia nel latino, solitamente il genitivo è introdotto dall’equivalente della preposizione italiana ‘’di’’ (in latino ‘’de’’). à le lingue romanze che hanno sviluppato il genitivo preposizionale con ‘’di’’ lo abbiano fatto a partire da una costruzione presente nel latino tardo ma non si sa come questo mutamento sia avvenuto. - ci sono anche casi di genitivi non preposizionali ancora attestati in lingue romanze à evidentemente il passaggio dal genitivo uniforme latino al genitivo preposizionale romanzo è stato graduale (ci sono stati momenti/varietà delle lingue romanze in cui esisteva già il genitivo preposizionale ma non era ancora scomparso il genitivo apreposizionale). In questi esempi troviamo dei casi di genitivi non preposizionali realizzati come genitivi strutturali bassi in alcune varietà romanze antiche della penisola iberica, del francese (il primo esempio) e gli ultimi due esempi tratti da un dialetto (ancora oggi parlato), il dialetto di Verbicaro, un paese nell'area della Calabria settentrionale al confine con la Lucania. Quindi ci sono ancora oggi delle lingue romanze che realizzano genitivi non preposizionali, ma ci sono anche parlanti italofoni che producono genitivi non preposizionali. à Questi sono esempi di titoli della Gazzetta dello Sport realizzati con genitivo non preposizionale in italiano contemporaneo. Si trovano particolarmente in quelle varietà dell’italiano chiamate varietà abbreviate, che sono quelle varietà che utilizziamo quando dobbiamo produrre testo in uno spazio breve (es. tweet, chat ecc.). Nelle varietà abbreviate dell’italiano troviamo molti genitivi apreposizionali che si trovano a destra del nome. Il caso di ‘’Dovizioso show’’ è un caso particolare perché ‘’Dovizioso’’ è un prestito dall’inglese, di conseguenza è probabile che la struttura sintattica rifletta quella del genitivo sassone. Molte di queste strutture hanno le caratteristiche tipiche dei genitivi strutturali (non iterabili, non preposizionali, sempre a destra del nome, di solito si trovano in strutture definite). Quindi i parlanti di lingue romanze per quanto abbiano generalizzato il genitivo preposizionale, sanno ancora produrre strutture con genitivi strutturali bassi. Tant’è vero che si dice per alcune di queste lingue (soprattutto dialetti Italia meridionale) che hanno conservato un genitivo strutturale basso parziale, parziale perché si vede soltanto in alcuni particolari contesti: - solo in sintagmi nominali definiti - solo quando il genitivo esprime un certo tipo di relazione col nome (es. relazione di parentela, possesso, relazione parte-tutto/contenitore-contenuto) Un altro esempio di genitivo strutturale è quello che si vede in strutture nominali come ‘’Casa Rossi’’ dove ‘’Rossi’’ è un genitivo non preposizionale basso che può essere interpretato solo come sintagma nominale definito e che si associa a un nome con una sintassi speciale, ‘’casa’’ che è l’unico nome comune che può ricorrere senza articolo al singolare in particolari posizioni argomentali. à esempio: ‘’ho pulito casa’’, ‘’ho visitato casa di Gianni’’, ‘’casa’’ compare come nome nudo (senza determinante visibile) laddove un qualsiasi altro nome comune necessariamente necessiterebbe di determinante. à Fra le peculiarità che in italiano presenta il nome ‘’casa’’ c’è il fatto di essere associato a un genitivo non preposizionale basso. In tutte le lingue romanze in cui vediamo genitivi non preposizionali, questi sono sempre bassi. Nelle lingue in cui sono presenti più tipi di genitivi strutturali o un genitivo strutturale e un genitivo libero, la loro interpretazione non è libera ma soggiace ad una gerarchia che è quella che vedete su questa slide: - possessore - soggetto - oggetto Cioè se in una struttura nominale lo stesso nome è modificato da più di un genitivo, di cui uno è strutturale, l'interpretazione del genitivo strutturale e degli altri genitivi è guidata da questa gerarchia. à esempio: in ‘’John’s descriprion of the house’’ un nome come ‘’descrizione’’ che è un nome biargomentale anche in inglese (‘’description’’), cioè regge due argomenti realizzati come genitivi (soggetto con ruolo di agente e oggetto con ruolo di paziente). Questi due genitivi in inglese solitamente si realizzano uno come genitivo strutturale alto (Gen-H) e uno come genitivo preposizionale. à In italiano l’equivalente sarebbe ‘’La descrizione di Gianni della casa’’ o ‘’la descriozione della casa di Gianni’’, dove i due genitivi sono realizzati entrambi come preposizionali e possono essere ordinati indipendentemente dalla loro interpretazione (entrambi significano che Gianni ha descritto la casa) à in inglese non è così perché ‘’the house’s description of John’’ significa che la casa ha descritto John. Quando una struttura nominale è modificata da due argomenti, uno realizzato come genitivo strutturale alto e uno come genitivo preposizionale: - Se i due argomenti ricevono il ruolo tematico di agente/soggetto e paziente/oggetto, il genitivo strutturale può realizzare solo il soggetto. - Se sono un possessore e un soggetto, il genitivo strutturale può realizzare solo il possessore. - Se sono un possessore e un oggetto, il genitivo strutturale può realizzare solo un possessore. Questa stessa gerarchia la vediamo anche in italiano dove esiste un particolare tipo di genitivo non preposizionale, i possessivi (elementi pronominali che svolgono funzione di genitivo dei pronomi personali). à i possessivi tecnicamente non realizzano solo relazioni di possesso ma tutte le funzioni del genitivo (possesso, soggetto e oggetto). Esempio: ‘’La descrizione di Gianni della casa’’ può essere costruita come ‘’la sua descrizione della casa’’ dove ‘’sua’’ svolge esattamente le stesse funzioni che svolgerebbe ‘’Gianni’’. Così come in ‘’John’s description of the house’’, anche in ‘’la sua descrizione della casa’’ comanda la gerarchia P S O. ‘’la sua descrizione della casa’’ può solo significare ‘’X ha descritto la casa’’. I possessivi in italiano hanno alcune caratteristiche che li accomunano in parte a certi tipi di genitivi non preposizionali, ad esempio un’altra caratteristica che hanno è che non possono essere iterati. à Esempio: non posso dire ‘’la mia sua descrizione’’, devo dire ‘’la mia descrizione di te’’. Aggettivi argomentali e relazionali svolgono una funzione molto simile a quella di un genitivo: esprimere un argomento o esprimere una relazione, che sono delle funzioni normalmente associate ai genitivi. In aggiunta aggettivi di provenienza, aggettivi di relazione e aggettivi e argomentali sono caratterizzati, per esempio in una lingua come l'italiano, dal fatto di dover occupare necessariamente la posizione postnominale. à es. ‘’l'americana scrittrice’’, ‘’la solare energia’’, ‘’la tedesca invasione’’, ‘’l'italiano patto’’, ‘’l'imperiale dichiarazione’’ ecc. sono tutte sequenze agrammaticali. Quindi una caratteristica che accomuna aggettivi argomentali, di relazione e di provenienza oltre al fatto che svolgono delle funzioni molto simili a quelle dei genitivi è che, in lingue come l'italiano e in generale in tutte le lingue romanze, devono necessariamente essere postnominali, non possono trovarsi in posizione prenominale. Una seconda classe di aggettivi che ha la stessa proprietà, cioè che in lingue come l'italiano non può trovarsi a sinistra del nome, è la classe degli aggettivi di forma e di colore. Gli aggettivi di forma e di colore esprimono (diversamente dagli aggettivi argomentali, relazionali e di provenienza) una caratteristica oggettiva del nome. Quindi sono degli aggettivi che esprimono una proprietà in qualche modo quantificabile à quindi anche sequenze come ‘’la rossa casa’’ e ‘’rotondo vaso’’ sono sequenze che in italiano risultano agrammaticali. Quindi in italiano queste classi di aggettivi hanno in comune il fatto di non poter occuparela posizione prenominale. In inglese al contrario la posizione prenominale può essere associata a tutti questi aggettivi à quindi in inglese si può dire ‘’the american writer’’, ‘’the nuclear energy’’, ‘’the German invasion’’ ecc. Quando osserviamo il comportamento di queste classi di aggettivi in inglese notiamo anche che non possono essere ordinati liberamente, cioè se lo stesso nome è modificato per esempio da un aggettivo di colore e da un aggettivo di provenienza, questi due devono comparire in quest'ordine. à quindi diremo ‘’the red American car’’ e non ‘’the american red car’’ (‘’the american red car’’ ha un'interpretazione diversa rispetto a ‘’red american car’’). Quindi l'ordine non marcato degli aggettivi in una lingua come l'inglese, in cui tutti gli aggettivi sono pronominali, prevede che gli aggettivi di forma e colore precedano gli aggettivi di provenienza, argomentali e relazionali e non viceversa: se li inverto ottengo interpretazioni diverse. C’è un’altra classe di aggettivi che non ha un nome perché ognuno di questi aggettivi può essere associato a interpretazioni diverse. Quindi quello che ci sembra lo stesso aggettivo in realtà corrisponde a due entità diverse sia rispetto al significato sia rispetto alla posizione. Quindi questa che chiamiamo ‘’classe di aggettivi’’, in realtà si tratta di due classi, è caratterizzata dal fatto che in una lingua come l'italiano li troviamo sia in posizione nominale sia in posizione post nominale, quindi lo stesso oggettivo può ricorrere o a sinistra o a destra del nome. Ma la posizione a sinistra o a destra del nome è associata a interpretazioni diverse. à es. ‘’ragazzo povero’’ non ha lo stesso significato di ‘’povero ragazzo’’, ‘’ufficiale alto’’ non ha lo stesso significato di ‘’alto ufficiale’’ à es. se dico ‘’Mario ha comprato una nuova macchina usata’’ vuol dire che Mario aveva già una macchina usata e ne ha comprata un'altra, quindi in questo caso ‘’nuova’’, quando è collocato a sinistra di ‘’macchina’’, può avere il significato di ‘’altra/ulteriore’’ ma questo significato non ce l'ha quando occupa la posizione postnominale. Esempio: ‘’Marco è un povero ragazzo ricco’’ è una sequenza grammaticale ‘’povero’’ e ‘’ricco’’ non sono in contraddizione perché in questa sequenza l'interpretazione di ‘’povero’’ è che Marco è un ragazzo miserevole. In genere la posizione prenominale è associata ad un'interpretazione qualitativa/soggettiva. Questo si vede bene se contrappongo: à Stiamo classificando la categoria dei ragazzi in due gruppi (belli e brutti) e assegniamo Marco alla categoria dei belli, quindi stiamo facendo una valutazione per cui c'è un criterio, qualunque esso sia, e in base a quel criterio x finisce coi belli. ‘’Marco è un bel ragazzo’’ può solo significare che Marco è un ragazzo che io giudico bello, quindi ‘’bello’’ in questo caso esprime un'attitudine personale di chi sta parlando nei confronti di un'entità. Quindi gli aggettivi che possono occupare sia la posizione prenominale sia la posizione postnominale, in genere quando si trovano a sinistra del nome esprimono una valutazione soggettiva, per questo vengono definiti speaker oriented, ossia esprimono un parere personale di chi sta parlando. Questi aggettivi, nelle lingue come l'inglese dove tutti gli aggettivi sono prenominali, sono quelli che stanno più a sinistra in assoluto. Quindi in una lingua come l'inglese vediamo che esiste una gerarchia che stabilisce che gli aggettivi appartenenti a certe classi devono stare in un certo ordine rispetto agli aggettivi appartenenti ad altre classi. L’ordine quindi è: - Gli aggettivi speaker oriented (cioè gli aggettivi che esprimono qualità soggettive) stanno sempre a sinistra di tutto il resto - poi ci sono gli aggettivi di size (di grandezza) - poi quelli di forma e colore - infine gli aggettivi argomentali, relazionali e di provenienza Questa stessa gerarchia si osserva in praticamente tutte le lingue che presentano gli aggettivi in posizione prenominale (es. greco moderno). Ci sono lingue come quelle semitiche in cui questa gerarchia è rovesciata. Gli studi sul comportamento degli aggettivi in diverse lingue del mondo hanno mostrato che con delle differenze che possono essere controllate, in tutte le lingue questa gerarchia che osserviamo nell'inglese è rispettata. In alcune lingue la vediamo speculare, in altre lingue la vediamo opacizzata da altri fenomeni, ma sembrerebbe che nella struttura universale dei sintagmi nominali la posizione degli aggettivi sia quella espressa da questa gerarchia. Quindi in tutte le lingue l'organizzazione dei modificatori aggettivali all'interno di una struttura nominale deve seguire questa gerarchia: a sinistra di tutti gli aggettivi che abbiamo menzionato ci sono i quantificatori numerali (che sono quelli che stanno sempre più in alto di tutti). Quindi questa gerarchia sembrerebbe essere una gerarchia universale, cioè in tutte le strutture nominali il posizionamento degli aggettivi deve rispettare questa gerarchia. Una lingua come in italiano confonde molto le acque però rispetto a questa conclusione, perché in italiano non tutti gli aggettivi possono essere prenominali, mentre tutti possono essere postnominali à possiamo mettere in posizione postnominale pressoché qualunque aggettivo mentre subiamo delle restrizioni molto forti sulla posizione pronominale (nella quale possono andare solo alcuni aggettivi e solo con una certa interpretazione) Un certo filone di studi ha suggerito che la posizione del nome rispetto alla gerarchia degli aggettivi dipende dal fatto che in una lingua come l'italiano, e in generale in tutte le lingue romanze, il nome si sposta, cioè il nome dalla sua posizione originale (supponiamo a destra di tutti gli aggettivi), può occupare posizioni intermedie. Quello che vediamo nelle lingue romanze è che quasi tutte le posizioni intermedie sono manifestate. Queste due frasi sono accomunate dal fatto che il quaderno di cui si sta parlando è lo stesso, cioè che il sintagma nominale ‘’Maria ha comprato il quaderno’’ ha lo stesso referente del sintagma nominale ‘’Pietro aveva visto il quaderno in cartoleria’’. Nella struttura frasale ‘’Pietro aveva visto il quaderno in cartoleria’’, la struttura nominale ‘’il quaderno’’ svolge la funzione di argomento interno, di complemento oggetto di ‘’aveva visto’’. In questa stessa posizione, questa stessa funzione può essere svolta dall'elemento ‘’che’’. Quindi in una in una frase che non sarebbe grammaticale come ‘’Pietro aveva visto che in cartoleria’’, ‘’che’’ svolge le stesse funzioni di ‘’il quaderno’’, prendendo ‘’il quaderno’’ nella frase precedente come antecedente. Quindi c'è un legame fra di corefenza fra ‘’che’’ e ‘’il quaderno’’ per cui ‘’che’’ e ‘’il quaderno’’ si riferiscono allo stesso quaderno. à è come se questa sequenza equivalesse a ‘’Pietro aveva visto esso in cartoleria’’ Tuttavia ‘’che’’, diversamente da ‘’esso’’, in questa posizione tipica del complemento oggetto, risulta agrammaticale, perché ‘’che’’ non è solo un pronome, non equivale soltanto ad ‘’esso’’: è anche un complementatore e come tutti II complementatori in italiano deve stare all'inizio della frase in cui si trova. Quindi non può occupare una posizione mediana ma deve introdurre l'intera frase. È per questa ragione che lo vediamo comparire nella frase grammaticale a sinistra di ‘’Pietro’’. à Quindi ‘’che’’ svolge le stesse funzioni che svolgerebbe ‘’esso’’ in una frase in cui ‘’esso’’ è coreferente con ‘’il quaderno’’ ma svolge anche la funzione di collegare l'intera frase ‘’Pietro aveva visto x in cartoleria’’ con il nome ‘’quaderno’’. Quindi le frasi relative sono caratterizzate dal fatto di essere introdotte da un elemento relativo che svolge la duplice funzione di elemento pronominale che prende come antecedente il nome modificato dalla relativa ed elemento di legame fra la frase relativa e il nome stesso. Diversamente dai modificatori nominali e aggettivali, le frasi relative sono caratterizzate dal fatto di essere frasi, cioè di contenere una struttura verbale e di essere costruita intorno ad essa. Qui abbiamo una rappresentazione stilizzata della struttura gerarchica in cui si collocano il determinante e il sintagma nominale per formare una struttura che può stare in posizione argomentale. La figura rappresenta il mondo in cui il determinante entra in relazione con l'intero sintagma nominale creando questo legame rappresentato da questi due rami. Cioè attraverso questo legame il determinante assegna al sintagma nominale una interpretazione. Perché è necessario che un sintagma nominale sia introdotto da un determinante soprattutto in certe posizioni sintattiche? Perché il determinante svolge la funzione di assegnare un'interpretazione al sintagma nominale. Cioè senza il determinante, il sintagma nominale non potrebbe essere interpretato. Ci si può aiutare pensando il determinante un po’ come l’ausiliare nei tempi composti: nei tempi composti dei verbi la forma verbale contiene il participio (che ha una sua funzione, esprime il significato, ecc.), ma un tempo composto non può esistere col solo participio, perché senza mancherebbero tutta una serie di informazioni che invece sono necessarie per completare l'interpretazione di quella forma verbale. Nelle strutture nominali è più o meno la stessa cosa: il sintagma nominale contribuisce con un certo tipo di informazione a quella struttura ma senza l'informazione contenuta nel determinante sarebbe una struttura monca, una struttura mancante. Quindi il determinante e il sintagma nominale interagiscono attraverso un legame che visivamente è rappresentato da questi due rami per formare per costruire l'interpretazione della struttura nominale. Entriamo ora nella definizione del rapporto fra il determinante ed il nome o il sintagma nominale all'interno delle strutture nominali. Quando si parla di sintagma nominale si fa riferimento all'insieme del nome e dei suoi modificatori, quindi quando parliamo di relazione fra il determinante sintagma nominale ci riferiamo al tipo di relazione che si instaura fra il nome accompagnato da eventuali modificatori e questo elemento ‘’di’’ che è responsabile di assegnare al nome un'interpretazione. La possibilità di realizzare visibilmente o no un determinante dipende dal tipo di nome e dal tipo di interpretazione che dobbiamo assegnare al nome. Ci sono certi tipi di nomi che nella sequenza lineare possono comparire senza un determinante lessicalmente realizzato e ci sono dei nomi che invece devono sempre comparire con un determinante lessicalmente realizzato. I nomi che possono comparire senza un determinante lessicalmente realizzato prendono l'etichetta di nomi nudi. à quindi si parla di nome nudo quando una struttura nominale non è accompagnata da un determinante visibile, quindi quando nella sequenza lineare non si vede un determinante visibile. In una lingua come l'italiano ci sono alcuni nomi che possono comparire come nomi nudi, cioè che possono comparire senza che si veda un determinante visibile, per esempio in una sequenza come ‘’ho piantato alberi’’, ‘’alberi’’ è un nome collocato nella posizione di complemento oggetto, quindi in una posizione argomentale e nella quale, sulla base della DP-Hypothesis, ci aspettiamo di vedere un determinante in cui invece però il determinante non si vede. Quindi ‘’alberi’’ e realizzato come nome nudo. Lo stesso vale per ‘’acqua’’ in una sequenza come ‘’ho bevuto acqua’’ dove ci aspettiamo di vedere un determinante visibile perché ‘’acqua’’ si trova nella posizione di complemento oggetto di un verbo transitivo, quindi in una posizione argomentale, ma di fatto non vediamo nessun determinante. Quali caratteristiche hanno ‘’alberi’’ e ‘’acqua’’ tali che possono non rispettare le predizioni della DP-Hypothesis, quindi essere realizzati in una particolare posizione argomentale come nomi nudi (senza determinante visibile)? Hanno la caratteristica di non essere nomi numerabili singolari. Lezione 11 DP-Hyphothesis: perché una struttura nominale possa essere collocata nelle posizioni argomentali di una frase è necessario che sia introdotta da un determinante. à Determinante: elemento che assegna alla struttura nominale (nome + tutti i modificatori nominali, aggettivali e frasi relative). Il determinante è necessario perché una struttura nominale riceva un’interpretazione, perché, a seconda del legame che si instaura, il determinante assegna alla struttura nominale diversi tipi di caratteristiche. Ci sono lingue in cui il determinante deve essere realizzato sempre foneticamente, mentre in altre lingue in certi contesti sintattici il determinante può essere realizzato come vuoto (non presente come parola autonoma nella sequenza lineare). In una lingua come l’italiano ci sono strutture nominali che anche se collocate nella posizione, per esempio di complemento oggetto in una frase (quindi in una posizione argomentale), possono essere realizzate come nomi nudi. Nome nudo: quando non compare con un determinante visibile. à ‘’alberi’’ e ‘’acqua’’ compaiono come nomi nudi: pur trovandosi in posizione argomentale (sarebbe necessario il ‘’di’’), dal punto di vista lessicale non vediamo nessun ‘’di’’ realizzato visivamente. Ci sono lingue in cui ‘’di’’ può essere vuoto in qualunque condizione. Quindi la variazione interlinguistica dipende dalle condizioni/regole cui è soggetta la realizzazione del determinante vuoto in posizone argomentale. Un'altra caratteristica che ha D rispetto all'interpretazione della struttura nominale è che D assegna alla struttura nominale la lettura definita. Lettura definita: una struttura nominale prende la lettura definita se il suo referente viene rappresentato come noto o come individuabile sulla base del contesto (il contesto può essere linguistico o extralinguistico). à Noto/individuabile significa che per esempio il referente della struttura nominale è già stato introdotto, cioè si sta parlando di qualcosa/qualcuno di cui si è già parlato (quindi sappiamo che esiste). La lettura definita è sempre associata a quella che si definisce presupposizione di esistenza, cioè attraverso la lettura definita, segnalo che una certa entità del mondo (cioè il referente di una certa struttura nominale) esiste e la sua esistenza è deducibile a partire dal contesto linguistico o extra linguistico. à quindi la lettura definita è data sempre dal contesto in cui una struttura nominale è collocata, quindi una struttura nominale in sé per sé non è mai né definita né non definita. Una struttura nominale: - Viene associata a lettura definita quando si trova in un contesto in cui l'esistenza del suo referente è individuabile in qualche modo. - Viene collocata in un contesto non definito, in cui il suo referente viene presentato come nuovo (viene introdotto per la prima volta in un certo contesto) Esempio: In questa frase troviamo diverse strutture nominali. - Il nome ‘’donna’’ è numerabile con morfologia di singolare (deve sempre essere associato a determinante visibile). Qui lo troviamo associato a due determinanti diversi: • Articolo indefinito (una) à referente compare per la prima volta • Articolo definito (la) à referente già introdotto à questo perché questo stesso nome ha interpretazioni diverse nei due contesti Quando introduciamo un referente nuovo non possiamo mai usare l’articolo definito perché la lettura definita da per scontata l’esistenza del referente (quindi è già noto). - Lo stesso discorso si può fare per il nome ‘’bambini’’: • la prima volta che viene usato nel testo (introduce referente nuovo) non è associato a determinante definito ma è preceduto da un numerale. • quando viene ripetuto la seconda volta per riferirsi allo stesso referente viene introdotto da articolo definito. Ci sono alcune lingue in cui l’articolo definito è obbligatorio solo in questo tipo di contesti ma non in altri. In molti casi nei contesti di seconda menzione al posto dell'articolo definito si può usare un dimostrativo, che comunque fa parte della classe degli elementi lessicali che possono fungere da determinanti, ma che hanno solo letture definite. C’è poi un secondo tipo di contesti associati alla lettura definita delle strutture nominali. Esempi: In queste frasi ‘’autista’’, ‘’anestesista’’, ‘’aereo’’ e ‘’cucina’’ sono introdotti da articolo definito ma non sono casi di seconda menzione, non sono stati pronunciati nella fase precedente della frase. à Tuttavia la prima parte della frase definisce un contesto in cui la presenza di questi referenti è data per scontata. à es. se parlo di un taxi do per scontato che il taxi è guidato da un autista. à Bridging context: il contesto crea un ponte per interpretare il referente di una struttura nominale come deducibile. à in questi casi particolari, la presenza dell’articolo definito non segnala che il nome è già stato usato nella frase ma che l’esistenza del referente nella struttura nominale si può dedurre dal contesto. In casi come questi, in una lingua come l’italiano, è necessario che la lettura definita sia esplicitata da un determinante visibile (solitamente articolo definito). C’è anche un terzo tipo di lettura definita legata alle strutture nominali he prende il nome di unicità. In questi esempi la presenza dell’articolo definito sulla struttura nominale segnala che questa struttura nominale può avere solo un referente (referente unico). - In senso assoluto come nei primi tre esempi - oppure in un contesto in cui l'unicità del referente è determinata dalla struttura del sintagma nominale. Esempio: - una gara in genere ha un solo vincitore - il primo visitatore in genere è un'unica persona Quindi le espressioni ‘’primo’’, ‘’prossimo’’, i superlativi, selezionano la lettura unica della struttura nominale. In tutti in tutti questi casi queste le strutture nominali sono incompatibili con un articolo indefinito. à la presenza di un articolo indefinito implica che esiste più di un referente à es. se io dico ‘’UN presidente del Ghana si trova in visita a Londra’’ sto presupponendo che ne esiste più di uno. Quindi la presenza di un articolo definito su una struttura nominale segnala sempre che il referente di quella struttura nominale: - è noto perché lo si è già menzionato - che la sua esistenza è deducibile a partire da una serie di informazioni definite dal contesto - oppure che quel referente è unico (in assoluto o su sulla base del contesto in cui è presentato). La funzione dell'articolo definito per implicare presupposizione di esistenza è spesso usata come strategia retorica per esempio nel linguaggio pubblicitario. Esempio: à questa è una frase tratta da una pubblicità. Se noi guardiamo questa frase per com'è costruita ci sembra che l'informazione principale sia che Jocca contiene il 7% di grassi, in realtà in questa frase passa anche un'altra informazione, cioè ‘’Jocca è fresco’’. à La presenza dell'articolo definito sul sintagma nominale ‘’la freschezza di Jocca’’ presuppone che Jocca sia fresco, cioè che il referente di quel sintagma nominale esista. à Quindi attraverso questa frase stiamo dando due informazioni ma probabilmente, dal punto di vista retorico, l'informazione principale che si vuole veicolare, non è tanto che ha il 7% di grassi, ma che è fresco. Quindi nel linguaggio pubblicitario la funzione di segnalare presupposizione di esistenza del referente di una certa struttura nominale, svolta dall'articolo definito, viene sfruttata come strategia retorica per trasmettere certe informazioni senza farlo esplicitamente. Un tipo di lettura che nelle strutture nominali dell'italiano non viene segnalata mediante nessun particolare determinante, che invece in molte lingue è espressa formalmente attraverso particolari tipi di determinanti selezionati, è la cosiddetta lettura specifica. Osserviamo che l’elemento che si usa nei tre contesti di definitezza (seconda menzione, presupposizione di esistenza su base contestuale e unicità) la parola che si usa per segnalare la lettura definita in italiano è sempre la stessa, l’articolo definito. Interpretazione di specie Questa stessa parola in italiano compare anche in un’altra classe di contesti, cioè quando il nome viene interpretato come nome di specie (interpretazione di specie), cioè quando viene utilizzato per fare riferimento alla totalità dei referenti associabili a un certo nome. Esempio: lo vediamo in frasi in cui una struttura nominale è soggetto di un predicato di specie come ‘’estinguersi’’. ‘’estinguersi’’ è un predicato di specie perché implica che ad estinguersi siano tutti i membri di una certa categoria. Quando un nome è collocato nella posizione di soggetto di un predicato di specie come ‘’estinguersi’’, in italiano deve sempre essere associato ad un determinante visibile à una sequenza come ‘’mammut sono estinti’’ è agramamticale. Questo vale sia per la posizione di soggetto che di oggetto. Quando una struttura nominale viene utilizzata nella posizione di complemento oggetto di un predicato che implica la sua lettura di specie come (es. inventare, scoprire), questa viene sempre preceduta da un determinante visibile, anche se è un nome massa. Esempio: il nome ‘’benzina’’ potrebbe essere utilizzato come nome nudo (es. ‘’ho fatto benzina’’), tuttavia, quando viene utilizzato come nome di specie, cioè quando si fa riferimento all'intera classe, all'oggetto del mondo che è quel nome rappresenta, allora deve sempre essere preceduto da un determinante visibile. à Sequenze come: ‘’un ingegnere tedesco ha inventato benzina’’ o ‘’Madame Curie ha scoperto radio’’ è agrammaticale à perché potrebbe solo significare che ha inventato un certo tipo di benzina o ha scoperto un certo tipo di radio, non può significare ha scoperto/inventato l'entità che chiamiamo benzina o radio. Quindi in italiano l'interpretazione di specie di un nome, indipendentemente dal fatto che sia singolare/plurale, massa/numerabile, passa sempre attraverso un determinante visibile e questo determinante visibile prende la stessa forma superficiale dell'articolo definito, anche se tecnicamente non ha nessuna funzione di determinante definito perché questi non sono contesti di definitezza (non stiamo selezionando i referenti come noti) Tuttavia l'articolo che segnala la lettura di specie in italiano è omofono, cioè ha esattamente la stessa forma dell'articolo definito. Ci sono certe lingue, per esempio certe varietà di catalano, in cui invece questo articolo prende una forma diversa rispetto all'articolo definito. Nella necessità di realizzare visibilmente il determinante quando un nome è interpretato come nome di specie, l'italiano e l'inglese sono diverse. In generale: - come l'italiano si comportano tutte le lingue romanze - come l'inglese si comportano tutte le lingue germaniche Infatti: - in una lingua come l'inglese la presenza di un articolo definito è incompatibile con l'interpretazione di specie (quindi l'inglese funziona esattamente al contrario dell'italiano), quindi i nomi di specie vengono sempre realizzati come nomi nudi. - in italiano la presenza di un determinante visibile, che si realizza attraverso quello che chiamiamo articolo definito, è obbligatoria perché un nome abbia lettura di specie. Quindi la proprietà di assegnare una lettura di specie ad una struttura nominale è una terza proprietà del determinante ed è una terza caratteristica che genera variazione interlinguistica. I nomi propri una ulteriore classe di nomi separata dalle altre è la classe di nomi propri che sono dei nomi speciali per tante ragioni: 1. non hanno un significato (nel senso che non definisce una classe di oggetti che hanno certe caratteristiche), i nomi propri hanno la caratteristica di riferirsi direttamente ad un individuo, sono delle etichette attribuite individualmente a singoli individui (più individui diversi possono avere la stessa etichetta ma è un altro discorso) à quindi la relazione fra nome proprio e referente è una relazione diretta, non è che un certo individuo si chiama Gianni perché ha delle caratteristiche che lo accomunano a tutti gli altri individui che si chiamano Gianni à un individuo si chiama Gianni perché lo hanno chiamato così, perché gli è stata attribuita l'etichetta di Gianni à al contrario definisco questo oggetto come ‘’sedia’’ perché ha delle caratteristiche che lo accomunano ad una serie di altri oggetti che possono essere associati al nome ‘’sedia’’ 2. un'altra caratteristica sul piano sintattico che li distingue dagli altri nomi è che non sono soggetti alle stesse restrizioni cui sono soggetti gli altri nomi nella stessa lingua. Esempio: i nomi propri ‘’Gianni’’, ‘’Caterina’’, ma anche ‘’Roma’’, ‘’Italia’’, ‘’Sicilia’’, ‘’Emilia Romagna’’ sono tutti i nomi che morfologicamente sono singolari, designano singoli individui quindi non sono nomi massa, quindi potrebbero in teoria essere soggetti alle stesse regole cui sono soggetti i nomi numerabili singolari à es. il fatto che in una lingua come l'italiano non possono mai essere realizzati come nomi nudi à invece vediamo che ci sono tanti nomi propri che in italiano realizziamo come nome nudi, cioè apparentemente senza un determinante visibile Esempio: nell’italiano standard i nomi propri di persona di solito non si usano con l'articolo à ci sono però dei dialetti dell’italiano e delle varietà di italiano regionale (es. di area settentrionale o di area salentina) in cui i nomi propri vengono sistematicamente associati ad un determinante visibile, cioè ad un articolo sempre omofono dell'articolo definito à In questo caso ‘’il Gianni’’ e ‘’Gianni’’, oppure ‘’Caterina’’ e ‘’la Caterina’’ non esprimono significati diversi, quindi l'articolo quando è associato a un nome proprio non ne cambia il significato (al contrario di altri nomi come ‘’maiale’’). à l'articolo in questo particolare caso non assegna niente, non ha nessuna funzione semantica (è un’entità espletiva) L'italiano e tutte le sue varietà presentano diciamo una variazione intricata nella presenza dell'articolo con i nomi propri: - ci sono dei casi di variazione diatopica: l’appartenenza a una certa area regionale determina l'uso o il non uso dell'articolo con questa particolare classe di nomi à es. in certe zone dell'Italia con certi nomi propri di persona maschili e femminili si usa l'articolo, in altre no. - ci sono casi di variazione stilistica (di natura diafasica): à ci sono alcuni parlanti che utilizzano l'articolo con certi nomi e cognomi per esempio di personaggi famosi (es. ‘’il Petrarca era uno scrittore famoso’’, ‘’il Manzoni’’), mentre ci sono invece dei parlanti che preferiscono non usare à in questi casi la presenza o l'assenza del determinante non modifica l'interpretazione del nome perché questi nomi hanno esattamente le stesse funzioni indipendentemente dal fatto che siano associati o no ad un articolo à la presenza/assenza dell'articolo dipende dal gusto personale del parlante (è un caso di variazione libera: possiamo mettere l'articolo o meno senza che ciò abbia nessuna conseguenza sulla grammatica della frase o sulla sua interpretazione) Al contrario, con un nome come ‘’Roma’’, se metto o meno l'articolo ottengo delle differenze di interpretazione. • ‘’Roma è una città piena di problemi’’ à il nome proprio ‘’Roma’’ senza articolo fa riferimento alla città di Roma. • ‘’la Roma è una squadra in costante competizione con le altre’’ à utilizzando l'articolo non facciamo più riferimento alla città ma alla squadra In italiano tutti i nomi propri, quando vengono utilizzati come nomi propri di squadra, vengono sempre preceduti dall'articolo. Un'altra classe di nomi propri che è sempre preceduta dall'articolo (con qualche eccezione) in italiano è quella dei nomi di Stato e di regione. La presenza dell'articolo coi nomi propri di squadra, di Stato e regione viene spiegata da qualcuno (ma è una spiegazione non troppo tecnica) con il fatto che questi nomi propri non segnalano Quindi non è vero che il nome proprio Roma deve essere realizzato senza determinante in qualunque contesto: ci sono dei contesti (per esempio quando è preceduto da un aggettivo) in cui il nome proprio Roma deve essere realizzato con un determinante visibile perché altrimenti la sequenza sarebbe agrammaticale. L'aggettivo ‘’antica’’ è uno di quegli aggettivi che possono occupare rispetto al nome sia la posizione prenominale sia la posizione postnominale (quindi posso costruire una sequenza come ‘’l'antica città’’ ma anche come ‘’la città antica’’). Tuttavia, quando il nome precede l'aggettivo, una sequenza come ‘’città antica’’ rimane agrammaticale mentre una sequenza come ‘’Roma antica’’ è possibile à quindi ci troviamo in un contesto in cui un nome singolare numerabile non proprio non può mai ricorrere senza articolo mentre il nome proprio può. Ciò che distingue un nome come ‘’città’’ è un nome come Roma è la possibilità del nome Roma di occupare esso stesso la posizione del determinante. à quando vediamo il nome Roma realizzato apparentemente senza determinante visibile, la ragione non è che la posizione del determinante è vuota ma è il nome Roma stesso a trovarsi nella posizione del determinante (svolgendo le funzioni di determinante). Quindi una sequenza in cui Roma occupa la posizione tipica del nome come vediamo nella quarta struttura nominale della tabella, senza il determinante visibile è agrammaticale. Una sequenza in cui Roma si sposta dalla sua posizione tipica di nome e va ad occupare la posizione del determinante diventa grammaticale. Questa è una proprietà che va sotto il nome di salita del nome proprio a D ed è una proprietà che hanno due classi di elementi: • i pronomi • i nomi propri à hanno la caratteristica di potere occupare la posizione del determinante (D) e dunque di non richiedere l'ulteriore presenza di un altro determinante nella sequenza lineare. I nomi comuni non hanno questa proprietà. La possibilità per i nomi propri di salire a D è definita parametricamente, cioè può avvenire questo particolare tipo di movimento sintattico soltanto in alcune lingue ma non in altre. Lo vediamo in una lingua come l'italiano ma non lo vediamo in una lingua come l'inglese dove ‘’Rome acient’’ e agrammaticale e dove invece una sequenza come ‘’ancient Rome’’ è grammaticale. Quindi in italiano i nomi propri hanno due proprietà: - la prima è che per realizzare un nome proprio in una lingua come l'italiano è sempre necessario un determinante visibile, a differenza dei nomi comuni. • quando la posizione D è resa visibile da un articolo il nome proprio coocorre con l'articolo come nel caso di ‘’l'antica Roma’’ o ‘’la Sicilia’’ • quando la posizione D è occupata dal nome proprio stesso, l'articolo non è necessario à quindi alternanze come ‘’Gianni’’/‘’il Gianni’’, in realtà sono alternanze per cui nella sequenza ‘’il Gianni’’, l’articolo realizza lessicalmente la funzione del determinante e ‘’Gianni’’ si comporta da nome. Quando ‘’Gianni’’ ricorre senza articolo vuol dire che ‘’Gianni’’ si è spostato nella posizione del determinante, quindi lessicalizza la posizione di D. à Lo vediamo nei casi in cui un nome proprio si accompagna ad un aggettivo come nel caso di ‘’Roma antica’’. - La seconda è che il nome proprio può esso stesso fare il determinante, cioè occupare e svolgere le funzioni sintattiche che normalmente vengono svolte per esempio dall'articolo. Non tutti i nomi propri in italiano hanno questa caratteristica di potere svolgere le funzioni di D. àes. un nome come ‘’Italia’’ non può salire a D, infatti può cooccorrere con un articolo visibile. Quindi i nomi propri che devono sempre cooccorrere con un articolo visibile non possono salire a D. Evidentemente c'è qualcosa nella loro struttura interna che non permette loro di accedere alla posizione di D. I nomi propri quando sono realizzati senza articolo non sono associati ad un D vuoto come in tutti gli altri casi di nomi nudi. Quindi non sono nomi nudi nel senso che D non è foneticamente realizzato, sono nomi doppi in qualche senso perché svolgono sia le funzioni di D sia le funzioni di nome. Un’osservazione fatta da Longobardi mettendo a confronto la sintassi dei nomi propri con la sintassi dei nomi di specie è che nelle lingue in cui è necessario avere un D visibilmente realizzato con i nomi propri (o attraverso il movimento del nome o attraverso l'articolo) è sempre necessario anche avere un D visibilmente realizzato con i nomi di specie. Viceversa nelle lingue in cui i nomi di specie possono essere realizzati come nomi nudi, anche i nomi propri possono essere realizzati come nomi nudi. à Quindi la obbligatorietà di un determinante visibile coi nomi propri correla con la obbligatorietà di un D visibile con i nomi di specie. Viceversa la possibilità di avere di vuoto o la necessità di avere di vuoto con i nomi di specie correla sempre con la possibilità/necessità di avere D vuoto con i nomi propri. Siamo in una situazione molto simile a quella dei soggetti nulli, cioè ci sono due proprietà che riguardano i nomi di specie da una parte e i nomi propri dall'altra, ma che riguardano entrambe la possibilità di realizzare un D vuoto. Queste due proprietà correlano sempre: - se io posso avere un di vuoto con un nome proprio lo posso avere anche con un nome di specie - se io devo avere di pieno con i nomi propri lo devo avere pieno anche con i nomi di specie Quindi abbiamo due proprietà diverse che correlano sistematicamente: se vedo l'una vedo anche l'altra, se non vedo l'una non vedo mai neanche l’altra (sono due proprietà covarianti, quindi non sono due proprietà separate ma due diverse manifestazioni dello stesso parametro). Questo parametro si chiama parametro di D debole e distingue lingue come l'inglese in cui il parametro è attivo (ossia è possibile avere un D vuoto in presenza di un nome proprio o di specie), mentre non è attivo in italiano (dove D deve essere obbligatoriamente pieno coi nomi propri e di specie). Nomi di parentela Un'altra classe di nomi è la classe di nomi di parentela che sono una classe di nomi separata che ha la caratteristica di esprimere una relazione fra un individuo e un altro, in particolare una relazione di parentela. Dal punto di vista semantico si distinguono dagli altri nomi perché non sono nomi che esprimono un referente associabile alle entità concreta o astratta, ma sono nomi relazionali, cioè che definiscono un tipo di rapporto fra un individuo e un altro. Dal punto di vista sintattico in una lingua come l'italiano sono caratterizzati dal fatto che quando sono realizzati al singolare e sono accompagnati da un possessivo sono incompatibili con l'articolo à quindi quando siamo in presenza di un nome proprio e di un nome di parentela al singolare, questo può essere associato o ad un possessivo o ad un articolo, mai entrambe le cose. à es. ‘’il mio padre’’, ‘’la mia sorella’’ sono sequenze agrammaticali.
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