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Variazione linguistica, Appunti di Linguistica

Appunti lezioni variazione linguistica prof.ssa Guardiano

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 19/11/2019

valentina-brafa
valentina-brafa 🇮🇹

4.5

(44)

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Scarica Variazione linguistica e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! Variazione Linguistica a.a. 2019-2020 Introduzione: alcuni punti di riferimento sulla variazione linguistica LA STRUTTURA NASCOSTA La variazione è l’unica cosa che vediamo della lingua, pertanto è necessario studiarla. Noi non vediamo la lingua, ma le diverse manifestazioni linguistiche prodotte dai parlanti, tutte diverse tra loro e che sono i primi e più evidenti punti di riferimento nel caso in cui si vuole studiare il linguaggio. La lingua non esiste, dal punto di vista empirico ciò che noi vediamo, quindi l’unica cosa tangibile, sono i prodotti linguistici realizzati dai parlanti. Questi prodotti sono ciascuno diverso dagli altri, non esistono due prodotti linguistici realizzati da due parlanti diversi che siano perfettamente uguali. Quelli che chiamiamo prodotti linguistici hanno delle caratteristiche che sono uguali per tutti, vi sono dei principi universali uguali per tutte le manifestazioni di linguaggio umano. La domanda ultima a cui deve rispondere uno scienziato che si occupa di linguaggio è: come è possibile che il linguaggio verbale umano sia talmente universale da caratterizzare l’intera specie umana e solo la specie umana e da avere dei tratti comuni all’interno della specie umana ma allo stesso tempo dei tratti differenti da far si che le sue manifestazioni possono essere mutualmente comprensibili? La facoltà del linguaggio contiene una dicotomia da una parte l’universalità e dall’altra la diversità, l’obiettivo della teoria linguistica è conciliare questi due aspetti apparentemente antitetici. Come si fa a conciliarli? Ci sono studiosi che partono dall’universalità per definire la diversità e studiosi che fanno il contrario. Il primo punto per orientarsi nel caos della diversità linguistica è identificare due livelli (non visibili nel mondo reale): 1) I-language= competenza linguistica, livello che appartiene alla sfera individuale del parlante; un individuo è un parlante se possiede una competenza linguistica, ossia “l’insieme delle caratteristiche che ciascun individuo possiede rendendolo parlante”, le dotazioni individuali sono una serie di informazioni che il parlante possiede e che lo mettono nelle condizioni di essere in grado di produrre solo strutture possibili senza commettere mai errori, in un numero potenzialmente illimitato. I parlanti inoltre non riproducono solo cose già sentite, ma è in grado di produrre e processare strutture possibili mai viste prima, la competenza linguistica pertanto è produttiva. 2) E-language= lingua esterna, ossia un insieme di prodotti linguistici reali che ciascun parlante produce, riguarda quindi le manifestazioni empiriche visibili. Essendo la vita del parlante limitata implica che il numero delle manifestazioni linguistiche sia limitato, perciò la E-language contiene un sottoinsieme di strutture che la competenza permette di produrre. Questo è il livello visibile, rispetto alla competenza che invece è invisibile. Questo livello è visibile nei contesti della comunicazione. La I-language è il pre requisito all’esistenza della E-language, se due parlanti posseggono competenze linguistiche differenti queste si rifletteranno di conseguenza nella manifestazione linguistica, quindi nella E-language, quindi la variazione della E-language è in parte il risultato della variazioni della I- language, tuttavia è condizionata anche da una serie di fattori esterni che ne determinano le caratteristiche sono le dimensioni della variazione sociolinguistica. Perciò la variazione della E-language è determinata 1) dalla variazione della I-language e 2) dalle dimensioni della variazione sociolinguistica. La competenza linguistica non si vede, bensì se ne vedono gli effetti (le conseguenze empiriche), a tal proposito Chomsky afferma: “come su un sasso che cade non sta scritta la legge di gravitazione universale, così quando si pronuncia una frase non si pronuncia anche la regola della grammatica che la forma”. È attraverso l’osservazione della E-language che è possibile comprendere come è fatta la I-language, crucialmente è possibile anche attraverso le strutture invisibili, ossia quelle strutture che i parlanti non producono mai. La competenza linguistica si vede attraverso l’analisi introspettiva, un procedimento che fa emergere le intuizioni (o i giudizi) di grammaticalità di un parlante. Dal punto di vista tecnico l’intuizione di un parlante riguarda la capacità del parlante di dire per ogni sequenza se è possibile nella sua lingua (se può non mai sentita) o se è impossibile. Quando vengono testate le intuizioni grammaticali cerchiamo di capire quindi, data una certa sequenza linguistica se essa è possibile per quel parlante o se è impossibile. In questo senso la nozione di grammaticale riguarda la struttura possibile (struttura che il parlante produce concretamente nella sua E-language e alla quale è in grado di conferire un significato), la nozione di a-grammaticalità invece è associata alla nozione di struttura impossibile (il parlante non la produce mai). Riassumendo: cosa fa un parlante con la sua competenza linguistica? 1) Produce SOLO strutture possibili/grammaticali 2) Produce strutture che non ha mai prodotto né sentito prima 3) NON produce mai strutture impossibili/a-grammaticali (in quanto i parlanti non commettono mai errori) 4) Riconosce TUTTE le strutture possibili/grammaticali che vede/sente (anche quelle che non ha mai visto/sentito) 5) Riconosce le strutture impossibili/a-grammaticali (anche se non le ha mai sentite prima). dalle precedenti, hanno eliminato abitudini linguistiche che prima esistevano, oggi esistono dei nativi della lingua digitale. Invece il repertorio linguistico di un parlante è l’insieme di varietà (E- language) che è in grado di produrre nel contesto comunicativo in cui si trova. Questo è dato dal fatto che il singolo parlante produce E-languages non in modo caotico ma come conseguenza di una serie di fattori esterni date dalle dimensioni della variazione sociolinguistica. Un parlante commette un errore a livello di E-language quando non è in grado di adottare le scelte linguistiche appropriate al contesto comunicativo in cui viene a trovarsi. LA SITUAZIONE LINGUISTICA IN ITALIA La norma linguistica codificata convenzionalmente è un modello ideale che non esiste in nessuna forma di uso reale della lingua (italiano standard). Ciascun parlante italofono parla italiano in maniera diversa a seconda di alcune variabili date dal territorio di provenienza (es: varietà regionali, riguardanti la dimensione diatopica); il livello di cultura/scolarizzazione e la fascia generazionale di appartenenza (dimensione diastratica); situazione comunicativa nella quale si trova (dimensione diafasica); mezzo di comunicazione che usa per parlare (dimensione diamesica). “La differenza tra lingua e dialetto non è una differenza “di sistema”. Le lingue e i dialetti sono sistemi linguistici a tutti gli effetti […] quindi non è vero che i dialetti non hanno grammatica come capita di sentir dire”. La fortissima frammentazione linguistica è attestata fin dalle prime fonti di epoca storica. Fra il I e il II millennio d.C. esiste un enorme distacco fra lingua parlata e lingua scritta che riproduce il distacco fra le élite dotte e le masse degli analfabeti. Quando il divario linguistico diventa macroscopico, cioè quando la lingua parlata è talmente diversa da quella scritta che non sono intellegibili, si corre “ai ripari”: per esempio durante le funzioni religiose, le parti liturgiche vere e proprie sono recitate in latino, mentre l’omelia è pronunciata in volgare; oppure certi documenti ufficiali (es: atti notarili) cominciano ad essere redatti in entrambe le lingue. In questo momento gli unici tentativi di “unificazione linguistica” avvengono al livello della lingua scritta letteraria. Principali tappe della storia dell’italiano dall’Unità ad oggi —> Fino all’Unità d’Italia: • L1 = dialetto • Italiano = solo scritto e solo per le classi più alte —> Dall’Unità d’Italia agli anni ’50/’60 del ‘900: L1 = dialetto L2 scritta = italiano (lingua che si impara a scuola, che si scrive, che si ascolta alla radio) —> A partire dagli anni ’60: • L1 = dialetto (per qualche parlante già l’italiano) • L2 scritta e anche parlata = italiano (l’uso parlato dell’italiano si diffonde soprattutto a partire dalla televisione) —> Fra gli anni ’70 e gli anni ’90: L1 = italiano L2 = dialetto (competenza spesso implicita) —> A partire dagli anni ’90 • Immigrazione: molti stranieri imparano (spesso spontaneamente, cioè senza frequentare le scuole) l’italiano come L2 (avendo come L1 una lingua diversa dall’italiano, spesso non IE) Conseguenza: nascono forme di italiano “semplificato” e prevalentemente parlato. Pertanto esistono due varietà: l’italiano standard e il dialetto che si collocano su due poli opposti e che, viste isolatamente, sono ben distinguibili l’una dall’altra. Fra questi due estremi esistono moltissime varietà intermedie che somigliano progressivamente all’una o all’altra ma non sono identiche a nessuna delle due. Oltretutto non ci sono confini netti tra un dialetto e l’altro, i confini linguistici non sono netti come i confini politici. VARIETÀ DIATOPICA Variazione linguistica nella penisola italiana: ALLOGLOSSIE Alloglossia: area geografica, in genere di dimensioni ridotte, in cui si parla una lingua diversa rispetto a quella largamente diffusa nell’area circostante. Esistono due tipi di alloglossie: 1) stanziali: riconducibili ad un determinato territorio, nel quale sono insediate da molti anni (es: minoranze storiche, autoctone o di antico insediamento); 2) diffuse: non riconducibili ad uno specifico territorio di competenza (di solito sono alloglossie di insediamento più recente). In Italia esistono 3 gruppi di alloglossie: 1) Aree in cui si parla una lingua che è ben rappresentata fuori dall’Italia (tedesco, francese, sloveno, croato, albanese, greco, catalano); 2) Aree in cui si parla una lingua che non esiste fuori dall’Italia (franco provenzale, friulano, ladino, sardo); 3) Aree in cui si parlano lingue che sono diffuse altrove e che non ci aspetteremmo in quel luogo (tabarchino a Carloforte, galloitalico di Sicilia). Esistono a tal proposito esempi di variazione diatopica data dalla sintassi: • Accusativo preposizionale: fenomeno per cui alcuni particolari tipi di complementi (soprattutto i complementi oggetto), chiamati anche diretti in quanto non si legano al verbo senza l’utilizzo di una preposizione, invece utilizzano una preposizione per collegare il complemento oggetto con il verbo di riferimento. In italiano la proposizione utilizzata è sempre la stessa ed è la “a”, che in genere introduce il caso dativo. Es: ma perché a te non ti invita mai? A tuo fratello sarà un anno che non lo vedo A Federico l’hanno visto con una nuova fidanzata Sto cercando a tuo fratello Questa è una strategia di marcatura differenziale dell’oggetto diretto (DOM), fenomeno non limitato al contesto italo-romanzo, più o meno tutte le lingue del mondo presentano il fenomeno dalla marcatura differenziale dell’oggetto. All’interno delle varietà romanze parlate nella penisola italiana questo fenomeno si manifesta in modo variabile: nelle lingue romanze originarie della penisola italiana l’accusativo preposizionale è limitato a pochissimi oggetti —> nella parte settentrionale esiste ma è limitato a pochissimi contesti, invece è più diffuso nelle varietà centrali e meridionali, nelle varietà meridionali estremi si manifesta a macchia di leopardo cioè in alcune parte non vi è traccia e in altre parti è molo usato. Questa marcatura è limitata solo ad alcuni tipi di oggetti, una classe di questi sono i pronomi personali di prima e seconda persona dislocati a sinistra o in una posizione non canonica. Ci sono però lingue che marcano i pronomi di prima e seconda persona anche quando si trovano in posizioni regolari, poi i pronomi di terza persona singolare in posizione dislocata e infine i pronomi di terza persona singolare in posizione non marcata. Quindi la marcatura differenziale fa sì che la stessa parola (un pronome di prima o seconda persona) sia marcata quando si trova dislocata mentre altre volte non sia dislocata ma comunque marcata. Ci sono poi delle lingue in cui non solo i pronomi, ma anche i nomi quando si trovano in posizioni di complemento oggetto possono essere marcati attraverso una marca preposizionale, ma anche in questo caso non è possibile per tutti i nomi. I nomi che prendono la marca preposizionale sono sensibili a dei fattori, tra questi il primo è l’appartenenza del nome alla classe dei nomi propri; invece tutti gli altri nomi (eccetto quelli di specie e di massa mai marcati dalla preposizione in nessuna lingua) comuni costituiscono un’area di variabilità in quanto nella stessa lingua è possibile che alcuni nomi comuni prendano la marca preposizionale e altri no. Nell’uso dell’accusativo preposizionale intervengono almeno altri due fattori, uno legato alla semantica interna del nome che è l’anima terza, ci sono dei nomi comuni che indicano entità animate e nomi comuni che indicano entità inanimate, questo fattore determina la selezione della preposizione. Altro fattore che incide sulla selezione della marca coi nomi comuni numerabili è la cosiddetta interpretazione definita: se un nome comune numerato è interpretato come definito allora prende la marca, se è interpretato come indefinito non la prende. Tutti questi fattori (ossia l’anima terza, la definitezza, il numero, la posizione sintattica dell’oggetto) si intersecano tra loro in modi differenti, quindi le lingue si differenziano l’una dall’altra in base a come i vari fattori che condizionano la presenza dell’accusativo preposizionale si mescolano fra loro. Tuttavia in questo caos esistono una serie di relazioni di implicazioni VARIETÀ DIASTRATICA Dipendono dai fattori sociali che incidono sul repertorio della natura linguistica del parlante. Tra queste varietà: • Italiano dei giovani —> il principale parametro è dato dalla fascia d’età che accomuna tutti i parlanti di questo gruppo, in quanto è la medesima. Questi producono una serie di E-languages accomunate da una serie di caratteristiche simili. Ci sono anche vari fattori che accomunano i parlanti oltre all’età, tra cui il contesto sociale in cui vivono, in quanto normalmente parlanti della stessa generazione frequentano lo stesso livello di studi scolastici, hanno più o meno gli stessi interessi, ascoltano la stessa musica, guardano gli stessi film, fanno parte degli stessi social network, ecc. Quindi alle variabili diastratiche si associano anche le variabili diafasiche, diamesiche e diatopiche. Questa varietà è fortemente sperimentale e innovativa, insieme alla lingua della pubblicità la lingua dei giovani risulta tra le più dinamiche dal punto di vista dell’invenzione di strutture nuove (parole, modi di dire, ecc.), acquisisce cose da nuovi sistemi linguistici diversi, è capace, inoltre, di espandere queste innovazioni al di fuori del contesto in cui si sono sviluppate. Gli elementi base sono: utilizzato di un italiano informale e colloquiale, elementi gergali (tradizionali e innovativi), elementi provenienti dalla lingua della pubblicità e della comunicazione, elementi provenienti da lingue straniere, elementi provenienti dal dialetto. È riconosciuto che la lingua dei giovani faccia un ampio uso di elementi dialettali, e li rinnova attribuendo loro funzioni diverse rispetto a quelle originarie, in questo caso il dialetto che entra nella lingua dei giovani è sia il dialetto locale sia una sorta di dialetto pan- nazionale che contiene elementi tratti da veri dialetti e condivisi anche nelle aree di cui non sono originari. Componenti diastratiche: la lingua dei giovani è una lingua di gruppo, strumento di identificazione e coesione sociale. Inoltre la comunità linguistica è caratterizzata dal fatto di frequentare contesti sociali simili (scuola sport, contesti ricreativi, ecc.) e da esperienze sociali simili (globalizzazione, innovazioni tecnologiche, contesto socio-politico, ecc.) Componenti diafasiche: la lingua dei giovani si usa normalmente per parlare di argomenti specifici legati a contesti sociali frequentati dai parlanti (sport, moda, amici, passioni, politica, ecc.), si usa in contesti non ufficiali e informali per le interazioni tra pari. Componenti diamesiche: prima dell’era digitale la lingua dei giovani era per un uso prettamente orale e più raramente scritto, ma con l’avvento della comunicazione digitale ha aperto un’enorme quantità di spazi di espressione prima inesistenti e indisponibili, utilizzate soprattutto dalle generazioni più giovani (e più aperte alle innovazioni tecnologiche); la lingua dei giovani ha iniziato ad articolarsi in una serie di sottovarietà che rientrano nell’ambito delle varietà digitate. Le varietà digitate è una mescolanza originale di componenti organizzanti, veicolate da mezzi connessi con la scrittura , che come tale pongono delle restrizioni di natura diamesica. • Italiano semplificato —> varianti prodotte da parlanti che non hanno la possibilità di accedere a tutte le varietà del repertorio linguistico. Le varietà che in particolare mancano sono quelle più vicine allo standard, varietà che un parlante nativo o non nativo apprende in corsi di apprendimento scolastico. Quindi un individuo non scolarizzato non ha accesso alle varietà più standard. Ciò succede a coloro che non hanno potuto accedere a studi scolastici o a stranieri che hanno appreso la lingua dagli studi, apprendendo solo alcune varietà e non tutte. Nello specifico ci troviamo di fronte a: 1) Dialettofoni che si trovano a dover utilizzare l’italiano senza avere mai avuto un apprendimento guidato, per esempio attraverso la scuola; 2) Italofoni che non hanno avuto accesso alle varietà alte dell’italiano; 3) Stranieri che si trovano a usare l’italiano senza avere mai avuto un apprendimento guidato, per esempio attraverso la scuola. I tratti più comuni tipici dell’italiano semplificato sono visibili nei seguenti livelli: grafico/fonologico, lessicale, morfosintattico. Al livello grafico/fonologico si hanno realizzazioni fonologiche che riflettono caratteristiche di pronuncia degli italiani regionali o dei dialetti locali che si ripercuotono anche nella scrittura, ad esempio con un “uso fantasioso” del diagramma cq e delle lettere c e q per indicare un suono occlusivo velare sordo davanti alla vocale u (es: scquola, squola, aqua, cuesto, quote). Oppure un uso/abuso della lettere h (es: o mangiato). Oppure ancora di segmentazioni strane di certe parole precedute dall’articolo (es: linverno, all’avori, in cinta, ecc.). Oppure l’incertezza nell’uso della punteggiatura (es: Carlo, è simpatico). Al livello morfosintattico riguarda le concordanze a senso (es: c’è qualcuno che dicono, ecc.). oppure desinenze e forme ridotte (es: domani telefono a dAnna e gli dico di non venire), flessione nominale e verbale anomala (es: mia moglia). Oppure ridondanza pronominale (a me non mi seccava), gradi rafforzati ( più meglio), “che” polivalente (Es: era piovuto che era poco). VARIETÀ DIAFASICA Vengono riportate sotto esempi di varietà comunicative: Elementi del contesto comunicativo —> • Caratteristiche dell’emittente • Caratteristiche del ricevente • Rapporto fra emittente e ricevente • Obiettivi della comunicazione • Contenuto (argomento) • Contesto comunicativo Comunicazione scientifica • Emittente —> autore esperto (scienziato) • Ricevente —> pubblico esperto (scienziato) • Argomento —> contenuti scientifici specifici • Contesto —> comunicazione pubblica, scritta (riviste scientifiche, testi specializzati) e orale (conferenze, seminari) • Obiettivo —> scambio di conoscenze fra addetti ai lavori, avanzamento della conoscenza Comunicazione divulgativa • Emittente 1 —> autore esperto (scienziato) • Emittente 2 —> autore esperto (divulgatore) • Ricevente —> pubblico non esperto • Argomento —> contenuti scientifici non specifici (contenuti semi- scientifici) • Contesto —> comunicazione pubblica, scritta (volumi divulgativi) e orale (trasmissioni televisive, ecc.) • Obiettivo —> diffusione della conoscenza, “educazione culturale” Comunicazione tecnica • Emittente —> autore esperto (tecnico) • Ricevente —> pubblico non esperto (utente) • Argomento —> istruzioni operative • Contesto —> comunicazione pubblica, scritta (libretto di istruzioni) e orale (tutorial su YouTube) • Obiettivo —> mettere qualcuno in condizione di fare qualcosa Comunicazione giornalistica • Emittente —> autore informato (giornalista) • Ricevente —> pubblico interessato • Argomento —> notizia • Contesto —> comunicazione pubblica scritta e orale • Obiettivo —> informare il pubblico, creare un’opinione Comunicazione istituzionale • Emittente —> istituzioni • Ricevente —> cittadini • Argomento —> diritti e doveri dei membri dell’istituzione • Contesto —> istituzionale • Obiettivo —> esercitare diritti e doveri ipotetico, frasi concessive, ecc.). Il processo di sostituzione del congiuntivo con l’indicativo è possibile soltanto nel caso della seconda funzione, cioè quando ha una funzione sintattica e non modale. Pertanto l’uso dell’indicativo pro congiuntivo è limitato ad una specifica classe di funzioni sintattiche. PERCHÈ L’AVVENTO DELLA COMUNICAZIONE DIGITALE DI MASSA È ASSOCIATA ALLA RIVOLUZIONE? La scrittura entra nelle tastiere dei parlanti che non hanno nessuna familiarità con le forme di scrittura istituzionale, pertanto viene utilizzata come forma di surrogato del parlato, come un modo per disegnare la lingua parlata. Nella lingua digitata non è una trasposizione della lingua parlata in lingua scritta, sarebbe troppo semplificativo affermare ciò, in quanto per esempio i segnali discorsivi della lingua parlata non sono necessari per la lingua scritta in quanto forma altamente pianificata, pertanto nella lingua digitale soltanto alcuni di questi segnali discorsivi vengono riprodotti e vengono leggermente modificati. Le false partenze tipiche della lingua parlata in cui si inizia una frase che non si riesce a concludere è presente anche nella lingua digitata. La lingua digitata è veicolata attraverso il canale visivo pertanto è necessario un codice utile a trasformare i suoni e le strutture linguistiche in scrittura; questa è un codice arbitrario che attribuisce a dei segni grafici (grafemi) un valore linguistico. La lingua è indipendente dalla scrittura in quanto la prima esiste da prima della seconda. Dal punto di vista ontogenetico l’essere umano è diventato prima parlante e poi ha imparato a scrivere, in altre parole la scrittura è un prodotto culturale secondario, elaborato a tavolino per codificare visivamente la lingua, è prodotto di una convenzione in quanto condiviso da un gruppo di utenti. Il sistema di scrittura è arbitrario, in quanto non esiste un motivo per cui per esempio la lingua italiana debba essere trascritta attraverso un sistema alfabeto. Ogni sistema di scrittura possiede delle caratteristiche a sé stanti. Ci sono sono a tal proposito 4 classi di sistemi di scrittura: 1) Sistema ideografico —> sistema per cui ogni simbolo corrisponde ad un significato. Il legame non è fra simbolo e significante ma fra simbolo e significato. 2) Sistema logografico —> sistema per cui ad ogni simbolo corrisponde una parola. 3) Sistema alfabetico —> sistema per cui ad ogni parola e suono corrisponde un segno. 4) Sistema sillabico —> un simbolo corrisponde ad una sillaba (gruppo fonetico che ruota attorno ad una vocale). Nella scrittura digitata si assiste ad un mescolamento tra tutti i sistemi, in quanto presenziano simboli ideografici, logogafici e sillabici. Essa è caratterizzata per avere una certa elasticità rispetto all’ortografia, in quanto si utilizzano simboli che sostituiscono la scrittura alfabetica. Inoltre devia dall’ortografia per l’utilizzo anomalo della scrittura in maiuscolo (es. nell’hashtag, simulazione dell’innalzamento del tono di voce). All’interno delle lingue digitate si apre uno spazio di variazione che dipende dall’intersezione con altre dimensioni (es: diafasica, diastratica, e meno diatopica) che rende tutto più complesso. ____________________________________________________________________ LA LINGUA ABBREVIATA La lingua abbreviata è una classe particolare di E-languages, definita anche “block language” che ha delle caratteristiche che la classificano sia dal punto di vista diamesico che diafasico. Dal punto di vista diamesico riguarda un insieme di prodotti linguistici che si realizzano solo in forma scritta (ma nulla a che vedere con la lingua scritta tipica) e dal punto di vista diafasico si caratterizza per essere prodotta in contesti in cui il parlante è soggetto a forti limitazioni in termini di spazio e tempo. I contesti più tradizionali di uso della lingua abbreviata sono per esempio i titoli dei giornali, in quanto deve essere breve e al tempo stesso informativo, oltre che attirare l’attenzione (principalmente), per queste ragioni sono soggetti a limitazioni. Pure i testi pubblicitari devono veicolare un messaggio e allo stesso tempo essere accattivanti per attirare l’attenzione, pertanto anche i testi pubblicitari sono caratterizzati per essere testi brevi: nel minor numero possibile di parole devono veicolare un messaggio che trasmetta un contenuto e che sia accattivante. Altri contesti in cui si realizza la lingua abbreviata sono gli appunti, testi prodotti in un tempo limitato, così come le slide sono pure un testo abbreviato. La lingua digitata fornisce contesti in cui si può utilizzare la lingua abbreviata come per esempio la messaggistica, i social network come Twitter, caption di Instagram ecc. Come è possibile che un parlante normale sia in grado di produrla? Molte delle caratteristiche peculiari della lingua abbreviata sono delle caratteristiche che sarebbero concepite come grammaticali dai parlanti in qualunque altro contesto, quindi il parlante quando entra nella lingua abbreviata sembra in grado di fare cose con la propria competenza linguistica che in qualunque altro contesto sarebbero impossibili. Trattandosi di una lingua scritta, la lingua abbreviata è caratterizzata da una serie di fenomeni puramente grafici, ci sono delle caratteristiche che riguardano esclusivamente la componente grafica: • Abbreviazioni: TVTTB • Sistemi grafici alternativi: xké, c6, ecc. —> questo insieme di grafemi rappresenta un sistema grafico semi sillabico in cui un simbolo come la “x” corrisponde ad un’intera sillaba che è “per”. Invece c6 rappresenta l’unione tra un sistema sillabico, di cui la lettera “c” rappresenta la sillaba “ci” e un sistema logografico in cui il 6 rappresenta la parola “sei”. • Simbolismo non linguistico: ;-), Emoji😘 , #Hashtag, @mention, ecc. All’interno del messaggio linguistico nelle lingue digitate viene inserito del materiale non linguistico, questi elementi possono essere utilizzati come accompagnamento al testo (quindi fuori dal messaggio) oppure come parte del testo. Da una parte la lingua abbreviata sembra deviare dalle regole della E- language in quanto facciamo cose che nella lingua in qualunque altro contesto non faremmo mai. Da un altro lato certi meccanismi della lingua abbreviata sembrano essere meccanismi linguisticamente del tutto naturali che il parlante mette in pratica esattamente nello stesso modo con cui produce E-language in tutti gli altri contesti. Da un punto di vista le lingue abbreviate e nello specifico le lingue digitate non inventano niente, elaborano delle strategie che sono indipendentemente osservabili in altri contesti, come per esempio con l’utilizzo di strategie per abbreviare locuzioni più lunghe trasformandole in un’unica parola. Per certi aspetti lingua abbreviata e digitata vanno spesso insieme ma da un altro lato sono messe in atto delle strategie linguistiche che producono effetti sulle E-languages che sono nuovi, e mai visto in nessun’altra varietà di lingua. Dal punto di vista della costruzione del testo linguistico, nella lingua abbreviata ci sono due classi di fenomeni: 1) La prima classe caratterizza tutti i tipi di lingue abbreviata ed è una classe che ha a anche fare con un processo definito “processo di omissione”, ossia il fatto di non usare certe parole o certi pezzi di frase che invece sarebbero necessari, in quanto senza quell’elemento la frase è a-grammaticale. Es: “Camion abbatte palo” (titolo di giornale) qui ogni parlante italofono riesce ad associare una struttura sintattica (soggetto- verbo-oggetto) e grazie e questo riconoscimento è in grado di interpretare la frase, tuttavia qualunque parlante italofono è in grado di capire che manca qualcosa, in quanto in questa struttura sono assenti due tipi di categorie sintattiche che ci aspetteremmo essere presenti in contesti d’uso normali, queste categorie sono il determinante a sinistra di ciascuna delle categorie nominali che fungono da soggetto e oggetto del verbo. L’interpretazione che il parlante attribuisce, tuttavia, è la medesima di “un camion ha abbattuto un palo”. Però solo alcune specifiche categorie di parole possono essere omesse, come le categorie funzionali (o grammaticali) come per esempio i determinanti, la flessione verbale, gli ausiliari, ecc. 2) La seconda classe riguarda soprattutto le lingue abbreviate digitate, riguarda il processo di sostituzione, per cui all’interno di un testo linguistico una specifica serie di funzioni sintattiche viene ricoperta da cose che non sono lingua. Es: “Un grande ritorno in 🇮🇹 , con una grande quanto non è possibile ometterla sempre. È inoltre frequente l’omissione del tempo verbale e l’omissione dell’ausiliare (es. uomo arrestato per omicidio). Un altro tipo di omissione tipica dell’inglese abbreviato, che non si manifesta in modo uguale nell’italiano è l’omissione del possessivo; si definisce possessivo un elemento di natura pronominale (pronome personale) al caso genitivo, funzione sintattica che esprime una relazione di possesso fra un nome e un altro nome. La prima proprietà del possessivo è che in una lingua come l’italiano in cui il caso genitivo viene espresso attraverso una preposizione il possessivo non ha bisogno della preposizione. La seconda proprietà riguarda l’accordo tra il possessivo e il nome a cui si riferisce. Da questo punto di vista si dice che in italiano il possessivo ha delle proprietà aggettivali in quanto si accorda con il nome a cui fa riferimento. La differenza tra il possessivo inglese e il possessivo italiano è che in inglese il possessivo non è compatibile con un articolo, mentre in italiano una struttura che contiene il possessivo contiene l’articolo (es: il suo libro), con qualche eccezione. In italiano esiste una classe di nomi che si comportano in modo diverso da tutti gli altri nomi rispetto all’uso del possessivo: i nomi di parentela. Questi quando vedono associati al possessivo non vogliono l’articolo. I possessivi sono degli elementi che nelle lingue abbreviate si possono omettere, è possibile dire, per esempio: uomo uccide moglie. Non è vero che nelle lingue abbreviate bisogna omettere per forza ciò che non serve, e non è nemmeno vero che si può omettere tutto e sempre, dipende dal contesto. Ci sono dei casi in cui l’omissione di un certo elemento genera una struttura ambigua. Quindi… La lingua abbreviata è una varietà di lingua, più precisamente un insieme di varietà di lingue, che si manifesta come E-language (ossia come un prodotto empirico osservabile), che non è detto però sia un vero prodotto di una I- language, in quanto potrebbe non esserlo. È data da una classe di fenomeni in cui i parlanti sembrano avere delle intuizioni tipiche della I-language, quindi si può studiare sia dal punto di vista della E- Language che della I- language. ANALISI LINGUISTICA Come studiare una lingua abbreviata? Per studiare la lingua abbreviata si farà riferimento a come sono stati descritti i fenomeni della lingua abbreviata in varietà meglio studiate come in inglese, perciò si partirà dai quattro fenomeni già menzionati ossia l’omissione del determinante, della flessione verbale (tempo), dell’ausiliare e della copula. Si osserveranno poi altre forme di omissione come: l’omissione del verbo lessicale, del possessivo, e della preposizione. Studiare scientificamente il linguaggio: • Innanzitutto bisogna definire l’oggetto di studio, quindi bisogna chiedersi cos’è il linguaggio e qual è la sua natura intrinseca. Bisogna dire che cos’è la lingua, e comprendere che quando la tiriamo in causa ci riferiamo a due livelli di analisi (I-language o competenza interna e E-language o prodotto della lingua). In molti studi una definizione che viene spesso data di lingua è che la lingua è uno strumento di comunicazione, questa affermazione è vera ma la lingua non si può ridurre a mero strumento di comunicazione in quanto viene utilizzata per molte altre cose a prescindere dalla comunicazione, in quanto la lingua esisterebbe lo stesso anche senza comunicazione e a sua volta per comunicare esistono moltissime altre cose oltre alla lingua. Tuttavia è un dato di fatto che l’uomo utilizzi la lingua per interagire con gli altri individui. I contesti comunicativi sono caratterizzati da una serie di componenti che agiscono sul modo in cui il parlante usa la lingua. Tuttavia se non sono in grado di definire la struttura e la natura del messaggio non sarò neanche in grado di definire come le variabili esterne incidono nel determinare la sua natura. Quindi il primo processo da svolgere in qualunque analisi linguistica è analizzare le caratteristiche oggettive del messaggio e successivamente decidere se studiare i meccanismi che hanno prodotto dall’interno della competenza del parlante quel messaggio specifico (studiare cioè la I- language) oppure studiare il condizionamento esterno che ha fatto sì che il messaggio si manifestasse in quella forma precisa e non in un’altra. In entrambi i casi il punto di partenza è il messaggio e fare un’analisi linguistica significa individuare un preciso oggetto di indagine, nonché punto di partenza, poi descrivere quell’oggetto nel modo più oggettivo possibile e infine analizzarlo in relazione ad un’altra serie di componenti. Essere parlanti per noi è la cosa più naturale, ma il fatto che noi lo siamo non è un fatto insignificante perché il nostro essere parlanti è un mistero, in quanto essere parlanti è una proprietà molto complessa ed implica che noi siamo in grado di gestire una quantità e una complessità di informazioni che è difficile da definire, da controllare. La nostra capacità linguistica è generativa ed è tale che ci permette di produrre infinite produzioni linguistiche. Inoltre la competenza linguistica di un parlante è inconsapevole, quindi un parlante non è in grado di dire perché è un parlante e come ha fatto a diventarlo. La conoscenza linguistica è universale poiché tutti gli uomini sono parlanti, è naturale e spontanea in quanto diventiamo parlanti in modo spontaneo, senza apprendimento esplicito e infine è specie specifica poiché nessun altro linguaggio, naturale o artificiale, possiede le proprietà del linguaggio verbale umano. Esistono due modi per studiare la I-language: 1) Approccio naturalistico, partire dalla E-language, cioè dal dato. Si parte dal dato che il parlante produce e si va all’indietro. In questo metodo risiedono degli svantaggi perché per quanto sia vasto il corpus di E- language non presenta mai evidenza negativa (ossia strutture impossibili), possono contenere errori di esecuzione (il parlante produce strutture che per la sua E-language sarebbero a-grammaticali, quindi produce delle non frasi che sono l’effetto di un’interferenza di effetti esterni con la sua I-language) e potrebbero non contenere strutture che per un parlante sono possibili ma poco usate nella E-language, cioè ci sono delle cose che un parlante può fare con la sua lingua che non fa mai, magari perché sono difficili da processare, sono strane, perché risuona innaturale, ma non perché siano impossibili. Cosa faccio quindi quando mi trovo in un corpus un fenomeno raro? Come faccio a decidere se si tratta di un errore di esecuzione o una struttura poco frequente ma non possibile? La soluzione è chiedere al parlante, si ricorre al secondo tipo di dato che sono i… 2) …dati elicitati, ossia giudizi di grammaticalità ottenuti attraverso domande esplicite o altre tecniche sperimentali, come gli esperimenti di laboratorio (più affidabile dell’osservazione naturalistica in quanto si controllano tutti i fattori di interferenza rispetto al fenomeno che voglio osservare). Questo metodo propone più vantaggi r ispetto all’osservazione dei dati empirici, ma ci sono dei contesti in cui bisogna per forza lavorare sulla E-language. Le lingue sono caratterizzate da una serie di proprietà che le definiscono in quanto oggetti del mondo, per etichettare un oggetto del mondo come lingua, questo oggetto del mondo deve rispondere ad una serie di proprietà che si rifanno ai principi della struttura del linguaggio umano. Fra questi principi esiste il principio di linearità per il quale qualunque prodotto linguistico è caratterizzato dal fatto di essere una successione lineare di elementi, prevede che tutti gli oggetti linguistici devono essere disposti linearmente, cioè uno dopo l’altro. Quindi le enunciazioni linguistiche si presentano sia nello scritto che nel parlato come una successione lineare di elementi (suoni, morfemi, sintagmi, ecc.). Un altro è il principio di discretezza che prevede che ciascun elemento della lingua sia delimitato da confini ben precisi, quindi i sistemi linguistici sono sistemi discreti. Noi vediamo la lingua come una successione di elementi ben definiti uno rispetto all’altro che si dispongono in un ordine lineare senza sovrapporsi, senza alcuna sfumatura. In quanto parlanti di una lingua sappiamo che l’ordine in cui disponiamo gli elementi di una frase o di un enunciato è significativo: certi ordini sono possibili altri sono impossibili. L’ordine non è casuale, ma ci sono delle regole ben definite. All’interno di una frase ci sono certi elementi che sono più uniti di altri, cioè ci sono delle parole che fanno gruppo le une con le altre e altre parole che invece sono staccate da questi gruppi, questa è l’intuizione che sta alla base di costituente —> aggregazione di elementi che svolge una specifica funzione all’interno di una frase o di un altro costituente. Inoltre all’interno di una frase ci sono delle posizione che corrispondono a delle funzioni ben precise assolte dai costituenti sintattici. Un altro tipo di accordo è fra il participio di un tempo composto e il complemento oggetto (riguarda solo la classe dei verbi transitivi). Un’altra classe di fenomeni che forniscono informazioni sui legami sintattici che legano i diversi elementi di una frase è data dal caso morfologico: espressione visibile di una relazione sintattica fra due elementi ( fra un verbo e i suoi argomenti o fra una preposizione e il suo complemento), questa relazione va sotto il nome di caso astratto (legame strutturale fra un verbo e i suoi complementi o fra una preposizione e i suoi complementi). Quindi il caso morfologico è una rappresentazione visiva del caso astratto, quindi nel momento in cui si identifica un elemento come soggetto, per esempio, o come complemento oggetto si esprime una relazione di caso. Il legami di coreferenza si instaurano tra due elementi di una frase che hanno lo stesso referente, ossia che si riferiscono allo stesso oggetto del mondo, ci sono parole come i nomi propri che hanno referenza diretta e ci sono parole come i pronomi che per individuare il referente devono creare un legame con un altro nome, in quanto non hanno referenza propria), l’elemento cui si lega il pronome per creare referenza si chiama antecedente. Es: Pietro dice che lui è stanco —> il pronome “lui” può essere coreferente di “Pietro” quindi lo può prendere come antecedente, in cui lui=pietro, quindi si tratta di referenza testuale. Ma il pronome “lui” potrebbe prendere anche un antecedente diverso in quanto lui è diverso da Pietro, attraverso un riferimento esplicito al contesto extratestuale. La nozione di costituente sintattico All’interno di una frase le parole non esistono in quanto parole, ma esistono in quanto funzioni sintattiche. Per esempio: un matematico ha visto ?, di seguito si possono inserire una parola, un gruppo di parole, o anche un’intera frase, che svolgono rispetto alla frase a cui si agganciano la stessa funzione sintattica a prescindere dal numero di parole, in questo caso la funzione sintattica che prende il posto di ? svolge la funzione di complemento oggetto. • Un matematico ha visto vecchie fotografie di Maria —> complemento oggetto. Questo costituente sintattico ha a sua volta una struttura interna, ossia non tutte le parole che lo compongono sullo stesso piano, in quanto alcune sono più importanti di altre. La testa di un costituente sintattico è quell’elemento senza il quale il costituente non esiste. In questo caso la testa del sintagma è “fotografie”. Per vederlo in modo sintattico si può fare il test di sottrazione, ossia vengono prese le singole parole che compongono il costituente e vengono tolte ad una ad una per capire se senza quella parola la struttura grammaticale rimane la medesima o crolla. Il test di sottrazione serve ad individuare la testa sintattica e ulteriori altri costituenti, in questo caso “di Maria” non sono due parole ma un’unica entità che coincide con un costituente. La struttura interna dei sintagmi Un sintagma si definisce che come un’identità più o meno corposa che dipende dal numero di parole e che svolge una precisa funzione. Il più piccolo costituente sintattico visibile è costituita da un’unica unità sintattica che però non viene comunque trattata come una parola. Quando un costituente è formato da più parole dobbiamo chiederci se a sua volta questo costituente abbia una struttura interna, ciò significa indagare la struttura interna di un sintagma. Innanzitutto si cerca di capire se tra tutti gli enti che compongono un sintagma ce ne sia uno indispensabile e se gli altri siano accessori, quindi la testa del sintagma è fondamentale per l’esistenza del costituente). Per individuare la testa bisogna fare il test di sottrazione: eliminiamo di volta in volta parole singole del costituente sintattico per capire se ciò che rimane formi una struttura grammaticale o a-grammaticale, se la struttura, tolto un elemento, crolla, significa che quello stesso elemento è la testa del sintagma. I sintagmi preposizionali sono sempre costituiti da una preposizione che è la testa del sintagma e un costituente nominale a cui la preposizione si lega, quindi le preposizioni dal punto di vista sintattico hanno l’obbiettivo di creare un legame tra un sintagma nominale e un elemento esterno. Es: un matematico ha visto vecchie fotografie di Maria, vecchie è la testa del sintagma. Per creare un costituente sintattico sono necessarie due operazioni di base: 1) Operazione di selezione —> recupero di un elemento lessicale che sarà utilizzato come punto di partenza per costruire il sintagma, quindi utilizzato come testa del sintagma. 2) Operazione di combinazione —> qualunque elemento lessicale sia inserito entro una frase è necessario costruire attorno a quella parola un costituente sintattico, perciò è necessario aggregare a quella parola di partenza (la testa) una serie di altri costituenti. Le operazioni di aggregazione che servono per costru i re i s intagmi sono sempre b inar ie , indipendentemente dal numero di costituenti che vogliamo aggregare alla testa, questi vanno sempre aggregati una per volta, secondo una struttura gerarchica. Un formalismo per rappresentare la struttura dei sintagmi è la notazione “X-barra”, dove X è la testa che può equivalere ad un nome, un aggettivo, una preposizione, ecc., cioè è un qualunque elemento lessicale che può svolgere la funzione di testa di un sintagma. Ogni elemento del lessico è associato ad un’etichetta che definisce la classe di appartenenza, secondo un’operazione di etichettatura sostituiamo la X con la classe di appartenenza della testa. Il primo costituente che si aggrega alla testa, va sotto il nome di argomento interno (primo merge). L’ultima operazione di aggregazione che dobbiamo fare sempre è l’operazione di ultimo merge, dove aggreghiamo a tutti i costituenti interni che abbiamo generato lo specificatore o argomento esterno, che si aggrega per ultimo e sempre a sinistra delle strutture intermedie generate a partire dalla testa X. In una lingua come l’italiano, tutti i complementi si aggregano a destra della testa, lo specificatore è l’unico elemento che si aggrega a sinistra. La nozione di struttura gerarchica implica la nozione di ricorsività, per costruire un costituente devo applicare lo stesso processo di partenza ad un’altra testa e così potenzialmente all’infinito, la notazione ad albero è un modo per rappresentare la gerarchia. I nodi che non generano verso il basso sono i nodi terminali e foglie dell’albero. La radice dell’albero è il nodo che genera tutta la struttura. Mentre i nodi che non sono né radicali nè terminali sono i nodi intermedi, mentre le linee che collegano un nodo ad un altro sono i rami dell’albero. Vi possono essere 3 tipi di relazione: 1) Relazione di precedenza: di tipo lineare, di cui un nodo deve precedere e seguire dei nodi. 2) Relazione di dominanza: un nodo x domina un nodo y quando a partire dal nodo x vengono generati dei rami che conducono direttamente al nodo y. 3) Relazione c-comando: un nodo x c-comanda un nodo y quando il primo nodo ramificante che domina x domina anche y. I nodi sorelle sono tali quando i due nodi si c-comandano a vicenda. Nella lingua esistono diversi tipi di strutture sintattiche, il verbo definisce le informazioni lessicali, la flessione definisce le informazioni grammaticali, il complementatore definisce la natura della frase (se è principale, subordinata, interrogativa, dichiarativa, ecc.), questi tre elementi sono fondamentali per costruire una frase, risultato di una serie di aggregazioni successive di costituenti. Strutture frasali e nominali • Frase —> CP = Complementiser Phrase, ossia sintagma del complementatore • Strutture nominali —> se collocate nella posizione di complemento diretto di un verbo (soggetto-oggetto): DP (determiner phrase, ossia sintagma del determinante) —> se collocate nella posizione di complemento indiretto di un verbo: PP (prepositional phrase, ossia sintagma preposizionale). • Strutture verbali —> parte lessicale, ossia il sintagma verbale vero e proprio (significato lessicale, struttura argomentale ossia la valenza e la griglia tematica ossia i ruoli tematici) —> parte flessiva (contiene informazioni grammaticali, seleziona il soggetto come specificatore, è la testa dell’intera struttura verbale). Es: [Gianni][ha] flessione [incontrato]* verbo [gli amici] *Incontrare verbo biargomentale transitivo, dove i due argomenti diretti sono [Gianni] e [gli amici]. Merge interno (move): operazione per cui un costituente da una certa posizione sintattica viene copiato in un’altra posizione sintattica per soddisfare dei tratti. La flessione deve prendere dei tratti di persona e di numero che devono essere coerenti con il verbo. Quindi lo stesso costituente sintattico può svolgere più funzioni sintattiche all’interno di una stessa struttura. L’operazione di merge interno è dominato da due regole principali: 1) una testa può occupare solo la posizione di testa e nient’altro, 2) un costituente può occupare solo una posizione di specificatore e mai una posizione di testa. Quando un costituente viene copiato in diverse posizioni, quel costituente esiste di fatto in tutte le posizioni copiate, solo che non circostanziali (temporali, modali, ecc.). Il legame tra subordinata e verbo si crea attraverso delle operazioni di merge. È necessaria una testa c che crei un ponte tra subordinata e verbo della principale. Es: Mario pensa che Gianni abbia amato Anna qui il che svolge il ruolo di complementatore, ha cioè la funzione di occupare la testa c, quando serve a legare una subordinata al verbo della principale, viene selezionato dal lessico per svolgere quella specifica funzione, e tutte le frasi esplicite contengono un complementatore visibile. Quindi cosa hanno in comune le frasi interrgoative, subordinate e relative? Sono tutte costruite come sintagmi la cui testa è un complementatore (c) su questa testa si colloca un operatore interrogativo che permette l’interpretazione della frase interrogativa, un operatore relativo che la rende relativa, o un complementare vero e proprio che la rende subordinata. La testa c (o complementatore) ci dice di che tipo di fase si tratta se è relativa, interrogativa, o subordinata. ANALISI SINTATTICA 1) Quando analizziamo una frase bisogna partire sempre dal verbo, definire la struttura argomentale del verbo e individuare i suoi argomenti cioè i costituenti nominali che svolgono la funzione di argomenti del verbo. ATTENZIONE! Alcuni argomenti possono non essere visibili, come accade per il soggetto sottinteso. 2) In un secondo momento bisogna individuare la flessione verbale e associarle i suoi tratti (informazioni di tempo, di modo, di numero e di persona, questi ultimi due sono la guida per trovare il soggetto). 3) La terza operazione è capire difronte a che tipo di frase siamo (se dipendente o indipendente, se interrogativa o no o se relativa) quindi individuare la testa c e poi associarne uno specificatore. Quando una frase è collocata all’interno di un’altra frase bisogna analizzarle separatamente e poi collegarle, tenendo sempre presente la struttura X- barra e che qualunque elemento entri nella posizione di costituente sintattico entra sempre come sintagma, se pur si tratti di una singola parola. I pronomi hanno due caratteristiche distintive, 1) svolgere le stesse funzioni sintattiche di una struttura nominale, 2) dover legarsi ad un altro elemento per essere interpretati. Come fa un nome a trovare il proprio antecedente quando questo si trova dentro il testo? I criteri per i quali i pronomi selezionano i propri antecedenti nella struttura sintattica vanno sotto il nome di teoria del legamento, insieme di principi che definiscono il percorso che un pronome deve fare all’interno di una struttura per trovare il proprio antecedente. La nozione di dominio di un pronome è il raggio d’azione in cui il pronome trova il suo antecedente, come un confine che delimita il campo d’azione di un pronome, dal punto discorsivo lo definiamo come il più piccolo costituente frasale in cui il pronome svolge una funzione sintattica. Rispetto alla definizione dell’antecedente esistono tre tipi di definizioni: pronomi relativi, i pronomi veri e propri e le anafore. I pronomi come lui e lei devono cercare il proprio antecedente al di fuori del loro dominio, le anafore devono cercare il loro antecedente dentro il loro dominio. Es: Pietro dice che lui è stanco —> dominio di lui (ossia la frase più piccola in cui lui si trova). Pietro è fuori dal dominio di lui è può fungere da antecedente. Lui dice che Pietro è stanco, qui lui svolge la funzione di soggetto dell’intera frase, perciò la frase più piccola in cui lui svolge la funzione sintattica è la medesima, quindi Pietro si trova all’interno del dominio pertanto non può svolgere la funzione di antecedente. Pietro ama lui —> lui svolge la funzione di complemento oggetto dell’intera frase, Pietro è dentro il dominio di lui e non può svolgere la funzione di antecedente. Pietro ama se stesso —> Dominio di se stesso=Pietro ama se stesso; (anafora) Pietro è dentro il dominio di se stesso, quindi Pietro può essere antecedente. Il dominio di legamento è perciò la frase più piccola entro cui il pronome o l’anafora svolgono un qualche ruolo sintattico. In termini di c-comando, si applica alla definizione di dominio di legamento di un pronome, dato da tutti i nodi che c-comandano il pronome, perciò se l’antecedente si trova al di fuori del dominio di legamento di un pronome equivale a dire che non c-comanda il pronome, se invece si trova all’interno del dominio di legamento di pronome lo c-comanda sempre. “Proprio” e “suo” rispetto alle relazioni di legamento hanno delle particolari proprietà, in quanto “proprio” è da considerare come l’anafora, mentre “suo” ha le proprietà di anafora e pronome. STRUTTURE NOMINALI Le strutture nominali si articolano su due elementi principali: il nome (fornisce le informazioni lessicali) e il determinante (fornisce le informazioni grammaticali). Tutte le strutture nominali quando svolgono la funzione di argomento di un verbo (interno o esterno) devono essere collocate all’interno di un sintagma del determinante, cioè devono prendere come testa un determinante —> DP-hypothesis che predice che tutte le strutture nominali per essere argomento di un verbo devono avere come testa un determinante. In italiano ci sono dei casi in cui il determinante non si vede es: ____ dieci amici americani hanno mangiato ____ ottime pizze napoletane. In altri casi invece il determinante è visibile, es: il mio gatto bianco ha inseguito il tuo cane nero. L’alternanza tra strutture nominali con determinante visibile e non visibile è sintatticamente determinata, in quanto ci sono dei nomi che per essere interpretati in posizione argomentale hanno bisogno di un determinante visibile e alcuni tipi di nomi che invece non hanno bisogno di un determinante visibile. Per esempio: Determinante non visibile: • Se una struttura nominale contiene un numerale e ha interpretazione indefinita può non avere il determinante espresso, quando una struttura nominale non ha il determinante visibile si definisce nome nudo. • Un nome plurale, in posizione di complemento oggetto di un verbo, con interpretazione non definita può non avere un determinante espresso. • Essere preceduti da un numerale ed essere non definito rende possibile l’assenza del determinante visibile • Se un nome è singolare e non è un nome massa*, cioè se è un nome numerabile singolare deve sempre avere un determinante visibile, il determinante sarà l’articolo definito se l’interpretazione del nome è definita, sarà indefinito (un) se il nome non ha un’interpretazione indefinita. —> *I nomi massa denotano entità di cui non necessariamente devo selezionare un singolo individuo, se si trovano in posizione di complemento oggetto e non hanno lettura definita possono stare senza un determinante visibile. • I nomi plurali e i nomi di massa in posizione di soggetto post verbale, senza interpretazione definita possono avere il determinante invisibile. Determinante visibile: • I nomi definiti (indipendentemente che siano numerabili o non) devono sempre essere preceduti da un determinante visibile, ciò significa che la lettura definita in Italiano dipende dal determinante. Gli elementi che si comportano da determinati definiti in italiano sono gli articoli definiti e i dimostrativi. In inglese anche i possessivi si comportano da determinanti definiti. • Tutti i nomi numerabili al singolare (indipendentemente dalla posizione e dall’interpretazione) devono essere sempre preceduti da un determinante visibile. Pertanto il determinante seleziona anche la lettura numerabile del nome. Se un nome è numerabile e non contiene un morfema di plurale espresso deve sempre essere preceduto da un determinante. • Se un costituente nominale occupa la posizione di soggetto pre verbale (regolarmente a sinistra del verbo) deve sempre essere preceduto da un determinante visibile. • Quando un nome viene utilizzato come nome di specie (per indicare l’intera classe dei referenti denominati dal quel nome) deve avere un determinante visibile. Sono lasciati fuori i nomi propri e i nomi di parentela che hanno una sintassi diversa da quella vista fin’ora.
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